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857
di Franco Porto
del 25/12/2004
relativo all'articolo
Eisenman Terragni
di
Antonino Saggio
Non sono stato a Como. Non ho un resoconto su quanto stato detto su Terragni. So quanto stato anticipatore Nino Saggio sul rapporto Terragni ed Eisenman e quanto ha indagato per indiviuare i significati di questa ricerca critica. Sono passati circa dieci anni in cui a Catania presentava il suo libro su Giuseppe Terragni e scriveva di Peter Eisenman. Devo ammettere che fu quel libro e quell'incontro a farmi capire perch amavo Terragni e mi sentivo automaticamente interessato al lavoro dei Five e di Eisenman in particolare. Fu quel libro a portarmi presto a Como e alla bellissima mostra alla Triennale di Milano, che rimane l'evento pi importante sull'architetto comasco. Vogliamo dirlo che le celebrazioni per tutto il 2004 sono state una grande delusione? Forse erano tante le aspettative, ma perch in Biennale non abbiamo visto nulla? Perch ancora quest'architetto pu essere solo presentato nel ristretto ambito della Fondazione di famiglia?
Non indispensabile sapere quando ha scritto Eisenman il suo libro su Terragni, ma importantissimo che l'abbia scritto e cos Nino Saggio. Per poter rileggere la storia dell'architettura contemporanea in Italia bisogna ripartire da Terragni e bisogna rinvigorire la ricerca sulla sua opera, riavviando un dibattito fermo, in Italia, al libro di Nino Saggio. Prima che Eisenman si occupi di Palladio lotti per realizzare qualcuno dei suoi progetti in Italia e ci dimostri che le opere di Como non sono state un pretesto in un itinerario nel 1961 molto particolare.
Penso che Terragni ha dato poco rispetto a quanto poteva, se fosse vissuto ancora dieci soli anni, cos come Edoardo Persico. Oltre Eisenman invitiamo Richard Meier, anche lui un inconsapevole amico di Terragni.
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856
di Leandro A. Janni
del 22/12/2004
relativo all'articolo
Poche idee e progetti parziali
di
Franco Porto
Sabato 11 dicembre, allincontro organizzato dal Comune di Piazza Armerina e dallIN-Arch sulla Villa romana del Casale, si scritto e rappresentato un ulteriore capitolo della controversa vicenda legata alla gestione, al restauro e alleventuale realizzazione di una nuova struttura museale, per il celebre complesso archeologico straordinariamente incastonato su un territorio di boschi e campagne della Sicilia centro-meridionale.
Alla luce di quanto accaduto in questi ultimi mesi, alla luce di quanto stato detto e contraddetto, possiamo senzaltro affermare che, se nellestate appena trascorsa l'assessore ai Beni culturali e ambientali Granata non si fosse inventato l'incarico di commissario per Sgarbi (tra l'altro, riconosciuto illegitimo), oggi sarebbero gi stati appaltati i lavori previsti dal progetto del Centro regionale del Restauro. Progetto che, oltretutto, assicura anche il restauro dei magnifici mosaici pavimentali della Villa. Un restauro, assolutamente indifferibile.
Come ormai noto, i progetti per la tutela e la valorizzazione del sito, selezionati e proposti dal commissario Sgarbi ed elaborati dallo studio Bellini-Trizzino e dallo studio Canali sono due: una grande cupola geodetica sullintero sito della Villa; un sistema modulare prefabbricato assai poco elaborato, a dire il vero che intende riscrivere lintervento originario di Franco Minissi. Il progetto dello studio Canali stato bocciato dalla Soprintendenza di Enna. Il progetto della mega cupola, ad altissimo impatto ambientale, non dialoga con il territorio circostante. Di fatto, quindi, non stata individuata alcuna soluzione valida e realizzabile.
Certo che sabato scorso, al teatro Garibaldi di Piazza Armerina, linsistito ricorso a spiegazioni, chiarificazioni e commenti, da parte di Sgarbi, su quanto avvenuto in questi mesi, apparso come il difficile, estremo tentativo di giustificarsi rispetto allevidente stato delle cose. In tale contesto, il concorso di progettazione voluto dal nuovo assessore ai Beni culturali e ambientali Pagano si configura come lunica soluzione alternativa allimmediata cantierizzazione del progetto elaborato dal Centro regionale del Restauro.
E allora, il persistente, ostinato gridare all'emergenza, da parte di chi, in qualche modo, responsabile di tale ritardo, ci fa sospettare che, ancora una volta si invochi l'emergenza proprio perch si intende forzare il quadro normativo che regola e garantisce i beni di pubblico interesse. Emergenza che, da quanto dichiarato di recente dallassessore Pagano, non esiste pi. Quantomeno, per le questioni economico-finanziarie.
Al di l di tutto nostra convinzione che, ancora meglio e prima del concorso di progettazione considerati anche i recenti, clamorosi rinvenimenti archeologici nei pressi della Villa sarebbe opportuno organizzare un convegno internazionale. Un convegno in cui analizzare e mettere a fuoco i molteplici, complessi aspetti ambientali, storici, geografici, linguistici, tecnologici legati alla conoscenza, alla tutela e alla valorizzazione di un sito, di un bene come la Villa del Casale. La sintesi delle proposte emerse dal convegno potrebbe costituire la base per lelaborazione di un preciso e determinato bando di progettazione.
Un'ultima cosa: la questione dello scontro tra l'assessore Alessandro Pagano e Vittorio Sgarbi, su chi avesse titolo ad assumere decisioni relative al monumento romano, stata presa in mano nei giorni scorsi dal presidente Cuffaro, e risolta con l'inserimento di un articolo nella Finanziaria regionale 2005. Attraverso tale articolo si autorizza la giunta regionale a nominare un Alto Commissario (Sgarbi), che abbia il compito di coordinare tutti gli interventi da attuare per la tutela e la valorizzazione del monumento provvedendo "a predisporre, promuovere e coordinare tutti gli interventi per la conservazione, la tutela e la valorizzazione della Villa Romana di Piazza Armerina". Soluzione dei problemi, o ulteriore complicarsi delle cose?
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855
di Luigi Moffa
del 19/12/2004
relativo all'articolo
Public Art e Architettura
di
Vilma Torselli
Larte da sempre privata nel senso che, potere civile o religioso a parte, suscita in persone diverse, diverse sensazioni. Mi riferisco ai gusti ed alle affinit che ognuno di noi nutre nei confronti di quella o quellaltra data opera. Perch larte in fondo altro non che un catalizzatore grazie al quale riusciamo ad elevare lanimo sino a vedere, quasi palpare, effusioni e sensazioni che nel quotidiano mondo delle tre dimensioni non sono nemmeno lontanamente concepibili.
Quel restare estasiati di fronte ad un opera e che sia di pittura, scultura, architettura o quantaltro ci viene spacciato oggi per arte, ma pur sempre con letichetta darte, non importa come una sorta di viaggio. Metafisico, ovviamente, e quindi senza tempo e senza spazio, senza una partenza e senza un arrivo, senza bagagli e senza compagni di viaggio. Una quarta dimensione in cui non esistono angoli di rotazione ne vettori direttori. In perfetta solitudine ci si addentra nei meandri dei propri piaceri, ci che locchio da solo non vede ma che la mente concepisce lo stesso. Una sola mente che si estranea, esclude tutto ci che fisicamente la circonda concentrando le energie unicamente su quel dato evento. Non credo che pi menti, tante stando a quante se ne augura la Torselli, compiono questo viaggio tutti stretti per mano. Non vi un treno che si ferma in stazioni che prestabilite a priori non possono essere. Non vi neanche una meta. Tutto funzione di variabili, fattori e circostanze diverse a seconda del singolo individuo.
A mio parere non pensabile di poter riqualificare territori degradati per mezzo dellattuale Public Art. Il risultato di tale atteggiamento visibile nelle migliaia di sculture senza senso che da un po di anni adornano le tanto attuali rotonde stradali. Spazi circolari racchiusi ed inutilizzabili che si crede di poter nobilitare inserendovi oggetti che lignoranza comune decanta come arte. Nello stesso tempo si da la caccia ai ragazzi che esprimono il loro essere in questo mondo ed il modo in cui lo avvertono, lo vivono, dipingendo con bombolette spray sui muri delle fatiscenti periferie.
Non si pu pensare alla Public Art come strumento di una moderna cultura della socializzazione. Oggi, ed in misura sempre maggiore con il passare del tempo, i nostri figli socializzano nel mondo virtuale di internet, in cui sentimenti virtuali si avvertono, drammaticamente, reali. Li dentro custodiscono corrispondenze quotidiane, amici ed amore. Stanno scomparendo i luoghi della socializzazione come in passato noi ci siamo abituati a viverli. In questo contesto la Public Art deve essere poca e di valore. Perch la confusione non fa altro che accentuare il disinteresse collettivo. E deve custodire una metafora, una storia da raccontare, un senso, cosi come hanno avuto un senso per tanti anni gli svettanti monumenti in ricordo dei caduti in guerra. Un numero esiguo in rapporto a quanti ne usufruivano. Un attestato di affetto che, nello stesso intento, accomunava comunit intere.
Se poi si vuole prescrivere la Public Art allobbligo di rapportarsi al contesto in modo da preservare la specificit, la storia, la memoria, il significato conferitogli dalla gente che lo frequenta si viene meno alla possibilit, che larte offre, di forte contaminazione tra culture diverse. Attualmente credo sia atteggiamento retrogrado relegare la Public Art al solo significato conferitogli dalla gente di un luogo. Mai come oggi tante culture cosi diverse tra loro sono entrate o stanno entrando in contatto. Ne viviamo gi una guerra: quella di religioni tra Oriente ed Occidente. A cambiare la stessa visione del mondo, e la Public Art, e larchitettura e tutto ci che si eleva nella sfera dellarte, devono darne giusta lettura.
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854
di Angelo Errico
del 18/12/2004
relativo all'articolo
Eisenman Terragni
di
Antonino Saggio
Sar anche interessante tutto questo dibattito su Peter Eisenman e la buonanima di Giuseppe Terragni, ma sembra sterile. Sicuramente non una questione di lana caprina n di vedute da tifoserie al bar dello sport.
Giuseppe Terragni ha avuto un sacco di sfortune in vita; se fosse nato appena 10 anni pi tardi, ritengo che oggi non saremmo qui a parlarle con presunzioni filosofiche.
Peter Eisenman quello che , come chiunque faccia il suo mestiere, e se spazio ne trova, per costruire e per pubblicare testi scritti, vuol dire (purtroppo, a mio modo di vedere) che c' chi lo tiene sul palmo di mano.
Grazie di esistere Peter. Non vorrei augurar sventure terraniane, ma almeno un lunghissimo vuoto di memoria, questo si. Non fa danni a nessuno, n a lui n a noi, e non c' alcuna cattiveria e perfidia nelle mie parole. Bont. A mio modo di vedere.
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18/12/2004 - la Redazione di antiTHeSi risponde a Angelo Errico
Caro Errico, per non essere sterile anche Lei, potrebbe spiegare meglio il perch considera che non sia un bene il fatto che Eisenman scriva e lavori, facendo e dicendo quello che dice e fa?
Detto un p pi terra terra: perch si augura un "lungo vuoto di memoria"? Le Sue critiche necessitano approfondimenti. Li attendiamo.
Grazie
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853
di Francesco Pietrella
del 18/12/2004
relativo all'articolo
Eisenman Terragni
di
Antonino Saggio
C'e' da dire
che un'architetto famoso decanti il famoso,
che il critico decanti il teorico,
che il teorico decanti lo stile,
che che il critico si accosta al periodo,
di eventi e tangenze,
se il mescolio e la contaminazione tra ruoli
sono un decantare,
credo sia anche utile
tentare e trascinarsi itinerare,
contaminarsi dai piu' settori diversi,
solo cosi' puoi dare vita e alito al proprio canto,
se c'e' da apparire al convegno di "nuova architettura"
esso e' per decantare..
non solo per focalizzare i soldi dei concorsi.
ora io non so' se il professore vale il teorico,
se e' un critico e l'altro architetto,
se uno si accosta e l'altro tira,
ma su questo decantare,
invito al prossimo convegno al c'e' da dire..
..c'e' da dire
tutto in girare
forse
meno convivenza
piu' convivialita'..
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852
di Fabrizio Di Mauro
del 17/12/2004
relativo all'articolo
Acqua al mio mulino
di
Silvio Carta
E' sorprendente come in tale articolo mi senta non soltanto emotivamente coinvolto, quanto piuttosto protagonista principale.
Iscritto ormai da 4 anni al corso di laurea specialistica in Ingegneria Edile-Architettura (Univ. di Ct), super motivato e pieno di speranza ancorch convinto che tal corso fosse il migliore, mi ritrovo adesso triste, deluso e scoraggiato dai docenti, il 95% dei quali presuntuosi, arroganti, non rispettosi dello studente, ma cosa peggiore ignoranti, che cercano di formare tanti piccoli speculatori e "palazzinari" , praticamente cloni di loro stessi.
L'unica cosa che mi tiene in vita cercare di guardare avanti e crescere, seguendo, come sostiene anche la collega e amica Giusy Pappalardo, percorsi individuali nella consapevolezza e nel rischio di un totale fallimento.
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851
di Lorenzo Marasso
del 16/12/2004
relativo all'articolo
Eisenman Terragni
di
Antonino Saggio
Vorrei rispondere sia al commento introduttivo della redazione di Antithesi allarticolo di Antonino Saggio su Peter Eisenman sia allintervento di Saggio stesso. Nella presentazione dell incontro di Eisenman su Terragni, tenutosi a Como il 12 Dicembre scorso, la redazione di Antithesi scrive che "...l'evento non entrer nella storia e non sar da ricordare. Non lo sar non solo perch abbiamo, per lo pi, ascoltato cose gi ascoltate o gi lette, ma soprattutto perch mancava Terragni. E del significato di questa assenza debitore proprio Eisenman".
E unaffermazione forte e provocatoria che per non sviluppa in termini critici che cosa mancasse esattamente di Terragni o perch si avuta la sensazione che Terragni mancasse. Perch Antithesi intende dire che Eisenman abbia parlato di tuttaltro fuorch di Terragni ? E che abbia parlato di cose gi ascoltate o gi lette. Ma soprattutto perch poi queste affermazioni non diventano loggetto di un intervento pi ampio firmato dalla stessa redazione? Io ero presente domenica scorsa a Como, e non mi aspettavo una conferenza storico-critica su Terragni, o un excursus sulle sue opere, bens una traduzione dellopera di Terragni-Eisenman. E qui mi collego a quanto Saggio afferma nel suo articolo, secondo cui Eisenman avrebbe scritto il libro su Terragni allepoca della sua House II del 1969. Se Eisenman aspetta pi di quarantanni per pubblicare il suo testo critico di maggior spessore, scrivendolo e riscrivendolo, e soprattutto se lo pubblica nel 2003, quando la sua progettualit e il tempo della House II sono ormai lontani, quale pu esserne il significato? Provo a dire la mia. Eisenman inventa Terragni e lo inventa come una sorta di doppio in cui riconoscersi, ma da cui allontanarsi allo stesso tempo. Ma quale parte di Terragni inventa Eisenman? La parte che meno conosciamo, quella che non riusciamo a vedere perch non scritta nel linguaggio architettonico pi conosciuto. E quella che, come architetti, non vediamo. Ad attirare Eisenman non tanto la configurazione spaziale di Terragni, cosa che applica e cita, come giustamente sostiene Saggio, nella sua House II, quanto pi luso di strutture linguistiche autoreferenziali. Se lopera di Terragni, Casa del Fascio in primis, ancora in bilico tra spazio e forma, lopera di Eisenman coniuga il Terragni formale, diagrammatico e linguistico e continua a farlo ancora oggi. Loggi di Eisenman, anche se lontano dalle Cardboard Houses, concettualmente la prosecuzione dell allora e di quel particolare Terragni. Il libro di Eisenman non un libro su Terragni, ma un libro di Eisenman attraverso Terragni. Chi legge il frontespizio del libro non capisce chi scriva o quale sia loggetto dello scrivere. Noi lo sappiamo che il tanto atteso libro di Eisenman su Terragni, ma solo perch lo sappiamo a priori non ci permette di leggere questa importante sottigliezza. Per questo, domenica scorsa, Eisenman non ha parlato di Terragni, e non ne ha parlato nei termini che Antithesi si aspettava. Ma se per Eisenman Terragni stato uno dei primi ad occuparsi della struttura linguistica dellarchitettura (Eisenman oggi comunque negherebbe questa affermazione), giusto che Eisenman legga questo e questo solo aspetto di Terragni. Le cose gi dette o lette di Eisenman derivano da Terragni, e Eisenman le dice e le scrive anche parlando di Palladio. Tra dieci anni, come ha detto Eisenman domenica scorsa, sar forse pronto il suo nuovo libro su Palladio, e di sicuro, dopo una ipotetica conferenza di presentazione del testo nella Villa Malcontenta o in altro edificio palladiano, ci si chieder perch abbia detto le stesse cose gi citate o lette anni prima, e negli stessi termini gi usati per Terragni. Eisenman ha scritto un unico libro, che il libro della sua vita e delle sue opere, e che continua a scrivere come teoria e come praxis. Il suo libro avrebbe forse dovuto scriverlo tra qualche anno ancora, in una sorta di summa o di opera omnia, mettendoci dentro sia Terragni, ma anche Palladio, Brunelleschi, Alberti, Rowe e Tafuri, tutti personaggi che compongono lEisenman attuale. Quindi il libro Terragni-Eisenman non stato scritto al tempo della House II o delle altre houses, ma in ancora oggi in fase di scrittura.
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16/12/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Lorenzo Marasso
Gentile Marasso, scriveremo di certo le nostre motivazioni all'affermazione fatta nell'introduzione all'articolo di Saggio.
Desideriamo prima che, come Lei ha ben fatto, ci siano interventi critici che scandaglino le affermazioni di Saggio. Per adesso solo una precisazione: non mi aspettavo di certo dissertazioni storico-critiche a proposito di Terragni; piuttosto, la messa in evidenza della sua assoluta attualità, e non solo nelle opere di Eisenman.
Cordialità
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849
di Vilma Torselli
del 05/12/2004
relativo all'articolo
La Cultura Morfologica nella progettualit archite
di
Mario Galvagni
Da una lunga intervista di Pietro Zullino a Bruno Zevi comparsa su una pagina del numero 15 (inverno 1998/99) della rivista on line Telema, oggi purtroppo soppressa: "......... Il computer ha portato la libert, la rivoluzione in casa nostra. Ha abbattuto le antiche costrizioni indotte dagli strumenti di lavoro tradizionali; ha spazzato via la grammatica e la sintassi dell'architettura classica ...... Il computer concede all'architetto di far di tutto e non gli impone niente: questa la cosa straordinaria. Ci libera da tutte le schiavit di rappresentazione dell'architettura che nascono dall'inizio del Quattrocento e finiscono... ieri sera........... La consapevolezza divenne generale nel 1988, con la mostra del decostruttivismo al Museo dell'arte moderna di New York. Accettata l'idea della decostruzione fu evidente che questa si poteva realizzare solo con il computer. ....".
