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248
di enricogbotta
del 26/12/2002
relativo all'articolo
E se il Master digitale In/arch andasse on-line?
di
Paolo G.L. Ferrara
Paolo Ferrara scrive:
"Di contro, antiTHeSi s'imegna sin da ora a seguire da vicino la didattica del Master, chiedendo a tutti i docenti coinvolti di potere pubblicare gli estratti delle lezioni che terranno nel suo ambito, mettendole a disposizione di tutti."
Beh una proposta senz'altro provocatoria... ma non credo che sarebbe molto corretto nei confronti di quegli studenti che pagando renderebbero il master possibile (visto che da quello che dicono gli organizzatori nessuno ci guadagnerebbe niente da questa iniziativa).
Non sarebbe una cosa giusta insomma. Chi ritiene i contenuti del master di suo interesse e' giusto che si iscriva e paghi il dovuto, non ci vedrei nulla di sbagliato o deplorevole. anche riguardo alle borse di studio non sono per nulla integralista. La scelta di avere o meno borse di studio per "meritevoli" e' una scelta che spetta agli organizzatori e non e' dovuta in nessun caso.
"E se non sar possibile mettere on line le lezioni,[...] "
e ovviamente non sara' possibile, ci mancherebbe altro...
"Successivamente, sempre secondo la volont dei singoli, chiederemo ai tirocinanti presso i vari Studi Professionali, di relazionare i lettori di antiTHeSi sullo svolgimento del tirocinio, di darci le loro impressioni, e come e quanto ne saranno soddisfatti"
Questo mi sembra senz'altro un'idea interessante e spero che verra' realizzata.
Vorrei dire anche due parole sulla discussione sul digitale che antithesi sta promuovendo. L'architettura digitale, come la definizione indefinita (che finora solo Furio Barzon ha azzardato, gli va dato atto del suo coraggio) chiaramente dimostra, non esiste, e' solo uno slogan senza articolazione.
Diro' di piu', il digitale appartiene ad un paradigma vecchio. "Being digital" di Negroponte e' stato ampliamente responsabile di "depistaggi" sul digitale (certo non ad opera dell'autore ma da chi l'ha letto in modo superficiale o opportunistico).
Se ci limiatiamo a cio' che digitale veramente significa ci accorgiamo che esso descrive un sistema di rappresentazione astratta dell'informazione limitato all'alternaza di stati 0 e 1. I processi di computazione digitale (cioe' il modo in cui lavorano i processori attualmente presenti nei nostri computer) sono necessariamente lineari.
La computazione parallela (cioe' molto semplicemente il fatto che gli stati di 0 e 1 non si escludano a vicenda) e' praticamente il contario del digitale e forse postula un modo di pensare piu' interessante per gli architetti. Se ci si limita alle manifestazioni macroscopiche come internet, o le tecnologie svillupate per i software 3D o quant'altro Furio indica come stigma del pensiero digitale, beh si manca il bersaglio e si rischia di fare molta confusione.
L'ultima osservazione riguarda il ricorso all'idea di zeitgeist per dimostrare come "l'aggiornamento" dell'architettura al paradigma digitale (che ripeto, non esiste) sia assolutamente necessario e' una cosa che non regge. E per di piu' e' uno dei cavalli di battaglia storici del movimento moderno e di tutte le sue filiazioni che lo hanno seguito (tranne il PoMo), anche se nessuno via ha fatto ricorso in modo cosi' acritico come invece succede oggi.
Non regge perche' 1. bisognerebbe sapere quale sia "lo spirito del tempo" di un certo tempo; 2. bisogenrebbe che questa interpretazione fosse condivisa; 3. bisogenrebbe che fosse condivisa l'idea che esiste un scollamento tra l'architettura e "lo spirito del tempo" come esso e' stato interpretato; 4. bisogenrebbe che si fosse d'accordo che questo scollamento, se esiste, costituisca un problema; 5. Bisognerebbe che si fosse d'accordo sul fatto che colmare la distanza tra l'architettura e il suo tempo sia la soluzione ai problemi che si cerca di risolvere.
Visto che non sussiste nessuna delle condizioni sopraelencate non vedo come si possa avanzare la pretesa che rifarsi allo zeitgeist costitutisca una "scusa" sufficientemente forte per sostenere la necessita' di sostenere digitale...
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244
di Carlo Sarno
del 23/12/2002
relativo all'articolo
Firenze - Zevi Maestro di domani
di
Luigi Prestinenza Puglisi
"...Solo un altro critico, Edoardo Persico, peraltro da Zevi amatissimo, aveva avuto tanto coraggio nel legare il messaggio civile dellarchitettura con le forme dello spazio. Lo aveva fatto in una conferenza memorabile dichiarando larchitettura sostanza di cose sperate , manifestando cos linscindibilit del nesso tra forme e liberazione, tra spazio e utopia, tra concretezza del presente e immagine di un futuro sperato, voluto, agognato.
Se le parole sono il tramite dei valori di chi le pronuncia, vale anche il contrario e cio che le persone sono coloro che plasmano le parole. E chi non ha valori, non pu, se non ipocritamente, inventare parole che indirizzano al cambiamento...".
In questo periodo natalizio urge un recupero dei valori etici dell'architettura , una pausa di riflessione dei profondi sentimenti che sono a fondamento della vita personale e sociale . Anche l'Architettura pu approfittare della "magia" del Natale per riscoprire la sua vera identit , la sua missione di creatrice di un futuro migliore .
Richiamo questo articolo su Zevi di Luigi , che evidenzia il lato morale e anticonformista del grande critico organico , per aprire una finestra sulla speranza di una architettura che parta dalla vita , dalle vere necessit dell'uomo contemporaneo , senza farsi trascinare in futili mode o diatribe.
L'Architettura ha bisogno di impegno morale , ha bisogno di rifondarsi sull'amore per la vita nella maniera in cui Ges Bambino ci ha insegnato , ha bisogno di guardare chi soffre , chi povero , chi debole e costruire per il nostro prossimo bisognoso una vita migliore piena di pace e felicit.
L'architettura senza amore non " Architettura " !!!
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241
di Giovanni Gabbia
del 20/12/2002
relativo all'articolo
Indietro tutta: l'architettura tutta un quiz
di
Paolo G.L. Ferrara
La mia impressione che qui si sia andati fin troppo indietro.
Mi chiedo che scopo abbia una critica cos sterile e circostanziata.
Charles Edouard Jeanneret ha affermato che la pianta l'elemento generatore e che bisogna guardarsi dall'illusione delle piante (karlsrue... lo scrivo approssimativamente onde dar maggiori spunti polemici al nostro critico)
non mi sembra ci sia altro da dire sull'argomento "pianta", sicuramente il format del pensare architettonicamente.
A meno che non si voglia rinfacciare a qualcuno la sua futuribile nudit.
Giovanni Gabbia
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20/12/2002 - PaoloGLFerrara risponde a Giovanni Gabbia
Caro Gabbia, Lei parla di critica "sterile e circostanziata": bene, ma credo che abbia letto superficialmente il mio articolo. Lo rilegga con più calma; probabilmente non cambierà opinione ed allora Le chiedo di scrivere Lei sulla "pianta", di darci la Sua di critica. Non basta "citare la citazione ", soprattutto quando si tratta di Le Corbusier...
La pianta un "format"? suvvia, finiamola! l'architettura è un tutt'uno (vedi sempre Le Corbusier, o Scharoun, o..., o...).
Allora, attendiamo davvero con piacere che Lei scriva compiutamente e che possa dare un ulteriore contributo ai nostri lettori. E' lo spirito di antithesi. Poi, non apena avrà esposto il Suo pensiero (approfonditamente), sarò felice di dibattere. La prego, smonti il mio articolo punto per punto. E non sto per nulla scherzando. La diversità di pensiero è il nostro "credo", ma deve essere ben spiegata.
Cordialità
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239
di Furio Barzon
del 18/12/2002
relativo all'articolo
Master Digitale
di
Mara Dolce
Accetto con piacere l'invito di Sandro Lazier, che stimo per la forza e l'energia del suo pensiero, a cercare di spiegare a Mara Dolce che cosa sia l'architettura digitale. Messa cos, nei due termini che compongono la magica formula "architettura digitale", la cosa appare immediatamente riduttiva e poco interessante: l'architettura costruito, l'architettura solida, si deve e si pu toccare con le mani, l'architettura firmitas. Cos era e cos sar, per...
Intendiamo per "architettura digitale" ogni processo architettonico che in una sua fase, anche minorataria, si sia servito del computer. Anche una sola email spedita per commentare un progetto, da un architetto ad un altro coinvolti nella fase compositiva, inserisce una nuova possibilit, non solo prettamente comunicativa, che l'uomo non ha precedentemente avuto, e che ha per questo inevitabili, anche minime, ripercussioni sul progetto, assolutamente da non sottovalutare.
Tracciamo, invece, che forse pi utile e chiarificatore, una piccola e rapida mappa dei casi in cui il computer si inserisce prepotentemente nel processo architettonico:
BLOB
Le enormi potenzialit di calcolo dell'elelaboratore hanno progressivamente permesso il controllo matematico (ed ingegneristico!)di forme e volumi sempre pi fluidi, complessi ed articolati, attraverso software che permettono navigazioni virtuali tridimensionali; credo, ahim, che le forme blob siano di relativo interesse architettonico e che si prestino meglio alla creazione (badate bene: architettonica) della nuova dimensione ineunte del paesaggio virtuale di Internet 2.
BARRIERA BIOENERGETICA
Sono oramai diversi i casi in cui il controllo computerizzato degli scambi energetici della barriera che costituzionalmente ogni architettura pone, tra interno (artificiale) ed esterno (naturale, per modo di dire), ha dimostrato di essere una innovativa quanto effica soluzione. Il primo stato Jean Nouvel con l'Istituto per il Mondo Arabo, ma ci sono tecnologie molto pi sofisticate, tra cui la commercialissima Blue Energy di Permasteelisa.
HYPERSURFACE
Hypersuface termine coniato da Marcos Novak (non a caso paladino del discusso Master in/arch). Significa fondamentalmente: sfondamento della massa muraria grazie alla sua trasformazione in profonda interfaccia di comunicazione. una ricerca in atto, che in Italia trova la sua pi elementare (e per questo meritevole di attenzione) espressione in Ranaulo e che a livello concettuale ha gi coinvolto elette menti internazionali. La prima immagine significativa in tal senso comparsa su un progetto di Rem Koolhaas, tuttavia.
NUOVE TECNOLOGIE COSTRUTTIVE
Senza un uso intensivo e sapiente del computer non si sarebbe mai riusciti a costruire il Guggenheim di Bilbao. Grandi aziende internazionali hanno sviluppato strumenti complessi per l'industrializzazione elettronica delle componenti costruttive dell'architettura, potenti gruppi ingegneristici (e non solo Arup) hanno realizzato software innovativi per rendere costruibili le strutture pi impossibili.
MONDI VIRTUALI
L'architetto contemporaneo non sta trascurando il nuovo mercato che gli si sta spalancando di fronte: Internet, grazie all'aumento della velocit di trasmissione dati, sta diventando sempre pi un'interfaccia tridimensionale (pensate alle bandierine logo di Microsoft). Tutto ci che tridimensionale di competenza dell'architetto (ma anche l'interfaccia bidimensionale ha netta struttura architettonica). Gli architetti costruiscono la rete.
EDITORIA ELETTRONICA
"Attraverso il computer luomo si dotato di un ultimo genere di linguaggio: un canale di comunicazione che usa lettere, immagini, suoni, in una sinestesia quasi completa, per mettere in contatto i cervelli ed i pensieri di ognuno. Internet cambia il linguaggio e con esso cambia larchitettura." Le webzine, i portali, le postazioni web degli architetti, mandano in corto circuito l'editoria classica: la somma degli utenti Internet giornalieri supera di gran lunga quella degli acquirenti delle riviste (non solo perch non pagano). Basta una sola copia originale perch tutti la leggano (portando letteralmente a zero i costi di distribuzione), possono essere inseriti suoni, video, modelli 3D, strumenti di discussione (come questo).
Ci sarebbe molto molto altro, ma rilancio il discorso proponendovi la lettura di un mio brevissimo testo, pubblicato su Arch'it nella sezione dedicata ad "Image", ed ora anche sul libro che iMage ha pubblicato (e che invito Dolce Mara ad acquistare per comprendere meglio che cosa sia "l'architettura digitale"), scritto in occasione della moderazione al "6. Festival Internazionale di Architettura in Video" per un incontro a cui hanno partecipato Reed Kram (Media Designer), Derrick De Kerckhove (McLuhan Program), Antonella Bruzzese (A12-parole), M
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238
di Mara Dolce
del 18/12/2002
relativo all'articolo
Master digitale IN/ARCH: M.L. Palumbo risponde a M
di
Maria Luisa Palumbo
Non vorrei che la polemica sul master INARCH si riducesse ad un attacco personale alla dottoressa Palumbo e alle sue competenze vere o presunte nel mondo dell'architettura. Mi limiter pertanto a rispondere nella seconda parte dell'intervento alle domande che la dottoressa mi rivolge e che la riguardano, ed entrando subito nel merito delle pertinenze del master.
IL MASTER:
c' da rilevare che il mercato offre molti prodotti con la denominazione di master spesso estremamente differenti tra loro. Al fine di offrire alla potenziale utenza una chiave di lettura che consenta di orientarsi in un'offerta dai connotati spesso incomprensibili, sarebbe stato corretto, visto che trattasi di master NON universitario, che l'In/arch avesse informato a quale legge fa riferimento in materia di master, da chi rilasciato il titolo, da chi riconosciuto e dove e com' spendibile. Ci dica se, quando ci presenteremo ad esempio a Parigi o a Londra, a chiedere di lavorare in uno studio d'architettura con il nostro certificato master In/arch da 232 ore, si metteranno a ridere o ci spalancheranno la porta.
Quanto a quello che io chiamo "esca finale" del master, usando il nome di Fuksas come apripista, e che la Palumbo chiama tirocinio, l'In/arch dovrebbe sapere che un tirocinio di architettura, nel resto d'Europa, che si svolge durante gli anni accademici dell'universit, puntualmente pagato. E'indecente che l'In/arch offra, dopo una laurea e a maggior ragione dopo un master, uno stage non pagato presso uno studio. State offrendo semplicemente "il contatto": scusate, ma pensate che ci voglia un master da 4000 euro per trovare il coraggio di chiedere di lavorare gratis in uno studio? Centinaia di studenti lo fanno da sempre.
Riguardo all'opportunit che l'In/arch ha valutato come secondaria o irrilevante, vale a dire "di aver lanciato un bando senza aver risolto la questione borse di studio" e che ha fatto giustamente indignare, tra i tanti, Saggio, Lazier e Ferrara, uno dei punti fondamentali dell'offerta di un master ed una gravissima mancanza da parte dell'In/arch. Servizi di ricerca di risorse finanziarie (borse o prestiti personali) consentono di privilegiare nelle ammissioni, il merito, le motivazioni, le propensioni, rispetto "alla capacit di pagare". Infatti, nei requisiti minimi necessari per assicurare una formazione di qualit, una delle tre variabili essenziali su cui si basa un programma master la caratteristica del candidato e quindi il processo di selezione (le regole per l'organizzazione di un master NON universitario, ci sono eccome! Non conoscete le norme ISO?)
La correttezza e l'onest intellettuale avrebbe voluto, che senza borse di studio, il master non partisse.
Si ha invece la sensazione che i protagonisti di quest'avventura, nella fretta e nella smania di esserci, di ottenere la massima visibilit con il minimo impiego di energie, di esistere, sempre e comunque, si siamo mossi nel disprezzo delle pi elementari regole, dando prova di un'irritante arroganza.
Tutta questa serie di mancate informazioni, superficialit e facilonerie nell'organizzazione del master In/arch, ha fatto scattare il mio allarme "al bidone". Bidone inteso come master-contenitore furbo e inconsistente, (e non "bidone-truffa"). Quando l'Istituto Nazionale di Architettura che organizza un master, ci si aspetta chiarezza, rispetto delle regole, correttezza e competenza.
firmato
Mara Dolce
e non "Mara Dolce" n dolce Mara.
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237
di Antonino Saggio
del 18/12/2002
relativo all'articolo
L'orecchiabile esibizione di Botta alla Scala
di
Paolo G.L. Ferrara
L'articolo di Ferrara un esempio del motto: poche chiacchere, ma lavoro. Dissento per nelle conclusioni, ma vorrei essere convinto del contrario. Perch mai dobbiamo accettare il progetto di Botta dopo aver capito quanto deludente? E chi l'ha detto? La real politik perdente perch ci auto compromette. Dico invece che si deve bloccare tutto e invitare cinque bravi e se volete anche grandi architetti ad un rapido "avant progetto" (un architetto pu, con i suoi collaboratori proporre una strategia in un tempo ragionevole). I progetti saranno illustrati in una conferenza trasmessa dalla Tv (se si vuole dallo stesso Canale 5) e poi con un qualunque sistema di tele voto si decider. Magari vincer Mario Botta. A quel punto saremmo "democraticamente" rassegnati al volere della maggioranza di una ennesima fenice infelice.
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235
di Fausto D'organ
del 17/12/2002
relativo all'articolo
Master Digitale
di
Mara Dolce
Inizio questo contatto salutando un Maestro Progettista che da poche ore passato a miglior vita, lasciandoci (sul serio) ancora pi soli in questa valle architettonica di lacrime: Vittorio De Feo, Professore all'Universit di Roma, Tor Vergata. Molti di Voi l'avranno conosciuto personalmente, io soltanto attraverso libri, riviste, ecc.; di conseguenza non sono capace di aggiungere nulla di sostanziale a questo saluto, ed evito di continuare a sfiorare la Sua Immagine. [...] Vado a toccare il punto a cui appiccicare 'sto contatto. Quando ho letto del Master, ora oggetto di attenzioni, la mia prima reazione stata di sorpresa: l'Inarch promuove un corso NON universitario di CAAD??? ... E sulla scia della prima sorpresa mi sono fatto prendere pure dall'entusiasmo leggendo della presenza di L.P.Puglisi e di M.Brizzi ...ma ...riflettendoci su un poco ho avuto la spiacevole sensazione che da questo corso di formazione post universitaria (esterna all'universit) sarebbero usciti pseudo esperti di "digitalizzazione" di splendide idee altrui: fresche braccia rapide sulle workstation, null'altro! Ben inteso, si tratta soltanto della "mia" impressione, condivisibile o meno, ovviamente! "Attenzione, pronta una nuova bidonata sotto forma di "master di architettura digitale" della durata di 232 ore, legittimata dall'INARCH (Istituto di Cultura Italiana!) che si chiama: "Lo Spazio In-Forme" per giovani e disoccupati neolaureati in architettura affascinati dall'ancora attuale (speriamo per poco), moda digitale. [...]". Anche questo soltanto un pensiero "suo", Dolce Mara, condivisibile o meno, ovviamente! E' soltanto "suo" anche in considerazione del fatto che se solo usasse qualche minuto del suo tempo per esplorare i links delle pagine di Antithesi, scoprirebbe tanti studiosi, da Lei etichettati automaticamente "modaioli", che riversano megabytes di idee in rete; scoprirebbe decine di riviste "digitali" (come quella in cui Lei sta scrivendo!) che sono costruite su questi, da Lei denigrati, pensieri "modaioli"; scoprirebbe centinaia di progetti di architettura digitale "modaiola", realizzati in altrettante aree "modaiole" del nostro pianeta, ecc. ecc. ... Per non parlare dell'ormai fissa striscetta dedicata, sulla prima pagina di questa rivista, ai Corsi CAAD dell'evidentemente, per Lei, "modaiolo" Antonino Saggio. ... E tutto questo lo scoprirebbe partendo dalla sola e poco "modaiola" Antithesi! Pensi un p che cosa conoscerebbe se esplorasse la rete avventurandosi in altri "siti" molto pi spinti e modaioli!?! Che il Master sia "inutile" un discorso praticabilissimo, che per non regge se viene fatto da una persona che esordisce con una "superficialit culturale" di tale profondit! Mi stupisco, allora, che tale breve scritto allarmato (depauperato dall'accennato esordio) ha trovato cos bel risalto nella "colonna Articoli" della rivista! Io direi che, parallelamente alle "lezioni" di linguistica architettonica, Antithesi dovrebbe approntare anche "lezioni" di Architettura Digitale che possano chiarire a persone come Dolce Mara, in quali termini la nostra e la loro realt sta "aumentando" (pare, a loro insaputa!) e sta mutando (certamente a loro insaputa!)... Se il convegno internazionale sulla Rivoluzione Informatica a Saint Vincent non si fatto, che ne dite di ovviare (in piccolo, tra queste pagine) all'inghippo?! "[...] Che cos'? Che significa? che senso ha? ...esiste un'architettura digitale?" tanto per gradire...> Queste parole di Dolce Mara, nascondono una sete di conoscenza (condivisa da tanti) che Antithesi pu aiutare a placare.
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17/12/2002 - Sandro Lazier risponde a Fausto D'organ
Mara, che ovviamente tanto dolce non è, ha trovato risalto sulle pagine di antithesi perché dice cose che hanno un senso e un significato importante. Non mi interessa la forma con cui le dice e nemmeno mi turbano i riferimenti personali (che avrei evitato) o gli aggettivi che usa per definire questa o quella architettura. Inoltre, l'appellativo "modaiolo" non mi sta né bene né male, perché riflette una realtà piuttosto vera dalla quale, con argomenti di sostanza, è doveroso liberarsi.
Quindi apprezzo l'invito di aprire una finestra sull'architettura digitale (uso questo termine in senso molto stretto) ma a condizione che i contenuti valgano da un punto di vista critico e non solo promozionale.
Intanto aspettiamo che qualcuno definisca a Mara (ed ovviamente anche a noi) una personale interpretazione di "architettura digitale".
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234
di Pierluigi Di Baccio
del 17/12/2002
relativo all'articolo
L'orecchiabile esibizione di Botta alla Scala
di
Paolo G.L. Ferrara
Devo ammettere di condividere tutto o quasi di quanto scritto da Paolo G. L. Ferrara. Tuttavia, dal mio modesto osservatorio di studente d'architettura, vorrei solamente aggiungere che il confronto fra il progetto di Botta e quello di Nouvel per l'Opera di Lione inappropriato soprattutto perch risolto da Fulvio Irace a favore del ticinese. Ritengo utile dare un giudizio di valore, che Ferrara preferisce omettere: l'intervento dell'architetto francese ha una carica fortemente eversiva, in un contesto storicizzato, anche discutibile, forse, ma innegabilmente conduce a un risultato assai pi felice rispettoa al progetto di Botta. In quest'ultimo l'anonimato totale, la scelta dei volumi e il loro accoppiamento quasi incomprensibile: se davvero , come dice Irace, Botta si mosso con rispetto e circospezione, il risultato smentisce totalmente le intenzioni. Un atteggiamento pi energico sarebbe stato pi coerente, visto che comunque si tratta di intervenire pesantemente con nuovi volumi sull'esistente, e probabilmente avrebbe condotto a esiti pi degni (anche se forse in tal caso Botta, con tutto il rispetto, non l'architetto giusto allo scopo). Nouvel a Lione forse non ha fatto un capolavoro, ma ha realizzato gli stessi obiettivi di adeguamento funzionale e tecnico creando una struttura pulita e formalmente innovativa: una grande volta a botte in acciaio e vetro, oscurabile, al posto del vecchio tetto in legno "a nave roversciata" (tipo Basilica palladiana a Vicenza) che in quel caso era andato distrutto in un incendio. Inoltre a Lione stato ridisegnato tutto l'interno creando un complesso ben integrato vecchio-nuovo dotato per di forte personalit. Parlando per esperienza, si tratta di un'architettura che d emozioni nuove, il che mi sembra un risultato importante. Ovviamente si tratta del mio personalissimo parere.
Grazie per lo spazio concesso.
Pierluigi Di Baccio
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17/12/2002 - PaoloGL Ferrara risponde a Pierluigi Di Baccio
L'articolo non era rivolto alla critica fatta da Irace. L'ho riportata (parzialmente)perchè spero sempre che chi legge vada a recuperare quanto cito, affinchè possa farsi un'idea più generale rispetto quelle che sono le mie opinioni. La pluralità è fondamentale. Il non essere d'accordo con Irace o altri, lo è altrettanto.
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236
di Fausto d'Organ
del 17/12/2002
relativo all'articolo
Master Digitale
di
Mara Dolce
Caro Sandro,
a distanza di circa diciotto mesi da quando antiTheSi, insieme ad Antonino Saggio, buttarono all'aria l'idea di un convegno internazionale sulla Rivoluzione Informatica da tenersi a Saint Vincent, inizi Lei a esporCi la sua personale interpretazione di "architettura digitale". Largo ai Padroni di Casa! ...poi, senza dubbio, anche gli ospiti di passaggio, primo fra tutti colui che scrive ora, sapranno accompagnare la dissertazione...
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233
di Domenico Cogliandro
del 17/12/2002
relativo all'articolo
Teatro di Sciacca: secondo atto.
di
la Redazione
I primi passi sono sempre i pi difficili, bisogna sopportare le cadute e non arrendersi davanti alle prime sconfitte, alle gelosie di e verso altri, dinanzi alla massa di eventi imponderabili nascosti dietro l'angolo. I primi passi sono terribili, ma sono altrettanto temibili i secondi passi, che si fanno quando qualcun altro si accorge che ci si sta muovendo nella direzione giusta e allora si tentano i golpe, i colpi di mano, le sovrapposizioni, gli scantonamenti, gli allontanamenti, gli eccetera politici che dietro ad opere di questo calibro covano in silenzio. Finch nessuno si muove nessuno fiata, quando ci si muove in silenzio qualcuno ha sempre qualcosa da dire, quando si mette in moto quello che sin qui abbiamo sperato, contro tutto e tutti, c' il rischio della perdita dell'obbiettivo. I passi successivi ai secondi sono quelli pi rischiosi, dopo che con i primi ci si compromessi, e con i secondi si fatta una scelta di campo, ma... tempo al tempo.
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232
di Guidu Antonietti
del 16/12/2002
relativo all'articolo
In-Arch In-Forme
di
Sandro Lazier
Cher Sandro LAZIER
Je ne voudrais pas me mler la polmique propos de In-Arch In-Forme que tu publie dans les colonnes de AntiThesi , car je nen connais pas les tenants et aboutissants !
Cependant je voudrais te signaler que jai fait paratre dans aROOTS http://www.aroots.org/
en novembre dernier un article, qui voque les questions des rapports de lArchitecture avec la rvolution cyberntique laquelle nous assistons tous.
Le voici ci-dessous. En franais, malheureusement et je men excuse auprs de mes amis italiens !
Tu peux si cela te parat intressant pour eux le faire paratre dans ton webzine que je consulte rgulirement avec grand plaisir.
Amiti Architecturale
Guidu ANTONIETTI
_________________________________________________________
Cyberculture
LES TERRITOIRES DE LINCERTITUDE
http://www.aroots.org/notebook/article101.html
Le patrimoine Architectural contemporain au regard de la rvolution cyberntique a-t-il un sens ?_________________________________________________________
DEFINITION_________________________________
QUE SONT CES TERRITOIRES DE L'INCERTITUDE ?
Dans les territoires de lincertitude s'opre actuellement la redfinition de notre socit et de son environnement en mutation vers un avenir alatoire.
Avec lmergence rcente de la cyber culture il nous faut regarder les difices qui la ponctuent, pour en faire le relev en forme dinventaire, afin den garder les traces prcises pour une mmoire du futur.
Il sagit de territoires frontaliers et interstitiels, qui font quil est difficile de dcrypter en quoi le cyber espace fait ou pourra faire partie dun patrimoine tangible
- Frontaliers, parce quils peuvent constituer les espaces physiques la marge de notre socit, o saffrontent des problmatiques dont on ne connat pas tous les enjeux.
- Interstitiels, parce que ces problmatiques occupent transversalement lespace urbain. Ce sont des territoires vitaux qui au travers de stratgies, souvent intuitives exprimentent des usages de lespace, des relations environnementales et sociales indites, mi-chemin entre les hritages du pass et les prsages du futur.
A travers une approche slective, donc non exhaustive, il conviendra de dfinir un mode dapprhension et de comprhension de ces territoires et paysages humains qui reprsentent ( justement par leur incertitude comprise comme indtermination et complexit potentielle ) les limites concrtes chappant, pour la plupart, la reconnaissance et leur valorisation ventuelle !
VOCABULAIRE________________________
QUELS MOTS POUR REGARDER LA VILLE ?
De nombreux symptmes rvlent la priode de transition qui fut la ntre, (nos dirons le XX me sicle). lls sont dabord dordre linguistique : la faiblesse du vocabulaire pour parler de larchitectonique se heurte en effet la complexit des espaces urbains contemporains. Nous utilisons encore des mots gnriques, trop flous pour nommer et qualifier les questions spatiales, des mots incertains et redondants, incapables de saisir le vritable sens des lieux qui nous entourent.
Mais cela nexplique pas tout. Les faons dont nous reprsentons et concevons la dimension urbaine sont rvlateurs de symptmes plus profonds qui tiennent notre culture artistique, en France trop souvent nglige. Si nous nous y arrtons, nous ressentons une ncessit encore plus vitale que celle dun nouveau vocabulaire : il nous faut concevoir un nouveau modle dapprhension du phnomne urbain.
TERRITOIRE________________________________________
QUI Y A T IL DERRIERE LE PRETENDU CHAOS ESTHETIQUE ?
Si nous tentons de voir "le temps dans l'espace", nous serons peut-tre en mesure de comprendre que les territoires urbains contemporains rassemblent une multitude dagissements individuels et non concomitants l'intrieur de quelques mouvements physiques rguliers - distincts par le rythme, la dure, l'intensit, mais surtout en paraphrasant Edwards T. Hall dans leurs dimensions caches.
Chacun de ces mouvements rguliers se reproduit dans des espaces diffrents et loigns, et rvle une organisation spcifique des relations sociales et des processus de prise de dcision. Ainsi, derrire le chaos esthtique produit par la juxtaposition apparemment incongrue de btiments uniquement soucieux de leur criture particulire, nous assistons l'apparition d'un phnomne entirement diffrent : le pouvoir excessif de quelques principes d'ordre. Lordre spectaculaire marchand capitalistique celui qui rgit ldification des btiments de lpoque car comme le disait Henry Lefvre lurbanisme cest la projection au sol de mcanismes dtermins !
Les difices inventorier seront donc les attributs mergents de lpo
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231
di enricogbotta
del 15/12/2002
relativo all'articolo
In-Arch In-Forme
di
Sandro Lazier
Sono veramente contento di constatare che nonostante i nomi coinvolti in questo master in-forme siano parte dell'ambiente editoriale in rete (Brizzi) della critica "contro" l'establishment (Prestinenza Puglisi) e autori che hanno scritto sulla collana curata dal Prof A. Saggio (Palumbo), ne voi ne Saggio si sono fatti prendere ne da timori reverenziale, ne da facili calcoli di convenienza. Un plauso all'onesta' intellettuale di cui in questo caso avete dato prova.
saluti,
enricogbotta.com
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230
di Andrea Pacciani Architetto
del 13/12/2002
relativo all'articolo
Tradizione e identit
di
Sandro Lazier
Gentile Sandro Lazier,
visto che sul sito incalza il dibattito sulla tradizione, le invio questi appunti tratti da recenti letture che avrei voluto ampliare completare e rendere più vicini al mondo dell'architettura; talvolta il pensiero non è consecutivo ma credo che il tutto sarà comprensibile ugualmente.
a presto
Andrea Pacciani
L’obiezione pratica più ricorrente alla tradizione fu riassunta efficacemente da Paul Valery quando ricordò che “non sopportiamo più la durata” e avvertiamo come necessarie l’interruzione, l’incoerenza, la sorpresa. Abbiamo il terrore della ripetizione, perché tutto ciò che si ripete non appartiene mai al pensiero. La tradizione non soddisfa la pressante esigenza di instabilità e di mutamento e configge con la convinzione che l’intelligenza sia la capacità di scompaginare gli assetti e sperimentare infinite variazioni.
Ma siamo davvero sicuri che questa condizione instabile abbia a sua volta raggiunto una sua stabilità definitiva e non possa essere a sua volta rimessa in discussione e perfino rovesciata da altre aspirazioni e da altri orrori generati dallo spaesamento?
Siamo proprio sicuri che questa preferenza per l’instabilità e l’irripetibilità sia davvero universale e riguardi sempre e comunque i territori dell’umana intelligenza e non nasconda al suo interno anche una superstizione del nuovo, una nevrosi e un riflesso condizionato?
E siamo proprio sicuri che non vi sia anche un’intelligenza affamata di stabilità e di connessioni, vogliosa di Essere, o che vive con altrettanta inquietudine il lutto per la perdita della Tradizione, della costanza, della fedeltà?
Si potrebbe infine pensare che l’interruzione, l’incoerenza, la sorpresa ma anche il terrore della ripetizione e del luogo comune, possano trovare migliore accoglienza nella tradizione che non al di fuori della tradizione: perché in fondo si può essere incoerenti e sorprendenti solo rispetto a una tradizione, non rispetto al nulla.
Esiste una forma insidiosa e surrettizia di tutela della Tradizione che potremmo dire museale. E’ la tendenza, frequente oggi, a isolare un reperto o un lacerto del passato in un’area artificiosa protetta, per creare una specie di oasi, di angolo della tradizione. Quanto più è sradicata la tradizione dal mondo e dall’anima degli uomini, tanto più se ne ricostruisce un frammento avulso dal suo contesto, privato di anima, e lo si pone sotto una campana di vetro. Così l’esorcismo è compiuto, la tradizione è delimitata in un recinto e dunque resa inoffensiva. L’alibi è di salvaguardia, di lasciarla incontaminata; ma la motivazione profonda è, al contrario, di non farsi contaminare da essa, di salvaguardare la vita liberata da quell’ossessiva catena; la tradizione viene sconnessa dal luogo, dal suolo, dall’habitat originario e riposta in un astuccio che la rende estranea al suo stesso principio vitale. Trasferire una traccia della tradizione in un museo è sancirne la sua morte, classificarla in un obitorio del passato.
Tradizione è una predisposizione innata, comunque antecedente ogni stato culturale. C’è un originario senso comune che ci porta a condividere principi, consuetudini, azioni ed emozioni, a insorgere o a reagire quando vengono messe in pericolo le basi del nostro vivere umano, civile, personale e famigliare e la prospettiva della loro continuità. La tradizione si impianta su questo fondamento naturale e psicologico che precede la trasmissione culturale di saperi ed esperienze.
Questo senso della tradizione come origine naturale e costitutiva del nostro esserci risale e riemerge periodicamente nella nostra società evoluta: risale come dolore, come paura, come insicurezza, ma anche come amore, slancio, gioia
Il dominio della tecnica ci rende schiavi con l’illusione di essere padroni.
Si è allargata la forbice tra tecnica e cultura, all’accelerazione dell’una non ha corrisposto l’accelerazione dell’altra, semmai il suo rallentamento, cosicché oggi disponiamo di un maggior numero di mezzi ma ne padroneggiamo sempre meno. Non abbiamo avuto la possibilità o la capacità, il tempo o la volontà di digerire i cambiamenti, di metabolizzare le innovazioni tecnologiche all’interno di una visione del mondo, di una tradizione. La possibilità di manipolare il mondo cresce in misura inversamente proporzionale alla capacità di conoscerlo.
Antico viene considerato ciò che non è utile a incrementare il progresso, viceversa il nuovo.
Nelle società do
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214
di Paolo Marzano
del 10/12/2002
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Lartista non vede, guarda
di
Sandro Lazier
Riflessioni d'architettura.
L' architettura intesa come serbatoio permanente delle metafore del linguaggio filosofico, ma anche intesa come pura relazione delluomo con il mondo che lo circonda (seconda pelle) con tutte le implicazioni che questo innesca. Allora probabile che sia un problema di approfondimento concettuale, magari destrutturando o semplicemente, mettendo in discussione la realt contemporanea (realt architettonica).
Per cui mi sono chiesto, tentando di "vedere" nelle pieghe di questa realt e dietro i grandi paroloni che stanno maliziosamente agevolando un paradosso percettivo innescato logicamente dalla facile quanto allucinante mediazione culturale che, secondo me, si sta trasformando in qualcosa di pi preoccupante; nella pericolosissima mediazione percettiva. Un commento fatto di domande, tanto per riflettere su quanto st succedendo potrebbe aiutare a guardare per vedere o vedere per guardare,meglio una realt in continua mutazione!
Un'architettura fatta di messaggi e informazioni, ma com' fatta?
Cosa mettiamo sul vetrino del nostro microscopio d'analisi architettonica?
Qualcosa ci deve pur essere da scandagliare per sentirne l'odore, o da toccare sentendone la materia, da ascoltare per recepirne le leggerissime vibrazioni, insomma, per viverla!?
Mi chiedo allora, possibile che una continua esposizione ai nuovi messaggi, o comunicazione pervasiva a tutti i livelli ci porti ad una possibile condizione di sparizione-allontanamento, ossia a vivere una situazione che, parafrasando Philip K. Dick, nel racconto che molti architetti dovrebbero leggere "Vedere un altro orizzonte",ci renda sospesi, in balia di correnti di ragionamento anche fuori dalla realt, e ci abitui in questo messaggio subliminale continuo fatto di virtualit de-materializzata?
Ma nessuno ha mai pensato che, la realt contemporanea cos carica di informazioni di esposizioni di ipervisibilit di straevidenza dinamica, ci stia solo distarendo dal "guardare" la nostra vera dimensione con le nostre sperimentali coordinate senza "mediazioni" di sorta, aggiunte?
La velocit alla quale siamo es-posti (trasformazioni culturali e tecnologiche ) pu de-realizzare la nostra dimensione al punto che chi controlla i mezzi di comunicazione ha, s, un potere, ma anch'esso instabile e frammentario come la realt che ha creato per definirsi?
La iper-esposizione alla ricchezza-informativa obbligata, o resa preziosa da circuiti perversi commerciali e strategie di marketing, pu allora dinamizzarsi fino al punto di condizionare la nostra persistenza retinica e non sollecitare null'altro?
Listante, inteso come istante dellesperienza, sta forse prevalendo sulla contemplazione possibile?
Se loggetto (architettura o mondo possibile) abbandonato per una sua immagine virtuale, allora losservazione mediata e contribuisce ad una pericolosissima pigrizia percettiva che privata del contatto materiale?
Ma allora il viaggio, come tempo della conoscenza, il travaglio tanto declamato da Zevi per i suoi saggi critici di personalit importanti dell'architettura che hanno maturato nel tempo la loro architettura, per farla divenire ricchezza ed esperienza, proponendo lo spazio come unico elemento fondamento dell'architettura cosa diventer contraendosi come ci indica, la velocit di visione mediata e comunque sintetizzata e non vissuta?
Con queste premesse derivate da uno stato di cose che nell'ambiente architettonico, non vengono tutt'ora guardate anche se evidenti, ho timore che il tanto declamato nomadismo inteso come fonte di ricchezza e confronto di civilt, flusso, viaggio, si risolver forse in un incontro indifferente tra individui dallaspetto simile alle figure umane dipinte da Munch: sagome esili, scure, dalla faccia pallida o verdastra, con occhi a spillo inespressivi e profili immobili.
Il flusso di gente che scorreva oltre la vetrina del caff, nel racconto di Edgar Allan Poe - in luomo della folla - non aveva forse gi in s lembrione di quanto la velocit (l'uomo vettore) d'informazione mediale, nega lo spazio e l'architettura, nellurto indifferente che nasconde al proprio interno il limite o la stessa fine delle relazioni sociali in una citt, ricaricandosi poi con una virtualit equivoca e perversa?
Gli shock descritti da Walter Benjamin in Baudelaire e Parigi, possono allora essere intesi come preludio allindifferenza e ad una sorta di pigrizia nell'appropriarsi della realt (pecettivamente), ovvero un rifiuto della dimensione che si vive proprio nelle nostre brulicanti citt, tanto conformi quanto manifestatamente mute?
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10/12/2002 - Sandro Lazier risponde a Paolo Marzano
Io credo che in questo momento le riflessioni filosofiche sull’architettura non portino a nulla di veramente convincente.
Se lo stato di fertile disagio in cui versa la creatività deve portare a qualche sbocco significativo, questo avverrà abbondantemente sopra le (o a lato delle) riflessioni della ragione pura. Il segno espressivo non ha necessità di misura e di forma, non richiede permessi alla ragione e, soprattutto, vive di sintesi ed autonomia.
Stabilire cosa sia “architettura” e cosa no è un problema che riguarda le categorie e la loro definizione; certamente non riguarda i progetti e il cammino che hanno intrapreso dentro o fuori la possibilità di concretizzarsi materialmente.
Per quanto riguarda la dimensione critica del problema, mi sento di affermare che l’unica strada conveniente sia quella relativa al rilievo etico del progetto, prima di quello estetico o più comodamente razionale.
Questo è il senso dell'articolo.
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229
di Vilma Torselli
del 29/11/2002
relativo all'articolo
Tradizione e identit
di
Sandro Lazier
Tradizione e identit, un dualismo che per noi italiani un po un chiodo fisso, perch per noi il passato non mai passato completamente.
C da dire, a nostra discolpa, che riflettere sulla modernit significa anche, inevitabilmente, mettersi a confronto con il passato e rintracciare rapporti di causa-effetto, cos come ognuno di noi rintraccia nella propria infanzia le ragioni della sua attualit, scoprendo che intervenuto, per fortuna, il Cambiamento, proprio con la c maiuscola, grazie al quale la vita, e larchitettura, vanno avanti.
E quindi, dice Zevi confidate nel nuovo, nella modernit rischiosa, nella modernit che fa della crisi un valore, anche se la modernit non un valore temporalizzabile, uno stato, una tensione, una coscienza per la verit con il dubbio che questultima frase sia in realt attribuibile pi verosimilmente a Duchamp.
Ecco, in tutto il suo bellarticolo, egregio Sandro Lazier, che raggiunge il sublime nella metafora gastronomica della marmellata, mi pare che sia troppo sfumato proprio il concetto di modernit, attorno a cui, peraltro, ruota specificatamente la tesi (o forse il caso di dire lantithesi).
E vero che il nocciolo della questione il cambiamento, attuato in nome e per conto della modernit, ma anche vero che si deve volere/potere cambiare, possibilmente sapendo che cosa si lascia e che cosa si cerca, affinch la modernit non diventi una promessa mancata di libert.
Ecco, leggendola, egregio Sandro Lazier, a un certo punto si persino sfiorati dal dubbio che modernit significhi nuovi regolamenti igienico-sanitari, coefficienti aereoilluminanti, assi eliotermici e roba del genere: fosse cos, saremmo davanti alluovo di Colombo, anche questo con la c maiuscola, tanto per restare nellambito culinario.
La lascio rinnovando alla sua pubblicazione i miei complimenti non solo per la freschezza dei contenuti ma anche per il lessico ironico, pungente e stimolante con il quale gli argomenti vengono esposti, ed aggiungo un piccolo contributo, non mio, alla definizione del concetto di modernit: "La "modernit" forma, non periodo: forma capace di stare nel tempo (dal tempo attraversata e alimentata) perch pensata da civilt ove la dimensione temporale sia concettualmente agibile e operativamente efficace."
Cordiali saluti
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228
di Carlo Sarno
del 25/11/2002
relativo all'articolo
Tradizione e identit
di
Sandro Lazier
Frank Lloyd Wright , dal libro Testamento :
" ... Si pu garantire la libert; non donare la libert. La libert nasce dal di dentro. Malgrado ogni abuso cui la libert oggi soggetta - perch l'uomo protocollato come un articolo commerciale, e mutilato del suo diritto di nascita attraverso l'eccesso insano e la corruzione che il sistema del profitto produce - pure l'uomo pu essere ancora innamorato della vita e trovare sempre meno vita, proprio per questa ragione. La verit della libert, che sempre d sicurezza , che sempre affermativa, dunque conservatrice. La verit proclama il rifiuto delle tradizioni minori invecchiate, seppellite dalla grande Tradizione . La legge del Mutamento il grande fattore ' eterno ' della verit. E' la libert , questo ' grande divenire ' ....
... Pertanto, rompere con molti modi di vita comunemente accettati indispensabile per la libert. Attraverso l'operare naturale della propria sensibilit , la libera mente dell'uomo vivente in democrazia sempre aperta alla verit. Mente e cuore costituiscono insieme la sua anima, e l'unit di essi la vera protezione - forse l'unica - della sua libert ...
... La vita pu essere redenta, resa pi nobile, solo da un pensiero e da un sentire veramente grandi, in ogni arte nostra, e nel netto rifiuto di tutte le manifestazioni d'insania, destituite di spiritualit, che abbiamo chiamato per tanto tempo tradizione. La nostra cultura non si manifesta ormai attraverso nient'altro che uno 'Stile' fondato sul gusto. Pericoloso, perch il 'gusto' (sia vecchio sia nuovo) fondamentalmente figlio dell'ignoranza, e raramente, e solo per avventura, va d'accordo con la conoscenza del principio poetico. Occore conoscenza ; non gusto... ".
