Vicenda Novoli
di Giovanni Bartolozzi
- 1/10/2002
La vicenda che da pi di un ventennio interessa larea della Fiat-Fondiaria di Novoli, a nord-ovest di Firenze, rappresenta uno dei pi complessi, intricati e, per certi versi, misteriosi capitoli dellurbanistica italiana.
Francesco Dal Co in un editoriale della rivista Casabella titola: Firenze, Novoli: una vicenda lunga, istruttiva e emblematica avviata a buon fine. Nove architetti per un brano di citt
Istruttiva? Per chi? Avviata a buon fine? Ma in che modo? Brano di citt? Ma che citt? Moderna? Antica? Finto medievale?
Il numero 703 di Casabella contiene un allegato nel quale sono illustrati i singoli progetti dei nove architetti selezionati per Novoli: Achea, Bruna e Mellano, Bucci, Cendron, Cristofani e Lelli, Ferlenga, Galatino, Ipostudio, Tscholl. Tale fascicolo riporta, inoltre, tre articoli: il primo di Gianni Biagi, Assessore allurbanistica del comune di Firenze, il secondo di Epifanio Furnari e il terzo di Gaetano Di Benedetto responsabile della Direzione Urbanistica del comune di Firenze.
Premetto che lo scritto non vuole essere una critica alla rivista Casabella che anzi, fornisce lo spunto per imbattersi in unanalisi critica su quanto avvenuto nellintero corso della progettazione di Novoli, soprattutto alla luce del progetto definitivo e delle affermazioni fatte negli articoli sopra citati.
Per farla breve, la complessa vicenda progettuale ha inizio a met degli anni 80. Com noto, una delle caratteristiche innovative per la riconversione di questimmensa area (32 ettari), precedentemente occupata da vecchi stabilimenti industriali in disuso, era la progettazione di un gran parco verde esteso su 15 ettari, in altre parole circa la met dellintero isolato.
Tale suddivisione tra spazio verde e edificato, necessitava inevitabilmente di una creativa idea dinsieme atta a generare unopportuna e non banale integrazione delle due parti. Per fronteggiare questinedita ma affascinante proposta, Bruno Zevi (incaricato dallamministrazione comunale di sovrintendere alla redazione del piano particolareggiato) invita il paesaggista americano Lawrence Halprin, il quale, senza timore, pensa subito ad un gran parco centrale circolare che, tagliato da un lungo asse diagonale, diventa il cuore dellintero progetto. Il lungo asse squarciava diagonalmente lisolato, fiancheggiando a Nord il sorprendente Palazzo di Giustizia progettato da Leonardo Ricci e divenendo a sud, in pratica verso il centro di Firenze, ingresso principale. Gli edifici avrebbero fiancheggiato il parco centrale utilizzando svariate forme e differenti altezze in relazione alle funzioni (centro direzionale, edifici per la Fiat, alberghi, uffici, abitazioni). Una piazza circolare, in parte sovrapposta al parco verde, garantiva un ampio affaccio al palazzo di giustizia, generando inoltre, un pulsante e dinamico gioco fra grande e piccolo cerchio. Per la realizzazione degli edifici furono incaricati svariati e prestigiosi architetti tra cui Cappai e Mainardis, Gabetti e Isola, R. Rogers, L. Ricci, A. L. Rossi, L. Pellegrin, R. Erskine, G. Birkerts, ma in realt tanti altri.
Bruno Zevi affermava: No, lurbanistica non deve pi schiacciare, omogeneizzare larchitettura. Che ogni edificio si radichi secondo il proprio istinto, si dilati o decresca con piena autonomia
In realt, a tale progetto, seguirono ulteriori cambiamenti che, tuttavia, lasciarono pressoch inalterata limpostazione preliminare fin qui riassunta.