Un bell'abbaglio, non c' che dire.
Scusate se oso, ma i miti ogni tanto vanno scossi, se non altro per far cadere la polvere, anche se si chiamano Bruno Zevi.
Tutti i commenti di Vilma Torselli
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848
di Carlo Sarno
del 04/12/2004
relativo all'articolo
Public Art e Architettura
di
Vilma Torselli
"...L'ideale di una architettura organica per una societ organica come generatrice di una nuova cultura , inevitabilmente, un fattore fondamentale per il mondo, in quanto effettivamente costruttivo...Se non sapremo volere una societ organica, non realizzeremo mai un'architettura organica...perch ogni architetto possa apprendere a esistere socialmente e a realizzare un'architettura organica noi dobbiamo inevitabilmente farci missionari...Sappiamo che il vero compito dell'architetto quello di interpretare la vita perch per la vita sono fatte le case, per viverci e viverci serenamente...non dobbiamo pi contentarci di essere spettatori della vita, ma dobbiamo approfondirla, dominarla, renderla organica...creare nuove forme di democrazia, e far s che questa non sia una societ invertita e generica, ma vita concreta, lavoro vivo dell'uomo...una societ che manchi di architettura organica non pu tenere il passo coi risultati della scienza, non pu utilizzarli, n mostrarli come usarli materialmente...Se la cultura in tutte le sue forme, e prima fra queste l'architettura, non muove dall'intimo di ognuno di noi e dal nostro pensiero credo che siamo alla fine della nostra grande civilt...quello che noi chiamiamo architettura organica non un semplice concetto estetico, n un culto n una moda, ma l'idea profonda di una nuova integrit della vita umana in cui arte e religione e scienza siano "uno". La Forma e la Funzione viste come Uno, questa la Democrazia...La democrazia un'espressione della dignit e del valore dell'individuo; questo ideale di democrazia essenzialmente il pensiero dell'uomo di Galilea, anch'egli umile architetto, di quegli architetti che allora si chiamavano carpentieri...ad una sincerit di vita, corrispnder una sincerit di forme e l'individualit sar intesa come nobile attributo di vita...". FRANK LLOYD WRIGHT (citazioni dai libri : Architettura Organica e Architettura e Democrazia).
Perch questa lunga citazione del pensiero di Wright?
E' molto semplice: pur auspicando una societ organica Wright non rinuncia al valore della persona , della creativit costruttiva individuale . Mi sembra che anche questo filone della Public Art si inserisca nei tentativi di omologazione e appiattimento della creativit umana , si opponga alla vera realizzazione di una societ organica . Si tenta di sostiture una "creativit collettiva" , astratta , impersonale (burocratica), ad una creativita organica integrata con la persona, la vita ed i suoi valori.
Concludo con una citazione di Bruno Zevi dal suo libro Verso un'Architettura Organica : "...l'architettura moderna ha alla base della sua ispirazione un fine sociale...l'uomo, nella variet della sua vita, nella pienezza della sua libert, nel suo progresso materiale, psicologico e spirituale il fine...il problema oggi, per tornare alle parole di Aalto, l'UMANIZZAZIONE DELL'ARCHITETTURA...".
Carlo Sarno
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4/12/2004 - Vilma Torselli risponde a Carlo Sarno
Egregio Carlo Sarno,
con tutta l’ammirazione e la gratitudine che gli architetti di oggi debbono nutrire per Wright, non va dimenticato che le sue parole ci giungono da quasi un secolo fa, un secolo denso di avvenimenti come pochi altri, squarciato da due guerre mondiali ed attraversato da movimenti culturali di travolgente contestazione, dopo il quale Wrigth sarebbe l’unico ad aver mantenuto intatto il valore ed il significato delle sue teorie nel senso letterale in cui lei le propone, senza contare che oggi la società (americana) alla quale erano rivolte non è più la stessa e non è detto che le condivida ancora.
Non si può trascurare il fatto che, allora, Wright non ha dovuto confrontarsi con un fenomeno dei nostri giorni, forse dannoso, ma ineludibile, che va sotto il nome di globalizzazione, che fa inevitabilmente rima con omologazione e che ha finito per annacquare e togliere incisività ad ogni atteggiamento individualista: una cultura capace di “creatività costruttiva individuale” deve essere anche fortemente identitaria e quindi, oggi, anacronistica.
Personalmente credo nell’esistenza di una creatività collettiva, il fatto che poi sia un singolo, più o meno geniale, a captarla e a strutturarla in linguaggio è un altro discorso: Wright, che si batte per una cultura americana libera, consapevole delle sue radici e delle sue potenzialità autonome, Jackson Pollock che scinde con la violenza gestuale dell’action painting ogni legame di subordinazione con l’arte europea, sono probabilmente interpreti o anticipatori di istanze epocali.
E credo anche nella potenza dell’azione corale di una collettività di umili e sconosciuti che, rinunciando ad ogni rivendicazione individualistica nel nome di quella creatività collettiva, contribuiscono con la loro opera anonima a scrivere la storia dell’architettura, altrimenti non avremmo avuto, per esempio, le cattedrali gotiche (l’idea non è mia, è di William Morris).
E non finisco di stupirmi di come la storia ci metta davanti a straordinari risultati che superano largamente la somma dei singoli apporti di tanti antindividualisti senza nome (anche in questo caso l’idea non è mia, si tratta della teoria della gestalt).
Attraverso queste mie personali credenze riesco ad individuare il fine sociale dell’architettura moderna.
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847
di Andrea Pacciani
del 30/11/2004
relativo all'articolo
Terragni: la tormentata bellezza dell'esprit nouve
di
Paolo G.L. Ferrara
La figura di Terragni emerge in un mondo che era disperatamente affamato di un utopico "mondo nuovo". Le sue idee perfettamente si adattavano al nuovo spirito industriale. Le Corbusier e gli altri pionieri modernisti erano felici di essere al servizio del fervore rivoluzionario dei tempi, e in questa contestualizzazione storica va visto.
Il Novocomum veniva progettato insieme alla sua versione con le facciate storicistiche, mentre ancora per strada si circolava con le carrozze con i cavalli, si vestiva con il cilindro e le ghette e le donne non avevano diritto al voto.......
Questa apologia del Terragni Michelangiolesco mi ricorda un po' il Le Corbusier che si beava di foto e di disegni del Partenone.
"Le Corbusier era un maestro nell'arte della propaganda e un pioniere nell'applicazione delle tecniche della persuasione visiva al fine di ottenere maggiori incassi pubblicitari per il suo giornale L'Esprit Nouveau. Egli ingannevolmente sosteneva di ispirarsi per il suo fondamentalismo geometrico (e perfino nell'estetica della macchina) alle costruzioni dell'Acropoli. Ci fu ottenuto attraverso un attenta e sagace selezione fotografica. I suoi agiografi amavano mostrare un Le Corbusier ritratto contro l'Acropoli, usando delle foto pubblicitarie che egli stesso aveva attentamente preparato. L'innaturale ed artificiosa appropriazione delle leggi dell'architettura classica per Le Corbusier una applicazione del vecchio trucco che consiste nell'inventarsi un rapporto fittizio verso quelle figure che trasmettono un messaggio di autorit, al fine di acquisirne credibilit......
Nelle parole di Le Corbusier: "La decorazione di un ordine sensoriale elementare, come il colore ed adatta alle razze semplici, ai contadini ed ai selvaggi" . Sembra non sapere che le costruzioni sull'Acropoli, che ha professato di ammirare cos tanto, originariamente erano dipinte con colori luminosi e contrastanti" .
Gli edifici pi vecchi continueranno ad essere un pericolo per le vuote asserzioni moderniste, finch le persone normali continueranno a percepire le emozioni che essi trasmettono.
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846
di Luigi Moffa
del 29/11/2004
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
Chiara Manzoni,
premetto che non ho davvero nulla contro di Lei, ne contro gli studenti che intasano la burocrazia lenta delle facolt di architettura italiane. Ognuno libero di gestire la propria vita, e di operare le scelte che sente nel momento che vive. Ma continuo a non condividere una sola parola di quanto Lei scrive.
Secondo Lei volont, ostinazione ed intelligenza possono bastare per raggiungere qualsiasi traguardo della vita. Cosi con volont, ostinazione ed intelligenza si pu diventare tanto un campione di calcio quanto un buon architetto. Non credo assolutamente in questa tesi. L'ostinazione di per se un atteggiamento che nasconde pi lati negativi che positivi. Guardare avanti con i paraocchi non la immerge in modo pieno ed esclusivo in ci che la circonda. La volont relativa anch'essa. Come si pu essere volenterosi al cospetto di un qualcosa che produce insofferenza? Il lavoro occupa gran parte del tempo della nostra vita. Tra le ore di riposo e le ore passate in ufficio si consumano i due terzi della nostra giornata. Quindi starei molto attento a parlare e addirittura consigliare ostinazione.
Il non aver nessuna tradizione artistica nell'albero genealogico della sua famiglia non una buona scusa per giustificare mancanza di talento. Il talento. Esattamente ci che la Cipriano e la Archer hanno travisato. Io non mi riferivo a persone super dotate di chiss quale ingengo come le uniche a poter parlare Architettura. Resto convinto che senza una minima dose di talento e predisposizione non si pu pretendere di mettersi sullo stesso piano di chi quelle doti le ha come dono di natura.
In quanto al bagaglio conoscitivo storico-culturale anche li ci sarebbe molto da discutere. Entro la fine del terzo anno lo studente doveva gia aver dato un certo numero di esami (mi riferisco al vecchio ordinamento). Oggi addirittura arriva la laurea alla fine del terzo anno di studi (nuovo ordinamento). E Lei dopo 3 anni lamentava la mancanza di bagaglio conoscitivo storico-culturale? Sono sicuro che nessuno abbia mai preteso da Lei "professionalit", ma posso capire quanto sia irritante il dialogo tra due persone che parlano la stessa lingua e che non si intendono. Nessuno deve insegnare a progettare, perch non vi alcun tipo di regola nella progettazione. Nulla di prestabilito, nulla di valido in assoluto, nulla di non valido in assoluto.
"l'Architettura non esclusiva di chi la vede come vocazione, se cos fosse.... ci sarebbero pochissimi architetti". Se cosi fosse ci che mi auguro.
Saluti Chiara Manzoni. Le auguro vivamente di prendersi le dovute soddisfazioni dopo anni di frustazioni. Ora possiede il titolo.
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845
di Francesco Pietrella
del 29/11/2004
relativo all'articolo
Chiudere l'appello a favore del museo ARA PACIS di
di
Giannino Cusano
il muro e' sempre una presenza che inquieta.
il muro su un tessuto storico e a roma inquieta.
un muro su un tessuto storico accademico su un tessuto di italietta di architetti inquieta.
un muro su un tessuto di commenti opinionismi inquieta.
un muro su un sovrastrutturamento linguistico di un lontanissimo architetto americano che disegna sulla citta' inquieta.
un muro su un tessuto sociale di persone comuni che passano in autobus inquieta.
un muro che separa il pittoresco centro citta'..che trasalisce da gerusalemme alle murate regioni palestinesi e nel petto del leader che muore e si seppellisce con 3 sudari fa' inquietare.
un muro se filtrasse bene se non impalli le chiese ...se e' attrezzato e la gente ci mette le mani per prendere cose e funzione non inquieta...un muro che sia pieno di vita e di speranze non inquieta, un muro che connetta e riattivi significati perduti e li renda utili attuali e' pieno di simbolismo di fascino di utilita'...e' pieno di fede nel futuro ..
un muro che non significhi murare ci rende felici...
magari "un po'" piu' calibrato meno da americanata..non pensate?
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844
di Andrea Pacciani
del 26/11/2004
relativo all'articolo
Terragni: la tormentata bellezza dell'esprit nouve
di
Paolo G.L. Ferrara
"Scardinato il codice della sovrapposizione degli ordini, Michelangelo rinnega la staticit della scatola disturbandone la forma".
Andiamoci piano! fra un po' il povero Michelagelo pu venir buono per fare anche il padre spirituale dei decostruttivisti.
L'ordine gigante al posto della sovrapposizione degli ordini non rinnega alcunch, semplicemente ne fa un'altra "Maniera", mantenendo le stesse gerarchie compositive Ionico-corinzia del canone classico della successione degli ordini.
"il messaggio nuovo a cui larchitetto aspira": purtroppo questa aspirazione che ha trasformato la presenza della forma primaria (della architettura) di Terragni in "presenza della firma primaria" (dell'architetto) con tutti i disastri conseguenti del modernismo. Che ci siano stati dei refusi di stampa nel proselitismo al movimento moderno?
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26/11/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Andrea Pacciani
Scusi Pacciani, perchè cita i decostruttivisti? Quando mai ho parlato di decostruttivismo? Ha letto gli altri miei articoli in merito? Non sono mai stato tenero con la catalogazione di architetti diversissimi quali quelli definitri "decostruttivisti". Il "disturbare la forma" di cui parlo non è quello di M. Wigley: è quello di Michelangelo e di Borromini, che significa esclusivamente lavorare non con forme ma con lo spazio architettonico. E poi, mi scusi, ancora con l'idiozia della "maniera" michelangiolesca? Michelangelo mantiene le gerarchie?! Ma dove?!... forse nella pittura?... o nella scultura?...o nell'architettura? "Spazio", Pacciani, "spazio", non ordini e gerarchie. Così come in Terragni.
Cordialità
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843
di Chiara Manzoni
del 25/11/2004
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
Rispondo al signor Moffa:
Solo ora ho letto i vostri commenti... vi devo svelare una cosa: quel pezzo stato scritto nel 2001, mentre stavo svolgendo il terzo anno universitario... oggi, cos come il mio modo di scrivere, sono cambiata.
In effetti se rileggo quelle parole... mi irrito un p... (esattamente come quando noi neo laureati ci riguardiamo i nostri vecchi progetti.. non riusciamo ad apprezzarli fino in fondo, perch li vediamo pieni di difetti) ma era davvero il mio pensiero allora... potete criticarmi finch volete, che scritto male, retorico e ingenuo... su questo non c' niente da dire.
Ma uno studente al secondo- terzo anno... di solito ragiona cos: non ha la maturit per potere acquisire un bagaglio conoscitivo storico-culturale per diventare una persona responsabile, sicura, e quindi un professionista. Ma a 19 anni si pu? No. E meno male....
Su una cosa signor Moffa ha ragione... evidentemente non era la mia facolt... troppi dubbi... ma l'Architettura non esclusiva di chi la vede come vocazione, se cos fosse.... ci sarebbero pochissimi architetti.
L'Architettura la sto capendo solo ora... e non perch ho dato 37 esami, ma perch mi sveglio tutte le mattine e ho capito che conosco meglio me stessa, e quindi per me risulta pi facile apprezzare e capire le cose che faccio. Rogers diceva... " una vera felicit avere per mestiere la propria passione".
A quell'et, nel famoso periodo di crisi, avevo ben altre passioni: il calcio, la poesia, il cinema, gli amici... la musica... di tutto meno proprio quello che studiavo: l'architettura.
Oggi da architetto posso guardare con sorriso al passato... riconosco che le fatiche e i momenti difficili aiutano a capire meglio la vita.... un percorso senza difficolt non realistico... un p come la differenza, come dice Francesco De Gregori, tra bufalo e locomotiva... la locomotiva ha la strada bella tracciata, dritta.. senza momenti di sbandamento.. il bufalo, invece, cade spesso... e ogni volta si deve rialzare per ritrovare la propria strada.... fare l'architetto fatica vera... cercare di diventarlo ancora di pi. Io mi sentivo come un calciatore senza doti particolari che si ritrova a competere con talenti naturali come Zidane e Cassano... ci sono campioni che nascono sapendo gi tutto, un solo modo esiste per diventare un giocatore importante: con la volont e l'ostinazione, ma anche con l'intelligenza. Ho passato momenti molto duri perch non avevo doti naturali... non ho genitori architetti, non ho alle spalle una tradizione di una famiglia artista... e oltretutto non mi piaceva nemmeno disegnare... mi ha salvato l'amore per la scrittura e la mia curiosit.... ma questa un'altra storia.
Consiglio a tutti gli studenti di faticare e di lavorare finch possono, pi tempo dedichiamo a noi stessi meglio staremo quando inevitabilmente entreremo in contatto con gli altri.
Saluti.
Chiara
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842
di Silvio Carta
del 21/11/2004
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
Mi preme solo di fare un distinguo. La bravura, meglio, la sensibilit di un progettista, che poi quella che gli permette di interpretare relazioni, cosa ben diversa dallessere uno studente dotato. Lo studente meritevole, di solito, un personaggio che si distingue nella classe per la sua propensione allo studio, uno che bravo a studiare, per intenderci ( il famoso compagno delle elementari che riusciva a ripetere la tabellina del 9 con pi facilit di noi..). Non necessariamente consequenziale che poi a furia di leggere e ripetere le frasi che tanto piacciono ai professori si impari veramente a progettare. Per cortesia, non si confondano i laureati in studiologia con specializzazione in esamologia con quelli veri. Io ne conosco tanti, di quelli finti, e pochi di quelli veri. La logica e latteggiamento critico sono sempre stati nemici del cosi sha da fare. Il filosofo, alla fine, resta solo. Derossi e Garoffi, per chi conosce la storia.
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840
di Irma Cipriano
del 20/11/2004
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
Non posso far altro che associarmi a quello che ha scritto Isabel Archer, a cui plaudo. Ho trovato estremamente irritante il discorso di Moffa sull'universit, sull'incapacit del 90% di coloro che la frequentano e sul del tutto presunto e infondato superomismo della docenza.
Gentile Luigi, io che -come Lei - l'universit la frequento da qualche anno, posso contare sulle dita di appena una mano i professori o gli assistenti che mi hanno lasciato qualcosa e che erano veramente preparati e capaci di trasmettere. E, sinceramente, penso sia una pessima media se contiamo che ho dato fin ora 27 esami.
Tre docenti su 27 inclusi assistenti vari..umm..cosa Le dice? Che l'universit scoppia di salute e che la schiacciante maggioranza di chi vi lavora sono, nella migliore delle ipotesi, persone capaci di fare il loro mestiere? Non credo. Per non parlare dei perversi meccanismi burocratici e del modo in cui imbrogliano nel vero senso della parola lo studente. Ora, credo e pretendo che, con quello che pago, l'universit mi dia qualcosa, altrimenti me ne stavo a casa mia e se proprio volevo fare l'architetto mi aprivo uno studio e buona sera. Ma credo che neanche la mente pi contorta possa arrivare a prendere per buona questa soluzione. Lei reputer pure la massa studentesca una mole di cretini patentati, ma il metodo che usa, se permette, abbastanza arbitrario. Le assicuro che ho visto gente che, per essere buona, non sapeva n leggere n scrivere laurearsi, e gente sicuramente pi in gamba ristagnare se non abbandonare del tutto gli studi da poter scrivere un trattato. Ma non per incapacit, ma perch nauseati letteralmente dal puzzo dei metodi dell'ateneo, da insegnanti incapaci e da corsi inutili e mortificanti. Se c' chi si tappa perennemente il naso e va avanti senza farsi mai mezza domanda, non vedo perch, chi l'anima da subalterno non ce l'ha, debba ritirarsi e lasciare il campo a chi ha tre strati di pelo sullo stomaco e butta gi qualsiasi schifezza.
