L'Italia e i soliti italiani. Anche Sudjic s'adegua.
di Paolo G.L. Ferrara
- 9/9/2002
"Next?...no, forse... Now. Si, now sarebbe meglio per definire questa Biennale d'architettura".
Con Luigi P.Puglisi e Luca Guido prima, con Antonino Saggio poi, Sandro Lazier lo affermava e ne discuteva a Venezia. Ascoltavo e cercavo di capire il senso dell'importanza del discorso.
A dir la verit, a mente fredda, non credo che il problema terminologico, per quanto importantissimo poich identificativo degli obiettivi che Sudjic si posto, possa essere determinante nell'espressione dei pareri sulla 8^ Biennale.
Ciascuno di noi terr in considerazione quanto ritiene opportuno, filtrando il tutto attraverso la personale idea d'architettura.
La mia: percorrendo ed osservando, fermandomi e guardando tra i progetti ed i modelli esposti, ho gioito nel non avere visto architettura accademica, intesa nel senso pi deleterio del termine. Oddio, qualche rigurgito c ancora -Gregotti ed i suoi due progetti entrambi cuboni di 50 x 50; lassurdo Lonely Living, n pi e n meno un lotto cimiteriale, sia per disposizione planimetrica che per concetto; ma li si nota solo per la loro inopportunit ad esserci- come sicuramente c qualche camuffamento spaziale in termini di linguaggio, per la verit pi confuso che chiaro.
Comunque sia, l'accademia soverchiata, e credo che gi questa non sia cosa da poco, soprattutto in riferimento a ci che Sudjic ha voluto dirci: quella presentata sar l'architettura del futuro. Il pi vedere se nel futuro immaginato l'architettura sapr davvero essere quella che egli ha selezionato. Ovviamente sappiamo tutti che Sudjic non ha alcun potere di fare costruire solo l'architettura della sua Biennale.
Notevolmente importante che il messaggio ci arrivi da una manifestazione italiana, perch significa che anche da noi lo sguardo si finalmente fermato, e il pensiero concentrato, sull'architettura libera da schemi, regole, codici. E, per la propriet transitiva, in tempi ovviamente lunghi, se ne potr liberare anche la citt italiana in genere. Poco importa se a trasmettere questo messaggio proveniente dallItalia sia stato un direttore di passaporto straniero. Quisquiglie.
Piuttosto, trovo ci sia continuit con la Biennale di Fuksas, soprattutto se ci concentriamo sui contenuti e non sullaspetto delle modalit dinstallazione. Se Fuksas incitava allaffermazione delletica a dispetto dellestetica, per Sudjic avere presentato progetti che verranno realizzati significa comunque porre sul tavolo della discussione elementi concreti, passibili di critica, incitanti al contraddittorio. Difatti, riuscire a dare motivazioni concrete della propria architettura implica che il progettista non trascuri letica. Questa la condizione da cui non si pu prescindere. Tutto il resto solo olezzo.
Lo si sentito dappertutto: cosa abbiamo visto di nuovo? a che ricerca indirizza la Biennale di Sudjic? I temi di discussione del primo impatto sono sempre e comunque questi. I grandi nomi hanno esposto progetti di cui i cultori dellarchitettura erano gi a conoscenza, dunque ai cultori stessi lunica nota di novit e curiosit parsa quella di potere vedere dal vivo i modelli.
A ciascuno libert di essere pi o meno soddisfatto. Credo che sia abbastanza inutile cercare di difendere o di offendere per convincere che la Biennale 2002 sia ottima, buona, insufficiente, mediocre. Piuttosto, dalle varie esternazioni sarebbe necessario che scaturisse il continuum della Biennale stessa, ovvero lapprofondimento dei temi proposti. Questo il ruolo della critica, a cui dovrebbero aderire gli architetti progettisti. Di pi: sarebbe stato interessante (e forse necessario) che la Biennale avesse concentrato nei due giorni inaugurali la presenza degli architetti invitati ad esporre le loro opere. Tutti l fisicamente, conditio sine qua non per partecipare. Immaginiamo di potere dialogare con Hadid, Owen Moss, Ito e gli altri, e aprire una sorta di workshop in cui venga spiegata la sostanza progettuale. Interagire, anche per verificare idee, architettura ed architetti.
Improponibile? e perch? Se la Biennale luogo in cui si mostra cultura, non potrebbe avere il valore aggiunto di fare cultura? Tre giorni riservati al dibattito costruttivo, al confronto. Un continuo aggiornamento in video conferenza con tutte le universit per consentire agli studenti di seguire quanto architetti e critici hanno da dirsi.