Un progetto di tali ambizioni, non solo per dimensione ma anche per la numerosit e leterogeneit degli architetti coinvolti, sarebbe, oggi, paragonabile allintero progetto berlinese di Potsdamer Platz. Ma in Italia e soprattutto a Firenze non siamo a Berlino, tanto che, dopo tre lunghi e appassionanti Workschop di progettazione (tenuti a Firenze con la partecipazione di tutti gli architetti coinvolti) e il successivo piano particolareggiato redatto da L. Ricci, a causa di un cambio dellamministrazione comunale, lintero progetto fermato e gettato nel fango. Cos intorno alla fine degli anni 80 si assiste ad una delle vicende pi nefaste della storia dellurbanistica italiana, una vera e grande perdita per la cultura del nostro paese.
Nei primi anni 90, lincarico per la progettazione di un piano guida per lintera area di Novoli, viene affidato allarchitetto Leon Krier. A questo punto, come accade spesso in casi analoghi, si ricomincia da zero, senza considerare minimamente il lavoro precedente (circa dieci anni di lavoro) e soprattutto ignorando il Piano Particolareggiato di L. Ricci che, a differenza di Halprin e del lavoro svolto durante i tre Workschop, prevedeva la frantumazione in parti del gran parco urbano, garantendo, cos, una migliore relazione tra gli spazi verdi e ledificato.
Niente da fare, si ricomincia da zero!
Leon Krier elabora un piano guida discutibile sotto molti aspetti. Ne individuo in breve i motivi principali:
1) Frammenta lintero isolato in tre grandi parti, due laterali destinate alla costruzione di edifici e una centrale occupata dal parco verde. Cos facendo distrutto e impedito ogni rapporto tra ledificato e il parco verde. Il parco urbano, dunque, non pi concepito, date le dimensioni, come elemento vertebrante lintero quartiere, bens come una gran macchia, isolata, alla quale preclusa la possibilit di dialogare con gli edifici circostanti.
Per la progettazione del parco sono incaricati i torinesi Gabetti e Isola che, nel 2000, consegnano il progetto definitivo.
2) Intende ricreare, nelle due fasce laterali destinate alla costruzione degli edifici, delle forme urbane riprese dal centro storico medievale. E ben noto che Firenze, ma in generale lintera Toscana, ha vissuto una delle fasi storiche pi produttive e fiorenti durante il Medioevo. Urbanisticamente il periodo medievale il pi creativo, caratterizzato da una spontaneit e unintelligenza nella creazione urbana che non lascia spazio a regole compositive, allineamenti, simmetrie, angoli retti e quantaltro. Viceversa, ne deriva un linguaggio essenziale, irregolare, spontaneo, strettamente aderente alle caratteristiche orografiche. Bene, il piano guida di Krier finge, per la societ del 2000, uno squarcio di citt medievale o qualcosa di molto simile. Dalla planimetria generale risulta leggibile il criterio utilizzato: fissati una serie di lotti regolari, in base al numero degli edifici da costruire, si procede alla falsificazione medievale, incurvando e distorcendo dolcemente i lotti e le strade senza alcun criterio valido.
Risultato: anzich avere una scatola a pianta quadrata si opta per una scatola a pianta quadrangolare.
3) Procedendo in questo modo, la dimensione e la forma dei singoli edifici viene stabilita aprioristicamente, cio ledificio risulta, prima di essere creato, inscatolato e ingabbiato in un lotto quadrangolare, senza alcuna possibilit di estendersi oltre. Si potrebbe rispondere a questobiezione portando come esempio alcuni capolavori dellarchitettura del secolo scorso. Bene, nel caso in cui gli edifici saranno realizzati da un Terragni, sar lieto di ritirare lobiezione.
4) Si fissa unaltezza limite per gli edifici di quattro piani. Chiaro? Tutti gli edifici, abitazioni, uffici o sedi universitarie che siano devono necessariamente restare sotto i quattro piani.
Se il tribunale di Ricci raggiunger i 65 metri daltezza e gli edifici della zona raggiungono altezze di otto e nove piani, per quale motivo ci si ferma a soli quattro piani? Perch non costruire dei grattacieli? O in ogni modo, edifici che si sviluppino in altezza in relazione alle diverse esigenze?
In sostanza, dopo aver falsato tutto limpianto planimetrico, si procede anche ad unomologazione verticale.
