Marmellata Italiana alla Triennale
di Paolo G.L. Ferrara
- 15/4/2002
Un'iniziativa promossa dalla Triennale di Milano nell'ambito di Uncertain States of Europe pone la questione:"Quanto conta l'architettura in Italia?".
Pubblico numericamente scarsissimo se rapportato ad un argomento cos importante, il che significa l'altrettanto scarso interesse dei cultori di architettura orbitanti in ambito milanese. Ma quello del disinteresse al confronto tema vecchio ed anche un p pedante, dunque passiamo oltre.
Hanno argomentato Luca Molinari, Pippo Ciorra, Leopoldo Freyrie, Marco Brizzi, Axel Sowa, e hanno presentato i loro progetti Cino Zucchi, Metrogramma, 5+1, Marco Casamonti per Archea, Stefano Boeri.
Il tutto scivolato via tra considerazioni senza scossoni - esclusa forse qualche piccola provocazione di Axel Sowa- e senza vere e proprie prese di posizione.
Molinari afferma che "solo da pochi anni ci si sta accorgendo nuovamente dell'architettura italiana" e ci dice che "manca la riflessione su cosa sia oggi l'architettura; necessario tornare a parlare delle opere e tenere il piede in due staffe: teoria e progetto".
Per Ciorra il problema non quanto conti l'architettura italiana, bens "chiedersi il perch morta".
Freyrie ci mette a conoscenza di numeri inquietanti : 100.000 architetti in Italia e solo il 30% degli incarichi progettuali di lavori pubblici vanno ad essi. Conclude dicendo che "manca l'interesse per l'architettura sia a livello sociale che nelle Istituzioni".
Ottimismo di Brizzi che attraverso Arch'it ha il polso della situazione riguardo i giovani progettisti italiani.
Si parla infatti della nuova generazione italiana, per capire che futuro avr, e con essa l'architettura italiana.
I progettisti presenti: Cino Zucchi illustra il suo lavoro in corso di realizzazione a Venezia; MetrogrammA quello su Bolzano; 5+1 il loro Campus a Savona; per Archea, Marco Casamonti su Merate; Stefano Boeri si astiene dall'illustrare suoi lavori e preferisce soffermarsi sul significato della diversit a livello linguistico dei progetti che oggi si fanno in Italia; Franco Purini, assente.
Impossibilitato ad intervenire per cause di forza maggiore, Manfredo Tafuri stato chiamato in causa pi volte a mezzo della considerazione che a lui si debba -in gran parte- lo stato della situazione italiana, causa l'azzeramento di 40 anni di storia a mezzo delle sue teorizzazioni critiche.
"I padri li abbiamo uccisi" la certezza di tutti i relatori. Aggiungo : bene, ce ne siamo liberati come se fossero un fardello troppo grande da portare, ma non che per caso siamo rimasti orfani da orfanotrofio anche dopo la maggiore et, da accudire, senza capacit di reagire al parricidio, giustificato o meno che fosse?
La rappresentanza della nuova generazione di architetti italiani (a cui sembra proprio che la precedente non sia stata capace di dare nemmeno un decimo di quanto hanno dato -pur se con qualche indubbio errore- ad essa i "padri") invitati alla Triennale non ha dato prova brillante nell'esposizione del proprio lavoro e delle idee che lo hanno improntato.
I soci dello studio 5+1 sono sembrati un p in difficolt nel descrivere spazialmente (dunque, architettonicamente) il loro interessante progetto. Affermano di "non avere padri da uccidere perch si sono suicidati"; che dire: se a Milano hanno dato il loro meglio, che non hanno "padri" si vede. Accanto alle capacit progettuali dimostrate, consiglierei ai 5+1 un attimo di riflessione e di modestia e magari di volgere un attimo lo sguardo alle opere dei "padri" ed al loro modo di trasmettere le proprie idee progettuali anche attraverso le parole. In caso contrario, meglio non presentarsi in veste di relatori.
Marco Casamonti (Archea) ha brillato pi per l'ironia sul progetto di Mario Botta per Merate che non per l'esposizione del suo, commissionatogli in alternativa a quello, appunto, dell'architetto svizzero. Un lungo monologo per autocelebrarsi, concluso con la messa a conoscenza della platea uditoria della sua collaborazione con Eric Miralles:"noi di Archea non ci poniamo problemi di linguaggio o di stile; ci adeguiamo alla situazione".
