Sulla linguistica architettonica
di Giuseppe Samon - Zevi
- 12/7/2002
Giuseppe Samon. Testo tratto integralmente da L'architettura, cronache e storia, n224 del maggio 1974 |
I problemi discussi nel saggio "Il linguaggio moderno dell'architettura" hanno destato in me un interesse crescente, anche per la sconcertante originalit con cui sono presentati. Non si tratta di virtuosismi, ma di riproposizioni dirette a rifondare concetti e definire principi rigorosi che, malgrado la loro spregiudicatezza, si collegano in modo da formare un disegno di teoria dell'architettura moderna. Mi auguro che questa teoria venga stabilizzata attraverso altri apporti che ne completino gli aspetti bisognevoli di ulteriore approfondimento. Il tema linguistico cos impostato ha la lucida e penetrante finalit di una reificazione semplificatrice della gran massa di cose che si sono venute dicendo e scrivendo sull'arte, l'architettura e l'urbanistica. Si propone cio di sgomberare il terreno dalle argomentazioni a valanga che rendono complessa la trama strutturale, quella psicologica e, da ultimo, quella politicizzante degli anni recenti, liberando la critica storico-artistica da forme ormai abusate di speculazione filosofica. Tale realismo, sostenuto da numerosi esempi quasi sempre calzanti, riesce a dare sufficiente credibilit a molti problemi storico-critici fin qui resi difficili da abili quanto astratte procedure di una metodologia scientifica con la quale la critica di oggi si muove per vie tortuose, in punta di piedi. Qui c' la volont di combattere la moda di complicare i ragionamenti sull'architettura, spalancando finestre chiuse di stanze semibuie ed usando un approccio antiaccademico a cui la critica attuale non preparata. Alcuni lettori superficiali si fermano alle prime 68 pagine del saggio, cio alla parte sintetica e provocatoria che si condensa nella proposta di sette invarianti offerte come vademecum della progettazione architettonica. Fra questi lettori ci sono i detrattori e gli entusiasti, ma tutti ritengono che la conclusione consista nell'affermare sette eresie contro l'idolatria classicista; eresie quasi per tutti intollerabili simultaneamente, e da alcuni giudicate addirittura inapplicabili. Penso invece che la conclusione pi appropriata sia quella delle ultime pagine: "...Una teoria dell'architettura capace di incidere, come Donald Smith vuole, non pu essere una vecchia teoria; deve scaturire dalle angosce della nostra societ, darsi carico delle contraddizioni, e poi spiccare il salto 'correttivo'. Non meno ardentemente di Smith noi vogliamo una teoria dell'architettura storicizzata e flessibile. Ma occorre scavarla nei fatti". Si cerca dunque di scavare nei fatti le motivazioni di una teoria fondata sull'ipotesi che la rivoluzione architettonica possibile solo negando ed annientando ogni modello istituzionalizzato, cio spogliando la cultura di tutti gli strascichi di un classicismo durato secoli, di cui siamo ancora gli eredi. L'ipotesi coinvolge tutta l'architettura, non soltanto quella moderna. Con questa differenza per: mentre, dal Rinascimento in poi, l'architettura ha concentrato la sua rivoluzione anticlassica in alcune grandi figure come Michelangiolo e Borromini, oggi la situazione mutata. E' possibile fondare una teoria dell'architettura su una cultura storico-critica ben pi penetrante ed illuminata di quella del passato; una cultura che si pu avvantaggiare dei mezzi polivalenti delle attivit scientifiche di altri settori di ricerca, affiancando il lavoro operativo dei critici e dei compositori dell'architettura, fidando su una volont convergente in tutti per sceverare in senso realistico i motivi che contano nella situazione drammatica di lotta e di squilibrio della societ contemporanea. Si indica perci come ipotesi dimostrabile la necessit di reificare gli strumenti del design architettonico con quelli critici della storia, per trionfare della crisi dell'architettura generalizzando le idee anticlassiche e rivoluzionarie di alcuni geni del passato e dei creatori del movimento moderno. La rivoluzione personalizzata da Michelangiolo