5) Lo strabiliante progetto di Leonardo Ricci per il Palazzo di Giustizia, unico edificio rimasto intatto, anche nelloriginaria disposizione, viene isolato e messo da parte. Il Tribunale, infatti, continuando a mantenere lorientamento diagonale, dal quale si generava lasse di Halprin, non trova alcun riscontro nella disposizione degli edifici, n tanto meno in quella del parco e viceversa.
6) Lintera area rappresenta un episodio concluso e circoscritto allinterno del perimetro assegnato. Nessun elemento lascia intravedere un atteggiamento dapertura e di spalancamento verso lesterno.
In sostanza, tutto isolato, appiattito e fine a se stesso, ogni edificio planimetricamente introverso, racchiuso, ingabbiato, inscatolato, forzato e costretto a sottostare ad un mucchio di regole.
Naturalmente il piano guida sopra descritto non ha subito alcuna modifica ed attualmente in cantiere: a nord, comincia a svettare il tribunale di Ricci, mentre dalla parte opposta sono gi ultimate le sedi universitarie, grandi scatoloni bucati da finestre tutte uguali e coronati da pesanti cornici in pietra forte.
Dopo aver espresso un giudizio personalissimo e dunque criticabile, riporto alcune affermazioni scritte sugli articoli dellallegato di Casabella:
Gianni Biagi parla di una nuova stagione di architetture contemporanee a Firenze [] Dove quindi meglio che qui si poteva sperimentare un percorso innovativo per la progettazione e la realizzazione di architettura contemporanea?
Gaetano Di Benedetto dice: La nuova opzione, affidata nei lineamenti generali a Leon Krier, mantiene al centro dellintervento, come una cattedrale nordica, il palazzo di Giustizia progettato da Leonardo Ricci, ma gli organizza intorno un quartiere interamente pedonale di edifici bassi (non pi di quattro piani), dalle strade strette e tortuose [] si tratta come si pu intuire di un progetto urbanistico antimodernista, nel senso che esclude quasi aprioristicamente larmamentario tradizionale dellurbanistica moderna e cerca di ricominciare da capo con un altro modello di evoluzione dalla citt antica
Come si fa ad affermare che il piano di Krier mantiene al centro il Tribunale di Ricci? Al contrario, non vorrei essere ripetitivo, il tribunale appare isolato in un angolo, senza alcuna possibilit di respiro verso la rimanente parte edificata e verde. E poi, mi volete spiegare come si fa a ricominciare da zero, per partendo dalla citt antica.? Questo significa ricominciare a proporre o illudersi di proporre spazi antichi e falsi.
Di Benedetto continua Laltezza degli edifici tale da non denunciare linevitabile presenza degli ascensori Certamente, nascondiamo e inscatoliamo anche gli ascensori e facciamo lo stesso per i vani scale, tanto, che volete che sia? Male che vada, camminiamo tutti con un cellulare e qualche portatile, per cintimoriamo alla presenza di un ascensore! Nascondiamoli pure!
Francesco Dal Co nelleditoriale del numero 699 di Casabella dice: Al fine di individuare un criterio per selezionare i nove progettisti, Isola propone di sceglierli tra quelli le cui opere sono state presentate negli ultimi anni sullalmanacco dellarchitettura italiana, che Casabella pubblica annualmente. A questo punto la domanda nasce spontanea: perch i nove progettisti, oppure, perch tutti e nove i progettisti devono essere selezionati proprio dallalmanacco di Casabella? Da studente quale sono, mi onora e incoraggia la scelta di giovani architetti, ma perch con un criterio tanto discutibile?
Dal Co a proposito del progetto di Krier continua: Lobiettivo di Krier chiaro: con il suo progetto egli si propone di definire un metodo e una disciplina al fine di riformare la periferia [] Per queste ragioni le indicazioni di Krier sono vincolanti e mirano a configurare una sorta di romantica rivisitazione di modelli insediativi derivati da una idealizzazione della citt ottocentesca: gli edifici distribuiti su lotti irregolari, non debbono superare i quattro piani, i fronti debbono seguire rigorosamente gli allineamenti stradali, le altezze dei portali e dei portici sono fissate tra i 4,5 metri e i due piani, i tetti e i balconi sono ammessi solo per luso residenziale e solo se rivolti verso i cortili degli isolati, ecc.ecc.