Ed in effetti, che Casamonti non si ponga il problema del "linguaggio o dello stile" evidente: non pu farlo, perch prima dovrebbe porsi il problema di spiegarci cosa intenda per l'uno e per l'altro. Comunque sia, da un docente universitario mi aspettavo una pi chiara e dettagliata esposizione. Nello specifico: si critica Botta perch isola il complesso dal contesto (e qui approvo) ma si risponde costruendo un "bastione" di 70 metri di lunghezza ed alto 12. Un bastione che, "facendo finta che un archeologo abbia scavato, venuto alla luce", ma che, aggiungo io, sarebbe stato meglio lasciare sotto l'immaginaria sepoltura.
L' evidente influenza di Portoghesi e Zermani impronta il progetto per Merate.
Ultima curiosit: quale dei Sangallo riferimento per Casamonti? Spero non tutti e tre...forse Antonio il Giovane, ovvero il pi egocentrico?
L'autocelebrazione stata propria anche di Cino Zucchi, attuata elencando i concorsi prestigiosi vinti ed i costi dei biglietti aerei pagatigli per andare in Germania.
Mi associo -ma solo per la prima parte- alla sicuramente amichevole battuta di Ciorra riferita a Zucchi: "ho capito poco ma hai sicuramente ragione". Anche io ho capito poco ma Zucchi non ha sicuramente ragione n quando parla di"imbarazzo tra Venezia e il Moderno", n quando parla di "dare dignit ad un edificio creando un artificio per allineare le finestre, dando dignit anche ad esse". Gli do ragione solo quando dice "noi siamo figli di Aldo Rossi e della tipologia" (sia ben inteso, io non sono fratello di Zucchi).
La presentazione del suo progetto stata una valanga di citazioni con l'apice raggiunto nell'affermazione "la risposta al Kitsch non credo sia il Decostruzionismo".
Come volevasi dimostrare: anche la nuova generazione di accademici razionalisti riduce tutto il fermento anticlassico nel Decostruttivismo.
Ciorra sottolinea la "mancanza totale di fare della nostra architettura un momento di discussione"; ha pienamente ragione, e la conferma c' stata in tempo reale. Infatti nessuno dei progettisti ha messo in discussione s stesso. Il solo Stefano Boeri ha avuto il coraggio di denunciare attraverso le parole la situazione di stallo. MetrogrammA i pi interessanti e chiari nel parlarci del loro modo di vedere Bolzano. Un lavoro di notevole importanza sotto molti punti di vista e di sicuro sviluppo (vi rimando alla pubblicazione su Arch'it, sezione "architetture"; da leggere)
Alla fine della serata, tutti bravi, tutti senza responsabilit. Tutti a sottolineare le difficolt di lavoro che s'incontrano quando si ha a che fare con le Pubbliche Amministrazioni, tutti o quasi pessimisti (eccezioni: MetrogrammaA, Brizzi, Molinari), ma nessuno a dire cosa fare per uscire da questa situazione (Casamonti suggerisce di barare, alla Terragni/Novocomum? ma per favore! piano con certi paragoni!).
Tante parole ma senza fare l'unica vera considerazione che andava fatta: quanto conta per la politica l'architettura italiana? E quanto conta la politica per gli architetti italiani?
Continuiamo a cascare dalle nuvole e a manifestare ribrezzo culturale quando vediamo gli scempi nei centri antichi, le periferie squallide, i capannoni tetri e desolanti sparsi nell'hinterland delle citt, eppure sappiamo benissimo che queste cose ci sono perch ne sono state concesse le licenze edilizie, ed allora basta con questo vittimismo nei confronti dell'oscuramento che l'architettura ha subito! La maggior parte degli architetti italiani degli ultimi venti anni si perfettamente adeguata alle direttive impartite dal potere. Dunque diamoci una mossa, ma di quelle che scuotano anche chi ci circonda e ci governa. E non pu essere una giustificazione il fatto che solo il 30% degli edifici sono commisionati ad architetti: di questo 30% quanto di qualit? Esageriamo: il 5% .
Capiamoci: dei padri uccisi, dei problemi di linguaggio, dell'essere figli di Rossi o di Eisenman, delle "colpe" di Tafuri , e di tutto quant'altro serve solo per parlare, non importa nulla se oltre non vi la volont di riconquistare i significati che l'essere architetto sottintende: etica, etica ed ancora etica.
Siamo sommersi da convegni, da mostre, da incontri, da media che s'interessano di architettura, e questa sicuramente una speranza che l'architettura italiana abbia la possibilit di riemergere, quantomeno farsi notare, dichiarare che non pi da cercare nei cimiteri.