e Borromini diviene stimolo di una rivoluzione architettonica generale, capace oggi di coinvolgere architetti e destinatari, radicalizzando i principi anticlassici, anticonformisti dei grandi predecessori. Si insiste, in maniera molto originale, sui principi anticlassici per dimostrare che essi sono i soli capaci di corrispondere alle esigenze insediative del nostro tempo, i soli che possono determinare una grande rivoluzione culturale ed operativa per l'architettura di domani, facendola uscire finalmente dalla crisi. Una pagina ribadisce l'idea : "...Ebbene, se la moderna critica storica sa definire non solo le culture artistiche, ma lo stesso processo del fare artistico nelle sue pieghe formative pi sottili e individuate, l'alienazione sconfitta: siamo alle soglie di una reintegrazione architettonica, la storia pu diventare realmente la metodologia operativa dell'architettura. Ma quale storia?...Occorre che la disciplina esca dal suo guscio nobile e paludato, s'imerga nella realt del presente, sia estesa, approfondita, articolata in modo diverso". In queste poche righe c' un discorso molto chiaro di vera e propria fondazione, che trova puntuale riscontro negli studi di linguistica strutturale. Eliminando paludamenti accademici, bravure speculative, compiacimento ricercatorio astratto, fornendo indirizzi reificanti in contrapposizione alle tendenze critiche di moda, si evidenzia come la finalit anticlassica dello schizzo teorico sia dimostrabile in ogni area. Disegno teorico che si giustifica anche sul piano morale : "...L'obiettivo di fare la storia sidentifica, negli strumenti e nei metodi, con quello di fare l'architettura. Ma quale ne lo scopo di fondo, il movente segreto? Cosa c' dietro questa esplosiva tensione, questa volont di conferire una dignit nuova alla figura dell'architetto, e di fare dell'architettura e dell'urbanistica un'attivit non demiurgica, ma certo contestatrice e profetica?". La risposta abbastanza singolare ma, pi delle altre, s'impegna a rendere sempre pi dimostrabile e credibile l'ipotesi sostenuta : "... L'umana vicenda dell'architettura brulica di valenze non utilizzate, di ipotesi lasciate in sospeso, di moti liberatori esplosi e subito dopo soffocati...La critica, se non vuole ridursi alla passiva registrazione di ogni esperienza, se non vuole essere una critica conformista, che non sa mai dire di no e quindi dice di no solo di fronte alla cose serie, qui deve resistere e rilanciare...Anche oggi un grave pericolo soverchia l'architettura, ed l'inclinazione a disspiare il patrimonio conquistato da un secolo di movimento moderno".Questa idea degli sperperi, che la teoria mette a punto, fa pensare. Si legge, ad esempio : "...E' ormai possibile un'integrazione tra storia e design perch la storia dell'architettura si rinnovata, liberandosi dagli "stili" e dai criteri statici di valutazione...il Partenone diviene un monumento diverso se lo si esamina dal punto di vista moderno anzich nella prospettiva accademica". Quindi possibile non sprecare pi le valenze non utilizzate. Va poi rilevato l'intento di situarsi in una giusta posizione entro la problematica strutturale linguistica. A proposito dei concetti salienti di Umberto Eco sul codice linguistico, si dice : "...La tipologia offre codici di rispecchiamento, non di contestazione, che 'non stabiliscono possibilit governative, ma schemi fatti, non forme aperte onde parlare, ma forme sclerotizzate' atte a soddisfare le attese tradizionali...Che significa codice in architettura? Se riguarda elementi sintattici e semantici, generi tipologici, il ragionamento suona addirittura reazionario perch l'architetto, condannato a comerciare con il codice di base, con le forme e gli schemi tradizionali, non potrebbe mai determinare uno scatto negli eventi della storia". Pi avanti, discutendo delle tre scelte indicate da Eco come possibili per l'architetto in termini antropologici (1.assoluta integrit al sistema sociale vigente; 2. decisione impetuosa di obbligare la gente a vivere in modo diverso; 3. esecuzioni inusitate del codice di base), si controdeduce : "...Dei