Ecco elencate solamente parte delle regole che vincolano lintero progetto, naturalmente stabilite da Krier. Verrebbe istintivo obiettare ad ogni vincolo e sarebbe facile dimostrare che tali imposizioni ignorano la componente umana, la persona, lindividuo. Basta pensare allaltezza dei portali. Tuttavia, piuttosto che abbandonarmi ad una critica analitica di tali regolamenti, preferisco riportare una testimonianza dellunico architetto che ha lavorato a Novoli utilizzando, come testimoniano tutte le sue opere, un criterio opposto, direi umano: Leonardo Ricci. Il quale scrive: "Lincarico per la progettazione del palazzo di Giustizia fu motivo di una doppia sensazione. Emotivamente, []. Intellettualmente, il timore di cadere in uno dei due modelli che oggi generalmente si presentano alla cultura architettonica. Quello retorico-repressivo, dove il potere viene espresso plasticamente e spazialmente in maniera non democratica, dove avvocati, pubblico e imputati non hanno uno spazio appropriato. Oppure quello di derivazione anglosassone dove unapparente democrazia fa s che la giustizia abbia, come espressione architettonica, quella di un qualsiasi palazzo duffici che ne mette in evidenza laspetto amministrativo e si esime dal dare forma a un contenuto ben pi complesso
In conclusione, dopo aver costatato e a mio modo dimostrato che dallimpianto consolidato nei primi workschop al piano guida di Krier, siamo passati da un progetto sperimentale, moderno, aperto e democratico ad un impianto chiuso, bloccato nel proprio assetto, falso e antidemocratico, ben venga tutto il resto. Possiamo solamente sperare che i futuri cittadini riescano a trovare la loro identit e individualit in uno spazio che, sicuramente, non appartiene allet in cui viviamo e che lascer alle generazioni future unimmagine falsa dei tempi attuali.
Nessuno pu lamentare la mancanza di una valida opportunit per la creazione di una citt moderna. Lopportunit c stata e anche di notevole interesse. Restiamo, tuttavia, fiduciosi per la prossima, ma solo avendo assodato e recepito questo clamoroso regresso, di cui solitamente si preferisce non parlare, potremo veramente aver imparato dalla vicenda di Novoli. Solamente a questa condizione.
(Giovanni Bartolozzi
- 1/10/2002)
Per condividere l'articolo:
Altri articoli di Giovanni Bartolozzi | Invia un commento all'articolo |
Stampa: "Vicenda Novoli .pdf" |
Commento 219 di Amerigo Quagliano del 30/10/2002
Vicenda Novoli: Firenze, purtroppo non Berlino.
Sulla ricostruzione fatta da Giovanni Bartolozzi della prima parte della vicenda Novoli a Firenze, vorrei rettificare alcune inesattezze.
In quanto collaboratore allora di Aldo Loris Rossi, sono stato partecipe insieme con altri al progetto e dell'entusiasmo che ci sostenne in quella coinvolgente avventura.
1- La Fiat e la Soc. La Fondiaria assicurazioni, sono state promotrici nello stesso momento di due distinti progetti.
La Fiat, unica proprietaria nel quartiere di Novoli, degli stabilimenti e dell'area di 32 ettari, invit nel 1987 diversi architetti, tra cui A. L. Rossi, all'elaborazione del progetto di sistemazione del complesso, che fu poi presentato nell'aprile del 1988 nel salone dei Dugento a Palazzo Vecchio.
Mentre la Soc. La Fondiaria, svilupp un altro piano, con altra equipe, diretto alla valorizzazione di un'area di ben 186 ettari, distante da Novoli, in localit Castello.
2- La causa che, di fatto, ha affossato il progetto Fiat-Novoli stato, come noto, e riportato anche da organi di stampa nazionali nonch da Bruno Zevi sulle pagine della rivista L'architettura, l'ordine, partito da Roma di bloccare tutto, dato dall'allora segretario del P.D.S. Occhetto, in ossequio ad alleanze politiche con i verdi, e che determin in seguito le dimissioni del Sindaco di Firenze, Massimo Bogianckino.