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227
di Andrea Pacciani
del 15/11/2002
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Vicenda Novoli
di
Giovanni Bartolozzi
Riferimento al commento n225
Gentile Giovanni Bortolozzi,
che la periferia vada capita credo lo debba spiegare a tutti quelli che la abitano e non la hanno ancora capita. Tant' che spesso e volentieri gli architetti stessi progettisti di quei quartieri hanno lo studio professionale e se possono anche l'abitazione non certo in quelle periferie ma nei centri storici o isolati in bucoliche campagne; proprio perch hanno capito che sebbene i centri storici abbiano problemi ben pi complessi di quelli delle periferie (come lei sostiene) sono preferibili per le proprie attivit lavorative, residenziali e di divertimento, relazione ecc...
Credo non si possa nascondere che il mercato immobiliare con le sue offerte e domande e quindi i suoi prezzi sia un'espressione oggettiva sul valore in senso lato della qualit abitativa dei quartieri della citt (non credo che chi ha maggiori risorse economiche scelga i luoghi peggiori per viverci e lavorarci).
Che la sperimentazione non ha mai trovato il giusto spazio nelle nostre periferie mi sembra un'affermazione pretestuosa dopo quasi un secolo di architettura moderna. Mi sembra l'atteggiamento di chi non vuole vedere gli effetti disastrosi del saccheggio del territorio fatto nel XX secolo sostenendo in ogni occasione che il progetto stato inquinato da agenti esterni e i danni sono dovuti all'allontanamento dalla strada maestra.
Ma allora se questo modo di progettare patisce i danni del passare del tempo e dell'intervento di agenti esterni, perch continuare a sperimentarlo?
Non ci si vuole rendere conto che le citt sono invece organismi viventi che crescono, cambiano nel tempo, nelle persone, nelle politiche, nelle tecnologie e paradossalmente le citt storiche sembrano il tessuto urbano dove questi cambiamenti sono stati meglio assimilati in nome della qualit dei valori abitativi che capace di trasmettere. Non si tratta solamente di un valore storico museale di testimonianza del passato (il mercato non la premierebbe cos tanto) ma di un modo di interpretare la citt pi a misura di ogni singolo individuo.
E poi se sperimentazione deve essere e per di pi non modernista perch condannare sul nascere quella di Krier a cui si pu lasciare la possibilit di "trasgredire" con un progetto tradizionale, ma anche di sbagliare dopo gli innumerevoli tentativi falliti del passato; possibile che il primo progetto di Novoli fosse il progetto madre di tutta l'urbanistica contemporanea, ma se si vuole fare sperimentazione qualcuno il posto ogni tanto lo deve lasciare.
Occupiamoci piuttosto di prevenire sperimentazioni il cui contenuto un'astrazione mentale che si ispira pericolosamente a modelli mai realizzati; preveniamo la realizzazione di progetti che maneggiano geometrie mentalmente belle ma scollegate dalla struttura della fattibilit fisica. Non riponiamo nell'idolatria dell'astrazione la ricerca di un qualcosa di un nuovo che potr dare la svolta.
Ricordiamoci insomma che le persone che vivono la citt (progettisti compresi) non hanno bisogno per vivere di giochi sculturali o di astrazioni geometriche seducenti, ma di luoghi in cui sentirsi in sintonia con la propria identit e le proprie origini, in cui vivere con la propria famiglia e perpetuarne i valori; luoghi in cui non si devono sentire spaesati e inquilini occasionali, ma luoghi in cui vivere serenamente, a cui affezionarsi, e da trasmettere alle generazioni future.
Grazie per lo spazio concesso
Andrea Pacciani
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226
di Gaetano Manganello
del 14/11/2002
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Vicenda Novoli
di
Giovanni Bartolozzi
La vicenda Novoli emblematica di com' difficile realizzare in Italia, interventi di largo respiro nel campo urbanistico ; credo che il progetto attuale sia il cattivo risultato di un compromesso tra istanze progettuali diversissime, non esiste nessuna coerenza tra i risultati del workshop e il piano Krier. Ho visitato quest'anno la Biennale di Venezia e visto il plastico e i disegni di Novoli esposti al padiglione Italia; ho avuto la sensazione che tante energie progettuali siano state compresse in uno schema troppo rigido, fornendo quindi un risultato non adeguato ; sono tra quegli architetti che essendo presente sull'almanacco di Casabella del 2000 avrebbe potuto partecipare, se scelto, a un qualche progetto sul sito di Novoli. Da ex fiorentino (laureato a Firenze con Natalini) ne sarei stato lusingato, ma ho l'impressione che avrei speso delle inutili energie. Resto dell'avviso che in Italia per noi giovani architetti non ci siano le condizioni per fare buona architettura, soprattutto perch manca la committenza, sia quella pubblica che quella privata. E' una LOTTA CONTINUA contro tutti per affermare le ragioni del progetto di architettura ; fino a quando si potr resistere?
Sono appena tornato da un viaggio in Portogallo, dove ho avuto modo di constatare come in un paese economicamente simile se non pi arretrato dell'Italia si realizzino edifici di straordinaria qualit architettonica. Perch in Portogallo possibile e si realizzato quello che in Italia sembra un sogno proibito ?
Eppure in Italia, sono sicuro, esistono moltissimi bravi architetti ; lo sviluppo della vicenda Novoli pu dare una parziale risposta a questi interrogativi.
Gaetano Manganello
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224
di Carlo Sarno
del 13/11/2002
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Diritto d'Autori - il diritto a un ricordo... il d
di
Davide Crippa
Bravi!...bravi!...bravissimi! ... Non c' futuro senza passato!
"..."Diritto d'Autori - il diritto a un ricordo... il dovere di un omaggio" una mostra che stata organizzata dal gruppo studentesco Architerna, realizzata dal gruppo Ghigos e finanziata dal Politecnico di Milano con il benestare della Presidenza della Facolt di Architettura.
L'avvenimento stato pensato con la finalit di raccontare "istantanee di vita" di nove architetti che hanno svolto attivit didattica all'interno della Facolt di Architettura, a cavallo degli anni '60 e '70.
Franco Albini, Piero Bottoni, Carlo De Carli, Gio Ponti, Ernesto Nathan Rogers, Aldo Rossi, Giacomo Scarpini, Vittoriano Vigan, Marco Zanuso...".
Si, un gruppo di persone che hanno dato tanto allo sviluppo dell'architettura italiana, sia culturalmente che professionalmente.
Ma qui, commosso, vorrei ricordare un altro gruppo di persone, unite dal filo conduttore dell'architettura organica:
In Italia l'architettura organica ha avuto come esponenti storici: Giovanni Michelucci (1891-1991, maestro dell'architettura organica e sociale italiana), Luigi Piccinato (1899-1983, maestro dell'urbanistica organica italiana), Bruno Zevi (1918-2000, critico e promotore di fama internazionale dell'architettura organica e sociale italiana), Carlo Scarpa (1906-1978), Giulio De Luca (1912), Marcello D'Olivo (1921-1991), Leonardo Ricci (1918-1994), Luigi Pellegrin (1925-2001).
Ricordiamo e non dimentichiamo... ricordiamo per essere onorati di essere architetti italiani... ricordiamo per comprendere le radici del nostro vero amore per l'architettura !!!
Carlo Sarno
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223
di Andrea Pacciani
del 11/11/2002
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Vicenda Novoli
di
Giovanni Bartolozzi
Gentile Gioavanni Bartolozzi,
Non conosco bene come Lei tutta la storia del progetto di Novoli, ma conosco un p il progetto di Krier, il suo modo di lavorare e le ragioni che supportano le sue scelte che a mio avviso non sono bislacche come sembra dal suo intervento; Le consiglio la lettura del suo libro "Architettura scelta o fatalit" dove si evincono in maniera abbastanza chiara, comunque non sta a me difendere il progettista lussemburghese.
Sono un p sorpreso di come possa lamentare ancora nel 2002 la mancanza di opportunit dopo un secolo di architettura ed urbanistica moderna per realizzare la citt moderna. Non Le sembra che dopo un secolo di fallimenti bisogna cominciare a chiedersi se l'errore sta nel metodo? O nelle utopie che purtroppo non si sono rivelate attualizzabili? Credo che a volte nella vita bisogna avere l'umilt di sapersi rimettere in discussione ed il coraggio di ammettere gli errori commessi e ricominciare dalle poche certezze che abbiamo.
Credo che Krier abbia il solo difetto di aver detto basta alla sperimentazione modernista nel disegno della citt e, nella consapevolezza che nella citt storica si vive meglio che in qualsiasi periferia realizzata, sta cercando un metodo per riportare il disegno della citt in modo che i risultati si avvicinino a quelli consolidati nei risultati dei centri storici. Renzo Piano sostiene tesi analoghe con la differenza che Krier estende questo concetto anche all'architettura, mentre Piano forte della sua genialit compositiva, riesce a mantener viva la possibilit moderna ai suoi edifici.
Non si tratta di spazi antichi e falsi ma di strade, larghi e piazze che sulla scorta di una sperimentazione secolare e di scelte sedimentate nel tempo danno alle persone che vi vivranno pi garanzia di piacevole abitabilit di qualsiasi sperimentazione modernista di cui si teme l'ennesimo fallimento.
Credo che oggi in un mondo pluralista e intellettualmente no global oriented, non abbia pi senso un fondamentalismo moderno che governi la disciplina mondiale urbanistica e architettonica, ma bisogna invece dare spazio a nuove o vecchie alternative alle linee guida moderniste che ormai hanno il peso degli anni e degli insuccessi; quella tradizionale a mio avviso una scelta fatta per non sbagliare (e non poco), rispettosa del modo di vivere delle persone e non soggetta all'obsolescenza delle mode.
Non mi sembra anacronistico prendere il meglio delle citt che sono arrivate fino a noi e riproporle come modelli ancora attuali visto che sono ancora insuperate le qualit abitative che vi apportengono.
E' piuttosto anacronistico cercare ancora un posto a "tabula rasa" per una ennesima sperimentazione della citt moderna; purtroppo non siamo pi al tempo delle demolizioni "igienico-sanitarie" o post belliche dove sperimentare nuove teorie all'insegna del progresso.
Certo di aver seminato in Lei il seme del dubbio sull'unicit e l'ineluttabilit del "modello modernista"
A disposizione per un intervento pi completo sulle scelta tradizionalista e le sue potenzialit,
distinti saluti. Andrea Pacciani, Parma 11/11/02
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11/11/2002 - Giovanni Bartolozzi risponde a Andrea Pacciani
Gentile Andrea Pacciani,
Considerando che Lei propone il libro “Architettura scelta o fatalità” di Krier, mi consenta di ricordare che parliamo del più grande esaltatore e adulatore di Albert Speer, l’architetto-ministro di Hitler, per il quale ha progettato e costruito i più immondi monumenti nazisti.
Sostengo inoltre che il criterio adottato da Krier non sia risolutivo: Krier è solamente capace di guardare al passato, ma senza capirne il forte impulso creativo, sociale e umano.
Quanto al suo commento, rivelatore di una posizione diversa dalla mia, penso che non sia supportato da puntuali e specifiche motivazioni critiche riguardanti il caso particolare della vicenda Novoli.
Riguardo alle sue osservazioni, non credo per niente che nel centro si viva meglio di qualsiasi altra periferia realizzata. Sicuramente la periferia presenta dei problemi (e i centri storici ne hanno di più complessi) ma, a mio avviso, non sono quelli che Lei attribuisce alla sperimentazione che, peraltro, non ha mai trovato il giusto spazio nelle nostre periferie.
La periferia va capita, ma senza abbandonarsi alle solite lamentele e al solito inutile confronto con il centro storico.
Aggiungo, inoltre, che sono molto scettico nei confronti delle purtroppo ricorrenti espressioni: “Disegno della città” e “sperimentazione modernista”. Credo che la città non si disegni. Il disegno attiene al risultato, soprattutto nel caso della città, quanto alla sperimentazione, ben venga, ma non modernista, solamente sperimentazione.
Riguardo alle “potenzialità della tradizione” e ai suoi inviti nel riproporre modelli provenienti da tradizioni consolidate in nome di “una garanzia di piacevole abitabilità”, credo che sia veramente, per dirla come Schoenberg, l’unica strada che non conduce a Roma.
Questo, naturalmente, è il mio punto vista.
Grazie
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221
di Guidu Antonietti
del 31/10/2002
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Architettura e design
di
Gianni Marcarino
LE DESIGN EST- CE DE L'ARCHITECTURE ?
Dans le design l'aspect fonctionnel de l'objet est-il l'origine du projet ?
Est ce cela le design ?
FONCTIONNEL OU LUDIQUE ?
L'uvre n'est rien sans le regard. Le spectateur n'est rien sans l'exprience esthtique par laquelle il dcouvre que pour tre sujet, il lui faut se laisser prendre par la place de l'objet lui-mme.
La relation que le sujet entretient avec l'objet l'entrane dans sa propre objectalisation. Le sujet alors devient objet. Regarder un objet, c'est se laisser conduire par sa forme, ses couleurs, ses usages. Peu peu, l'objet nous capte, nous pntre, nous entrons dans son univers, et nous en prouvons du plaisir. La plus grande jubilation dans la contemplation d'une uvre d'art, n'est-elle pas de s'oublier soi-mme, et de devenir l'uvre elle-mme ?
La valeur d'usage a longtemps t considre comme l'expression fondamentale de l'objet. Mais, aujourd'hui, quand est-il ?
L'objet n'est plus dtermin par un usage unique, il peut tre multi-fonctionnel. Les objets nouveaux ne sont parfois pas d'avantage dfinissables comme objets fonctionnels que comme objets ludiques. Aujourd'hui, le mme objet interactif peut-tre un outil de travail et un jouet. Le plus bel exemple de cet objet emblmatique au statut ddoubl, est l'ordinateur. Le succs commercial des Macintosh est probablement le rsultat de leur "design".
L'objet volue au fil du temps, marqu par les matriaux, les techniques, les formes, les styles, les statuts, les rites, les marchs. Cet objet, est le reflet de nos connaissances scientifiques, techniques, et de nos moyens de production. Il peut tre le miroir de nos rves, de nos dsirs, de notre statut social. Il est reflet de notre socit car les rapports qu'il entretien tour tour avec la technologie, l'conomie, la politique, la culture, le social, l'art... parlent de son poque.
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LA REVOLUTION SENSORIELLE
Le statut du design est ncessairement provisoire, suspendu. Il suppose des champs multiples et varis, il s'labore sur des savoirs cumulatifs et constitus. Il n'y a pas une histoire autonome du design mais des histoires contraries. Les contours du design semblent mal dfinis, car il n'est que mtissage. Compte tenu des lois culturelles, celui-ci ne rpond pas au besoin de puret, de vrit rassurante, que l'institution a coutume de valoriser prioritairement. Bertrand Voiron, parle de "fordisme" du statut, savoir que chacun a sa place, et ne s'en carte pas ; justifiant cette immobilit comme garantie de qualit : "si je m'attache ce que je sais faire, au moins je le ferai bien". Pourtant, "ce qui fait modernit, c'est la confrontation avec la diffrence", nous dit Baudelaire. L' histoire montre maintes reprises que la connaissance, la science, ne progressent que par frottements et rencontres les unes avec les autres. C'est ce nouveau maillage d'un territoire culturel que Alessandro Mendini fait rfrence lorsqu'il dit : "Les disciplines ne m'intressent pas quand elles sont considres l'intrieur de leurs rgles. Par contre, il est important de prospecter les grands espaces existants entre elles."
Les activits de production symbolique ( c'est notre avis les fondements du design ) se fondent sur des activits moins logiques et rationnelles qu'il n'y parat. Ainsi les champs, jusque l distincts de l'artistique, du scientifique et du technologique se rapprochent dans cette discipline qui est en fait, une activit annexe de l'Architecture. Les propositions utopiques des avant-gardes du dbut du vingtime sicle, en particulier des Constructivistes et des membres des ateliers du Bauhaus, ont ouvert cette voie.
Les professions de la cration ont tendance dsormais se fondre dans une sorte de "melting-pot", et s'engagent sur les chemins du dpassement de leurs propres frontires. Tel est aujourd'hui le dploiement de l 'Architecture, le design y contribue.
En se librant des formules globalisantes des standards, pour s'orienter vers l'accumulation des diversits et des diffrences, vers ce que Andrea Branzi nomme "la rvolution sensorielle", le design peut prtendre devenir l'un des acteurs de transformation sociale. Les demandes se particularisent et les exigences qualitatives deviennent croissantes : le design est entr dans l're des petites sries, dans lesquelles s'insinuent le local et le particulier.
La question de la culture peut donc se reposer explicitement aux designers, avant mme celle de la rationalit technique, du fonctionnel ou du stylistique.
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LE DESIGN NOUVEL HUMANISME
Ce relativisme respectif de la culture, de l'artistique et de la technique donne au design toutes les chances de le conforter son essence mme. La fin d'une fonction technicienne, comme celle d'une fiction de l
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219
di Amerigo Quagliano
del 30/10/2002
relativo all'articolo
Vicenda Novoli
di
Giovanni Bartolozzi
Vicenda Novoli: Firenze, purtroppo non Berlino.
Sulla ricostruzione fatta da Giovanni Bartolozzi della prima parte della vicenda Novoli a Firenze, vorrei rettificare alcune inesattezze.
In quanto collaboratore allora di Aldo Loris Rossi, sono stato partecipe insieme con altri al progetto e dell'entusiasmo che ci sostenne in quella coinvolgente avventura.
1- La Fiat e la Soc. La Fondiaria assicurazioni, sono state promotrici nello stesso momento di due distinti progetti.
La Fiat, unica proprietaria nel quartiere di Novoli, degli stabilimenti e dell'area di 32 ettari, invit nel 1987 diversi architetti, tra cui A. L. Rossi, all'elaborazione del progetto di sistemazione del complesso, che fu poi presentato nell'aprile del 1988 nel salone dei Dugento a Palazzo Vecchio.
Mentre la Soc. La Fondiaria, svilupp un altro piano, con altra equipe, diretto alla valorizzazione di un'area di ben 186 ettari, distante da Novoli, in localit Castello.
2- La causa che, di fatto, ha affossato il progetto Fiat-Novoli stato, come noto, e riportato anche da organi di stampa nazionali nonch da Bruno Zevi sulle pagine della rivista L'architettura, l'ordine, partito da Roma di bloccare tutto, dato dall'allora segretario del P.D.S. Occhetto, in ossequio ad alleanze politiche con i verdi, e che determin in seguito le dimissioni del Sindaco di Firenze, Massimo Bogianckino.
Da qui si deve partire per tentare di capire le vicende, a volte "misteriose", che determinano le "fortune" di un progetto di architettura contemporanea, che era ed innovativo, e che hanno aperto in questo caso, la strada a successive revisioni antimoderniste.
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30/10/2002 - Giovanni Bartolozzi risponde a Amerigo Quagliano
La ringrazio per le rettifiche apportate allo scritto su Novoli che, inevitabilmente, dovrebbero far riflettere tutti, sul destino toccato a questo progetto.
In realtà, Lei ha colto perfettamente il senso di quel “misterioso”, che era esattamente riferito al secondo punto, da Lei riassunto, e di cui io, forse sbagliando, ho preferito non parlare.
Come Lei giustamente ricorda, il prof. Zevi ha riportato questo sconcertante episodio su “L’architettura”, conseguentemente su “Sterzate Architettoniche”, e anche durante qualche intervista radiofonica: ricordando la “telefonata di Occhetto”.
Naturalmente, come avrà capito dallo scritto, ho preferito analizzare la vicenda puntando soprattutto sul notevole scarto esistente tra i due progetti, in contrapposizione agli articoli pubblicati su “Casabella”, poiché, fare luce su tutte le questioni politiche e burocratiche che hanno contribuito al deplorevole cambio di rotta, è cosa veramente complessa e “misteriosa” che, senza dubbio, ha inizio da quanto lei riassume, ma che purtroppo non si esaurisce lì: basti pensare alle pesanti manomissioni apportate al progetto di Ricci.
Grazie ancora
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218
di Franz Falanga
del 18/10/2002
relativo all'articolo
Sette invarianti? Forse nessuna.
di
Sandro Lazier
Ho letto con attenzione larticolo di Sandro Lazier Sette invarianti? Forse nessuna e concordo pienamente con quanto vi stato espresso. Ma non per inviare un entusiastico messaggio di adesione culturale a Lazier che ho scritto queste mie mini riflessioni. Sono stato stimolato dalla frase:
.saluti a tutti, anche ai pecoroni che avranno sempre bisogno di seguire un pastore, si chiami Bruno Zevi o LeCorbusier poco importa, si sa per loro l'importante e' seguire e non rimanere soli... (Commento di enricogbotta.com)
Questo saluto mi ha fatto ricordare un fatto che mi permetto di sottoporre alla vostra attenzione. Molti anni fa, viveva in America uno scrittore di origini africane. Fisicamente non era esattamente un Adone, era abbastanza bruttino. Un giorno scrisse un bel libro che gi nel suo titolo aveva una bella e simpatica impennata. Il libro si chiamava Mio padre doveva essere bellissimo.
Beh! Io, Franz, sono contentissimo di avere molti padri bellissimi, e non per questo mi sento n pecorone n solo. I pecoroni, a mio modestissimo avviso, appartengono a ben altre categorie. Non certamente alle persone che hanno contezza di dove vengono e speranza/contezza di dove vanno.
Due annotazioni ancora:
1) giustissimo Lazier, il linguaggio non sono le parole ma le frasi.
2) complimenti al webmaster di antithesi, il sito si naviga a velocit sorprendente.
Parecchi saluti a tutti.
Franz Falanga
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216
di Paolo Marzano
del 17/10/2002
relativo all'articolo
Volume puro e dinamismo: che tipo di rapporto in t
di
Sara Gilardelli
Scatole e relazioni, sottovetro!
Qualcuno mi spieghi...
Da un p di tempo sto notando un susseguirsi di immagini sia televisive sia su riviste, dell'ultimo progetto di Fuksas. A questo proposito, visto che Lei ha affrontato opportunamente il problema le comunico una mia osservazione.
Prima una pubblicit evidenzia presumendo " la dinamicit dell'intuizione dell'architetto, dove lui, schizza su di un vetro con un pennarello, dopo che il vento ha fatto volare un pezzo di carta nel suo campo visivo. Un gesto veloce e diventa unauto dellultima generazione!
Un gesto veloce che diventa, anche, lenorme corpo galleggiante (si fa per dire) del Centro Congressi vincitore. Bho!
Infatti, il progetto vincitore del Centro Congressi in Italia stato
traccia del concorso internazionale a Roma bandito dal Comune e dallente Eur, vede una grande massa sospesa, una grande nuvola di teflon sostenuta da una fitta rete di nervature dacciaio.
Vorrei capire descrittivamente la struttura in questione e spero che qualcuno voglia farlo (avenguardia della cultura italiana del terzo millennio? Bho!)
Qui sono poste a contrasto due forme che prendono vita luna per negazione dellaltra. Il risultato? Un hangar con dirigibile incorporato, oppure una nuvola in gabbia o ancora una forma ameboide che ci adegua al vento internazionale delle trovate architettoniche non pop (sarebbe meglio), ma blob.
E possibile non notare che leffetto dato da simile creazione, nasca da una colossale, banale retorica che carica di un significato architettonico ci che invece non ne ha? E gli elementi anchessi retorici, quasi dei luoghi comuni, vengano connessi come in un grande Frankenstein, solo per creare effetto senza nessuna importanza architettonica??
Spiego meglio il contrasto per negazione, un brillante viene venduto in
una scatolina. Per far risaltare la pietra preziosa, in genere (una regola
scontatissima), viene messa a contatto e inserita in un supporto nientemeno di velluto nero o blu notte, perch???
E tutti in coro rispondono: "perch il brillante con la sua luce naturale, per contrasto, deve uscire dalla sua scatola visivamente, mostrando la differenza fra s, e il nero materiale assorbente, capace di azzerare qualsiasi bagliore diventando il fondo della splendida pietra!!!!
La luce della pietra, infatti, vince su un fondo omogeneo nerissimo.
E leffetto di cui parlavo !
Ripeto come ho gi scritto, che certi individui "sensibilmente" attenti a certi codici o linguaggi si accorgono delle parole improprie o certe ripetizioni dialettiche o luoghi comuni, perch in architettura, mettendo un corpo che gi Gehry (inizitore di una importante libert segnica-strutturale), ha rifiutanto, sistema definito di maniera o, secondo me, una trovata jolly, la resa dell'architetto verificata da strutture nuvola o liquide (perch rendono bene negli effetti dei rendering!) il blob risolvitutto in piena tendenza, in Italia si sta guardando come uninnovazione. Quindi unameboide o bloboide che per negazione si esalta per differenza, della scatola o prisma puro dellinvolucro.
Chiss con quali conseguenze percettive nellambito studentesco. (ci tengo a dirlo, secondo me, molto pi evoluti)
Molti gruppi infatti, sono veramente avanti, e preparati rispetto agli archietti istituzionali e rappresentativi del paese.
E mio timore che con queste scatole con la sorpresa dentro, immerse in
acquari trasparenti ci si stia inoltrando in una nuova era assurdamente
neo-postmoderna. Arrivata, dal vento orientale (molto pi tecnologicamnete preparato)
Cosa ne pensa Lei, che ha trattato il tema del suo articolo, penso che conosca gi il progetto!
Mi sbaglio, oppure si tratta di una mia allucinazione visiva? vorrei una spigazione plausibile sui termini e codici adottati, che per, abbia spessore percettivo e culturalmente motivato.
Annegare negli effetti dei rendering dal basso, con prospettive grandangolari (Wide) mi sembra molto poco, sono trucchi che gi Boulle conosceva, ma essendo un genio e non usava il computer, ci metteva una dose di rarefazione dellaria tra lo spettatore e lopera disegnata, rendendola umana. Questi operatori del computer invece, danno il via ad un rendering, creando profili da cartoni animati definendo delle creature tipo Frankenstein, badando un po troppo al dettaglio dei materiali e dimenticando linsieme di un architettura che va completata e assolutamente ancora approfonditamente studiata.
Certo, nessuno ha, assolutamente, la presunzione di sottolineare in rosso lerrore grammaticale insito in queste soluzioni, ma spero che le nuove e fertili generazioni di architetti con il loro lavoro facciano capire lesistenza di queste banali trappole formali di stra-riconosciuta
definizione. Non Le sembra?
Oppure ho
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217
di Carlo Sarno
del 17/10/2002
relativo all'articolo
Volume puro e dinamismo: che tipo di rapporto in t
di
Sara Gilardelli
Cara Sara, un bel articolo davvero! L'importanza data allo spazio vissuto organico, come spazio dell'uomo prioritario rispetto a qualsiasi concezione volumetrica, pura o dinamica, mi rende felice. Quando scrivi:"...Lo spazio organico ricco di movimento, di indicazioni direzionali, di allusioni prospettiche ma il suo movimento non vuole centrare locchio delluomo bens esprimere lazione stessa della vita, creando unininterrotta fluenza nella successione di angoli visuali... - e ancora - ...Nella maggior parte degli edifici infatti si distingue un involucro, una scatola muraria, inteso come contenente, ed uno spazio interno quale contenuto, e sempre uno condiziona laltro. Ma questo principio ha visto molte eccezioni ed il pi delle volte la cassa muraria stata oggetto di maggior pensiero e progetto che non lo spazio architettonico, dimenticando come in architettura sia proprio luomo che muovendosi nello spazio, conoscendolo da punti di vista successivi, in grado di creare quella quarta dimensione spazio-tempo che dona allestensione la sua realt totale. Questa quarta dimensione definisce il volume architettonico, cio linvolucro murario che racchiude lo spazio, ma lo spazio in s, lessenza dellarchitettura, trascende i limiti di questa dimensione risultando cos un fenomeno che si concreta solo in architettura e che di questa costituisce perci il carattere specifico...".
L'uomo il generatore dello spazio architettonico reale, organico. Le forme pure o dinamiche sono entrambe soggette alla vita che si svolge nello spazio, qualsiasi concezione e progettazione architettonica priva della considerazione dell'uomo risulta una considerazione sterile e vuota. Lo spazio organico la vita spazio-temporale dell'uomo ,diceva Frank Lloyd Wright, di un individuo o di un gruppo libero e creativo. L'unico rapporto in architettura tra il volume puro e il dinamismo l'uomo. Grazie Sara per aver evidenziato questo rilevante principio di una vera architettura organica.
Carlo Sarno
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215
di Paolo Marzano
del 14/10/2002
relativo all'articolo
Lartista non vede, guarda
di
Sandro Lazier
...continuando riflessioni d'architettura
La ringrazio della risposta, decisa e pi o meno convincente.
Sono contento di sapere e, osservare la conferma, dell'idea, personalmente sostenuta, di un'architettura in trasformazione continua che si rivela in luoghi sempre pi lontani dai simposi dichiarati e dalle cattedre accademiche! Su questo siamo d'accordo.
In quanto all'implicazione filosofica ci sarebbe qualcosa da chiosare. Sappiamo bene che dal testo "La fine del classico" di Peter Eisenman, (Cluva editrice) specialmente nell'introduzione di Franco Rella, che chiara la posizione di una "filosofia" architettonica esistente, (si voglia o no) definita in un luogo di attraversamento o luogo "altro" o non-luogo o zona interstiziale o evenemenziale o eterotopica (termini di riconisciuto spessore filosofico-architettonico), comunque un luogo attivo, carico di energia dinamicamente confluente e capace di stimolare diverse e sempre pi affascinanti visioni architettoniche futuribili.
Il fatto che gli argomenti filosofici sull'architettura non siano convincenti, chiaro, non lo potranno mai essere visto che la filosofia nasce per curare "il male del reale" di cui l'architettura posside lo stesso cromosoma; infatti, cerca di curare la difficolt, di ognuno di noi, d'inserirsi in un "suo particolare spazio " di questa realt. Niente di pi eticamente valido.
Non si vuole banalmente chiarire ci che architettura da ci che non lo , ma pensare alla pericolosit di alcune flessioni negative che, guarda caso, dimostrano sempre le stesse caratteristiche nel presentarsi (da ricordare il post-moderno che dietro teorie stimolanti di indagini formali e segniche, fin per riprodurre pedissequamente, quelle io chiamo "forme vendibili" e che il mercato raccolse con fiducia facendole diventare vettori di messaggi propri.
Ora si ripropone il rendering "blob", cio l'effetto che trasforma una goccia di rugiada su una foglia, in un grande centro polivalente. Tecnica ormai abusata dai giovani fino ai pi grandi architetti. E' chiaro che non pu funzionare, una forma vendibile "di maniera" direbbero certi storici, ci si pu immaginare veramente di tutto!).
Se i "nastri" di Zaha per Roma, come si vedono gi dalle mille pubblicazioni, somigliano ai segni realizzati da Alvar Aalto per l'interno del Teatro dell'Opera di Essen, va bene! Ancora, infatti, non gli avevamo visti realizzati al computer di Hadid, ma intanto questa una ricerca "d'ambito variabile", quella delle "gocciolone" che ormai stanno in ogni rivista, no!
Si pu affermare che i rendering sono visioni fascinose di realt virtuali, ma sono una "rappresentazione" della realt-verit, e non sono architettura, per la quale esistono altri valori di pratica e giudizio?
Altrimenti di tutto l'insegnamento di Bruno Zevi, le sue invarianti e il suo insistere nel non creare una regola formale, ma avere il coraggio di azzardare e cambiare la propria visione senza classificazioni o compromessi, andrebbe di colpo a farsi benedire! Per i progetti di "blob" varrebbe, secondo me, il discorso che Lui faceva per le case di Wright, cio non copiarle pedissequamente, ma capirne la metodologia, cambiando volta per volta i riferimenti e adeguandole al luogo, rinnovandosi continuamente.
Oppure ci toccher osservare "la fase blob" di tutti gli architetti, giustificandola con l'interpretazione liquida, quindi fluttuante, quindi aderente al tema del flusso d'informazioni e alla loro velocit, un vero "virus letale" per lo spazio architettonico. Se, per, si approfondiscono alcune sue implicazioni filosofiche inerenti all'informazione nel contesto architettonico, le modifiche e le sue varianti interpretative.
A volte penso che, a livello concettuale, per capire il mondo dell'informazione e le modifiche che esso induce nell'architettura, si dovrebbe pensare metaforicamente, al salto di definizione che c' stato dal passare dalla videoregistrazione analogica con quella digitale. Se digitale vuol dire "frammentare misurando", segmenti sempre pi piccoli di spazi registrabili per cui si aggiungono pi dati, da cui la quasi perfetta visione, cos si dovrebbe fare con l'informazione; una volta osservata nelle sue intime caratteristiche come materia d'analisi (anche con il filtro della filosofia architettonica) allora si potrebbe capire a fondo qual' quella parte di essa capace di inoltrarsi in simbiosi con l'architettura e quale parte dovrebbe evitare, con essa, il contatto!
Ammassando qualunque genere d'informazione e pretendendo che viaggi sicura con ogni architettura possibile, un discorso secondo me, pericolosissimo!
Poi ognuno pur libero di crearsi una sua strada, ma mi dispiace di una cosa; che molte di queste strade di ricerca architettonica, stiano coincidendo, nello stesso tempo e negli stessi luoghi geografici. Bha! Sar una mia impressio
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213
di Paolo Marzano
del 12/10/2002
relativo all'articolo
Lettera per il moderno
di
Sandro Lazier
Archittettura diventato sinonimo di Flussi , che come incontenibili e straripanti torrenti, scivolano senza seguire direzioni. Non esistendo argini che possano trattenere la loro potenza divulgatrice, hanno disintegrato l'antica localizzazione e hanno cavalcato i vettori comunicativi umani facendo proprie le diverse possibilit, trovando strade impensabili e mai usate secondo questi scopi.
I flussi hanno consumato il concetto di localizzazione, di coordinate fisiche, dellessenza del mondo materiale. Tutto ci non lo vedo in maniera negativa, sia ben chiaro, ma non vi sembra che dietro questa mascherina, ci stiano tante di quelle foto e argomenti sulle riviste specializzate, che "colano rendering a cascata". Non pu essere questa la nuova nicchia architettonica!
Vorrei si riflettesse, per su un concetto che ho cercato di chiarire su un mio articolo di prossima uscita di architettare.it, un aspetto della realt che viviamo e di cui bisogna tenere conto.
Bene, linformazione, come sappiamo, regna incontrastata il nostro tempo e le nostre visioni, con essa tutto un nuovo genere di relazioni, che non sto ad elencare da Benjamin fino a Foucault passando da Tschumi, Eisenman e gli ultimi "nastri di Zaha" contrapposti agli "aculei" primordiali, per non parlare delle visioni annacquate degli ultimi blob che si affacciano sulle colline del progetto a Pentedattilo per l'area archeologica. Dentro le bolle pu succedere di tutto l'importante farle assomiglire quanto pi possibile ad un liquido che si aggrappa dovunque, cio negli ultimi 3-400 concorsi!!! Dentro le bolle, tanto giustifichiamo l'informazione, che essendo incolore, inodore a-tattile, va bene cos. E, no! L'architettura penso sia una cosa diversa, nessuno ha la presunzione di definirla "assolutamente" (meno male), ma quella che vediamo, sappiamo che non lo , per tante ragioni basate sul fatto che quelle forme sono oggi di "tendenza" (e gi questo le allontana da concetti architettonici. Comunque, veniamo al paradosso di cui volevo parlare, esso insito nella struttura intima dell'informazione, unico elemento da indagare nei prossimi anni, per sviluppare un'architettura adeguata, vero infatti, che linformazione segue una velocit propria e non ammette ingerenze e appesantiti parametri, come il tempo e la distanza, quindi linformazione stessa, che tende a sottolineare lentropico degrado dello spazio. Attenzione !! Qui si parla di "mutazione della percezione", fondamentale per questo tipo di visione architettonica, e non di forme e di rendering come gli ultimi concorsi di gruppi giovani! L'architettura non solo visione! Altrimenti le descrizioni di Bruno Zevi di opere di architetti come Gaud o Mendelsohn, Wright o Van De Velde si vano a fare benedire e questo non va bene! L'architettura si odora e si tocca esiste come presenza e traccia un'ombra esattamente come la tracciamo noi! Lo spazio ci fa crescere e con esso la vera serie di "relazioni", ma queste sono diverse, da quelle che ci vogliono far credere. Quelle "altre relazioni", non sono, ora, mature troppo legate ad una forte componente mediatica sottoposta a strategie di mercato, che rifiutano sua maest, lo spazio!
Esso finisce per essere un ostacolo, come unincrostazione destinata, con il tempo, a scomparire. Paradossale!
Come pu, infatti, un elemento che nega totalmente lo spazio, diventare promotore di nuove idee e della sua stessa nuova concezione ed evoluzione? Questo un nodo da chiarire, sicuramente alimenter nuove strategie d'intervento (speriamo perch cos, sar difficile andare avanti, circondati e avviluppati in ipertrasparenze e atmosfere , non pop, che sarebbe interessante, ma blob, senza scampo!). Daltronde lapalissiano che linterattivit si rivela come uno scambio veloce, unazione che nella sua presunzione di ubiquit, pu evolversi in diverse maniere, ma fugge da qualsiasi compromesso formale; praticamente, il segno e lo spazio sono azzerati.
Pensate che questo probabile paradosso di fronte al quale prima o poi ci troveremo tra velocit dell'informazione e contrazione dello spazio (architettura) sia valida come tematica di discussione e riflessione, secondo me il tema principale della critica futura che distinguer le diverse diramazioni e le diverse definizioni delle diverse informazioni e la forza che avranno distinguendo quelle capaci di trasportare un carico di significato architettonico da quelle che avanzeranno senza di esso.
Oppure L'architetura non avendo bisogno di vettori portanti, si affider alla materia unico pattern educativo e didatticamnete comunicativo, che avendo un tempo "contemplativo" tutto suo, negher una velocit divulgativa e mediale, inutile?
Grazie dell'attenzione.
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212
di Carlo Sarno
del 09/10/2002
relativo all'articolo
L'artista non vede, guarda
di
Sandro Lazier
Ciao Guidu, l'architecture n'est pas ambitions, elle n'est pas seulement construire et de-construire... la vrai architecture est amour!!!
"... Wassily Kandinsky ... oltrepassa i limiti del riconoscibile alla ricerca del significato pi profondo della realt intima delle cose. Una realt che non ha necessit di forme verificabili in quanto elaborata in sintesi unitaria che sola d significato allesperienza. Vivere esperienza complessiva, organica, impossibile da ridurre in parti riconoscibili da smontare e rimontare a piacimento. Le stesse parti, in momenti diversi, hanno significati diversi e il senso del loro coesistere rappresentabile con un segno che non somma di pezzi ma sempre sintesi unitaria... Larchitettura ha vissuto poco e malamente il confronto con lespressionismo. La necessit accademica di poter disporre di elementi sciolti da poter assemblare a piacimento ha posto ostacolo alla visione unitaria del segno personale, sempre mortificato in virt di una pretesa egemonia del carattere sociale della materia ... la sensibilit per una visione organica dellesperienza, del vivere espressivo, hanno ora vinto una battaglia secolare contro la disciplina della forma e quindi della sostanza, contro lintransigenza della semplificazione e della coerenza storica...".
Si Sandro, l'espressionismo richiama l'architettura ad i suoi valori pi profondi, ad una visione unitaria ed organica del processo di progettazione in funzione di una reale libert individuale e sociale. L'espressionismo apre gli occhi dell'architettura alla realt dell'uomo, rende lo spazio umano ed esistenziale. Frank Lloyd Wright ha sempre predicato di aprire l'architettura alla vita e di farne una realt organica intensamente umana.
Cordialmente, Carlo
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211
di Guidu Antonietti
del 08/10/2002
relativo all'articolo
L'artista non vede, guarda
di
Sandro Lazier
VERS LECRITURE DE BATIMENTS SENSIBLES
Architettura : cosa mentale
LArchitecture nest rien sans ambitions ! Vouloir bien construire, des difices et des ides, en toute libert, et ne vouloir que cela, c'est lessence de la pratique de lArchitecte. Evacuer cet axiome quivaut lerrance en un champ de ruines. Tel Sisyphe nous faisons cet aveu rflchi comme raison dexister, sans faux-semblants. Pour difier mieux encore, pour tendre notre culture individuellement et la partager, il nous faut frquenter les ides, les tres, lart et la matire. Si notre mtier est activit raisonne, notre discipline est passion draisonnable. Notre devoir : laffirmer haut. Notre rsistance : ne pas accepter les conditions mdiocres dune plausible pratique, lutter, hurler dans le dsert, et se souvenir quun miracle peut toujours sy produire ! A limpossible tre tenu. Savoir que de la difficult dimaginer et du plaisir de raliser des lieux vrais, sincrement, peut advenir la rencontre du sensible, de lautre...
Pour lArchitecte, humble disciple des philosophes et des mathmaticiens, la gomtrie est une pratique quotidienne. Dilemme prilleux que de tenter de figer trois dimensions en un espace, avec comme seuls outils, deux dimensions seulement : le plan, llvation. Le btiment, une fois construit ne rvlera plus rien de sa lente et laborieuse laboration. Plans, coupes, faades, plus rien de ce qui tait trac sur la planche dessins ne peut tre vu par lil humain. Seul Dieu peut voir le plan, seul un passe muraille peut voir la coupe, seul un observateur situ linfini peut voir llvation. Tout ce travail de dessinateur finit par se perdre dans lespace quil arpente enfin, accompagn de son commanditaire comme en un lieu qui nest plus tout fait le sien... Ce ntait quesquisse imparfaite, avec des lignes rgulires, des volumes simples : cubes, cylindres, pyramides, solides platoniciens, scands en une ordonnance. Comme les mathmatiques, elle sest labore sur des hsitations, des impasses, des modles rcurrents, des intuitions contradictoires, une tentative pour rapprocher des ralits htrognes, sans rapports logiques entre elles : le programme, la structure, les rseaux, les formes urbaines supposes, la rglementation, les cots, les couleurs, les matriaux, les textures, la lumire...
Il sagira de dcouvrir et peut-tre de rvler les rapports entre ces ralits parses. En un sens, entreprendre une qute modeste qui sapparente celle des mathmaticiens : construire des systmes cohrents, donner du sens... En dautres termes, on tentera de dconstruire les ralits apparemment ordonnances, pour proclamer leur motion, leur tangibilit, leur harmonie, leur pertinence Cette dmarche projectuelle, un peu comme larithmtique, est une construction mentale, qui vise moins une explication quau dsir de raliser un jour des btiments sensibles. Pour, le moment venu peut-tre, (et il peut ne jamais arriver), crire lespace habitable fonctionnellement (la politesse de lArchitecte) et symboliquement (le devoir de lArchitecte), lexact contraire dun geste arbitraire.
Car tre Architecte, cest tre aussi un intellectuel. Nous laffirmons, nous le vivons. Le temps maintenant est venu de vouloir le partager
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210
di Sandro Lazier
del 06/10/2002
relativo all'articolo
Progetto Ranaulo per Sciacca. Opinioni
di
la Redazione
Caro Gianni,
tra i peccati meno noti, seppure pi diffusi, quello che alimenta lintransigenza del conservatore pi incallito.
Sto parlando dellignavia, peccato che Controvoce interpreta in modo impareggiabile.
Riguarda le anime dannate che si lamentano continuamente ovvero i pusillanimi che per paura non sanno seguire il bene e che per vilt non perseguirono il male. Senza essere propriamente dannati, come contrappasso per la scelta fra bene e male che rifiutarono di fare in vita, sono ora costretti a inseguire freneticamente uninsegna, mentre degli insetti pungono i loro corpi nudi e dei vermi bevono il loro sangue misto alle lacrime. Sono cos spregevoli che Virgilio invita Dante a non occuparsene, e questi, bench ne riconosca alcuni, evita persino di nominarli.
Parola di Dante:
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per laere sanza stelle,
24 per chio al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti dira,
27 voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual saggira
sempre in quellaura sanza tempo tinta,
30 come la rena quando turbo spira.
E io chavea derror la testa cinta,
dissi: "Maestro, che quel chi odo?
33 e che gent che par nel duol s vinta?".
Ed elli a me: "Questo misero modo
tegnon lanime triste di coloro
36 che visser sanza nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
39 n fur fedeli a Dio, ma per s fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
n lo profondo inferno li riceve,
42 chalcuna gloria i rei avrebber delli".
E io: "Maestro, che tanto greve
a lor che lamentar li fa s forte?".
45 Rispuose: "Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita tanto bassa,
48 che nvidosi son dogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
51 non ragioniam di lor, ma guarda e passa".
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207
di Angelo Errico
del 01/10/2002
relativo all'articolo
Errata Corrige
di
Paolo G.L. Ferrara
E' un'emozione tremenda leggere le considerazioni sui corsi di architettura moderna svolte al Politecnico di Milano, se a leggerle è chi come me si è laureato proprio lì, vedendo tra l'altro, come da cinque annualità di composizione architettonica si passò ad esempio con il nuovo ordinamento a tre annualità, ma si crearono via via corsi e corsetti per affabili portaborse di eminenti docenti a cui oggi, la ... bravura, ha dato loro una cattedra di tutto rispetto.
