Stanno tornando le simpatiche canaglie?
di Paolo G.L. Ferrara
- 20/2/2002
Ha detto Fuksas: "E' successo un miracolo. C' la volont di diventare Europa, grazie anche ai giovani che hanno studiato all'estero e si sono sprovincializzati. E sono bravi, originali."
Dunque, saremmo di fronte ad un altro miracolo architettonico italiano, che segue quello degli anni '30 '40 '50, messo a nudo da Reyner Banham con il famoso articolo sulla ritirata italiana dall'architettura moderna, pubblicato nel 1959.
Giovani bravi ed originali nelle idee starebbero facendo rivivere - unitamente a colleghi pi grandicelli- un nuovo momento di propulsione dell'italica arte architettonica. Sar vero? O meglio, durer?
I giovani bravi ed originali ci sono, indubbio. Notizie loro ci arrivano quotidianamente, soprattutto dai siti internet quali Arch'it e New Italian Blood.
Il 7 febbraio scorso, a Firenze, Marco Brizzi -unitamente ad Antonino Saggio e Gianni Pettena- ha presentato IaN+, il gruppo romano di Luca Galofaro, Stefania Manna e Carmelo Baglivo. Di loro, ne avevo letto qualcosa da uno scritto di Maria Luisa Palumbo -su Arch'it - :" E se l'obiettivo di IaN+ non certo quello di proporre una riflessione teorica sulle dimensioni dello spazio, esso ha per certamente a che fare col tentativo di entrare nella dinamica del passaggio da una dimensione all'altra, da uno stato all'altro, da una forma alla successiva. L'obiettivo quello di raggiungere il dinamismo che si nasconde non tanto nel movimento come fatto meccanico, ma nell'attimo di transizione tra il bruco e la farfalla[...] Piuttosto che della ricerca di una forma in movimento, occorre parlare della ricerca di una forma in divenire, di una forma progettualmente instabile, conflittuale, contraddittoria, sul punto di mutare".
Avevo anche ascoltato Baglivo ad una conferenza svoltasi a Milano, ove l'esposizione era stata incentrata partendo dagli "spazi interstiziali", per arrivare a parlarci dell'existent maximum. Allora pensai che lo sforzo di ricerca era da premiare, anche se sembrava una ricerca gi scritta e letta; le interferenze con il paesaggio costituiscono dei conflitti da risolvere? IaN+ teorizza la progettazione del vuoto e del disordine. Il problema che lo fa al di fuori delle citt. Non illudiamoci: le parole non sono cos facilmente applicabili, perch con le nostre citt dobbiamo confrontarci, oltre qualsiasi utopia.
A differenza di M.L.Palumbo, mi convinsi che IaN+ proponessero proprio una riflessione teorica sulle dimensioni dello spazio, inteso non nei termini del singolo edificio/architettura, ma del rapporto che esso ha con il luogo d'intervento. E non concordavo sull'affermazione che riguardava la "ricerca di una forma in divenire, progettualmente instabile".
Pensieri di mesi addietro, che a Firenze volevo cercare di verificare in base a quanto Luca Galofaro avrebbe esposto e detto sui lavori di IaN+. Li conoscevo poco e dunque non ero certo pronto a potere comprendere nella giusta misura la loro ricerca. Pi che altro, sentivo e leggevo di loro quali "architetti digitali", e tra i migliori.
A dire il vero, il semplice fatto che venissero etichettati e catalogati mi lasciava un p perplesso, ma a Firenze Galofaro ha chiarito con decisione : "se essere architetti digitali significa usare il computer, bene, noi non siamo architetti digitali, non ci riconosciamo in questa definizione".
Provocatoriamente, Luca Galofaro ha presentato cos IaN+ .
Ascoltata questa premessa, tutto stato pi chiaro e si potuto parlare di architettura, dei significati che Ian+ applica alla progettazione.
Antonino Saggio ha rimarcato il concetto:"IaN+ sono architetti digitali, ma non nel senso che usano il computer". Per quanto sembri la ripetizione/contraddizione del concetto di Galofaro, l'affermazione di Saggio racchiude innumerevoli significati e chiarimenti, soprattutto a livello di critica. Se Galofaro rifiuta di essere etichettato nella schiera dei progettisti computerizzati, Saggio tende a non rifiutare il significato di "architetti digitali", tentando piuttosto di ripulirlo dagli abusivi. L'architettura digitale esiste, sta cresendo, dar i suoi frutti nella ricerca contemporanea. Il pi capire qual la strada giusta che porter a questi risultati.
I lavori presentati da Galofaro hanno in parte chiarito che non vi pu essere digitale senza architettura, e ci spazza via ogni velleit dei disegnatori al computer quali creatori esclusivamente di forme, sicuramente affascinanti, ma che senza simbiosi con la realt non possono avere pretese di essere architettura.