Da qui si deve partire per tentare di capire le vicende, a volte "misteriose", che determinano le "fortune" di un progetto di architettura contemporanea, che era ed innovativo, e che hanno aperto in questo caso, la strada a successive revisioni antimoderniste.
Tutti i commenti di Amerigo Quagliano
30/10/2002 - Giovanni Bartolozzi risponde a Amerigo Quagliano
La ringrazio per le rettifiche apportate allo scritto su Novoli che, inevitabilmente, dovrebbero far riflettere tutti, sul destino toccato a questo progetto.
In realtà, Lei ha colto perfettamente il senso di quel “misterioso”, che era esattamente riferito al secondo punto, da Lei riassunto, e di cui io, forse sbagliando, ho preferito non parlare.
Come Lei giustamente ricorda, il prof. Zevi ha riportato questo sconcertante episodio su “L’architettura”, conseguentemente su “Sterzate Architettoniche”, e anche durante qualche intervista radiofonica: ricordando la “telefonata di Occhetto”.
Naturalmente, come avrà capito dallo scritto, ho preferito analizzare la vicenda puntando soprattutto sul notevole scarto esistente tra i due progetti, in contrapposizione agli articoli pubblicati su “Casabella”, poiché, fare luce su tutte le questioni politiche e burocratiche che hanno contribuito al deplorevole cambio di rotta, è cosa veramente complessa e “misteriosa” che, senza dubbio, ha inizio da quanto lei riassume, ma che purtroppo non si esaurisce lì: basti pensare alle pesanti manomissioni apportate al progetto di Ricci.
Grazie ancora
Commento 223 di Andrea Pacciani del 11/11/2002
Gentile Gioavanni Bartolozzi,
Non conosco bene come Lei tutta la storia del progetto di Novoli, ma conosco un p il progetto di Krier, il suo modo di lavorare e le ragioni che supportano le sue scelte che a mio avviso non sono bislacche come sembra dal suo intervento; Le consiglio la lettura del suo libro "Architettura scelta o fatalit" dove si evincono in maniera abbastanza chiara, comunque non sta a me difendere il progettista lussemburghese.
Sono un p sorpreso di come possa lamentare ancora nel 2002 la mancanza di opportunit dopo un secolo di architettura ed urbanistica moderna per realizzare la citt moderna. Non Le sembra che dopo un secolo di fallimenti bisogna cominciare a chiedersi se l'errore sta nel metodo? O nelle utopie che purtroppo non si sono rivelate attualizzabili? Credo che a volte nella vita bisogna avere l'umilt di sapersi rimettere in discussione ed il coraggio di ammettere gli errori commessi e ricominciare dalle poche certezze che abbiamo.
Credo che Krier abbia il solo difetto di aver detto basta alla sperimentazione modernista nel disegno della citt e, nella consapevolezza che nella citt storica si vive meglio che in qualsiasi periferia realizzata, sta cercando un metodo per riportare il disegno della citt in modo che i risultati si avvicinino a quelli consolidati nei risultati dei centri storici. Renzo Piano sostiene tesi analoghe con la differenza che Krier estende questo concetto anche all'architettura, mentre Piano forte della sua genialit compositiva, riesce a mantener viva la possibilit moderna ai suoi edifici.
Non si tratta di spazi antichi e falsi ma di strade, larghi e piazze che sulla scorta di una sperimentazione secolare e di scelte sedimentate nel tempo danno alle persone che vi vivranno pi garanzia di piacevole abitabilit di qualsiasi sperimentazione modernista di cui si teme l'ennesimo fallimento.
Credo che oggi in un mondo pluralista e intellettualmente no global oriented, non abbia pi senso un fondamentalismo moderno che governi la disciplina mondiale urbanistica e architettonica, ma bisogna invece dare spazio a nuove o vecchie alternative alle linee guida moderniste che ormai hanno il peso degli anni e degli insuccessi; quella tradizionale a mio avviso una scelta fatta per non sbagliare (e non poco), rispettosa del modo di vivere delle persone e non soggetta all'obsolescenza delle mode.