E nascevano corsi e corsetti, per riciclare con le nuove indicazioni della comunità europea chi, tra coloro nel Politecnico, resiedeva da anni, al pari dei bidelli dei loro dipartimenti.
Un corso scandalo era Tipologia dei Caratteri Architettonici, la cui contemporaneità di argomenti erano le siedlung (le case per la germania popolare del dopoguerra) la citè industrielle e la garden city , e con gli appunti degli studenti raccolti negli anni recedenti fu persino redatto un favoloso libro di testo obbligatorio (costoso) ed il massimo dell'acquisizione culturale che si ambiva, era un esame a fine corso tipo Lascia o Raddoppia.
Per non parlare delle sorelle Botero, una incapace di sostenere una conversazione da esame delle superiori nel illustrare gli argomenti del suo corso, l'altra che sembrava stesse illustrando un ricettario di Wilma de Angeli per dare in dieci mesi l'anno quattro spiegazioni sulla bioarchitettura basata su inclinazione dell'asse terrestre e un testo di Olgiay.
Non parliamo poi dei corsi che, rifrequentati a distanza di tempo (perché magari poteva capitare per i casi della vita, di non poter più sostenere durante l'anno l'esame) si riproponevano invariati, con le stesse modalità di preparazione e scansione delle scadenze durante l'anno, con la sola presenza di prezzolati assistenti che, protagonisti indiscussi, monopolizzavano tempi, orari, e anche traslochi di tanto in tanto da un'aula all'altra, per tirar sera dal meriggio.
Molti pochi erano quei corsi che davano veramente impegno e qualità al tempo investito.
I corsi di storia dell'architettura sono un pò come quei corsi di lettere antiche e moderne, in cui c'è il docente che sa solo e benissimo di Dante, e quello che potrebbe riscrivere senza errori tutte le opere di Dannunzio. Si frequentavano per passare un pò il tempo, un pò per obbligo di esami da dare, un pò perché nel marasma degli ordinameti capitava di veder coincidere anche tre, quattro corsi, alla stessa ora dello stesso giorno, e allora si optava per un esame di storia moderna per definire il minimo di esami all'anno da stilare.
Non rimpiango gli anni trascorsi all'epoca al Politecnico. Oggi, francamente, non avrei più quell'entusiasmo menefreghista e creativo che manca parecchio nei tanti ragazzini per benino, disciplinati , e capaci di memorizzare quintali di date e di pagine suggerite dal docente. Chissà che con gli studenti stranieri, non cambi qualcosa, e qualche smentita verso questi saccenti in pensione... a molte stelle.
Angelo Errico
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206
di Angelo Errico
del 29/09/2002
relativo all'articolo
USA, un monumento da 140 milioni di dollari
di
Francesco Tentori
L'IBM, lo racconta Piero Angela in una sua trasmissione, cre dagli Stati Uniti sempre all'avanguardia la prima scheda perforata che, Hitler, user per codificare e catalogare efficientemente i deportati ai campi di concentramento.
La storia quindi non priva della risibilit voluta dal destino, con i legami che con la guerra mondiale del secolo scorso, si creano tra l'America e l'Europa filonazista.
Quella della realizzazione di un'opera imponente, in memoria ai caduti in guerra da realizzare nel Mall di Washington D.C., da parte del gruppo tedesco che realizz i campi di concentramento, non una novit cos paradossale per l'applicazione ancora oggi dell'esperienza acquisita dalla Germania durante l'inizio belligerante del ventesimo secolo. Basti sapere che, per esempio, la cremazione dei morti, avviene in Europa con dei forni crematori di origine tecnologica tedesca.
Penso che una verit da esprimere sulla vicenda del nuovo insediamento monumentale a Washington possa ricevere due contraddittorie e diplomatiche valutazioni.
Favorevole; con una considerazione di sottolineata civilt democratica per cui, se pur ci siano echi del passato in chi realizza l'opera, ci testimonianza di una nuova mentalit che vede alla storia passata con distacco remoto, e si manifesta matericamente la capacit di procedere al di l delle considerazioni contestuali che all'epoca avrebbero avuto ragion d'essere, ma che oggi rimangono solo note polemiche per non essere ancora capaci di voler crescere dando all'evento lo stesso significato della memoria e dell'insegnamento che si instaura con la storia cos come si fa per le vicende di zio Tom o la rivolta dei mercanti di t.
Sfavorevole; con una considerazione attenta alla lettura sociale dei comportamenti umani, in riferimento specialemente all'attuale atteggiamento antropologico filo globalizzazione, in cui tutto si tritura e si rimpasta, senza attribuire i valori che gli eventi storici ci hanno trasmesso, confondendoli e reinterpretandoli a sfregio delle generazioni dei nostri nonni e dei nostri avi, per compiere sfaceli peggio delle guerre in passato messe insieme nel miraggio incantevole del futuro diverso e migliore.
Insomma, non ritengo che il monumento in argomento non debba esserci, per Washington nasce sulla genialit di urbanisti che avevano pi considerazione per la vegetazione e la realizzazione di parchi che non invece di edifici e architetture. Ricordo di aver potuto ammirare la tomba commemoratrice Kennedy. Un'opera di silente rispetto alla memoria, minimalista e purista tanto per usare due terminologie del settore dell'arte e dell'architettura, non romperebbero affatto quel vasto terreno erboso e creerebbe una passeggiata molto simbolica, educatrice ed insegnante, come dovrebbe un monumento che si rispetti.
Angelo Errico
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204
di Raffaele Cutillo
del 29/09/2002
relativo all'articolo
Ranaulo per il Teatro Popolare di Sciacca
di
redazione antithesi
Sono veramente felice della risposta di Ranaulo perch proprio questa, la sollecitazione propositiva della cultura architettonica nelle piccole citt (ma, determinanti e, per il potenziale che esprimono, uniche) era l'obiettivo della provocazione circa il Teatro di Sciacca. Diciamo meglio: "Era proprio qui, caro Gianni, che ti volevo ! " Battute a parte, la tua buona volont di portare Caserta (nello specifico) in un ambito internazionale, pare non abbia influito pi di tanto nei confronti della Amministrazione di quel Comune, piuttosto sorda e distratta. Bisognerebbe insistere - tu che, da consulente, puoi - soprattutto ampliando e promuovendo - meglio - anche le occasioni (isolate) di lavoro che hai avuto (cave, passerelle, piazze...) facendone exempla di trasferimento positivo. Vederle sulle riviste o su libri comuni (50-50) o nei cassetti degli uffici tecnici, serve a ben poco: restano, come al solito, relegate tra i compiacimenti di noi addetti ai lavori. Espansione, comunicazione orizzontale, sono fine positivo. Ma il dono del proprio entusiasmo ed il transfert della propria conoscenza, piuttosto che i progetti, costituirebbero gesti altrettanto coraggiosi, anche se pi dispendiosi. Sia sul piano dell'impegno che dei benefici conseguenziali. Ma, mi piacerebbe di pi.
Saluti da Caserta.
Raffaele Cutillo, [email protected]
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201
di Raffaele Cutillo
del 28/09/2002
relativo all'articolo
Ranaulo per il Teatro Popolare di Sciacca
di
redazione antithesi
Mio caro Lazier,
non credo affatto che sia stato una "furba operazione", quella di Ranaulo, n mi stupisco del suo atto di generosit (sono uomo concreto), n sono sensibile agli ordini che aborrisco e detesto. La mia sollecitazione, non improntata su falsi problemi etici o di vil denaro (come Lei l'ha considerata e tradotta, svilendola) era sostenuta solo dalla assenza del confronto - se vuole anche democratico e culturale - che determinano azioni simili. Grazie
Raffaele Cutillo
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28/9/2002 - Gianni Ranaulo risponde a Raffaele Cutillo
Caro Raffaele Cutillo, mi sembra strano che, proprio da te, mi arrivi una perplessità quale tu hai espresso. Come sicuramente sai, essendo tu stesso un architetto di Caserta (così credo di ricordare), lo scorso anno l'Amministrazione cittadina mi incaricò quale consulente architettonico della città ed io accettai con entusiasmo perchè ero certo di potere portare essa in un ambito culturale internazionale ( concorsi, convegni, etc.). Credo che non ci sia bisogno di spiegare ai lettori che chi si preoccupa di fare ciò -pur sapendo come e quanto sono pagate le consulenze dall'ente comunale in genere- desidera solo cercare di inserire anche città delle dimensioni di Caserta in un ambito internazionale di interscambio culturale, cosa che oggi più di qualsiasi altro momento marca la linea di confine tra la provincia e le città attive. Detto ciò, per un professionista quale tu sei, è facile dedurre quali siano stati i benefici e quali i costi da me avuti e sostenuti....
Gianni Ranaulo
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198
di luca mazzo
del 28/09/2002
relativo all'articolo
IUAV occupato
di
Studenti IUAV
In risposta ai vari commenti e a Enrico Botta in particolare.
Sul comunicato dello IUAV ho qualche perplessit anche io, non di meno apprezzo che sia stato fatto e divulgato. Per altro era stata offerta anche la possibilit di correggerlo a qualunque studente interessato.
Le perplessit nascono dal fatto che per essere divulgativo e comprensibile anche al di fuori dell'istituto, finisce con l'essere generico. Immagino che i problemi da trattare nello specifico verranno fuori nelle sedi appropriate e con gli organi competenti.
La protesta invece ha tutta la mia approvazione. Lo IUAV non funziona cos com' strutturato e non consente di essere modificato nella sua struttura dall'interno ... il potere studentesco anche se esercitato non riesce a contrapporvisi.
Organi quali il CdG (Consiglio di Garanzia), atti a risolvere questioni di malagestione e a proporre soluzioni alternative agli organi competenti, non si riunisce da tempo ... per di pi pochi ne conoscono la stessa esistenza!
La presenza degli studenti nei vari consigli e senati puramente formale. In Aprile, se non ricordo male, il Senato degli Studenti, pi altri volenterosi, era presente ad un consiglio di facolt per chiedere che non fossero eliminati gli appelli straordinari ... nonostante la folta e chiassosa presenza, il preside di facolt non ha tenuto affatto conto della richiesta degli studenti, per di pi avvallata da alcuni docenti (quei pochi presenti).
Il Senato degli Studenti da almeno sette anni a questa parte stato incapace di conivolgere gli studenti e renderli partecipi di ci che avviene nell'universit ... con questa protesta, legittima, il Senato finalmente scuote un po' gli animi.
I problemi maggiori nascono dal numero di studenti e dalla scarsit delle risorse fisiche, economiche ed umane. Nonch da una malagestione delle stesse.
veramente impensabile gestire laboratori di progettazione con centinaia di iscritti.
veramente difficile seguire lezioni di Scienza senza trovare posto, in un'aula sovraffollata, oltre i limiti consentiti, non solo in termini di sicurezza, ma umani.
assurdo che non si trovino docenti che insegnino materie quali Diritto Urbanistico, dovendo ricorrere al solito docente che costretto a gestire pi di seicento iscritti.
bizzarro e triste che tutt'ora si insegnino alcune materie scientifiche nella maniera in cui si insegnano allo IUAV ... non tanto per l'effettiva difficolt nel superarle, quanto per la distanza di esse dal mondo architettonico, dalla progettazione.
Questi sono solo alcuni dei problemi specifici, che derivano da un eccessivo numero di studenti e una scarsa capacit gestionale.
Poi ce ne sono altri ...
La qualit della didattica penosa, salvo rare eccezioni.
Docenti assenti, docenti in ritardo costante, docenti che non hanno nessuna motivazione all'insegnamento ... forse ci sono anche studenti della stessa stoffa, ma per lo meno loro non vengono pagati.
Il sistema universitario all'estero funziona, a seconda dei paesi, meglio o peggio in alcuni casi. C' da dire che il numero di iscritti raggiunti dallo IUAV, non se ne vedono. Per di pi, in Olanda ad esempio, le universit percepiscono fondi dallo stato in base al numero di laureati ... ossia che nel loro interesse fare in modo che gli studenti termino gli studi. Lo IUAV vive delle tasse ... tanti pi iscritti, tante pi tasse (da l anche la campagna di marketing degli ultimi anni).
A Barcellona le tasse sono leggermente inferiori, ma per lo meno si paga in base ai corsi che si seguono e le strutture, nonch l'organizzazione dei corsi sono decisamente migliori.
In Germani l'universit praticamente gratuita, i cento o duecento marchi che alcuni studenti devono pagare, servono sostanzialmente a coprire un pass annuale per i trasporti (di ogni sorta).
Quindi al di l di futili discorsi sul diritto allo studio o meritocrazie di sorta, ci sono dei problemi effettivi, tangibili e noti che vanno risolti negli interessi di tutti, studenti, docenti e personale amministrativo.
Su questi dovrebbero essere spese parole ...
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197
di Angelo Errico
del 28/09/2002
relativo all'articolo
IUAV occupato
di
Studenti IUAV
Sembra che l'universit non sia cambiata. Laureatomi al Politecnico di Milano circa cinque anni addietro (io ne ho 37) ho vissuto due cambiamenti di ordinamento e ho avuto fatica non poca a laurearmi, tra docenti facinorosi, assistenti przzolati, corsi che anticipavano il master di adesso, oltre a tristi vicende familiari che hanno ritardato a 15 anni la discussione della mia laurea.
Sono d'accordo; s'iscriva chi ha le motivazioni e, chi ha bravura e talento, sia sostenuto dalla societ. Se lo merita, pu far solo del bene. Ma a chi? E se uno cosiddetto straniero? non porter forse tutto il sapere acquisito in altra patria?
Ho visto riciclarsi professori in abili esperti del "tal" settore ai master che vanno per la maggiore oggi, a prezzi immorali e con materiale che a me avevano propinato con dispense per un anno per riempire e giustificare il lauto stipendio di un anno accademico (si parlava di 7 milioni di lire allora); ho visto firmare articoli sulle riviste specializzate scritte da ghost writer; ho visto professori picchiati ed alcuni denunciati perch non ti facevano passare l'esame se avevi il libro di testo suo (alla faccia delle royalities!) prestato dal compagno o preso in biblioteca.
Sono d'accordo, vada in universit chi lo merita. Anche per ch'insegna.
Angelo Errico
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196
di capolicchiodichino
del 28/09/2002
relativo all'articolo
IUAV occupato
di
Studenti IUAV
universit, istituzioni, sono sottoposte a tensioni di rinnovamento molto forti. negli ultimi anni i nuovissimi ordinamenti hanno generato una proliferazione metastatica di istituti, ciascuno dedicato a settori merceologici specifici, allo scopo di avvicinare sempre pi l'universit al mondo produttivo. abbiamo visto nascere facolt con la stessa logica con cui nascono i distretti delle PMI. contemporaneamente si sempre pi ristretto il numero degli iscritti. che ci fosse bisogno di avvicinare l'accademia al mondo produttivo era necessario lo sappiamo tutti, ma farlo cos senza criterio, estremamente dannoso per la societ intera. cosa ce ne facciamo di facolt che preparano tecnici come gli istituti per periti? il vecchio ordinamento preparava intellettuali. all'interno delle facolt si formavano i movimenti di opinione, cresceva la societ civile. questo modello scellerato, affiancato ad una societ in cui impossibile creare le coscienze critiche (non dimentichiamo che negli stati uniti, musica, associazionismo, ecc sono luoghi di ri-produzione del sapere sociale). ma in italia dove si struttura la mente sociale? GUARDANDO LA TELEVISIONE? e poi prepariamo i tecnici per un mercato in cui: le imprese NON FANNO RICERCA, lo stato NON FA RICERCA (stiamo per vendere quel carrozzone del CNR). ecco ancora una volta atenei che guardano ancora a se stessi alla loro possibilit di mettersi in mostra, attraverso le facolt usate come griffe da esporre sulla passerella mediatica, autoreferenziale, inutile adesso come prima, nell'assolutismo gattopardesco del tutto deve cambiare perch tutto deve rimanere come prima. a fine anni '80 si parlava di massa critica degli atenei, in cui la grandezza era l'unica certezza di produzione del sapere. poi si parlato di dinosauri e si cominciato a smantellare per dare vita a microscopiche facolt di architettura (ferrara, cesena, parma) piccole provinciali, in grado di aumentare sempre pi il GAP tra architettura provinciale (quella di qualit paragonabile se non inferiore alle opere dei GEOMETRI, ma pi adatta ad una clientela borghese (in via di estinzione) solo perch porta la firma di un architetto), e l'architettura dello star system che si insegna nelle grandi scuole internazionali. i 20 architetti di Deyan Sudyc saranno sempre pi soli e sempre pi male accompagnati.
questo il futuro che vogliamo? non credo, questo il futuro che ci becchiamo, stretti tra la morsa di una destra in preda al furore di dimostrare qualcosa e di una sinistra ad encefalogramma piatto. buon lavoro a tutti
Tutti i commenti di capolicchiodichino
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195
di Angelo Errico
del 28/09/2002
relativo all'articolo
Contro-contro design
di
Gianni Marcarino
Mi laureavo cinque anni fa al Politecnico di Milano, design (ne ho 37 oggi), mi sono iscritto nell'84 e sono cresciuto nei rinomati anni del benessere.
S'imparava la filosofia della progettazione, il Bauhaus, Gropius, il funzionalismo tedesco... la Kartell invitava gli studenti negli stabilimenti che frequentavano il corso con la Castelli Ferrieri, e si respirava un'aria di entsiasmo creativo; c'era anche Castiglioni che dei suoi oggetti ha fatto oggetto d'interi stage nel mondo, con i quali riesce a vivere di rendita. Enzo Mari ci esortava all'object trouv.
Tra la banalit di una deformazione interpretativa della forma e l'essenzialismo di un oggetto, abbiamo creduto noi ex studenti, di essere stati cos unti da un olimpo di divinit, sulla capacit acquisita di creare con la ci maiuscola, la forma delle cose e della loro essenza, e realizzare un progetto a pi vasta portata, andando consapevolmente a modificare lo stile di vita, con lo stile delle cose nuove e di nuovi materiali.
Non ci avevano detto per che piove solo sul bagnato.
Nel frattempo si enfatizzava una realt di benessere sociale oinvolto masse intere,nello sfoggio e nell'apparire. La griffe, la firma, erano il marchio sociale del marchio di garanzia, di un qualcosa di qualit, autentico, e poi soprattutto, costoso.
Quanto il marketing sia necessario per vendere a folle deliranti, un orologio di plastica, lo sapevano i miei insegnanti all'epoca. Probabilmente per, non c'era quel tenore economico che potesse far compiere il balzo dall'esclusivit dalla produzione artigianale per pochi, alla produzione industriale per ancora pochi. Con gli anni '80 questo finalmente successo.
Fermo restando che condivido il design semplice e contemporaneo, pi coerente ed adeguato alla nostra epoca e alle nostre necessit, quel valore aggiunto che tanto piace agli acquirenti per essere esclusivisti (quelli che conservano gli spazzolini da denti come qualcuno ha scritto) serve soltanto per tenere il regime di mercato stretto stretto a pochi eletti, come Stark, che in fondo in fondo, se la suonano e se la cantano a loro piacimento.
In certi casi, certi oggetti potrebbero essere pensati da studenti anonimi, ma ci renderebbe pi che l'oggetto anonimo e banale, il fruitore tale, e in un'epoca come questa , oramai politeista, non pi il santino a gratificare i sogni e le speranze della massa, ma proprio quelle divinit come Stark (ma non ce l'ho con lui in prima persona).
Allora la domanda provocazione : ma c' proprio bisogno di dare rilevanza a quanto oggi Stark dice contraddicendosi con quanto asserviva in passato? La risposta da parte mia : si, se il non senso alberga (certamente alberga) nelle nostre abitudinarie azioni quotidiane.
Angelo Errico
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194
di enricogbotta
del 28/09/2002
relativo all'articolo
IUAV occupato
di
Studenti IUAV
In riferimento ai commenti 190 e 191.
Caro Emilio Zola (sempre che questo sia un nome vero...),
Studente "congelato", vuol dire che ho sospeso gli studi presso lo IUAV.
B.Arch. significa Bachelor of Architecture, un titolo americano che non mi stupisco lei non conosca, a riprova del fatto che molti non sanno nulla di cio' che avviene fuori dal loro cortiletto.
Detto questo, sono d'accordo con Sandro Lazier, e credo che il suo intervento sia quantomeno fuori tema.
Cara Laura Masiero,
Fermo restando che i problemi che solleva lei sono diversi da quelli indicati nel comunicato rilasciato dopo l'occupazione, le scelte amministrative dell'universita' sono operate all'interno di un consiglio di amministrazione, dove esistono dei verbali, e dove gli studenti siedono con due rappresentati su 7. Bene, a detta del rettore Folin, questi due rappresentanti che sono Fabrizio D'Oria (esperto designato dal senato degli studenti) e Valentina Garuzzo mai hanno sollevato questione alcuna. La verifica di queste informazioni e' molto semplice e la invito
Avviare una protesta pretestuosa senza aver agito nelle sedi competenti e' segno di grandissima immaturita' ed incapacita' di gestire il proprio ruolo. Se quello che lei sostiene riguardo al dirottamento di risorse fosse vero, gli studenti dovrebbero prima protestare contro il senato studentesco e dopo, semmai, contro il rettore...
Riguardo al diritto allo studio io sono convinto il diritto di tutti di fare cio' che non sono in grado di fare lede la liberta' dell'individuo nella societa'.
Lede la liberta' di colui che dal diritto allo studio (nei termini demagogici in cui e' inteso oggi) crede invece di essere avvantaggiato. Mi spieghi lei in che modo un sistema meritocratico, dove ci siano scuole diverse per chi ha capacita' diverse (non basate su criteri di selezione economici, sociali, religiosi, razziali o sessuali), lederebbe il diritto allo studio.
Avere centinaia di migliaia di architetti disoccupati non fa bene a nessuno, tranne a chi e' nella posizione di poter sfruttare la situazione a proprio vantaggio, cioe' assumendo architetti laureati, e a volte persino iscritti ad un ordine, come disegnatori e pagarli meno di un operaio.
Questo non e' che il risultato della troppa offerta troppo poco preparata frutto del suo tanto amato diritto allo studio, indovini un po' chi ci rimette?
un saluto,
enricogbotta
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193
di Emilio Zola
del 28/09/2002
relativo all'articolo
IUAV occupato
di
Studenti IUAV
Caro Lazier,
si figuri se non sono d'accordo con Lei: non per nulla mi sono premurato di citare i casi macroscopici dei Maestri, per non dimenticare, visto che siamo in ambito veneziano, Carlo Scarpa, genio per tutta la vita tormentato perch privo di abilitazione professionale. Infastidisce solo la prosopopea, l'assolutismo del pensiero che condanna tutto e tutti e poi si espone al classico "il re nudo!"; torniamo a fare i conti anche con la realt spicciola, del lavoro quotidiano, senza scorciatorie. Finch l'ordinamento della Repubblica questo, per campare come architetti bisogna dare tutti gli esami: ma questi finiscono e l'architettura, forse, no.
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192
di Raffaele Cutillo
del 28/09/2002
relativo all'articolo
Ranaulo per il Teatro Popolare di Sciacca
di
redazione antithesi
Il gesto di Ranaulo sicuramente apprezzabile per il contenuto culturale dell'azione: non disperdere, anzi esaltare, il valore della buona architettura moderna italiana, attraverso la sua concreta conservazione. Quella del maestro Samon, in questo caso.
Sotto il profilo strettamente deontologico (donare il progetto), forse no.
Questa pratica, che mi ricorda i discutibili rapporti tra tecnici locali (soprattutto, geometri ed ingegneri di provincia) ed amministratori, al fine di iniziare, attraverso la prima donazione dell'opera "intellettuale", una "futura, certa e proficua collaborazione", sicuramente non fa bene, in assoluto, alla architettura italiana. Ne rimarca, al contrario, la italiana nebulosit procedurale del rapporto tra committente e professionista.
Non conosco esattamente i dettagli della iniziativa di Sciacca e so che Ranaulo non ha certo bisogno di questi mezzi per segnare ulteriormente la sua visibilit - gi consolidata - ma, da quello che leggo, probabilmente sarebbe stato preferibile un sano (se la pratica ancora sana) concorso ad inviti. Anche senza premi in denaro, se il problema, in questo caso, sia stato il denaro o l'assenza inquietante di altri progettisti altrettanto sensibili.
Mi piacerebbe ricevere una risposta da Antonino Saggio e, naturalmente, da Gianni Ranaulo.
Grazie della attenzione.
RAFFAELE CUTILLO - OfCA, Caserta
[email protected] - www.ofca.net
Tutti i commenti di Raffaele Cutillo
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28/9/2002 - Sandro Lazier risponde a Raffaele Cutillo
Quanti progetti vengono "donati" dentro la veste ipocrita di un concorso a inviti?
Ma, soprattutto, perché la deontologia professionale funziona solo nella spartizione delle parcelle?
Io credo che gli ordini professionali abbiano fatto il loro tempo e non servano nè l'architettura, nè l'umanità, nè tantomeno gli architetti.
Gianni Ranaulo si è offerto di dare esempio di come si possano recuperare i cadaveri dell'architettura italiana mediante una operazione di pronto intervento, senza perdersi nella melassa della burocrazia, nel modo più semplice e diretto possibile: non chiedere una lira.
Lui se lo può permettere, io no. Quindi è giusto che dia chi ne ha la possibilità e la voglia. Siamo un paese di furbi? Forse è vero, ma stupirsi di un atto di generosità appartiene ad un vizio ancora peggiore.
Questa è la mia opinione.
Ovviamente, se lo vorranno, N. Saggio e G. Ranaulo potranno chiarire la loro.
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191
di Laura Masiero
del 27/09/2002
relativo all'articolo
IUAV occupato
di
Studenti IUAV
Carissimi,
non sono daccordo con la posizione di enricogbotta.
Mi sembra un commento presuntuoso e un p sopra le righe.
Quello che sta succendendo allo IUAV il risultato di anni di malcontenti che sembravano assopiti dopo l'ultima occupazione da parte della "pantera", in quanto qualcosa quell'occupazione aveva ottenuto.
La verit lo IUAV sta correndo una gara con le altre facolt che si basa sull'offerta didattica, sulla nascita di nuove facolt (vedi design e arti, scienze del teatro ecc.). Per far ci sta impiegando mezzi e risorse togliendole alla "vecchia" facolt di architettura, in particolare agli studenti del vecchio ordinamento (ord.min. 1993) che da quest'anno sono stati soppiantati nei finanziamenti dalle nuove matricole, dimenticando che i "vecchi" sono quasi 9000 persone!! che pagano le tasse!!!
Sul discorso delle tasse che sostiene il sig. Botta non sono assolutamente daccordo.
Si torna al vecchio problema della meritocrazia: TUTTI hanno il diritto di studiare e di essere messi nelle condizioni di farlo...questo si chiama DIRITTO ALLO STUDIO.
Non mi sembra giusto fare di tutta l'erba un fascio, vero, di studenti lavativi ce ne sono molti, ma nulla impedisce anche a loro di studiare con i loro tempi e come preferiscono, se no l'universit si chiamerebbe scuola dell'obbligo, si farebbe l'appello ogni giorno, si chiamerebbero i genitori per i colloqui ma siccome chi frequenta l'universit maggiorenne lo gi, le tasse le paga, ha tutto il diritto di gestire la sua vita universitaria come vuole.
Allo IUAV fondi ce ne sono ma vengono spesi male e non certamente per il bene della didattica e delle strutture, e nonostante questo gli studenti che escono dallo iuav sono ancora tra i pi "bravi".
Io non sono persona da occuapazioni, ma non posso che appoggiare questi ragazzi che stanno lottando, nel bene o nel male, per rendere migliore la mia facolt.
Sul fatto che "ognuno sempre libero di scegliere un'altra facolt" e per il resto , un no comment credo che basti, mi trovo pienamente daccordo con Emilio Zola.
Tutti i commenti di Laura Masiero
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Commento
190
di Emilio Zola
del 27/09/2002
relativo all'articolo
IUAV occupato
di
Studenti IUAV
In riferimento al commento n.189
Correggetemi se sbaglio: dal commento precedente si evince che il sig. enrico botta...non laureato. Che significa "studente congelato"? Che titolo "b. arch."? In effetti dal curriculum reperibile nel sito enricogbotta.com pare risultare che il suddetto sia in possesso della sola maturit scientifica, ottenuta, peraltro, nemmeno a pieni voti, e che i progetti indicati sono ascrivibili a tutt'altri professionisti.
Si puo' dar lezioni in tutto, ma, per favore, con le carte in regola, altrimenti non si fa che sbeffeggiare chi, invece, tutti i titoli e abilitazioni se li presi come legge e tempi comandano e pure nel marasma universitario italiano. Di non-laureati ci bastano Wright ed LC e mi sembra che avanzino.
Tutti i commenti di Emilio Zola
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27/9/2002 - Sandro Lazier risponde a Emilio Zola
Caro Zola,
veramente crede che, per parlare di religione, sia necessario prendere i voti? Enrico Botta, al di l delle appprossimazioni e della condivisibilit delle sue affermazioni, ha tutto il diritto di dire la sua su questioni che hanno avuto a che fare con la sua vita, senza essere picchiato sul piano personale e privato. A parer mio l'architettura ha bisogno di architetti e non di lauree, se no non se ne esce.
Commento
189
di enricogbotta
del 27/09/2002
relativo all'articolo
IUAV occupato
di
Studenti IUAV
Sono molto perplesso di fronte a questo comunicato, firmato per altro in modo molto generico da "Studenti IUAV".
Io sono uno studente IUAV "congelato", che per vari motivi, alcuni dei quali anche citati nelle rivendicazioni di questo comunicato, ha deciso di completare la propria preparazione professionale fuori dall'italia.
Perche' allora non condivido e non sostengo la protesta che questo comunicato solleva? Beh, proprio perche conosco lo IUAV, ci ho vissuto e conosco gli studenti, una piccola parte di loro certo, che pero' sembra avere caratteristiche comuni ai piu'...
Lo IUAV ha troppi studenti. Definire 1200 studenti pochi e' una sciocchezza, per qualsiasi scuola, specie se di architettura, dove il limite fisiologico e' piu' o meno di 500... non per corso ma in totale.
Lo IUAV, come altri atenei in Italia, non fa che prendere atto molto tardivamente di un fatto molto semplice: e' immorale che ci siano persone che rimangono "studenti" per 10-15-20 anni... e il modo per fare in modo che cio' non succeda e' che ci sia un controllo piu' diretto, piu' stile liceo. E' brutto, lo so, ma e' cosi, e non si tratta di una invenzione dello IUAV.
Le scuole straniere che gli "studenti" conoscono poco e ceh spesso tendono a mitizzare basandosi sulle loro esperienze, brevi, fatte durante i programmi di scambio e che sembrano essere sempre meglio, che siano in Francia, o Spagna, o Germania, o Inghilterra, o Olanda. Sono davvero sempre meglio, sara' vero?
Le scuole ritenute migliori sono molto diverse dallo IUAV (o da qualsiasi altra facolta' in Italia, sia ben chiaro): 1. Hanno 20 volte meno studenti; 2. Hanno curricula molto piu' stretti e gli studenti sono molto piu' irregimentati; 3. Costano molto di piu'. Questo per essere brevi...
Scusate, ma quando sento parlare di cifre "ingenti" in riferimento alle tasse universitarie mi sembra veramente che un occhiata fuori dai nostri confini bisognerebbe darcela sul serio (e non mi si dica che in Germania la TU Berlino costa 100 marchi a semestre perche ai tedeschi costa molto di piu' attarverso prelievo fiscale ed e' onestamente un bordello), non dalla bambagia del socrates/erasmus che fa sembrare financo l'Architectural Association una passeggiata di salute.
Conoscendo personalmente studenti, questi si studenti, che si sono indebitati per migliaia di euro, e che DOPO aver studiato duramente lavorano altrettanto duramente per pagare i prestiti, trovo certi piagnistei veramente indecenti. Se e' vero che le tasse non avrebbero ragione di essere piu' alte per l'universita' offerta oggi, non se ne puo' pretendere una diversa allo stesso costo.
Lo studio, specie a livello universitario, e' una scelta che deve essere responsabile, e non fatta con leggerezza... mi sono sempre stupito di come fosse possibile che quelle 750 persone che hanno sostenuto con me l'esame di caratteri tipologici e morfologici con Cornoldi nel 1995 fossero tutte ma proprio tutte la' per profonda motiviazione...
Entrare all'universita', esserci, in italia e' troppo facile... senno' non si spiegherebbe come mai alla Cooper Union o all'AA non ci siano 3.000.000 di studenti di architettura.
Eh si, Cooper e' una universita' di elite... perche? c'e' qualcosa di male a dire che l'universita' e' per le persone motivate e di valore e non per i fannulloni? E, guarda caso, per i BRAVI Cooper costa anche meno dello IUAV... e' gratis.
Ma MERITO per i movimenti studenteschi italiani e' una parolaccia orribile (specie per i vari figli di evasori fiscali che godono delle collaborazioni studentesche e degli alloggi sottocosto).
Insomma cari "studenti" non meglio precisati, togliete dal conto i fuori corso da 10 anni in su e vediamo quanti ne rimangono nel chiostro dei Tolentini. Hanno fatto altre esperienze si dira', hanno lavorato per mantenersi (si potessero vedere le statistiche degli studenti lavoratori si capirebbe che spesso questi sono solo il paravento dietro il quale si riaprano i lavativi)... bene si assumano la responsabilita' delle loro SCELTE.
Nessuno e' obbligato ad accettare nessun ordinamento e nessuna scuola, ed e' sempre libero di sceglierne un'altra.
enricogbotta, B.Arch.
matricola N 229046
PS
Invece di protestare adesso, aveste fatto gli esami quando era il momento adesso tutto vi apparirebbe in una luce diversa...
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187
di maurizio zappal
del 22/09/2002
relativo all'articolo
Contro-contro design
di
Gianni Marcarino
Porto con affetto e orgoglio (non posso fare a meno della mia vanit) l'ultimo bracciale-orologio per Fossil di Starck e conservo come reliquia gli spazzolini , oggetti del desiderio dei mie figli la mattina in bagno, e inizio la mia giornata spemendo un pompelmo nello strepitoso spremi-aggrumi di Alessi. Non capisco quale tipo di moralismo si voglia fare in questo articolo. Forse il solito senso di castrazione di chi soltanto sa criticare e non realizzare nulla di concreto? Starck un grande ed ha rivoluzionato dei processi vetusti di rapporto design-produzione. Con quali interessi non mi riguarda e forse non ci riguarda. Poich non sono diversi da quelli canonici tra creativo-committenza- realizzazione. L'importante per me che ci che ha fatto Starck "arrivato", ha trasformato ed utile e perch no, a volte ,costa poco e altre costa tanto.
Di cosa stiamo parlando?!...
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22/9/2002 - Gianni Marcarino risponde a maurizio zappal
Sposo le Sue conclusioni. L'importante fare, gli oggetti possono essere pi o meno costosi, secondo le condizioni particolari che li fanno nascere e stare sul mercato. E' esattamente quello che volevo dire nel mio articolo, nel quale peraltro non metto in discussione la bellezza degli oggetti disegnati da Starck (questo meriterebbe un dibattito a parte). Lei commenta, parlando degli oggetti e dei suoi gusti personali, un tema che, appunto, non stato affrontato.
La mia critica rivolta al concetto di "design democratico o controdesign" per cui esistono oggetti che hanno valore etico in quanto costano poco ed altri che sono immorali causa il loro prezzo.
Non un argomento di secondo piano; coinvolge l'atteggiamento di noi tutti verso le cose e verso le persone; riguarda il nostro fare quotidiano.
Possiamo scegliere di acquistare oggetti con costi molto diversi tra loro perch ci sentiamo liberi di scegliere e giudicare il loro valore, oppure possiamo pensare che esistano "classi" di prodotti omologabili per costo e fascia sociale "adeguata" (questo moralismo/classismo).
Mi ha stupito che un personaggio come Starck, che ha disegnato per aziende prestigiose prodotti di alta gamma, abbia in qualche modo lasciato intendere che esista appunto una scala di valori etico-morali tra prodotti molto diversi.
La funzione della critica non solo quella di affermare "bello-brutto",
di essere cattiva o deferente; dovrebbe fare ci che Lei ritiene superfluo:
indagare le idee, le teorie e vedere dove esse conducono, in particolare quelle di chi crea o condiziona le tendenze.
Non le pare un gesto di libert, quanto quello di conservare le spoglie di uno spazzolino da denti?
Commento
186
di Carlo Sarno
del 21/09/2002
relativo all'articolo
Michelucci sulla linguistica architettonica
di
Giovanni Michelucci - Zevi
Giovanni Michelucci il maestro indiscusso dell'architettura organica e sociale italiana. L'uomo sociale al centro della sua architettura. Bruno Zevi ai suoi appunti attribuisce un valore di lezione morale per tutti gli architetti e conclude:" ...arte colta e popolare...aperta al quotidiano dell'uomo ma diffidente verso l'umanesimo astratto. In "Spazi dell'architettura moderna", Michelucci viene definito "il migliore artista italiano della sua generazione". La sua opera e il suo pensiero incutono rispetto e ammirazione; ancor pi, suscitano affetto e solidariet. Di fronte a questi appunti, possiamo dire a Michelucci una cosa sola: grazie, senza la tua presenza, noi saremmo infinitamente pi poveri, e smarriti...".
Giovanni Michelucci dalla sua travagliata esperienza di vita (ha vissuto due guerre mondiali) ricava un altissimo senso della dignit della persona, in particolare dei pi deboli e disagiati, dei malati e degli afflitti.
La sua umanit rispecchia la sua architettura, schietta e sincera, libera da qualsiasi schema astratto che voglia imbrigliare uno " spazio vivente ", la vita, alla quale nel suo insegnamento ha voluto aprire le porte della accademia.
Giovanni Michelucci ha scritto in questi suoi appunti riferiti alla linguistica: "...cambiano i modi espressivi, ma non muta il soggetto della storia. Cambia il modo di porre i problemi, uno dei quali resta costantemente sulla scena drammatica della vita e che la ricerca e la costruzione dello spazio della libert, in un perenne conflitto umano ed urbano.Ogni ricostruzione storica sollecitata dal presente e deve agire sul presente per vincere le resistenze pi tenaci. Le quali si vincono, se al fare degli uomini si pone l' "invariante" riferita all'uomo, all'umanit, quali soggetti immutabili della storia...".
Come Zevi anche io , e a nome della nuova architettura organica italiana, ringrazio Giovanni Michelucci per la sua lezione di vita, per la fecondit trasmessa alla vera architettura italiana, una architettura progettata con il cuore e non soltanto con la mente.
Carlo Sarno
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Commento
185
di enricogbotta
del 14/09/2002
relativo all'articolo
Next?
di
Sandro Lazier
Riferimento: commento n183
13/9/2002 Sandro Lazier risponde:
>Caro enricogbotta.com
>Non sono del tutto convinto che lei abbia letto quello che ho scritto. La >sua veemenza nel mandare tutto al macero probabilmente non le ha >concesso di riflettere a sufficienza.
Cosa le fa pensare che non abbia letto quello che ha scritto? Il fatto che non credo che lei abbia ragione a dire che ci siano "belle" architetture esposte alle corderie? Se avessi letto sarei stato di un'opinione diversa? Riflettere su cosa, sul fatto che evidentemente cio' che lei ritiene "bella" architettura e' a stento architettura dal mio punto di vista?
>(SL) Quindi ripeto: in biennale ci sono ottime architetture (altro che stato >penoso e altre generiche considerazioni che lei dice);
Bene, sara' cosi' gentile da indicarle, visto che evidentemente questi splendori mi sono sfuggiti...
>(SL) ma, ad essere rigorosi, non mi ha convinto il modo con cui sono state >esposte. Non si discute il cosa ma il come.
Evidentemente il mio intervento era teso proprio a mettere in discussione il contenuto al di la' di una "forma" espositiva per altro "facile" per il visitatore comune. Esporre una schifezza in modo efficace aiuta senz'altro... anche se difficilmente tramutera' una schifezza in qualcosa di migliore...
>(SL) Grazie al cielo, oggi, si fa e si vede ottima architettura!
Secondo lei... Mi sembra che ogni tanto valga la pena ricordarle che "grazie al cielo" ognuno la pensa come vuole, lei compreso ovviamente...
>A disprezzarne o ignorarne il senso sono rimasti in pochi: quelli che in >questa vedono la dissoluzione del loro potere e privilegio e quelli che >darchitettura capiscono poco o nulla.
>Scelga lei dove vuole stare.
(Il manicheismo che le piace tanto non mi appartiene, visto che per quello che posso, cerco di restare in una categoria che si e' dimenticato di nominare e che magari non conosce, quella delle persone civili.
Vede, io non so di preciso chi le abbia fatto cosa per renderla cosi' rabbioso, ma cerchi di mettere le cose nella giusta prospettiva, l'architettura infondo non e' nulla di cosi' importante in confronto ad altre cose... ci rifletta.)
Diciamo che SECONDO ME l'architettura come disciplina si trova da molti anni priva di basi (qualsiasi esse siano state prima) e che questo provoca una forte instabilita' e l'incapacita' di sviluppo. Di fatto l'architettura diventa un po' architettura/scultura, poi un po' architettura/ingegneria, poi un po' "anything goes". Se lei la pensa diversamente avara' i suoi argomenti che sarei interessato a conoscere...
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14/9/2002 - Sandro Lazier risponde a enricogbotta
Cosa le fa pensare che non abbia letto quello che ha scritto? Il fatto che non credo che lei abbia ragione a dire che ci siano "belle" architetture esposte alle corderie? Se avessi letto sarei stato di un'opinione diversa? Riflettere su cosa, sul fatto che evidentemente cio' che lei ritiene "bella" architettura e' a stento architettura dal mio punto di vista?
Me lo ha fatto pensare il fatto che lei non ha commentato il come, ma il cosa.
Bene, sara' cosi' gentile da indicarle, visto che evidentemente questi splendori mi sono sfuggiti...
Uno per tutti. Torni a visitare il padiglione russo.
Esporre una schifezza in modo efficace aiuta senz'altro... anche se difficilmente tramutera' una schifezza in qualcosa di migliore...
Mi spiace ma il pittore Duchamp le darebbe torto. Si pu esporre un cesso in modo sublime e chi ne far esperienza (del modo, ovviamente non del cesso) ne uscir arricchito.
Diciamo che SECONDO ME l'architettura come disciplina si trova da molti anni priva di basi (qualsiasi esse siano state prima) e che questo provoca una forte instabilita'...
Evviva! Era ora di abbandonare la disciplina e la stabilit. Larchitettura moderna negazione della disciplina e della stabilit. Non ha bisogno di basi e rende inutile la ricerca del formalismo. Zevi insegna.
Di fatto l'architettura diventa un po' architettura/scultura, poi un po' architettura/ingegneria, poi un po' "anything goes". Se lei la pensa diversamente avr i suoi argomenti che sarei interessato a conoscere...
Basta leggere quello che ho scritto con fatica proprio per mostrare come sia impossibile ridurre a categoria lespressione.
Non se la prenda e non mi accusi di perfidia. Non ce lho proprio con nessuno e accetto le opinioni di tutti, quando sono sostenute da argomenti interessanti che nel suo scritto non ho trovato.
Commento
184
di Carlo Sarno
del 14/09/2002
relativo all'articolo
Sul rapporto economia/politica
di
Fausto Pitigliani - Zevi
Lo studio delle societ primitive e arcaiche condotto da Karl Polanyi nel suo libro "La sussistenza dell'uomo" ci fa riflettere su una maniera non illuministica di considerare l'economia e la politica.
Le invarianti di Zevi del nuovo linguaggio dell'architettura si innestano in una prospettiva antropologica paleostorica, paleolitica, dove i rapporti sociali e l'economia sono vissuti in una armonia di rapporti estranea alla economia di mercato attuale, e che attualmente si legano ad una idea del sociale democratica e ad una concezione libera e dignitosa dell'essere umano. Zevi:"... Un linguaggio anticlassico, antiautoritario, antiaulico, antimonumentale, e perci democratico e popolare, deve essere capito da tutti, anzi deve essere "costruito" con la partecipazione di tutti, in quanto rispecchia e si rispecchia nelle pi varie attivit...".
Pitigliani affronta la problematica del rapporto invarianti/economia riferendosi ad una concezione istituzionalizzata di economia, strettamente connessa ai mercati, alle capacit produttive, alla necessit di una imposizione di un ordine e di un controllo nella pianificazione del socio-economico e del territorio. Malgrado il tentativo di un accordo, le premesse dei due autori sono molto lontani, e di qui una mediazione, attuata da Pitigliani con sorpresa di Zevi, di una approvazione parziale delle invarianti, considerandone alcune inadatte ad interpretare i rapporti economici.
Ma Bruno Zevi, conosciamo il suo carattere, non accetta compromessi!