Affermare che chi si sente in crisi nelle attuali facolt di architettura poco pi di un pirla, sintomo di arroganza e di presunzione delle pi bieche. Chi non si pone le domande " Ma cosa mi stanno insegnando? " ," E' logico quello che mi IMPONE di fare il docente? " e non cerca di verificare che molto spesso quello che ci dicono non logico e ha molte falle e non si accorge che la maggior parte dei discorsi e degli insegnamenti che ti fanno ogni giorno molto spesso non ha n senso ne basi culturali, probabilmente o troppo intelligente e superiore, oppure di domanda dovrebbe farsene veramente una sola: " Ho abbastanza spirito critico e personalit per non accettare come misera sbobba da caserma tutto quello che mi propinano qua dentro?"
Bella domanda che per chi si reputa un genio "a prescindere" e loda come luce divina dall'alto tutto quello che gli dice qualcuno basta stia dietro ad una cattreda, non si fa e non si far mai.
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841
di Emanuele Piccardo
del 20/11/2004
relativo all'articolo
Triennale senza coraggio
di
Paolo G.L. Ferrara
Caro Ferrara,
leggo con piacere una presa di posizione a favore di Luca Molinari. Personalmente non posso che condividere il tuo risentimento nei confronti dell'istituzione, devo darti atto che sei stato l'unico finora, pubblicamente, a prendere posizione. Tutti gli "amici" di Molinari (Boeri, Ciorra, Metrogramma, 5+1, Cliostraat, Francesco Jodice, Armin Linke....) che hanno avuto benefici dal suo insediamento in Triennale non hanno scritto una sola frase in suo favore. Mi ci metto anch'io, ma almeno ho avuto il buon senso di telefonare a Molinari per testimoniare la solidariet mia e di Archphoto. Uso questa sede per esprimere il mio disappunto nella gestione politica della Triennale da parte del governo nazionale e regionale. Nel nostro paese non riusciremo MAI a vedere persone valide per merito a dirigere le istituzioni culturali. Se non si appartiene alla corrente politica maggioritaria nel paese, destra o sinistra , indipendentemente dalla qualit del progetto culturale, i curatori come Molinari vengono fatti fuori. Non ho nulla contro Fulvio Irace, ma resto scettico sul metodo con cui stato designato, unicamente politico. Molinari ha avuto il merito di riportare la gente comune alla Triennale e di questi tempi non poco. Spero solo che domani la Triennale non ci proponga solamente mostre sull'architettura moderna allontanando nuovamente l'architettura dalla societ. Grazie per l'attenzione.
Emanuele Piccardo
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20/11/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Emanuele Piccardo
Caro Emanuele, ti ringrazio. Luca Molinari lo conosco diciamo "di sfuggita", ma ne conosco però le capacità. Comunque sia, può darsi che non sia stato un male non farsi stritolare dai compromessi politici. Molinari ha molto da dire. E lo dirà attraverso il lavoro.
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839
di Isabel Archer
del 19/11/2004
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
Benvenuti nella nazi-universit di Luigi Moffa, sono benvenuti solo gli studenti superdotati, voi, plebaglia spuria, non contaminate (per carit) il sacro lavoro di questi pochi eletti. Ma s, mettiamoci un marchio su quelli che danno scarsi risultati, ma s, fin dalle elementari, cos sono bollati per sempre. Terragni? Un povero deficiente. Ma che motivo avr poi mai avuto per essere insofferente allinsegnamento accademico del politecnico mumble rumble Leonardo Da Vinci? Uhm ah s quel pazzo che voleva inventare una macchina per volare, era pure dislessico, certo, come Einstein, Picasso, Michelangelo, John Fitzgerald Kennedy, Mozart, Giulio Verne ecc.
La ricerca pura roba per sognatori, gente che non ha i piedi per terra. Al massimo potremmo racimolare qualche soldino in pi per incrementare la ricerca applicata.
Peccato che nel mondo del superarchitetto (lItaliacaspita che onore), che tutto vede e tutto capisce, i fondi spesi per la ricerca siano superiori in Europa solo alla Spagna, che in ogni caso dimostra un incremento in questo senso molto promettente, similmente a molti paesi che in Europa ci sono appena entrati o ci devono ancora entrare. Ma da dove escono allora tutti questi professori cos brillanti? Magia.
Oh, ma un onore che i nostri grandi ingegni vengano reclutati nel mondo intero, chiss perch, per, in Italia non ci viene quasi nessuno a studiare e a lavorare, questo non le dice niente gentile Luigi Moffa? Ma vuoi vedere che bisogna modificare i metodi di reclutamento dei docenti?
Ah, non sa cos il fenomeno del localismo nei processi concorsuali universitari, strano, se ne parla da un po si vede che lei di maghi che da un cilindro estraggono conigli, colombe, e mazzi di fiori ne sa pi degli studenti stessi.
Il sovraffollamento costituisce un problema, eh s, ma principalmente per gli studenti stessi (subdotati, normodotati e superdotati): ne cadono a centinaia nei primi anni di universit, sconfitti dalle condizioni mortificanti in cui sono costretti a seguire le lezioni, scrivendo gli appunti in piedi, ammassati gli uni su gli altri, mentre il professore ha la sua bolla daria assicurata ed invita amenamente ad andare fino a casa sua allo scopo di fare le revisioni in tutta tranquillit, non importa quanti chilometri si debbano fare e quanta benzina occorra. Chi completa un corso di architettura ne esce pi tosto di un marine, questi s che sono vantaggi, vuoi mettere? Chiss se lo studente dotato ce li ha gli attributi per combattere questa guerra, magari sar scappato anche lui insieme agli sciagurati che non avevano niente di meglio da fare e soldi da buttare.
Sa, signor Moffa, mentre dico queste cose mi passa la voglia di essere ironica. Il numero di universit in Italia rapportato alla popolazione veramente esiguo, controlli. Ma non la scarsa quantit, in fondo, la madre di tutti i mali, piuttosto la deprimente qualit dei sostegni morali e materiali destinati alla didattica. Quello che avviene in America molto differente e non paragonabile alla realt italiana, mi viene da ridere solo al pensiero delle teaching universities e research universities trapiantate in Italia, ma dove ci avviamo?
Il fenomeno delluniversit di massa, poi, qualcosa di inarrestabile, in Italia e allestero, se lei ritiene di essere in grado di bloccare la storia, faccia pure. Io, come lei, non auspico una scuola dlite privatizzata (che, come dice anche lei, sarebbe alla fine privilegio di una ristretta cerchia di benestanti) e non lauspico in nessun altro senso: ciascuno pu dare a modo suo un interessante contributo allarchitettura e mettere limiti alla provvidenza non mi sembra una buona strategia.
In quanto alluniversit a numero chiuso, rischia di diventare, in un ambiente ormai usurato come quello della formazione, unarma a doppio taglio.
Insomma signor Moffa, diciamola tutta, luniversit italiana gi una scuola dlite, lo sicuramente nellabitudine estesa di dispensare vantaggi settari ai docenti e agli studenti privilegiati.
Io per fortuna luniversit lho conclusa da un pezzo, ma oltre alla facolt in cui mi sono laureata, ho avuto modo di conoscere la realt di molte altre facolt italiane di architettura. Naturalmente non il guadagno (almeno non diretto) che la maggior parte dei docenti universitari rincorre propinando i propri libri (e libri di professori affettuosamente connessi), si tratta di prestigio, visibilit, scambio di favori, intrecci professionali paralleli alluniversit, carriera ecc. Solo una ristretta cerchia di professori onesti, realmente validi (qualcuno, per opera della sorte, pu venire fuori anche dal cilindro dei raccomandati) desidera comunicare i propri studi, le proprie ricerche (serie) ed integrarle ad una lettura critica che coinvolga gli studenti stessi in maniera attiva. Ma non mi sembra di dire assolutamente niente di nuovo.
In quanto a discernere tra ci che posticcio
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838
di Giannino Cusano
del 19/11/2004
relativo all'articolo
Chiudere l'appello a favore del museo ARA PACIS di
di
Giannino Cusano
Caro Fausto,
il mio amico di vecchia data, Cesare De Sessa, con l'espressione 'cadaveri eccellenti' si riferiva ai progetti non realizzati o monchi.
Che Meier abbia disconosciuto il nascituro, a mio parere, non deve significare che si pu tormentarne e mutilarne a piacere il feto: si abbia, invece, il coraggio di farlo come andava fatto e di richiamare Meier al suo (ingrato) compito.
Possibile che, in Italia, per far male, energie e soldi si trovino sempre?
Ciao
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836
di Luigi Moffa
del 18/11/2004
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
Non volevo colpevolizzare nessun studente che durante il percorso degli studi incappa in periodi di crisi pi o meno giustificati. Ho scritto di una societ che vive di mode a breve scadenza e di un'Architettura che non ha opposto, perch inerme, nessuna contro misura che limitasse l'affluenza di soggetti pi o meno dotati. Certo, esistono ancora i test di ammissione ed un numero limitato di immatricolazioni annue. Ma anche questo tipo di sistema lascia alcune perplessit. Ma non di questo che volevo parlare.
Nell'era dei continui tagli all'istruzione pubblica temo un collasso della stessa o quanto meno uno sfoltimento di menti che per interessi economici preferiranno l'istruzione privata. Se cosi fosse (un qualcosa di molto simile avviene gi da tempo in America), ci sar un'istruzione privata di alta qualit perch laddove entrano in gioco cifre ingenti di denaro (frequentare quel tipo di universit diverrebbe molto oneroso) il servizio offerto deve assicurare docenti di qualit. L'attrazione dei docenti risulta maggiore se si pensa al prestigio professionale che deriva dall'insegnamento in una scuola con un "buon nome". E ci sar un'istruzione pubblica frequentata dai meno facoltosi, economicamente, e da docenti che per proprie capacit non possono aspirare a quella privata. La storia ci ha insegnato che civilt passate molto sviluppate come la nostra subirono un declino che and di pari passo con il crescere della distinzione tra ricchi e poveri.
Ma fortunatamente siamo ancora lontani da questo tipo di scenario. Certo che l'attuale sistema universitario italiano, ed in particolare le facolt di Architettura, vivono quotidianamente problemi di sovraffollamento. Cosi facile trovarsi a dover frequentare un corso di progettazione con pi di cento iscritti. Quanto gestibile tutto ci? Ore ed ore di estenuanti attese per poter fare dieci minuti, nel migliore dei casi, una revisione su di un lavoro settimanale. Liste di attesa interminabili per poter sostenere un esame. E tutta una serie di altri problemi che conosciamo. Credo che in tutto ci non sia giusto mettere sullo stesso piano studenti dotati rispetto a studenti che vedono l'Architettura come una magia. Della magia conosco streghe e fatture, maghi e cilindri. Non siamo maghi che da un cilindro estraggono conigli, colombe, e mazzi di fiori, estasiando bambini affascinati dall'ignoto. L'Architettura non si fonda su trucchi. Anche se a volte la cozzaglia di materiali, forme, e stravaganze che vediamo in giro pu far credere questo. A mio avviso vi dovrebbe essere molta pi selezione tra chi si candida a voler scrivere i destini della futura Architettura. Oggi tutti vogliono essere artisti, e vedono nell'Architettura un facile mezzo raggiungibile anche con scarse capacit. E non si sbagliano di molto. Perch alla laurea arrivano persone che dell'Architettura non hanno capito un gran che. E molto probabilmente non la capiranno mai. Ne abbiamo gi troppe di mine vaganti.
La selezione fattibile gia al primo anno di corso. Non si parte mai dal nulla, e per questo la vocazione riconoscibile. La selezione permette di poter incentrare le energie dei professori sugli studenti pi meritevoli. Ripeto, pi dotati. E, credimi, tutti ne trarremmo vantaggio.
In quanto ai professori, non so Lei che facolt abbia frequentato o stia frequentando, ma della casistica da Lei proposta (parla di professori che obbligano i giovani studenti a comprare libri autografi, di professori che declamano le proprie teorie spesso posticce senza concedere alcun dibattimento critico) ne ho conosciuti un 5% sul totale dei docenti che ho frequentato. Sono sicuro che la stragrande maggioranza degli attuali docenti siano persone valide e dotate di dignit che non la vendono per un incasso di poche centinaia di euro annue. Inoltre i "cosiddetti esami complementari" sono opzionali. Per fortuna vi una vasta scelta, e mi creda: non tutto quello che per lei e "posticcio" posticcio anche per gli altri.
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835
di Isabel Archer
del 17/11/2004
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
Per Luigi Moffa
Trovo estremamente disdicevole colpevolizzare gli studenti che non sono, in realt, vittime di allucinazioni collettive. E trovo quantomeno meschino mortificare il sentimento astratto con in quale una giovane mente, che non ha mai visto compiersi la vera architettura intorno a s, si avvicina alla disciplina dellarchitettura (non sostanziata esclusivamente da cemento ed equilibrio statico).
Vogliamo forse negare che nelle facolt di architettura italiane sinsegnano tecniche e teorie della progettazione vecchie almeno di 20 anni? Vogliamo negare che la storia dellarchitettura non rapportata, se non in rare eccezioni didattiche, alla storia contemporanea che pi da vicino ci riguarda?
Per non parlare dei cosiddetti esami complementari, recessi oscuri in cui (pi che negli insegnamenti fondamentali) ciascun professore (protetto da identificazioni nominali rassicuranti) declama le proprie teorie (spesso posticce) senza concedere alcun dibattimento critico ed obbligando i giovani studenti a comprare libri autografi (o forse dovrei dire testamenti olografi?) che solo la magnanimit della sorte pu far coincidere con letture interessanti e non con la pi diffusa carta straccia.
Abbiamo le universit piene di professori raccomandati, la teoria dellevoluzione ne discende inesorabilmente minata.
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834
di Luigi Moffa
del 17/11/2004
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
A volte sorrido di fronte alla facilit con cui vengono mosse certe critiche. Ma questo il paradosso della critica stessa: che critica sarebbe se non vi si induvidua solo ci che proprio non va? L'accusa resta ancora il metodo pi semplice per farsi accettare in un circolo vizioso dove tutto suscettibile di condivisione o di ulterori critiche.
Cosi Chiara Manzoni desiderava docenti che fossero meno docenti e pi umani. Perch dopo due anni e mezzo di frequentazione della facolt di Architettura non capiva ci che il docente spiegava. Mi sorge un dubbio: Chiara Manzoni si mai chiesta allora se era realmente portata per gli studi intrapresi? Purtroppo nella societ delle mode l'Architettura non ha avuto scampo. Ed il numero delle opere realizzate in un anno inferiore al numero dei neo-laureati.
Poi, per, dopo due anni e mezzo di frustazioni, dettati da continui ripensamenti fino al punto di voler abbandonare tutto, quasi per magia (Lei lo chiama destino...) grazie all'aiuto di un angelo ispiratore poco pi grande di lei, arrivarono le conferme tanto attese. Lo studente di architettura prima, e l'architetto poi, non possono non essere estremamente narcisisti e convinti ed orgogliosi dei propri mezzi. L'autostima non pu calare perch ne risentirebbe il confronto verso un'arte che per sua stessa natura tende a dominarci, ma che dobbiamo imparare a dominare. Se non si domina non si possiede. E se non si possiede non si pu pretendere di parlare ed intendere Architettura.
Quanto e cosa pu pretendere uno studente da un docente? Cosa pu insegnare un docente di progettazione ad una massa di 80 studenti annui? Nella migliore delle ipotesi insegna ci che ha appreso, metabolizzato, maturato e prodotto nel tempo. E che di solito non si ferma a "due libri pubblicati che raccontano cose gia scritte". Nella logica di tale migliore ipotesi, il docente in possesso di un linguaggio, non solo verbale, atto a spiegare le sensazioni vissute in prima persona. A questo punto si pu non condividere il modo di fare architettura di quel determinato docente, ma non si pu non capire ci di cui si sta parlando. Quando accade di non capire credo sia il caso di cambiare l'indirizzo degli studi intrapreso. Chiedo: si pu pretendere che un docente di progettazione ci insegni a progettare?
Molto carina la descrizione fiabesca dell'Architettura come magia. Voglio sperare che Chiara Manzoni non cercava cartomanti ma architetti che parlavano Architettura.
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833
di Fausto Capitano
del 17/11/2004
relativo all'articolo
Chiudere l'appello a favore del museo ARA PACIS di
di
Giannino Cusano
Buona Mattina a tutti! A rischio di sembrarVi un rompiscatole... Posso permettermi di ricordare a Giannino Cusano, a Isabel Archer , a Mara Dolce e a tutti i 66 sensibili professionisti che hanno firmato la petizione, che Meier (arrabbiato e rassegnato!) se n' gi lavato le mani da un pezzo (da prima dell'inizio!) di questo progetto? E posso permettermi di chiederVi qual' la cosa pi antimoderna, indemocratica, raccapricciante e vergognosa tra lo sdegno di un Maestro che " costretto ad abbandonare" la sua creatura lungo un fiume dominato dai topi e dallo smog, e questo gettarsi forsennato sulla preda semimorta della solita italianit, carcassa di quella che era in origine un'architettura!? Rinnegata dal suo stesso creatore, anche terminata "completamente", questa fabbrica sar comunque (riprendendo le parole di Cesare De Sessa) un cadavere urbano eccellente. Cordialmente, Fausto.
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832
di Giannino Cusano
del 16/11/2004
relativo all'articolo
Chiudere l'appello a favore del museo ARA PACIS di
di
Giannino Cusano
Per Mara Dolce:
ho scritto:
"il coro della Parrocchietta ha ottenuto l'ennesima vergogna italiana: la deturpazione del progetto Meier, monco del suo pi forte raccordo allintorno"
Mi pare che, nella sintetica economia dell'articolo, ce ne sia abbastanza, per chi ha occhi per vedere: il muro dell'ala d'accesso era una quinta che filtrava, lasciandoli intravvedere, gli edifici retrostanti, ma al contempo distendeva il Museo LUNGO il Tevere, impedendogli di ridursi a un oggetto posato l. Cos'altro c' da argomentare?
Infine: se, per una volta, la televendita non confronta le brutture del prima con le meraviglie del dopo_la_cura, ma caso mai documenta il contrario. E dunque le mie probabilit di tele-vendere sono davvero esigue, non crede?
G.C.
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831
di Isabel Archer
del 14/11/2004
relativo all'articolo
Chiudere l'appello a favore del museo ARA PACIS di
di
Giannino Cusano
Larchitettura italiana sta davvero prendendo una piega raccapricciante. Io rimango attonita, anzi sgomenta anche davanti a queste affermazioni sul Colosseo di Carlo Aymonino (da Al via i lavori per il Grande Campidoglio. Intervista a Carlo Aymonino):
http://www.architettiroma.it/archweb/dettagli.asp?id=5161
Giusto il Colosseo. Si dice che lei, architetto, abbia delle idee ardite in proposito. Quali sono?