tre atteggiamenti elencati, il primo passivo e di rispecchiamento, adatto alla prosa edilizia; il terzo attribuibile alla letteratura architettonica nella sua accezione pi prudente, non all'arte, alla poesia. Quanto al secondo, esso non assurdo e impossibile: pi volte, nel cammino dei secoli, l'architetto lo ha adottato reificando ci che appariva un'astratta, eversiva, incomprensibile utopia. Le tappe fondamentali della vicenda architettonica sono segnate proprio da questi interventi, dai momenti in cui l'architetto si fatto artefice di storia. Attraverso quale codice? Tema insoluto, che esige un ulteriore approfondimento semiologico". Si pone dunque, ma solo come problema, la possibilit di strumentalizzare queste idee per l'architettura antiaccademica. Mi piace sottolineare un'altra pagina dell'analisi linguistica, perch di convincente originalit : "...Eco sfiora il problema dello spazio ma, riducendolo all'aspetto geometrico, finisce per giudicarlo scarsamente caratterizzante...Barthes, assai pi cauto, avverte che 'chi volesse abbozzare una semiotica della cit dovrebbe essere insieme semiologo, specialista dei segni, geografo, storico, urbanista, architetto e, probabilmente, anche psicanalista'...Una semiologia dell'architettura pu risultare soltanto da una ricerca interdisciplinare tra i vari specialisti dei segni...La riduzione dello spazio architettonico alla geometria piana o tridimensionale, euclidea o non euclidea, va nettamente rifiutata...Qualsiasi articolazione dello spazio architettonico: angolo, linea retta, curve, punto, quadrato, triangolo, ellissi, figure irregolari ambigue, rettangoli iscritti uno nell'altro, non ha alcuna validit, poich la geometria pu offrire un metodo di verifica, ma non spiegare il processo genetico di un'immagine...Pensare all'architettura in termini geometrici implica vederla staticamente, spazio dipinto e non vissuto; in pratica, ucciderla". Anche l'Istituto di Critica Operativa dell'Architettura dell'universit di Roma propone obiettivi il cui fulcro dovrebbe essere di colmare il divario tra saper vedere e saper fare l'architettura. Circa le sue finalit, si pecisa : "... Ci stiamo trastullando in virtuosismi filosofici o pseudo-tali, per vari aspetti utili ma paralizzanti. Non possiamo discettare all'infinito su codici, morfemi, funzioni prime e seconde, figure, piano dell'espressione e piano del contenuto, choremi, segni, denotazioni, connotazioni storiche ed estetiche, sememi. Il nostro compito non si esaurisce a questo stadio, anzi consiste nell'indagine concreta, sperimentale, del linguaggio architettonico. Dimentichiamo per un momento De Saussure, Hjelmslev, Barthes, Chomshy, Eco, Jakobson, Lvi-Strauss, Morris, Richards e Ogden...e identifichiamo gli elementi lessicali, i nodi grammaticali e le strutture sintattiche dell'architettura moderna. Metodo: quello storico, l'unico scientifico, l'unico che eviti ogni pericolo di cristallizzare il processo linguistico". Per concludere: l'ipotesi del disegno teorico di quello che dovrebbe essere il linguaggio antiaccademico e anticlassico dell'architettura moderna rivoluzionaria nei mezzi, non nelle finalit umane, in quanto sono sempre esistite posizioni anticlassiche, fin dai tempi della Grecia antica: dai Propilei di Atene alle architetture di Borromini, la lotta al classicismo stata la pressante necessit di rivivificare l'uomo come concreta presenza. Disegno aperto di teoria antiautoritaria, come dovrebbe essere oggi ogni teoria. Ricordiamo che, per Popper, la teoria un tentativo di risolvere un certo problema, mentre suscita altri problemi; molti di noi condividono questa tesi. L'ipotesi sull'anticlassico e l'antiaccademico solleva un problema di grandissima portata, visto come possibile soluzione della crisi architettonica attuale: L'interesse di questa ipotesi dimostrato dal grande numero di argomenti analizzati in senso storico-critico, ed ancor pi dall'importanza dei molti problemi che questa ipotesi teorica suscita. Un'ipotesi da discutere e magari da confutare, come deve avvenire per ogni teoria aperta, empirica ed anti-autoritaria.