Di particolare interesse il progetto per il parcheggio della stazione Nuovo Salario, a Roma. Esaminato il luogo, IaN+ pondera i significati che solitamente ha un nodo d'interscambio, in linea di massima quelli di essere luogo in cui si parcheggia l'automobile e si sale sul treno per arrivare in citt. La funzione questa, ma il suo funzionamento non ridotto all'essenziale, evitando di creare un luogo funzionale fine a se stesso, per lo pi squallido, periferico, soggetto alla trascuratezza. Il valore aggiunto della presenza del parco la linea guida del progetto.
Oltre ogni parere sulla soluzione architettonica, quel che conta -e che doveva esserci- c': una profonda analisi sulle potenzialit del luogo e l'interpretazione del tema secondo la precisa volont di riqualificarlo attraverso l'intervento architettonico.
Fatto ci, la soluzione dettata dalle linee di studio a cui IaN+ si dedica, argomento che va affrontato da un altro punto di vista.
Durante la presentazione dei lavori, Galofaro ha spesso ripetuto il concetto di "edificio quale estensione del paesaggio". Lo reputo un punto importante per comprendere i significati che stanno alla base del lavoro dello studio romano, e che segna un momento di riflessione rispetto il rifiuto di Galofaro di essere considerato un architetto digitale, solo ed esclusivamente per essere etichettati per una pi facile identificazione. Considerare le problematiche che l'architettura chiamata a risolvere -ed essere consapevoli che non cosa facilmente risolvibile tramite la tavola disegnata- presupposto fondamentale per potere fare architettura, oltre ogni aleatoria definizione identificativa.
Se in IaN+ la volont creare interazione tra paesaggio ed architettura ci significa che si arriva a toccare un punto fondamentale del lavoro di progettisti, che elimina a priori l'esclusiva volont di stupire con effetti speciali, dietro i quali si scoprono poi contenuti poveri. Il concetto di edificio quale estensione del paesaggio ha come conseguenza che lo spazio dell'architettura sia paesaggio da colonizzare. E' il legame intimo che IaN+ da all'architettura ed al suo contesto, un delicato passaggio che abbisogna di chiarimenti all'atto pratico.
Difatti, colonizzare lo spazio interno dell'architettura presuppone che esso sia flessibile in ogni sua parte: nasce da qui la volont di dare al vuoto la stessa importanza del pieno.
Mi soffermer su questo punto poich ho alcune difficolt nel mettere a fuoco i concetti espressi da Galofaro.
Ho sempre avuto qualche dubbio per quanto riguarda il discorso pieni/vuoti dello spazio architettonico, soprattutto perch l'architettura spazialmente intesa non credo possa vivere sul contraddittorio pieno/vuoto, perch essi stessi sono gli elementi base senza i quali architettura non ve ne pu essere. Indubbio: siamo in ambito di discorsi sullo "spazio spazialmente esteso" che sono propri della cultura anticlassica e che al di fuori di essa non hanno senso. Ma IaN+ si colloca senza indugi nella ricerca concettuale di un'architettura che elimini a priori la sua essenza classica, e lo dimostra la precisazione di Galofaro in merito alla ricerca formale dell'architettura, che Ian+ esclude a priori. E' qui, per, che mi sfugge un passaggio, ovvero che significato si debba dare alla definizione "ricerca formale". Essenziale capire se Ian+ la riferisce esclusivamente all'immagine esterna della costruzione, cio all'impatto visivo che ha immersa nel contesto. Notavo che spesso e volentieri le architetture di Ian+ vengono quasi mimetizzate a mezzo del contesto in cui si pongono, esprimendo il massimo nello studio spaziale interno (dai Quattro paesaggi, al concorso per Barcellona), mentre quando sono decisamente fuori terra, la linea guida del progetto l'uso di elementi identificabili per la loro precisa geometria. E' proprio qui che nutro alcune perplessit sull' "architettura che si fa estensione del paesaggio". Nel progetto Europan 5 si fa riferimento a John Cage per decifrare il significato di "vuoto architettonico", ma ho l'impressione che si tratti di una leggera forzatura, se vero che la casualit sta a Cage come la scatolarit sta all'ordine.
Si aprono da qui nuove argomentazioni: la colonizzazione dell'architettura concetto che molto bene si pu riferire agli spettacoli di Cage, ove il pubblico stesso diviene attore, "colonizzando" sala e palcoscenico. A prescindere dal contenitore. O quasi. Di contro, ho avuto l'impressione che gli spazi progettati da IaN+ siano timorosi di instaurare un rapporto casuale con il luogo, determinato dalla stessa colonizzazione di cui parlano. Pur inserendolo nel paesaggio o nascondendolo con reti/pelle informi (Agenzia spaziale Italiana), l'elemento costante a livello volumetrico resta il parallelepipedo. Poco male, ma resta il fatto che ad una puntuale metamorfosi che si attua nel paesaggio -destrutturato per mezzo dell'architettura-, non sempre corrisponde la destrutturazione dello spazio architettonico in se.