Al termine della manifestazione, una pubblicazione che riporti i temi discussi e le critiche.
A Sudjic chiediamo che questo lavoro lo faccia dalle pagine di Domus, riservando una sezione del mensile agli interventi di critici e cultori di architettura che abbiano da discutere sui progetti presentati. Di pi: i pareri andrebbero girati agli architetti presenti alla Biennale. Se lo fa Domus difficilmente avr risposte negative di partecipazione. Sudjic potr dire di avere portato a termine unoperazione culturale valida solo se riuscir a dare continuit alla sua Biennale. In caso contrario verr ricordato solo per averci mostrato quel che conoscevamo e per non avere avuto coraggio nello spingersi al di dentro dellarchitettura italiana contemporanea delle nuove generazioni. Un errore che in molti credo gli si imputi ma di cui si tende a parlare poco.
Sabato notte incrocio Marco Brizzi per le strade di Venezia. Gli dico che non concordo sul silenzio di Ciorra (vedi articolo su Archit) su come stata rappresentata larchitettura italiana alla Biennale.
Marco Brizzi, con laffabilit che lo contraddistingue, mi dice che sbaglio: anzi, se Pippo Ciorra non ha voluto parlare di come larchitettura italiana stata rappresentata alla Biennale, lo ha fatto proprio per dare ancora pi peso al problema, per sottolinearlo.
Caro Marco, non concordo con la teoria del silenzio che fa meditare. Qui il caso che sinizi a fare la voce grossa contro lostruzionismo verso quei giovani che pi sprigionano tensioni culturali. E se non lo fa uno come Pippo Ciorra e dalle pagine della pi prestigiosa rivista on line mi sento legittimato a chiedermi (e chiedergli) il perch.
Prendiamo il Corriere della Sera; nellinserto dedicato alla Biennale larticolo di prima pagina a firma di Gae Aulenti, la quale afferma che [] larchitettura vera non un fenomeno di comunicazione, bens di relazioni concrete, terminando il suo intervento ponendoci la domanda se possono essere le nuove architetture solo strumenti di seduzione?. In poche parole, la Aulenti ci mette in guardia su quello che vedremo allinterno dellArsenale e dei Giardini: non nelle mode o nella sperimentazione tecnologica fine a se stessa che larchitettura del futuro trover la propria salvezza. Leggendo la Aulenti mi venuta spontanea una domanda: che larchitettura vera fatta di relazioni concrete sia Piazza Cadorna a Milano e che lacqua che cade dai laterali delle travi di sostegno delle pensiline della piazza sia tuttaltro che elemento di seduzione?
Allora, se il Corriere lascia che sia la Aulenti ad introdurre con tali banalit la Biennale al lettore e a porre quesiti di questo genere, tendenti a ridurre l'architettura contemporanea che si discosta dall'accademismo ad architettura che vuole stupire, sedurre ma che non ha contenuti, bene, significa che quantomeno il giornalismo italiano non attento alle nuove generazioni di connazionali, alle loro idee, alla loro ricerca. Perch, se cos non fosse, larticolo dintroduzione avrebbero dovuto affidarlo ad un giovane e valido critico e ad un altrettanto giovane e valido architetto.
Se poi si considera la messa in scena dello spazio/installazione Lonely Living, il quadro pressoch completo. Percorso composto da 18 cappelle che vogliono spacciarsi per risoluzione al problema dello spazio vitale minimo. Paradossalmente, questa Biennale che vuole mostrarci come e quanto larchitettura abbia cambiato direzione, come e quanto essa potr essere visibile tra pochi anni (lo ricordo, Sudjic ha espressamente privilegiato progetti gi approvati o in fase di costruzione), come e quanto questa architettura sia indirizzata a cambiare il volto anche sociale delle citt, ci propina poi diciotto studi di architettura italiani che vengono coinvolti (e si fanno coinvolgere con compiacimento) in unoperazione che ha sapore esclusivamente commerciale.
Marco Casamonti ( il vero deus ex machina delloperazione?) la spaccia per operazione culturale e, direttamente dal Corriere della Sera la descrive quale una risposta in termini spaziali al disagio esistenziale. Personalmente, reputo assolutamente di pessimo gusto creare degli spazi minimi per i bisogni primari di categorie deboli (homeless, portatori di handicap, membri di etnie, bambini, anziani (sempre parole di Casamonti), soprattutto se consideriamo che larchitettura contemporanea ha il dovere di risolvere i disagi sociali anche e soprattutto per letica che deve esprimere (e qui si ritorna al gi detto delle similitudini tra il 2000 e lattuale Biennale). Chiudiamo dunque le categorie deboli in cellette che possano garantir loro lo stare in vita (coprirsi dalle intemperie, avere un angolo cottura ed un giaciglio, oltre che un vaso da notte) e ci sentiremo moralmente a posto: in fondo, come assuefarli alla cappella cimiteriale.