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Bruno Zevi sulle considerazioni di Samon |
Con la generosit che gli propria, e l'eccezionale intelligenza per i fenomeni nuovi della cultura, Samon insiste sui moventi che hanno portato alla codificazione del linguaggio architettonico moderno, cio alle sette invarianti: elenco o inventario delle funzioni, dissonanze, tridimensionalit antiprospettica, scomposizione quadridimensionale, massimo coinvolgimento nel gioco strutturale, spazio temporalizzato e reintegrazione edificio-citt-territorio. Nessun consenso pu essere pi ambito di quello dell'uomo cui si deve il rinnovamento delle scuole di architettura italiane. A Giuseppe Samon interessano per, pi che i risultati linguistici, le analisi, i sondaggi, le ricerche, gli "argomenti" preparatori, l'itinerario e il processo attraverso cui si giunti ad ottenerli. Per noi invece vale soprattutto il codice, l'insieme delle sette invarianti che finalmente consente di parlare architettura in modo democratico, ciascuno al proprio livello creativo. Perci crediamo che il dibattito, dopo questa introduzione, vada riportato sul linguaggio e sulle applicazione pratiche, progettuali e critiche. L'esperienza vissuta da molti, a fianco di Giuseppe Samon, nell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia lo conferma. Nessuna facolt fu meglio e pi appassionatamente diretta, nessuna riusc a convogliare docenti pi competenti e dediti alla ricerca, nessuna cre un'atmosfera pi tesa d'iniziative e di ipotesi; la scuola di Samon, specie nel quindicennio dal1948 al '63, fu il partito d'azione dell'architettura. Eppure, la carenza di una codificazione linguistica precluse di attuare a pieno le potenzialit di quella fucina culturale. Samon era un p come Gropius: calamitava i migliori e li poneva a confronto. Ma, senza una lingua, non si pu dialogare fruttuosamente, n a Weimar e Dessau, n a Venezia. Le straordinarie capacit ricettive e trasmissive di Samon, assimilando e contaminando, cio laicizzando, le poetiche dei maestri del movimento moderno, da Wright a Le Corbusier, colmavano, per quanto possibile, la lacuna linguistica, diffondendo una "maniera" vivace e positiva tra un folto numero di allievi. Tuttavia, il manierismo, anche il pi qualificato, resta sempre "un discorso sul discorso", riservato ad un'lite; si veda in proposito l'editoriale di questo fascicolo [Riguarda i Five architects. "L'opzione: manierismo o linguaggio moderno]. Sicch a Venezia, malgrado i notevoli sforzi, la storia non divenne realmente metodologia operativa dell'architettura, e l'obiettivo di fare la storia non s'identific, negli strumenti e nei metodi, con quello di fare l'architettura. Per quale motivo? Lo si capito pi tardi: il passaggio storia-design non concretabile senza la mediazione linguistica. Dai testi dei maestri occorre tratte una lingua; questa si riverbera direttamente sui tavoli da disegno. Oggi possiamo compiere lo scatto: dalle poetiche al linguaggio, da una ricerca limitata a pochi ad una comunicazione fra tutti. Certo, molti architetti recalcitrano, non vogliono diventare adulti, preferiscono indugiare nell'infantilismo del binomio avanguardia-crisi o nelle sentenze evasive sulla morte dell'architettura. Ma le sette invarianto offrono lo strumento dirompente di un linguaggio popolare, in cui fondano i valori eteronimi e quelli disciplinari; nessuno potr farne a meno. Dopo la confusione, gli ideologismi, le fumosit apocalttiche degli anni sessanta, dopo l'azzeramento culturale ed esistenziale del '68, siamo giunti ad un traguardo: l'architttura moderna diviene matura; infatti, ci che distingue la preistoria dalla storia, come noto, la scrittura, un mezzo comuicativo sistematizzato. Siamo ancora in tempo. I rigurgiti accademici, verificatisi dopo la scomparsa di Wright e Le Corbusier, come dopo la morte di Michelangiolo