Ho avuto modo di porre a Galofaro le mie perplessit sul concetto di fluidit spaziale da lui espresso, ma non siamo arrivati ad un chiarimento esaustivo.
La rigidit spaziale della scatola architettonica di Ian+ sembra quasi essere una demarcazione del limite entro il quale si pu lavorare con libert (vedi appunto il concetto di colonizzazione); il sistema di piazze del quartiere romano di Falcognana ha pregevoli spunti di interazione con il paesaggio e la sua riqualificazione, ma rigido resta lo spazio interno dell'architettura.
Ovvio, siamo davanti l'espressione di concetti personali, sicuramente frutto di precise scelte d'intenti di Ian+, e ci che conta che la critica e le perplessit nascono solo dove c' sostanza.
Queste le prime impressioni, sicuramente da approfondire e magari da modificare nel momento in cui avr occasione di scambiare opinioni con Luca Galofaro, Stefania Manna e Carmelo Baglivo.
Personalmente, che IaN+ ed altri giovani emergano me lo auguro: sar solo un bene per la stagnante (fino a ieri?) cultura architettonica italiana.
Da "Il coraggio di aprirsi" -uno tra i suoi pi pungenti articoli che sono stati pubblicati in coffe break di Arch'it- Antonino Saggio gi tempo addietro aveva perfettamente inquadrato la situazione italiana:"L'architettura italiana non appare particolarmente reattiva. E uso un eufemismo. Forse vero: la capacit di rispondere ai cambiamenti, non del nostro paese componente peculiare perch la modernit costantemente frenata dalle presenze stratificate del tempo, perch ancora bruciante il ricordo delle contraddizioni dei cosiddetti anni del boom e perch i sempre farraginosi apparati di servizio e di supporto alle decisioni impediscono quasi l'emergere delle volont. Singolarmente, o associati insieme, i veti vincono quasi sempre. L'altissimo indice di disoccupazione e lo stesso tasso di natalit ormai vicino allo zero descrive un paese che, tra le nazioni occidentali, ha la progettualit pi bassa".
Qualche simpatica canaglia pu certamente mettere un p in fermento la suddetta situazione ed evidenziarne i limiti da sclerosi senile. Non compito facile, soprattutto perch si deve resistere alle tentazioni che l'essere "personaggi" riserva.
Ma devo dire che Luca Galofaro, almeno un pochino, la faccia da simpatica canaglia ce l'ha, dunque fa ben sperare, unitamente ai soci, che IaN+ possa davvero crescere, dando nuova linfa e giocando qualche scherzetto veniale al sistema dei "personaggi".
(Paolo G.L. Ferrara
- 20/2/2002)
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Commento 62 di enricogbotta del 01/03/2002
Ho avuto modo di seguire la presentazione di IaN+ a Firenze, e anche di apprezzare le osservazioni e le questioni poste da Paolo Ferrara. In un contesto dove l'entusiamo, per altro comprensibile, di presentare un gruppo "giovane" nell'occasione di una mostra aveva un po' accentuato i toni positivi, Ferrara ha avuto la fermezza, per cosi' dire, di sollevare comunque delle critiche utili a fare si che la discussione non si riducesse ad una semplice pacca sulla spalla anche un po' imbarazzante.
Condivido il giudizio complessivamente positivo, se non altro in qualita' di cartina al torna sole, del lavoro presentato. E' vero che manifesta un atteggiamento nuovo, anche se e' innegabile che i progetti fornivano suggestioni piuttosto che formulazioni concrete, non ancora se non altro.
Purtroppo, per motivi di tempo, non mi fu possibile allora, e sono lieto che se ne presenti l'occasione ora, di porre una domanda.
Se prendiamo il lavoro visto -ma allargherei il discorso all'atteggiamento generale alle dichiarazioni di intenti, come espressioni di un nuovo approccio alla progettazione- quali sono i veri punti di innovazione, non solo rispetto alle realizzazioni precedenti, ma anche rispetto alle formulazioni teoriche? Cioe' dove risiede il vero segno della novita'?
Nel computer, come hanno detto Galofaro e Saggio, no. Il computer in se' non e' un aspetto significativo, anche perche le applicazioni a cui il computer in qualita' di strumento si presta sono numerose e di varia natura, anche ontologica.
