E' il dubbio che rode l'uomo. Incontro con Dante Benini.
di Paolo G.L. Ferrara
- 6/7/2001
Ad Antithesi ci siamo chiesti spesso che tipo di
linea editoriale avrebbe seguito "L'Architettura cronache e storia"
dopo la morte di Zevi.
Rivista che, indubbiamente, si basava sul prestigio del suo fondatore/direttore.
Rivista non molto diffusa tra i giovani architetti e snobbata da molti
affermati architetti.
Scorrendo i nomi del comitato di redazione, trovo quello di Dante Benini.
Non nego di esserne rimasto perplesso, avendo sempre guardato con sospetto
alle sue architetture.
Sospetto che si potesse trattare del tipico esempio di trasformismo, al
passo con le mode cui, molto spesso, ridotta l'architettura.
Riduzione spregevole, senza la minima base culturale, degna solo degli
ambiziosi.
Dante Benini trasformista? Me lo sono chiesto spesso, soprattutto prendendo
conoscenza di due suoi progetti, distanti negli anni: dal centro Eurocetus
(Olanda- 1987), alla Cf Gomma (Italia- 2000).
Due progetti, due approcci diametralmente opposti, due possibili spiegazioni:
o Benini tra i migliori scopiazzatori sulla piazza, oppure siamo
di fronte ad un caso di revisione/innovazione ( si badi, non "evoluzione")
che nasconde in s forti motivazioni, legate alla continua ricerca
e sperimentazione.
L'Eurocetus compatto, scatolare, e chiara la volont
di caratterizzarlo tramite la grande galleria voltata a botte, in vetro.
Elemento di richiamo archetipo, connotativo della facciata principale,
soprattutto in virt del fatto che la facciata non presenta alcuna
apertura nella massa muraria che la compone. Esiste una facciata principale,
dunque esclusa a priori la volont di disarticolare lo
spazio.
Dodici anni pi tardi, con il progetto Cf Gomma, Benini inclina
muri, destruttura forme regolari, contorce strutture metalliche, elimina
il punto di vista privilegiato (facciata principale).
Kahn, Botta, Coop Himmel(b)lau, Hadid, Eisenman presi a prestito o studiati
attivamente per arrivare a trovarne una - se pur flebile- unit
d'intenti?
In quest'ultimo caso, Benini assumerebbe un ruolo critico fondamentale,
incarnando una specie di trait d'union tra Eisenman, Hadid, Coop
Immel(b)lau e ci che, con le loro teorie ed i loro progetti, contestavano.
Senza ipocrisie, ho deciso di chiederglielo direttamente. Un incontro
breve quello dell' 8 giugno, un primo contatto in cui ci si piglia le
misure.
Mi parla di Scarpa, Niemeyer , Gehry, Meier. Di Wright, flebo sempre infilzata
nelle sue vene.
Del suo rapporto con Zevi geloso. Lo cita poche volte, ma ne
traspare una stima vera.
So di non essere persona diplomatica, ma ci ha il vantaggio di
escludere la malafede: gli chiedo immediatamente di questo suo cambiamento
negli anni. Non sono da Lui per dirgli "quanto sei bravo!" o
"che "ufficio fantastico hai!".
Sono da Lui per capire quanto i miei dubbi siano giustificati, soprattutto
se visti in rapporto alla considerazione che di Lui ne aveva Zevi.
I dubbi li avevo espressi anche ad Antonino Saggio, autore dell'articolo
sull'edificio della fabbrica Cf Gomma - su L'architettura n520- .
La sua risposta fu gentile ma - come sempre- schietta : " in
quel progetto che ho recensito, dal mio punto di vista c' una
grande capacit costruttiva, una grande capacit di risolvere
nel concreto i problemi e alcune buone idee spaziali".
Idee spaziali, per l'appunto, dunque architettura quale spazialit.
Benini, della spazialit, ne aveva dato la propria idea gi
negli anni '80 : " Voglio pensare gli spazi e descriverli, non disegnare
i vuoti".