Non mi sembra anacronistico prendere il meglio delle citt che sono arrivate fino a noi e riproporle come modelli ancora attuali visto che sono ancora insuperate le qualit abitative che vi apportengono.
E' piuttosto anacronistico cercare ancora un posto a "tabula rasa" per una ennesima sperimentazione della citt moderna; purtroppo non siamo pi al tempo delle demolizioni "igienico-sanitarie" o post belliche dove sperimentare nuove teorie all'insegna del progresso.
Certo di aver seminato in Lei il seme del dubbio sull'unicit e l'ineluttabilit del "modello modernista"
A disposizione per un intervento pi completo sulle scelta tradizionalista e le sue potenzialit,
distinti saluti. Andrea Pacciani, Parma 11/11/02
Tutti i commenti di Andrea Pacciani
11/11/2002 - Giovanni Bartolozzi risponde a Andrea Pacciani
Gentile Andrea Pacciani,
Considerando che Lei propone il libro “Architettura scelta o fatalità” di Krier, mi consenta di ricordare che parliamo del più grande esaltatore e adulatore di Albert Speer, l’architetto-ministro di Hitler, per il quale ha progettato e costruito i più immondi monumenti nazisti.
Sostengo inoltre che il criterio adottato da Krier non sia risolutivo: Krier è solamente capace di guardare al passato, ma senza capirne il forte impulso creativo, sociale e umano.
Quanto al suo commento, rivelatore di una posizione diversa dalla mia, penso che non sia supportato da puntuali e specifiche motivazioni critiche riguardanti il caso particolare della vicenda Novoli.
Riguardo alle sue osservazioni, non credo per niente che nel centro si viva meglio di qualsiasi altra periferia realizzata. Sicuramente la periferia presenta dei problemi (e i centri storici ne hanno di più complessi) ma, a mio avviso, non sono quelli che Lei attribuisce alla sperimentazione che, peraltro, non ha mai trovato il giusto spazio nelle nostre periferie.
La periferia va capita, ma senza abbandonarsi alle solite lamentele e al solito inutile confronto con il centro storico.
Aggiungo, inoltre, che sono molto scettico nei confronti delle purtroppo ricorrenti espressioni: “Disegno della città” e “sperimentazione modernista”. Credo che la città non si disegni. Il disegno attiene al risultato, soprattutto nel caso della città, quanto alla sperimentazione, ben venga, ma non modernista, solamente sperimentazione.
Riguardo alle “potenzialità della tradizione” e ai suoi inviti nel riproporre modelli provenienti da tradizioni consolidate in nome di “una garanzia di piacevole abitabilità”, credo che sia veramente, per dirla come Schoenberg, l’unica strada che non conduce a Roma.
Questo, naturalmente, è il mio punto vista.
Grazie
Commento 226 di Gaetano Manganello del 14/11/2002
La vicenda Novoli emblematica di com' difficile realizzare in Italia, interventi di largo respiro nel campo urbanistico ; credo che il progetto attuale sia il cattivo risultato di un compromesso tra istanze progettuali diversissime, non esiste nessuna coerenza tra i risultati del workshop e il piano Krier. Ho visitato quest'anno la Biennale di Venezia e visto il plastico e i disegni di Novoli esposti al padiglione Italia; ho avuto la sensazione che tante energie progettuali siano state compresse in uno schema troppo rigido, fornendo quindi un risultato non adeguato ; sono tra quegli architetti che essendo presente sull'almanacco di Casabella del 2000 avrebbe potuto partecipare, se scelto, a un qualche progetto sul sito di Novoli. Da ex fiorentino (laureato a Firenze con Natalini) ne sarei stato lusingato, ma ho l'impressione che avrei speso delle inutili energie. Resto dell'avviso che in Italia per noi giovani architetti non ci siano le condizioni per fare buona architettura, soprattutto perch manca la committenza, sia quella pubblica che quella privata. E' una LOTTA CONTINUA contro tutti per affermare le ragioni del progetto di architettura ; fino a quando si potr resistere?
