Sulla linguistica architettonica
di Lina Bo Bardi - Zevi
- 28/10/2002
Lina Bo Bardi. Il testo tratto integralmente da L'architettura, cronache e storia, n226, dell'agosto 1974.
Il dibattito sul linguaggio moderno in architettura cos importante
che sembra riportare ai tempi eroici della lotta senza quartiere tra rinnovamento
e accademia. Ma pu anche portare ad una nuova catarsi classicistica.
Al Goethe emozionato davanti alla cattedrale "non finita da uno solo"
di Strasburgo, al Goethe pacificato davanti a quella di Colonia.
A un nuovo Sturm und Drang, a una nuova polemica romantica, a un nuovo Racine
et Shakespeare (Stendhal) : le vieil-homme: continuons, le jeune-homme: examinons
(da un punto di vista letterario, non da quello della pratica scientifica).
Lo pseudo-problema il vero pericolo oggi, in tutti i campi. Il problema
un altro. Non ha importanza che l'architettura sia "moderna"
o no, importante che sia valida. In quanto alla realt, occorre
stabilire ben chiaramente e senza equivoci rispetto a quale realt essa
debba collocarsi. "Dove" collocarsi quando "...fuori delle strutture
quali che esse siano". Quale il prezzo dell'infangarsi nello squallore
e nel Kitsch, nella consapevolezza che le favelas, slums e bidonvilles hanno
scambi comunitari superiori a quelli dei quartieri pianificati.
L'architettura moderna, non-classica, ha per base proprio la non-invariante
(anche se l'assunto dell'invariante pretesto volutamente provocatorio),
perch proprio le invarianti costituirono la base del classicismo. Inventare
in ogni istante conforme la realt, al di fuori delle invarianti, potrebbe
essere l'uscita definitiva dal classicismo tenendone coraggiosamente ferme le
conquiste umane.
Un atto eversivo di azzeramento culturale (invarianti a parte) non pu
prescindere da materiali basici preesistenti. Gettare a mare in nome del moderno
per il moderno inutile. Una nuova, anche nuovissima, architettura avr
bisogno per essere realizzata di vecchio mattone-legno-ferro-cemento-plastica
(in senso figurato chiaro). Niente nasce dal niente. L'azzeramento
culturale vero non sar certo realizzato, impossibile, con la
tabula rasa delle strutture tradizionali da un momento all'altro ( chiaro
che non parlo di "materiali"). Gli spiriti autenticamente creativi
non hanno mai azzerato, hanno violentemente rivoluzionato, e rivoluzione
violenta eversione del positivo esistente + il futuro.
L'elenco e l'assemblaggio sono basici nel moderno linguaggio espressivo ma non
prescindono da spazi-dentro-uno-spazio che pu essere anche bloccato.
Arnold Schonberg aveva gi potentemente influenzato Einsenstein, e l'elenco
in architettura potrebbe corrispondere al "montaggio" cinematografico.
Stazione Ljora
Il fiume Neva
Anno 1917
Scuola Allievi ufficiali del Genio
Il campo
Esercizio
I pontoni
Calore
Aria pura
Riva sabbiosa del fiume
Formicaio di giovani appena chiamati alle armi
Ma l'opera di Einsenstein "Corazzata Potemkin" un capolavoro
di elenco (montaggio) riunito in un blocco solo, in uno spazio chiuso perfettamente
captabile e definito, un grande monumento sociale abnonimo senza eroi individuali.
L'invariante del linguaggio moderno consiste nei perch solo quando si
limita al linguaggio della pseudo-libert individuale. La libert
collettiva non pu prescindere dal come.
Le Corbusier non ha in Ronchamp riazzerato i suoi principi. Ha avuto per un
istante paura. La chiesa di Ronchamp vicino alle precedenti rivoluzionarie creazioni
un ripiegamento mediterraneo alla Ponti e alla Rudofsky.
L'elenco non pu dire "no" alla mitizzazione della geometria.
La geometria e la non-geometria fanno parte della vita.
L'omosessualismo (quello maschile, com' chiaramente indicato, simbolo
d'inferiorit virile in linguaggio comune, la donna, per condizione sociale,
non arriva mai ad essere veramente omosessuale equivalente al dongiovannismo
a buon mercato) potrebbe essere, in una societ meno legata a schemi
di inveterato gesuitismo, oggetto di profonda riflessione. Rifiuto di tutto
un ciarpame secolare di femminilit prostituita, orrore dell'amore di
una sporca "ruse". Non solo essere oggetto, come auspicava Rimbaud,
di rivalutazione dell'amore (rifiuto della menzogna e uguaglianza dei sessi),
ma certo di una non diminuita dignit umana. Dignit oggi accresciuta
dalla sovrumana carica esistenziale necessaria all'omosessuale per affrontare
una societ che lo deride e lo disprezza.