Carlo Sarno
Tutti i commenti di Carlo Sarno
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Commento
183
di enricogbotta
del 13/09/2002
relativo all'articolo
Next?
di
Sandro Lazier
Se si facesse la Biennale ogni 10 anni, cioe' se si facesse una Decennale dell'Architettura di Venezia, forse si riuscirebbero a vedere delle novita'... puo' essere, infatti, che i tempi fisiologici dell'architettura siano incompatibili con mostre che si tengano a "soli" due anni di distanza.
A giudicare dalla mostra di quest'anno si potrebbe addirittura pensare che i ritmi fisiologici dell'architettura abbiano cicli trentennali, infondo il Centro Pompidou e' del '71. Il problema e' che la stragrandissima maggioranza dei progettisti presenti, noti e meno noti, progettano come trenta anni fa, o nei "migliori" dei casi, come 15 anni fa (Libeskind e Hadid e Eisenman...).
Insomma una mostra da ignorare e consegnare all'oblio.
Sullo stato penoso dell'architetura in italia ci sono pochi dubbi. Sullo stato penoso dell'architettura IN GENERALE sembrano esserci pochi dubbi. Le prototecnologie che si dice (ho sentito dire perche non l'ho visitata personalmente) abbiano dominato la Biennale di Fuksas forse sono veramente state un falso allarme: se l'evoluzione delle premesse e delle suggestioni della mostra di due anni fa si sono tradotte in cio' che vediamo ora ai giardini e all'arsenale, allora forse questi due anni non sono serviti per tentare di rendere tangibili quelle ricerche ma per stirare il periodo '85-'95 per altri dieci anni.
Io ho visto al massimo qualche facciata, sistemi tecnologici di facciate sia ben chiaro, cioe' cose su cui gli architetti dicono ben poco. E tutti anche piuttosto futili. Un'analisi seria dello stato dell'architettura su scala globale credo si debba porre il problema del ruolo in cui l'architetto, gli architetti, sono stati o si sono relegati. Ormai sembrano esserci solo degli scatoloni slegati da tutto in cui l'unico elemento "caratteristico" e' la pelle esterna, il piu' uniforme possibile, il meno costosa possibile, il piu' facile possibile.
Non c'e' niente di nuovo alla biennale forse perche non c'e' niente di nuovo nel mondo dell'architettura. Purtroppo, quel che e' peggio, e' che sembra non ci sia neppure l'intenzione, la volonta' o il desiderio di fare qualcosa di nuovo.
Non e' pessimismo, credo sia obiettivamente lo stato delle cose. Poi per alcuni questa situazione puo' essere vista come irreversibile e indurre a visioni catastrofiche oppure puo' diventare uno stimolo.
L'architettura e' da molto tempo incerta nelle sue basi disciplinari. Cioe' e' soggetta ad una forte crisi di identita' e negli ultimi 10-15 anni ha seguito il canto di molte sirene, l'ultima in ordine di tempo e' il digitale. Ammaliata al punto da essere pronta a sciogliersi in qualsiasi altra cosa "tirasse" sia come immagine che da un punto di vista puramente economico. Un futuro non "architectural" (leggere alla francese...) per l'architettura significa, credo, che l'architettura debba ritrovare una identita', non necessariamente quella di prima, e non necessariamente continuera' a chiamarsi architettura.
Quello su cui personalmente nutro forti dubbi e' la riduzione, perche' di riduzione si tratta, di cio che conosciamo come architettura a puro "fenomeno", cioe' l'abbandono alla sola ricerca della "sensazione" intesa sia come percezione che come "evento" tschumiano. Sarebbe come dire che l'arte puo' essere solo psichedelia.
Per non uscire dal tema direi che le biennali continuano a registrare questo profondo stato di spaesamento, e nel caso di Next, si aggrappa alla costruzione come ultimo elemento di realta' per una disciplina che diventa ogni giorno piu' vuota.
Tutti i commenti di enricogbotta
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13/9/2002 - Sandro Lazier risponde a enricogbotta
Caro enricogbotta.com
Non sono del tutto convinto che lei abbia letto quello che ho scritto. La sua veemenza nel mandare tutto al macero probabilmente non le ha concesso di riflettere a sufficienza.
Quindi ripeto: in biennale ci sono ottime architetture (altro che stato penoso e altre generiche considerazioni che lei dice);
ma, ad essere rigorosi, non mi ha convinto il modo con cui sono state esposte. Non si discute il cosa ma il come.
Grazie al cielo, oggi, si fa e si vede ottima architettura!
A disprezzarne o ignorarne il senso sono rimasti in pochi: quelli che in questa vedono la dissoluzione del loro potere e privilegio e quelli che d’architettura capiscono poco o nulla.
Scelga lei dove vuole stare.
Commento
182
di Marco Brizzi
del 10/09/2002
relativo all'articolo
L'Italia e i soliti italiani. Anche Sudjic s'adegu
di
Paolo G.L. Ferrara
caro Paolo
anzitutto, per criteri di obiettivit, permettimi di ridimensionare gli onori e gli oneri tributati alla struttura di ARCH'IT.
Quanto ai pungoli che hai usato per sollecitare maggiore incisivit da parte mia e dei miei ospiti, ti sono grato. Abbiamo punti di vista vicini sul tema in questione. Tuttavia, come ti accennavo a voce in quella splendida sera veneziana, ARCH'IT ha scelto gi da qualche mese di non affrontare direttamente il caso della Mostra di architettura della Biennale di quest'anno.
La ragione di questa scelta non sta certo in una forma di valorizzazione del silenzio (eventualit peraltro mirabile), quanto nella presa di coscienza che i problemi che si sono evidenziati in occasione dell'ultima Biennale erano, nella loro complessit, troppo grandi per noi. O comunque troppo articolati per essere affrontati con una semplice invettiva, oppure con azioni-tampone operate a margine, dagli esiti incerti se non addirittura controproducenti.
Animati da queste ragioni abbiamo preferito avviare su ARCH'IT qualcosa che tendesse non tanto a discutere le debolezze o le devianze di questa mostra, quanto a riflettere ad ampio raggio sulle condizioni di una trasformazione di maggiore portata -tale ci sembra quella attuale- all'interno della quale individuare e indagare problemi che hanno a che fare con le esposizioni d'architettura.
Un fare pi analitico, se vuoi, ma forse pi adatto a comprendere le ragioni di un sistema, quale quello espresso dalla mostra, che difficilmente pu essere colto e affrontato attraverso delle forme di protesta diretta.
Sono sicuro di farti piacere, comunque, nell'annunciarti che altri interventi si succederanno sulle pagine di ARCH'IT nel tentativo di mostrare ed eventualmente spiegare alcune delle contraddizioni emerse anche in quest'ultima anomala e per molti insoddisfacente esposizione veneziana.
Marco Brizzi
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10/9/2002 - PaoloG.L.Ferrara risponde a Marco Brizzi
Chiarissima la tua risposta, in linea con lo "stile Arch'it" che, non a caso la rivista on line per eccellenza (nessun buonismo:lo ripeto perch lo penso realmente; del resto, non credo mi si possa accusare di non dire quel che penso...).
Tirare di fioretto sicuramente pi elegante ( e forse un p pi sadico nel colpire l'avversario...lentamente) che non la sciabola, soprattutto se si hanno "atleti" di pregio.
Dichiarare apertamente il mio dissenso sicuramente una sciabolata, ma non data a caso. Una forma di protesta diretta che serve a non lasciare sopire le reazioni negative su alcuni aspetti fondamentali della questione.
Sar felice e curioso di leggere quanto avete programmato. Grazie.
Commento
180
di Pushkar Chitravanshi
del 09/09/2002
relativo all'articolo
Enzo Mari
di
Gianni Marcarino
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178
di Roberto Dulio
del 17/08/2002
relativo all'articolo
Sassolini nella scarpa di Purini
di
Paolo G.L. Ferrara
Egregio architetto P. G. L. F.
Sarò breve e diretto. Ho sperimentato due grandi sventure. Una è ormai quasi antica: frequentai un corso al Politecnico di Milano in cui Lei era assistente. L'altra è più recente: ho assistito all'incontro di cui Lei parla a Firenze, soprattutto ho assistito ai suoi vaneggiamenti. Diversamente da Purini io sospetto che Lei di libri di Zevi ne abbia letti anche troppi, ma uno in maniera più superficiale dell'altro. Leggere significa anche riflettere, capire, contestualizzare. Tre parole di cui, mi sembra, Lei ignori l'esistenza. Non è raschiando la superficie delle cose che se ne coglie il senso. Non è ripetendo qualche frase enfatica e tonante di Zevi che se ne possono cogliere ricchezza e complessità. Gli atteggiamenti come il suo sono più di danno che di aiuto a chi tenta di capire chi fu Zevi, quale fu il suo ruolo e quali sono stati i suoi pregi e i suoi limiti.
Mi ritengo una persona mite, e quanto scritto fin qui mi sembra anche troppo. Ma non sono riuscito a trattenermi leggendo questo suo vecchio(e altri piu nuovi) interventi.
Roberto Dulio
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177
di claudio bonicco
del 15/08/2002
relativo all'articolo
Marmellata Italiana alla Triennale
di
Paolo G.L. Ferrara
Caro Sig. Ferrara,
il suo articolo mi stato inoltrato da una persona che ha il duro compito di scrivere l'editoriale di "NOMADISMI, 10 contributi provinciali + 5 tracce nazionali su architettura e paesaggio", un libro di prossima edizione a cura del sottoscritto e Roberto Garelli.
Questa persona Fabrizio Gallanti e, nella prima bozza che mi ha inviato un paio di settimane fa, si era espresso in termini molto simili ai suoi in proposito all'attuale stato dell'architettura in Italia, chiedendosi quali potrebbero essere le strade da prendere.
Alcuni "giovani" (Boeri, Costantini, De Cecco, Scupelli e Jodice) incontrano e si confrontano con il lavoro di altri giovani pi giovani di loro.
I contenuti del libro sono fondamentalmente progetti con testi: forse un po' azzardato definirle vere e proprie riflessioni "teoriche", ma sicuramente rappresentano un passo nella direzione in cui noi giovani architetti (io sono + giovane della generazione di cui lei scrive) dovremmo muoverci.
Nomadismi ha radici ibride, nell'Europa contemporanea come in alcune delle cose che i maestri ci hanno lasciato, e rappresenta (dal contenuto, al progetto editoriale, alla grafica e alla comunicazione, alla sensibilizzazione sull'importanza del parlare di architettura non solo con gli architetti, ma anche con chi vive le citt e i territori) uno sforzo per provare a guardare avanti, per esplorare quelle che potrebbero diventare le nostre strade di progettisti/critici/comunicatori/divulgatori.
E' un futuro di cui si sa solo che sar sempre meno possibile e proficuo rimanere arroccati su posizioni rigide e bisogner invece imparare a mettersi continuamente in gioco, confrontandosi con i milioni di domande di progetto che il vivere contemporaneo ci pone.
Una domanda in particolare mi ha colpito: quanto ai politici interessa l'architettura e agli architetti la politica?
Credo sia questa la risposta fondamentale da cercare per capire cosa ci si possa aspettare a voler fare l'architetto in Italia.
Per quanto mi riguarda mi interessa solo l'architettura.
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176
di Carlo Sarno
del 05/08/2002
relativo all'articolo
Lettera per il moderno
di
Sandro Lazier
Caro Sandro, sono d'accordo sulla differenza sostanziale tra funzionalit e necessit, sul senso etico e veritiero nell'intenzione dell'architettura moderna, sullo sforzo compiuto da Le Corbusier, Frank Lloyd Wright ed altri per una architettura libera, democratica adatta all'uomo di oggi.
Per quando ti riferisci alla poetica, alla scarsa rilevanza del rapporto bello/brutto, qui non condivido. Il bello, il buono e il giusto sono tre categorie universali che interagiscono per amonizzare il rapporto dell'uomo con il creato, ed in particolare l'architetto con la natura (penso ad esempio alla teoria arcologica di Paolo Soleri).
A tal riguardo ho ripreso un brano di un mio articolo e che spero poi andrai a leggere per intero sul website Buildlab.
Cordialmente, e sempre grazie per le riflessioni che promuovi per una buona architettura (Bruno Zevi sarebbe felice di sentirti!). Ciao Carlo.
"...L'alto valore etico dell'arte, massima espressione del linguaggio, annienta la funzione decorativa e cancella le categorie del "bello" e del "brutto" che inattuabili razionalmente perdono ogni loro significato ed efficacia. Tutta l'arte del novecento ha concepito il proprio ruolo in funzione etica. In particolare l'architettura ne ha fatto un credo nel quale la liberazione dal pregiudizio e dal privilegio di pochi ha assunto nel manifesto del razionalismo la sua massima espressione. Se si dimentica la profonda e appassionata sincerit di questa intenzione, non solo non si capiscono la modernit e la nostra condizione attuale, ma non si capisce nemmeno la storia passata...." Sandro Lazier
"...Mi riferisco ad un libro su "Pio IX e l'Immacolata" di monsignor Michele G. Masciarelli e sulla questione della 'bellezza che salva', cos scrive: " Salver il mondo solo la bellezza redenta: quella che sorge dallo Spirito ed apparentata con le ultime realt; essa opera una coincidenza tra l'esperienza estetica e quella religiosa. Cos la bellezza dell'Immacolata Nella bellezza dell'Immacolata compatibile la bellezza dell'intera umanit Siamo invitati a imitare questa bellezza perseguendo la vittoria della verit sulla menzogna, dell'unit sulla divisione, della carit sul disamore, della grazia sul peccato ".
Laura Boccenti cos parla della bellezza nel suo articolo pubblicato sul numero di maggio di questo anno della rivista di apologetica Il Timone:" Sempre la bellezza richiamo all'assoluto perch in essa si sperimenta la 'luminosit' dell'essere e nello splendore dell'essere brilla la gloria di Dio ". " tratto dall'articolo "la bellezza architettonica tra natura e spirito" di Carlo Sarno pubblicato sul portale di architettura buildlab ,per vedere l'articolo l'indirizzo web : http://www.buidlab.com/article/133
Tutti i commenti di Carlo Sarno
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5/8/2002 - Sandro Lazier risponde a Carlo Sarno
Caro Carlo Sarno,
la compagnia platonica del bello, buono e giusto è stirpe che, purtroppo, non ha un patrono imparziale cui fare riferimento. Sono “universali” di cui, grazie al cielo, l’umanità è riuscita a liberarsi con grande fatica, malgrado la perfezione del buon dio, della natura e della storia.
Tra l’altro, mangiarsi il proprio dio come fanno i cristiani, non è né bello, né buono, né giusto, ma può essere mirabile e convincente se la messa in scena coinvolge emotivamente le folle nella promessa di una vita eterna.
Ovviamente non critico la fede, né i fedeli. Mi intriga la liturgia.
La guerra non è né bella, né buona, né giusta. Ma "liturgicamente" ci sono fotografie e filmati che la ritraggono in modo sublime. Come sublimi possono essere le sue macchine mortali.
L’espressione artistica, a mio vedere (ma è pensiero che si perde nella notte dei tempi) è strumento delicato che può giustificare “esteticamente” anche le intenzioni meno nobili. Nella storia non c’è tiranno che non abbia legittimato e vestito il suo privilegio con capolavori artistici.
Perciò non è vero che una cosa bella sia, automaticamente, anche buona e giusta. Così come non è vero che una cosa ingiusta, o cattiva, possa non essere bella. Per questa ragione credo che il “bello” sia una strategia (un modo di esprimere con segni) e non una categoria. L’arte astratta non è né buona né giusta. E’ astratta, perché è solo segno (= significazione). Il resto è vecchia metafisica, che vuol dire assoluto, natura, dio. Che sono altra cosa.
Commento
175
di Oreste Palamara dei d'Altavilla di Sicilia
del 31/07/2002
relativo all'articolo
Il triangolo no...
di
Paolo G.L. Ferrara
"Tombe degli Avi miei, ultimo avanzo di una stirpe infelice......"
LA VARA
UNA REQUIEM PER MESSINA
IL PONTE SULLO STRETTO
L' OTTAVA MERAVIGLIA DEL MONDO
I costi per la realizzazione del ponte sospeso e degli allacci alle reti autostradali esistenti in Sicilia e Calabria ammontano a .7.143.000.000.000 (IVA esclusa)
La Mitsubishi Heavy Industries LTD ha, con una lettera dintenti alla societ di diritto pubblico Stretto di Messina, manifestato il proprio interesse a partecipare, sia in qualit di costruttore che di finanziatore, alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, opera definita, dagli stessi Giapponesi, come uno dei pi grandi progetti dellinizio del XXI secolo sia dal punto di vista tecnico che finanziario. Poich questa citt in mano alla classe dirigente pi ottusa, che ha solo saputo conquistare, per essa, il record della citt pi degradata d' Italia, non abbiamo alcuna speranza. Infatti. IL PONTE SI FARA.
Sentiamo sempre i candidati di Messina promettere ai messinesi che "il ponte si far". Questa sembra a me una terrificante minaccia.
Infatti il ponte sar costruito con capitali forestieri, spesi quasi interamente per forestieri. Non saranno certamente messinesi le ferriere, n gli operai specializzati, n i tecnici specializzati. A Messina rester quasi nulla.
Poi si dovr pagare il pedaggio, da mandare all' estero, ai finanziatori. I Messinesi perderanno il contributo che prima incassavano con gli altri mezzi, quando si diceva: "UORA UORA ARRIVAU U FERRIBOTTY" e l odiato, rumoroso camionista, sofferente per le lunghe attese, pagava il dovuto pedaggio e consumava il sudato panino. Di queste briciole viveva il messinese!
Quando finalmente ci sar il ponte, i messinesi si accorgeranno che essi stessi non possono servirsene; infatti, per varcare 3 km. di mare, dovrebbero farne altri 80 di svincoli in entrata ed uscita.
E il turista?: Il turista che avr percorso questa ottava meraviglia (o ottava calamit), ed avr gi superato Messina per oltre 22 km., con gli svincoli verso Catania o verso Palermo, perch dovrebbe tornare indietro per fermarsi a Messina?
Ma, del resto, i messinesi preveggenti, amministrati da lungimiranti amministratori, hanno gi abbattuto tutti gli alberghi; hanno gi eliminato tutti i cinema; hanno gi chiuso il famoso salotto di Irrera; hanno gi eliminato le industrie; hanno gi cancellato le prestigiose firme del viale dello struscio. In compenso, hanno gi risuscitato il tramvai, e forse presto risusciteranno anche i deliziosi carretti siciliani ed i classici carri matti; e forse pure rispolvereranno i pantaloni di velluto e le coppole.
Quando i Messinesi perderanno un miliardo al giorno, corrispondente agli incassi dei traghettamenti, sotto la Madonnina del porto si potr riscrivere, cos aggiornato, il celebre messaggio della lettera di Maria:
REQUIEM AETERNAM
VOBIS ET IPSAE CIVITATI
E ALLORA ?
Allora, con . 7.143.000.000.000 (IVA esclusa) potremmo fare, in alternativa opere come quelle indicate nello specchietto seguente, pur se redatto in modo approssimato e faceto:
N OPERE Quantit Prezzo COSTO
1
ALLOGGI
10.000
300.000.000
3.000.000.000.000
2
PENSIONATI PER VECCHI
10
15.000.000.000
150.000.000.000
3
DAY HOSPITAL
10
15.000.000.000
150.000.000.000
4
ALBERGHI
10
35.000.000.000
375.000.000.000
5
RESIDENCES TURISTICI
25
15.000.000.000
150.000.000.000
6
PORTICCIOLO TURISTICO
1
50.000.000.000
50.000.000.000
7
IMPIANTI SPORTIVI VARI
15
10.000.000.000
100.000.000.000
8
IMPIANTI INDUSTRIALI VARI
25
15.000.000.000
150.000.000.000
9
IMPIANTI PER LO SPETTACOLO
12
15.000.000.000
180.000.000.000
10
SCUOLE
20
30.000.000.000
600.000.000.000
11
CENTRI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE
25
20.000.000.000
500.000.000.000
12
OPERE PORTUALI
2
40.000.000.000
80.000.000.000
13
OPERE AUTOSTRADALI
3
30.000.000.000
90.000.000.000
14
OPERE FERROVIARIE
2
50.000.000.000
100.000.000.000
15
RESTAURO OPERE URBANE
25
10.000.000.000
250.000.000.000
16
CREAZIONE IMPRESE PER GIOVANI
30
10.000.000.000
300.000.000.000
17
OPERE PER ASSISTENZA SOCIALE
20
10.000.000.000
Tutti i commenti di Oreste Palamara dei d'Altavilla di Sicilia
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173
di Carlo Sarno
del 27/07/2002
relativo all'articolo
Le regole linguistiche tratte dalle eccezioni
di
Renato De Fusco - Zevi
Renato De Fusco un gigante nel campo della linguistica semiotico-strutturale dell'architettura e lo scontro con il gigante Bruno Zevi che opta per una linguistica storico-empirica inevitabile.
Secondo me questa volta non c' un vinto e un vincitore ma le loro posizioni sono valide entrambi per la costruzione di una linguistica architettonica come metodo operativo per leggere la storia e servire da strumento per la progettazione.
Renato De Fusco nel suo libro "Segni, storia e progetto dell'architettura",
il cui titolo gi un programma, scrive :"...il nostro parlare di storia
presuppone una integrazione del metodo storico con quello strutturale...lo storicismo cui ci riferiamo accantona la problematica ontologica per porsi come metodologia scientifica, tutta rivolta alle sue implicazioni operative e verificabile dall'efficacia delle sue realizzazioni...".
Nel suo libro De Fusco verifica sul campo della storia la sua teoria
esaminando opere sia paradigmatiche (ovvero eccezionali rispetto ai codici vigenti) e sia emblematiche (cio ben inserite in un contesto linguistico).
La teoria di De Fusco non esclude , come sembra voglia dire Zevi, il
messaggio eccezionale, l'opera unica e poetica, che come dice giustamente De Fusco resta pur sempre un messaggio.
L'elenco come azzeramento pu avvenire solo dopo una consapevolezza dei codici vigenti, e quindi una loro lettura strutturale e sistemica e non solo empirica.
Poi per quanto riguarda la validit di un approccio teorico e non solo
empirico mi ritorna in mente la teoria della relativit di Einstein che fu
convalidata solo dopo alcuni anni dall'esperienza.
In conclusione, l'approccio semiologico-strutturale di Renato De Fusco
ancorato alla storia lo trovo molto valido per la lettura ed una ricodificazione innovativa dell'architettura, d'altra parte le invarianti di
Bruno Zevi di un nuovo linguaggio dell'architettura, che come giustamente dice ha radici antichissime e profonde nella storia, le trovo anch'esse utilissime per una comprensione di opere che altrimenti resterebbero incomprensibili per i codici istituzionalizzati.
I metodi dei due giganti sono diversi ma il fine lo stesso: SAPERE LEGGERE E PROGETTARE UNA BUONA ARCHITETTURA!
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174
di Sandro Lazier
del 27/07/2002
relativo all'articolo
Le regole linguistiche tratte dalle eccezioni
di
Renato De Fusco - Zevi
La posizione di De Fusco specifica di chi vuole sottomettere alle osservazioni e tautologie tipiche di ogni sistema formale la necessit di capire e comunicare i fatti, con il rischio, ovviamente, di escluderli quando non appaiono comunicabili. Come se gli uomini, senza nozioni di ottica, non potessero vedere.
La posizione di Zevi opposta e filosoficamente attualissima. Il corredo scientifico tendente a dimostrare la validit della sua teoria strumentale e non fondante rispetto al fatto che l’architettura, bene o male, comunque parla e occorre capirla e comunicarla.
Ma vediamo in dettaglio.
De Fusco dice essere una lingua l’insieme di norme condivise che permettono la comunicazione e analizza il rapporto norma-invariante tenendo presente che “… ogni forma di linguaggio si basa su un rapporto incessante di regole e innovazioni” e che, citando Mukarovski, le regole hanno senso se, da un lato non ammettono eccezioni e, dall’altro, se si pu pensare alla loro violazione (es: non ha senso una regola a Torino che disciplini il traffico marittimo perch non violabile: a Torino non c’ il mare). Una condizione, questa, che esclude dalla logica del linguaggio le invarianti zeviane in quanto fondate sulle eccezioni, quindi non pi violabili senza ricadere nel sistema di regole che, appunto, si vorrebbero violare. Altro problema che pone De Fusco riguarda il codice-lingua ovvero l’elemento che “… mette in forma un sistema di relazioni possibili dalle quali si possono generare infiniti messaggi” (U. Eco) che, detto pi semplicemente e relativamente all’architettura, dovrebbe contemplare quei segni elementari con i quali avverrebbe la costruzione di messaggi. Gli stessi, De Fusco, ritiene essere proprio le invarianti zeviane. In sostanza, le invarianti, essendo tratte da opere definite e complete, non sono in grado di produrre messaggi perch gi lo sono compiutamente. Manca, secondo De Fusco, quella caratteristica di astrazione che ha propriet di codice necessaria a produrre comunicazione. Un codice non un messaggio ma un segno che serve per formulare messaggi.
Inoltre, secondo De Fusco, l’empirismo storiografico da cui sono tratte le invarianti non basta a legittimare linguisticamente le antiregole zeviane perch, ammette egli stesso “… appena si entra in questo sistematico ordine di idee, si dissolve ogni sorta di empirismo, anche quello fondato sull’esperienza storica”.
Sembra abbastanza chiaro come, per De Fusco, le invarianti non siano che regole che hanno pretesa di agire al contrario e come, per tautologica simmetria, inclusione ed esclusione, regola e antiregola, abbiano lo stesso peso. Il formalismo, in questa logica, non produce che altro formalismo, distante dalla pratica empirica perch distante dalla realt.
L’approccio zeviano fondamentalmente opposto perch la metodica e la codifica, per Zevi, non sono fondanti ma strumentali. Egli dice: l’architettura mi manda dei messaggi; come posso tradurre e decifrare gli elementi che accomunano i testi pi significativi? Ne traggo storiograficamente e con il maggiore grado di astrazione i segni propriamente architettonici (e non linguistici) capaci di produrre nuovi messaggi. Non mi pongo a priori limiti formali; ricorrerei alla teoria del cavolfiore, se fosse necessario, quindi verifico formalmente che la tesi abbia un qualche significato.
Per Zevi esistono realt diverse e parallele. Una riguarda l’architettura e i suoi messaggi, l’altra il sistema formale che traduce questi i messaggi. L’una non cala nell’altra e viceversa. Questa doppia realt non un’idea bislacca. Basta, per esempio, pensare al rapporto tra realt fisica e realt statistica. La prima riguarda la concretezza degli individui, e dei fenomeni naturali. La seconda una realt formale (che si pu esprimere solo con numeri che sono un sistema formale) ma che riguarda concretamente la prima. La statistica dice che tutti gli anni, sulle strade italiane, muoiono per incidente X persone (dato tragicamente concreto) ma non dice chi, dove e quando, rendendo inapplicabile ogni possibilit di calare sugli individui questa realt numerica. Oppure, le statistiche sulla vita media, dicono che si pu vivere oltre gli ottant’anni. Ci non toglie che, come individui, possiamo morire a trenta.
Per questa ragione le invarianti, che sono un sistema di regole formali (empiriche e impure quanto si vuole)non vanno calate direttamente nella realt della progettazione – non sono altre regole – ma servono a verificare su un piano diverso la “modernit” di un testo liberamente scritto e libero da ogni subordinazione.
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163
di Carlo Sarno
del 14/07/2002
relativo all'articolo
Sulla linguistica architettonica
di
Giuseppe Samon - Zevi
"La presenza di Giuseppe Samon nella battaglia per il linguaggio moderno dell'architettura attesta la sua perenne giovinezza intellettuale, ed sommamente importante e significativa per i pi giovani. Adesso dobbiamo concentrarci sui fatti operativi, per riorientare i metodi di progettazione e l'insegnamento dell'architettura. Diffondere, popolarizzare un linguaggio anticlassico chiaro, democratico, che riazzera ogni formalismo e perci non pu mai ricadere nell'accademia; un linguaggio idoneo alla comunicazione quotidiana come massimo atto creativo, e quindi capace di incidere sulle strutture . Questa la sfida."Bruno Zevi
Io credo che un punto di incontro tra Samon e Zevi avvenga sul piano della concezione della "STORIA COME METODOLOGIA OPERATIVA".
Giuseppe Samon , architetto di origine siciliana di venti anni pi grande di Zevi, nell'introduzione al suo libro "L'urbanistica e l'avvenire della citt" ad esempio dice chiaramente che per comprendere il pensiero urbanistico nella sua concretezza occorre comprenderne il suo svolgimento moderno, attraverso "...gli elementi formativi, i caratteri e i problemi fin dalle loro origini ottocentesche, facendoli scaturire dalle situazioni strutturali della societ e dell'ambiente che ne ha accolto e provocato lo sviluppo...".
Zevi nel libro "Linguaggio moderno dell'architettura" dice che :"... l'insegnamento dell'architettura va storicizzato perch il metodo storico il solo che consenta un riscontro scientifico e, prima ancora, una comunicazione di esperienze...".
Dove divergono Samon e Zevi, invece, proprio nel principio genetico del linguaggio moderno secondo Zevi, che comprende in s tutti gli altri : L'ELENCO COME METODOLOGIA PROGETTUALE.
Dice Zevi :"...L'elenco... nasce da un atto eversivo di AZZERAMENTO culturale che induce a rifiutare l'intero bagaglio delle norme e dei canoni tradizionali, a ricominciare da capo, come se nessun sistema linguistico fosse mai esistito, e dovessimo costruire, per la prima volta nella storia, una casa o una citt...".
Ecco quindi i due momenti della concezione teorica Zeviana: da una parte la storia come metodologia operativa, scientifica direi, che aiuta a leggere e comprendere il nuovo linguaggio dell' architettura , dall'altra parte abbiamo l'azzeramento culturale, il ricominciare da capo, l'unicum creativo e progettuale che origina un nuovo processo conoscitivo e generativo di un ignoto originale e innovativo.
Dall'azzeramento nasce un nuovo elenco 'risemantizzato' con nuove connessioni, una singolarit per dirla con la nuova fisica, un nuovo organismo architettonico rispondente ad un particolare locus, ad un particolare tempo e ad un particolare uomo , in maniera ottimale , senza forzature formalistiche.
Come dice Zevi:" ...gli spiriti autenticamente creativi hanno sempre azzerato...".
Carlo Sarno
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162
di enricogbotta
del 14/07/2002
relativo all'articolo
Antithesi e 'nuovi critici' di architettura
di
Paolo G.L. Ferrara
In riferimento al commento 161 di Mara Dolce
Io credo di condividere l'analisi fatta da Mara (se e' uno pseudonimo, complimenti e' molto sottile, ma magari e' solo un caso).
Anch'io ho criticato spesso alcune delle persone che correttamente Mara rende riconoscibili senza nominare. Le ho criticate direttamente, molte ho avuto modo di conoscerle personalmente. E se non li giustifico, capisco perche siano comunque spinti a correre il rischio di esporsi oltre le loro possibilita'.
Ho la fortuna di aver conosciuto personalmente anche molti esponenti della tanto denigrata accademia, la vecchia guardia dell'architetura tardo o post moderna italiana. E anche loro hanno le loro ragioni.
E' quindi inutile personalizzare le critiche, e sarebbe un errore confondere le critiche con livore o astio personale (l'essere umano merita sempre un po' di compassionevole benevolenza), ma delle critiche vanno comunque mosse.
Non giustifico chi pur conscio di non avere le capacita' necessarie si avventura in terreni impervi, difficili per molti, troppo difficili per la maggioranza. Pero' e' un atteggiamento che capisco, perche' e' il risultato di una situazione stagnante della cultura italiana, della chiusura dei circoli intellettuali, dello strapotere di un'oligarchia/monopolio in campo editoriale ed accademico.
Facendo un paragone storico (visto che e' il 14 luglio) la rivoluzione francese era mossa da grandi ideali condivisibili, giusti. Le modalita' con cui si e' sviluppata pero' non e' stata certo priva da pecche. E la classe dirigente distrutta dalla rivoluzione era forse ingiusta, forse corrotta, ma era capace. Per diversi anni la classe dirigente impostasi dopo la rivoluzione ha dovuto assestarsi, passando da picchi di eccellenza ad abissi di abominio.
Una rivoluzione credo sia necessaria (fatte le debite proporzioni), perche' la classe dirigente attuale e' troppo arroccata nei suoi privilegi e troppo corrotta. Purtroppo, come quasi sempre succede, i migliori si fanno i fatti loro indipendentemente da tutto e da tutti. Per tutti gli altri, dopo qualche anno di assestamento forse arriveranno i vantaggi.
Quindi do atto alle persone velatamente citate da Mara di lavorare per questo cambiamento con abnegazione, ma credo anche che non sia un motivo sufficiente per giustificare la mancanza di preparazione, troppo spesso tollerata o, peggio, incentivata.
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14/7/2002 - Sandro Lazier risponde a enricogbotta
Caro E. G. Botta,
contrariamente a te non condivido cosa dice Mara Dolce.
Essere critici non un titolo nobiliare da vantare nei salotti, ma un dovere di tutti coloro che hanno un cervello e tentano di farlo funzionare autonomamente. Chi non accetta la critica e, soprattutto non legge libri chi nega la necessit di proporre il proprio pensiero e la propria azione al giudizio degli altri, non ha praticamente capito nulla degli ultimi tremila anni di storia della civilt occidentale. Altro che cultura architettonica, qui si tratta di fondamenti.
Mi spiace, ma il soliloquio cui siete condannati, in assenza di serio confronto, si decorer ingenuamente e continuamente di strafalcioni come quelli sulla rivoluzione francese che ci hai appena proposto.
Tra laltro, spiritosamente attuali.
L'architettura? Viene dopo, molto dopo.
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161
di Mara Dolce
del 14/07/2002
relativo all'articolo
Antithesi e 'nuovi critici' di architettura
di
Paolo G.L. Ferrara
Fino a quando nelle facolt di architettura di questo paese, sar pi importante che un aspirante docente di progettazione architettonica, abbia scritto un libro invece che aver tentato di realizzare un'architettura,ci saranno architetti incapaci di fare il loro mestiere. Io credo che una critica che non produce architettura sia una critica fallimentare, e che fare critica senza partire dall'architettura sia sociologia.
Perch bisogna prendere le distanze dai sedicenti critici?
Perch fino a quando scrivono in web, parlano a convegni e fanno salotto, tutto bene, ma c' qualcuno che poi li prende sul serio e li invita in una giuria di concorsi di architettura, come purtroppo gi sta accadendo. I "nuovi critici" non sono preparati e non sanno quasi niente di architettura.
Diversi Esempi: l'emergente e gettonato critico milanese che ha scritto recentemente un articolo di critica su Abitare, su un ottimo progetto di una stalla nel nord Italia, realizzata da un giovane architetto italiano; stato incapace di comprendere la qualit dell'architettura che aveva davanti, si limitato a fare la storia delle stalle in Italia. Conclusione: forse qualcosa in Italia sta cambiando, forse c' una produzione architettonica di qualit ma i nostri critici non sono in grado di capirlo e comunicarlo. Il giovane critico in questione ha altri meriti, perch si ostina a voler scrivere di argomenti che ignora?
Sul versante critica che anticipa i tempi, altro esempio di emergente
critico che si autodefinisce in un colpo solo e con grande effetto comico:
cyberarchitetto, esperto di transavanguardie e critico di architettura, scrive in web : (.)" Basta con gli edifici, i cubi, le scomposizioni, i blob.Progettiamo l'incostruibile, l'immateriale, l'invisibile: lo spazio puro e semplice. Progettiamo la convergenza tra organico e inorganico.Tra il corpo prostetico del cyborg e la sensibilit elettronica del costruito. Progettiamo nuove zone di spazio capaci di risvegliare la nostra capacit percettiva. Proviamo, ogni tanto, a guardare la realt col sonar di un pipistrello. E a pensare che forse possibile costruire nuove forme di paesaggi. Sonori, liquidi, vegetali (.)"
Sembrerebbe il manifesto verboso di un entusiasta studente del primo anno di architettura, invece poi si scopre che il "critico" in questione viene invitato a convegni e tavole rotonde proprio in qualit di critico di architettura!
Per la serie critici a tempo perso, si legge in web il curriculum di un altro emergente critico, super invitato a qualsiasi cosa che tratti di architettura(.) "Si interessa distrattamente di problemi di storia e critica dell'architettura, dei rapporti tra innovazione tecnologica e progetto, con particolare attenzione alle nuove tecnologie di comunicazione". (.)Sarebbe interessante sapere di cosa non distrattamente si interessi, visto che comunque, ovunque, sempre presente, ma senza mai parlare veramente di architettura.
Avete notato come si muovono queste carovane di critici? In gruppo, compatti ,sempre gli stessi, in coppie fisse o in santissime trinit, qualunque sia il tema del dibattito sono presenti. Spregiudicati, parlano: che si tratti di video di architettura, di recupero di centri storici,di cartoni animati, o per intervenire o per moderare,loro ci sono e parlano, spesso a vanvera e mai che si tirino indietro.
Cari Lazier e Ferrara, voi credete che l'architettura parta dalla critica, io fortunatamente no.
Un saluto
Tutti i commenti di Mara Dolce
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14/7/2002 - PaoloG.L.Ferrara risponde a Mara Dolce
No, non credo che l'architettura parta dalla critica. Se dico che il critico deve essere capace d'anticipare pur se solo di un millesimo di secondo l'architettura, intendo dire che egli deve avere la preparazione e l'intuito di capire l'architettura, sia essa classica, anticlassica, e quant'altro. Ma ribadisco: critica e progettazione devono essere collegate, devono interagire.
Facoltà di architettura: assolutamente d'accordo. Cosa facciamo per cambiarle? L'università è degli studenti, che hanno l'assoluto diritto di ricevere una preparazione come si deve. Questo è il mio "credo" e per esso mi sono battuto a mie spese, pagando le conseguenze delle mie proteste. Ma questa è un'altra storia. Però sarebbe interessante che gli studenti si ribellassero seriamente, protestando ufficialmente per l'impreparazione dei docenti (rimando agli articoli nella sezione di antithesi "Università").
Si prende sul serio solo chi si stima, ma per stimare si deve avere personalità; se si prendono sul serio i sedicenti critici, significa che non si ha la capacità di ragionare con la propria testa.
No, non credo che l'architettura parta dalla critica: credo che partano entrambe dall'onestà intellettuale di chi le fa.
Commento
160
di Davide Crippa
del 14/07/2002
relativo all'articolo
Linguistica: che confusione
di
Sandro Lazier
Caro Sandro,
veramente un'ottima idea!
Leggero con curiosit ed entusiasmo questa
serie di articoli sperando di riuscire ad interagire
al pi presto a questo acceso dibattito.
Davide Crippa
(Gruppo Ghigos)
Tutti i commenti di Davide Crippa
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14/7/2002 - Sandro Lazier risponde a Davide Crippa
Veramente la paternità dell'idea è tutta di Paolo G.L. Ferrara al quale va il merito di essersi ricordato degli articoli proposti.
Ovviamente, condivido in pieno e ne sono entusiasta.
Commento
156
di enricogbotta
del 13/07/2002
relativo all'articolo
Sette invarianti? Forse nessuna...
di
Sandro Lazier
A me sembra che se si parlasse un po' meno di Zevi ne trarremmo tutti vantaggio, lui per primo. Mi rendo conto che dirlo qui e' un po' come bestemmiare in chiesa, tuttavia, dato l'amore per il contradditorio, una chiesa e' forse l'unico posto dove valga la pena bestemmiare.
Allora, il fatto che le "sette invarianti" siano o non siano una teoria mi sembra veramente una speculazione intuile. Fosse anche vero che nelle intenzioni di Zevi si trattasse esclusivamente di uno strumento interpretativo (cosa che stento a credere), questo non toglie che de-facto produca una teoria. L'estrapolazione di principi, infatti, da elementi esistenti produce la possibilita' di creare nuovi elementi che su questi principi siano basati... cioe' produce una teoria.
Detto questo mi ricollego ad un altro articolo sui critici contemporanei e ad alcuni commenti a seguito di quel testo. Se e' senz'altro legittimo apprezzare Zevi per l'intenzione rinnovatrice che lo muoveva, credo che numerosi dubbi si possano sollevare sugli esiti effettivi che la sua "azione" ha prodotto in campo architettonico. Questo perche' per essere benevoli e' meglio tacere le sue opere, su cui stenderei un velo pietoso. Basandosi sui progetti radatti da Zevi uno porterebbe anche essere indotto a pensare che come architetto fosse completamente negato. I piu' maliziosi potrebbero perfino sospettare che questa foga nel combattere l'accademia non fosse motivata che dall'invidia verso colleghi piu' talentuosi. Chissa'.
Limitandoci all' "opera-scripta", che cosa ha prodotto (oltre ovviamente a molte discussioni su antithesi...)? Ha prodotto (non mi se ne voglia) i complessi turistici balneari a forma di emiciclo di Sarno Architetti o le case sghembe (e qui dopo aver bestemmiato in chiesa me la prendo pure col prete...) di Sandro Lazier?
Qualcos'altro di cui non sono a conoscenza?
Per concludere: la democrazia. Questa cosa che le facciate in pietra sarebbero autoritarie e quelle in vetro democratiche, che l'ordine e' autoritario, il caos e' democratico etc etc e' (e qui cito...) "una cagata pazzesca". Per altro, ricordate il palazzo dove il personaggio (Rag. Ugo Fantozzi per chi non avesste colto...) che ho citato lavorava democraticamente sfruttato? E poco cambia se un edificio, che so... abusivo o costruito con le tangenti e' rivestito in pietra o vetro... anzi quelli di solito sono in vetro apposta per "apparire" democratici e, di solito, hanno molto di piu' da nascondere di quello che mostrano...
E poi scusa la tua affermazione (Sandro Lazier) che le finestre si dovrebbero aprire a seconda di dove uno vuole guardare, sono d'accordo ma... chi e' questo "uno"? L'architetto? Se non l'architetto chi, il committente? la moglie del committente? la suocera? il nipote? chi? E se non e' l'architetto, perche' mai dovrebbe essere lui a decidere dove vanno le porte? o le fondazioni? o gli scarichi? o tutto quanto il resto? perche la casa non se la fa direttamente il committente mettendosi d'accordo (se mai fosse possibile) con la moglie la suocera e il nipote?
Se fosse cosi vorrebbe dire che Wright e Zevi postulavano o 1) la sparizione della figura dell'architetto e dell'architettura come disciplina a favore di un democratico disordine idillico e vernacolare, o 2) la progettazione collettiva (ah ah ah mi ce lo vedo Wright a negoziare l'altezza dei soffitti coi commitenti, o Zevi a conviencere una vecchina che una casa con le finestre non ordinate e' bella lo stesso).
Siccome non si da nessuno dei due casi come mi risolvi (Sandro Lazier) questo piccolo problema logico?
Zevi diceva che tutte le scelte hanno pari dignita' (in realta' una cosa del tipo "le scelte sono tutte uguali ma alcune sono piu' uguali di altre", ma vabbe'...) e questa, se mi e' permesso e' una grossa banalita', perche ammesso e non concesso che tutte le scelte abbiano la stessa dignita' una scelta, ad un certo punto, bisogna pur farla (a meno che non si decida di parlare e basta senza mai costruire un fico secco...) chi la fa e perche' la fa sarebbero cose forse meno banali da discutere.
Concludendo veramente, per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, condivido l'indignazione di Sandro Lazier (anche se credo la sua indignazione fosse limitata alla parte su Zevi) per il testo di ma0 su Arch'it: chiamarlo "marmellata" e' senz'altro indice di beneducazione. Il testo (come il commento aggiunto qui da Alberto Iacovoni) credo sia ulteriore testimonianza di uno sport, di cui per altro in italia vantiamo diversi campioni mondiali, che e' quello di scrivere una ridda di scemenze e/o banalita' (... e pubblicarle su Arch'it) pero' messe in un modo che potrebbero sembrare, ad un lettore impressionabile, persino cose intelligenti. La cosa, secondo me preoccupante, e' che molti si bevono questi intrugli, diciamolo, di sonore cazzate come fossero oro colato.
Ognuno e' artefice del proprio destino.
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13/7/2002 - PaoloG.L.Ferrara risponde a enricogbotta
Anche a Enrico G.Botta giro la domanda fatta a ma0 : cosa, quanto e in che modo ha letto di Zevi?
Cosa, come e quanto conosce delle sette invarianti?
Zevi invidioso degli accademici? Stupidaggini: come poteva essere invidioso di ciò che condannava?
O, forse, invidia verso i grandi? Idiozie. L’azione di Zevi era mirata a rintracciare le valenze positive di tutta l’architettura, fosse quella della preistoria, di tutta la storia, di Le Corbusier, di Kahn, di Isozaki, di Pelli, di Siza, di Meier, di Gehry, di Piano, di Botta, di altri mille architetti, anche assolutamente sconosciuti.
Zevi negato come architetto? Tutto è possibile, ci mancherebbe. Però, caro Botta, credo che la tua critica vada approfondita. Riesci a scrivere un articolo critico su una delle architetture di Zevi e mostrarci il perché, secondo te, era negato? Attendiamo.