Sono appena tornato da un viaggio in Portogallo, dove ho avuto modo di constatare come in un paese economicamente simile se non pi arretrato dell'Italia si realizzino edifici di straordinaria qualit architettonica. Perch in Portogallo possibile e si realizzato quello che in Italia sembra un sogno proibito ?
Eppure in Italia, sono sicuro, esistono moltissimi bravi architetti ; lo sviluppo della vicenda Novoli pu dare una parziale risposta a questi interrogativi.
Gaetano Manganello
Tutti i commenti di Gaetano Manganello
Commento 227 di Andrea Pacciani del 15/11/2002
Riferimento al commento n225
Gentile Giovanni Bortolozzi,
che la periferia vada capita credo lo debba spiegare a tutti quelli che la abitano e non la hanno ancora capita. Tant' che spesso e volentieri gli architetti stessi progettisti di quei quartieri hanno lo studio professionale e se possono anche l'abitazione non certo in quelle periferie ma nei centri storici o isolati in bucoliche campagne; proprio perch hanno capito che sebbene i centri storici abbiano problemi ben pi complessi di quelli delle periferie (come lei sostiene) sono preferibili per le proprie attivit lavorative, residenziali e di divertimento, relazione ecc...
Credo non si possa nascondere che il mercato immobiliare con le sue offerte e domande e quindi i suoi prezzi sia un'espressione oggettiva sul valore in senso lato della qualit abitativa dei quartieri della citt (non credo che chi ha maggiori risorse economiche scelga i luoghi peggiori per viverci e lavorarci).
Che la sperimentazione non ha mai trovato il giusto spazio nelle nostre periferie mi sembra un'affermazione pretestuosa dopo quasi un secolo di architettura moderna. Mi sembra l'atteggiamento di chi non vuole vedere gli effetti disastrosi del saccheggio del territorio fatto nel XX secolo sostenendo in ogni occasione che il progetto stato inquinato da agenti esterni e i danni sono dovuti all'allontanamento dalla strada maestra.
Ma allora se questo modo di progettare patisce i danni del passare del tempo e dell'intervento di agenti esterni, perch continuare a sperimentarlo?
Non ci si vuole rendere conto che le citt sono invece organismi viventi che crescono, cambiano nel tempo, nelle persone, nelle politiche, nelle tecnologie e paradossalmente le citt storiche sembrano il tessuto urbano dove questi cambiamenti sono stati meglio assimilati in nome della qualit dei valori abitativi che capace di trasmettere. Non si tratta solamente di un valore storico museale di testimonianza del passato (il mercato non la premierebbe cos tanto) ma di un modo di interpretare la citt pi a misura di ogni singolo individuo.
E poi se sperimentazione deve essere e per di pi non modernista perch condannare sul nascere quella di Krier a cui si pu lasciare la possibilit di "trasgredire" con un progetto tradizionale, ma anche di sbagliare dopo gli innumerevoli tentativi falliti del passato; possibile che il primo progetto di Novoli fosse il progetto madre di tutta l'urbanistica contemporanea, ma se si vuole fare sperimentazione qualcuno il posto ogni tanto lo deve lasciare.
Occupiamoci piuttosto di prevenire sperimentazioni il cui contenuto un'astrazione mentale che si ispira pericolosamente a modelli mai realizzati; preveniamo la realizzazione di progetti che maneggiano geometrie mentalmente belle ma scollegate dalla struttura della fattibilit fisica. Non riponiamo nell'idolatria dell'astrazione la ricerca di un qualcosa di un nuovo che potr dare la svolta.
Ricordiamoci insomma che le persone che vivono la citt (progettisti compresi) non hanno bisogno per vivere di giochi sculturali o di astrazioni geometriche seducenti, ma di luoghi in cui sentirsi in sintonia con la propria identit e le proprie origini, in cui vivere con la propria famiglia e perpetuarne i valori; luoghi in cui non si devono sentire spaesati e inquilini occasionali, ma luoghi in cui vivere serenamente, a cui affezionarsi, e da trasmettere alle generazioni future.