In che la simmetria se omosessualismo da deridere? L'Italia
non ha avuto l'Illuminismo. Rousseau che vede due cani applicare la "venere
canina" (Vico) in mezzo alla strada e non tocca donna per mesi (Confessioni),
sublime. Non dico che rifarsi alla natura sia applicare la venere canina
all'architettura. Ma in fondo lo . E dato che si applica all'architettura
un'interpretazione freudiana dell'omosessualismo, anche questa interpretazione
valida.
Tutto il popolo secondo Dorfles schizofrenico? Se chiedi ad un contadino
di piantare alberi (o al giardiniere aiuole) e non gli dici come li vuoi, li
pianta simmetrici, bene in fila. La donna di casa mette le sedie bene in simmetria
intorno al tavolo, tutti gli oggetti bene in ordine simmetrico nella vetrina
e sui mobili. L'idiosincrasia per la simmetria non popolare, come non
lo sono nel popolo le aspirazioni alle pseudo-libert intellettuali che
non sono la vera libert.
Chi ha soldi pu non avere paura dell'avvenire ma chi sa che qualche
cosa di tremendo l'aspetta da un momento all'altro si augura la sicurezza, se
simmetria vuol dire paura del futuro e sicurezza.
I giovani dalla "faccia chiusa" hanno capito chi ha paura. Erano cos
molti studenti della distrutta Une (Uniao Nacional Studiantes) nel '63, quelli
dell'alfabetizacao in massa nel Nordeste brasiliano e delle Ligas Camponesas.
Molti sono morti, esiliati, o stanno in galera. Pu darsi che ci sia
veramente un legame profondo tra sicurezza e simmetria, ma allora la discussione
esce dall'architettura e diventa tragica politica. La storia non maestra
e non insegna niente, e solo sequenza di ben determinate strutture.
Importantissimi sono l'esame, la comprensione e la vigilanza. Il resto non vale.
Occorre disfare gli equivoci derivati dalla falsa libert e gli equivoci
derivati dalle arti plastiche come l'integrazione di un Kitsch non ben definito
(il Kitsch nacque da una ben chiara situazione di sottocultura borghese, il
popolo non mai Kitsch).
Gli incidenti di costruzione in evidenza, i ripensamenti in opera, gli errori
corretti o no, infine l'antiperfezionismo in una realizzazione architettonica
sono invece validi. Occorre definire bene e separare gli aneliti di libert
da Sturm und Drang, i problemi a dimensione unilaterale dai veri problemi inseriti
in un contesto sociale politicamente valido.
Tutta una posizione protetta e privilegiata da ben determinate condizioni sociali,
che sono quelle dell'architetto e non dell'operaio. L'architettura e la libert
architettonica sono soprattutto problema sociale da vedersi dal di dentro di
una struttura politica e non dal di fuori.
Il problema non quello d'interpretare l'architettura conforme un linguaggio
moderno o meno, creare un'architettura gestuale o no, creare liberi vuoti che
permettano di creare volta a volta gli spazi necessari, il problema non
di anticipare nuove forme e contenuti astratti, il problema non cambiare
l'architettura come mai successo fino ad oggi. Ci sar
possibile solamente in nuove strutture sociali, dove l'architettura nascer
fuori dagli schemi a priori delle passate civilt. Un'architettura collettiva,
atto culturale diverso dal deposito violento della cultura degli uni negli altri
come arrogante individualismo. Sar a costo di tutti noi "les meneurs"
dei cui schemi anche le prime societ socialiste hanno ricevuto l'eredit.
Avere una chiara coscienza di questa situazione non vuol dire rinunciare oggi.
Vuol dire appena che necessario preparare gli strumenti per affrontare
una situazione nuova che nessuno, neppure i grandi maestri del passato, hanno
affrontato. D'altra parte, non si possono oggi rinnegare in blocco tutte le
grandi conquiste del razionalismo, anche se furono un'esperienza della socialdemocrazia.
Frank Lloyd Wright appartiene "a prima", affascinante come
un vaso di Gall fiorito del senso profondo della natura su un cielo
di crepuscolo. Le sue pagine sull'isola sussultante (il Giappone), sulla verit
dei materiali, su tutta un'umanit di cui si auspicava il ritorno nel
discernimento creatore della poesia, sono indimenticabili. Ma oggi sono superate.