Se tu limiti la produzione zeviana alle sole numerose discussioni su antiTHeSi, bèh, non possiamo che esserne onorati. Fortunatamente, per chi la cultura desidera “farla”, non è così. Fortunatamente, non era così per Gropius, Le Corbusier, Kahn, Aalto, Wright, Utzon, e tanti altri con cui Zevi ha dibattuto sulla storia, sulla critica, sull'architettura. Comunque, non sta a me spiegare l’importanza di Zevi per la cultura: ne è piena la storia del XX secolo.
Lascio a Lazier tutto quanto concerne i riferimenti personali.
Concludo: avere dei riferimenti su cui ragionare significa essere pecoroni? bene, lo siamo, ma abbiamo l’umiltà di ammetterlo, dote che a te, caro Botta, manca a 360°, visti e considerati i commenti da pettegolezzo che fai, senza andare mai a fondo delle cose che affermi ( sia qui che su altri siti, dove impartisci lezioni di vita professionale a chiunque). A proposito d’invidia: leggendo i tuoi commenti ed il tuo curriculum su altri siti, credo che tu viva esclusivamente per mostrare agli altri (ai pecoroni) chi sei e cosa fai. Mostrarlo soprattutto ai campioni mondiali di quello sport di cui dici essere piena l’Italia, e di cui tu , se non ti deciderai a fare vera critica approfondita, entrerai con pieno merito a fare parte.
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158
di enricogbotta
del 13/07/2002
relativo all'articolo
Sette invarianti? Forse nessuna...
di
Sandro Lazier
13/7/2002 PaoloG.L.Ferrara risponde:
> Anche a Enrico G.Botta giro la domanda fatta a ma0 : cosa, quanto e in che modo ha letto di Zevi?
Non ho mai letto nessuno dei suoi libri (come non ho letto libri di nessun altro critico o architetto... solo qualche libro di storia)
> Cosa, come e quanto conosce delle sette invarianti?
Non le conosco. Ma nella discussione (che non vorrei protrarre oltre) come si e' sviluppata non credo fosse fondamentale, anche perch, ripeto, non mi interessa parlare di Zevi.
> Zevi invidioso degli accademici? Stupidaggini: come poteva essere
invidioso di ci che condannava?
Beh qui la saggezza popolare ti contraddirebbe... e comunque e' un'idea che ho riservato solo ai piu' maliziosi... semplicemente intendevo dire che Zevi, e credo sia stato un suo errore innegabile, ha esposto la validita' della sua lettura storico critica della prima meta' del XX secolo alla debolezza evidente del suo fare progettuale, un errore che gli architetti, se come tale vogliono essere ricordati, non possono permettersi. Perche' senno saremmo costretti a dire che anche Tafuri e DalCo sono architetti...
> Zevi negato come architetto? Tutto possibile, ci mancherebbe. Per, caro Botta, credo che la tua critica vada approfondita.
Io ho partecipato (con uno studio presso il quale ero "a bottega") ad un concorso della C.E.I per la progettazione di alcune nuove chiese e mi e' capitato di vedere il progetto di Zevi... tu approfondiresti la critica su quel progetto? Non che gli altri fossero meglio, ma qui stiamo parlando di Zevi e quindi...
> Riesci a scrivere un articolo critico su una delle architetture di Zevi e mostrarci il perch, secondo te, era negato? Attendiamo.
Non ci "riesco" per diversi motivi:
1. Come a me puo' sembrare negato per alcuni motivi, per gli stessi motivi puo' sembrare un maestro ad un altro, ed entrambe le posizioni sono legittime
2. Credo che un tale approfondimento, anche qualora provasse la mia tesi, non porterebbe nessun significativo vantaggio a nessuno, tantomeno a me.
Se si riuscisse a discutere temi anziche' persone/personaggi credo sarebbe piu' interessante. Quindi piuttosto di un approfondimento sulle 7 invarianti io ne proporrei uno sul ruolo dell'architetto nella progettazione architettonica. O sull'epistemologia in architettura... che ne so, ma non su tizio o caio a colpi di citazioni o con attribuzioni reciproche di ignoranza.
saluti,
enricogbotta.com
Tutti i commenti di enricogbotta
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13/7/2002 - PaoloG.L.Ferrara risponde a enricogbotta
Ok, chiudiamo il discorso su Zevi.
E quello sull'attribuzione d'ignoranza a tizio o caio (lo fai anche tu...?)
Proponi il tema del "...ruolo dell'architetto nella progettazione architettonica"? Bene, quando vuoi e come vuoi, dai tu l'input al tema, scrivendo. Senza alcuna ironia: pensa un p che proprio Zevi ha sempre tenuto questo tema in assoluta considerazione, a tutti i livelli. Comunque sia, caro Botta, aspettiamo realmente un tuo scritto da cui iniziare una discussione. Tra l'altro, gi tempo addietro ti avevamo chiesto un contributo. Nulla cambiato da allora: sei assolutamente il benvenuto.
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157
di Alberto Iacovoni.ma0
del 13/07/2002
relativo all'articolo
Sette invarianti? Forse nessuna...
di
Sandro Lazier
Incredibile, chi si aspettava di sollevare un vespaio simile.
Incredibile come l'ennesima ridda di scemenze e banalit che pubblica arch'it abbia sviluppato, ben oltre la questione se le 7 invarianti siano teoria o meno, strumento di lettura o scrittura, una serie di piccati e personalissimi palleggi tra i commentatori, gare tra cultori della materia, un fiorire di epiteti che in discussioni sull'architettura sembravano estinti....
L'impressione, sinceramente, e senza voler entrare nel merito delle numerose questioni sollevate dai commenti, che la pietra dello scandalo, come spesso accade, sia stata semplicemente un pretesto per una zuffa accademica ben poco interessante.
D'altronde non ci spiegheremmo altrimenti la strana condizione di trovarci d'accordo su molti punti degli interventi, salvo poi gustare qui e l, o tutta insieme in un bel finalino una palata di acidit -zeviane?- inaspettate.
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13/7/2002 - PaoloG.L.Ferrara risponde a Alberto Iacovoni.ma0
Nessuna zuffa accademica.
Alla vostra opinione si risponde con la nostra e, per cercare di uscire proprio dal "fare accademia", vi si chiede di approfondire, se non altro per dare ai lettori che non conoscono l'argomento la possibilit di capire, ragionarci, nel caso intervenire. La scusa della zuffa accademica rischia di volere coprire la ritirata.
Da parte nostra nessuna gara con nessuno: non c'interessano. Forse davvero non si capito lo spirito di antiTHeSI.
Prego specificare: gli epiteti sono di Enrico G.Botta, sono tali e, dunque, inutili. A lui potete rispondere. Noi lo abbiamo gi fatto.
Abbiamo comunicato anche alla redazione di Arch'it quanto stato commentato da Botta sul loro operato.
Ripropongo: lo farete il lavoro di rilettura del dibattito sulle sette invarianti?
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155
di Fausto D'Organ
del 12/07/2002
relativo all'articolo
Antithesi e 'nuovi critici' di architettura
di
Paolo G.L. Ferrara
Diceva B.Z. - [...]in architettura il valore artistico non si riflette in un valore economico, le case antiche e moderne si vendono ad un tanto a vano, e un edificio di Sangallo, Ammannati, Wright, Le Corbusier o Aalto non vale di pi per il fatto che la critica ha stabilito che si tratta di un'opera d'arte. Sul piano economico, dunque, esiste gi uno stato di non relazione tra cultura e vita[...] - poche righe che terminavano un periodo, un concetto, in cui B.Z. avanzava quella che per Lui era una cruda realt: di architettura i critici si interessano poco perch le loro parole (nel bene o nel male) su di essa non muovono interessi economici... Ma io, ragazzo degli anni '90, ora rifletto e m'accorgo che non cos!
Anzi, non pi cos... Perch posso anche accettare che ai tempi in cui B.Z. pronunciava le parole suscritte, le cose fossero proprio in quel modo, ma adesso... adesso non lo sono. Gi da qualche hanno sono nate le piattaforme propagandistiche: i nuovi critici d'architettura armeggiano con gli strumenti della comunicazione globale per diffondere idee, trasmettere coscienza, suscitare emozioni e... e sostenere "nomi". "Nomi": roba di cui B.Z. non parlava nelle succitate frasi. B.Z. aveva come oggetto di pensiero l'architettura "fatta" e trascurata, l'architettura "anonima" da riscoprire e imparare a vedere... I nuovi critici, oggi, fanno questo ...e fanno altro! Non si ammazzano soltanto per rendere democratico il messaggio architettonico, ma pubblicizzano persone e muovono interessi economici delineando traiettorie di pensiero collettivo, indicando ricette e cuochi. I nuovi critici stanno imparando dagli stregoni della pubblicit. Se oggi come oggi bastano pochi spots per farci innamorare di una margarina, pensate a come facile convincerci che un progettista potr fare meglio di un altro, che in una universit non c' un buon ambiente per crescere architetti e in un'altra s, che i pensieri di un Caio sono pi degni d'essere diffusi di quelli di un Sempronio... B.Z. non aveva pensato al fatto che un giorno, molto vicino, nuovi critici sarebbero stati capaci di muovere interessi economici non tanto su architetture gi fatte, ma sulle architetture che sarebbero state fatte. Ma alla fine ci che conta, potrebbe aggiungere qualcuno, che sia favorita la nascita e la crescita di architetture buone, che ci frega se le cose sono pilotate o no! Ma non ci vuole un Boy Scout per capire che cos non funziona! Cos non giusto! Non tutti hanno la possibilit di parlare con Carlo Massarini davanti ad una telecamera! Non tutti possono fare pubblicit ad automobili! Non tutti hanno l'aliena capacit di sfornare un libro al mese "stile Bruno Vespa". Dove va a finire la democrazia di cui si pensa sar fatta l'architettura di domani? ... Domanda. I nuovi critici, lavorano per noi o lavorano per altri? In attesa di risposta... continuo a cercare isomorfismi.
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12/7/2002 - PaoloG.L.Ferrara risponde a Fausto D'Organ
Siamo liberi di scegliere: leggiamo di tutti, ma introiettiamo solo chi crediamo ci possa realmente trasmettere cultura. Il resto spazzatura.
Tv, pubblicit, libri? Anche in questo caso, siamo noi a scegliere chi stimare e cosa prendere di buono. L'arma per difendersi dalle idiozie dei critici fasulli solo una: la preparazione.
A cosa miriamo? al successo mediatico o ai contenuti? Vogliamo fare successo? Vogliamo essere nelo star system affinch la gente pensi "che personaggio di successo!" ? Idiozie, spazzatura.
Studiare, studiare, studiare! Contenuti, contenuti, contenuti!
Il garante: di lui conta la moralit, l'etica, il che comporta che guardi a quello che vali e non al fatto che sei amico. Se sei un imbecille, non ti porter mai in tv e non ti far mai scrivere libri.
Autogarantiamoci! Resteremo puliti. Chi vale perennemente in crisi, ma sa trasformarla in valore, usando i propri valori morali ed etici.
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154
di Carlo Sarno
del 12/07/2002
relativo all'articolo
Sette invarianti? Forse nessuna...
di
Sandro Lazier
Bruno Zevi era un profondo conoscitore del pensiero e dello spirito di Frank Lloyd Wright, e mai sarebbe caduto nell'errore di cristallizzare in una teoria formalistica la poetica dei veri e creativi architetti.
Come dici bene Sandro, le sette invarianti di Zevi rappresentano uno strumento concettuale che "SERVE PER LEGGERE E NON PER SCRIVERE".
Frank Lloyd Wright ha sempre combattutto la tirannia dello stile come il maggior nemico della creativit in architettura. La sua architettura organica, come dice chiaramente nel suo libro "Testamento" , una architettura relativa all'uomo, al luogo e al tempo, tre variabili che cambiano continuamente da opera a opera.
Bruno Zevi, gi nel 1945, parla agli italiani in "Verso una architettura organica" di questo nuovo spazio organico, non stereometrico,geometrico, astratto, ma di uno spazio umano, che esprime la vita dell'uomo, la sua dignit, libert, espressione.
Inoltre Sandro, in America esiste una associazione Friends of Kebyar dei continuatori della poetica dell'architettura organica di Frank Lloyd Wright e Bruce Goff, e di cui anche io con lo studio Sarno Architetti faccio parte, che promuovono contro la tirannia di teorie formalistiche, rigide e disumane, la cosciente,innovativa ed originale creativit.
Nel sito americano di Friends of Kebyar campeggia tra le persone che hanno contribuito a liberare l'architettura da falsi preconcetti e mancanza di originalit la figura dell'italiano Bruno Zevi.
Carlo Sarno
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153
di Paolo G.L.Ferrara
del 11/07/2002
relativo all'articolo
Sette invarianti? Forse nessuna...
di
Sandro Lazier
Considerazioni sul commento n150
Caro Iacovoni, definendo le sette invarianti semplicemente quali una "teoria", dimostrate di non conoscerne n la genesi, n i significati. Dunque, rifarsi alla critica di Raggi pretestuoso perch non conoscete ci che egli criticava. Di pi: piuttosto che prendere a pretesto la critica di Raggi, dovreste rivalutare il vero significato delle invarianti, trenta anni dopo: nacquero con obiettivo provocatorio, non le invent Zevi, furono desunte dall'architettura stessa. In poche parole, volevano smuovere le acque, volevano essere un atto eretico che, come lo stesso Zevi diceva, serve a suscitare dissenso: "Se s'innescher uno scontro, avr raggiunto lo scopo: anzich parlare sino al tedio di architettura, finalmente parleremo architettura". E lo scontro lo innescarono davvero.
Detto ci, vi consiglio di leggere quanto venne fuori dal dibattito sulla linguistica, che "L'Architettura cronache e storia" pubblic nel 1974 e 1975 (dal n 223 in poi). Samon, De Fusco, Lina Bo Bardi, Michelucci, Koenig, Branzi, Leti Messina sono solo alcuni dei nomi che parteciparono al dibattito, pubblicando le loro considerazioni sulle sette invarianti. Considerazioni alle quali seguiva la risposta di Zevi.
Lo facciamo questo lavoro e magari poi lo commentiamo?
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152
di gabriele modena
del 09/07/2002
relativo all'articolo
Il triangolo no...
di
Paolo G.L. Ferrara
In risposta al commento 149
Conformismo? Senso del pudore? Eritema mentale? Demagogia e retorica puerile?
Il tutto per aver scritto che questo ponte mi sembra uno spreco di soldi inutile e che ci sono cose ben pi importanti da risolvere.
Cosa replicare?
Penso che l'espressione delle proprie idee sia comunque qualcosa degno di rispetto, criticabile certo, ma nei limiti del discorso che viene affrontato.
Gli insulti alla persona che scrive, il giudicare con grottesca ironia la sanit mentale (eritema mentale!) di questa persona, penso che sia (questo si) un atteggiamento molto puerile, oltre che violento e gratuitamente offensivo.
Posso avere opinioni diverse dalle sue, Lei pu criticarmele come meglio crede, ma non le permetto di giudicare me e di augurarmi nessuna pronta guarigione.
Ringrazio Antithesi per aver pubblicato il mio intervento, tranquillizzando il Sig. D'Organ che sar l'ultima volta che mi legger.
Sar pazzo ma non amo la mancanza di rispetto.
Gabriele Modena
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179
di Paolo Marzano
del 09/07/2002
relativo all'articolo
Firenze - Zevi Maestro di domani
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Allintellettuale Bruno Zevi.
di Paolo Marzano
Vorrei portare la mia testimonianza di un ricordo che ho, di una passione comunicativa del Professore che riescito a svegliare, con la sua dialettica un sentimento dappartenenza indissolubile dellarchitetto, alle fasi di trasformazione del mondo, caricandolo di responsabilit, accusandolo dindifferenza e proclamandone le vittorie, quando ne esistevano le indiscutibili prove.
Tanto tempo fa conobbi personalmente il Professore ad una conferenza alla presentazione del testo Linguaggi dellarchitettura contemporanea. Si tenne nellaula del Disegno, allAccademia del Disegno in Firenze il giorno 02/12/93.
Poi tempo dopo lo rincontrai nel salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio alla presentazione del Progetto per lalta velocit di Firenze il 06/04/98, era il coordinatore del gruppo di progettazione. Una stetta di mano forte e appassionata da chi, con assidua e ardua polemica si lanciava in discorsi dritti come lance e permeati di una concreta e pregevole cultura e articolazione intellettuale. Personalit autorevole che ha scritto pagine memorabili. Con le sue declamazioni di marinettiana memoria, comunicava una passione che ardeva e sprigionava energia positiva per noi che eravamo attoniti ascoltandolo e sperimentando quellelasticit mentale che i suoi interlocutori raramente seguivano per quanto vasto e importante era il suo spaziare, argomentando e saltando da un riferimento storico, alla verifica architettonica e al ricordo bibliografico. Fatti riportati con tanta facilit e con una lucidit mentale conseguente allallenamento letterario e alla preparazione incommensurabile. I riferimenti diversi e lontani portavano ad una sola strada; la libert per lindividuo contro la prevaricazione continua e i tentativi di ritorni ad ordini costituiti. Dopo la morte di Frank Lloyd Wright dichiar che dal quel momento in poi si poteva fare solo filologia sullarchitettura del maestro americano. Dopo la scomparsa del Professore, ho idea che si pu solo tentare di ricercare una critica e una metodologia per verificarla, lontana comunque dalle sue potenzialit indagatrici che partivano verticalmente per analizzare fermenti e contestualizzarli, prefigurandone atmosfere e realt impreviste.
Di tanti architetti dichiarava la genialit come di alcuni descriveva la deplorevole fama, senza mezzi termini o timori compromissori. Degli scritti e dei famosi discorsi del Prof. sono a conoscenza, almeno due generazioni di nuovi appassionati, dallalba tra le righe del particolaristico C.L. Ragghinati fino ai giovani critici contemporanei. Del grande intellettuale che era il Prof, ricorder sempre le due tematiche che come messaggi subliminali, trasmetteva in ogni sua energica discussione: la prima riguardava langoscia dellarchitetto. Genio che soffre per la trasformazione lenta e dolorosa di unidea, di un progetto, di una visione, quindi della realizzazione terrena di un sogno. Consapevole che qualunque trasformazione rappresenta una piccola morte per quello che proiettato a diventare altro. In questi alti e bassi emozionali si trova lo spirito del tempo di cui luomo deve nutrirsi per immergersi in questa realt.
La seconda tematica un atteggiamento: lo scegliere di stare sempre dalla parte di una minoranza per battagliare e mostrare i limiti e la facile prevaricazione, caratteristica dei pi. Mettersi contro qualunque ordine che si sospetta si stia per costituirsi. Combatterlo prima, altrimenti ci vorr pi tempo e molta pi energia, dopo. E questo linsegnamento che non ammette compromessi e mediazioni. Gli ordini costituiti generano appartenenze, le appartenenze generano gerarchie, le gerarchie emanano regole, le regole generano classificazioni di idee insieme a manierismi interpretativi e..ci risiamo unaltra volta!?, Rieccoci, ricaduti nelle conventicole che usano i loro termini, i loro codici e si crogiolano tra concetti vecchi e stantii che regolano i comportamenti. Stranamente sento parlare tanto e dappertutto del Professore, spero che oltre a nominarlo ed a ricordarlo in mille occasioni (cosa che gi stato detto, lui non avrebbe certo voluto). Spero che oltre a nominarlo si porti avanti con coraggio, una testimonianza di competente e accesa ricerca mirata, contro i qualunquismi architettonici che si stanno pian piano rivelando sempre pi ed il congelamento intorno ad alcune idee e visioni architettoniche di cui le riviste sono piene, praticamente contro gli ordini che si costituiscono. Il nemico, ha insegnato il Professore (architettonicamente parlando), nascosto dietro una ripetizione stilizzata e una sintesi veloce, dietro ogni luogo comune, dietro ogni forma facile e vendibile. Per ricordarlo sar utile sicuramente combattere con la cultura le critiche sterili (tante e per niente propositive), con gli strumenti affilati, della passione, della dialettica uniti indissolubilmente ad una dinamica cultura.
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150
di Alberto Iacovoni.ma0
del 08/07/2002
relativo all'articolo
Sette invarianti? Forse nessuna...
di
Sandro Lazier
L'osservazione sulle sette invarianti non nostra, bens di Franco Raggi (in "Templi e roulottes, Casabella 408/1975), mentre la frase sui pretesti dell'architettura di Luigi Moretti ( "Ricerche d'architettura", in "Spazio", 4 gen/feb 1951), come specificato in nota all'articolo citato.
Il tutto stato dichiaratamente mescolato in una gustosa marmellata, in cui la sommatoria + importante degli ingredienti singoli: un testo fatto per frammenti e campionature e in quanto tale pieno di appropriazioni indebite e forzature, in effetti come una ricetta culinaria, il risultato dipende da accostamenti di ingredienti a volte azzardati, ma che vanno preparati in un certo ordine e con certi tempi... e vanno infine gustati -o dis-gustati- tutti insieme e non separatamente.
Detto questo condividiamo pienamente la critica di Raggi proprio perch rivolta verso un personaggio della statura di Zevi e la usiamo riattualizzata nei confronti di chi oggi si pone all'avanguardia, ma ancora legato ad una concezione tutta compositiva e linguistica dell'architettura. Abbiamo trovato in quella critica, importante proprio perch rivolta verso un maestro dell'architettura moderna, un avvertimento estremamente lucido nei confronti di tanta architettura attuale.
Ricordiamo ancora con emozione un messaggio di Zevi, invitato a intervenire in Facolt durante l'occupazione del '90, il quale preferiva esortarci da fuori a rompere "la scatola" vuota dell'architettura accademica. Tutto pu divenire accademia, tutto pu diventare una scatola vuota, indipendentemente dai codici che l'hanno prodotta, e di Zevi vogliamo conservare pi che la teoria delle sette invarianti uno spirito critico che a volte, anche ingiustamente vero, ci impone di fare tabula rasa per riscoprire i valori dell'architettura.
P.S. E siamo completamente d'accordo sul fatto che il rapporto tra percezione e uso fondamentale nel cogliere il carattere democratico di un'architettura..., ma l'uso a volte contraddice la percezione -o la forma- e esistono architetture "classiche" che permettono un'infinit di gradi di libert in pi rispetto a tante altre "anticlassiche".
L'uso spesso imprevedibile, fa parte del tempo e della storia che modificano e a volte cancellano le intenzioni del progetto e con esso il senso stesso dell'architettura... per questo ci piace insinuare il dubbio anche tra le affermazioni di un amato e stimato maestro.
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8/7/2002 - Sandro Lazier risponde a Alberto Iacovoni.ma0
Mi spiace, ma devo dissentire profondamente.
Se la critica di Franco Raggi poteva avere qualche consistenza nel 1975, ai confini del nascente postmodern, oggi l’ha perduta decisamente. Purtroppo non c’è altro modo di concepire l’architettura – e l’arte, ovviamente - che in forma comunicativa e per comunicare abbiamo bisogno di formulare un linguaggio. Noi siamo i segni (parole, gesti, suoni) che facciamo e che lasciamo. Questi segni sono l’unico modo per avere coscienza della nostra esistenza e di quella di chi ci ha preceduto. Detto questo il problema non è la concezione linguistica dell’architettura, verso la quale anch’io auspico un certo “distacco” (l’architetto deve fare l’architetto, non il linguista), ma il modo con cui i segni che la definiscono stanno insieme e, insieme, danno luogo ad una sorta di sintassi che connette e dà significato alle parole dell’architettura.
Zevi, questo, l’aveva capito e intuito molto bene. Per questa ragione ha dedicato una vita per scoprire ed elaborare una “sintassi” massima dentro cui raccogliere i capolavori della modernità e dell’intera storia dell’architettura. Se vogliamo parlare di architettura, e vogliamo comprenderci, abbiamo bisogno di un criterio di lettura condiviso sul piano della ragione e del racconto. L’architettura, oltre a guardare, si può solo raccontare e interpretare.
Se non si ha chiaro questo limite, questa gabbia “ermeneutica” dentro cui siamo costretti, non comprenderemo la modernità, l’arte moderna e nemmeno la storia e il passato.
Zevi non va ricordato solo perché era uomo contro, critico implacabile e carattere vulcanico e tutte le altre storielle sul suo carattere grintoso e battagliero, ma per il suo enorme sforzo teorico e letterario mai disgiunto dall’impegno politico e civile.
Gli uomini passano ma restano le idee, le parole che, una volta scritte, vivono e parlano da sole. Come in architettura.
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148
di gabriele modena
del 08/07/2002
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Il triangolo no...
di
Paolo G.L. Ferrara
"facciamoci del male", come diceva Moretti.
Uniamo con un nastro di cemento e acciaio la bella Sicilia al resto del Bel Paese.
Spendiamoli sti soldi !si...ma utile? o sarebbe meglio riuscire a dare acqua a chi, nel 2000, in Sicilia, acqua rischia di non averne, o di averne a caro prezzo, mafioso, questo si.
Mi sembra che ci siano cose pi urgenti e importanti che la costruzione di un ponte. Mi sembra.
Tutto quello che i nostri governanti sanno proporre concretamente per risolvere i problemi di questa "povera patria" cercare di migliorare il traffico: Mestre, Salerno-Reggio Calabria, Ponte sullo stretto di Messina.
Cos viaggeremo tutti meglio, pi veloci.
Per andare dove? Boh
E intanto non si vendono pi macchine come una volta.
E intanto i tir dominano sovrani sulle autostrade.
E intanto gli incidenti stradali fanno pi vittime del fumo delle sigarette.
E intanto si prega (notizia vera) perch piova.
E intanto l'architattura viene uccisa dalle universit, dalla burocrazia, dalle imprese,dalla cultura( ai minimi storici) popolare, dagli architetti.
Aggiungerei una invariante a quelle di Zevi: gli italiani non sanno cosa sia l'architettura.
per...costruiscono ponti.
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149
di Fausto D'Organ
del 08/07/2002
relativo all'articolo
Il triangolo no...
di
Paolo G.L. Ferrara
Irrequieto Gabriele Modena,
non mi sfiora nemmeno l'anticamera del cervello chiedermi come mai le tue righe scapigliate hanno trovato spazio su AntiThesi visto che "i Capi" della Stessa permettono finanche alle mie righe di aver posto tra le pagine html di quest'area web! Per, lasciatelo dire, un pensierino gliel'ho fatto alla eventualit che tu le abbia vomitate in preda ad un raptus di demagogia e retorica puerili... Non te la prendere a male: la direttiva principale sarebbe quella di rispettare l'altrui pensiero, qualunque esso sia , ma di fronte al tuo commento trovo difficile chiudere un occhio e un orecchio (per non sentire l'eco del tuo sfogo anfiteatrale!). Il Governo Italiano, pace all'anima nostra, c'ingolfa la mente di buoni propositi, ma tutte le persone dotate di un'autonomia di senno di almeno 15 minuti al giorno, sanno ancora cogliere i segnali significativi del potere attuativo di tali buoni propositi; un esempio su tutti: in varii porti siciliani sarebbero dovute arrivare (nelle prime settimane di un allarme acqua di cui adesso nessuno pi parla!) super navi dissalatrici icona di una congrua e subitanea spesa milionaria dalle alte sfere romane... Tu ne hai viste? I Siciliani ne hanno viste? No. E penso che tu sappia, come tutti noi, anche perch non se ne sono viste di queste "navi spaziali"... Le navi dissalatrici non esistono. Il Governo era pronto a regalare milioni e milioni di euro ad armatori che non hanno mai nemmeno immaginato di costruire navi di tale tipo per tali funzioni. Domanda: il Governo Italiano ha tentato di prenderci, o meglio, di prendere i Siciliani per i Glutei!? Risposta Personale: penso di NO! La cosa la voglio vedere cos: la Politica non risolve i problemi, ci parla sopra. A volte chi allenato a far respirare tanto i denti, non aggiunge anche sostanza all'aria che spreca (problema che non mi del tutto sconosciuto!). E questa figura da pirla che alcuni super politici, o collaboratori di super politici, hanno fatto fare all'Esecutivo romano la dice lunga su come sia diffuso il problema di cui sopra nei Palazzi dei Bottoni! Per concludere, vedila cos: il Ponte sullo Stretto un p come una Nave Dissalatrice; non so se mi sono spiegato!? Il resto del tuo sfogo penso sia dovuto ad una eccessiva esposizione al sole senza adeguata protezione; questo tuo eritema mentale pu scomparire con tre o quattro applicazioni di un farmaco generico in crema, a base di senso del pudore, che trovi in qualsiasi farmacia specializzata in prodotti contro il conformismo. Ti auguro una pronta guarigione!
Nonostante non si limiti alla espressione del personale parere sui contenuti del commento a cui si riferisce, pubblichiamo questo commento per permettere la replica di G.Modena. Sia per chiaro che non accetteremo pi commenti che travalicano il rispetto per le persone, anche se malcelato con l'autoironia. La Redazione
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147
di Fausto D'Organ
del 06/07/2002
relativo all'articolo
Antithesi e 'nuovi critici' di architettura
di
Paolo G.L. Ferrara
Aiutatemi a capire!
Perch chi progetta e costruisce architetture dense e intense, non parla e non fa critica? Perch chi parla e fa critica alle architetture ed abilitato a progettarne e costruirne, non progetta n costruisce nulla, o niente di denso e intenso? E perch chi non abilitato a progettare e/o costruire
architetture, parla e fa critica ad architetture? Esiste forse (per i primi due casi) un'inibizione reciproca tra parola e pietra? Esiste forse (per il terzo caso) un legame disinibito tra significato, ignoranza e significante? I costrutti "per spiegare" ci che parla da solo, hanno qualcosa in comune
con i costrutti "per abitare"? Probabilmente, no. Si tratta di due rami diversi di due alberi diversi in due terre lontane? Forse s. La critica politica? L'architettura sudore e sogno? Sono in cerca di isomorfismi... Se ne trovate, fatemelo sapere.
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146
di Carlo Sarno
del 03/07/2002
relativo all'articolo
Antithesi e 'nuovi critici' di architettura
di
Paolo G.L. Ferrara
La critica l'arte di giudicare secondo determinati principi. Caro Paolo io credo che Mara con la sua osservazione ha dimostrato proprio questo: chi ha dei principi non teme il confronto e la critica.
Ma, sfatiamo anche il concetto di critica solo come contraddittorio e opposizione ...Tante volte la critica ha agito costruttivamente, tante volte il critico ha pagato di persona per spalleggiare una particolare ideologia o visione del mondo.
Non detto che la critica sia tale soltanto se crea una dialettica, si pensi per esempio a Pierre Restany ed al "nuovo realismo" degli anni sessanta: una sintonia di intenti e concezione con le sperimentazioni artistiche.
Il critico un artista nel campo del giudizio e, come tale, si rivolge sempre alla sua coscienza , alla sua conoscenza ed alla sua creativit.
Concludo, Paolo, dicendo che il vero critico ed i "nuovi critici" saranno tali solo se saranno artisti all'altezza della loro arte .
Carlo Sarno
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3/7/2002 - Paolo G.L. Ferrara risponde a Carlo Sarno
Il confronto, caro Carlo, proprio ci che chiediamo. Non "tante volte", ma "sempre" la critica deve agire costruttivamente, anche creando opposizione o contraddittorio. Se no, non critica. Perfettamente d'accordo sul critico che deve rivolgersi alla sua coscienza e alla sua conoscenza. Un p meno d'accordo sul critico quale "artista nel campo del giudizio", dunque sulla sua creativit.
Il mio articolo tende a rimarcare che essere critici di architettura non operazione che risulta automatica solo perch si "scrive di architettura". Mara Dolce ha ragione ma attenzione a non fare di tutta l'erba un fascio. Di critici giovani, seri, preparati ce ne sono...tre o quattro, ma ci sono. Tu commenti spesso i nostri articoli perch hai capito lo spirito di antithesi, quello di avere dialogo con chiunque. E, soprattutto, che chiunque ci stimoli a ragionare sulle sue obiezioni
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145
di Angelo Errico
del 23/06/2002
relativo all'articolo
Il triangolo no...
di
Paolo G.L. Ferrara
Il ponte sullo stretto di Messina un'opera che oggi, e del resto ieri e certamente anche in futuro, fa parlare di s per le problematiche legate alle vicende mafiose con gli appalti pubblici. Ma cos come il Ponte, anche gli stadi delle olimpiadi, le centrali nucleari, e tutti quei grandi rinnovamenti operati sul territorio nazionale, pongono la stessa problematica all'attenzione di noi cittadini italiani. Problematica sia chiaro, che troppo comodamente si cerca di catechizzare come appartenente ad una categoria malavitosa piuttosto che ad un'altra, un p come a scuola si tracciavano sulla lavagna da una parte i buoni e dall'altra i cattivi. La complessit della faccenda ben pi discutibile della somma delle singole questioni. Politica, imprenditoria, sviluppo socio economico del paese, cultura architettonica, sono alcune delle singole questioni che possono covare il male come pure il bene. La storia ci insegna d'altronde come le grandi opere pubbliche, le cattedrali, fossero erette sulle fondamenta e le mura di chiese costruite in epoche precedenti, divorandole nella nuova magniloquente costruzione, o addirittura inglobandole in un accorpamento di volumi diversi. Lo stesso magnifico e simbolico duomo di Monreale, se le pietre parlassero, ci narra di vendette ed efferati omicidi consumati tra Signori e potenti dell'epoca. Ad uso e consumo di una congregazione religiosa, la Chiesa, che non lascia parlar poco ancora oggi di giochi di poteri ed intrallazzi immorali.
Direi che il ponte sullo stretto di Messina dev'essere sfruttato abilmente anche da quelle forze politche, rappresentanti il pensiero assai critico e rasente il pessimismo, come l'occasione utile e a portata di mano per avviare lavori di "restauro" nelle vicende burocratiche sugli appalti, per programmare dei piani concreti nel frattempo e non dopo il termine della realizzazione del Ponte, sull'avvio di nuove opere rimaste incomplete ma che ben si abbracciano al Ponte. Il muro di Berlino era l'ultimo segno di divisione delle culture etniche europee. Il Ponte era l'ultima opera rimasta irrealizzata per suturare una unione territoriale tra le civilt dell'Euro. Perdere quest'occasione predicare funeste (sebbene veritiere) circostanze di malaffare, perdere solo del tempo prezioso, ed perdere stupidamente la credibilit nelle capacit degli uomini di questa nostra civilissima societ, in grado di manifestare concretamente degli ideali e dei principi assoluti di onest con un simbolo che non sarebbe davvero male se fosse proprio il ponte sullo stretto di Messina.
Angelo Errico
23.giugno.2002 ; Paolo G.L.Ferrara risponde:
Non perdo "stupidamente" la credibilit nelle capacit degli uomini di questa nostra "civilissima societ". Forse, "stupidamente", ho fiducia nei principi assoluti dell'onest. E' questo quello che volevo dire nell'articolo.
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144
di Carlo Sarno
del 20/06/2002
relativo all'articolo
Il testo e l'opera: Borromini attraverso Zevi
di
Tino Grisi
Borromini architetto dell'infinito, del nuovo infinito postulato da Leibniz, dell'infinito del significante e del significato. Borromini non pone limiti, come dice giustamente Zevi e come evidenzi bene Tino, alla sua creativit e non riducibile ad una classificazione per quanto poliedrica si cerchi di farla.
Borromini esplora non solo il multiforme universo formale ma anche il campo espressivo-simbolico, la sua immaginazione oltre misura, un gigante nel regno dell'arte e della poesia.
Lo spazio raggiunge con lui una fluidit ed una continuit mai percepite prima di lui, insegna agli uomini della sua epoca un nuovo modo di essere nello spazio e nel tempo, il suo sfondamento della prospettiva pone l'esserci a contatto dell'essere.
Agli architetti di oggi Borromini insegna che non bisogna porre freno all'immaginazione, alla capacit di rielaborare creativamente l'architettura di tutti i tempi e di tutte le etnie.
Con Borromini abbiamo una nuova interpretazione del mistero dell'uomo e del suo rapporto con Dio...un Dio che avvolge l'uomo in uno spazio libero e colmo d'amore : l'infinito borrominiano !
Carlo Sarno
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143
di Domenico Cogliandro
del 18/06/2002
relativo all'articolo
Il triangolo no...
di
Paolo G.L. Ferrara
Pi che un commento, un appunto. La risposta a queste tue sollecitazioni non tarder a venire. Il ponte sullo Stretto di Messina, alchemica fonte delleterna giovinezza per le mafie locali, una spilla da balia in confronto alla svendita del territorio nazionale. Lalchimia vera la cartolarizzazione. Posto che lo Stato, che siamo noi, non abbia i soldi per realizzare il ponte e che, stante il ricatto a cui le banche Lo hanno sottoposto, bisogna in qualche modo trovare i fondi per sostenere la propria parte di costi, allora accade che lo Stato, che siamo sempre noi (ma mi sento, cos, un pochino defraudato), venda sulla parola dei beni immobili di Sua propriet alle banche, magari le stesse che intervengono con laltra parte dei finanziamenti alla realizzazione dellOpera Maxima. Le banche sganciano sullunghia i soldi prima di ricavare dalla vendita, o dallusufrutto, del bene, qualunque sia. In tal modo, e sto volgarizzando la questione, Noi, Stato, abbiamo di che pagare la nostra parte di ponte e loro, banche, ci mettono, per parte loro, il resto. Cos si fa un bel project financing, pubblico e privato, e la questione finanziamento dellOpera Pubblica risolta. Ma nel passaggio verranno a mancare dei pezzi che prima erano dello Stato, nostri cio, e dopo saranno del miglior offerente, privato cio. Ora, in questItalia in cui ci sono da una parte dei miliardari che giocano a pallone, e per hobby si fanno pagare per prendere la laurea al Cepu, scambiando il favore, che sempre un utile per loro; e dallaltra parte altri miliardari, per conto proprio, governano la Cosa Pubblica, per conto nostro, per farci sentire orgogliosi ad ogni risveglio mattutino, tra la brioche e il cappuccino, ecco: ora, chi credete che abbia i denari per comprare quei pezzi di territorio definiti, sacrilegamente, bene culturale solo per fare un favore al prossimo acquirente?
Nessuno acquister una briciola di Colosseo o di Reggia di Caserta, n Villa Adriana o la fontana di Trevi, quello no, ed anzi un immaginario consacrato definitivamente da Tot in maniera premonitrice, ma proprio per questo intoccabile. LItalia che ci si aspetta di comprare quella amena, in cui linvestimento il silenzio, la quiete, la privacy, nonostante Echelon. Le banche venderanno ai pi ghiotti le riserve naturali, le isole, i fari, da una parte e dallaltra i forti ottocenteschi, le collezioni darte rinchiuse negli scantinati dei musei e, perch no?, Palazzo Chigi. Cos lo Stato, vedi sopra, si ritrover a pagare ad una finanziaria, magari dello Stato, appunto, tipo Patrimonio Spa, laffitto di un proprio locale, e che la finanziaria ha riscattato da una banca che laveva precedentemente cartolarizzato per concedere allo Stato i denari per finanziare, compartecipando con Infrastrutture Spa, i lavori di realizzazione dellOpera sullo Stretto. Il gioco delle tre carte. In questo, nel gioco delle tre carte, i mafiosi sono esperti, vuoi per indefesso esercizio, vuoi per tradizione. Vuoi vedere che nei consigli damministrazione delle societ appena esitate dallo Stato, che malgrado tutto siamo ancora noi?
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142
di Angelo Errico
del 15/06/2002
relativo all'articolo
Architettura e design
di
Gianni Marcarino
Quanto sia preoccupante se il mobile sia propaggine di un setto murario o di un estradosso di solaio non pi nei ragionamenti del designer ma grazie al cielo nemmeno dell'utente meno allenato a questioni di styling e di arredo.
L'arredo un divario tra il riempimento di un ambiente che si trasforma in una miniatura della vetrina d'esposizione, e l'anarchia dell'arredatore. Tra i due estremi c' l'essenza dello spazio, cio l'essere umano con tutte le sue esigenze; velleitarie, organiche, ludiche, viscerali, per dare con gli oggetti una risposta soddisfacente, la cui eleganza risiede nella praticit e funzionalit. Meno all'occhio saranno i particolari di appartenenza a questo o a quello stile, e pi le case e le abitazioni diventano un vero luogo di accoglienza.
Chi si preoccupa del dettaglio lo fa con benemerenza se vi una migliora all'uso e alla polifunzionalit dell'oggetto e dell'arredo. Se guardassimo con occhio pi disincantato e meno eticamente rigido, agli arredi per le persone anziane, per quelle handicappate o con disagi percettivi, scopriremmo in vero una serie di soluzioni ergonomicamente ed economicamente vantaggiose da rendere le abitazioni delle alcove che non farebbero inviadia al focolare d'una volta. Purtroppo, esiste ancora la mentalit che esistono cose fatte per alcuni e cose fatte per altri. Incompatibilmente.
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15/6/2002 - Gianni Marcarino risponde a Angelo Errico
Mi pare che la questione venga posta nel confronto stile-funzione. Il rischio di trasformare la funzione stessa in uno stile, ovvero in un insieme di regole codificate e riconoscibili in quanto tali. Ragnatela da cui non si esce senza il tentativo di superare la funzione, i bisogni classicamente intesi. Occorre inventare racconti profondamente umani che contengano le funzioni , che ne creino di nuove , se possibile. C uno spazio, tra lanarchia dellindividuo e loggettivit omologante della funzione. Euno spazio in cui, allinterno di un consorzio umano coeso intorno a regole condivise, lindividuo gode della massima libert despressione individuale e della massima considerazione sociale in quanto tale. Lo stile come riduzione in miniatura di simboli architettonici o come mimesi della natura storia e tema caro a nostalgici storicisti. Tuttavia il design ha creato una quantit di oggetti quasi infinita , che si relazionano con lo spazio architettonico in molteplici combinazioni. E una situazione di libert e di responsabilit nuove, visto che in passato era larchitetto il creatore di spazi ed il suggeritore di oggetti in stile con larchitettura.
Oggi parliamo di spazio e di oggetti pensati in luoghi e momenti diversi. Il tema si sposta sulla forza comunicativa degli spazi architettonici. Se gli stessi hanno forza, gli oggetti inseriti , anche se eterogenei tra loro, possono creare un insieme convincente. Quando, allinterno di uno stesso spazio, gli arredi sono omologati secondo un solo gusto o trend , quando esprimono nella totalit uno stile di vita univoco (come oggi dice il marketing) ci si trova spesso allinterno di unarchitettura debole, in cui lo spazio non ha voce.
E questo rapporto , architettura design, che ritengo interessante dibattere.
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141
di Carlo Sarno
del 12/06/2002
relativo all'articolo
Il triangolo no...
di
Paolo G.L. Ferrara
Nel triangolo siiciliano le forze ctonie non prevarranno su quelle solari...Ulisse arriver alla sua Itaca...sono ottimista, il ponte sullo stretto di Messina una nuova avventura dell'uomo, ai limiti delle sue possibilit tecnologiche, si mobiliteranno tutte le forze positive e negative del territorio e dell'umanit ma alla fine avremo un'opera che stimoler l'essere umano al coraggio, alla virt, alla fede nel suo giusto lavoro.
Caro Paolo io credo che l'impresa cos ardua che alla fine per realizzare il ponte pi lungo del mondo si dovr per forza ricorrere alle migliori virt dell'uomo: la Fede nella capacit umana e nell'aiuto della Provvidenza, la Speranza di riuscire nella difficile impresa , l'Amore come partecipazione e crescita in comunione con il prossimo.
Il fatto poi che tale ponte venga costruito in Italia e, precisamente, tra la Sicilia e la Calabria, un onore che mostrer al mondo intero le capacit umane e scientifiche e tecniche e umanistiche degli italiani e dei siciliani.
Le grandi opere sono realizzate da grandi uomini, e tutti coloro che parteciperanno a tale difficile impresa e la realizzeranno, saranno e diventeranno "grandi uomini", di cui noi saremo fieri.
Che Dio protegga la costruzione del Ponte di Messina !!!
Carlo Sarno
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139
di arianna sdei
del 09/06/2002
relativo all'articolo
Col senno di poi
di
Domenico Cogliandro
Sono sinceramente allettata dal workshop nel teatro di Sciacca con architetti ingegneri tecnici ed artisti che si esibiscono, l'immagine quella di una festa d'invito alla creazione; grazie per il sogno che credo realizzabile
Arianna Sdei
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137
di Domenico Cogliandro
del 28/05/2002
relativo all'articolo
Architettura a Sciacca: Conversazioni senza i prog
di
Franco Porto
Ora, io non so se termini come Architettura Negata (con le iniziali maiuscole) e Architettura a Rapporto, abbiano a che fare con quello che bisogna fare per Sciacca, al di l di tutte le ingerenze possibili, pi o meno sottese. Il principio un altro, sottilmente benaltrista come affermava Ugo Rosa, e mi pare fuor di dubbio: quel "coso" l, e sta sul Casabella del maggio 1982. Non fosse per questi due dati, non esisterebbe nemmeno un caso Samon. Visto che quel che ha fatto l'ha completato e quel che non ha fatto non stato fatto.