Met dellanfiteatro manca del perimetro esterno. Crollato per il tempo, i terremoti. Sistemata larea dei Fori, il Colosseo non pu restare cos com. Va superato lo "scalino" del Valadier, bisognerebbe completare lellisse esterna in semplici mattoni. Per capire veramente come si presentava duemila anni fa.
Ma lei ne ha parlato con Adriano La Regina, il sovrintendente archeologico?
S. Ne rimasto piuttosto colpito. Ma non ha escluso che sui Fori si possa lavorare in maniera positiva.
Tra la riesumazione del porto di Ripetta e la ricostruzione del Colosseo come si presentava duemila anni fa, rischiamo di diventare il paese delle mummie.
Jean Nouvel aiutaci tu: http://www.architettiroma.it/dettagli.asp?id=5593
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830
di mara dolce
del 14/11/2004
relativo all'articolo
Chiudere l'appello a favore del museo ARA PACIS di
di
Giannino Cusano
E no caro Cusano, non basta far vedere due foto di un progetto e liquidare la cosa con uno slogan:
(..) *E certo, come si pu vedere, aveva ragione da vendere Meier a non voler troncare il muro.*
Le ragioni da vendere ce le deve spiegare, altrimenti la stessa operazione pu essere fatta da quelli che lei chiama castratori con una modifica del commento:
*E certo, come si pu vedere, avevamo ragione da vendere a voler troncare il muro.*
E’ la difesa argomentata dei valori che l’architetto crede di aver individuato in una architettura, che fa la differenza, e non mostrare un prima e un dopo come nelle diete miracolose delle televendite.
Sono convinta che se negli ultimi trent’anni si fosse applicato questo criterio con seriet e rigore, oggi non si registrerebbe la netta vittoria dello storico sull’architetto.
Nell’attesa che Cusano argomenti..
Mara Dolce
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829
di Chiara Manzoni
del 14/11/2004
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
Sono Chiara,
una neo laureata in Architettura al Politecnico di Milano e in merito all'articolo del Prof Ferrara (che ho avuto in un corso di Progettazione Architettonica, secondo anno), sento l'esigenza di manifestare il mio punto di vista riguardo l'esperienza che ho accumulato in questi lunghi anni di facolt.
Se soffermarmi nei meriti e vantaggi di seguire le lezioni di alcuni Professori pressoch scontato nonch giusto, non di questo che volevo scrivere.
Mi spiego meglio: fin dai primi giorni in cui frequentavo la facolt sono sempre rimasta affascinata dalla figura del Professore, un po come succede al tifoso di fronte al suo campione preferito.
Allora avevo 18 anni, ero giovanissima, con tanta voglia di fare, ma anche molto ingenua e indecisa, a quellet difficile avere autostima, difficile credere in se stessi senza mai dubitare, ecco perch per noi una figura pi grande che ci conforta e ci aiuta molto importante, anzi di pi indispensabile.
Certo non tutti si pongono questo obiettivo, ho conosciuto compagni che non si sono mai lasciati prendere dal panico e sono andati dritti per la loro strada senza esitare, beati loro io invece per almeno due anni e mezzo non ero per nulla convinta di quello che stavo facendo, quante volte ho pensato di mollare tutto Quando raccontavo i miei dubbi, mi dicevano sempre che ero troppo sensibile, troppo sveglia, che dovevo pensarci di meno e io non capivo se ci era giusto: ho sempre creduto che i miei dubbi fossero legittimi, cera in ballo il mio futuro!
Ma intanto frequentando le lezioni potevo conoscere vari Professori, tutti bravi, tutti intelligenti, tutti belli e affascinanti, avevano proprio tutto per catturare le tue attenzioni, eppure ci non mi bastava Sapete perch?
Perch fare il Professore non vuol dire fare una lezione, una revisione e poi via dallaula perch impegnato in una conferenza o qualcosa del genere, no i primi due anni ero in crisi perch nessuno era in grado di spiegarmi bene quello che dovevo fare e cos in questi anni di architettura ho capito una cosa, che manca del tutto la didattica, a volte penso che gli insegnanti delle medie inferiori siano molto pi preparati, sanno organizzare le loro ore a disposizione, sanno farsi capire, in poche parole sanno insegnare.
E cos difficile?
Certo bisogna prepararsi, non basta fare gli assistenti per un paio danni e diventare Professori grazie a due libri pubblicati che raccontano cose gi scritte. Ci sono assistenti che non sanno che a volte ci basta un sorriso per sentirci felici e realizzati. Ma non ho voglia di criticarvi, vi chiedo solo di mettervi nei nostri panni e capire cosa vuol dire cercare di fare un progetto a 18 anni totalmente ignorante, spesso ci accusate di scarso impegno, ma allora questo vuol dire che dobbiamo arrangiarci e fare gli autodidatti, no grazie, non cos che si diventa architetti.
Per fortuna ho incontrato una persona che ha saputo con pazienza e volont indirizzarmi la giusta strada, ma quello un segno del destino e poi non nemmeno un Professore, ma una ragazza un po pi grande di me.
Avete capito che in fondo noi vi vorremmo un po meno affascinanti, ma pi umani, un po meno Professori, ma persone pi grandi di noi capaci di insegnare quella magia di nome Architettura.
Questa la vostra sfida.
E anche la nostra.
Chiara Manzoni
ex allieva del Politecnico
p.s- dopo 6 anni (anzi 7 anni) di universit mi trovo alla ricerca di un lavoro, senza un briciolo di esperienza... con la beffa di trovare un mondo, quello del lavoro, totalmente diverso da quello universitario... ma almeno adesso posso fare la grande valigia e decidere io dove andare.
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14/11/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Chiara Manzoni
Quello che Lei scrive è indubbiamente vero. Resta il fatto che ciascuno di noi, docenti universitari, ha una personalissima coscienza del ruolo che ricopre. Detto ciò, soprattutto in virtù che sono stato un suo docente, mi assumo parte della responsabilità della situazione che ha descritto. Quello che desidero sottolineare è proprio questo, ovvero che i docenti hanno un ruolo fondamentale per far sì che lo studente si appassioni alla materia. Non accampo scuse di sorta, soprattutto se è vero che ho sempre affermato che l'università deve stare al vostro servizio. Posso però timidamente dire che non è facilissimo cercare d'insegnare, anche per chi crede in quello che fa: la facoltà di architettura è sempre più un pachiderma che vorrebbe correre (quanti esami dovete fare??) e, per chi vi è in groppa, spesso è difficile restarci. Comunque sia, grazie: mettere in evidenza i limiti della didattica è un piccolo passo per cercare di migliorarla.
cordialità
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828
di Isabel Archer
del 12/11/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
Personalmente sono contenta che sia qualcuno che continua a farsi delle domande importanti e a chiedere di pi, senza rassegnazione:
Dalla PresS/Tletter n.35 - 2004
"Ci chiediamo, come molti: che cosa sta succedendo alla Biennale di Architettura, un tempo prestigiosa istituzione? E questa la deontologia della versione 2004 (espressione del centro-destra)? Chi sono questi personaggi che con tanta disinvoltura hanno gestito la Mostra? E chi li ha controllati? (...) La Biennale finalmente chiusa. Auguriamoci adesso lavvento di un altro scenario, in grado di restituire almeno unetica e una lealt nei comportamenti, sempre pi necessari alla vita civile di questo nostro paese alla deriva."
Per il Gruppo METAMORPH Gabriele De Giorgi
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827
di Mirko Daneluzzo
del 11/11/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Leggo ora articolo e commenti, forse in ritardo per volevo aggiungere alcune considerazioni.
Io partirei cercando di non fare, come dice un vecchio detto, di tutta un' erba un fascio. Ci sono modi e modi di usare i CAD, ma soprattutto bene non mescolare i termini, in quanto CAD non significa computer, e computer (dal punto di vista degli architetti), non significa necessariamente cad. Non limitiamo il nostro approccio al computer come semplice macchina da disegno geometrico. Quello che voglio dire che oggi l'architettura non solo disegno (non ci sono solo nurbs, skinned surfaces, spine o swept, ...), oggi potremmo progettare anche lo spazio dell'informazione, e non si tratta di retorica. Mi viene in mente Novak.
Perch non si parla invece del processo progettuale? io non voglio intervenire in questa sede, facendo le distinzioni tra diversi usi di un cad (non ci sarebbe tempo), sottolineo comunque che in ogni caso il CAD ha portato ad una profondit di indagine (non legata al tempo) dovuta al fatto che si costruiscono modelli e non rappresentazioni grafiche, come nel disegno tradizionale (anche qui, architettura non solo disegno...).
Quello a cui voglio arrivare che l'architettura pu aprirsi a nuove logicit e concetti. Lo strumento che apre queste porte, il computer, uno strumento del pensiero.
Le tappe evolutive dell' uomo sono state possibili grazie a "strumenti", uno dei primi fondamentali che mi viene in mente la mano. Quindi strumento = bene ? presumo si, se viene usato per amplificare capacit, imparare, giocare... l'uomo il risultato della sedimentazione di informazioni (forse abuso di questa parola, ma semplifica) elaborate dal cervello che si serve di un apparato hardware (che per funziona come un insieme di filtri), ci ha permesso all'uomo di costruire un modello del mondo che lo circonda. Il modello incompleto causa l' effetto filtro dovuto ai sensi, quindi penso che per ovviare a questo "inconveniente", ampliando la gamma di strumenti a disposizione, si possano mettere a fuoco pi elementi, del quadro "mondo". Mi piace pensare come le protesi cambino il rapporto con lo spazio ..., ma torniamo all'architettura.
La forma si trasformata da cristallo a fluido, caratterizzato da interattivit, modificabilit ed evoluzione, cio il progetto non si conclude con la forma, ma sintesi di programmazione e diagrammatizzazione, questi alcuni termini che il linguaggio informatico ha portato all' architettura. Banalizzando, gli stessi meta-balls, nati dalle teorie di Leibniz (monadi), sono stati sviluppati teoricamente e fisicamente grazie alle esperienze di architetti come Karl Chu. Il computer diventa il mezzo con cui indagare e scoprire forme che fondano le radici in un terreno (teorico) nuovo, o meglio, proprio il metaball lo strumento che permette di controllare una simulazione facendo interagire fra di loro le variabili del sistema. Questo solo un piccolo esempio di come si possa progettare con il computer, cio servirsi del mezzo informatico come supporto (io la chiamerei protesi) del nostro sistema cognitivo. Non voglio dilungarmi, quello che alla fine voglio esprimere, che un conto usare il computer per disegnare un altro per progettare, oggi direi programmare.
Vorrei a proposito segnalare i lavori di J.Maeda, Casey Reas e Ben Fry, per citarne pochi. Questi personaggi, sono grafici, e in questo settore sento che si vivono simili dibattiti. Questi grafici infatti non usano in computer per fare ci che si faceva X anni fa con la tipografia, quindi non usano programmi per fare ritocchi alle immagini, comporre pagine o cose simili, loro creano dei programmi, ordinano l'informazione per ottenere dei risultati visibili, delle immagini. Il risultato conta, ma ci che ne da valore il processo. Voglio sottolineare la poesia che sta dietro a tutto ci: si compila un codice, come un codice genetico, questo genera un risultato visivo (o non solo) dinamico, perch questi sono i vantaggi del nuovo mezzo, ma anche un testo nella sua forma primitiva, un linguaggio, che teoricamente potrebbe essere codificato in infiniti modi.
Personalmente per il futuro vorrei percorrere la via delle "non architetture", cio appunto non un approccio soggettivo, da "artista" che ha la visione (con tutto il rispetto che porto verso artisti e visionari), ma da osservatore..., vorrei poter costruire il DNA dell' organismo che entrer in simbiosi con il suo utente (avere simili struttura potrebbe essere una risposta alle esigenze dell'abitante). Non voglio prefigurarne la forma, questa si generer e si evolver in base a diversi fattori, tutti rotanti attorno all' uomo e tutto questo legato dalla comunicazione tra le entit coscienti (nuovo livello di comunicazione-conoscenza condivisa).
Si parlato anche di omogeinizzazione del segno. Questo lo noto quando esco di casa.
Sembrano ragionamenti che rifiutino la fisicit della materia che costituisce ci
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824
di Isabel Archer
del 08/11/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
L'italia il paese del "lasciar correre". Tanto l'architettura forte, tanto l'architettura ce la fa lo stesso...
E' GRAVE che alla Biennale non si sia presentata la vera ricerca italiana contemporanea, molto grave.
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825
di Irma Cipriano
del 08/11/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
In risposta a Isabel Archer
Sarebbe grave se la Biennale fosse un po' pi seria di quello che .
Da una gestione che accomuna Rossi a Stirling e Eisenman a Ghery senza dare spiegazioni di senso e ,con le poche date, infilandoci anche errori di scrittura, cosa ci si possa aspettare non facile a dirsi. Non ricordo di aver visto mai una biennale coerente e ben strutturata, e soprattutto dotata di un minimo di spirito critico negli ultimi anni.
La biennale va presa per quello che , un resoconto di alcuni dei progetti pi " in vista" del tempo. Di buone architetture se ne vedono per fortuna.
La critica e la riflessione, purtroppo, toccano ai singoli individui che la visitano. Come sempre stato. Attendiamo il tempo di un direttore che cambi un po' l'istituzione. Ma credo che nell'attesa far in tempo a invecchiare.
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822
di Irma cipriano
del 04/11/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
A Beniamino Rocca
Volevo ringraziarla per l'analisi che ha fatto sull'ultima biennale. Perch non solo fa capire quanto questa sia acritica sotto la guida di Foster ( ma anche gli altri direttori non sono stati da meno.. ). Ma perch ci fa anche comprendere che comunque, anche se circondati da inutili e ambigue installazioni, da alcune architetture francamente improponibili nel 2000 e da cattedratici che non aggiungono nulla alla disciplina, se non la rafforzata convizione che per loro l'unica cosa che importa esserci comunque e nonostante tutto, anche nel modo pi mediocre possibile ,l'Architettura pi forte. Perch i progetti migliori vengono sempre subito notati, e le schifezze comunque riconosciute come tali. E per fortuna alla fine sono la minoranza. Dalla biennale in s, non ci si dovrebbe mai aspettare molto, essendo diventata oramai un'istituzione falsa come i Telegatti, ma andandoci si ha nonostante tutto la sensazione che l'architettura, se non proprio scoppia di salute, almeno non poi cos malaticcia. L'Italia non fa una gran bella figura, questo vero, ma si sa che sono sempre i soliti che vengono chiamati, che coincidono poi coi mediocri ma famosi ( anche se ci si continua a chiedere perch.) Si costruiscono ancora architetture meravigliose. "Ho visto rendering di progetti e di cose in costruzione ancor pi stupefacenti di quelli realizzati, dunque, se davvero l'architettura esprime civilt, l'avvenire sar migliore. Per tutti, spero. "
Queste le Sue parole. Le condivido. E, come Lei, non posso che sperare anch'io.
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821
di Isabel Archer
del 02/11/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
Sarebbe stato pi onesto fare un bel tavolo degli orrori del XXI secolo alla Biennale perch ce ne sono ancora e troppi di mostri filo post-modern, micro e maxi, che angosciano le nostre passeggiate quotidiane, le nostre province italiane. Ne vediamo a ogni passo anche nei centri storici delle citt, anzi, soprattutto. Un ambientamento cafone e presuntuoso che discende direttamente da alcuni vecchi delle universit e che semina un germe malvagio nelle menti dei giovani studenti. Per fortuna non solo questa la realt e se, come si vuole vigliaccamente suggerire anche alla biennale, c poco da mostrare in Italia, solo per la volont di far campare ancora quei quattro potentissimi gatti che seminano discepoli plastificati nelle tele di ragno delle soprintendenze. Capsule venefiche che infestano le nostre strade. Quello che ci circonda condiziona il nostro modo di essere, di pensare, non sottovalutiamo limportanza del contesto nella formazione di una giovane mente. E se qualcuno possiede il dono di una forza passionale e indipendente, non sono tutti cos fortunati, non hanno tutti la possibilit di aprire gli occhi. E proprio questo il dono che vogliamo fare ai giovani, quella penosa sensazione di cecit di cui parlava il Gruppo 7 quasi un secolo fa?
Ma la storia sotto agli occhi e ci suggerisce delle semplici verit:
Il problema fondamentale per Terragni (che possiede una scrittura precisa e solida, a volte beffardamente ironica, mai incolore) quello delleducazione piuttosto che quello del principio di autorit: Da qui la necessit che il pubblico (che nasconde tra le sue file Il Cliente) sia gradualmente messo al corrente, sia adeguatamente educato a queste nuove concezioni architettoniche, affinch la intransigente volont dellarchitetto non si trovi a cozzare inutilmente contro una non meno resistente e decisiva volont(da Giuseppe Terragni. Vita e opere. , A. Saggio)
Ma cavolo a che serve la biennale, se non si fa un po di sana autocritica, autoironia, se non si evidenziano le brutture e si mettono in risalto le vere nuove leve dellarchitettura italiana che ci sono e caspita se ci sono. Dobbiamo pentirci che non ci siano nemmeno gli scaltri dirigenti fascisti a fare almeno finta di appoggiare una ricerca progressista?! Ma dove siamo finiti
Ragazzi larchitettura studiatevela da soli, su internet che lunico posto libero che ci rimasto.
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820
di Beniamino Rocca
del 01/11/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
Caro Paolo,
sono andato a vedere la Biennale, come mio solito a ridosso dei giorni di chiusura cos ho il vantaggio di avere gi letto gli articoli dei critici pi affermati e spendo al meglio la mia unica giornata a disposizione. So bene che una giornata, andata e ritorno, pranzo compreso, non basta, ma sono contento di essere andato e adesso non resisto alla tentazione di dirti, a caldo, la mia impressione .
Come sai, non sono granch ferrato nella critica architettonica.
Sono pi a mio agio nel parlare d'architettura come di un" mestiere" , bello e fascinoso perch un "mestiere "che trasforma lo spazio. Cosa magnifica, non credi?
Per questo uno dei mestieri pi belli che ci siano al mondo.
E' con questa ottica, insomma, che ho visitato la Biennale. Ho guardato al mestiere dell'architetto e ho guardato all'architettura come all'arte che pi di tutte le altre esprime la civilt dell'uomo.
Bene, sono uscito felice da questa Biennale perch ho pensato che nonostante le guerre, le disuguglianze, l 'impegno civile che cosa sempre pi rara, nel mondo si costruiscono ancora architetture meravigliose. Ho visto rendering di progetti e di cose in costruzione ancor pi stupefacenti di quelli realizzati, dunque, se davvero l'architettura esprime civilt, l'avvenire sar migliore. Per tutti, spero.