Siamo per sommersi da altrettanta burocrazia, clientelismi, leggi anacronistiche, sindromi conservative di stampo sgarbiano. E moltissimi architetti fanno politica non certamente perch ci credono, bens perch ne hanno beneficio lavorativo.
Finch continuer l'incesto con il potere politico, sar assolutamente inutile parlare dei "perch" dello stato di stallo e d'indifferenza che l'architettura italiana sta vivendo da molti anni.
E poi, basta con la solita solfa del doversi liberare dei "padri"; piuttosto, come suggeriva Zevi, iniziamo a chiederci "[...]cosa sarebbe successo nella cultura architettonica italiana se una minoranza intransigente non avesse condotto battaglie strenue per il rinnovamento civile e linguistico, se tutto il potere fosse rimasto nelle mani dei cinici e degli avventurieri".
Rifiutare di servire il "potere", non facendosi condizionare e non piegandosi ad esso: questa l'unica vera strada da seguire per ridare all'architettura italiana un ruolo di prestigio.
Indubbio che a questa azione debba essere affiancata una generazione di giovani bravi e capaci, con idee da sviluppare e altrettanto capaci di mutare il trend delle deficienze delle nostre citt e del nostro territorio. E questa un'arma che abbiamo ma che non dobbiamo caricare a salve.
Conclusioni. L'architettura italiana conta se consideriamo la vivacit e la voglia di fare delle generazioni giovani (a prescindere dagli indirizzi linguistici di ciascuno, sia ben chiaro) e potr acquisire reale forza se questi giovani resteranno con i piedi ben saldi per terra, evitando di identificarsi nell' "architetto star" solo perch hanno vinto un concorso di prestigio. Di pi: questi giovani (e qui ha pienamente ragione Luca Molinari) oltre che alla grande architettura devono interessarsi alle problematiche delle dimensioni dello spazio progettuale quotidiano, e tenere il piede in due staffe, unendo teoria e progetto.
Va da s che per fare ci si debba essere slegati da qualsivoglia padrone o tutore.
Le generazioni nate tra il 1960 e il 1970 che hanno frequentato le aule universitarie, sono state infarcite di pessimismo e di concetti quali "l'irreversibile crisi dell'architettura moderna". Indirizzate a progettare secondo precetti accademici quale unica via per dimenticare il moderno e la sua crisi, hanno creduto che si dovesse buttare il bambino con l'acqua sporca.
Queste generazioni (tranne qualche singola eccezione) sono il problema dello stallo dell'architettura italiana, perch sono quelle che iniziano ad occupare le cattedre, le sovrintendenze, le pagine delle riviste. Sono quelle che hanno accettato passivamente l'altrui parricidio. Da loro arrivano gli input alla generazione dei trentenni che -fortunatamente- in gran parte rifiutano e guardano altrove, anche ai "padri", che saranno s stati uccisi, ma che ci hanno lasciato le loro architetture, sulle quali possiamo meditare e rispolverarne il valore. E, soprattutto, saperlo individuare e trasmetterlo in modi e termini contemporanei.
Antonino Saggio sullo stallo della situazione italiana (tratto da "Il coraggio di aprirsi"): "[...] Permettetemi di dire che il meccanismo vecchio. Sempre il rinnovamento dell'architettura qui passato attraverso forche caudine. Chi come Pagano, o Perisco o Giolli rivendicava l'imprescindibilit di una apertura europea, veniva tacciato di traditore delle tradizioni o di internazionalismo bolscevico. In realt quelle personalit hanno aperto una strada praticabile, tra istanze di rinnovamento internazionale e interpretazioni nostre. E questa strada, non stata solo delle lite ma stata percorsa da avventure collettive non disprezzabili. O vogliamo scordare i molti edifici razionalisti degli anni Trenta, la vitale fase neo-realista e organica degli anni Cinquanta, la stessa tormentata ma coraggiosa idea della casa popolare del Sessanta e Settanta, i sensibili inserimenti nei contesti preesistenti di parecchia buona architettura sino almeno alla met degli anni Ottanta? [...] Tornando allo status quo e al suo superamento. Guardare con il naso all'ins queste realizzazioni e duplicarne acriticamente le ondulazioni zigzaganti o avvolgenti appartiene a una fase primitiva e iniziale. Intendiamoci, non negativa a mio avviso, pi di quanto lo sia quella di copiare acriticamente qualunque modello. Si tratta di capire il quadro in cui queste sperimentazioni si svolgono, verificarne il grado di coerenza con le situazioni in cui si opera senza eccessive forzature, ma neanche troppo subitanee rese. Soprattutto, in particolare per chi ha poco o nulla da mantenere, necessario aprirsi con curiosit e interesse ai nuovi fermenti. Il mondo sta cambiando, si aprono nuove crisi e insieme nuove opportunit".