E, sia chiaro, non accetto che mi si dica che si trattato di un modo brutale di porre il problema dello spazio vitale minimo. Se davvero si sente il problema etico, si combatta per esso, rimettendoci tempo e denaro: questi diciotto studi regalino la loro consulenza e un progetto a 18 comuni diversi, affrontando i problemi delle classi deboli e impegnandosi a trovare i soldi per risanare quartieri e dare i servizi che necessitano.
Solo rendendo operativo il presunto impegno sociale potranno riscattarsi da questa messa in scena, tipicamente da copertina. Eppure, a pochi metri, nel padiglione del Brasile...si potevano osservare elementi abitativi di favelas...a dir la verit molto pi dignitosi nel loro rispecchiare lo stato di degrado e di povert che non le cappelle/loculi di legno riciclato, materiale che, a detta degli ideatori, stato usato per impedire ogni messa in scena gratuita di tecnologie sofisticate...(!!)
Chiss che pu fregare ad un barbone dormire nella casetta minima di Casamonti/Archea, di Zucchi o di 5+1 e avere magari video a cristalli liquidi, tapparelle elettriche, internet, il water autopulente....
L'uso del legno riciclato solo un debolissimo paravento e, anche per questo, loperazione Lonely Living degna di condanna su tutti i fronti. Piuttosto, c da chiedersi come mai il Corriere della Sera, con tutto quello che ci sarebbe stato da pubblicare, le abbia dedicato una intera pagina del suo inserto: la reputa unoperazione culturale tanto forte?
LItalia organizza la Biennale e non sa per valorizzare le forze emergenti pi vere e forti. Si rinchiude nello sponsorizzato lotto cimiteriale Lonely Living e crede di farci fessi: gli italiani giovani ci sono e sono anche tanti! Si, ci sono e sono gi catapultati nel motto se ne parli anche male, purch se ne parli. Ovvio: avere in curriculum la partecipazione alla Biennale sicuramente prestigioso, dunque il gioco vale le candela.
Allora, caro Marco, credo che non basti pubblicare progetti di giovani architetti su Archit, farsi (e te ne dobbiamo tutti ringraziare) paladino della spinta al nuovo generazionale anche in merito alla critica. Non basta, sia ben inteso, non per colpe di Archit, ma perch una manifestazione come la Biennale occasione incredibilmente forte per mostrare internazionalmente che anche in Italia ci sono giovani architetti che credono nella loro poetica, che ne poi la loro forza.
Credo che un critico quale Pippo Ciorra debba gridare, incazzarsi, protestare. Ha risonanza, e questo lo investe di un dovere a cui non pu sottrarsi: denunciare apertamente la situazione, anche a costo di ripetersi mille volte.
Non next, ma the next of now, from the past. Questa la mia idea sulla Biennale di Sudjic per quanto concerne la scelta degli architetti italiani. Di tutto un po, tanto per non scontentare nessuno: da Gregotti a Fuksas, da Bellini a Piva. Nessuna presa di posizione netta e critica. Oganizza una mostra internazionale in Italia, in cui appoggia l'architettura contemporanea mondiale...ma trascura proprio quella italiana:che Sudjic abbia ben capito come gestire il sottile equilibrio tipicamente italiano di pensare ma non dire quel che pensocos, per quieto vivere?
Non so, ma credo che sia andata proprio cos. Purtroppo per una scelta che peser nei prossimi anni se i critici di architettura non riusciranno o non vorranno sbilanciarsi e schierarsi apertamente, a costo di rovinarsi lumore per il resto della giornata, cosa che Ciorra ha deciso di evitare.
Con piacere, oltre che nella sezione "commenti agli articoli", pubblichiamo di seguito la risposta di Marco Brizzi, direttore di Arch'it
Caro Paolo
anzitutto, per criteri di obiettivit, permettimi di ridimensionare gli onori e gli oneri tributati alla struttura di ARCH'IT.
Quanto ai pungoli che hai usato per sollecitare maggiore incisivit da parte mia e dei miei ospiti, ti sono grato. Abbiamo punti di vista vicini sul tema in questione. Tuttavia, come ti accennavo a voce in quella splendida sera veneziana, ARCH'IT ha scelto gi da qualche mese di non affrontare direttamente il caso della Mostra di architettura della Biennale di quest'anno.