Chi critica questa Biennale non sente il profumo inebriante che viene dal beccheggiare tra le possenti colonne dell' arsenale, dei plastici stupendi. Sono loro che annunciano al visitatore che, nel mondo, l'architettura moderna ha rotto definitivamente con la postmodernit. L'architettura del Grado Zero ha vinto. Ha vinto l'architettura organica ed espressionista. Ha vinto Scharoun, ha vinto Frederck Kiesler " Architettura magica contrapposta a quella funzionale". Insomma Paolo, hai ragione tu: Zevi ha vinto ... e Forster, dimenticandolo, dimostra i suoi limiti di critico dell'architettura.
Qualcuno ha rimpianto che c' poca universit.
Evviva, Evviva!.
Dove c'era, il livello d'interesse subito scendeva.
L' allestimento di Mirko Zardini era plumbeo come la sua tappezzeria, trasudava intellettualismi da bottega universitaria che non sa nulla di cantiere e non sapendo cosa insegnare ai giovani dell'"arte del costruire", li inibisce e li confonde tra fotografia e intimit.
L'interno deve esplodere all'esterno, se no, non architettura.
Gi, i giovani. Era piena di giovani, l'altro giorno, pieni di macchine fotografiche e di voglia d'imparare, davvero un gran bel pubblico per una mostra d'architettura .
Al DARC, almeno, (ecco un'altro baraccone nato dal perverso intreccio burocrati -universitari) si sarebbero certo voluto vedere pi architetture di giovani architetti italiani- ce ne sono tanti e bravissimi- , ma l ,non c'erano i migliori . i Potoghesi, i Purini, i Gregotti e i vari consulenti accademici di Pio Baldi , naturalmente, non li vogliono. Prendono tutti soldi dallo Stato per pensare all'architettura del futuro ma non sanno che guardare all'indietro, di 50 anni , questa volta) .
I giovani avevano occhi solo per il MAXXI (bel logo e bel nome, preso da un concorso-truffa, pare, come tanti altri concorsi che ordini e universit organizzano) di Zaha Hadid. Non era tanto colpa di Foster se c'erano pochi giovani italiani, ma colpa della nostra universit.
E' un male storico, ricordo bene, negli anni settanta non si poteva guardare al Beabourg, i nomi di Rogers e Piano non dovevano essere pronunciati. Oggi quegli stessi professori farebbero carte false per averlo a fare lezioni nei loro corsi. Questa Biennale conferma che oggi l'Italia ha solo Renzo Piano a livello dei migliori al mondo (e sta migliorando ancora, come il buon vino) e Fuksas, a debita distanza.
Altri studi, in Italia, di livello davvero internazionale, non ce n'.
Due critiche comunque mi sento di fare alla Biennale di Forster:
-E' quanto mai ridotto, se non del tutto mancante, il tema dell'architettura residenziale e popolare. Tema certo meno fascinoso dei teatri , del terziario, delle stazioni e degli aeroporti, ma che esprime compiutamente l'ambiente nel quale tutti noi viviamo e che una rassegna di questo livello, fatta con soldi pubblici, non pu sottrarsi.
-Celebra troppo l'architetto dal punto di vista individuale, mettendo cos troppo in secondo piano il mestiere dell'ingegnere stutturista. Un esempio per tutti, L'ottima Zaha Hadid, senza ingegneri ,sarebbe una "deliziosa design".
Se leggete il bel libro di Mariopaolo Fadda sulla storia della Disney Concert Hall dii Gehry vi accorgerete del ruolo fondamentale di tale James Glymph -che nessuno cita mai- per la realizzazione dell'opera. Senza di lui e la sua capacit di organizzare il programma Catia,quell'opera, molto probabilmente, non sarebbe mai stata concretamente realizzata.
I giovani che escono da questa Biennale, cos come da
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817
di Fausto Capitano
del 23/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Districarsi tra chi denuncia l'assassino "improbabile" per il "delitto perfetto" e chi osanna il "presunto" decesso illustre, non facile. L'unica costante sta nel percepire la morte di qualcosa o, nella migliore delle circostanze, il processo di estinzione, il tentato assassinio di qualcosa. Niente di pi sbagliato! Niente di pi strumentale!
Perch ci si ostina, da una parte, a denunciare la minaccia immaginaria che peserebbe sulle prerogative analitiche e progettuali della "scelta tradizionale" e, dall'altra, si rincara sbraitando con l'estetica della contaminazione, con l'architettura senz'architetti, con la supremazia del virtuale, con la "realt aumentata", ? In tutta 'sta caciara, il computer un dannato pretesto! La teorizzazione su assassini e metamorfosi scade nello show!
I fatti reali, lasciatevelo ricordare da un pivello, sono questi: 1) oggi non c' pi alcun obbligo di assecondare il "sistema tradizionale"; un tempo, chi operava in seno ad esso aveva la certezza di muoversi sull'unica terra fertile dell'architettura; oggi si capito che non pi cos: ci sono altre terre fertili, nuove americhe, altre frontiere e tutti (vecchi progettisti, critici, professori, ecc.) si accapigliano per riuscire a fare i cowboy piuttosto che i pellerossa o, peggio, i bisonti! 2) C' il distacco dalla tradizione di ricerca, da parte degli stessi figli della "scelta tradizionale"; la recisione del cordone lo scotto dell'ansia e della superficialit che trasudano da ogni intervento contro il "digital-ismo". Tali debolezze mentali (e culturali) sono facce dello squilibrio indotto dalla sacrosanta messa in discussione, dalla percezione di una fantomatica usura dei meccanismi e dalla latente perdita di qualit propositiva. 3) Chi ha padronanza delle tecniche tradizionali, chi ha saputo (e sa) produrre, evolvere, comunicare con esse, ha il solo dovere culturale di prestarsi al contraddittorio. Il suo unico compito deve essere quello di asservirsi all'evoluzione della conoscenza, dimostrando la maturit necessaria a far capire (alle masse parlanti a vanvera) che difficile "riconoscere" nuove terre fertili, nuovi sistemi, ripudiando quello storicamente pi praticato e che (senza troppi alti e bassi) ha favorito ricerche e soluzioni di sostanza in architettura.
Inventare il "digital-ismo" e attaccare il computer come "fare gli indiani", proprio quando si vorrebbe essere cowboy! Inventare e aggredire la "scelta di campo" per non "riconoscere", "valutare", "legittimare" e "dare fondamento" (per differenza o per contrasto) all'"alternativa". In antiTHeSi si riuscir a discutere di "archigitale" soltanto nel momento in cui le "eminenze grigie" ed i convenuti socievoli proveranno (dando un minimo di credito a queste righe) a riconoscere la presenza di una "nuova terra", a smettere di palesare paura sentendosi minacciati da fantasmi e ad offrire, invece, le loro esperienze nel confronto. Giannino Cusano, in tal senso, mi rincuora. Il silenzio di Galvagni, per, non mi sorprende. Vi lascio con l'augurio di ritrovarci presto, "tutti", con la voglia di fare sul serio. Vi lascio con la consapevolezza che non tocca a me cominciare, facendo a meno di "equivoci" e "pretestuosit".
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814
di Giannino Cusano
del 22/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Gent. mo Fausto,
non che io paventassi una ripetitivit indotta dal computer: che se si vuol essere ripetitivi, con computer, Cad e copia/incolla si fa prestissimo: credo che su questo non si possa non dare ragione a Galvagni.
In generale, temo, la questione, se posta nei termini in cui generalmente la si pone (chi progetta? l'architetto o il computer?), non fa che riportarci alla polemica rivolta di Morris e delle Arts & Crafts contro le macchine e/o alla loro prima incorporazione nel processo ideativo avvenuta ad opera delll'Art Nouveau.
Credo che tu abbia ben interpretato il mio pensiero: io ritengo che, al di l o al di qua di questioni di qualit del progetto e dell'autore, il computer possa contribuire enormemente a incentivare nuove esplorazioni e nuovi modi di pensare il processo ideativo: cosa, quest'ultima, non trascurabile. E non solo perch il CAD compendia in s i mezzi tradizionali del tecnigrafo e quelli delle pi imprevedibili modellazioni (poi, certo, dipende dal software, dalle persone ecc.).
Nel mio intervento a caldo mi premeva sottolineare che computer e cad sono, s, strumenti ( la faccia della medaglia su cui do ragione a Galvagni) ma che anche vero che questi non sono indifferenti e neutri rispetto al nostro modo di pensaere e di procedere: e questa l'altra faccia, secondo me.
Nella mia personale esperienza -l'esempio del progetto per una Composizione da me portata avanti circa 30 anni fa- credo di averne la riprova: non volevo una forma che fosse in qualche modo dettata dall'elasticit, duttilit, flessibilit e lavorabilit del materiale che avrei utilizzato per studiarne il modello, n che fosse condizionata dal gioco delle tensioni superficiali nella realt (guscio cementizio ecc.): volevo indagare quella forma (suscettibile di diventare significante, e che doveva ancora conquistarsi il titolo di 'segno') anzitutto sulla base della sua fruizione reale -o preventivata come tale- . Non c'erano i cad, ma avevo molta scelta nei materiali del modello.
Scartati cartoncini, perspex, sfoglie di compensato, balsa, gesso ecc. mi rimase la plastilina., almeno in fase di abbozzo: quel materiale malleabile e, per, poco sensibile, nella sua forma complessiva, a deformazioni locali; ha una certa inerzia.
Come risolsi il problema? Disegnando delle sezioni piane in alcuni punti chiave (intersezioni col polo della biblioteca, con quello delle conferenze, col consultorio ecc.) e poi cercando di connetterli fra loro immaginando una forma che procedeva per estrusioni e torsioni.
Lo risolsi? Ai fini di un banale esame si. Ma se avessi dovuto realizzarla?C'era una marea di problemi in sospeso la cui presa di coscienza e controllabilit preventiva dipendeva proprio e anche dagli strumenti di indagine : esisteva davvero QUELLA superficie che i disegni lasciavano solo presagire? E che fosse puramente geometrica e non legata a tensioni e a questioni statiche? Che natura aveva? Quali alternative si potevano indagare? Come controllarla ? Come valutare i riflessi che una modifica locale avrebbe avuto sulla sua configurazione d'assieme? E, viceversa, come modificare eventualmente la forma complessiva controllando esattamente quello che succedeva nei punti chiave? Per me fu davvero ansiogena, quell'esperienza.
L'operazione che ho citato (connessione al continuo di sezioni o polilinee aperte + torsione complessiva della forma) in modellazione CAD si fa molto semplicemente; ci sono pi modi per ottenere varie soluzioni e si pu sempre stirarla, deformarla, modificarla ecc. attraverso dei punti di controllo che dipendono dal processo di modellazione scelto o eventualmente dall'averla convertita, x es., in una mesh e poi 'bloccandone' alcuni punti in modo da dosare l'elasticit delle deformazioni indotte nei punti circcostanti. E prima o poi riprender quello studio (che ho sempre in mente) ma stavolta col mio bel modellatore solido.
Il vantaggio, secondo me, non solo di tempo o solo di controllo globale / locale della forma e delle operazioni e modifiche che vi apportiamo. E' nel fatto che lavoriamo su una superficie deformabile e modellabile la cui geometria indipendente dai materiali di modello ed edificio reale, ma che pu assumere comportamenti simili -volendo- a quelli di alcuni matriali reali.
Ed nel fatto non trascurabile che diverse possibilit 'operazionali' offrono alla nostra mente diverse strade che possiamo intraprendere e che altrimenti non vedremmo, a mio parere.
Per tutti questi motivi credo, insomma (per tornare a Morris e alle Arts & Crafts) che il famoso articolo di Wright del 1909 (o '10) dal titolo 'The Art & Craft OF THE MACHINE' vada, oggi, integrato: ciascunop a suo modo, certo. ma integrato come? In modo da includere, nel concetto di 'machine' non solo le macchine per produrre edifici e la loro logica operativa , ma anche quelle necessarie a pensarli: computer e cad in pr
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813
di Fausto Capitano
del 22/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Gentile Giannino, dammi pure del "Fausto" e basta. Io, sulla questione "riesumata" dal maestro Galvagni, scrivo a getto perch sono cresciuto col CAAD (quello VERO!) pur cavandomela egregiamente, fin dalle scuole medie inferiori, con i metodi tradizionali (in ultimo, ho fatto l'Esame di Stato a mano libera, disdegnando il tecnigrafo e le righe, solo per fare lo sbruffone e per chiudere in bellezza l'epopea universitaria!). Comunico di getto perch un mio difetto, e se mi sopporterete non posso che esserne lieto. Scritto questo, metto da una parte sia l'ovazione di Paolo verso Zevi, sia le osservazioni di Eisenman; quest'ultimo, non ce lo vedo a fare il John Wayne che spara basso sui suoi amici progettisti mandriani che solcano le praterie del mondo marchiando, qua e l, pregiate vacche di cemento e acciaio. Il maestro Peter non da meno, anche se forse, lui vede la sua stalla dorata ancora poco piena... Paolo, poi, si sa, innamorato perso della buonanima di Zevi, e non perde occasione di farci notare che, quasi quasi, Nostradamus gli fa un baffo al buon Bruno! Sull'altro versante (muovendomi sempre ad istinto, e badando ai fatti nella media!) archivierei anche la questione della pi consapevole sensibilit estetica dei committenti, per molti dei quali, a mio avviso, Aalto potrebbe verosimilmente essere il nome di una lacca per capelli, o van der Rohe l'ex portierone della nazionale olandese. Sento, invece, la necessit di riflettere (a caldo! perch pi bello) insieme a voi, su che cosa offre il CAAD al progettista di spazi architettonici, ancora prima di chiedermi (e chiedervi!) che cos' il CAAD, quello VERO! ... In primis, correggetemi se sbaglio, i software avanzati di modellazione solida orientati verso l'architettura, offrono nuove "mediazioni grafiche" che veicolano significati; offrono nuove matrici di "rappresentazione poetica" e sanciscono un potenziamento, mai auspicato, dei "sistemi figurativi" ai quali (ibridizzando il tutto) ha accennato, con la sua spicciola e praticona sperimentazione volante, il maestro Galvagni. La rappresentazione tradizionale, il medium "archigitale" (cio l'input architettonico "incubato" in ambiente digitale) e quella per modelli in scala, non sono isomorfe, perch tra esse non si registra soltanto una disuguaglianza di processi generativi, ma, essenzialmente, si manifesta (in origine) una diversit di "messaggi" trasmessi, di "contenuti" coagulati, di "sostanze" evidenziate. Il maestro Galvagni ha celato a se stesso questa realt, tu gentile Giannino (spero di poter continuare a darti del tu...) hai cercato di segnalarla. Ho letto male tra le righe del tuo primo commento se ti accredito il seguente pensiero? - << ognuno dei tre habitat creativi pu raggiungere target di valore e ci che conta "saper innescare" percorsi di ricerca estetica, spaziale, concettuale (ecc.) in ciascuno di essi, e di "saper additare a mete" significative, coi piedi ben piantati a terra e con l'occhio vigile sul mondo di oggi e di domani >>. Scegliere di "operare" in uno dei tre , aggiungo io, un atto che sottintende la consapevolezza sulle "modalit d'azione" della ricerca e della sperimentazione operative da intraprendere, avendo gi in vista l'"ordine" dei risultati e l'"ambiente culturale" che accoglier questi risultati. Ecco il nodo, quello VERO! Mi permetto di chiedervi di riflettere (e di scrivere) su questo. In ultimo, tu Giannino, nel secondo commento, prendendo tempo, affermi che in ambiente CAAD matura la ripetitivit e che non ci si pu aspettare da un software una coscienza operativa sensibile verso il luogo e verso le tradizioni costruttive... Ma veramente questo che voi vi attendevate dal software? E' da questo labile appiglio che parliamo di "equivoco del computer"? Fatemi capire.
Tutti i commenti di Fausto Capitano
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812
di Giannino Cusano
del 22/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Per Fausto Capitano: premetto che non sono prof. em con tutto il rispetto per la categoria, non ci tengo a diventarlo.
Non mi pare che Galvagni dica esattamente che squadre, righe e compassi producono forme classiciste: mi pare sostenga, invece, che quegli strumenti, corredati da modelli e studi al vero di particolari, o addirittura dai modelli funicolari, hanno permesso Wright e Gaud. Che certo non rifiutarono mai il tavolo da disegno.
L'altro aspetto, e che mi pare interessantissimo, del discorso di Galvagni che le stesse matrici formali producono percezioni profondamente diverse, che mutano con le et della storia. Ma quelle matrici formali appartengono a un luogo e a una comunit di viventi, per cui la cosiddetta 'invenzione formale' impedisce l'omologazione se coglie questo aspetto e si lega a un luogo: nasce dal e nel luogo, Senza timori di ricadere nel gi visto, per le ragioni sopra esposte.
Dunque ricercare forme nuove NEL mezzo tecnico (CAAD) un errore.Controprova (sempre mimando, per cos dire, il discorso di Galvagni): non c' strumento che favorisca la ripetitivit pi del CAAD.
L'ho detto molto male, ma mi pare che sia questo il bandolo del suo ragionamento. Cosa che solo lui potr chiarirci.
Ho risposto a caldo, quasi di getto, sul filo pi di intuizioni e ricordi -provenienti, certo, dalla mia esperienza personale- e dunque in modo che mi riservavo di chiarire. Anche perch, e lo ripeto, ritengo che gli argomenti di Galvagni meritino attenzione e riflessione: e su molte delle cose da lui scritte ho bisogno di riflettere: segno che sono cose intelligenti, almeno x me, indipendentemente dalle conclusioni cui potr arrivare.
Ma mettiamo da parte il mio discorso: non importante, x me, se ne caveremo ragni dal buco o meno; personalmente potrei, invece, essere interessato a cavarne cavatelli, tanto pi che provengo dalla Basilicata (o Lucania che dir si voglia).
Ma gi se invece di ragni tutto questo discorso mi avr aiutato a cavar cavatelli, tanto di guadagnato per me. E se qualcuno, a sua volta , trover utile anche un cavatello, ben venga.
Fuor di metafora, ritengo pi importante e produttivo cavare qualcosa, e magari ciascuno per s, che non tirarne fuori necessariamente qualche risposta o conclusione comune . E perch mai?
La divergenza gi discorso compiuto; e una domenda in sospeso comunque una conclusione.
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811
di Luca Purpura
del 21/10/2004
relativo all'articolo
Tra Loos e Wright : Giuseppe De Finetti e villa Cr
di
Luca Guido
Gentile Luca Guido,
ho letto le sue brillanti repliche a quanto argomentato da Allevi a proposito dello scritto di Dulio - a proposito, il "corpo-morto" quello di De Finetti o di Dulio (che immagino stia facendo i debiti scongiuri)? - su villa Crespi.
Visto per che "La noiosa avanguardia dello spolverio delle librerie" non fa parte dei suoi "poveri strumenti critici" e si affida "non solo alla critica ma alla storia" mi chiedo se Lei abbia mai lavorato su un qualsiasi documento o fondo d'archivio.
In pratica, signor Guido, chi Lei? Quali sono i suoi titoli (avr ben pubblicato qualcosa, oso sperare)? Qual' la "storia" a cui s'ispira
Un cordiale saluto
LP
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21/10/2004 - Luca Guido risponde a Luca Purpura
Ho solo tanta passsione, convinzione e presunzione nelle cose che faccio.