Personalmente, ho sempre creduto nell'architettura in cui lo spazio viene
inverato proprio attraverso i vuoti e, per tale motivo, non comprendevo
il senso dell'affermazione di Benini. I vuoti sono parte integrante dell'architettura,
poich lavorano in assoluta sinergia per dare vita alla spazialit,
soprattutto se intesa dinamicamente. Percepiamo il dinamismo dei vuoti
molto pi che non dei pieni. Il vuoto inteso accademicamente non
altro che lo spazio lasciato libero dalle distanze tra i muri
pensati e progettati assoggettandoli alle funzioni: spazio non pensato,
ma delimitato scatolarmente.
Il vuoto anti classico , invece, reso "visibile", quasi
percettibile sensorialmente con il tatto, oltre che con la vista. E' il
vuoto stesso dell'architettura che, di essa, ne marca il dinamismo, l'anti
scatolarit.
Benini mi parla di Scarpa, suo primo maestro. Scarpa, per me, l'autodidatta
capace di rendere un insieme di particolari l'essenza della sua architettura,
dell'architettura quale dilatazione spaziale. Scarpa, il non-architetto
per cui - come egli stesso diceva- "lo spazio l'illusione
che se ne d".
Ecco il primo fondamentale punto da verificare con Benini: il suo rapporto
con Scarpa e i concetti di spazio architettonico. Da qui in poi, Niemeyer,
Kahn, Gehry. Quattro grandi interpreti dello spazio architettonico, con
influenze -e loro elaborazioni - diverse, tutte indiscutibilmente affascinanti.
Partiremo da qui quando ci vedremo la prossima volta. Per adesso, credo
di potere dire che sono stato a discutere con un architetto preparato,
che ha costruito molto e che stato schietto: " tra tanti
progetti, pu benissimo capitare che qualcuno lo si sbagli".
E chi preparato e consapevole degli errori, solitamente, non
scopiazza. Chi vuole intendere, intenda.
Benini ha superato i cinquanta anni d'et e fa parte di quella
generazione di architetti italiani che, stretta da tra quella dei giovani
emergenti -e scalpitanti a cavallo delle loro idee sulla contemporaneit-
e tra quella dei santoni ultra settantenni - la maggior parte, forse tutti,
ancorati ad un passato che tale - viene quasi dimenticata, non
considerata.
A loro si dedicano articoli sui lavori costruiti, ma sono raramente chiamati
a confrontarsi su come interpretano il cambiamento che l'architettura,
in relazione a quello sociale, sta vivendo.
Ero molto curioso di conoscere Dante Benini, soprattutto per verificare
i miei dubbi. Adesso, dopo averlo conosciuto, sono ancora pi curioso
e non pi per togliermi dei dubbi, bens per avere delle
certezze.
Quali? Non le immagino, perch le vorrei scoprire con lui, parlando
direttamente davanti alle architetture costruite. E' inutile sottolineare
che questo non vuole essere un articolo n elogiativo n,
tantomeno, dispregiativo. E' solo un modo di interrogarsi, per capire.
Intanto, non posso fare altro che registrare l'editoriale in breve scritto
da Benini su "L'architettura" n . Un attacco duro, deciso,
schietto contro l'istituzione Triennale di Milano, incitamento a fare
qualcosa che ravvivi realmente il dibattito ed i temi dell'arte e dell'architettura.
Ottimo.
Ne prendo atto e ne faccio la premessa per un rapporto vivo, chiaro e
-perch no- contraddittorio, con Antithesi.
In fondo, credo che Antonino Saggio avesse ragione nel dirmi che "riguardo
all'eredit di Zevi bello potere pensare di poterla in
qualche modo sostenere". E si riferiva proprio a Dante Benini.
Certo, sostenere l'eredit di Zevi compito arduo, poich
non si tratta di ripeterne i punti che ne hanno costituito tutta la sua
visione dell'architettura.