Grazie per lo spazio concesso
Andrea Pacciani
Tutti i commenti di Andrea Pacciani
Commento 299 di Ruben Modigliani del 17/03/2003
"uno spazio (...) che lascer alle generazioni future unimmagine falsa dei tempi attuali"? Forse nutro troppa fiducia nella selezione naturale, ma sono convinto che nel giro di qualche decennio del disastro perpetrato da Krier non resteranno grandi tracce. Meglio per le generazioni future, alle quali invece auguro di poter continuare a vedere la Firenze immortale che seppe essere (con il suo coraggio, con la sua aggressivit, con il suo spirito pratico, con la sua rapacia commerciale, con la sua intelligenza etc) faro del proprio tempo.
Tutti i commenti di Ruben Modigliani
Commento 6106 di A. Barzagli del 10/03/2008
Che ignoranza Sig. Bartolozzi!
Verso la fine del suo articolo lamenta la mancanza di qualche inutile grattacielo: ma non lo sa che in U.S.A. sempre pi spesso i grattacieli vengo demoliti per essere sostituiti da nuovi quartieri? (ovviamente non mi riferisco a N.Y. City)
Non perdo nemmeno tempo a controbattere ad ogni punto del suo articolo, perch sarebbe capace di farlo anche un bimbo di tre anni.
Viva il NEW URBANISM !
UNITI CONTRO LO SPRAWL URBANO!
A. Barzagli
Portland, USA
Tutti i commenti di A. Barzagli
10/3/2008 - Giovanni Bartolozzi risponde a A. Barzagli
Il suo commento è molto costruttivo: è un vero stimolo allo scambio e al dibattito culturale, nei contenuti e soprattutto nei termini.
beato lei
Commento 6107 di renzo marrucci del 10/03/2008
Gentile Barzaghi
non capisco bene cosa vuol dire quando declama al nuovo urbanismo...ma che i grattacieli li vogliono i tecnologi per sbizzarrisrsi un p si sapeva anche in Italia. Disgraziatamente un rigurgito della cultura architettonica ma in linea con l'attuale cultura italiana fatta da economisti e tecnologi. In grave flessione gli architetti e le loro istituzioni culturali. Ci tocca come periodo storico e vorrei avere un passaggio dalla macchina del tempo a vedere come sar il giudizio dei nipoti dei nipoti . Gi si capisce a orecchio ... La storia ben diversa oggi da quella che si formava nel cinquecento, e troppe variabili inibiscono lo sviluppo e il corso delle idee e fino al punto che non il telento che prevale come prevaleva allora come forza naturale di selezione.
Caro Ferrara
il fenomeno delle "stars" e io aggiungo, la prego di capire, "o ballerine", comunque non dispregiativo ma ironico se vuole, figlio del sistema di comunicazione che abbiamo oggi, manipolato da chi ne ha la forza o il cinismo per cavalcare...tale la forza che non mi pare per nulla n naturale ne normale (pu esserci anche qualcuno che lo considera naturale da quel che sento in giro). Se si vuole credere nel valore positivo della vita e aver fiducia nell'uomo e nel suo futuro... Il rispetto del territorio andr oltre i gli interessi particolari di alcuni anche se non senza averne sacrificato un p. Viviamo una epoca da capire, e non la capiremo bene senza una particolare sofferenza.
Tutti i commenti di renzo marrucci
Commento 6388 di marco ferri del 25/08/2008
Carissimo Bartolozzi, leggo solo ora questo articolo pubblicato anni fa. Lo condivido in toto come condivido quanto detto dal collega Manganello. Come diceva Le Corbusier, per fare una buona archiettura occorrono un buon progettista, un buon committente e una buona impresa...In Italia buoni committenti ce ne sono pochissimi. A Firenze non esistono. Mi viene in mente una situazione simile, Maastricht, e come stata gestita e conclusa. Ci voleva molto? Perch a Firenze l'autolesionismo cos forte?
Saluti
Tutti i commenti di marco ferri
[Torna su]
[Torna alla PrimaPagina]