Amo l'architettura, questo il mio maggior titolo.
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810
di Fausto Capitano
del 21/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Per favorire il prosieguo dello scambio di idee, facciamo sintesi: il nodo del maestro Galvagni [CAAD <-(?)-> FORME INEDITE] quindi [CAAD <-(?)->NUOVA ARCHITETTURA]. L'equivoco, secondo il maestro Galvagni, [CIO' CHE, SINO DAGLI ANNI NOVANTA DELLO SCORSO SECOLO, SI CREDE POSSA ESSERE CREATO SOLO COI COMPUTER, IN REALTA', E' STATO FATTO (E STRA-FATTO) DA WRIGHT, DA TUTTI GLI ALTRI ARCHITETTI DEL "MODERNO", DA P.L. NERVI, DALL'INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA, GRAZIE ALL'USO DI TECNIGRAFI E PANTOGRAFI (ECC.) E MODELLI IN SCALA DI VARI MATERIALI] e non vero che abbandonato Vitruvio e, aggiungo io, Euclide, nata la FORMA INEDITA.
Focalizzata la questione, mi permetto di spurgare lo scritto del maestro Galvagni, lasciando sotto gli occhi soltanto i seguenti passaggi:
1) i pantografi, i tecnigrafi, le righe ed i compassi sostengono e favoriscono l'incubazione di linguaggi classici;
2) CAAD significa (tra l'altro) ripetitivit e prigionia creativa, espressiva ed estetica;
3) il CAAD uguale alle righe ed uguale al tecnigrafo, se non fosse per il fatto che fa risparmiare tempo e denaro, e fa fare pi bella figura in fase di accreditamento di una commessa qualsivoglia;
4) il CAAD la tecnica cruda (opzione di una migliore condizione tecnico-logistica) mentre le FORME INEDITE nascono in seno ad un linguaggio, sono arte slegata dalle condizioni tecnico-logistiche, ma dipendente: dall'entrata sistematica della ricerca morfologica rapportata al luogo, dall'approccio sociale nel progetto, dalla pi consapevole sensibilit estetica della committenza, dalla multimedialit nella comunicazione, dalla "digestione" e "assimilazione libera" dei patrimoni del costruttivismo, futurismo, cubismo, surrealismo, astrattismo;
5) per capire da dov' venuta l'architettura dell'ultimo secolo e per intuire dove sta per andare (o dove dovrebbe andare) bene lavorare sulle vite progettuali dei singoli artisti, sugli iter delle ricerche morfologiche in funzione dei luoghi e delle culture.
Se mi fosse sfuggito qualche "spunto" del maestro Galvagni, prego sia Lui, sia il prof. Cusano, di accodarsi alla presente sintesi.
In ultimo, invito me stesso e i convenuti, a chiarire il punto della "ricerca sulla plasticit morfologica" e quello di "che cos' il CAAD", avvertendo che gi una volta su antiTHeSi si tentato un ragionamento di gruppo sulla rivoluzione informatica, senza cavare un ragno dal buco.
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809
di Giannino Cusano
del 20/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Trovo di estremo interesse e da meditare a fondo le acute riflessioni di Galvagni sulluso dei computer in architettura, parte delle quali mi sento di condividere. Ho, per, anche alcune perplessit di fondo che riguardano:
a. i modi e gli strumenti di indagine della realt che abbiamo a disposizione;
b. la non totale neutralit degli strumenti che utilizziamo in relazione ai fini che ci proponiamo o che abbiamo la possibilit di perseguire.
Proceder a grandi linee e, per ora, omettendo di allegare immagini, ma anche sperando che questo dialogo non si esaurisca in rapidi commenti e che apra un vero e appassionato dibattito; far anzitutto delle considerazioni molto generali, senza entrare nel merito dei Cad, ma ripromettendomi di poterci tornare. A mio parere:
a. esistono forme che non sono neppure pensabili senza lausilio di computer: un esempio era sempre citato e documentato da un modellino da Sergio Musmeci nel suo indimenticabile corso di Ponti e grandi Strutture. Si trattava di un solido condizionato da due vincoli di base; se ben ricordo: 1) avere 7 facce piane; 2) ognuna di queste facce doveva intersecare tutte le altre 6. Imposte queste condizioni, la forma finale veniva ricercata per iterazione da un computer. Il procedimento di ricerca era in s talmente ponderoso e complesso da precludere qualsiasi preventivo atto immaginativo: non si poteva, cio, nemmeno lontanamente anticipare in immagine uno solo dei possibili risultati. Ne scaturiva un solido ad alta connettivit (che, in sostanza, si avvitava su s stesso alla maniera di una nastro di Moebnius, autocompenetrandosi). Il solido riportato su un vecchio numero monografico di Parametro dedicato a Musmeci e ai suoi antipoliedri. Numero che, ovviamente, ora che mi serve non trovo: devessere una costante di sottofondo, questa, che toglie casualit al caos.
Simili .condizioni generative possiamo immaginarne, imporne e verificarne a iosa; la loro peculiare caratteristica che non sono generabili da un preventivo atto di immaginazione, da unoperazione di visualizzazione. Ovvio che forme del genere non fanno, di per s, architettura. Ma forse utile focalizzare lattenzione su un punto non trascurabile: dimostrano che oltre luniverso finora conosciuto sono possibili intere famiglie, e forse infiniti di ordine n, di forme di cui ignoriamo lesistenza. Iniziare a indagarle significa potersi avventurare in configurazioni morfologiche governate da leggi finora sconosciute. E questo comporta imprevedibili modificazioni nella nostra stessa percezione e/o indagine costitutiva della realt che ci circonda, esattamente come le geometrie euclidee hanno finora svolto un ruolo fondamentale nella nostra percezione della realt. Sostengo, insomma, che il patrimonio formale di cui in un dato momento disponiamo ha un ruolo non trascurabile, con le sue leggi interne, ed ipoteca in parte le nostre valutazioni delluniverso percepito. Se cio fin da piccoli ci abituassimo a ragionare non in termini di punti, rette, piani, ma di curvature, di intorni ellittici, parabolici, iperbolici, molto probabilmente ci muterebbe radicalmente anche i nostri moduli di rappresentazione e di pensiero della realt.
b, credo che sia fin troppo ovvio, ma nellarticolo di Galvagni non mi pare abbastanza evidenziato, che se qualsiasi forma si pu ottenere con i metodi tradizionali della costruzione di modelli (plastici) non ogni tipo di materiale e di tecnica di modellazione ci consente gli stessi risultati. Non ci ho mai provato, ma penso che sia impossibile modellare una bottiglia di Klein (equivalente 3D di un nastro di Moebius) ricorrendo a una colata di bronzo fuso in uno stampo. Anche qui, ometto la figura. Nei lontani anni 70 immaginai, per un esame di Composizione, un edificio strutturato in nuclei connessi da un percorso-mostra che imponeva di accorpare le opere esposte per valori figurativi invece che per autori: le vetrate cambiavano continuamente giacitura, avvitandosi intorno al visitatore, per cui la luce penetrava ora da sinistra, poi gradiualmente dal pavimento, da destra, dallalto, rimodulando cos con continuit la luce. Ogni volta che il percorso, che si imboccava da una piazza, incrociava i nuclei funzionali, i vetri si disponevano in alto e si stiravano fino a compenetrarsi con i poli di servizi.
Partii direttamente da un modello in cartone dellintorno nel quale inserii un modello in plastilina (oggi andato perduto) dellintervento e portai tutto al Corso di Storia II Zevi per avere spunti, suggerimenti, consigli: la forma complessiva mi pareva ancora poco strutturata, come in cerca di qualcosa di s e delle proprie interne necessit. Si poteva pensare, date le grandi luci dei percorsi, di affidarsi alla logica strutturale delle tensioni superficiali (gusci) ma era una via che in quelloccasione mi interessava poco: mi premeva, si, che si avesse la sensazione di poter correre anche su pareti e
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808
di Fausto Capitano
del 19/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Eh, i "luoghi comuni"! ... Essi, s che sono una brutta bestia! E quest'ultimo riguardante la "rivoluzione informatica in architettura", non n pi n meno montato ad arte di quello secondo il quale esiste "architettura" ed esiste "edilizia". Gentile maestro Galvagni, io sono certo che Lei prova il medesimo fastidio anche di fronte ad esso. La distinzione merceologica tra "architettura" ed "edilizia" usata da anni a mo' di air bag per salvarsi la faccia (e tutto il resto) ogni qual volta le ragioni del denaro si scontrano con quelle della facile evangelizzazione degli apostoli del "giusto progetto"; oppure quando l'architetto (portatore sano di coscienza dello spazio e cultura della forma) deve sterzare contro il muro delle societ d'ingegneria integrata, a servizio dei costruttori rampanti. L'"edilizia" il complesso delle attivit che porta a costruire "architettura"; non si pu dare significato di "prodotto" ad un "processo produttivo": illogico. Mi azzardo a pensare che anche Lei d'accordo su questo dato di fatto. Eppure da tempo, la critica architettonica e l'opinione pubblica delle "teste calde in materia", non fanno che sostenere questa distinzione, asserendo, altres, che dietro un "prodotto edilizio" c' l'opera monca di un ingegnere e dietro un'"architettura" c' il pensiero e l'azione di un architetto. L'illogicit della tesi che sostiene l'esistenza dell'"edilizia" in contrapposizione all'"architettura", fa decadere anche la legittimit dell'apartheid tra ingegnere ed architetto ..., ma questa un'altra storia (che probabilmente non Le interessa!). Ritornando alla Sua frustrazione, penso che, prima di Lei e come Lei, decine di intellettuali hanno ufficialmente dichiarato che il computer solo uno strumento. Fin qui, quindi, niente di nuovo su antiTHeSi, anzi... sento aria di "luogo comune": armamentari, modelli in scala, particolari architettonici, costi e tempistica... Tutta roba trita e ritrita, apparentemente estrapolata dalle brochure di promozione dei software CAD. Ma Lei, maestro Galvagni, si spinge pi in l: sottolinea che le "forme inedite" del "great brain" di turno, appartenente allo star system, non sono un effetto del CAD, ma sono soltanto pi affascinanti, pi imbellettate, pi mercificate. Le "forme inedite" sono massmediatizzate con un bel valore aggiunto hi-tech, ma anche in un ipotetico nuovo medioevo potrebbero venir fuori da righe e compassi! Mah! ... Le sue "tappe storiche", poi, sono l'icona di uno sguardo attento sul mondo, e Lei, avendone sentite e viste di cose in sessant'anni di professione..., Lei s che pu guardare e ricordare con potere di sintesi. E l'esperimento sulle "matrici formali" un'ottima chiusura alla questione. Un bel tappo, rigorosamente "digitale", che denuncia il rischio di serializzare pensieri ed atti architettonici, da qui verso il futuro; epilogo/prologo che avverte sul modo sbagliato di chi costruisce "senza luogo", senza sfruttare il genius loci, senza rapportarsi alla "materia del posto", che sia terra, pietra, aria o sentimenti. Ma, cosa c'entra questo col computer? L'interfaccia cartesiana perch un "uomo cartesiano" compila, in linguaggio macchina, una piattaforma software sapendo che essa dovr "parlare e fare" insieme con un "utente cartesiano". L'invito all'ortogonalit la manifestazione di un compromesso tra la nostra limitatezza mentale e l'infinito di potenzialit della macchina. Il fatto che "io utente" ricevo l'invito ad ortogonalizzare, non significa che "io creativo" ortogonalizzer sul serio! Tenga presente, maestro Galvagni, che la griglia cartesiana si pu nascondere dallo schermo: la rivoluzione si cela nel click! Il fatto che la macchina mi permette di lavorare "rapido e gerarchizzato" usufruendo anche di "asettiche librerie di forme" non pregiudica la mia sensibilit verso il luogo, verso le vive suggestioni ambientali, ecc. Questo suo scritto mi d un solo messaggio forte (e pu anche darsi che non sia affatto il messaggio che Lei vuol dare): l'uomo tarda sempre a riconoscere in un'ennesima rovinosa caduta senz'appoggi, l'inizio di un salto gigantesco.
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805
di Andrea Allevi
del 17/10/2004
relativo all'articolo
Tra Loos e Wright : Giuseppe De Finetti e villa Cr
di
Luca Guido
Spett.le Luca Guido,
subito una premessa: non conosco personalmente n lei, n i responsabili di questo sito, n Roberto Dulio, cio l'autore dell'articolo
che ha ispirato il suo commento.
Mi sono interessato alla figura di De Finetti in relazione ai rapporti culturali tra Italia e America fra le due guerre. Per questo ho trovato interessante il breve saggio pubblicato su "L'Architettura". In realta sono incappato prima - cercando su internet - nel Suo commento su Antithesi, che mi ha incuriosito, e subito sono andato a leggere il saggio in questione.
Il testo mi sembra ben scritto, ben argomentato, con tutte le cautele e i condizionali che l'argomento e le supposizioni dell'autore richiedevano. Inoltre mi sembra che uno dei punti di merito fosse anche quello di aver individuato le ragioni della sfortuna critica di De Finetti.
Proprio quelle ragioni ben spiegate nel saggio, trovano una ricaduta del tutto fuori tempo nel Suo commento - di cui non condivido nemmeno una parola - che mi sembra ispirato dall'esasperazione gratuita e dalla riproposizione di posizioni critiche comprensibili e condivisibili in un dato momento storico, ma che oggi, irrigidite in quei dogmi che lei ripete come fossero il decalogo, mostrano tutta la loro povert critica.
In questo modo Lei rappresenta proprio un esempio di quella "critica conservatrice" che tanto vorrebbe "bacchettare". E la sua storiella dell'architettura tra le due guerra raccontata in tre pagina storiograficamente risibile e criticamente rappresenta la banalizzazione, ripeto, di posizioni ormai datate che Lei non ha neanche conpreso e solo banalmente iterato.
Il tutto non meriterebbe neanche un commento, se non fosse che mi ha irritato profondamente la sua sicumera e la sua autoproclamazione a detentore della verit e a fustigatore dei "cattivi". Cattivi poi perch? Perche sostengono delle idee diverse dalla sua? Muzio e Rossi sono stati forse dei criminali di guerra? E Terragni fascista che fa architettura antifascista a chi la andiamo a raccontare?
Rifletta un po' e si accorger che l'unico atteggiamento reazionario il suo.
Cordiali Saluti
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17/10/2004 - Luca Guido risponde a Andrea Allevi
Spett.le Andrea Allevi,
subito una premessa: sono contento di non conoscerla e di non conoscere neanche Roberto Dulio.
In effetti se curassi io quella rubrica (ma non ci tengo affatto) può stare sicuro che quel tipo di articoli non comparirebbe. Nè dimostrerei tanto provincialismo nella scelta degli argomenti o delle recensioni. I testi ben scritti, ben argomentati, con tutte le cautele e i condizionali che l'argomento e le supposizioni dell'autore richiedono non li trovo interessanti. Come avrà capito la normalità la lascio a voi. Abbiamo chiaramente due opinioni diverse.
Le mie parole erano volutamente provocatorie...e mi pare di aver scalfito qualche luogo comune sul cosidetto "razionalismo italiano" dei Libera, Muzio, Piacentini...
"L'operazione Dulio" (ovvero della "riesumazione dei corpi-morti"), è giusto fregiarla col nome di uno sconosciuto che vive del passato -e nel passato-, riecheggia tutta in questa domanda:
Sennò alla mediocrità chi ci pensa?
Per fortuna ci sono università, scuole, case editrici, ministeri (es. Darc), o nel caso De Finetti c'era la rivista-organo ufficiale degli architetti fascisti ...
La noiosa avanguardia dello spolverio delle librerie non fa parte dei miei poveri strumenti critici. Io infatti non mi affido solo alla critica ma alla storia.
Mi dispiace dirle che non mi meraviglio di vedere in giro pubblicazioni formaliste e superficiali sul provincialismo architettonico italiano o straniero. Queste operazioni infatti non hanno tanto valore in sè ma in quanto servono a giustificare un apparato che si è atrofizzato proprio su quelle tesi. E' per questi motivi che l'architettura italiana soffre di provincialismo. Non è utile raccontare che la storiografia ha avuto le bende sugli occhi (argomento che mi pare condividiamo entrambi) senza riconoscere che continua ad averle: in altre parole riesumare DeFinetti= non avere nulla da dire su Terragni o in genere sui maestri= rivalutare pseudo-architetti contemporanei che hanno allontanato l'Italia dai circuiti culturali. (Se vuole i nomi guardi il mio commento precedente.)
Perchè fare questo? Risposta:
Sennò alla mediocrità chi ci pensa?
La ringrazio del suo non-commento ma la invito a disinteressarsi di me e a pensare un pò più seriamente ai motivi che stanno dietro le pubblicazioni di architettura in Italia.
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806
di Fausto Capitano
del 17/10/2004
relativo all'articolo
La carica dei Cinquecento
di
Mario La Ferla
Aristotelicamente scrivendo, se la politica "architettonica" rispetto all'economia, e l'economia (le dinamiche di mercato) "architettonica" rispetto alla societ, si deve pensare che il mercato "architettonico" rispetto all'architettura. Allargando lo sguardo, allora, la parola "architettonica" rispetto al segno dell'architettura; il politico, cio, "architetto" rispetto al progettista di spazi, come anche l'imprenditore e l'investitore sono "architetti" rispetto al pensatore e disegnatore di spazi. Massonicamente semplice, vero!? Questo il mondo. Costruito da consorterie di "muratori liberi", sempre meno sporchi di calce, con sempre meno calli alle mani, ma con pi lauree, pi dialettica, pi pubblicazioni e partecipazioni a convegni e ad assemblee, pi risorse hi-tech, pi controllo della base (a partire dalle scuole dell'obbligo!). E non c' motivo di denunciare tutto e tutti, non c' motivo di temere per la sopravvivenza della giustizia, come emerge dallo scritto di Mario La Ferla, perch, se il "tempio" universale della Giustizia degli Uomini (il Tempio di Re Salomone) stato "costruito" dal Maestro di tutti i "liberi muratori", questo deve pur significare qualcosa, deve dare la certezza che[...].
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803
di Carlo Sarno
del 16/10/2004
relativo all'articolo
Tra Loos e Wright : Giuseppe De Finetti e villa Cr
di
Luca Guido
Caro Luca Guido, ti ringrazio per aver evidenziato un aspetto della crisi della critica architettonica ma, secondo me, non bisogna soffermarsi troppo sui lati negativi.
Focalizziamo la nostra attenzione e le nostre energie su tutto ci che di buono ha prodotto l'Architettura Italiana in questi ultimi tempi. Non lasciamoci trascinare su falsi discorsi e false realt. La buona architettura in Italia esiste, saranno opere pi o meno note, pi evidenti o meno evidenti, ma la testimonianza c'.
Non facile oggi con tutti i vincoli reazionari esistenti creare una architettura innovativa, ma vedo che ovunque esiste una tensione alla realizzaione creativa e propositiva, pi o meno riuscita, ma esiste.