La ragione di questa scelta non sta certo in una forma di valorizzazione del silenzio (eventualit peraltro mirabile), quanto nella presa di coscienza che i problemi che si sono evidenziati in occasione dell'ultima Biennale erano, nella loro complessit, troppo grandi per noi. O comunque troppo articolati per essere affrontati con una semplice invettiva, oppure con azioni-tampone operate a margine, dagli esiti incerti se non addirittura controproducenti.
Animati da queste ragioni abbiamo preferito avviare su ARCH'IT qualcosa che tendesse non tanto a discutere le debolezze o le devianze di questa mostra, quanto a riflettere ad ampio raggio sulle condizioni di una trasformazione di maggiore portata -tale ci sembra quella attuale- all'interno della quale individuare e indagare problemi che hanno a che fare con le esposizioni d'architettura.
Un fare pi analitico, se vuoi, ma forse pi adatto a comprendere le ragioni di un sistema, quale quello espresso dalla mostra, che difficilmente pu essere colto e affrontato attraverso delle forme di protesta diretta.
Sono sicuro di farti piacere, comunque, nell'annunciarti che altri interventi si succederanno sulle pagine di ARCH'IT nel tentativo di spiegare ed eventualmente mostrare alcune delle contraddizioni emerse anche in quest'ultima anomala e per molti insoddisfacente esposizione veneziana.
Marco Brizzi
(Paolo G.L. Ferrara
- 9/9/2002)
Per condividere l'articolo:
Altri articoli di Paolo G.L. Ferrara | Invia un commento all'articolo |
Stampa: "L'Italia e i soliti italiani. Anche Sudjic s'adegua..pdf" |
Commento 182 di Marco Brizzi del 10/09/2002
caro Paolo
anzitutto, per criteri di obiettivit, permettimi di ridimensionare gli onori e gli oneri tributati alla struttura di ARCH'IT.
Quanto ai pungoli che hai usato per sollecitare maggiore incisivit da parte mia e dei miei ospiti, ti sono grato. Abbiamo punti di vista vicini sul tema in questione. Tuttavia, come ti accennavo a voce in quella splendida sera veneziana, ARCH'IT ha scelto gi da qualche mese di non affrontare direttamente il caso della Mostra di architettura della Biennale di quest'anno.
La ragione di questa scelta non sta certo in una forma di valorizzazione del silenzio (eventualit peraltro mirabile), quanto nella presa di coscienza che i problemi che si sono evidenziati in occasione dell'ultima Biennale erano, nella loro complessit, troppo grandi per noi. O comunque troppo articolati per essere affrontati con una semplice invettiva, oppure con azioni-tampone operate a margine, dagli esiti incerti se non addirittura controproducenti.
Animati da queste ragioni abbiamo preferito avviare su ARCH'IT qualcosa che tendesse non tanto a discutere le debolezze o le devianze di questa mostra, quanto a riflettere ad ampio raggio sulle condizioni di una trasformazione di maggiore portata -tale ci sembra quella attuale- all'interno della quale individuare e indagare problemi che hanno a che fare con le esposizioni d'architettura.
Un fare pi analitico, se vuoi, ma forse pi adatto a comprendere le ragioni di un sistema, quale quello espresso dalla mostra, che difficilmente pu essere colto e affrontato attraverso delle forme di protesta diretta.
Sono sicuro di farti piacere, comunque, nell'annunciarti che altri interventi si succederanno sulle pagine di ARCH'IT nel tentativo di mostrare ed eventualmente spiegare alcune delle contraddizioni emerse anche in quest'ultima anomala e per molti insoddisfacente esposizione veneziana.
Marco Brizzi
Tutti i commenti di Marco Brizzi
10/9/2002 - PaoloG.L.Ferrara risponde a Marco Brizzi
Chiarissima la tua risposta, in linea con lo "stile Arch'it" che, non a caso la rivista on line per eccellenza (nessun buonismo:lo ripeto perch lo penso realmente; del resto, non credo mi si possa accusare di non dire quel che penso...).
Tirare di fioretto sicuramente pi elegante ( e forse un p pi sadico nel colpire l'avversario...lentamente) che non la sciabola, soprattutto se si hanno "atleti" di pregio.
Dichiarare apertamente il mio dissenso sicuramente una sciabolata, ma non data a caso. Una forma di protesta diretta che serve a non lasciare sopire le reazioni negative su alcuni aspetti fondamentali della questione.
Sar felice e curioso di leggere quanto avete programmato. Grazie.
[Torna su]
[Torna alla PrimaPagina]