Sottoscrivo totalmente.
Introducendo l'incontro, Luca Molinari ha presentato Axel Sowa quale Direttore della migliore rivista di architettura attualmente in campo in Europa, ovvero Architecture d'Aujourd'hui.
L'illustre ospite ha ascoltato con assoluta attenzione. Poche parole e qualche intervento, uno dei quali per precisare quanto anche gli architetti stessi, oltre i media, siano i responsabili delle "marmellate".
Italiane, ovviamente. E a Milano Sowa ne ha potuto gustare una, confezionata da una parte dei progettisti invitati.
(Paolo G.L. Ferrara
- 15/4/2002)
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Commento 177 di claudio bonicco del 15/08/2002
Caro Sig. Ferrara,
il suo articolo mi stato inoltrato da una persona che ha il duro compito di scrivere l'editoriale di "NOMADISMI, 10 contributi provinciali + 5 tracce nazionali su architettura e paesaggio", un libro di prossima edizione a cura del sottoscritto e Roberto Garelli.
Questa persona Fabrizio Gallanti e, nella prima bozza che mi ha inviato un paio di settimane fa, si era espresso in termini molto simili ai suoi in proposito all'attuale stato dell'architettura in Italia, chiedendosi quali potrebbero essere le strade da prendere.
Alcuni "giovani" (Boeri, Costantini, De Cecco, Scupelli e Jodice) incontrano e si confrontano con il lavoro di altri giovani pi giovani di loro.
I contenuti del libro sono fondamentalmente progetti con testi: forse un po' azzardato definirle vere e proprie riflessioni "teoriche", ma sicuramente rappresentano un passo nella direzione in cui noi giovani architetti (io sono + giovane della generazione di cui lei scrive) dovremmo muoverci.
Nomadismi ha radici ibride, nell'Europa contemporanea come in alcune delle cose che i maestri ci hanno lasciato, e rappresenta (dal contenuto, al progetto editoriale, alla grafica e alla comunicazione, alla sensibilizzazione sull'importanza del parlare di architettura non solo con gli architetti, ma anche con chi vive le citt e i territori) uno sforzo per provare a guardare avanti, per esplorare quelle che potrebbero diventare le nostre strade di progettisti/critici/comunicatori/divulgatori.
E' un futuro di cui si sa solo che sar sempre meno possibile e proficuo rimanere arroccati su posizioni rigide e bisogner invece imparare a mettersi continuamente in gioco, confrontandosi con i milioni di domande di progetto che il vivere contemporaneo ci pone.
Una domanda in particolare mi ha colpito: quanto ai politici interessa l'architettura e agli architetti la politica?
Credo sia questa la risposta fondamentale da cercare per capire cosa ci si possa aspettare a voler fare l'architetto in Italia.
Per quanto mi riguarda mi interessa solo l'architettura.
Tutti i commenti di claudio bonicco
Commento 1107 di alessio lenzarini del 17/03/2006
Credo che le critiche alla trasparenza dei concorsi facciano sempre bene, in linea di principio, ma che purtroppo siano anche, il pi delle volte, difficilmente dimostrabili nei fatti e quindi facilmente decadibili nell'illazione. Se effettivamente l'Anas fosse in procinto di affidare a Casamonti importanti incarichi in Albania, saremmo effettivamente di fronte perlomeno ad una grossa coincidenza, ma mi sembra di capire si tratti solo di supposizioni del collega Giusti. E comunque, per fortuna o purtroppo, le coincidenze capitano ed obiettivamente pi facile che capitino a Casamonti, onnipresente mago delle pubbliche relazioni, piuttosto che ad altri architetti, magari anche pi bravi, ma chiusi nel loro piccolo studio a fare piccoli progetti. Personalmente non mi scandalizzo di fronte alla capacit di pubbliche relazioni, perch una qualit necessaria alla nostra professione, bens la invidio nella misura in cui risulta un modus vivendi e operandi purtroppo a me lontanissimo. E soprattutto non mi scandalizzo quando tale capacit di pubbliche relazioni risulta brillantemente coniugata ad un'alta qualit progettuale, come nel caso dello studio Archea che, a parer di chi scrive, rappresenta una delle poche realt interessanti nel piatto panorama dell'architettura italiana. Per quel poco che sono riuscito a capirne dalle scarne immagini pubblicate su Europaconcorsi, quello di Archea per il concorso dell'Anas mi sembra un buon progetto. E devo aggiungere che invece mi scandalizzano abbastanza alcune frasi lette negli interventi del collega Giusti, in cui si invoca una sorta di ritorno all'ordine, si declama un rifiuto dell'architettura troppo espressiva o comunicativa (in altre parole: rifiuto dell'architettura come forma d'arte) e addirittura si professa una presunta 'attuale necessit' di oggettivit linguistica e di contingente legame col sito. Io, nell'attuale momento dell'architettura italiana, sento la necessit esattamente opposta, anche perch veniamo da trenta e pi anni di tipologia e contestualismo.