Cerchiamo di prendere il meglio di tutte queste esperienze e costruire una nuova e proficua cultura operativa architettonica in Italia.
Ad esempio di ci cito soltanto lo spazio esistenziale-sociale-organico di Giovanni Michelucci, o lo spazio lirico-ecologico-morfologico di Mario Galvagni.
Parliamo del bene, parliamo della vera architettura creativa, non lasciamoci distrarre, costruiamo una nuova societ organica di pace, amore e felicit, nel solco della verit e libert.
Carlo Sarno
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16/10/2004 - Luca Guido risponde a Carlo Sarno
Caro Carlo Sarno,
Mi dispiace ma non sono disposto a chiudere gli occhi.
E' vero che in Italia ci sono -e ci sono state- tante cose positive ma è altrettanto vero che non viene dato sufficiente spazio a queste "novità".
Se poi anche nelle riviste meno legate ad ambienti accademici e di potere vengono portate avanti e si da spazio a queste ricerche-schifezze rimango quantomeno perplesso.
In fondo, nel mondo delle riviste, gli architetti che fanno ricerca vengono pubblicati per vendere copie e non sono quelle le pubblicazioni che contano. Quello che conta per esempio non è trovare frequentemente Gehry o i Coop Himmelb(l)au pubblicati in Casabella (non meravigliamoci di questo) bensì trovare molto meno frequentemente, ma con più peso, i progetti di Massimo Carmassi, di Francesco Venezia, di Gae Aulenti...facendo immediatamente di quella rivista un punto di riferimento per un certo mondo dell'architettura.
E in effetti poi i nomi "italiani" affermati e conosciuti all'estero non sono certo quelli di chi fa davvero ricerca, ma quelli di poco fa con l'aggiunta dei Portoghesi, dei Braghieri, dei Monestiroli, dei Natalini, dei Gregotti, ecc... c'è chi parla solo italiano.
Per fortuna ci sono Fuksas e Piano ma il loro professionismo non basta.
Questa italianità omologatrice non mi appartiene.
C'è chi parla molte lingue.
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801
di Leandro A. Janni
del 12/10/2004
relativo all'articolo
Vati e gag
di
Ugo Rosa
Carissimo Ugo,
dopo aver letto il tuo (sempre) divertente pezzo su Sgarbi mi chiedo: ma quanti architetti "lobotomizzati" abitano e operano nel nostro bel Paese?
Attribuire tanto potere a Sgarbi, mi pare eccessivo e fuorviante.
Come diceva il prof. Mirabella, "esiste la donna fatale, perch c' l'uomo inmbecille".
Saluti affettuosi.
Leandro A. Janni
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802
di Ugo Rosa
del 12/10/2004
relativo all'articolo
Vati e gag
di
Ugo Rosa
Risposta a Leandro Janni
Carissimo Leandro, non che io attribuisca chiss quali poteri a Sgarbi (a parte quello, non trascurabile, di far ridere). Il punto non il potere "personale" di questa o di quella marionetta. Nessuna marionetta ha altro potere che quello, appunto, che gli deriva dal possedere un sembiante ridicolo. Tutto invece risiede nello spettacolo. Il potere oramai una pura e semplice idea, nessuno (neppure qui a Berlusconia...) ne gestisce pi di tanto in modo diretto e personale. E' proprio questo che rende l'epoca inquietante. Nessun imbecille ha, in fondo, altro potere che quello di gestire la propria imbecillit e di proiettarla intorno (a minore o maggiore distanza naturalmente e perci c' differenza tra lo stupido che s'allarga al bigliardo e quello che lo fa in tv..) ma questi cerchi s'intersecano e s'intersecano...alla fine tutto lo stagno ne invaso.
Il potere , oggi, qualcosa del genere: intersecazione di piccole onde di imbecilit, di furbizia e di cinismo che si trasmettono l'un l'altra il loro movimento. Ma quel movimento, infine, sembra acquistare una fisionomia unitaria e per niente rapsodica...
p.s.
...e tuttavia, caro Leandro, Piazza Armerina qui a due passi ed io non sottovaluterei affatto i risultati che pu ottenere un piccolo ridicolo potere applicato con una lente ustoria...prendila come vuoi ma io (a proposito di cose ridicole) non compero pi zucchero Eridania: poco ma meglio che niente.
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800
di marco luciano
del 10/10/2004
relativo all'articolo
Acqua al mio mulino
di
Silvio Carta
Penso che la visione dell'architetto, esposta dal Sig. Silvio Carta, sia un p la visione, purtoppo, comunemente convisa dalla maggior parte della gente.
Mi riferisco ad una visione dell'architetto borghese, legata inevitabilmente ai percorsi universitari.
Vorrei ricordare che alcuni dei pi grandi architetti non erano neppure laureati, o taluni lo erano in altre facolt.
Per quanto riguarda poi la questione Ingegniere vs Architetto, sarebbe l'ora di smetterla con questa discriminazione borghese, e poco produttiva. Personalmente amo in modo particolare un architetto italiano Pier Luigi Nervi, che come molti sanno era un ingegnere e non un architetto. Si vero i percorsi formativi, seppur spesso trattando gli stessi argomenti, utilizzano un approccio pi scientifico per i primi e pi umanistico per i secondi, ma penso che per fare ARCHITETTURA, sia altre le caratteristiche necessarie, e non un titolo accademico.
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799
di vera des grottes
del 09/10/2004
relativo all'articolo
Quelques considerations sur l'enseignement et le m
di
Guidu Antonietti
chr monsieur...
Je suis touche, pour son temoin, car moi meme j'ai t architecte au brsil. Depuis qui je suis en france j'ai travail comme dessinatrice car mon france et male, et j'ai au tre de deficult dans la boite a quelle j'ai travail. Puis qui l'architecure en france est tre restrit, nous au Brsil l'architecte est polivalant et il sait faire presque tout dans se milie.
a me fait plaisir de savoir qui peut importe la nationalit les architecte en generale en de dificulte dans se milie obscure.
Merci ...
obs. excuse moi pour le france, male ecrit
je vous embrasse.
coordialment vera des grottes [email protected]
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797
di Giannino Cusano
del 02/10/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
I computer -che amo e uso fin dall'era protostorica degli Apple II - aprono inedite possibilit nel plasmare forme-significani (= assiemi di spazio-materia) e non solo nuove libert-responsabilit per i progettisti ma, quel che pi conta, pi opzioni per gli utenti finali.
Mi lasciano perlesso alcune affermazioni di Eisenman: credo, invece, che stiamo vivendo un momento straordinario non solo per i capolavori che sta producendo ma anche per un potenziale -e non solo- innalzamento del livello 'medio' della produzione architettonica. E' ovvio: pi si fa, pi rischi ci sono anche in termini di formalismi ed eclettismi: ma vale la pena correrli.
Vorrei aggiungere una riflessione a margine: non mera apologetica sostenere che quasi nessuno conosceva Bilbao finch, dopo il Guggenheim e grazie ad esso, non divenuta meta di turismo internazionale. E' solo un esempio fra mille possibili.
L'Italia spende poco per l'architettura perch, appunto, contunua a considerarla un costo. Forse ora di cominciare a considerarla, invece, un investimento economico. E i fatti lo provano: la Guggenheim Foundation ha risanato i propri bilanci grazie all'operazione Bilbao. E il Museo di Gehry si ripagato in un solo anno di gestione di una fetta enorme del proprio costo di costruzione.
Un'operazione culturale fra le pi geniali paga anche in termini di ritorno economico; penso sia merito del genio di Gehry, ma gli strumenti inediti che la tecnologia gli offre hanno un ruolo notevole. Basti pensare che la produzione industriale, grazie ai computer, non pi necessariamente ripetitiva: e come i ferzi di una vela sono tutti differenti fra loro, ma tutti rigorosamente modellati e pilotati -in fase di taglio- dal computer, cos anche per le tessere di una copertura o di un pavimento.
Bilbao paga perch colpisce l'immaginario arricchendolo al modo proprio dell'architettura: posso viverla e percorrerne gli spazi. Perch la cultura, in fin dei conti, sono i cittadini: prima di essere nelle teste, diceva Benedetto Croce, le idee nuove sono nelle strade e nelle piazze. E non potrebbe essere altrimenti...
Cultura ed economia: Bilbao paga e rende perch incarna spazi inediti. E forse proprio questo aspetto meramente economico-finanziario dell'urbatettura dell'et informatica sarebbe il caso di rimarcarlo puntualmente, cifre alla mano, ai nostri amministratori.
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Commento
796
di Guidu Antonietti
del 01/10/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
Sono completamente d'accordo con ci che detto da Isabel Archer
La situazione strettamente identica in Francia...
Lo dicevo proprio qui!
Guidu Antonietti di Cinarca directeur de la rdaction de aROOTS
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795
di Isabel Archer
del 01/10/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
Virus founded.
Anomalia nel sistema. E forte il malessere, la sensazione di smarrimento: ad unazione non corrisponde leffetto che ci aspettavamo. Chiavi che dimprovviso non aprono pi, lastre di ferro alle pareti al posto dei consueti quadri preferiti. Incongruenza sottile e terrificante.
A questo va incontro il giovane architetto a causa della generale squalificazione della professione. Comincia dalla Biennale, in cui larchitetto italiano relegato ad apparatore dinterni, e sinsinua nella triste committenza quotidiana.
Gli studi, sullurbanscape, sui flussi e gli attrattori, sullhousing modulare, le progettazioni complesse delle numerose menti illuminate buttati in pasto ai pesci della laguna.
E questo che vogliamo?
In Italia, non si costruisce il futuro, il profitto e il cieco nepotismo guardano a un palmo dal proprio naso. Mentre il resto dEuropa e del mondo va avanti, la struttura formativa italiana marcisce, si abbassa il livello medio di cultura e la capacit competitiva precipita nellabisso.
I ricercatori motivati sono trattati come intrusi nel diffuso lassismo dei meschini giochi universitari e, talvolta, quasi osteggiati. Perch altrimenti sarebbe palese limbecillit dei pargoli pasciuti ed ottusi, futuri professori ereditari, malati di anemia creativa.
E mentre si pensa al vantaggio di pochi, i galli si apprestano a cantare sullimmondizia, perch saranno padroni s, ma di un paese decadente e non inseribile nel mercato mondiale. Sparute occasioni pubbliche per svolgere la vera professione di architetto sono, in realt, assegnate ai grandi professionisti esteri, un po per acclarata e lampante superiorit, un po per moda, qualche contentino qua e l ai figli di pap. Per il resto, larchitetto comune si scontra con la diffusa opinione che la propria qualifica sia poco pi di quella di un costruttore, costretto a combattere contro i burocrati statali, messi l, nei posti cruciali, mai per merito e, solo per pura fortuna, raramente illuminati.
Eppure i giovani hanno voglia dimparare, ma trovano bastioni invalicabili nella falsa cultura pseudo-storicista di cui simpastano, a volte irreversibilmente, nelle pigre lezioni degli atenei.
La ruggine viene via, le croste novecentiste cadono e basta grattare solo un po per vedere che la metamorfosi c, esiste anche in Italia. Ma chi aiuter tutti questi piccoli bruchi?
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794
di martino buora
del 01/10/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
“Amate l’architettura moderna, dividetene gli ideali e gli sforzi, la volontà di chiarezza, di ordine, di semplicità, d’onestà, di umanità, di profezia, di civiltà”. “Amate le meravigliose materie dell’architettura moderna: cemento, metallo, ceramica, materie plastiche”. “Amate gli architetti moderni – non ci sono altri architetti per voi – ma siate duramente esigenti con essi: esigete da loro case felici e perfette per confortare la vostra vita con una architettura civilissima bella serena luminosa sonante chiara colorata e pura / esigete da loro scuole e istituti bellissimi civili luminosi per i vostri figli /chiese protettrici della preghiera, della speranza e dell’affanno degli uomini, con forme purissime / cliniche perfette per la vostra guarigione, e per onorare le nascite/ (essi devono fare anche reclusori civilissimi, per quelli di noi che sono sventurati)/ (essi devono fare anche nobili cimiteri e nobili tombe) / esigete da loro città felici e civilissime”.
Gio Ponti
Amate l’architettura
Genova, 1957
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793
di Giannino Cusano
del 01/10/2004
relativo all'articolo
Vati e gag
di
Ugo Rosa
Ha scritto Isabel Archer:
"Colgo loccasione, a proposito del progetto per lAra Pacis, per sottolineare che la ricostruzione del Porto di Ripetta costituisce la follia delle follie passatiste."
Giustissimo! Viene per spontaneo chiedere: perch, allora, non firmare -e soprattutto far conoscere e sottoscrivere anche ad altri, specie se non ancora lettori di Antithesi- l'appello a Veltroni in favore del progetto Meier?
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792
di Isabel Archer
del 01/10/2004
relativo all'articolo
Vati e gag
di
Ugo Rosa
E bello che Ugo Rosa affronti questi temi con accattivante ironia, ma stiamo ben attenti al portato della follia passatista:
La tensione polemica aveva raggiunto il vertice. Terragni di sorpresa, eludendo la commissione edilizia e creando il fatto compiuto, era riuscito ad ultimare il Novocomum; la rivista Il Belvedere di Milano, diretta da Bardi, ne aveva tratto spunto per una fragorosa campagna contro i plagi neoclassici, il monumentalismo, le tendenze compromissorie e i loro fautori. Alla vigilia dellesposizione, il libello Rapporto sullArchitettura di Bardi denunciava il monopolio professionale formatosi in Italia, a seguito del quale pochi uomini, di nessuna rilevanza artistica ma conniventi nel potere politico-economico, controllavano sindacati, organi delle belle arti, dellistruzione, dei lavori pubblici, commissioni edilizie comunali e facolt universitarie, esercitando, mediante una rete di accaparramenti e clientele, una vera dittatura. (B. Zevi)
Colgo loccasione, a proposito del progetto per lAra Pacis, per sottolineare che la ricostruzione del Porto di Ripetta costituisce la follia delle follie passatiste.
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791
di Giannino Cusano
del 29/09/2004
relativo all'articolo
Vati e gag
di
Ugo Rosa
In virt della permanenza del peggio avevo sempre pensato all'ineffabile S.V. come a 'il cicisbeo'. Vate-gag, devo dire, mi pare centratissimo: designa un pessimo e persistente costume nostrano, sempre in bilico fra vitellonismo culturale e frivolo presenzialismo salottiero, fra sagra paesana e ipertecnologia mediatica, in perenne attesa delle Verit rivelate dell'Ovvio.
Lo spaccio al pubblico-massa di gratificazioni a buon mercato, elette a rango di anticonformistico rigore, funziona ancora benissimo, in Italia. Purch abbia l'aria di voler cambiare tutto per salvare la sola cosa che, agli occhi di taluni, conta davvero: l'interminabile narco-vacanza del pensiero.
E l'autoparagone dell'ineffabile S.V. con Carmelo Bene la dice lunga: se il genio teatrale di Bene , oramai, silenzio, non pi problema, le spoglie del grande ben s'adattano all'ultimo grido in fatto di sniffate populiste. Del resto, 'memento: pulvis eris...'
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789
di Isabel Archer
del 27/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
Ragazzi siamo pronti ad una nuova resistenza per larchitettura contemporanea?
Parole sempreverdi:
In questa miscela di compromessi e di superficialit, di rimpianti e di rinunce, di adulazioni e di opportunismi, la falsa cultura si fa complice dellaffarismo e delle vanit pi pacchiane, lambizione si ammanta di inesistenti competenze, la burocrazia e lignoranza si associano automaticamente contro ogni idea viva, contro ogni libera discussione, contro ogni prova dei pi meritevoli e meno compromessi architetti italiani. (G. Pagano, 1941)
Parole che tornano:
Lartista nuovo ha perduto la fede in una tradizione italiana, e di contro alle pretese di questa si costituito un nucleo di formule, forse non chiare n definitive, ma che hanno unefficienza reale ed una reale consistenza: oscura e sotterranea intuizione della verit. Fa nulla che il contatto con larte europea sia, nellartista nostro, quasi unimposizione dallesterno; egli conquista il suo valore non perch crede in un gusto che sente, forse, irrazionalmente, ma perch ha bisogno di neutralizzare il peso di una costante tradizione, di sentirsi pi libero che sia possibile. In questo modo egli compiutamente un europeo. Il superamento di questa posizione non consister mai nellopposizione a una tesi cos illuminata e chiaroveggente, ma nel risolvere il problema di unarte italiana creando la razionalit, cio lintima esigenza di un gusto moderno. (E. Persico, 1934)
Profezie:
Il problema dellarchitettura nuova in Italia diventa quello stesso dellarte in generale. Gli artisti debbono affrontare, oggi, il problema pi spinoso della vita italiana: la capacit di credere a ideologie precise, e la volont di condurre fino in fondo la lotta contro le pretese di una maggioranza antimoderna. Queste esigenze rinnegate dalla refrattariet ideale dei nostri polemisti costituiscono leredit che noi lasceremo alle nuove generazioni, dopo aver sentito inaridire la nostra vita in un problema di stile; il pi alto ed inevitabile della cultura in questo oscuro periodo della storia del mondo. (E. Persico, 1934)
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788
di Alessandra s.
del 25/09/2004
relativo all'articolo
I grandi Architetti sono quelli che sono morti
di
Guidu Antonietti
Condivido pienamente l'articolo mentre un brivido mi percorre la schiena.
Proprio ora che mi sono riscritta ad Architettura e ho deciso di finire un percorso interrotto tempo fa.
Tutte cose che penso anch'io, ma allora come se ne esce? Non rido ad essere trattatta come "schiava", difficile lavorare in questo campo, se non sei figlio d'arte e di un certo censo le strade da percorrere sono poche. Sono pochi quelli che si possono permettere bei master a pagamento, e un livello superiore e tanti soldi per aprire uno studio.
La verita' e' che un mestiere da ricchi. Forse addirittura una moda.
Se sei ricco puoi permetterti la libera professione, altrimenti sei sfruttato.
Purtroppo la realta' in cui viviamo, un conflitto continuo in queste metropoli dove lo spazio e' tutto scandito dal profitto e siamo a volte ridotti a topolini in tante gabbie palazzi con smog smog e tante sigarette, cemento nero e grigio......ma sono nata in questo mondo, studio Architettura soprattutto per me perch nella mia testa e nel mio cuore c' un altro mondo un altra citta' un territorio diverso, forse solo un sogno, ma se smetto di sognare e di studiare soluzioni e penso solo al devasto che mi circonda allora la fine.
L 'Architettura politica ed una potente arma di controllo sociale, se tutti ne avessimo piu' consapevolezza forse le cose cambierebbero.
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787
di Irma Cipriano
del 24/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
A parte che il fare un paragone tra architettura moderna e nouvelle cuisine - e gi, si scrive cos - fa un po' ridere, mi pare che Lei abbia fatto di tutto un minestrone (per rimanere sulla cucina tradizionale, cos Lei pi contento).