e di Borromini, sono mrginali e sfiatati; ora hanno perduto anche l'alibi di Louis Kahn, falsamente interpretato. Possono quindi riprendere il cammino del movimento moderno, codificando l'eresia, l'anticonformismo, un costume di libert. La presenza di Giuseppe Samon nella battaglia per il linguaggio moderno dell'architettura attesta la sua perenne giovinezza intellettuale, ed sommamente importante e significativa per i pi giovani. Adesso dobbiamo concentrarci sui fatti operativi, per riorientare i metodi di progettazione e l'insegnamento dell'architettura. Diffondere, popolarizzare un linguaggio anticlassico chiaro, democratico, che riazzera ogni formalismo e perci non pu mai ricadere nell'accademia; un linguaggio idoneo alla comunicazione quotidiana come massimo atto creativo, e quindi capace di incidere sulle strutture . Questa la sfida. Bruno Zevi |
(Giuseppe Samon - Zevi - 12/7/2002)
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Commento 163 di Carlo Sarno del 14/07/2002
"La presenza di Giuseppe Samon nella battaglia per il linguaggio moderno dell'architettura attesta la sua perenne giovinezza intellettuale, ed sommamente importante e significativa per i pi giovani. Adesso dobbiamo concentrarci sui fatti operativi, per riorientare i metodi di progettazione e l'insegnamento dell'architettura. Diffondere, popolarizzare un linguaggio anticlassico chiaro, democratico, che riazzera ogni formalismo e perci non pu mai ricadere nell'accademia; un linguaggio idoneo alla comunicazione quotidiana come massimo atto creativo, e quindi capace di incidere sulle strutture . Questa la sfida."Bruno Zevi
Io credo che un punto di incontro tra Samon e Zevi avvenga sul piano della concezione della "STORIA COME METODOLOGIA OPERATIVA".
Giuseppe Samon , architetto di origine siciliana di venti anni pi grande di Zevi, nell'introduzione al suo libro "L'urbanistica e l'avvenire della citt" ad esempio dice chiaramente che per comprendere il pensiero urbanistico nella sua concretezza occorre comprenderne il suo svolgimento moderno, attraverso "...gli elementi formativi, i caratteri e i problemi fin dalle loro origini ottocentesche, facendoli scaturire dalle situazioni strutturali della societ e dell'ambiente che ne ha accolto e provocato lo sviluppo...".
Zevi nel libro "Linguaggio moderno dell'architettura" dice che :"... l'insegnamento dell'architettura va storicizzato perch il metodo storico il solo che consenta un riscontro scientifico e, prima ancora, una comunicazione di esperienze...".
Dove divergono Samon e Zevi, invece, proprio nel principio genetico del linguaggio moderno secondo Zevi, che comprende in s tutti gli altri : L'ELENCO COME METODOLOGIA PROGETTUALE.
Dice Zevi :"...L'elenco... nasce da un atto eversivo di AZZERAMENTO culturale che induce a rifiutare l'intero bagaglio delle norme e dei canoni tradizionali, a ricominciare da capo, come se nessun sistema linguistico fosse mai esistito, e dovessimo costruire, per la prima volta nella storia, una casa o una citt...".
Ecco quindi i due momenti della concezione teorica Zeviana: da una parte la storia come metodologia operativa, scientifica direi, che aiuta a leggere e comprendere il nuovo linguaggio dell' architettura , dall'altra parte abbiamo l'azzeramento culturale, il ricominciare da capo, l'unicum creativo e progettuale che origina un nuovo processo conoscitivo e generativo di un ignoto originale e innovativo.
Dall'azzeramento nasce un nuovo elenco 'risemantizzato' con nuove connessioni, una singolarit per dirla con la nuova fisica, un nuovo organismo architettonico rispondente ad un particolare locus, ad un particolare tempo e ad un particolare uomo , in maniera ottimale , senza forzature formalistiche.
Come dice Zevi:" ...gli spiriti autenticamente creativi hanno sempre azzerato...".
Carlo Sarno
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