Vogliamo sbracarci o sollevarci le maniche? I due gesti ammiccano a due comportamenti abbastanza distanti. Vedrai una mia proposta pi ampia, sempre su Antithesi, scritta col senno di poi, che fattiva, se si vuole. E, secondo me, insieme ce la si pu fare.
Per quel che riguarda l'Atlante, invece, io starei attento.
Mi sovviene una facezia intorno all'orario ferroviario che sono solito dire, anche a me stesso se sono solo, quando entro in una stazione ferroviaria. Sai quando si compreso che i treni arrivavano nelle stazioni con un ritardo imperdonabile? Dal momento in cui stato stampato l'orario ferroviario. Il rischio dell'Atlante dell'Architettura in Sicilia quello. L'Atlante omnicomprensivo per sua condizione, non pu escludere, non pu tralasciare nulla. E' come fare la mappa dell'Impero in scala Uno a Uno, di borgesiana memoria. Ci sar sempre un Umberto Eco, acuto e sottile, che star l a dire che, posta l'impossibilit pratica dell'oggetto, anche necessario che la carta sia posta su un territorio perfettamente tondo. Una carta Uno a Uno dell'Italia sarebbe praticamente impossibile, per cartografi e per utenti, perch non appena si dovesse arrotolare cadrebbe certamente in acqua, vista la forma dello stivale. Sar pure una interessante trovata editoriale, ma un oggetto che stabilisce cosa architettura e cosa non lo , perch questi mi paiono i presupposti, non si pu certo chiamare Atlante. La storia fatta di frammenti, e i frammenti, data la loro condizione, non stanno su un percorso lineare, eppure stanno sui topoi degli architetti: come escludere dal progetto di Ricci a Riesi l'immagine di certa centuria degli Iblei dipinta da Piero Guccione, dei muri a secco liminari alle strade collinari di contenimento del terreno, dei basamenti michelucciani, della cornice di paesaggio inclusa tra le colonne dei templi di Agrigento, oppure di certa architettura vernacolare siciliana dei primi del Novecento? Tutto dentro quella architettura. Piuttosto sarebbe meno pretenziosa una Guida a Certa Architettura in Sicilia, nella quale sperimenterei anche una certa faziosit, che non guasta mai quando si vuol sottolineare cosa si ritiene architettura e cosa no.
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135
di Guidu Antonietti
del 27/05/2002
relativo all'articolo
Eisenman, il passato del presente. Terragni, il pr
di
Paolo G.L. Ferrara
Italia 1930
Ambiguit in architettura
La scoperta emozionale della perfezione formale degli edifici italiani degli
anni trenta ci d ragione della loro condizione progettuale?
Possiamo essere soddisfatti del loro effetto plastico senza interrogarci sul
contesto nel quale sono stati edificati?
Ritornando dall'Italia, occorre trovare una ragione. Razionalismo italiano,
giustamente eufemismo, ecco la domanda. Durante i terribili anni venti e trenta gli architetti italiani si preoccupavano gi di contesto urbano e territoriale. Avanguardia dunque?
Urbanistica, intervento solo tecnico al servizio di maneggi politici attuati
da un regime autoritario o trascrizione spaziale di una propaganda?
Oggi fortunatamente l'ideologia non c' pi, sole rimangono bellissime
realizzazioni! In realt, la politica urbana applicata nel decennio che
segue il 1930, non presumeva problematiche di sviluppo futuro delle citt
ma orchestrava demolizioni radicali e concepiva nuove imprese fondiarie. I piani
urbanistici diventavano infatti il pi efficace strmento di razionalizzazione
dei centri e delle periferie. Certo si prevedeva l'espansione delle citt
ma in modo autoritario e arbitrario!
Razionalismo dunque?
Evochiamo due esempi tra i pi rappresentativi della sistemazione del
territorio in quegli anni : il risanamento dell'Agro Pontino a sud di Roma,
e il piano per la Valle d'Aosta di Adriano Olivetti, progettato e mai realizzato.
Queste due iniziative, comunque generose, concernevano regioni sottosviluppate,
con idee progettuali opposte.
Razionalismo dunque?
La prima alla quale mancava una vera linea direttrice consacr un intervento
sulla campagna Pontina giorno per giorno in modo non concertato. La rapidit
con la quale si edificavano i nuovi centri, un po' come durante la ricostruzione,
risultava pi dalla volont di celebrare la nuova identit
nazionale che da una vera riflessione programmatica.
Creazione spontanea?
La seconda per la Valle d'Aosta doveva provenire da una autentica riflessione
teorica conseguente alla precisa analisi dei dati economici, sociologici, morfologici.
I luoghi di lavoro, l'habitata dovevano realizzarsi secondo disegni raffinati
e composizioni astratte, il futurismo di Marinetti diventerebbe stile ufficiale,
nuovi modelli formali come impronta di una riorganizzazione razionale del territorio.
Questa politica vide giammai il giorno. Sciocchezze delle ideologie?
Roma, per il facsismo italiano, non era solo il luogo geometrico del suo potere
ma soprattutto la prova tangibile di una continuit cominciata con i
Cesari e proseguita dal Duce. Durante gli anni trenta la capitale s'invent
senza pause i nuovi abiti. Attorno ai quartieri preesistenti, si edificarono
complessi residenziali su disegno di Adalberto Libera. Le nuove costruzioni
seguirono a macchia d'olio.
Nel cuore sesso della citt ci si dedic a costruzioni grevi;
immensi isolati urbani modificarono la citt degli imperatori, nuovi
uffici postali, nuove amministrazioni, ma soprattutto la realizzazione della
nuova citt universitaria sotto la direzione di Piacentini segnarono
i nuovi settori d'espansione. La realizzazione del Forum Mussolini, la bucatura
di Corso Rinascimento, di Via della Conciliazione tracci nuove prospettive.
Questa nuova definizione urbana si organizz attorno a due grandi cesure
che a partire da Piazza Venezia delimitavano gli assi maggiori del Piano Regolatore
del 1931: la Via dell'Impere in direzione dei Colli Albani, e la Via del Mare
verso Ostia. Questa nuova Roma fondata su due tracce principali pretendeva di
inserire la Citt Nuova in quella antica.
Originario del milieu urbano ma sostenuto dai potentati delle campagne, il fascismo,
convergenza di un'Italia largamente rurale, si rivel una capitale dei
popoli. Roma si addobb di retorica piccolo borghese in un trionfalismo
urlante d'impero in cartapesta. Sessant'anni sono passati dall'Italia ante guerra,
ci resta qualche bella realt formale, ambigua, mediterranea. Ogni epoca
genera i suoi capricci, e le testimonianze che ci legano ai tempi che videro
la loro sostanza pu lasciarci un gusto dolce e amaro.
L'architettura del regime italiano di quegli anni era celebrativa, imperiale,
materializzava una volont di magniloquenza. Lo stile che oggi ci resta
Con le sue superfici nude e piane, i suoi spigoli dritti per non dire taglienti,
questo geometrismo moralista, questa estetica della fedelt a un principio
di razionalit era realmente espressione di un'obbedienza all'ordine
che si stava stabilendo o meglio uno sgambetto di concreta opposizione della
critica modernista?
La Casa del Fascio di Terragni forse pi autoritaria del Plan
Voisin di
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134
di Guidu Antonietti
del 27/05/2002
relativo all'articolo
Violentatori e Gladiatori
di
Paolo G.L. Ferrara
LIBERTA', COSTRIZIONE, ETICA.
In architettura tutto costrizione e libert. Le costrizioni dinventare e la libert di non fare si compenetrano senza frontiere. Un edificio occasione di segnare unepoca, magari flettere senza trasformarla. E dunque una pratica culturale e forse nientaltro. La sola costrizione realmente inevitabile: il tempo, concepire, costruire, vivere. Non facciamo per latemporale ma per adesso, non dopo di me il diluvio ma, oggi, il temporale. C forse una morale delle forme? Quando teoria e pratica non erano distanti , erano le condizioni di una vertigine creativa. Oggi essere architetto, resistere: rigore, efficacia. E se le nostre tavole sono piene di raschiature, difetti ed errori, non pu essere che una questione etica.
Testo originale
LIBERTE, CONTRAINTES, ETHIQUE.
En architecture, tout est contraintes et libert. Les contraintes dinventer et la libert de ne pas faire, sinterpntrent sans frontire. Un btiment cest une occasion de signer lpoque, voire de linflchir dfaut de la transformer. Cest donc une pratique culturelle et presque rien dautre. La seule contrainte rellement incontournable : le temps, de concevoir, de construire, de vivre. Ne faisons pas dans lintemporel mais pour maintenant, non pas aprs moi le dluge mais aujourdhui lorage! Y a-t-il une morale des formes ? Rformer, dformer, donner forme. Quand la thorie et la pratique ntaient pas disloques, elles taient les conditions dun vertige crer. Aujourdhui tre Architecte, cest rsister : rigueur, efficacit. Et si nos cartons sont remplis de ratures, dchecs, derreurs, ce nest peut-tre quune question dthique.
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133
di Giuseppe Marciante
del 25/05/2002
relativo all'articolo
Conversazione di architettura
di
Maria Elena Fauci
Cara Maria Elena, sono un giovane architetto tuo concittadino a sentire le tue tristi parole mi sono deciso a risponderti, mi sono sentito chiamato in causa e non ti permetto di criminalizzare noi tecnici del luogo, tu, proprio tu, che fino a poco tempo fa eri nel consiglio dellordine degli architetti della provincia di Agrigento, sappi che lo scrivente un lettore della rivista Antithesi da tanto tempo, ho seguito il nostro Paolo Ferrara con tanto orgoglio, non sai da quanto tempo ho aspettato quellappuntamento dellauditorium di San Francesco tenutosi lo scorso 11 maggio, tu eri nelle condizioni di potere organizzare, tu potevi scrivere, tu potevi preparare mille di questi incontri, cosa hai fatto? Non hai fatto nulla per alzare il livello culturaledel tuo territorio, non ti permetto di criminalizzare la categoria, in fondo sappiamo benissimo come funziona la libera professione nella nostra citt, sappiamo chi lavora, chi fa architettura (o pseudo-architettura) e chi costretto a sopravvivere, io mi accingo ad aprire uno studio di progettazione proprio in questi giorni, la realt non mi appare molto rosea, comunque sono fiducioso, a tal proposito colgo loccasione di ringraziare Paolo per la bellissima manifestazione, il mio auspicio che diventi un appuntamento annuale, come ad esempio lincontro che si tiene ogni anno a fine luglio a Camerino, perch no magari in contrapposizione lanti-Camerino. con affetto a Maria Elena, sperando di collaborare con te su progetti per la nostra citt gratuitamente,Saluti!
26.maggio.2002 - Paolo G.L. Ferrara risponde:
La libert che antiThesi concede ai suoi lettori pu riservare anche la replica personale ai singoli autori degli articoli. Da qui la pubblicazione del commento dell'Arch. Marciante all'articolo scritto dall'Arch. Fauci. La posizione assunta dall'arch. Fauci abbastanza chiara e, per quanto ciascuno di noi possa o no essere d'accordo, bisogna riconoscere la franchezza delle sue parole nel sottolineare l'assenza della maggior parte dei progettisti saccensi. Un p fuori luogo ritengo la polemica riguardo il dibattito del pomeriggio, ove si sarebbe negato il diritto di parola. Se il
moderatore ha ritenuto di non fare continuare un interlocutore tra il pubblico che aveva posto pi questioni, solo perch si voleva dare spazio a tutti, non fosse altro che il Prof. Saggio ( ce ne fossero persone democratiche come lui!) aveva espressamente chiesto agli intervenuti che si discutesse un tema per volta). La reazione della sala, con gente che andava via protestando, la vorrei tanto vedere davanti ai veri soprusi, quelli di cui ci lamentiamo senza agire.
Detto ci, comunque lecito che l'arch. Marciante dichiari il suo dissenso alle parole della Fauci. Piuttosto, credo sia il caso di smorzare i toni ed i termini ("criminalizzare" mi sembra un p esagerato) e cercare di capire come e dove l'organizzazione ha sbagliato, visto e considerato che i progettisti locali hanno disertato la manifestazione. Mi auguro solo che non si sia trattato di "questioni di simpatia o antipatia" personali: sarebbe deprimente e piuttosto ridicolo. In tutta franchezza, preferirei che si trattasse di "palese dissenso" verso i temi del convegno: a quel punto, sarebbe altrettanto palese qual' l'interesse della maggior parte dei progettisti locali e della provincia di AG. In fondo, sia l'Arch. Fauci che l'Arch. Marciante dicono la stessa cosa. Fare di Sciacca un momento annuale nei nostri obiettivi e chiunque abbia voglia di affiancarci potr farlo con nostro immenso piacere.
Pubblichiamo la replica dell'Arch. Fauci alle parole dell'Arch. Marciante. Ci sembra giusto dare voce alle parti, ma con questa pubblicazione chiudiamo la "vertenza" tra i due colleghi, almeno sulle pagine di antiThesi
Caro Giuseppe, non ti conosco, ma come giovane collega sento di ammirare la tua grinta e meno i tuoi toni accusatori.
Forse, prima di puntare il dito su qualcuno bene che si verifichino sempre i motivi delle"incriminazioni, appurandone l'esistenza o meno con riscontri oggettivi. Il mio riscontro oggettivo si chiamma "Aa", rivista quadrimenstrale dell'ordine degli architetti di Agrigento, creata da me e dai colleghi esterni al consiglio, alla quale tutti lavoriamo con dedizione, da 6 anni. Dimmi tu se questo niente! Una rivista che ha la sua dignit e la sua forza culturale, riconosciute ampiamente da colleghi di tutt'Italia e oltralpe. Ne ho parlato durante il convegno, ma forse, tu ancora non eri presente... Non sto qui a raccontare quelle che sono le valenze del risultato che io ed i miei colleghi della redazione abbiamo raggiunto, perch la rivista parla da s. Scriviamo, organizziamo, produciamo, e pubblichiamo quello che io ed i miei collaboratori, riteniamo (tutti insieme sempre) possa essere di significato nella nostra professione di architetti. Quando ero al consiglio dell'ordine, chi aveva la delega alla organizzazione congressual
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132
di Carlo Sarno
del 24/05/2002
relativo all'articolo
Conversazione di architettura
di
Maria Elena Fauci
Cara Maria Elena, la parola un dono di Dio ed giusto parlare di temi importanti, in questo caso dell'architettura siciliana. Io sono un architetto campano ma, attraverso l'eco del dibattito su Antithesi, ho potuto riflettere e avvicinarmi alle problematiche del territorio siciliano. Secondo me non bisogna pretendere di essere ascoltati, ognuno libero di fare ci che vuole, non giudichiamo, ma, allo stesso tempo, non bisogna rinunciare a dire le cose che la coscienza e il cuore e la propria cultura stimolano a dire.
Lo so, a volte nasce un po' di amarezza, si lavora tanto e poi alla festa mancano gli invitati ... ti auguro per che questo sia per te un momento passeggero e che riprenderai con pi forza e vigore di prima la tua missione nella architettura siciliana.
Senza la parola e il lavoro di Paolo e Sandro non avrei saputo della condizione dell'architettura siciliana.
Maria Elena non dobbiamo rinunciare al dono della parola !!!
La Sicilia ha bisogno di tutti noi !
Carlo Sarno
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131
di roberto
del 22/05/2002
relativo all'articolo
Gli ultr di Zevi
di
Paolo G.L. Ferrara
mi ha fatto venire le lacrime !
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130
di Roberto Bormida
del 22/05/2002
relativo all'articolo
I martiri secondo Casati
di
Paolo G.L. Ferrara
Sono un piccolo impresario edile, specializzato in ristrutturazioni; ho lasciato Architettura per dedicarmi ad un lavoro che mi dava pi soddisfazioni: leggendo questo articolo sono tornato indietro di dieci anni almeno, rivivendo il disagio di fronte a docenti miei coetanei o quasi impegnati solo a portare avnti l'esamificio, alla faccia della cultura !
Bravi, vi ritorner a trovare .
Tutti i commenti di Roberto Bormida
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129
di Carlo Sarno
del 18/05/2002
relativo all'articolo
Sciacca per fare
di
Sandro Lazier
Fare cultura e fare architettura contro un falso sapere ed un falso costruire il nodo gordiano di Sciacca secondo me, caro Sandro.
Gli architetti hanno una missione ed quella di un buon progettare per creare spazi per un buon abitare ed un buon vivere. Il progetto non pu slegarsi dall'uomo, da colui che abita, dall'esser-ci dello spazio vitale.
Frank Lloyd Wright nella sua architettura organica pone la dignit dell'uomo come finalit del processo progettuale e costruttivo, dignit a cui si perviene con la verit del fare architettura e del fare cultura.
La coscienza della cultura e dell'architettura deve essere pura come, diceva Le Corbusier, "quando le cattedrali erano bianche...".
Il problema nella coscienza di chi fa politica e amministra, di chi progetta, di chi costruisce, di chi fa cultura, di chi abita quel particolare spazio.
Il mio vuole essere un umile e semplice invito, prima a me, poi agli altri di agire nella realt, in questo caso siciliana, con la verit di spirito, con la purezza del cuore, con un vero amore per questa terra siciliana che ha dato tanto all'Italia e al mondo, e che ...sicuramente ... non ha ancora detto l'ultima parola !!!
Carlo Sarno
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128
di mara dolce
del 17/05/2002
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E' il dubbio che rode l'uomo. Incontro con Dante
di
Paolo G.L. Ferrara
non vi sembra di esagerare?
o scegliete di non pubblicare le mail anonime, o se lo fate, non aggredite
chi sceglie di comunicare sotto questa forma, anche se non vi e' gradita, e' comunque legittima.
non credo che ai lettori di Antithesi interessi leggere di queste scaramucce.
Tutti i commenti di mara dolce
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126
di fabio
del 12/05/2002
relativo all'articolo
E' il dubbio che rode l'uomo. Incontro con Dante
di
Paolo G.L. Ferrara
A mio avviso un p pesantuccia questa critica ..... conoscendo personalmente l'architetto DI FAMA MONDIALE Dante Benini disapprovo totalmente quanto scritto in questo articolo malfamante.
13.maggio.2002 -Paolo G.L.Ferrara risponde:
Prima di tutto: Fabio chi? pregasi dichiarare anche il cognome. Poi: leggere meglio e informarsi sull'etimologia del termine "malfamante".
In ultimo: controcriticare attraverso la lettura delle opere citate.
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222
di Carlo Sarno
del 11/05/2002
relativo all'articolo
Sulla linguistica architettonica
di
Lina Bo Bardi - Zevi
Lina Bo Bardi con il suo intervento se la prende con tutto e tutti. Sembra di sentire Manfredo Tafuri quando nel suo libro Progetto e Utopia dice:"...La riflessione sull'architettura, in quanto critica della ideologia concreta, 'realizzata' dall'architettura stessa, non pu che andare oltre, e raggiungere una dimensione specificamente politica...". Ma questa eccessiva ideologizzazione dell'architettura porta soltanto a un empirismo pratico che assoggetta la libert dell'individuo alla collettivit.
"...Importa formulare un linguaggio comunicabile e popolare, che tutti possano usare, anche i non-architetti. Evidentemente, poich "niente nasce dal niente", e le "nuove strutture sociali" sono "infiltrate", questo linguaggio non pu sorgere che dall'esperienza concreta del movimento moderno...". Con tale frase Bruno Zevi ribadisce la necessit di una riformulazione nuova, scientifica e radicale, dal basso, dell'architettura.
A tal proposito scrive Rolando Scarano nel suo libro Processi di generazione della configurazione architettonica, un libro fondamentale per comprendere il processo generativo organico dell'architettura in una prospettiva scientifica :"...i paradigmi ideologici tendono a trasformare le assunzioni in procedure empiriche di progettazione, che, pur essendo comunicabili, non costituiscono ancora veri e propri paradigmi scientifici...- e ancora continua Rolando Scarano - ...gli enunciati, le formulazioni ideologiche risultano reciprocamente inconfrontabili, per cui il loro confronto dialettico non comporta n un cambiamento n un progresso della conoscenza...". Ed proprio questo che Bruno Zevi vuole evitare con le sue invarianti, la stasi e il ristagno dell'architettura. Le invarianti zeviani stimolano alla crescita libera e scientifica dell'architettura guardando all'utile sociale senza cadere in un facile ideologismo.
Per Bruno Zevi ci che conta l'uomo e la sua libert !
Carlo Sarno
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125
di arch. Giorgio Dav
del 10/05/2002
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
Un giorno, qualche anno fa, sono partito in vespa da Torino con un gruppo di amici, due destinazioni Belice e Selinunte...
Caro Paolo,
purtroppo avrei voluto smentire ogni tua affermazione ma la realt anzi ancora peggiore di come la descrivi. E purtroppo non mi riferisco alle condizioni delle architetture o delle opere d'arte (o del museo-allucinante) ma piuttosto alla gente, al senso di rassegnazione, disperazione silenzio, di chi vive a Gibellina, e di chi a Gibellina muore, mille volte, un giorno dopo l'altro, all'infinito.
Giorgio
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124
di Carlo Sarno
del 02/05/2002
relativo all'articolo
Dell'Imprinting nell'architettura siciliana
di
Antonino Saggio
Caro Antonino, grazie alle osservazioni di Cristina ho rivisto con attenzione il tuo articolo e credo che nell'imprinting come embriogenesi, debba vedersi il fulcro del tuo discorso. L'architettura oggi non riesce pi ad essere indigena al luogo e alle sue trasformazioni. L'architettura organica professata da Frank Lloyd Wright pone a fondamento di ogni buona architettura il legame con il luogo, un legame profondo, la comprensione dei processi generativi dell'architettura del luogo che innestati nello spazio prossemico dei suoi abitanti crea lo spazio architettonico indigeno e unico dall'interno verso l'esterno. L'embriogenesi un processo naturale ben commentato da Prigogine che dovrebbe far parte come "imprinting" di ogni buona architettura naturale al suo luogo. Cerchiamo, come hai detto giustamente Antonino, di comprendere l'imprinting pi che aspetti architettonici solamente formali, cerchiamo di conoscere i processi generativi della vera architettura siciliana, la sua embriogenesi per dirla con Prigogine, e solo allora ne vedremo i suoi profondi valori e la sua universalit innestati in una peculiare e stupenda condizione antropologica e ambientale!
Carlo Sarno
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123
di Fausto D'Organ
del 02/05/2002
relativo all'articolo
Architettura per gli architetti
di
Giovanni Bartolozzi
Le nuove generazioni di progettisti mostrano, delle volte, una voglia sanguigna di dissacrare, ma (mi auguro) ci non adombra la consapevolezza che si sta maneggiando un bagaglio di segni e linguaggi molto fragile e instabile: l'architettura, non v' dubbio, un servizio, nel senso pi letterale del termine, non un giuoco di costruzioni lego!
E' un'arte che dovrebbe produrre, come tu sottolinei, sempre cose che servono; un'arte "socialmente pericolosa perch un'arte imposta" (Renzo P., discorso per il Premio Pritzker, Casa Bianca). Un brutto libro si pu non leggere; una brutta musica si pu non ascoltare; ma in un brutto edificio si pu essere costretti a vivere, o nella migliore
delle ipotesi, avendolo di fronte casa, si costretti a vederlo ogni giorno. In architettura le nuove realt s'impongono, come tu m'insegni, e l'immersione nella bruttezza totale: non si d scelta all'utente.
E, forse, proprio questo quello che fa il progettista protagonista del tuo articolo: non d scelta. Pur non affermando che i suoi impianti sono brutti e inefficienti, tu sottolinei (mi pare) proprio che egli ingabbia i fruitori dei suoi luoghi costruiti lungo percorsi fisici e mentali schiaccianti. Anche Mondrian schiaccia: le sue tele sono matrici di decodifica delle realt (per carit, sempre diverse!) che ognuno di noi intravedrebbe dietro di esse. Colori e figure semplici in equilibrio geometrico danno una direttrice, impongono uno stadio di partenza mentale. Quanti artisti hanno fatto e fanno cos? Tutti. Forse anche tu (non ti d fastidio se ti do dell'artista, vero?). Il protagonista del tuo articolo fa case senza tetti? Chiese senza altare? Si dimentica di aprire vani per le porte e le finestre? Non fa scale per distrazione? Non prevede sub zone tecnologiche per la gestione delle acque reflue e per l'impiantistica di base? Spero e credo di no! Certamente la bont di un edificio non si ferma a queste cose pratiche, ma se andassimo oltre queste cose pratiche entreremmo del dominio personale dell'artista che crea per desiderio (spero sincero!) di parlare ai suoi simili. Nell'edificio si riversa la mappa mentale contingente del suo progettista che in quel momento creativo forse nervoso, stanco, svogliato, oppure ansioso, romantico, ecc. Chiss!? Ci che lascia, comunque un
sistema di segni che "corre il rischio" di diventar materia. Rizoma forse buono, forse cattivo. Ma, dimmi, gli impianti del protagonista del tuo articolo sono peggio delle centinaia di migliaia di condomini sparsi per il nostro paese? Sono peggio dei castranti edifici per civile abitazione e uffici? "Civile abitazione" cosa? "Abitazione civile
quando? Come? Dove? ...Devo lasciarti... A breve continuer...
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122
di Cristina D'angelo
del 01/05/2002
relativo all'articolo
Dell'Imprinting nell'architettura siciliana
di
Antonino Saggio
Per chi come me non mai stato in Sicilia, l'articolo " DELL'IMPRINTING NELL'ARCHITETTURA SICILIANA" come un viaggio virtuale nella storia di questa terra, attraverso le impressioni, associazioni, ricordi,deduzioni, domande di chi osserva. Come termini di confronto ho le descrizioni letterarie di questi luoghi, e l'idea che mi sono fatta collima con quanto viene descritto nell'articolo.
Tanti sono i punti interessanti, primo tra tutti quello di CONTESTO come TESSITURA. E' una parola che descrive in maniera efficace tutti gli aspetti pi o meno complessi che il termine contesto riassume: come non averci mai pensato?
Tra le riflessioni c' poi una piccola lezione di storia dell'urbanistica riassunta nella parola IMPRINTING. Ed eccomi spiegate le straordinarie differenze tra Nord ,Centro e Sud, le contaminazioni e le caratteristiche tipiche di certi luoghi.
Capisco meglio il perch i romani, esportatori in tutto il mondo del Cardo e Decumano, non lo abbiano poi applicato nella stessa Roma, la citt aveva un imprinting diverso: quello etrusco!
Bella cosa quando uno scritto invita alla riflessione, alla curiosit e porsi delle domande.
CRISTINA D'ANGELO
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121
di Giovanni Bartolozzi
del 30/04/2002
relativo all'articolo
Architettura per gli architetti
di
Giovanni Bartolozzi
In risposta al commento n106
Caro Fausto,
credo ci sia una bella differenza tra trattare male Monestiroli e fare una riflessione critica sul lavoro di un architetto. Naturalmente questa pu essere condivisibile o meno, come del resto si coglie dal tuo commento.
Inoltre qui non si tratta di trovare dei difensori di sto povero cristo. Io non ho accusato nessuno e antithesi non un tribunale ma uno strumento di crescita e di confronto.
Sicuramente larchitettura arte. Tuttavia a differenza di questa ha qualcosa in pi: gli individui la devono vivere. Un quadro di Mondrian o di chiunque altro si pu apprezzare, contemplare, analizzare in diverse chiavi di lettura, studiare, criticare Ma finisce l. La gente non centra, non lo fruisce, non lo attraversa, non ci trascorre la vita e, soprattutto non interviene sulla citt per trasformarla.
Un architetto nel progettare un edificio non pu solo tener conto del fatto che larchitettura arte e quindi fatta su vettori astratti. Questi vettori astratti dovranno concretizzarsi, e andranno a concretizzarsi sulla citt e sul paesaggio, che fortunatamente non sono dei grandi musei.
Inoltre, introducendo lidentit tra arte e architettura tocchi un aspetto estremamente delicato che ci porterebbe, a mio avviso, fuori strada. Almeno secondo quello che mi proponevo danalizzare scrivendo larticolo su Monestiroli.
Allora, piuttosto che portare il contadino davanti ad un quadro di Mondrian, (tralaltro mi sono permesso di scomodare Mondrian per un altro motivo), io porterei il contadino, per esempio, dentro la chiesa dellAutostrada e in generale dentro uno spazio strutturato mediante un linguaggio comprensibile al popolo, dunque al contadino, allavvocato, allimprenditore, al postino e a tutti.
E naturale che lopera darte non abbia bisogno di una didascalia che la svergini nel suo mistero. Ma gli spazi da vivere devono essere fatti per luomo. Non per laldil ma per la vita terrena, quotidiana, e quindi senza alcun mistero.
Credi che il linguaggio adottato da Monestiroli sia comprensibile al popolo?
Il mio dubbio questo! Io credo di no, perch alla gente non interessa la pianta a croce, o il muro bucato, o lasse dellantica centuriazione romana sopra al quale si trova ledificio, ma interessa uno spazio dentro al quale poter trascorrere la vita e che rispecchi la societ. Uno spazio libero da qualsiasi regola. In questa chiave va, infatti, letta la reazione di un contadino davanti un quadro dellultimo Mondrian.
Mondrian si svincola totalmente da ogni regola, componendo nella pi totale libert, usando colori primari e mediante il pi elementare contrasto: il nero su sfondo bianco. Ma la cosa pi interessante che lo spettatore - contadino o imprenditore che sia, preferisco, infatti, parlare di individuo - pu godere della stessa libert nellinterpretare quel quadro. Infatti, un individuo (qualunque sia la sua estrazione sociale) si pone davanti a quel dipinto con una libert interpretativa dettata dal suo stato danimo, dal suo stato emotivo, emozionale, culturaleEcco caro Fausto cosa ci vedr un contadino in un quadro dellultimo Mondrian. Credo tuttavia che affinch ci accada, (come ci hanno insegnato le nostre maestre!!) non bisogner trasportarlo di peso dentro il museo, ma baster sensibilizzarlo culturalmente.
Probabilmente sbaglier ma questo che penso e sono disposto a discuterne.
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108
di Fausto D'Organ
del 27/04/2002
relativo all'articolo
Dell'Imprinting nell'architettura siciliana
di
Antonino Saggio
in risposta al commento n104
...Provo dispiacere leggendo il messaggio 104 del Prof.A.Saggio in riferimento all'articolo 95. Manifestando le mie impressioni riguardo
al bonario taroccamento spazio-temporale del proprio scritto che il
docente romano ha eseguito, mi sono messo, forse, nella posizione di
chi vuol fare polemica per niente. Me ne duole Sinceramente. Chiedo formalmente scusa al Prof. A. Saggio per averlo messo in imbarazzo.
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106
di Fausto D'Organ
del 27/04/2002
relativo all'articolo
Architettura per gli architetti
di
Giovanni Bartolozzi
"[...] I progetti sono spesso frutto di manipolazioni
tematiche soggettive che non trovano riscontro nella
societ, nella gente e quindi che producono
un'architettura per gli architetti. Quando parlo di
architettura per gli architetti intendo un'architettura
che, essendo appesantita e carica di simboli astratti
(come: il muro, il tipo, il bastione, la croce, l'identit,
il percorso, risulta leggibile esclusivamente da
chi ne stato ideatore [...]", inizio da qui per contattare
Giovanni Bartolozzi nel suo "Architettura per gli
architetti". Pu anche darsi (rifletto tra me e me
leggendo l'articolo di sfuggita) che 'sto Monestiroli
lasci negli occhi di chi "vede" le sue pi fresche
opere su carta o su terra l'immagine di un signore,
figlio d'Arte nel campo dell'edilizia, che se ne va in
giro per le Citt con una personalit ritta come un
palo di scopa e il cranio gonfio di autocompiacimento.
...Pu anche darsi, dico io tra me e me, ma poi
dopo qualche secondo dico ad alta voce..."ma 'sto
Monestiroli, chi ?" non ho mai sentito parlare di
questo signore che Giovanni Bartolozzi sta trattando
cos male! Chiudo la connessione e penso ai fatti
miei, poi l'idea di 'sto povero cristo malmenato mi
comincia a girare in testa... Passa un p di tempo
e prendo coraggio per intervenire in difesa dello
sconosciuto, ed ecco che trovo gi una mossa
di un suo difensore: "[...] Ci che da lui dobbiamo
imparare la sua incredibile coerenza, la forte
tensione morale che esprime perseguendo una sua
idea di progetto che, per quanto possa essere
l'opposto della nostra, altrettanto legittima.
Sarebbe stato forse pi facile, per lui, saltellare qua
e l come ha fatto per 90 anni Philip Johnson,
realizzando molto di pi e godendosi qualche bel
momento di gloria. Eppure gli anni passano,
Monestiroli partecipa ai concorsi e, quasi sempre, si
accontenta di arrivare a un modellino. Niente pi.
Forse non si mette in discussione quanto dovrebbe,
ma i suoi progetti sono lavori onesti, che di certo,
sul piano morale, molto hanno da insegnare agli
studentelli come noi, che a Progettazione1 eravamo
dei perfetti Mario Botta, e dopo qualche anno siamo
diventati Ben Van Berkel, passando per Gehry,
Eisenman e Hadid.
Per cui, caro Giovanni, lascia che Monestiroli faccia
tesoro degli interventi fumosi e celebrativi dei molti
colleghi, e cerchiamo di cogliere il buono di quanto
ci viene proposto, prima di gettare tutto il resto."
E bravo Matteo Francesconi! Cos si fa! Grazie a te
capisco perch non sapevo un bel niente del
Monestiroli. Si tratta di un figlio frustrato dall'ombra
del padre costruttore che ne avr fatto di cotte e
di crude nell'Italia del Boom... Povero signore 'sto
Monestiroli! Meno male che gli fanno vincere
qualcosa ognittanto. Dicendo cos, mi ritorna alla
mente che ha vinto il Concorso del Planetario
Cosentino, che sorger ad un paio di Km dal
futuro Ponte di Calatrava di cui si freger la Citt
di Cosenza... Il Planetario, eh!... Un "punto" come
gli altri in una Citt come tante.
Signori, perch ce la prendiamo cos tanto? Ce
n' veramente motivo? Caro Giovanni, tu scrivi il
giusto riguardo ai percorsi di crescita non lineari...
Matteo, tu affermi con umanit che nessun messaggio
si pu buttar via, ma tutti vanno ascoltati: come
darti torto?
E allora? Perch sto a scrivere queste righe se
tutto bello e a posto? Mah!? ...Forse perch ci
si dimentica, da una parte, che l'architettura arte
ed quindi fatta su vettori astratti: il suo creatore
la fa e poi non si deve mettere certo a incorniciarla
in una didascalia che la svergini nel suo mistero!
Il creatore la fa e poi gli altri se la guardano e/o se
la vivono... e tanti saluti! Che ci vedr un contadino
trasportato di peso nel museo, mentre arava la terra
in un quadro dell'ultimo Mondrian? Dimmelo tu caro
Giovanni? ...Arrivati a 'sto punto. Penso che
Monestiroli sia proprio come Mondrian. E il discorso
vale per chiunque.
Scrivo anche perch, dall'altra parte, ho i brividi
leggendo tra le righe che avendo fatto Progettazione1
copiando Botta e poi i rimanenti esami copiando Ben
Van Berkel, passando per Gehry, Eisenman e Hadid,
non si pu che fare i professionisti trovando, adesso,
qualcosa da scopiazzare anche dai poveri cristi come
Monestiroli!... Mamma mia! Esistono ancora di questi
studentelli in Italia? ...Siamo rovinati! Ragazziiih!!
Smettetela di copiare! Non sono servite a niente
le bacchettate delle vostre Maestre!!? ...La societ
cambiata. Adesso esistono Studenti di una nuova
specie. Ragazzi e Ragazze che non copiano pi
nessuno sin da quando sono in fasce: per Gente
cos l'architettura di venerd' 26 aprile 2002 gi
storia. A proposito... Ora che ci penso... Perch
scrivo cercando di contattare Giovanni e Matteo, care
Persone del Passato?... Boh!... Senza offesa, eh!
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104
di Antonino Saggio
del 27/04/2002
relativo all'articolo
Dell'Imprinting nell'architettura siciliana
di
Antonino Saggio
In riferimento al commento 95
Caro Paolo,
abbiamo pensato a lungo al da farsi. Chi ha un pezzetto di informazione pu facilmente equivocare, come si vede.
Il pezzo inserito da Antithesi era stato redatto dopo il Convegno di Scordia e seppur formalmente richiesto, questo scritto non fu mai pubblicato (o almeno a me mai nessuno mand copia del libro). E' quindi un inedito, anche se era stato inserito con altri scritti del genere in parti del mio web e anche se conteneva anche estratti di altri scritti da cui appunto parti la nostra conoscenza e poi, dopo un bel p', l'idea stessa del Convegno.
E' stato inserito e pubblicato da Anithesi, dal mio punto di vista:
A. per poter mettere in chiaro con pi forza il concetto di Imprinting (che negli altri scritti pubblicati era solo sfiorato)
B. per consentirmi di andare avanti con libert nel convegno, senza dover, raccontare i concetti appuno che sono qui trattati ma per permettermi con gli altri e con i molti altri mi auguro che saranno a Sciacca "di andare avanti";
A presto
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103
di Giovanni Bartolozzi
del 26/04/2002
relativo all'articolo
Architettura per gli architetti
di
Giovanni Bartolozzi
in risposta al commento numero 98
Caro Matteo,
Condivido solo in parte quanto dici.
Non credo, infatti, che da M. si possa imparare lestrema coerenza.
Penso che nella vita si debba essere coerenti rispetto a dei principi, a dei valori comuni e non rispetto a simboli, idee o intuizioni che sono passeggere e modaiole, soprattutto in architettura. Questa, infatti, a differenza di altre discipline, svolge un ruolo sociale non indifferente, anzi direi fondamentale. La grande difficolt degli architetti, credo, sia proprio quella di essere culturalmente ferratissimi e sensibili nel percepire i cambiamenti della societ. Allora come pu M. restare impassibile al continuo mutare della societ?
Naturalmente non discuto sulla legittimit dellidea di progetto di M., giusto che ognuno esprima le proprie idee. Sono punti di vista diversi, ed proprio la diversit, che stimolando il confronto tra questi due opposti modi di vedere larchitettura, consente di fare un passo in avanti. Non mi proponevo, infatti, di gettare sul fango le idee di M.; me ne guarderei bene dal farlo.
Secondo me la coerenza intesa come dici tu nel caso di M. unimpresa estremamente romantica.
Faccio un esempio che servir a chiarire il mio punto di vista a tal proposito: pensiamo per un istante al lavoro di Mondrian. Nei suoi primi dipinti il tema ricorrente la natura e in particolare lalbero. Alla fine della sua carriera Mondrian arriva ad una sintesi che impedisce totalmente il riconoscimento delloriginaria matrice naturalistica. Naturalmente tra queste due estremit bisogna includere una serie di influenze come i primi soggiorni a Parigi Mondrian trascorreva, dunque, intere giornate a sovrapporre e giustapporre strisce di cartoncini neri. Mi viene dunque spontaneo associare il percorso evolutivo di Mondrian ad una traiettoria parabolica, in ogni modo non lineare. Questo percorso di crescita parabolico, si riscontra nella stragrande maggioranza di architetti, si guardi Le Corbusier, Aalto, Michelucci, Eisenman, Gehry, Ito, Libeskind e molti altri. Ma attenzione, questo percorso di crescita non lineare, spesso contorto, sinuoso e difficile da capire, che porta a risultati diversi rispetto alle prime esperienze, non segno di incoerenza. Tuttaltro. E semmai un segno di crescita, di crisi, devoluzione, in positivo o negativo che sia. Allora non posso giudicare Monistiroli coerente solo perch nei suoi progetti imprime una forte tensione morale, o perch si mantenuto, per tutta la sua carriera professionale, fermo e stabile sulle stesse idee. Ne prova il confronto tra i suoi progetti (a distanza di anni), gli scarti e le differenze soprattutto linguisticamente sono inesistenti. Penso che la coerenza non si misuri su queste basi.
Sono inoltre convinto che il continuo rinnovarsi, non preclude la forte tensione morale, anzi la rafforza.
Continuer dunque a condannare gli interventi fumosi e celebrativi di molti colleghi perch stimolano linerzia, lindifferenza e la stasi, e siccome un architetto non pu accontentarsi di arrivare solamente ad un modellino bene porre dubbi, piuttosto che gloriarsi delle poche certezze.
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102
di Carlo Sarno
del 26/04/2002
relativo all'articolo
I nodi da tagliare della specificit siciliana
di
Franco Porto
Pi che di specificit, caro Franco, io parlerei della universalit della cultura siciliana e della sua architettura, a partire dai greci allo stilnovo duecentecsco al verismo e cos via. La cultura siciliana universale, crogiolo di varie civilt, e pertanto la sua stessa architettura deve ritrovare nelle sue radici la sua universalit senza lasciarsi trasportare da mode effimere.
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100
di Giuseppe Vele
del 25/04/2002
relativo all'articolo
Le due facce di Roma - Massenzio vs Hani Rashid
di
Vincenzo De Gennaro
Hai perfettamente ragione.
Basta solo pensare che oggi ,un semplice "interruttore" pu frantumare i "sogni -fasulli " di milioni di persone.
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99
di Matteo Francesconi
del 25/04/2002
relativo all'articolo
Architettura per gli architetti
di
Giovanni Bartolozzi
Architettura per gli architetti... questo il ruolo cui condannato Monestiroli.
Ma non solo perch la sua architettura carica di simboli astratti, incomprensibili come dici tu, a chi vive lo spazio da lui progettato.
La sua una architettura destinata agli architetti anche perch di realizzato c' ben poco.
Per questo, se anche ha vinto un concorso a Cosenza, non crucciamoci pi di tanto. Poteva andarci peggio.
I suoi progetti non tengono conto della societ? o della componente umana?
E chi se ne frega, dir lui.
Se era questo il suo intento, si sarebbe gi accorto da un pezzo di aver sbagliato qualcosa, non credi?
Ed invece sono decenni che va avanti per la sua strada.
Non gli importa neppure della tecnologia: in uno dei suoi primi progetti i pilastri anzich a compressione, lavorano a trazione. In pratica invece che portare il tetto lo tengono attaccato al terreno. I suoi pilastri non sono elemento tecnologico, sono muro bucato, ornamento, inteso come ordine e misura.
Ora, se noi aborriamo tutto questo, non certo il modo di trattare lo spazio, l'insegnamento che andremo a cercare in Monestiroli.
Ci che da lui dobbiamo imparare la sua incredibile coerenza, la forte tensione morale che esprime perseguendo una sua idea di progetto che, per quanto possa essere l'opposto della nostra, altrettanto legittima.
Sarebbe stato forse pi facile, per lui, saltellare qua e l come ha fatto per 90 anni Philip Johnson, realizzando molto di pi e godendosi qualche bel momento di gloria. Eppure gli anni passano, Monestiroli partecipa ai concorsi e, quasi sempre, si accontenta di arrivare a un modellino. Niente pi.
Forse non si mette in discussione quanto dovrebbe, ma i suoi progetti sono lavori onesti, che di certo, sul piano morale, molto hanno da insegnare agli studentelli come noi, che a Progettazione1 eravamo dei perfetti Mario Botta, e dopo qualche anno siamo diventati Ben Van Berkel, passando per Gehry, Eisenmann e Hadid.
Per cui, caro Giovanni, lascia che Monestiroli faccia tesoro degli interventi fumosi e celebrativi dei molti colleghi, e cerchiamo di cogliere il buono di quanto ci viene proposto, prima di gettare tutto il resto.
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97
di Domenico Cogliandro
del 24/04/2002
relativo all'articolo
Le Corbusier e la dissonanza di Ronchamp
di
Cesare De Sessa
Fuochi fatui
di Domenico Cogliandro
Ho letto il testo di De Sessa su Ronchamp. Ho letto lintervento di Giovanni Bartolozzi. Bene. Sono rimasto sorpreso, di come la storia delle cose affiori sempre e in maniera radiale dalle cose stesse. La storia delle cose circola e vive delle cose che la rendono tale. Ricordate il piccolo principe e la sua rosa? Bene. Io non credo nella figura meramente intellettuale di Le Corbusier, credo piuttosto nel suo voler essere a tutti i costi una sorta di animale da cantiere. Una di quelle bestie che nascono in cattivit e poi, fuori, perdono il senso dellorientamento o la loro naturale aggressivit. Fuori dal cantiere Le Corbusier un teorico, gioca con gli slogan, ricicla la vecchia storia delluomo inscritto nel quadrato cambiandone i presupposti, un abile promotore di se stesso, si vende al miglior offerente (non sono ignoti i suoi spostamenti politici a seconda del tirar del vento), riscrive almeno sei volte una sua teoria urbanistica in sei testi che hanno sei titoli diversi ma, a ben guardare, sono sempre lo stesso testo. E quello che fa un leone rimesso a cercare di vivere nella savana, si guarda un po in giro, pascola lerbetta, beve stancamente ad una pozza dacqua, se il caso ed spinto da una fame atavica si mette a cacciare, ma senza molta convinzione. Quando lo si rimette nellarea protetta diventa un altro, riesce a cacciare, pure, e con convinzione.