p.s.
sarei anche curioso di sapere per quali arcane motivazioni una persona politicamente di sinistra (pare, il sig. Virano) che, in qualit di giurato, valutasse meritevole il progetto di Archea, cos facendo rinnegherebbe i suoi ideali...
buona giornata a tutti
alessio lenzarini
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Commento 1132 di Giuseppe artusi del 16/04/2006
Prego il signor G. L. Ferrara di poter dare la mia opinione rispetto ad alcuni scritti apparsi qui e riguardanti il concorso di progettazione bandito dall'ANAS.
Ho osservato a lungo il progetto pubblicato su www.arcadata.it,ho seguito le polemiche su altri siti come Antithesi,ebbene la mia conclusione questa:
il vincitore ha indubbiamente prodotto un progetto di gran impatto formale,che fa leva sull emotivit, viscerale,di grande effetto propagandistico.
Prescinde da qualsiasi rapporto con il sito per la semplice ragione che il progetto,molto probabilmente anticipando e causando lo stesso concorso,non poteva che proporre una soluzione generica,adatta ad ogni situazione (e ad ogni possibile sito) con minimi e non sostanziali cambiamenti.
la proposizione astratta del tipo ,insomma, come unico approcio progettuale possibile, (vista la situazione) allinterno del quale potevano tollerarsi diverse e irrilevanti varianti.
Prova ne sia il fatto che le vasche di fitodepurazione presenti in seconda fase e non in prima, siano proprio uno di questi architettonicamente irrilevanti cambiamenti da un lato, e una strizzatina docchi allecosostenibilit dallaltro.
Tale aggiunta stata evidentemente suggerita per rendere pi digeribile,sotto certi aspetti,la forte e sradicata scelta formale.
Proprio gli aspetti relativi al sito, sia dal punto di vista paesaggistico, sia dal punto di vista della ecosostenibilit, appaiono parte integrante e imprescindibile del progetto architettonico sia nel
secondo che nel terzo classificato, mentre invece appaiono come ornamento, inutile orpello, e ruffiani accorgimenti da adottare a seconda dei casi, nel primo.
Cordialmente
prof. Giuseppe Artusi
Tutti i commenti di Giuseppe artusi
Commento 1138 di Santi Manti del 19/04/2006
Spettabile dott. Artusi e egregio G.L.Ferrara,
sono uno di coloro che hanno inviato commenti "non graditi" (e censurati)a europaconcorsi riguardo al progetto protagonista delle polemiche.
Vorrei rendere noto il MODUS OPERANDI di certe persone e certi enti:
si vada a vedere su http://www.fareturismo.it/concorso.php , ebbene si noter la segnalazione della presenza attiva complice e sostenitrice della sovrintendente archeologica Giuliana Tocco.
Giuliana Tocco, interpellata il giorno prima dell'evento, NON NE SAPEVA NULLA!!!
ANAS e Casamonti volevano fregiarsi del placet della sovrintendenza, dichiaravano il falso preannunciando la presenza della sovrintendente, questa non sapeva nulla n dell'evento, n addirittura del progetto che avrebbe dovuto sostenere.
Tutti i commenti di Santi Manti
Commento 1139 di Santi Manti del 19/04/2006
Egregio G.L. Ferrara
le sono infinitamente grato per essersi esposto dando spazio ai miei commenti e vorrei solo aggiungere, se non per tutti per lei, che, come reazione ai commenti qui pubblicati, europaconcorsi ha cancellato tutti i commenti compreso l'unico mio cui era stata concessa la pubblicazione e dopo che tutti i commenti che si provava ad inviare, rimanevano in eterna attesa di moderazione.
Ora non pi possibile scrivere e inviare nessun commento.
la sensazione, in questo nostro bel paese, quella di sottostare ad un vero e proprio regime!
Ma di bello, in italia, c' solo la facciata...come per i concorsi.
Tutti i commenti di Santi Manti
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