Se veramente vogliamo sostenerla, dobbiamo renderla contemporanea. Gli
zeviani tutti, Benini ed Antithesi compresi.
Per adesso, grazie a Benini, che mi ha ricevuto ed ascoltato. Come faceva
Zevi con chiunque.
(Paolo G.L. Ferrara
- 6/7/2001)
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Commento 126 di fabio del 12/05/2002
A mio avviso un p pesantuccia questa critica ..... conoscendo personalmente l'architetto DI FAMA MONDIALE Dante Benini disapprovo totalmente quanto scritto in questo articolo malfamante.
13.maggio.2002 -Paolo G.L.Ferrara risponde: Prima di tutto: Fabio chi? pregasi dichiarare anche il cognome. Poi: leggere meglio e informarsi sull'etimologia del termine "malfamante". In ultimo: controcriticare attraverso la lettura delle opere citate.
Tutti i commenti di fabio
Commento 733 di Gianfanco Pilu del 03/05/2004
Purtroppo leggo solo ora la "polemica" fra Ferrara e Benini riguardo Eurocetus. Onestamente non ho capito la "critica" se non fine a se stessa.
Ho costruito Eurocetus, e forse pecco di " affeto " per qui 550 mila mattoni stilati a vista, per quello che Dante chiama il Totem, che io vedevo come una faccia di diamante, per lo sky dome, che in Olanda dove il sole non c' come in Italia, e che si protende leggero verso il cielo, per quella scala in sferro granito, che io chiamavo la scala di di Wanda Osiris, per ilgiardino interno, o la facciata che dalla mensa interna si affaccia all'ingresso con un giardino giaponese e un rivolo d' acqua.
Oggi quell' opera sommersa da scatole quadre di ferro, cemento e vetro, che io giudico un 'oscenit .
Eurocetus non una fabbrica, un grand Hotel di lusso, non un Hotel un centro di ricerca a misura d' uomo, non neanche un centro di ricerca, un grande centro commerciale, ma non neache quello, un posto dove la gente vive e lavora bene, dove ci si sente a prorpio agio, non una scatola anonima e grigia, un luogo piacevole dove la gente passa il proprio tempo a lavorare senza l'oppressione del lavoro.
L' ho costruito, lo conosco, conosco la gente che ancora oggi ci lavora ed felice di lavorare in quel posto.
Spazi e vuoti ??? Benini che " tradisce " il primo Benini ??? non so, credo abbia fatto un ottimo lavoro.
Credo che l' architetto abbia assolto alla sua funzione, rendere un posto di lavoro piacevole.
Non riuscirei ad immaginarmi un edificio diverso, in Olanda, ad Amsterdm, vicino al AMC .
Mi chiedo e mi interrogo piuttosto chi abbia autorizzato quella bruttura di corpo aggiuntivo, che il magazzino, sul lato destro .
Mi chiedo chi siano gli architetti che hanno disegnato quelle "scatole di cartone" fatte di vetro che oggi cercano di nascondere e oscurare Eurocetus.
Non so se chi ha epresso le critiche ha visto e toccato Eurocetus, dalla critica non rilevo valore aggiunto, un pizzico di polemica senza senso.
Giusto per fare polemica ???
saluti
gfrancopilu
Tutti i commenti di Gianfanco Pilu
3/5/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Gianfanco Pilu
Carissimo Pilu, il problema non esiste. La mia critica non si addentrava nello specifico dell'Eurocetus ma lo relazionava al linguaggio di Dante Benini, ai modi bruschi con cui è passato da una netta prevalenza all'ispirazione tipica degli anni '70 '80, tendente a riprendere i linguaggi di Botta e di tutti gli altri razionalisti accademici, alla sua totale negazione attraverso l'uso di elementi compositivamente distorti, decostruiti se vuole. Il discorso si basa sui significati spaziali e sulla loro applicazione concettuale nell'architettura, che Benini per me non ha.
cordialità
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