La novita' non e' riducibile ad un fatto meramente generazionale, e anche questo viene ribadito dai panellisti.
Bene, sappiamo dove "non" sta la novita', ma ancora non abbiamo individuato un elemento, un tema, una visione che siano "di rottura".
La tematica edificio/paesaggio e' una tematica lecorbusieriana, cosi come il tetto giardino usato da IaN+ nel progetto per la piazza che hanno esposto, o wrightiana. La tematica dello spazio libero da vincoli (cosi come, ancora, il rapporto tra lo spazio architettonico e il paesaggio) e' una tematica miesiana... la descrizione che Luca Galofaro ha fatto degli edifici compresi nel progetto gia' citato mi ha fatto piu' volte pensare alla Casa Tugendhat di Mies.
Questo mi fa dedurre che il lavoro di IaN+ sia in continuita' col modernismo. Le influenze sono anche altre, alcuni hanno nominato le avanguardie Archigram, Superstudio, ma forse il vero ponte e' il Gruppo X, anche per il linguaggio visivo. Beh insomma, ma allora la novita' dove sta?
Faccio un tentativo...
Credo che sia il computer sia "l'eta' " siano fattori importanti di differenziazione, e siano le due cose che, forse piu' di altre, contraddistinguono o sono utili a distinguere gli architetti da un certo punto in poi rispetto ai loro predecesori. Perche una svolta generazionale c'e' stata ed e' stata determinata dal computer. In termini assolutamente generali, sino a un certo punto il computer non aveva nessun ruolo, da un certo punto in avanti lo si e' dato per scontato. Gli studenti che si immatricolano ora credo che difficilmente presenteranno il loro progetto per composizione 1 disegnando con stecca e squadra, e se lo fanno pianificano di imparare ad usare un software piuttosco che comprare il tecnigrafo. Quindi computer ed "et" sono elementi fondamentali per capire i cambiamenti su larga scala nell'ambito dell'architettura, dalla formazione alla professione.
Poi, entrando nel dettaglio, non e' piu' una questione di computer in quanto tale. Pero' e' innegabile che un "certo" uso del computer invece rimane come fattore di novita'. Il cad che riproduce il disegno manuale non aggiunge niente al significato dei segni tracciati. Un uso "creativo" del computer invece si. Fermo restando che questo possa non essere il caso di IaN+, e' un fatto che l'utilizzo di programmi non prettamente "architettonici" abbiamo prodotto cambiamenti radicali nel modo di pensare l'architettura. Ed e' qui l'importante, non certo la stravaganza delle forme che si possono ottenere da un calcolatore.
Un vero cambiamento nel modo di pensare l'architettura, e per nuovo intendo qualcosa che si differenzi non solo dalle opere costruite sino a ieri ma anche dalle idee pensate fino ieri, e' veramente auspicabile, forse siamo solo all'inizio, forse ci vorra' la prossima "IT revolution" perche il cambiamento arrivi davvero. Chissa'.
un saluto,
enrico g.botta
Tutti i commenti di enricogbotta
1/3/2002 - Paolo G.L. Ferrara risponde a enricogbotta
Il pericolo è sempre lo stesso e poco, a mio parere, dipende dal mezzo usato: formalisti e scopiazzatori con la matita o con il computer non fa differenza. Ora, per non copiare o fare i formalisti si deve avere una base forte, imprescindibile: la preparazione culturale. Non necessariamente una laurea in architettura. L'uso creativo del computer non è altro che l'accellerazione del processo di rappresentazione di quello che il progettista ha già creato nella sua mente, e che solo egli può vedere finchè non lo rende esplicito attraverso i disegni.
Caro Botta, non posso negare il fondo di verità che c’è nelle Sue affermazioni: novelli progettisti al cad spuntano come funghi, e se non si ha capacità di riconoscere quelli non nocivi si rischia grosso.
Personalmente, credo che il vero cambiamento dei modi di pensare l’architettura sia conseguente ai nuovi modi di pensare la società. Estremizzo: il modo di pensare l'architettura cambia pari passo al modo di pensare la (e della) società. Il computer c'entra poco. Nessun romanticismo o enfasi della grafite: solo la consapevolezza che le potenzialità del mezzo sono enormi, ma per sfruttarle a dovere bisogna in primo luogo capirne i limiti. Quel che conta, ripeto, è la testa. Trenta anni fa anche Purini si esprimeva attraverso i disegni e ne ha fatto un momento basilare della sua visione dell’architettura. A prescindere se essa fosse condivisibile o meno, aveva dei concetti da esprimere. Ecco, dai giovani ci si aspetta che diano nuova propulsione al pensiero di architettura, tenendo presente che qualcosa di nuovo lo si può dire anche rendendo il passato “contemporaneo”.
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