Per contingenza storica. E'inutile piangere sulla contingenza storica. Occorre
rimediare e risolvere. Addio a Wright. Comincia il cammino nel deserto dei gadgets,
forse nemmeno in questo. Importante ricominciare col bagaglio da salvare.
Wright, si dice, non ha avuto un seguito. Non che non sia stato capito,
che non poteva averlo, perch la storia si violentemente
volta alla collettivit, e Wright era l'individualismo (anche se collettivo,
nel rispetto altrui) civile.
Dal punto di vista strettamente architettonico la libert spaziale, la
forma apparentemente libera, pu essere in un certo senso pericolosa,
perch offre un solo tipo di libert: quella progettata, limitando
la creativit spaziale umana. Il Pantheon limitato oggi, nel
suo tempo non lo era: era uno spazio aperto ad infinite possibilit umane,
anche se limitato geometricamente.
D'accordo sulla schiavit riga-e-squadra. Bisogner ridurle nel
futuro a pure "limitazioni" come lo sono d'altra parte qualunque strumento
e la scienza stessa. Ma bisogna stare attenti, in linguaggio comune, a non tornare
a Sacconi che modellava l'architettura in creta ascoltando musica erudita (raccontatomi
da Piacentini).
Dove le critiche ad una forma (riga e squadra) che si riempie con la violenza
di contenuti hanno un'importanza veramente sovvertitrice e rivoluzionaria
nel campo della scuola. Scuole di architettura pleonastiche, che non aprono
orizzonti ma li chiudono, legate a schemi superati, odio giurato ad ogni scintilla
di elettricit vitale, mausoleo di "idee", di caste e gerarchi.
Ma forse, qui come altrove, per abolire l'arroganza del deposito culturale e
sostituirla con lo "scambio" occorre riformare le strutture, cambiare
tutto il paesaggio. Questo non vuol dire che oggi bisogna rinunciare e aspettare,
vuol dire appenna che si pu cominciare a creare nella scuola la coscienza
collettiva dell'architettura, il non-individualismo arrogante. Come gi
succede nella pianificazione urbanistica.
Alcune osservazioni marginali. L'entusiasmo per l'edificio di Passarelli a Roma
mi lascia perplessa. Questo edificio certamente riuscito per caso,
senza strutture culturali, un incidente stimolante in una citt
come Roma, di acque stagnanti. Niente di pi. Trovo anche che non si
deve citare Barzini. Ma forse manco da troppo tempo dall'Italia e do troppa
importanza a un mondo che fino a ieri era il rat della cultura, quello
abbasso dell'equatore, che oggi minaccia di situarsi per aderenza storica al
disopra, facendo cambiare di longitudine a quello che fino a ieri era il detentore
della cultura, o perlomeno indurlo a pensare.
Queste mie note sono in fondo una nota politica. Sto preparando un intervento
per il congresso dell'associazione brasiliana di Industrial Design, che sono
invitata a inaugurare. Il discorso sar questo: niente si pu
fare, non si pu validamente operare fuori di una ben determinata struttura
politica. Una struttura politica che non prescinda da una base di giustizia
sociale. Altrimenti, il disegno industriale diventa styling a servizio di ben
determinate organizzazioni, l'architettura altrettanto (l'architettura "in
s" non esiste), diventa esercitazione gratuita. E' chiaro che questo
discorso al limite, ci sono le vie di mezzo. Ma sono sempre vie di
eccessivo compromesso che "compromettono" i risultati. La prassi operativa
dipende essenzialmente da una struttura politica. Se questo non ancora
successo, la colpa delle eredit preesistenti che si sono infiltrate
nelle nuove strutture. Questo ci che si dovr evitare
nel futuro. Il resto verr con il libero esame. E' chiaro che occorre
preparare il cammino. E, in questo, "il linguaggio moderno dell'architettura"
non solo importante, ma insostituibile (anche se a priori pu
sembrare che prescinda da alcune premesse). In fondo, dal '45 io so che non
prescinde.
Bruno Zevi sulle considerazioni di Lina Bo Bardi
Questo articolo-lettera ne un'ulteriore conferma. Con Lina Bo Bardi
non si ha mai voglia di polemizzare. Tale la sua foga, la generosa
irruenza, l'inquieta ricerca di una realt vera, scarnificata. Specie
da quando vive in Brasile, non tollera pi le acrobazie intellettuali
europee, soprattutto italiane. Le sembrano schemi difensivi, imbrogli rispetto
a se stessi e agli altri. Quando torna a Milano e a Roma sempre impaziente,
vorrebbe graffiare patine e incrostazioni per vedere se, dietro, c'
ancora qualcosa di autentico. Discutere con Lina? a quale fine? Possiamo essere
in pieno disaccordo con quanto dice, e tuttavia manca lo stimolo: perch
non la si vorrebbe diversa da quello che . Anche ai tempi del dibattito
su Brasilia, ci fu scontro con lei. Noi rilevavamo gli aspetti anacronistici
e l'impianto "ottocentesco"della nuova capitale (L'a n51 e 104).