Attenzione a Ronchamp. Non un gioco formale che sta fuori dalle righe, un vezzo adamantino per confondere i propri seguaci (mossa, peraltro, poco conveniente) e per sviare i propri avversari, non nemmeno lerrore di percorso che conferma la regola. E un pi sottile artificio. La piccola cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp, luogo pi ameno che mai, andateci e capirete, paesino cot de la Suisse, la piccola cappella, dicevo, pone almeno tre questioni, che dir senza svelare nulla, perch su questa opera sto preparando un pamphlet nel quale verranno poste in maniera pi netta. Comunque, sto qui a scriverne non per puro piacere della scrittura (anche!) ma perch una banale incertezza percorre i testi letti. Lopera darte dellanimale da cantiere Jeanneret va attraversata. Lerrore fatale in cui si cade quello del cincischo. Si legge di unopera, se ne guardano le fotografie, si studiano con attenzione voyeuristica i disegni (tutte le versioni, i passaggi lievi dalla prima allultima) e poi si dice che questopera da buttare o che una geniale idea di proposizione dello spazio darchitettura, o ancora che esiste un forte parallelo organico tra le forme di natura e loggetto chiesastico di Ronchamp. Balle.
Quello che si vede non sempre vale quanto ci che . Le riletture che spesso si fanno sono letture di letture, dove anche la fotografia una mediazione e guarda quel che vuole guardare tralasciando altro che sta nel contesto, che il contesto. La butto l. Chi ha visitato il castelletto federiciano a Castel del Monte, in Puglia, retro dellun centeuro italiano, non ha potuto fare a meno dal rimanere incantato di due cose, tra le molte: il pozzo di luce centrale (la corte ottagona) e la collocazione del fortilizio rispetto al territorio. Due punti di vista che consentono di traguardare, di misurare, una cosa rispetto ad unaltra. La volta celeste (e tutta la cosmogonia magica e scientifica medievale ad essa legata) costretta, se cos pu dirsi, a passare dentro locchio ottagonale della corte, misura del tempo e misura dellincommensurabile infinito; lorizzonte libero, allesterno, e lospite architettato ad interromperlo, ma in una speciale maniera: la collina che sostiene il castelletto , da qualunque lato la si guardi, sempre un tronco di cono e la natura, per quanti scherzi possa fare, non ha labilit di realizzare in maniera cos unica ed elegante una forma geometrica pura, su cui si possa incistare, per magia, proprio quella curiosa architettura che alla natura guarda affascinando e affascinandosi.
Chi giunge a Ronchamp da Belfort pu cogliere la medesima sorpresa di trovare quella piccola cosa bianca lass, appuntata come un cameo alla verdeggiante collina della bassa Francia, collina di minor fascino che la brulla e desertica Puglia, seppur ammantata di faggi e olmi. La relazione che crea loggetto nel paesaggio, mi si scusi il bisticcio, non di tipo paesaggistico. Direi, in maniera sfrontata, che a Le Corbusier del paesaggio non gliene importa un fico secco, del paesaggio in s, voglio dire, come oggetto di culto romantico. Ha a cuore piuttosto una relazione forte tra gli elementi naturali che costituiscono una pietra filosofale per larchitettura (la luce, il vento, la pioggia), essi elementi forti del paesaggio, non il paesaggio in s, e la conformazione dellarchitettura stessa, da non confondersi con la forma, astratta e pura. E la relazione tra le cose che importa, delle cose Le Corbusier se ne sbatte. La sua grande abilit
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96
di Fausto D'Organ
del 24/04/2002
relativo all'articolo
Dell'Imprinting nell'architettura siciliana
di
Antonino Saggio
In risposta al commento n95
Paolo,
Le devo una spiegazione riguardo alla
mia espressionistica esternazione che
ha determinato il piacevole incidente di
percorso di cui siamo stati protagonisti,
dopo un bel p di tempo che non ci si
contattava...
L'articolo di A. Saggio (che io rispetto
sul serio e non per scherzo!) che avete
messo in prima pagina il frutto frettoloso
di un processo di riassetto, con taglia e
incolla d'occasione (o solo dei "taglia"
di occasione) di un pecedente estratto
usato ad un seminario sulla "Citt
Meridiana" Scordia - Catania - nel 1998.
A sua volta, detto estratto, perlappunto
sintesi di una perlustrazione-studio
condotta dallo stesso A. Saggio nelle
terre di Sicilia molto tempo addietro.
Rileggendolo cos conciato su AntiThesi
mi venuta spontanea un'osservazione:
ma non sar che A. Saggio non ha voluto
perdere tempo a scrivere un altro articolo
per promuovere l'avvenimento contingente,
e ha deciso di riciclarne uno gi pronto
da un bel pezzo togliendo qui e l, rifacendo
da una parte e lasciando dall'altra?
Non questione di andare a guardare il
pelo nell'uovo; ma c' da chiedersi: quale
significato pu avere questo simpatico
accadimento innanzi agli occhi dei cybernauti
interessati all'opera di voi giovani e sanguigni
difensori delle libert architettoniche?
Beh, io potrei pensare che A. Saggio frustrato
dalla costrizione di dover osservare una
Sicilia in perenne Rigor Mortis, terra senza
novit, ha deciso di lanciare come promozione
al Convegno Discussione, un messaggio
anch'esso senza novit! Ma cos la soluzione
sarebbe troppo facile! Lei non trova, Paolo?
Seconda questione. Riesumati dalle pieghe
dell'archivio di AntiThesi, ecco apparire
nemmeno spolverati, altri articoli dei Padroni
di Casa. A questo punto, il fenomeno ha
assunto i contorni terribili di una inconscia
denuncia? Boh!
In Sicilia tutto mummificato? Non valsa la
pena preparare il dibattito futuro in questa
terra meridionale con "freschi" stimoli dialettici?
Si promove una Conversazione che si spera
rivitalizzante con veicoli polverosi di messaggi
giusti (e, ribadisco, Perfetti) ma gi cristallizzati?
Non ho voluto aggredire n il povero A. Saggio,
n Lei o Lazier... Ma la vostra prima pagina mi
ha dato questa impressione, che ci posso fare?
Mi sono spiegato, adesso? Spero di s!
Questo, se vuole, pu anche pubblicarlo in seno
alla vostra promozione del Convegno Discussione.
Usi ALIA e basta: CONNETTA l'idea, ma
SCONNETTA la persona...
L'aggressione che Lei mi ha fatto "in pubblico"
dietro una mia provocazione giunta "in privato" mi
rende creditore di un risarcimento in nome di
ALIA. Attender...
24.4.2002 - Paolo G.L.Ferrara risponde:
Quella che Alia ha impiantato una polemica infruttuosa: il Convegno nasce proprio dal carteggio da me avuto con Saggio in merito all'articolo sulla Sicilia. Dunque, se il riproporre articoli gi scritti pu sembrare un semplice "riciclare", in realt la base, il sale del convegno. Gli articoli restano sulla carta, il confronto diretto ed aperto pu solo dare vita vera ad essi. Ecco perch li abbiamo riproposti, sperando che chi parteciper vorr il confronto auspicato. Per quanto riguarda quelli "riesumati dalle pieghe di antithesi", beh, il web si differenzia dalla carta stampata proprio perch nulla va in archivio, a maggior ragione quelli che sono argomenti attuali e reali. In Sicilia non vige il rigor mortis, anzi...chi gestisce e decide ben vivo...e ne d prova giorno dopo giorno...
Comunque sia, noi abbiamo attaccato e desideriamo metterci in discussione. Tutto qui. Nessuna "passerella"
Se ho aggredito il Suo primo commento significa che ne avevo motivo; non lo pubblico solo perch Lei non me ne ha dato l'autorizzazione.
Continuo a condannare l'anonimato, senza alcuna scusa che possa farmi cambiare idea. Lei giovane? Lei all'inizio? Non importa: dichiararsi significa autogarantirsi.
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95
di Paolo G.L.Ferrara
del 22/04/2002
relativo all'articolo
Dell'Imprinting nell'architettura siciliana
di
Antonino Saggio
La redazione ha ricevuto un commento da parte di tal [email protected] in merito a questo articolo.
Bene, premettendo che l'anonimato non assolutamente accettato da antithesi in quanto nasconde spesso idioti e vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontare le persone a viso aperto, comunico al suddetto ALIA che il suo commento - per quanto io lo reputi davvero intriso di bassa statura e mancante di capacit di capire il significato di cosa sia la cultura- sar pubblicato solo se ALIA dichiarer nome e cognome.
Una sola precisazione: il convegno nasce proprio dall'articolo pubblicato tempo fa dal Prof. Saggio e se ALIA crede che la cultura abbia un tempo limite, e che riproporre articoli significhi "riciclare",beh, gli chiediamo di mostrarci la sua critica argomentata da spessore intellettivo.
Se le webzine crede siano stupidi strumenti, ci faccia il piacere: non ci legga pi.
Oltre alla "perfezione che non pu che copiare se stessa", anche i cretini non sono da meno. Io attendo, ben inteso Sig./sig.ra ALIA?
Paolo G.L. Ferrara
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94
di Fausto D'Organ
del 22/04/2002
relativo all'articolo
Dell'Imprinting nell'architettura siciliana
di
Antonino Saggio
Beh, fa piacere che ognittanto persone che inequivocabilmente sono riconosciute, da tutti e da chi scrive, quali preziose fonti di crescita culturale verso una nuova rete di coesistenze e condivisioni di concetti unici e rari, concedano IL BIS a distanza di 4 anni, manifestando il medesimo sforzo riflessivo di 48 mesi addietro!!!!!
Vedere Seminario sulla "Citt Meridiana" Scordia - Catania Settembre 1998
E vero! ...I nuovi Webzine sono sempre pieni di novit!
Viva il riciclaggio delle cose buone. La perfezione pu solo copiare se stessa.
Un Abbraccio Sincero! [ALIA]
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209
di Carlo Sarno
del 10/04/2002
relativo all'articolo
Paolo Balmas sulla linguistica architettonica
di
Paolo Balmas - Zevi
Paolo Balmas affronta il problema linguistico dal punto di vista diacronico, evidenziando i limiti di un possibile azzeramento. Sembra quasi riprendere Kubler ed i suoi concetti formativi di opere nel tempo.
Bruno Zevi replica: " ... Anzitutto, un genio determina mutazioni talmente radicali e vaste da rendere quasi irriconoscibili le fonti che ha contestato. Ci vero non solo per Borromini e per Wright, ma anche per Michelangiolo: nei palazzi capitolini si evidenzia il mutamento, a Porta Pia esso ha prodotto un'alternativa. Ma preme sottolineare che, in architettura, la lotta dei rinnovatori non diretta tanto contro il codice vigente, quanto contro la sua ideologia classicista. Rispetto alla quale non esiste possibilit di mutazioni perch, come si detto, non si evolve..." , e ancora, " ... come stabilire che il linguaggio di un certo periodo sia basato su un codice del tutto estraneo a quello di un altro? E chi ha deciso che occorre stabilirlo e, peggio, che debba essere "del tutto estraneo"? Il codice anticlassico scorre in tutti i periodi della storia architettonica, da Mnesicle appunto (e prima) a Wright ( e dopo, a Johansen). Il classicismo -quante volte al giorno devo ripeterlo?- non riguarda invece nessun periodo storico, ma l'impalcatura dispotica e repressiva di ogni codice o linguaggio...".
La possibilt di azzeramento dei codici, la possibilt di una trasformazione radicale del linguaggio essenziale per la costruzione di uno spazio libero e sociale. Molte volte la dimensione storico-diacronica ha soffocato gli slanci innovatori. Bruno Zevi non cede, Bruno Zevi non accetta prigioni e sbarre per lo spazio vivente dell'architettura l'unico che si evolve, Bruno Zevi difende il vero spazio della vita e della libert dell'uomo con tutto il suo sincero entusiasmo.
Carlo Sarno.
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208
di Carlo Sarno
del 10/04/2002
relativo all'articolo
Fondazione Bruno Zevi; tre domande a Luca Zevi
di
Luca Zevi - antiTHeSI
Cari Luca e Adachiara, il mio cuore ha esultato di gioia all'apprendere la nascita della Fondazione Bruno Zevi. Insieme alla Fondazione Giovanni Michelucci saranno i due fari luminosi per il buon avvenire dell'architettura italiana. Giorni fa ebbi occasione di ringraziare Sandro Lazier e Paolo Ferrara per l'opera di divulgazione del pensiero del Professore Bruno Zevi.
Ma ora cari Luca e Adachiara sono sicuro che con questa iniziativa il patrimonio culturale di vostro Padre sar conservato e ricordato correttamente :"... la Fondazione continuer a considerare l'architettura come una disciplina destinata ad incidere fortemente sulla vita quotidiana della gente, condizionandone i modi di pensare e di agire. In questo senso continueremo ad occuparci di architettura in chiave civile e politica, tentando di farne sempre pi uno strumento di evoluzione dell'uomo e di dilatazione dei suoi spazi di libert...".
Quindi Luca e Adachiara vi ringrazio di cuore, sinceramente... il Professore Bruno Zevi ha ancora molto da insegnare!
Cordialmente Carlo Sarno , dello studio Sarno Architetti, a nome della Nuova Architettura Organica Italiana.
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93
di Giovanni Bartolozzi
del 10/04/2002
relativo all'articolo
Le Corbusier e la dissonanza di Ronchamp
di
Cesare De Sessa
Premetto che il commento, forse troppo lungo e noioso, frutto di piccole riflessioni che, traendo spunto dallo scritto del professor De Sessa, tentano di esprimere la straordinaria capacit di rinnovamento del pi grande architetto europeo, e di rispondere, deviando leggermente il discorso, alla domanda che De Sessa si pone in fondo al Suo scritto.
Per una strana coincidenza, da qualche giorno, non faccio altro che pensare a Le Corbusier, essendo tornato da una vacanza in Francia e avendo fatto tappa a Poissy.
Fino a pochi giorni fa, credevo che villa Savoye fosse semplicemente una scatola, sospesa tra terra e cielo e tagliata da una lunga finestra a nastro.
Ammetto dessere ancora oggi sbalordito da quanto ho visto dentro la scatola. Percorrere la villa Savoye unesperienza indimenticabile, formativa, consente in pratica di scoprire la concezione spaziale che vi racchiusa, ingabbiata. Lo spazio magistralmente concepito, dentro e fuori si fondono in uninsolita simbiosi apparentemente celata dalle quattro facciate e quasi temporalizzata (grazie alla rampa). Gli ambienti sono incastrati in modo da creare una sequenza dascensione verso il tetto giardino, punteggiata da viste antiprospettiche e dalla continua percezione, mediante finestre vetrate e lucernari, del verde circostante. Salendo la parte finale della rampa, in prossimit del tetto, viene quasi voglia di gridare e saltare.
In sostanza un vero e proprio capolavoro che incarna in modo esemplare e completo i famosi cinque punti. Ho quasi la sensazione, che a livello spaziale, la villa Savoye, rispetto alle precedenti opere, abbia qualcosa in pi dei famosi cinque punti, che anticipi, in qualche modo, ed esclusivamente sotto laspetto spaziale, i cambiamenti futuri.
Naturalmente, questa una sensazione personale, dovuta probabilmente allentusiasmo nellaver scoperto e toccato con mano la villa Savoye.
Certamente dal punto di vista linguistico, e non solo, il cambio di direzione, o meglio, la sterzata evidente. Basti pensare, allo choc che provoc Ronchamp a tutti i seguaci di L-C (e negli anni 50 erano veramente tanti) e ai critici del periodo.
Bisogna anche tener conto della novit e della diversit del tema edilizio che caratterizza Ronchamp rispetto alle precedenti opere: non pi lotti predefiniti e ville per banchieri, pittori, artistima un luogo di preghiera, svincolato da programmi rigidi e soprattutto immerso nel verde, tra vallate e colline. Un altro aspetto, inoltre, pu offrire uninteressante chiave di lettura, soprattutto per un architetto veramente sensibile e ferratissimo nellassorbire i mutamenti della societ: gli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale.
Com' noto, infatti, L-C trascorre questi anni, tra i Pirenei e Parigi, in una sorta disolamento, lavorando ai piani urbanistici, al modulor, facendo qualche viaggio e soprattutto dipingendo, attivit questultima che accompagner tutta la sua carriera. Stranamente, in questo periodo di relativa pausa, i dipinti di L-C riproducono mostri biomorfi. Il cambio di direzione si coglie, infatti, con uno scarto sostanziale, anche da questi ultimi dipinti che si presentano ben diversi dai primi geometrici, colorati, puristi e dunque idonei a rappresentare, mediante forme pure, let della macchina.
A questo punto potrebbe essere utile e nel nostro caso risolutivo, il concetto di modernit inteso come continuo tentativo dazzeramento del linguaggio. Senza dubbio L-C, dopo un periodo di crisi, dovuto allisolamento, alla guerra, agli insuccessi dei suoi piani urbanistici, a quelli del modulor e dei concorsi di New York e di Ginevra, azzera completamente il linguaggio rinnegando, soprattutto a Ronchamp, tutte le teorie elaborate precedentemente. Ronchamp potrebbe essere dunque riletta come il frutto di un lungo periodo di crisi, per L-C molto formativo; allo stesso modo, un altro azzeramento potrebbe essere rivisto nel 58 con il Padiglione Philips, seguito ad una serie di lavori che mostrano, ancora una volta, un tono pi sereno rispetto alla successiva esplosione di Bruxelles.
Sarebbe interessante osservare, da una certa distanza, tutta la carriera di L-C, per esempio partendo dalla Villa Schwob del 1916, fino al padiglione Philips del 1958. Basterebbe, confrontare questi due edifici, visualizzando, naturalmente, tutte le tappe intermedie, per rendersi conto di quante volte L-C si sia messo in discussione, generando un processo evolutivo che dovrebbe far rabbrividire tutti coloro che si fossilizzano per tutta la vita, o per buona parte, dietro un mucchio di teorie e di formule che, nella loro illusoria e apparente universalit, ignorano il continuo avanzamento della societ.
Ci, a mio modo di vedere, implica un atteggiamento veramente coerente rispetto al mestiere dellarchitetto e il concetto di modernit consente di soffermarsi, non tanto sul motivo del generoso cambio di direzione, di cui Ronchamp forse il segno pi
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92
di Carlo Sarno
del 08/04/2002
relativo all'articolo
Le Corbusier Wright
di
Paolo G.L. Ferrara
Ho visitato personalmente sia la villa Savoye di Le Corbusier che la Casa sulla Cascata di Wright e vorrei dare qui una testimonianza: al centro dello spazio delle due ville dei due maestri dell'architettura c'era l'uomo, e non più l'uomo ottocentesco ma un uomo nuovo, libero, responsabile, creativo. Due spazi, due maestri, due sinfonie, regni assoluti di armonia e poesia espressi in un linguaggio nuovo, diverso nella forma ma similare nei contenuti: la stessa Luce illumina lo spazio, una Luce che proviene dalla profondità della coscienza libera dell'uomo contemporaneo pluridimensionale. I due spazi sono organici alle differenti culture in cui sono collocate e contemporaneamente sono puri nella verità che esprimono.
Hai ragione Paolo, non lasciamoci distrarre da differenze legate a strutture superficiali di linguaggio ma cogliamo l'unità dei due maestri nella loro struttura profonda: l'amore per la vita, per l'uomo, per l'architettura nella e sotto la Luce.
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89
di Giovanni Bartolozzi
del 05/04/2002
relativo all'articolo
Portoghesi escluso? E chi se ne frega
di
Sandro Lazier
Caro Sandro,
Sempre nell'articolo del Corriere Della Sera, Portoghesi amareggiato: "Sarei stato felice di partecipare e avrei detto benissimo sulla sua attivit negli anni [...] io non ero d'accordo con le sue ultime posizioni".
La cosa che pi mi preoccupa che Portoghesi e altri tendono a disconnettere e separare l'attivit di Zevi degli ultimi anni da quella degli anni '50 e '60.
Ci assolutamente falso, ne prova il fatto che alla base di tutta l'attivit di Zevi vi un profondo e innato desiderio di libert che trova riscontro in una architettura libera da ogni accademismo da ogni regola e che rispecchia la societ contemporanea in continuo mutamento.
Allora le ultime posizioni di Zevi sono perfettamente coerenti con le prime ( e questo dimostrabile in infiniti modi). Inevitabilmente la societ negli ultimi sessant'anni ha subito enormi cambiamenti che Zevi, grazie alla sua acutissima sensibilit, ha saputo registrare, mentre probabilmente il professor Portoghesi rimasto troppo legato agli anni '70.
Preciso, per correttezza, che quella stupenda frase, su che cos' l'architettura, non stata scritta da Portoghesi, ma stata pronunciata da quest'ultimo in occasione della presentazione, tenutasi a Firenze, del suo ultimo libro edito da Skira.
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91
di Carlo Sarno
del 05/04/2002
relativo all'articolo
Il senso della verit nella critica
di
Sandro Lazier
Ciao Sandro, ti chiedi quale la ricerca della verit, come ricercarla...
con umilt prover a darti il mio parere.
La critica un problema di coscienza, di introspezione nella propria e altrui anima, di fede. Imparando a conoscere se stessi (lo diceva anche Socrate) si trova la via per la comprensione della esistenza e della realt in maniera profonda e non supereficiale. Solo comprendendo se stessi e la propria essenza un critico potr diventare un vero critico, ovvero un critico rivolto alla verit sua, degli altri, e delle opere e degli argomenti che tratta.
Credo anche che per diventare un buon critico occorra comprendere il mistero della Croce, il mistero dell'uomo e della sua partecipazione al divino. Il Regno di Dio dentro di voi, ripeteva Ges, ed a lui recentemente nel campo dell'architettura faceva eco nel suo libro Testamento Frank Lloyd Wright ripetendo...il Regno di Dio dentro di voi...non lasciate spegnere la vostra Luce.
Io credo che la risposta al come ricercare ed a quale sia la verit nella critica lo si debba ricercare proprio l, nel cuore dell Luce che in noi.
Carlo.
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88
di Fabio
del 03/04/2002
relativo all'articolo
Portoghesi escluso? E chi se ne frega
di
Sandro Lazier
Credo che la maggior parte degli architetti con un minimo di buon senso rimanga tutte le volte sbalordita di fronte alle proposte portoghesiane, e ancora pi del coraggio di chi fa in modo che si realizzino.
In una non lontana trasmissione di Santoro, che aveva per tema l'abusivismo , era invitato "l'illustre".
Mi stup la sua difesa dell'illegalit.
Non ricordo bene le sue argomentazioni, ricordo solo che rimasi stupito.
Credo che di fronte a fenomeni estremi sia necessario adottare giudizi radicali.
Lo dico con tristezza, da architetto sicilIano , ma ancora prima da siciliano perch responsabile dell'abusivismo non e' l'ignoranza o l'arretratezza ma una presunzione di fondo: che ogni divieto imposto dallo stato sia una semplice coercizione ingiusta , che dietro una legge non ci sia la cura verso un bene comune , che non esista alcun bene comune da difendere, e non ci si pu sporcare le mani con alcun giudizio a favore.
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83
di Arcangelo Di Cesare
del 27/03/2002
relativo all'articolo
Luigi Pellegrin, un uomo che non ebbe paura della
di
Paolo G.L. Ferrara
La grandezza di Luigi Pellegrin era nella sua consapevolezza di essere una persona eletta.
Eletta dagli essere umani.
LUI , in questi ultimi venticinque anni, avrebbe potuto fare molto di pi quello che ad altri stato, purtroppo, permesso.
Non ha pi senso trovare le colpe.
Anche se le colpe sono evidentissime.
E cito solo un progetto: Zona Espansione Nord a Palermo.
Ma LUI questo non interessava e, quindi, continuava a nutrire le persone con le quali entrava in contatto attraverso i suoi densi silenzi.
Ricorder per sempre le sue lezioni svolte a Fontanella Borghese, lezioni costruite attraverso le sfide ed intorno alle curiosit che, trapassando il culturame modaiolo diffuso nel mondo architettonico, densificavano le nostre masse cerebrali gi infettate da numerose metastasi.
Arrivavamo da LUI al 5 anno accademico: molti rinunciavano in partenza, altri durante, pochissimi avevano la forza di resistere.
La rivelazione, che ne scaturiva, era assolutamente unica.
Scoprivi il MONDO.
Quello che gli altri per quattro anni ti avevano nascosto.
Ricordo il suo sguardo ed il suo silenzio, ricordo il momento in cui ti lasciava solo con le tue poche certezze ed i tuoi tanti dubbi.
LUI riusciva ad ingigantire le tue lacune, ma lo faceva in un modo tale che dopo lumiliazione susseguente, tu ne uscivi pi forte e deciso di prima: inspiegabilmente ti era aumentata la voglia di fare architettura.
LUI mi ha insegnato ad amare larchitettura nellunico modo in cui si pu insegnare questa dolce disciplina:
-suscitarti la curiosit (per ),
-metterti di fronte alle tue responsabilit (per ),
-pensare nello spazio (per ),
-sapere che se qualcuno ti copre di merda, tu devi rialzarti pi forte di prima (per ).
Il suo insegnamento mi ha ripagato di tanti momenti vissuti distrattamente.
Cercher di continuare pensando che LUI sia ancora tra noi,
essendo certo che la sua assenza mi cambier il modo di vedere larchitettura.
Mi mancherai
Arcangelo
Architetto
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84
di Carlo Sarno
del 27/03/2002
relativo all'articolo
Il senso della verit nella critica
di
Sandro Lazier
La critica non pu essere solo logica e coerenza. La critica una attivit intensamente umana dove i problemi dello spirito dell'uomo emergono incalzanti.
La critica - la vera critica - una attivit morale e costruttiva che dona coscienza a fatti ed eventi di cui ancora non si ha chiara consapevolezza; il critico l'interlocutore degli eventi, colui che stabilisce un dialogo, che traduce l'indicibile, che dona agli altri - distratti - una consapevolezza di fenomeni rilevanti per la crescita culturale e morale dell'umanit.
Il mio pensiero va a Gramsci, a Zevi e tanti altri.
Ma soprattutto la critica un problema di coscienza, di amore per la vita, di ricerca della verit , che assume in s anche l'assurdit della Croce e della incomprensione in quanto profezia dell'ignoto.
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27/3/2002 - Sandro Lazier risponde a Carlo Sarno
"Ma soprattutto la critica un problema di coscienza, di amore per la vita, di ricerca della verit ..." appunto, quale verit? Ma soprattutto, come?
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82
di Carlo Sarno
del 25/03/2002
relativo all'articolo
Gli ultr di Zevi
di
Paolo G.L. Ferrara
Un articolo commovente il tuo, Paolo, un articolo che lascia il segno nella coscienza di un architetto e di un uomo, un articolo che celebra la verit e l'amore per l'architettura, un articolo che fotografa Zevi nella sua essenza di uomo prima che di grande critico, di nuovo devo dirti grazie, anche per la tua coerenza ( non sapevo che avevi perso l'incarico all'universit, per lanciare il tuo messaggio)
Tu scrivi nell'articolo che i zeviani non sono finiti, che sono in divenire. Ti racconto una storia. Mio padre tornato dalla guerra studiava alla facolt di architettura di Napoli quando apparve il libro "Verso un'architettura organica", ne rimase incantato, e sotto la guida del prof. Giulio De Luca passarono dalle colonne alla progettazione organica in architettura. Da allora Zevi stato sempre presente nella crescita culturale ed architettonica di mio padre ed in seguito di noi, nuova generazione di architetti.
Ora giunto il momento di una squilla, di una nuova architettura organica, che dai processi generativi di Wrigth dia origine a nuovi sviluppi pi idonei alla nuova epoca ed alla nuova sensibilit. E questo ci che lo studio Sarno Architetti sta promuovendo e realizzando: una nuova architettura organica italiana.
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79
di Sarno Architetti
del 24/03/2002
relativo all'articolo
Portoghesi escluso? E chi se ne frega
di
Sandro Lazier
Sono d'accordo a seguire il tuo ultimo consiglio dell'articolo. Lo storicismo la morte della nuova creazione architettonica, la vilt dell'individuo che non tenta nuove avventure, un codardo, un bambino legato al suo cordone ombelicale e mai cresciuto.
Il vero nuovo linguaggio architettonico trasforma e rielabora non i fatidici schemi tipologici ma trasforma i processi generativi dell'architettura con nuovi innesti pluridimensionali ed organici.
Infine, mi dispiace per Benevento, una citt storica che vuole vivere un domani senza storia , un futuro senza identit (falso antico).
Sarno Architetti, Nuova Architettura Organica.
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78
di Sarno Architetti
del 24/03/2002
relativo all'articolo
L'artista non vede, guarda
di
Sandro Lazier
Va bene per gli occhi che non vedono ma non per la visione organica dell'espressione in senso drammatico.
La nuova architettura organica pur lasciando libero spazio al campo dell'espressione, del 'guardare dentro', non rinuncia all'armonia serena e pacifica. Il bello non è solo il dramma e la catarsi (Gerhy,Libeskind), il bello è anche sentirsi bene in uno spazio veramente organico, pluridimensionale, espressivo ma gioioso e sereno come tutti noi vorremmo la nostra vita.
Sarno Architetti, Nuova architettura organica, Salerno, Italia, (http://www.sarnoarchitetti.com)
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77
di Sarno Architetti
del 24/03/2002
relativo all'articolo
Il linguaggio dell'architettura
di
Sandro Lazier
Il linguaggio dell'architettura è lo spazio dell'uomo, un uomo che vive, che ama, che pensa, che agisce , che trasforma, non esiste uno spazio solo storicistico o solo geometrico-formale, esiste la vita di esseri umani che hanno per vocazione di esistere in modo libero e veritiero e non coartati da uno spazio-scatolificio o da una decostruzione scomposta e disarmonica.
No ad una classicità statica e inorganica. No ad un decostruttivismo formale e dicotomico.
Si ad una architettura organica che genera uno spazio armonico per l'uomo libero, dinamico e pluridimensionale.
Sarno Architetti,Nuova teoria organica, Salerno, Italia (http://www.sarnoarchitetti.com)
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76
di Carlo Sarno
del 23/03/2002
relativo all'articolo
The Virtual Museum, secondo A. Bonito Oliva
di
Sandro Lazier
Il museo virtuale pu avere una grande funzione di divulgazione dell'arte e della cultura, nulla togliendo al momemto decisivo e intenso dell'incontro reale con l'opera d'arte vera e propria, che pu essere anche preparato da un primo incontro virtuale e guidato con l'opera d'arte.
Comunque, a mio parere, la vita l'opera d'arte che pi di ogni altra dobbiamo conservare, ammirare e contemplare, vera opera d'arte che costtituita da relazioni umane, affetti e sentimenti; in tal senso il museo virtuale potrebbe concorrere a incentivare la partecipazione e la interazione tra gli esseri umani ,anche lontani, vere opere d'arte viventi.
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72
di Arianna Sdei
del 18/03/2002
relativo all'articolo
Mario Galvagni: la ricerca silente
di
Beniamino Rocca
In risposta al commento 71
Gi Zevi. Chiss se avrebbe approvato tutti i discorsi prolusi in suo onore in quella maratona d'eccezione che si tenuta a Roma il 14 e 15 Marzo; mi piacerebbe sapere cosa pensava veramente delle persone che lo hanno ricordato -devo dire, con impegno- e mentre ero l seduta distante, mentre ascoltavo discorsi del tipo "non esiste dissonanza senza assonanza ed pi dissonante un'assonanza senza dissonanza"; non potevo fare a meno di immaginare cosa avrebbe fatto lui in quell'occasione, quale parola di rottura, quale gesto. Forse perch ho assistito solo alla parte conclusiva dell'incontro ma ho veramente, drammaticamente sentito per la prima volta la mancanza, l'incomprensibile assenza di Bruno Zevi.
Credo che il messaggio sia la propria architettura e che questa meriti una possibilit, se non siamo noi a concedergliela, nessuno ce la conceder.
Ringrazio Alberto Scarzella Mazzocchi per la risposta chiarificatrice.
Arianna Sdei
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73
di Carlo Sarno
del 18/03/2002
relativo all'articolo
La New Age del'architettura organica.
di
Paolo G.L. Ferrara
Finalmente un articolo che fa chiarezza sul messaggio di Wright ed il suo rapporto con un facile e superficiale naturalismo.
Grazie Paolo Ferrara per le tue riflessioni.
Cordiali saluti
Carlo Sarno architetto
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75
di Carlo Sarno
del 18/03/2002
relativo all'articolo
Luigi Pellegrin, un uomo che non ebbe paura della
di
Paolo G.L. Ferrara
Si, giusto riconoscere il valore di Luigi Pellegrin e la sua lezione di architettura organica italiana. Bruno Zevi ha sempre dato molto rilievo alla sua figura di architetto come risposta italiana alla lezione di Wright.
Cordiali saluti
Carlo Sarno architetto, promotore con lo studio Sarno Architetti della "nuova architettura organica" italiana
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18/3/2002 - Paolo G.L.Ferrara risponde a Carlo Sarno
Pellegrin stato sottovalutato. Ma si sa, un vizio nazionale quello di andare in soccorso dei vincitori...
Commento
71
di Alberto Scarzella Mazzocchi
del 13/03/2002
relativo all'articolo
Mario Galvagni: la ricerca silente
di
Beniamino Rocca
In risposta al commento 69
Afferma Arianna Sdei che il messaggio va comunicato ed compito dell'artefice del messaggio il farlo passare.
Sono d'accordo ma non il caso di Mario Galvagni, perch i suoi disegni sono stati contestati in quanto inusuali, all'epoca, in una rivista di architettura.
Galvagni, esprimendosi nelle tre dimensioni, elaborava i suoi progetti con il metodo delle sezioni sovrapposte, allora in uso per i disegni di aerei, navi o di componenti meccaniche dei motori.
Doveva quindi, lanciare il messaggio che un'architettura, che esce dal piano, deve essere disegnata con altre tecniche, per ottenere l'effetto voluto, e per verificare la validit e la forza dei volumi.
Disegnare i suoi progetti nelle due dimensioni significava tradirne lo spirito, appiattendole.
Galvagni non stato, e non , un artista incompreso, bens un artista scomodo. Nel proporre le sue architetture, "osava" criticare i maestri, e i gruppi elitari che li osannavano ed imponevano i loro credo, nelle universit e nell'editoria di settore.
Zevi, avrebbe potuto aiutarlo, perch come Ponti, era estraneo dal giro di questi gruppi. Purtroppo c' stato scontro tra due personalit, ed il vivere in due citt sufficientemente distanti tra loro, anche culturalmente, come Roma e Milano non ha certamente aiutato.
Poi Zevi, che avr avuto un sacco di difetti ma che era
costituzionalmente corretto e che amava profondamente l'architettura, ha avuto la forza di rompere il ghiaccio.
E anche questo un fatto importante, da ricordare.
Perch concede speranza.
Alberto Scarzella Mazzocchi
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70
di Cesare Casati
del 12/03/2002
relativo all'articolo
Regalo di Natale di Antithesi al Direttore di L'A
di
Paolo G.L. Ferrara
Solo ora leggo il "dono" di Natale.
Ringrazio per l'attenzione e mi piacerebbe conoscerla. Perch non viene a trovarmi in redazione?
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12/3/2002 - Paolo G.L.Ferrara risponde a Cesare Casati
Il Suo invito un segnale importante per i lettori di architettura. Che un Direttore di una conosciuta rivista internazionale desideri confrontarsi con qualcuno che ne ha messo in discussione un editoriale, non cosa di tutti i giorni e non pu che fare piacere, soprattutto se questo "qualcuno" -ai pi- sconosciuto. Significa che qualcosa si muove. Dunque, accetto molto volentieri e, anche a nome di Sandro Lazier, La ringrazio dell'invito, che sar un'occasione per dare ai nostri lettori ulteriori argomenti di discussione.
Commento
69
di Arianna Sdei
del 12/03/2002
relativo all'articolo
Mario Galvagni: la ricerca silente
di
Beniamino Rocca
In risposta al commento 66
Voglio solo dire che non dovremmo farci scappare le occasioni quando ci capitano sotto mano, che talvolta dovremmo anteporre il messaggio, che appunto l'architettura costruita, al nostro ego.
Penso che l'architettura sia costruita, calce, cantiere, materia, e che questo sia lo strumento che l'architetto possiede per comunicare, il consenso funzionale alla costruzione.
Penso che il consenso non lo si ottenga cercando di convincere, ma mostrando semplicemente la propria esperienza, ed questo il gesto che paga, si rinuncia ad un p di arroganza per acquisire
comprensione, l'episodio con Zevi mi fa pensare a questo.
La mia considerazione muove dalla lettura dell'articolo ma proviene da una lunga riflessione personale, voglio pensare che il messaggio pu passare e che l'architettura si pu fare.
Ringrazio l'autore per la sentita risposta
Arianna Sdei
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Commento
68
di Beniamino Rocca
del 11/03/2002
relativo all'articolo
Il linguaggio dell'architettura
di
Sandro Lazier
In risposta al commento 63
Ha ragione Sandro Lazier a dire "...le nuove architetture sono sempre pi legate al mantenimento ed alla salvaguardia di ci che esiste".
Ha ragione a dire che "... sempre pi difficile per un giovane architetto fare il proprio mestiere", ma allora va anche denunciato con forza il perch i giovani appena laureati vengono sistematicamente falcidiati all'esame di stato dagli stessi professori che li hanno promossi appena un mese prima, e da colleghi (badate bene, tutti gi ben inseriti nel mondo del lavoro) che hanno tutto l'interesse a tenerli fuori dalla loro professione.
Ordini professionali e universit sono oggi un potere intrecciato (e consolidato -vedi ad esempio le iniziative della Fondazione dell'Ordine degli Architetti di Milano) che opera sistematicamente contro il rinnovamento dell'architettura.
La legge Merloni ne costituisce la prova istituzionalizzata
Un'ultima riflessione. Carlo Scarpa stato denunciato tre volte alla magistratura dall'ordine degli architetti di Venezia perch faceva l' architetto. Sar stato per tutelare la societ dalla cattiva architettura, come ancora oggi spudoratamente sostengono gli ordini per mantenere il loro potere?
Beniamino Rocca
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11/3/2002 - Sandro Lazier risponde a Beniamino Rocca
Caro Beniamino Rocca, le parole che lei cita non sono mie ma di d.n. (purtroppo ci sono pervenute solo le iniziali). Non per questo non condivido quello che lei dice. Anzi, qualche anno fa, per aver scritto in favore dell'abolizione del sistema feudale degli ordinamenti professionali, ho pagato un prezzo salatissimo di cui ancora sento le conseguenze. Ma lamentarsi serve niente.
L'architettura non sono gli ordini e non l'universit. L'architettura libera espressione, libera cultura e non esistono argomenti sensati che possano legittimare un qualche controllo monopolistico della libert di esprimersi e di parlare. L'architetto chi fa architettura, non certamente chi nella casella del censimento alla voce professione scrive "architetto".
Vogliamo abolire gli ordini? D'accordo, ma sappia che il mondo delle costruzioni rappresenta circa il 30% del PIL e le relative parcelle sono una torta che sar dura togliere dalle robuste mandibole di affamati professionisti il cui interesse culturale per la materia dubito possa sostituire la sacoccia.
Carlo Scarpa? Anch'io sono Carlo Scarpa.
Commento
66
di Beniamino Rocca
del 07/03/2002
relativo all'articolo
Mario Galvagni: la ricerca silente
di
Beniamino Rocca
In risposta al commento 61
Non so entrare nel merito della questione per come, mi pare un po troppo filosoficamente, la pone Arianna Sdei.
Conoscendo un po Mario Galvagni una cosa mi sento di dire:
Lui ha sempre cercato di comunicare le sue idee, in ogni occasione, anche intervenendo ai dibattiti sullarchitettura che gi negli anni 50 si tenevano con Rogers e Gardella alla Casa della Cultura di Milano.
Era troppo in anticipo sui tempi: questa la verit. Non riusciva a farsi capire dagli architetti e dagli accademici quando parlava della sua idea di architettura, di percorsi percettivi , di matrici formali .
I primi dicevano l matt , e gli accademici : un formalista .
Strano ma vero, la committenza lo capiva, e lui -appena ventiquattrenne - sapeva fare innamorare i clienti della sua architettura portandoli sul greto del torrente, nei campi, sulla spiaggia, a prefigurare spazi, luce, materiali.
Avendo lavoro era invidiato, proprio come successe a Carlo Scarpa con lordine di Venezia, mentre gli ordini degli architetti di tutta la Liguria (ma anche di quello di Milano sarebbe bello dire ) facevano processioni alla Soprintendenza per impedirgli di progettare.
Insomma, se sei troppo in anticipo sui tempi e non hai potere accademico, comunicare architettura costruita dura.
Beniamino Rocca .
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Commento
65
di A. Simone Galante
del 06/03/2002
relativo all'articolo
Terragni di Nino Saggio.
di
Sandro Lazier
Egregio Prof. Saggio, riconosco che Terragni stato un grande protagonista dell'architettura, anche se mi ha sempre lasciato perplesso il suo aderire al Fascismo, e poco credo al fatto che, come anche per molti altri, si sia trattato di un grande equivoco. Comunque, mi farebbe piacere sapere che rapporto Lei e Lazier credete ci sia tra architettura e politica, soprattutto ai nostri giorni. Per noi giovani importante capirlo. Grazie.
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6/3/2002 - Sandro Lazier risponde a A. Simone Galante
Io credo che il problema non sia se Terragni abbia aderito al fascismo o meno. La domanda : larchitettura di Terragni fascista e di regime? Io credo di no. Larchitettura di regime si manifesta con un linguaggio che non ha nulla a che vedere con quello estremamente critico e incerto di Terragni. I regimi hanno bisogno di monumentalit, solidit, certezze e verit indiscutibili da imporre con la forza. Larchitettura del comasco lesatto contrario: sa essere antimonumentale e priva di centralit anche nel Novocomun, fabbricato perfettamente simmetrico. Molto probabilmente se il fascismo fosse stato quello che viene dallarchitettura di Terragni, sarebbe stato altro. Altri hanno fatto il fascismo.
Il rapporto tra architettura e politica quindi forte e sostanziale. Ma riguarda larchitettura.
Ha scritto Zevi: larchitettura il termometro e la cartina al tornasole della giustizia e della libert radicate in un consorzio sociale. Se non politica questa.
Commento
63
di d.n
del 02/03/2002
relativo all'articolo
Il linguaggio dell'architettura
di
Sandro Lazier
Riferimento: Commento 68
Dov' la vera architettura? Chi sono gli autori della vera architettura?
Sono poche le volte in cui si rimane piacevolmente sorpresi.
Le "nuove architetture", soprattutto in Italia, sono sempre pi legate al mantenimento e alla salvaguardia di ci che gia esiste.
L'operato che spesso viene richiesto ai professionisiti, deve essere, in molti casi, del tutto impersonale, soprattutto negli interventi di recupero, ristrutturazione ecc. Probabilmente e' un anomalia dei nostri tempi ma tanto piu' un architetto ha intime capacita' creative e tanto meno riesce ad esprimerle.
La figura dell'architetto ha perso quasi totalmente la sua identit creativa, orientandosi sempre pi verso quella di tecnico specializzato. Ormai sono pochi i fortunati che riescono "liberamente" a esprimere il proprio linguaggio, a dare allo spazio una sua identita', un suo ruolo.
Soprattutto le nuove generazione di architetti, hanno scarsissime possibilita' di far sentire la propria forza e il proprio pensiero.
Sembra quasi un paradosso, ma i giovani italiani che mediamente trentenni escono dal mondo "fantastico" delle facolt di architettura, che per preparazione culturale non hanno niente da invidiare ai colleghi europei, probabilmente non riusciranno mai a fare veramente gli architetti. Architetto, non vuol dire aprire il proprio studio con tanto di targhetta, barcamenandosi in lavori di scarso valore, ma prendere coscienza del vero ruolo che questa figura ha nella societa'. Se dobbiamo attingere dal passato, guardiamo l'importanza che l'architetto ha avuto, rendiamo a questa professione la dignit che merita.
La soluzione non quella di "fuggire" verso preusunte mete migliori, ma quella di raccogliere coraggio, e di "lottare" affinch il pensiero di questa nuova generazione di architetti italiani emerga.
Ci sono alcuni tentativi di rilanciare l'architettura italiana, che ormai da troppo tempo sommersa, ma sono pochi e spesso non sono efficaci.
Probablimente ci vorr ancora del tempo, forse sar un utopia, ma dobbiamo riportare attenzione sulle nostre potenzialita' e rilanciarci a livello internenazionale.
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2/3/2002 - Paolo G.L. Ferrara risponde a d.n
Il problema c', indubbio. Quel che manca la difficolt di capire che di passato si pu vivere anche attualizzandolo. Abbiamo un sottosegretario ai Beni culturali che sciorina preparazione architettonica e sprizza sentenze da tutti i pori. Ma non Sgarbi il problema: lo sono gli stessi architetti, i critici, gli storici. Quanti hanno ed avranno il coraggio di rispondergli a tono, di smentirlo, di fargli fare figure barbine? Ecco, se ci sar il coraggio di reagire pur sapendo che si corre il rischio di essere tagliati fuori, solo allora si potr dire che si sta facendo il possibile per fare rientrare la cultura architettonica italiana nel contesto internazionale.