Lei rintuzzava con violenza (L'a n109), evidenziando quanto c'era "dietro
la facciata" o quanto credeva e s'illudeva che ci fosse. Non replicammo,
le demmo ragione: non perch ne fossimo convinti, ma perch il
suo entusiasmo era pi forte delle verit.
Invece di una fotografia di Lina Bo, pubblichiamo una delle sue vignette intitolate,
appunto, "dietro la facciata". Ne prepar una serie nel 1944
per il settimanale 'A' che fu il solo tentativo di traslare l'impeto della Resistenza
nei problemi dell'habitat. Un settimanale di cui uscirono pochissimi numeri,
e che tuttavia resta, agli atti, un documento significativo.
Ci premesso, riconosciamo che questa rubrica sulla linguistica impone
alcuni chiarimenti. Rileggiamo dunque il testo di Lina Bo, annotandolo:
1. "Non ha importanza che l'architettura sia moderna o no, importante
che sia valida". Chi pu dare torto ad un'affermazione del genere?
Ma va osservato che un'architettura non-moderna non pu essere valida,
in quanto falsa, tarata da a priori classicisti. Del resto, nel prosieguo,
placato lo sfogo, Lina riconosce che "non si possono oggi rinnegare in
blocco tutte le grandi conquiste del razionalismo". Allora, tanto vale
codificarle, smantellandone i residui accademici.
2. "Le favelas, slums e bidonvilles hanno scambi comunitari superiori a
quelli dei quartieri pianificati". E' ben noto, ma non basta constatarlo
a posteriori. Occorre che l'incontro con il Kitsch sia inerente al linguaggio
architettonico.
3. "L'architettura moderna, non-classica, ha per base proprio la non-invariante".
Senza dubbio. Infatti, le sette invarianti sono sette "no", o sette
"perch?" alle regole grammaticali e sintattiche.
4. "Niente nasce dal niente...rivoluzione violenta eversione del
positivo esistente + futuro". Noi diciamo anche di pi, perch
tutto il passato valido, dalla preistoria a Borromini , come il positivo
esistente, anticlassico.
5. "La libert collettiva non pu prescindere dal come".
Da qui l'urgenza di formulare invarianti liberatrici, nate da un processo di
azzeramento, ma non concluse in esso. per passare dall'individualismo ad una
comunicazione collettiva, il mezzo il linguaggio.
6. "In che la simmetria se omosessualismo da deridere?...Se
chiedi ad un contadino di piantare alberi...li pianta simmetrici". Anzitutto,
"la sovrumana carica esistenziale necessaria all'omosessuale"
anacronistica; oggi occorre un'umana carica per non esserlo. Poi, il contadino
e la donna di casa che dispongono alberi e cose in simmetria non devono commuoverci.
Dobbiamo convincerli che sbagliano nel tentativo di raggiungere la sicurezza
con uno strumento tipico del potere. Otterranno sicurezza quando sapranno rifiutare
i simboli e i tab. Inoltre, le case rurali, fatte dai contadini, non
sono affatto simmetriche. I dialetti non sono simmetrici, n grammaticati.
7. "Occorre definire bene e separare gli aneliti di libert da Sturm
und Drang". Per questo, serve un linguaggio. Schonberg ha codificato la
dissonanza. Da quel momento si passati dall'atonalismo espressionista,
denso di atteggiamenti tardo-romantici, ad un nuovo linguaggio musicale.
8. "Il problema di cambiare l'architettura come mai successo
fino ad oggi...D'altra parte...". Cambiamo pure, ma smettiamola con questa
apocalittica attesa di cambiare, che ci conduce poi a lasciare tutto come sta,
o persino a tornare indietro. Sotto questo profilo, Lina ancora italiana:
vuole cambiare tutto in modo cos integrale e vago da fare nascere il
sospetto che non si cambi niente.