Il plauso va a quei pochi che non si prostrano e che dicono quel che pensano senza fare calcoli di convenienza. Tutto qui. Ma ci vogliono le palle, e che palle...!
Commento
62
di enricogbotta
del 01/03/2002
relativo all'articolo
Stanno tornando le simpatiche canaglie?
di
Paolo G.L. Ferrara
Ho avuto modo di seguire la presentazione di IaN+ a Firenze, e anche di apprezzare le osservazioni e le questioni poste da Paolo Ferrara. In un contesto dove l'entusiamo, per altro comprensibile, di presentare un gruppo "giovane" nell'occasione di una mostra aveva un po' accentuato i toni positivi, Ferrara ha avuto la fermezza, per cosi' dire, di sollevare comunque delle critiche utili a fare si che la discussione non si riducesse ad una semplice pacca sulla spalla anche un po' imbarazzante.
Condivido il giudizio complessivamente positivo, se non altro in qualita' di cartina al torna sole, del lavoro presentato. E' vero che manifesta un atteggiamento nuovo, anche se e' innegabile che i progetti fornivano suggestioni piuttosto che formulazioni concrete, non ancora se non altro.
Purtroppo, per motivi di tempo, non mi fu possibile allora, e sono lieto che se ne presenti l'occasione ora, di porre una domanda.
Se prendiamo il lavoro visto -ma allargherei il discorso all'atteggiamento generale alle dichiarazioni di intenti, come espressioni di un nuovo approccio alla progettazione- quali sono i veri punti di innovazione, non solo rispetto alle realizzazioni precedenti, ma anche rispetto alle formulazioni teoriche? Cioe' dove risiede il vero segno della novita'?
Nel computer, come hanno detto Galofaro e Saggio, no. Il computer in se' non e' un aspetto significativo, anche perche le applicazioni a cui il computer in qualita' di strumento si presta sono numerose e di varia natura, anche ontologica.
La novita' non e' riducibile ad un fatto meramente generazionale, e anche questo viene ribadito dai panellisti.
Bene, sappiamo dove "non" sta la novita', ma ancora non abbiamo individuato un elemento, un tema, una visione che siano "di rottura".
La tematica edificio/paesaggio e' una tematica lecorbusieriana, cosi come il tetto giardino usato da IaN+ nel progetto per la piazza che hanno esposto, o wrightiana. La tematica dello spazio libero da vincoli (cosi come, ancora, il rapporto tra lo spazio architettonico e il paesaggio) e' una tematica miesiana... la descrizione che Luca Galofaro ha fatto degli edifici compresi nel progetto gia' citato mi ha fatto piu' volte pensare alla Casa Tugendhat di Mies.
Questo mi fa dedurre che il lavoro di IaN+ sia in continuita' col modernismo. Le influenze sono anche altre, alcuni hanno nominato le avanguardie Archigram, Superstudio, ma forse il vero ponte e' il Gruppo X, anche per il linguaggio visivo. Beh insomma, ma allora la novita' dove sta?
Faccio un tentativo...
Credo che sia il computer sia "l'eta' " siano fattori importanti di differenziazione, e siano le due cose che, forse piu' di altre, contraddistinguono o sono utili a distinguere gli architetti da un certo punto in poi rispetto ai loro predecesori. Perche una svolta generazionale c'e' stata ed e' stata determinata dal computer. In termini assolutamente generali, sino a un certo punto il computer non aveva nessun ruolo, da un certo punto in avanti lo si e' dato per scontato. Gli studenti che si immatricolano ora credo che difficilmente presenteranno il loro progetto per composizione 1 disegnando con stecca e squadra, e se lo fanno pianificano di imparare ad usare un software piuttosco che comprare il tecnigrafo. Quindi computer ed "et" sono elementi fondamentali per capire i cambiamenti su larga scala nell'ambito dell'architettura, dalla formazione alla professione.
Poi, entrando nel dettaglio, non e' piu' una questione di computer in quanto tale. Pero' e' innegabile che un "certo" uso del computer invece rimane come fattore di novita'. Il cad che riproduce il disegno manuale non aggiunge niente al significato dei segni tracciati. Un uso "creativo" del computer invece si. Fermo restando che questo possa non essere il caso di IaN+, e' un fatto che l'utilizzo di programmi non prettamente "architettonici" abbiamo prodotto cambiamenti radicali nel modo di pensare l'architettura. Ed e' qui l'importante, non certo la stravaganza delle forme che si possono ottenere da un calcolatore.
Un vero cambiamento nel modo di pensare l'architettura, e per nuovo intendo qualcosa che si differenzi non solo dalle opere costruite sino a ieri ma anche dalle idee pensate fino ieri, e' veramente auspicabile, forse siamo solo all'inizio, forse ci vorra' la prossima "IT revolution" perche il cambiamento arrivi davvero. Chissa'.
un saluto,
enrico g.botta
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1/3/2002 - Paolo G.L. Ferrara risponde a enricogbotta
Il pericolo è sempre lo stesso e poco, a mio parere, dipende dal mezzo usato: formalisti e scopiazzatori con la matita o con il computer non fa differenza. Ora, per non copiare o fare i formalisti si deve avere una base forte, imprescindibile: la preparazione culturale. Non necessariamente una laurea in architettura. L'uso creativo del computer non è altro che l'accellerazione del processo di rappresentazione di quello che il progettista ha già creato nella sua mente, e che solo egli può vedere finchè non lo rende esplicito attraverso i disegni.
Caro Botta, non posso negare il fondo di verità che c’è nelle Sue affermazioni: novelli progettisti al cad spuntano come funghi, e se non si ha capacità di riconoscere quelli non nocivi si rischia grosso.
Personalmente, credo che il vero cambiamento dei modi di pensare l’architettura sia conseguente ai nuovi modi di pensare la società. Estremizzo: il modo di pensare l'architettura cambia pari passo al modo di pensare la (e della) società. Il computer c'entra poco. Nessun romanticismo o enfasi della grafite: solo la consapevolezza che le potenzialità del mezzo sono enormi, ma per sfruttarle a dovere bisogna in primo luogo capirne i limiti. Quel che conta, ripeto, è la testa. Trenta anni fa anche Purini si esprimeva attraverso i disegni e ne ha fatto un momento basilare della sua visione dell’architettura. A prescindere se essa fosse condivisibile o meno, aveva dei concetti da esprimere. Ecco, dai giovani ci si aspetta che diano nuova propulsione al pensiero di architettura, tenendo presente che qualcosa di nuovo lo si può dire anche rendendo il passato “contemporaneo”.
Commento
61
di Arianna Sdei
del 28/02/2002
relativo all'articolo
Mario Galvagni: la ricerca silente
di
Beniamino Rocca
riferimento:Commento 66
Personalit geniale, non v dubbio.Lo scorcio di Casa Silva pu essere affiancato a quello di un prospetto delluniversit di Cincinnati e creduto coevo, li separano invece ben 35 anni. Tutta la ricerca che ha cominciato ad affacciarsi nelle universit da pochi anni e che ormai pi nessuno pu ignorare era gi iniziata, costruita, quando i capostipiti ancora, forse, la ignoravano.
Lui era il solo in quel momento, geniale, non v dubbio.
E Zevi non poteva non riconoscerlo, ma la genialit purtroppo non basta.
Sono molteplici le cause che fanno di un artista incompreso una personalit di primo piano nella societ , prima fra tutte la volont di farsi capire, di trasmettere, di comunicare, ed allora la richiesta di avere disegni pi comprensibili e foto pi esplicative avrebbe subito assunto un altro significato.
Il messaggio va ricercato, elaborato, creato dallartefice ma compito dello stesso di farlo passare.
Il messaggio va comunicato ed il messaggio un regalo allumanit intera, quindi pi importante di qualsiasi idea personale.
Dir di pi, se manca questa forte volont di comunicare lartista non tale, non esiste lartista egoista.
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60
di Paolo G.L.Ferrara
del 23/02/2002
relativo all'articolo
Architetti o sensitivi?
di
Giovanni Bartolozzi
Caro Giovanni, non stupirti della pubblicit subliminale (a s stessi) che viene fatta dai relatori nella maggior parte dei convegni. E' la debolezza umana, quella che fa scattare la molla del protagonismo, del tipo "...Michelucci era un genio, ma anche io non sono da meno".
Ci sarebbe una formula un p pi spiritosa che potrebbe essere utilizzata dai "viventi" sedicenti depositari della verit : " Michelucci (o chi per lui) morto, ed anche io non mi sento molto bene!" . Ma non la usano, credo per scaramanzia...
Sono stato alla presentazione di un libro del Prof. Irace; ovviamente, neanche l'ombra di una pur minima critica che, solitamente, cosa costruttiva. Il moderatore Giulio Vergani e lo stesso Fulvio Irace, senza che realmente ce ne fosse motivo e collegamento in merito a quello che dicevano, hanno tirato in ballo Zevi, ovviamente sparando vere e proprie banalit sulle sette invarianti. Difatti, dalle loro parole sembra che Zevi debba essere ridotto esclusivamente al suo "codice anticlassico", tra l'altro senza neanche averne capito i significati (sarebbe troppo lungo scendere nei particolari, ma lo far presto in un articolo).
Tutto ci per dirti che molto facile attaccare o malporre a proprio piacimento chi non pi in vita. Auguriamo lunga vita a costoro e continuiamo ad aprire contraddittori su ci che fanno e dicono: sar la lezione migliore che potranno ricevere. Quella del coraggio a 360.
Tutti i commenti di Paolo G.L.Ferrara
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58
di Antonino Saggio
del 20/02/2002
relativo all'articolo
Lartista non vede, guarda
di
Sandro Lazier
Caro Sandro,
questa mattina qui c' il sole. E francamente mi ero ripromesso di rimettermi subito a lavorare come dire "seriamente" e disciplinatamente.
Ma il tuo scritto "L'artista non vede, guarda" mi ha come pizzicato.
Ho pensato: bene se una sola persona andr a vedere questa mostra allora tutto assume un senso.
www.vangoghgauguin.nl
Antefatto: a Washington c' stata una mostra sulle nature morte degli impressionisti. Bella intuizione no? Perch gli impressionisti in fondo non ne hanno fatte molte. Ma scavare nei limiti sempre fecondo. E guardando questa mostra si scoprono moltissime cose.
Quali? Non le voglio enumerare, perch le cose belle hanno bisogno di un linguaggio appropriato se vanno trasmesse agli altri, altrimenti molto molto meglio scoprirle da soli.
La mostra che segnalo quella di Van Gogh-Gauguin ad Amestardam che star l fino a giugno.
Ecco, se una sola persona andr a vedere quella mostra dopo aver letto questa segnalazione, ne sar contento.
Credo veramente che sia assolutamente straordinaria (e non ha confronti per qualit con quella del centanario): consente allo sguardo di aprirsi e di interrogarsi con grande intensit.
Un caro saluto
Nino
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50
di Domenico Cogliandro
del 02/02/2002
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
NON HO RISPOSTE
Mi intrufolo in punta di piedi, come un osservatore distante, nello scambio di battute su Gibellina. E un luogo che non si pu negare, cos la vedo. Mi vien voglia di parlarne facendo la parte del distratto, del superficiale, per vezzo, di quello che sta l per caso, del passante, del curioso, dellennesimo avventore di un luogo con tante identit. Lego Gibellina ad un evento: un incontro con altri architetti in occasione di un workshop presso le Case Di Stefano, in alto, sul colle. Un occasione come altre per parlare anche di Gibellina, da invasori. Quellincontro, a ben vederlo, a distanza di tempo, stato per me determinante, mi ha cambiato la vita, mi ha reso pi vulnerabile e al tempo stesso pi cauto. L ho incontrato Roberto Masiero, Francesco Buonfantino, Francesco Maggio, il signor Purini, e l ho visto sorridere, svagata e felice, a chiusura dei lavori, tra le ombre di un portico, difendendosi da una canicola di quasi estate, con una flute di prosecco in mano, come non ho pi rivisto, ma cos la ricordo ancora, Rosalia La Franca.
Gibellina come sfondo, uno strano scenario, un luogo non concluso, un parterre eccezionale di esperimenti linguistici, di intuizioni ormonali, di ultimi errori, di eccetera eccetera. Poco importa quello che accaduto dentro il recinto aureo del workshop, il problema era rinchiuso fuori. E questa sensazione non apparteneva ai pi. Insomma, qualcuno pur ricorder Berlino prima della caduta del muro. Berlino Ovest, si sa, lo so, ma bene ricordarlo, era un anello, un hortus conclusus delloccidente, dentro, perfettamente prigioniero, eppure curiosamente libero, dentro lintera Germania dellEst. Il muro non divideva due Germanie, cos come molti immaginano le linee di confine tra Stati, una linea frastagliata che va da un punto ad un altro, ma rinchiudeva parte di un altro Stato dentro uno Stato diverso. Prigionieri liberi, da un lato, dentro, e liberi prigionieri dallaltro, fuori.
Bene. Vorrei usare questo paragone, con tutto quello che comporta, compresa la caduta del muro, per parlare di Gibellina Nuova, e dire che quello che accaduto quella torrida primavera di otto anni fa, per quanto parziale, non pu essere capitato e basta. E di come altre voci, ascoltate in tutto questo tempo, non abbiano fatto altro che confermare le tiepide sensazioni di disagio avvertite allora. Il fatto che avrei voluto giocare al controcanto con il pezzo scritto da Ferrara, smontandolo e rimontandolo al contrario, sostenendo che forse il male minore quello che accaduto. Ma la realt sconfina e lascia la fantasia, ai blocchi di partenza, a guardarsi ancora le scarpe slacciate. Gibellina Nuova, oggi, si faccia caso, costruita di oggetti atipici: di serie A, di serie B, e delle serie cadette. Gibellina un buon pretesto per dire alcune cose precise, o per lasciar dire ad alcuni cose con le quali possiamo o meno essere in accordo.
La lunga piazza della coppia Thermes/Purini, architetti romani. Un luogo che va visitato, non se ne pu parlare a distanza: bisogna esser passati dentro per darne un giudizio. Ecco, allora, che vorrei lasciare il giudizio lontano da qui, dico il giudizio di merito, non sar certo io il primo ad abbandonarmi ad un inutile sproloquio, non ne parliamo e basta, o almeno non diamo giudizi di merito, ecco. La piazza sta l, e l, dentro la piazza, quantunque sia cosa invisibile, sta il pensiero degli architetti, di quegli architetti, intorno alla questione della piazza urbana. Insomma voglio dire questo, per quanto sia una cosa gi sentita: per capire cosa pensa Purini, cosa ha voluto dire Thermes, bisogna andare a Gibellina Nuova, Sicilia, e attraversare quella piazza, oppure mettersi in un punto, un qualsiasi punto di quella piazza, ed attendere che qualcuno la attraversi, la piazza. Questa la maniera corretta per poter esprimere un giudizio sulle cose, starci dentro con tutti e due i piedi, da vivi. Il buon Dio ci ha dato una possibilit per andarci, usiamola. La mia, ovviamente, non una indicazione turistica, si vada intorno, davanti, dentro una qualunque architettura, in qualunque luogo (Gibellina un pre-testo) e prima o poi affiorer dal profondo un giudizio, buono o cattivo che sia. Quello sar un giudizio determinante per capire che posizioni prendere, da quale parte andare, cosa cercare, a chi rivolgersi, quali libri leggere, che musica ascoltare e via dicendo. Il giudizio sulle cose forma le coscienze.
Quello che so, perch sta sui libri, sulle riviste, e che nessuno pu negare, perch i fatti sono fatti e le conferme possono venire solo dai fatti, quello che so, insomma, che la piazza suddetta di serie A. Gioca nel campionato pi bello del mondo, quello dello star system, dei ragazzotti in braghe di tela, pagati fior di milioni di euro, a patto di poterli vedere correre su un pratone, mistico e perfetto, diremmo assoluto, e compiere le prodezze che solo loro sanno fare. Gioca nel campi
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2/2/2002 - Paolo G.L. Ferrara risponde a Domenico Cogliandro
Narrare di architettura è cosa difficile e richiede particolare predisposizione e preparazione. Domenico Cogliandro lo ha spesso fatto ( vedere, ad esempio, i suoi scritti su Arch'it) dimostrando le prerogative citate, anche in occasione del commento su Gibellina.
L'obiettivo di Cogliandro si sposta ad inquadrare le architetture del paese siciliano per quel che esse sono: architetture, appunto. Io avevo evitato ogni critica all'architettura in sè, non per sottovalutazione dei progetti e delle realizzazioni, bensì per mirare ad una realtà che è lì, incontestabile. Realtà di sprechi, in un luogo diventato "cavia" (e non voleva certamente esserlo, ci mancherebbe!) per sperimentazioni di ogni genere e in qualche caso di pregio. Questa, la realtà, non è un'ovvietà. Come non lo è l'emigrazione, non certo dovuta alla "presunta fuga dal museo degli orrori", e non certo un fatto trascurabile se lo si lega (e lo si deve fare) alla mancanza della volontà politica di creare sviluppo occupazionale. Ma l'obiettivo di Cogliandro è mobile sino a cogliere sfumature che a questi problemi appartengono. Sfumature che comprendono anche chi vive a Gibellina "[...]magari male, ma deve convivere con tutti questi campionati dell'inverosimile[...]".
Ci sto: riutilizziamo e ristrutturiamo queste architetture di Serie A; valorizziamole come qualsiasi altro luogo che abbia potenzialità.
Cogliandro, da un articolo su Arch.it dal titolo "Valorizzare" : [...]Bisogna valorizzare quei luoghi che sono abbandonati a se stessi, bisogna dare a quei luoghi un significato diverso (leggasi: bisogna stabilire quale significato dare ad una determinata cosa, importa poco che lo abbia, per poter accedere a certi bilanci anziché ad altri). Ora, è bene sostenere che molte volte l'attesa di chi abita un luogo sta nel desiderio della corretta utilizzazione del luogo stesso, anche a spese di una minore o maggiore fruibilità di esso. E questo fa parte della discrezionalità politica di assumersi responsabilità tali da porre un discrimine chiaro tra la rivalutazione di un luogo e la sua perdita d'identità[...]. Fin qui Cogliandro. Unirsi. Continua...
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49
di Arianna Sdei
del 02/02/2002
relativo all'articolo
Luniversale di Architettura n 100
di
Sandro Lazier
Grazie al prof. Saggio per il bell'articolo, sintesi appassionante e diagonale del passato, sguardo rivolto al futuro senza paura.
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48
di Davide Crippa
del 02/02/2002
relativo all'articolo
Indietro tutta: l'architettura tutta un quiz
di
Paolo G.L. Ferrara
Con questo articolo voglio rispondere al precedente apparso su Antithesi e scritto da Paolo Ferrara "Indietro tutta: l'architettura tutta un quiz", in cui si attaccava in modo esplicito, e certamente argomentato un ulteriore scritto, quello di Beppe Finessi pubblicato sulla rivista Abitare del Gennaio 2002: "Ragionare sulla pianta".
Pur condividendo alcune delle critiche avanzate da P. Ferrara, ( indubbio che l'articolo in questione sia stato almeno su alcuni punti approssimativo e troppo condensato, cos da rischiare di diventare quasi criptico, e nelle molte citazioni forse impreciso), tuttavia ritengo necessario sottolineare come l'atteggiamento "riduzionista" adottato da B. Finessi sia spiegabile con l'esigenza di concentrare nelle poche righe di scritto la solita miriade di riferimenti ("solita" per chi segue i suoi elaborati, sempre molto densi).
Queste citazioni, se da un lato stimolano una pi approfondita analisi delle varie tematiche, arricchendo i lettori interessati di infiniti spunti di riflessione, dall'altro possono per, se dati troppo per scontato,impedire all'autore di spiegarsi pienamente ed indurre cos malintesi, proprio come nel dibattito in questione, perch penso che di malintesi si tratti.
Ecco qui, dunque, la mia "difesa" dell'articolo di B. Finessi (anche se, conoscendolo, so che non ne avrebbe alcun bisogno!), una difesa che per mi sembra dovuta sia per dovere di precisazione e di verit, che per chiarire, almeno in parte, i lati oscuri lasciati dalla sfilza di nomi presentati.
Allora partiamo dall'inizio: credo che sia giusto sottolineare come il titolo sia "Ragionare in pianta" e non l'altro, certamente pi ambiguo, da Paolo citato: "vedere (dall'alto) per credere (nell'architettura)", che in realt il sottotitolo.
Il titolo gi prelude a quello che sar il tema di tutto il servizio, tema che viene espresso in maniera molto chiara nella frase "...[la pianta] il piacere dell'informare i comportamenti dei fruitori, il sognarli nei loro gesti, radiografarli nei loro giorni, immaginarli nel prima e dopo[...]", per questo l'amico Beppe afferma in seguito quello che riportato da Antithesi, che cio essa "il piacere dell'architettura".
Dunque non si parla dell'amore per la pianta in s, e sarebbe fazioso ridurre il discorso solo a questo: si parla, come ben espresso nella frase che ho riportato sopra, di uno spazio di vita.
Inoltre vanno evidenziate quali siano le esperienze, che si scoprono essere molto pi che ragguardevoli, da cui sono derivate tali affermazioni: evidente che il riferimento va agli studi fatti sugli spazi minimi, ad esempio di B. Munari, dove ogni movimento dell'utente radiografato e studiato, dove tutto deve funzionare come un orologio. In questa ricerca si possono comprendere tutte le sperimentazioni svolte sulle abitazioni temporanee, sulle unit di emergenza (per capire si pensi a quella di Zanuso/ Sapper o di Rosselli), ma non solo, vi si possono inserire anche gli studi relativi alla progettazione di imbarcazioni, tram, aerei, automobili (e non a caso nell'articolo Finessi cita Lazzarini/Pickering, che nei loro interni hanno molte volte sfruttato le esperienze accumulate nella progettazione degli interni delle navi).
Per quanto riguarda Scharoun in particolare penso siano nati i pi forti fraintendimenti, e non possono essere altro perch tutto l'articolo "discusso" prende come pretesto la pianta per dimostrare per la stessa tesi sostenuta nel vostro articolo, dove forse espressa in maniera pi chiara, ma analogamente valida: "un vero architetto non deve seguire le sensazioni, deve riflettere" ;se si analizzano i progetti proposti dai giovani Coex e Cliostraat non si pu infatti non osservare l'estrema intelligenza delle soluzioni avanzate, che certo hanno necessitato una forte ed accurata riflessione, senza cui in nessun modo sarebbero potuti nascere questi piccoli capolavori di concetto!!!
Per quanto riguarda il riferimento a Melnikov il discorso diverso, perch non solo nell'articolo viene sostenuta la stessa vostra tesi, ma essa viene questa volta anche esplicitata a parole, e non lasciata tra le righe dei progetti; semplicemente, dato che il filo conduttore scelto era la pianta, l'idea stata espressa in maniera diversa, a partire dal bidimensionale, ma sempre condividendo la vostra preoccupazione che ci ricorda come l'architettura vera sia sempre in 3D, mai contraddicendola!
D'altronde un taglio del discorso di tal tipo non ci deve essere nuovo, mi viene in mente ad esempio la bella copertina del libro "Marco Zanuso Architetto", in cui Manolo De Giorgi riporta proprio una pianta/schizzo esemplare dove il progettista ridisegna sovrapposti i vari movimenti che l'utente dovr fare per usare questo spazio attrezzato.
Infine voglio ricordare che la frase da Paolo ripresa ironicamente riguardante il corpo nudo che si confronta con lo spazio dell'architettura e del bagno in p
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2/2/2002 - Paolo G.L. Ferrara risponde a Davide Crippa
Prendo atto che Finessi non avrebbe bisogno di qualcuno che difenda le sue idee, né lo dubitavo. Andiamo oltre, rispondendo a Davide Crippa e a quelli che definisce “malintesi”. Se di malintesi si trattasse, ciò escluderebbe a priori la volontà di fare “[…]una difesa […] dovuta sia per dovere di precisazione e di verità[…]”, come Crippa tende a sottolineare. Ma di malintesi non si tratta ed allora è necessario capire se io abbia camuffato la verità dell’articolo di Finessi, i suoi significati.
Prima obiezione di Crippa è il titolo, che non è quello da me citato bensì “Ragionare in pianta”; al proposito, si cita la frase di Finessi “[…]è la pianta il piacere dell’architettura […]è il piacere dell’architetto, è l’informare i comportamenti dei fruitori, è il sognarli nei loro gesti, radiografarli nei loro giorni[…]”, e si definisce la pianta da intendere quale “spazio di vita”.
Mi oppongo: lo “spazio di vita” non può essere dedotto dal ragionamento in pianta, soprattutto quando si chiama in causa Scharoun, sul quale respingo ogni possibilità di fraintendimento; citare Scharoun e prendere “a pretesto” la pianta per dimostrare la stessa tesi sostenuta da me è solo pretestuoso. Sono due punti di vista totalmente discordanti; io di Scharoun non prendo a pretesto niente: mi limito solo a constatare che la pianta non è “ strumento da cui tutto nasce”, almeno nel caso di Scharoun e soprattutto nel caso dell’architettura citata.
Fraintendimenti non ce ne sono, e la frase di Finessi, con la quale chiude l’articolo, è assolutamente chiara al proposito : “[…]E’ la pianta, strumento da cui tutto nasce (complementare al lavoro di sezione), il momento di riflessione a cui non possiamo e non vogliamo rinunciare”. Conoscere molto bene quello di cui Finessi sta parlando per potere capire il senso dei suoi articoli? No, non è così, perché chi scrive non deve dare per scontato un bel niente, e non pretendere che il lettore conosca e sappia decodificare i significati che l’autore nasconde dietro le sue parole.
Caro Davide, se avevi capito l’ironia della mia citazione sul nudo in bagno, c’era proprio bisogno di fare le citazioni su Gaetano Pesce…? D’altronde, sono sicuro che anche Finessi non si presenterebbe mai nudo ad un dibattito con me.
Concludo: porre giovanissimi alla stregua di Le Corbusier o Aalto? Tutto il mio rispetto per i citati progettisti e per le loro capacità, ma non scherziamo e soprattutto evitiamo di definire “di valore assoluto” un progetto. Rispondi a me, Davide: cos’è e qual è il “valore assoluto” di un progetto? Il sigillo del tempo? No, non è il tempo che mette i sigilli, bensì le capacità di esprimere i propri concetti, ricordandosi sempre che i grandi architetti non hanno mai accettato sigilli.
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46
di Noise
del 24/01/2002
relativo all'articolo
Luniversale di Architettura n 100
di
Sandro Lazier
Carissimo, prof. Antonino Saggio,
Abbiamo letto con interesse la sua prefazione, inoltre ha tracciato alcune conferme che noi avevamo ipotizzato nel recente concorso Beyond Media, ma non centrato in modo cos netto. E' fortissimo l'esempio di Mendelsohn che a nostro giudizio pone l'accento su un "mondo" da noi spesso ignorato: confrontarsi con il dramma. Sicuramente questo un metodo portato avanti non solo nell'architettura da Libeskind, ma anche da molti altri artisti in tutti i diversi campi, purtroppo per queste forme di arte riemergono solo ora dopo il tragico evento dell'11 settembre che ha scosso il mondo intero. Solo ora queste vengono capite e accettate, solo ora l'architettura positivista della nuova era viene messa in discussione, solo ora vietato ignorare, solo ora l'uomo si riscopre unito per la patria, solo ora si riscoprono i "vecchi valori" messi da parte dal consumismo spietato. Lo sforzo di Libeskind di trasmettere tutte queste emozioni in architetture e il merito quello di aver tracciato una strada che nessuno credeva mai sostenibile e possibile, ora il momento migliore per approfondire e cercare di capirla per poter cogliere le linee guida della "nuova architettura"......
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44
di Franco Porto
del 21/01/2002
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
Intervento sullarticolo di Paolo G.L.Ferrara su Gibellina.
Fa bene Paolo G.L.Ferrara a puntare i riflettori di Antithesi sul dimenticato caso Gibellina, diffusamente trattato negli anni ottanta e presto archiviato come una grande operazione spettacolare che ha solo introdotto nei circuiti dei grandi eventi artistici il dramma del terremoto.
La Sezione Sicilia dellIstituto Nazionale di Architettura, nel 1998, ha organizzato proprio a Gibellina uno dei suoi primi convegni per cominciare a catalogare criticamente la nuova Architettura siciliana del dopo guerra.
La Citt Nuova di Gibellina sicuramente un insieme di autentici momenti di elevata qualit di Architettura Contemporanea, un vero laboratorio sperimentale come in nessun altro luogo dellItalia.
Bisogna approfondire levolversi degli avvenimenti negli anni successivi il terribile terremoto del gennaio 1968 per capire come certe scelte alla lunga si sono rivelate sbagliate ed affrettate.
La nuova Gibellina viene ricostruita a valle, a circa 18 km dal sito della vecchia citt, conferendo allISES lincarico della progettazione. Il Piano per la localit Salinella pronto nel 1970 e vengono coinvolti architetti come V. Gregotti, G. Samon e L. Quadroni, questultimi incaricati soprattutto per il Centro Civico (Municipio, Centro Culturale e Commerciale, Mercato, Sala Conferenza, ecc.). Tenteranno spontaneamente di coordinare i loro progetti attraverso una configurazione continua, cercando di opporre un frammento di urbanit allinterno del sistema discontinuo previsto dal Piano.
Nel 1980 sono state realizzate le opere di urbanizzazione, le famose case a schiera, i centri scolastici e parte del Municipio.
LAmministrazione Comunale gi orientata a correggere le impostazioni del Piano a seguito delle esigenze manifestate dalla popolazione ormai insediata. A questo punto ha inizio una storia molto particolare che ha come protagonista Ludovico Corrao, Sindaco di Gibellina, che per modificare il desolante scenario della nuova citt fa ricorso alle opere di alcuni artisti che hanno collocato in vari punti di questi spazi oggetti darte, monumenti e assemblaggi che interagiscono con lambiente, proponendo alla comunit contadina di Gibellina le avventure della storica incomprensione tra arte moderna e citt gi lungamente consumata nelle comunit metropolitane.
Lo scenario di "mostra permanente" che queste opere compongono, la loro difficolt ad appaesarsi, conferma lincapacit del progetto moderno a produrre unarte civica, gli effetti rivelatori delle catastrofi si dispiegano con tanta evidenza proprio a causa di un eccezionale convergere di proposte architettoniche, urbanistiche e artistiche in questa fase di revisione del Piano. Gli esempi pi clamorosi sono costituiti dalle opere e dalle proposte di Consagra (ha realizzato nella sua terra di origine alcune tra le pi grandi sculture che un artista contemporaneo abbia mai realizzato) e Burri (la cui autentica megalomania ha trasformato lammasso delle rovine in un gigantesco cretto.
Gibellina stata tre citt contemporaneamente: il vecchio abitato, la baraccopoli e la nuova citt, lo spreco rappresentato dal sovradimensionamento di infrastrutture e servizi (soprattutto di scuole) ha generato fenomeni di abbandono e di perdita didentit con conseguente disagio della popolazione nel rapportarsi con luso degli spazi pubblici o con il centro della citt.
Quali le strategie di un riuso complessivo dei manufatti che sono stati costruiti da pochi anni e gi necessitano di seri interventi di restauro?
Nel mese di marzo lIN/ARCH Sicilia avvia cinque seminari sul tema della Conservazione dellArchitettura Moderna (trattando anche singoli casi come Casa Malaparte e Casa del Fascio), ma il caso Gibellina merita un approfondito evento di rilettura a fronte dei nuovi scenari e del nuovo millennio.
Arch. Franco Porto Presidente IN/ARCH Sicilia
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43
di Vincenzo De Gennaro
del 19/01/2002
relativo all'articolo
The Virtual Museum, secondo A. Bonito Oliva
di
Sandro Lazier
In relazione al commento 42 di S.Lazier intendo precisare il mio pensiero:
1. rivendico la funzionalit nell’ambito dell’architettura e non dell’arte. Sono due cose molto molto diverse, deve essere chiarissimo, due ambiti distinti anche se accomunati dall’essere tra le forme espressive dell’estetica. Il confonderle oggi purtroppo costume largamente diffuso e denuncia un disorientamento imperante.
2. l’attributo di “inutilit pratica” dell’opera d’arte non vedo come debba caratterizzare l’architettura chiamata al suo ruolo spaziale. L’architettura non pu essere inutile. Praticamente non esiste, o rudere.
3. il rapporto forma-funzione l’equazione della “rinascita dell’architettura”. Altro che mortificante e priva di principio! Sin dal neolitico l’architettura prende vita per assolvere funzioni, ma lo avevamo dimenticato, e nel termine rinascita il riferimento a Sullivan, ma ancor prima a Morris dalla cui Casa, Zevi ha estratto la prima invariante. Tutto il pensiero zeviano delle sette invarianti infuso di questa equazione. E questo sta alla “nostra” architettura come il pensiero galileiano sta alla scienza moderna. questa consapevolezza che noi oggi auspico riuscire a far emergere.
4. contesto assolutamente il metodo che, presa a priori una qualsiasi forma vi si possa calare poi questa o quella funzione. un “appiccico” che si faceva ai tempi di Morris, si continuato a farlo dopo e purtroppo si continua spesso a farlo anche oggi. stato combattuto e si combatte ancora. una operazione accettabile in un solo caso: il recupero di organismi esistenti e di scarso valore storico-estetico. No per il restauro e assolutamente mai per l’architettura “nuova”. Se in una architettura – e ricordo che stiamo parlando di musei – concepita per una funzione , vi si pu indifferentemente collocarne una diversa altra, allora lo spazio fallito, non ha colto l’unicit di quell’arte che chiamato a far esprimere. L’architettura nasce per un disegno preciso, per assolvere funzioni ben determinate e non per capriccio delle forme di questo o quel progettista. Altrimenti fare Gibellina.
5. la distinzione uomo-opera d’arte non astratta ma ha significato museografico. il mondo dell’arte che da qualche decennio sta chiedendo all’architettura una sensibilit nuova che ancora stenta a percepire. Nel museo, vera cattedrale della nostra epoca, un progettista non pu pi operare come per una abitazione o una fabbrica dove il referente unico l’uomo che le vive. L’opera d’arte ha esigenze sue proprie che condizionano la fruizione estetica. Non si pu rimanere sordi a queste richieste. Lo spazio architettonico del museo il primo a dover essere rivoluzionato. Le ricerche in corso ritengo siano straordinariamente feconde, ma cercando il nuovo alfabeto occorre tutelarsi affinch non ci si smarrisca nei labirinti delle forme, sempre memori che l’obiettivo fare architettura che risponda alle nostre nuove funzioni.
Vincenzo De Gennaro
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19/1/2002 - Sandro Lazier risponde a Vincenzo De Gennaro
Caro Vincenzo,
sembra che siamo distanti. Ma forse non è così.
Relativamente alla distinzione arte architettura ti rispondo con parole di Zevi:
“Si ritiene generalmente che l’architettura non possa esternare stati d’animo quali l’amore, la paura, la tristezza, la nausea, l’entusiasmo e la disperazione. I testi mendelsohniani dimostrano, in modo prepotente, come essa parli, soffra, canti, aggredisca e persino ascolti, come non sia soltanto sfondo ai sentimenti umani, ma ne veicoli le pieghe più delicate e arcane.” Non è forse arte questa?
Relativamente alla parola “funzione” penso occorra chiarirne il significato. La funzione è un legame che tiene insieme più variabili delle quali una è indipendente. Il tempo, per esempio, è funzione della nostra vita ma non dipende da noi. Esso è oggettivo e oggettivabile. Il termine funzione, in architettura, ha un significato ben preciso e richiama la necessità di rendere dipendente questa da un valore assunto quale elemento incontestabile e necessario. Dire che l’architettura è funzione di qualcosa la rende prigioniera di un meccanismo univoco, spesso alibi del razionalismo più becero. Filosoficamente è indimostrabile che la forma dell’uovo dipende da quella del sedere della gallina o viceversa. Biologicamente è invece dimostrato che l’evoluzione avviene grazie ad errori che noi chiamiamo “disfunzioni”. Sappiamo solo che a qualsiasi forma possiamo affidare una funzione, perché oggettivabile è ciò che esiste, la forma, non la funzione.
Tutto questo non vuole dire che l’architettura debba essere fine a se stessa, perché parimenti la renderebbe oggettiva. Quindi è scontato che si progetti avendo in testa una funzione, ma questo è solo il punto di partenza, non di arrivo.
Per concludere, voglio dire che un edificio parla al di là del risultato della sua funzione. Questa è l’inutilità della poesia.
Commento
40
di Vincenzo De Gennaro
del 15/01/2002
relativo all'articolo
The Virtual Museum, secondo A. Bonito Oliva
di
Sandro Lazier
L'eccentricit del Guggenheim di Wright rispetto alle esigenze dell'arte ha determinato la sua stessa fortuna. Giustamente, come tu dici, l'architettura a pieno titolo una forma espressiva. Ma ha un requisito in pi. La funzionalit. Questa fa s che l'architettura si distingua dalle altre Arti. Non esiste una architettura "neutra", ma essa sempre al servizio di... E si dovrebbe comportare di conseguenza. Troppo spesso gli architetti la dimenticano a favore di un protagonismo impertinente che nel museo raggiunge l'apice. L'architetto solito avere l'uomo come unico referente, ma qui, nel museo, il ruolo di primo attore a due teste. Oltre l'uomo, la collezione d'arte. E la comunicazione di questa cultura assume, nella societ di oggi, un protagonismo che non ammette secondariet.
Personalmente ritengo che il colpo di A. Bonito Oliva vada accusato.
Ma per l'immeritevole commento, caro Sandro, perdonami.
Vincenzo
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15/1/2002 - Sandro Lazier risponde a Vincenzo De Gennaro
Mi pare che rivendicare la funzionalit nellambito dellarte procuri qualche paradosso. Se la dote essenziale di ci che definiamo opera darte sta nella sua inutilit pratica e su questo penso A. Bonito Oliva concordi pienamente non vedo come questa qualit possa mostrarsi in un contenitore funzionale che ne contraddice la sostanza. Sullutilit o inutilit dellarchitettura, sulla funzionalit o irragionevolezza di questa ci sarebbe molto da dire e molto si detto. Una cosa certa: il rapporto forma-funzione ha rivelato una equazione inadeguata, mortificante e fondamentalmente priva di principio.
Nessuno, in realt, pu contestare il fatto che, data una qualsiasi forma, questa possa generare nuova funzione. Una funzione c comunque, sempre.
Unultima cosa. Non mi piace la distinzione tra uomo e opera darte, perch cela una condizione astratta che svuota di significato il presupposto contingente di tutta larte contemporanea.
P.S: il perdono facolt divina.
Commento
39
di A. Simone Galante
del 08/01/2002
relativo all'articolo
Regalo di Natale di Antithesi al Direttore di L'A
di
Paolo G.L. Ferrara
Perch non chiedete un confronto con alcuni direttori di riviste del settore? sarebbe interessante verificare dal vivo le diverse posizioni.
Personalmente non disdegno L'Arca, principalmente per le belle foto che pubblica ed anche per alcuni articoli. L'editoriale dell'arch.Casati pu essere interpretato in modi diversi e ho impressione che Lei lo abbia fatto attaccando il lato pi attaccabile.
Tutti i commenti di A. Simone Galante
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8/1/2002 - Paolo G.L. Ferrara risponde a A. Simone Galante
Ne ho attaccato il messaggio, e se questo era attaccabile il problema è esclusivamente di Casati. Un dibattito con i direttori? Noi avvisiamo anche loro quando scriviamo su argomenti proposti dalle loro testate. Non rispondono. Anche in questo caso, il problema è loro. Noi siamo qua.
Commento 249 di Fausto D'organ
del 31/12/2002
relativo all'articolo Master Digitale
di Mara Dolce
Parole Chiave(1) [CATEGORIE GENERATIVE]
Mi permetto di prendere la coda del filone mentale iniziato da Furio Barzon su antiThesi, per aggiungere altra carne al fuoco di questo avvicinamento all'architettura digitale, sperando che lo stesso Furio si accodi a sua volta e che tanti altri facciano lo stesso, promuovendo l'espansione all'infinito di questa linea di riflessione... Comincio a lasciare, perci, alcune "quantit rizomatiche", organi dialettici di riserva che potrebbero essere utili a me per il proseguimento del mio personale "viaggio" e a chi legge per iniziare a costruirsi (qualora partisse da zero come me) una personale sequenza di priorit di studio. E la prima parola chiave manifesta la natura stessa di questo contatto: prodotto sintetico (e/o sintetizzato) di un periodo di libert, di un passaggio ad un nuovo campo che mi si aperto sotto gli occhi nel bel mezzo di un'esplorazione senza scopo preciso. Una fortunata occasione per camminare, incontrare, osservare e pensare insieme con un'inaspettata moltitudine di viaggiatori itineranti che, per gradi diversi, gi da tempo battono, in lungo e in largo, aree a me finora sconosciute. Spazi illimitati, isotropi, su cui poggiare idee volume, emozioni tridimensionali; zone in cui si ha la sensazione di poter imbattersi, da un momento all'altro, in uno di quei Maestri di fascino medievale coi quali si poteva parlare solo dopo aver attraversato baratri, sconfitto guardiani malefici, domato draghi, superate foreste incantate. Paesaggi di curiosit mi mettono in relazione con un esercito, che sta tenendo in assedio "il reale" con l'intenzione di portarlo alla resa incondizionata. Un rigonfio manipolo di simpatici eroi finti e sinceri cercatori senza paure, che mi stanno insegnando come il mondo non sia mai da leggere, ma sempre da scrivere. Le divisioni disciplinari appaiono per come sono: costrutti, esito di una scissione arbitraria di competenze e ruoli, spartizioni sempre revocabili che non riflettono alcuna verit scientifica. Non esistono fossi buii da saltare per spostarsi dall'una all'altra, ma sentieri nascosti da "illuminare" con pensieri e progetti. E l'ELETTRICITA' padrona assoluta; il sangue che scorre nelle vene di questo nuovo corpo di cui mi scopro ospite parassita. Mi sposto come un nomade, cambio luogo e ogni volta m'insedio in modo diverso all'interno di ambienti di vita sensoriale simulata che stanno restituendoci, sotto altra forma, una cultura tattile ormai dimenticata. Volo, atterro su un fiore, lo osservo, poi volo su un altro fiore e, per via digitale, prelevo qualcosa dal primo fiore e lo porto sul secondo: quindi con la combinazione dei fiori e del tempo passato su ciascun fiore, se ne crea un terzo, che il risultato dell'"IBRIDIZZAZIONE". Questo contatto frutto d'IBRIDIZZAZIONE. Di un processo di acquisizione d'informazioni, di riflessioni, di idee, di concetti altrui, immagazzinati, decodificati secondo intime matrici mentali ed assimilati come nutrimento necessario per continuare "il viaggio". Smetto di divagare e comincio, con pi decisione, a restituirvi ci che sto assimilando...
COMUNICAZIONE - ci stato insegnato che perch essa si attui sono necessari un emittente un messaggio e un ricevente, si deve usare un unico codice linguistico e non ci devono essere interferenze. Ma cosa succede se il vettore del messaggio esso stesso un'interferenza di codici? C' ancora comunicazione? Il messaggio si modifica durante il trasferimento? Secondo me, il produttore perder, in tal caso, il controllo del prodotto; diventa inconsapevole emittente di messaggi "altri" che proliferano dalla radice fornita, mentre chi li accoglie inconsapevole chiave d'ulteriori sedimentazioni e affioramenti.
STEREOTIPO - maggiori sono i flussi di dati e immagini ricevuti pi corposo, e inconscio, sar il processo di "economia mentale" che ci fa ridurre gli elementi a forme semplici, usando schematismi, "modelli fissi" che tendiamo a trattare senza coinvolgerli in operazioni di smontaggio, sovrapposizione o intreccio. Tali modelli fissi sono la "realt ridotta" (contrapposta a quella "aumentata") che "vediamo" intorno a noi. Si tratta di forme convenzionali suggerite dall'ambiente: messaggi trasferiti con linearit. Cosa succede se scegliamo di deviare dalla linearit? Si comincia a "osservare" invece che a "vedere"? Si mette in discussione il messaggio senza accettarne il significato immediato. E, secondo me, nasce l'interferenza dalla quale crescono le realt aumentate.
SEGNO - s'interagisce tramite sistemi grafici, stratificazioni pi o meno complesse fatte di segni che percepiamo con sensazione suggeriteci dall'ambiente in cui viviamo. La linea orizzontale ci d una sensazione di fluidit e di calma: probabilmente sono gli spazi ampi che esistono intorno a noi a trasferirci questa sensazione; la distesa della linea del mare, delle pianure, dei laghi. Anche la nostra posizione di riposo orizzontale.
Tutti i commenti di Fausto D'organ
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