9. "Nuove strutture sociali, dove l'architettura nascer fuori dagli
schemi a priori delle passate civilt". Siamo nel mito, rispettabilissimo
ma scarsamente convincente. In primo luogo, perch gli schemi a priori
non appartengono alle civilt passate, ma alla codificazione cui il sistema
Beaux-Arts ha ridotto i loro linguaggi. Secondariamente, perch, come
Lina riconosce dopo, non "nascer" proprio nulla, se gli architetti
non ne preparano la nascita. L'esempio dell'Urss non va mai dimenticato. Inutile
dare la colpa alle "eredit pre-esistenti che si sono infiltrate
nelle nuove strutture": tautologico. Invece d'inginocchiarci davanti
al vitello d'oro delle "nuove strutture sociali", da cui dovrebbe
nascere un mondo paradisiaco, meglio persuaderci che queste nuove strutture
sono indispensabili ma non sufficienti. E che gli architetti, hic et nunc, hanno
una responsabilit cui non possono sottrarsi con l'alibi delle "nuove
strutture".
10. "La libert spaziale, la forma apparentemente libera, pu
essere in un certo senso pericolosa, perch offre un solo tipo di libert:
quella progettata, limitando la creativit spaziale umana". Come
possibile, se la libert umana nasce dall'elenco funzionale?
Le forme capricciosamente a mano libera potranno essere pericolose; ma, nel
quadro dei capricci, quelle rigide, classiciste, lo sono assai di pi.
11. "(raccontatomi da Piacentini)". Se "non si deve citare Barzini",
Piacentini va escluso da ogni citazione. Specie quando racconta un'idiozia.
Lo stile di Sacconi putrido, ma le sue sagome sono colte, studiatissime,
e non poteva modellarle in creta.
12. "Scuole di architettura...". Siamo d'accordo, un bel
fatto. Ma perch scaricarsi sulle scuole, e non sulla professione? I
problemi didattici sono identici a quelli progettuali: riguardano il linguaggio.
Ronchamp, Wright, il Pantheon: chiaro che la nostra valutazione
diversa. Ma perch? A noi non interessa se Le Corbusier "ha avuto
paura", se le pagine wrightiane "sono superate", se il Pantheon
"era (quando?) uno spazio aperto ad infinite possibilit umane".
Importa formulare un linguaggio comunicabile e popolare, che tutti possano usare,
anche i non-architetti. Evidentemente, poich "niente nasce dal
niente", e le "nuove strutture sociali" sono "infiltrate",
questo linguaggio non pu sorgere che dall'esperienza concreta del movimento
moderno.
(Lina Bo Bardi - Zevi - 28/10/2002)
Per condividere l'articolo:
Altri articoli di Lina Bo Bardi - Zevi | Invia un commento all'articolo |
Stampa: "Sulla linguistica architettonica.pdf" |
Commento 222 di Carlo Sarno del 11/05/2002
Lina Bo Bardi con il suo intervento se la prende con tutto e tutti. Sembra di sentire Manfredo Tafuri quando nel suo libro Progetto e Utopia dice:"...La riflessione sull'architettura, in quanto critica della ideologia concreta, 'realizzata' dall'architettura stessa, non pu che andare oltre, e raggiungere una dimensione specificamente politica...". Ma questa eccessiva ideologizzazione dell'architettura porta soltanto a un empirismo pratico che assoggetta la libert dell'individuo alla collettivit.
"...Importa formulare un linguaggio comunicabile e popolare, che tutti possano usare, anche i non-architetti. Evidentemente, poich "niente nasce dal niente", e le "nuove strutture sociali" sono "infiltrate", questo linguaggio non pu sorgere che dall'esperienza concreta del movimento moderno...". Con tale frase Bruno Zevi ribadisce la necessit di una riformulazione nuova, scientifica e radicale, dal basso, dell'architettura.
A tal proposito scrive Rolando Scarano nel suo libro Processi di generazione della configurazione architettonica, un libro fondamentale per comprendere il processo generativo organico dell'architettura in una prospettiva scientifica :"...i paradigmi ideologici tendono a trasformare le assunzioni in procedure empiriche di progettazione, che, pur essendo comunicabili, non costituiscono ancora veri e propri paradigmi scientifici...- e ancora continua Rolando Scarano - ...gli enunciati, le formulazioni ideologiche risultano reciprocamente inconfrontabili, per cui il loro confronto dialettico non comporta n un cambiamento n un progresso della conoscenza...". Ed proprio questo che Bruno Zevi vuole evitare con le sue invarianti, la stasi e il ristagno dell'architettura. Le invarianti zeviani stimolano alla crescita libera e scientifica dell'architettura guardando all'utile sociale senza cadere in un facile ideologismo.
Per Bruno Zevi ci che conta l'uomo e la sua libert !
Carlo Sarno
Tutti i commenti di Carlo Sarno
[Torna su]
[Torna alla PrimaPagina]