Comunque il ritratto finale da Lei tracciato sostanzialmente questo: architettura moderna uguale fallimento, architettura tradizionale (vorrei da Lei una definizione di architettura tradizionale, per cortesia, l'ho cercata sul Pevsner-FLeming e non l'ho trovata!) uguale vittoria totale sul campo sempre vincente dell'uomo comune che vive, si sa, di ideali peggio di quelli del Mulino Bianco. ( ! )
Fino a quando continueremo a raccontare la favola che la gente vuole le case con le colonne e gli archi e magari il mattone a vista finto rovinato? Diciamo che la gente vuole questo perch architetti ignoranti e privi di inventiva l'unica cosa che san loro proporre. Che la gente voglia determinate cose, e che quindi il nuovo fallisce sempre, ci che dicono di solito i dittatori o i conservatori della peggior specie, che temono sempre l'arrivo di qualcuno pronto a togliere loro il pezzetto di potere che hanno ottenuto lisciando il pelo a chi di dovere.
Anche se poi fosse davvero cos, ha senso scusi continuare a costruire schifezze? Siccome la gente vuole Veline e Grande Fratello diamo loro solo ed esclusivamente Veline e Grande Fratello? E gli altri? Gli altri snob che non se li vogliono cibare ( ! ), si arrangino. La sera invece che guardare la tiv, se ne vadano in quei covi da carbonari che sono i ristoranti di cucina "destrutturata". E che ci si strozzino.
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786
di Isabel Archer
del 23/09/2004
relativo all'articolo
Acqua al mio mulino
di
Silvio Carta
Gentile Silvio Carta,
il suo racconto appassionato e straordinariamente delicato, tocca il cuore. Sembra di rivedersi, venuti fuori da un liceo gi abbastanza deprimente e frustrante (in cui chi leggermente diverso dagli schemi pu vedersi addirittura deriso da alcuni professori di quarta categoria), scegliere solennemente la Facolt della nostra vita, quella che ci consentir finalmente di esprimere noi stessi, i nostri sogni.
E se anche non fossimo stati cos ingenui allora da credere nellArchitettura, quella vera, e nel sistema universitario italiano (nessuno te lo spiega che i tuoi studi in Italia li devi fare da te se vuoi imparare veramente qualcosa), non sempre i nostri genitori avrebbero avuto la possibilit economica o lapertura mentale di aiutarci a studiare altrove o forse i nostri genitori sono ingenui pi di noi.
E allora solo pochi temerari, smaliziati (beati loro) e pochi figli di pap hanno scelto il percorso giusto per fare della vera architettura.
Le assicuro che il quadro che lei dipinge, se pu consolarla, non molto diverso dalle eccelse facolt di architettura italiane, in cui i baroni saccenti (quelli ufficialmente ritenuti veri architetti) ti guardano altezzosi, valutando quante stelline hai sulla divisa, se tuo padre, tua madre o tuo zio gli possono servire, se ti possono sfruttare in qualche modo, se hai qualcosa che possono prendere, fossero almeno bravi in questo tipo di valutazione, sarebbe un loro merito, ma non sanno nemmeno riconoscere il valore di una persona appassionata, che ha voglia di sperimentare, a loro non interessa sperimentare, ma mantenere saldo il loro deretano sulla poltrona doro (perch alla fine sempre di denaro si tratta).
E siamo sempre qui, a non fare i nomi, perch questi detestabili baroni ci servono ancora, anche dopo, anche quando facciamo lesame di stato e pensiamo di essere gli unici deficienti che non riescono a superarlo, ma poi lo squallore della professione che impariamo a conoscere dimprovviso cillumina e capiamo che questi baroni sono la nostra condanna a vita, che ci serviranno sempre, perch comandano anche negli ordini professionali.
E questi baroni, che ci hanno propinato i loro libri, spesso inutili e boriosi, ci serviranno anche quando pensiamo che il nostro destino fare ricerca, perch nessuno riesce a fare ricerca senza di loro in Italia.
E non sapevamo a 18 anni, persi nei nostri sogni sul futuro di citt vivibili, in armonia con la natura e con lo spirito degli esseri viventi, che fare architettura significava convivere ed essere conniventi con la camorra e la mafia del mondo delledilizia, degli assessori e dei baroni universitari che tante volte abbiamo ingenuamente venerato.
E le poche eccezioni, i pochi professori che fanno veramente i professori, sono visti come mosche bianche, quando dovrebbero essere lo standard.
Non c che da invidiare chi ha la fortuna di incontrare almeno un professore vero sulla sua strada, almeno uno, che ti fa scattare la scintilla e ti fa rendere conto che quello che ti hanno insegnato, quello che hai assorbito come oro colato dalla bocca di fantocci, vestiti bene, distinti e pieni di s, tutto da buttare nella spazzatura.
Capisco come questo dolore possa rinnovarsi e rifluire pericolosamente, proprio nei giorni della Biennale, quando ci accorgiamo quanto indietro siamo rimasti.
Non pensino, quindi, gli studenti di ingegneria edile-architettura che avrebbero incontrato un miglior destino nelle vuote e gelide cattedrali delle facolt di architettura italiane.
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785
di Andrea Pacciani
del 22/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
In risposta ad Irma Cipriano.
Condivido il tutto, solo che se vado in un ristorante di nouvelle cousine,con poca competenza, probabilmente non mi piace niente e non ci torno pi, e se lo scrivo su un quotidiano (non sulla Treccani) non si inalbera nessuno.
Esistono invece ancora ristoranti che praticano gastronomia tradizionale di alto livello di cui posso apprezzare l'alta qualit anche con poca competenza gastronomica.
E' questo il germe che ha portato al continuo fallimento dell'architettura e dell'arte moderna nel rapporto con il pubblico: non si pu apprezzare con poca competenza.
Inoltre in architettura moderna si vuole convincere la gente ad abbandonare la cucina tradizionale per la nouvelle cousine in maniera definitiva perch espressione della cultura proprio tempo supponendo una competenza e un gradimento unilaterale del pubblico.
La mia impressione che, metaforicamente ma forse anche architettonicamente (quanti sono i ristoranti di alta cucina high tech, post-razionalisti o destrutturati che funzionano?) , i ristoranti dell'architettura moderna siano sempre pi vuoti, in cui la gente non vuole andare affollando le pizzerie con antipasti di pesce e gli agriturismi.
Purtroppo per tutti coloro che hanno coltivato il sogno moderno, dai futuristi in poi, bisogna che si rassegnino al fatto che ci che il tempo ha decretato valido non diventa mai obsoleto ed sempre ricercato dalla gente perche ci si identifica con facilit; questo credo sia sufficiente per continuare a diffonderlo con qualit a partire dall'architettura, con la stessa dignit di qualsiasi sperimentalismo dagli incerti risultati.
Pertanto continuo a non capire perch sia vietato in architettura coltivare cultura regionale e tradizionale di alta qualit in continuit con le certezze del passato, con le risorse e le necessit di oggi come concesso in ogni ambito di cultura materiale.
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784
di Irma Cipriano
del 22/09/2004
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Acqua al mio mulino
di
Silvio Carta
Purtroppo anche coloro i quali decidono di muoversi dal proprio paese per approdare alla facolt di architettura scoprono prestissimo di avere di fronte un muro di cemento armato: costituito da docenti retrogradi; esami obbligatori inutili; esami che dovrebbero essere necessari e invece sono rilegati se va bene a opzionali, quando non sono del tutto assenti. Anche qui le curve non esistono, non funzionano, non servono. Anche qui estro e fantasia sono parolacce da ignoranti che non hanno capito che l'architettura serve, va usata, non deve essere un capriccio; dove si pensa ai numeri, cio alla massima cubatura sfruttabile, e non a cosa pu significare un progetto; dove lo studente stesso un numero, non ha personalit, e deve progettare in base a quello che vuole il docente ( o non lui il tuo commmittente??) Se l'ingegnere edile esce dalla sua facolt pieno di frustrazioni ed ideali inespressi o accartocciati, lo stesso per chi esce dalla "artistica" e "vera" facolt di architettura. Solo che l'inganno e la delusione sono stati ancora maggiori.
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783
di Irma Cipriano
del 22/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
In risposta a Pacciani e Buora.
Si dice che tutti abitano e vivono le citt e le architetture. E che quindi, usufruendone, hanno diritto a parlarne. Vero e giusto. Come si ha diritto allora di parlare di gastronomia, di moda, di arte, di letteratura. Perch tutti, fino a prova contraria, mangiano, si vestono, leggono e hanno gli occhi per vedere. Certo , che se io non ho alcuna competenza in arte o in gastronomia, cerco di evitare di scriverne un articolo su un giornale. E' questione di saper capire i propri limiti e, quindi, di buon senso. Tra amici, ad esempio, capita spesso di parlare di cose di cui un po' si capisce, anche se non sono pane quotidiano, ma mai si avrebbe la presunzione di scrivere un'articolo su Bobbio sulla " Rivista di filosofia ". O di insegnare ad un grande chef come si cucina un piatto anche se a mala pena si sa fare un uovo in padella. Il diritto di critica sacrosanto, ma o viene accompagnato da conoscenze e competenze oppure da molta umilt e percezione dei propri limiti. Purtroppo la presunzione e la saccenza non sono amiche del buon senso. Che dovrebbe far anche capire quando da una discussione meglio ritirarsi.
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782
di Andrea Pacciani
del 22/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
Solo la competenza fa apprezzare la qualit. E' un assioma che vale per tutta la cutura materiale che circonda: dalla gastronomia, all'arte, alla lettura, alla moda, ai motori, allo sport.
Il dibattito architettonico contemporaneo nega ogni competenza a chi architetto preparato non che tra l'altro colui che deve vivere quotidianamente quegli spazi su cui non pu proferir giudizio.
Purtroppo l'arte e l'archiettura moderna contano su un apprezzamento che non fondato solo sull'esperienza diretta ma sulla conoscenza di tutto ci che vi sta dietro disciplinarmente o sull'emozionalit dell'evento.
Ma l'architettura e la citt sono oggetti d'uso quotidiano, prolungato nel tempo per generazioni dall'intera collettivit e non oggetti di consumo destinati ad addetti specialistici nel tempo breve.
Da qui la competenza di base nella nostra disciplina appartiene a tutti per il semplice motivo che tutti vivono, abitano, lavorano, frequentano, viaggiano.... Anzi questa competenza si affina col tempo senza essere architetti o aver studiato scegliendo luoghi da visitare, personalizzando i propri ambienti.
Facciamo tesoro degli interventi dei pochi non addetti ai lavori che si avvicinano a questo mondo cercando di capire perch sono costretti a vivere in posti che non piacciono, in cui non si identificano e non si capacitano dell'incomunicabilit dell'architettura contemporanea con la loro vita civile
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781
di Ugo Rosa
del 21/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
Risposta al commento n. 780
Lei, gentile signor Buora, mi simpatico per tre motivi che prover a descriverle.
Mi simpatico, in primo luogo, perch, dall'isola che non c', mi fa sapere che avrei dovuto rispondere a Langone non su Antithesi, bens direttamente sul Foglio.
Magari, che dice, con un bel paginone a sei colonne, giusto per pareggiare il conto e lavorare ad armi pari?
Bastava chiederlo a quel sant'uomo di Giuliano Ferrara:
"Egregio signor Ferrara, mi favorirebbe un bel paginone sul Foglio ch avrei da sfotticchiare un po' l'amico suo Langone?
Certo si accomodi, vuole l'edizione del sabato oppure quella del marted?
Facciamo cos, mettiamolo gi a puntate e lo alleghiamo come gadget insieme ai pensieri di babbo natale e alla pipa di braccio di ferro".
Mi rendo conto che, nel paese dei campanelli, le cose funzionano effettivamente cos. In questo, purtroppo, no.
Perci (mi auguro che Sandro e Paolo non se la prendano e non si sentano, da questo, sminuiti) ho dovuto accontentarmi di Antithesi.
Lei mi simpatico, inoltre, per via della sua efficienza nel trattare le virgolette. Possiede il segreto del virgolettato esaustivo: ha stabilito che le tredici
parole da lei selezionate sono "il nucleo del mio articolo" e non c' verso di farle cambiare idea. Con lievi modifiche al suo metodo astringente potrei, se d'accordo, mettere su una distilleria letteraria ed estrarre il sugo, mettiamo, della Divina Commedia, in ventiquattro parole: "Scrittore di mezza et incontra anziano poeta ormai defunto che lo accompagna in curioso itinerario ultraterreno: episodi divertenti e situazioni insolite. Finale a sorpresa."
Non credo che Dante potrebbe lamentarsi del trattamento: abbiamo infatti isolato il nucleo.
Lei mi simpatico, in ultimo, perch mi ribadisce che se io non sono cattolico non c' problema. Grazie di cuore per la sua bont d'animo.
Detto questo, per, pare che le chiese siano affar suo e che io farei meglio a togliermi dalle scatole. Ecco una concezione della convivenza civile che mi sfugge. Davanti a casa mia c' una chiesa, mio figlio esce a giocare in uno spazio urbano che configurato dalla chiesa, eppure se mio figlio non cattolico deve, semplicemente, tacere, togliersi di mezzo e lasciare decidere al cattolico come deve essere la chiesa che configurer poi gli spazi di tutti noi che viviamo in citt: cattolici, islamici, atei, buddisti e ind. Con la medesima, ineffabile, logica, gli insegnanti di religione cattolica vengono stipendiati dallo stato e dunque anche da me che cattolico non sono.
Bene: l'Italia non sar il paese dei campanelli ma ci si avvicina moltissimo. E vede, caro e gentile signor Buora, io, per la verit, avevo parlato di "sinistri cigolii" e non di "sinistri scricchiolii" ma devo ammettere ancora una volta che lei un virtuoso della virgoletta: ha perfettamente ragione, adesso i cigolii sono diventati scricchiolii e temo che se continuasse a scrivere si trasformerebbero in qualcosa di ancora peggio. Perci mi faccio definitivamente da parte: non vorrei trovarmi in mezzo alle rovine. Mi permetta per di citarle un autore che, date le sue frequentazioni teologiche, lei dovrebbe conoscere a menadito, Angelus Silesius (Il pellegrino cherubico, I, 267):
"Amico, se sempre una sola cosa dobbiam cantare insieme,
Che canzone e che coro saranno mai questi?"
Adieu
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780
di martino buora
del 20/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
Le faccio presente che il virgolettato suo. Questa il nucleo del suo articolo. Se invece fosse stata la spocchia di Langone allora doveva rispodergli sul Foglio.
In merito ai "sinistri scricchiolii", riferimento tanto antipatico quanto fuori luogo, le ribadisco che le chiese sono edifici di culto. Se lei non cattolico non c' problema, ma non venga a dire a me, che lo sono, come voglio e come deve essere una chiesa.
Au revoir.
Tutti i commenti di martino buora
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20/9/2004 - la Redazione di antiTHeSi risponde a martino buora
Non entriamo nella questione (Ugo Rosa sa bene come risponderLe), ma è il caso di ricordarLe che, a prescindere dall'essere o meno cattolico, chiunque può esprimere le personalissime opinioni su come dovrebbe essere una chiesa, un'abitazione, uno stadio, una fabbrica, un palazzo, etc. Dunque, tutti possono esprimere opinioni sullo spazio dell'architettura. Lei ha la libertà di esprimere pubblicamente ciò che pensa; altrettanto vale per chiunque.
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778
di Giorgio Righi Riva
del 15/09/2004
relativo all'articolo
Gehry, Hadid e Libeskind presi...Di Petta
di
Paolo GL Ferrara
Non ti curar di lor...Chi giudica il lavoro di Zaha Hadid, Gehry, Coop Himmelblau e gli altri studi innamorati della forma e del colore, come lo e' Dio e gli artisti e chi contempla l'arte e si limita a un giudizio estetico e basta e' lui il vero superficiale. Certo molti architetti retrogradi, invidiosi, esprimono giudizi superficiali, essi sono piu' ingegneri che architetti, sono persone molto pragmatiche poco sensibili, amano la funzionalita' e basta non sanno volare, guardate la situazione in italia e il numero di architetti italiani che vincono concorsi internazionali. come dice Herzog e Meuron l'architettura non ha l'obbligo di metafore. Questa e' l'epoca in cui le utopie architettoniche non sono piu' tali, c'e' una metamorfosi in atto e l'hanno messa in moto non architetti italiani. L'architettura 'statica', 'immobile' sar sempre piu' rara, spazio alla fantasia grazie anche agli strumenti digitali. Il modernismo esasperato nel minimalismo non e' naturale come dice Hani Rashid , e' un tentativo di riordinare il mondo e' una terapia, e' sbagliato . la vita, la natura, la tecnologia, hanno andamenti irregolari, curvilinei asimmetrici e' la morte che ha un andamento retto, minimale, monotono, appunto il riposo delle forme....
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777
di Antonino di Raimo
del 15/09/2004
relativo all'articolo
Terragni virtuale compagno di banco
di
Paolo G.L. Ferrara
Salve, sono uno studente del corso di "Progettazione architettonica Assistita" tenuto dal prof. Antonino Saggio, e avendo vissuto in prima persona quell'esperienza mi sembra molto utile commentare pubblicamente alcuni temi del suo intervento.
Mi sembra che lei giustamente sottolinei l'importanza, in occasione del primo centenario della nascita di Terragni, del dover uscire dalla serie di "incontri festaioli e mondani" che lei paventa con un certo timore, per raccogliere invece quell'eredit dell'architetto comasco fatta di "incredibili accelerazioni",(la cito letteralmente) capace di "coagulare le forze in campo"anzich come da molto si fatto, tranne le lodevoli eccezioni di cui lei parla, perpetrare la tecnica crudele dell'imbalsamazione.
Indubbiamente ci che vorrei sottolineare insieme a lei la figura di Terragni innovatore geniale. Ma a guardarla da vicino, cercando per un momento di annullare pi meno un secolo di distanza, e interrogando questo vecchietto centenario, di cosa fatta la sua intrinseca capacit di innovazione? E perch poi dovrebbe essere cos importante per noi?
E' chiaro che fuori dalle nostre preoccupazioni la questione del linguaggio. E fuori (finalmente) dovrebbero essere tutte quelle speculazioni chiaramente oziose, tese ad "imbalsamare" (la pratica non a caso priverebbe il poverino degli organi) la figura di Terragni nell'orizzonte dell'accomodante visione dell' "innovatore - tradizionale" del "razionalista classico"; e di tutte quelle altre, che insomma negli anni passati, hanno creato il cadavere imbalsamato che occorre tirare sugli altari per giustificare spesso un certo modo di operare, che ancora tristemente confonde la banalit del cubo platonico con il coraggio del "semicubo" terragnano, la finestra quale ripetizione ossessiva su una parete liscia (ancora mi sembra di sentire B.Zevi che urla "Ta! Ta!Ta! Ta!") con le orchestrazioni spaienti delle bucature allestite dal comasco e cos via (purtroppo altri esempi di queste "confusioni" sono molteplici) "
Ma non un clima che abbiamo assaporato pi o meno tutti che voglio commentare.
Per quanto mi riguarda, mi interessa invece richiamare l'attenzione sui "salti" che compie Terragni quali aspetti imprescindibili da valutare, per raccogliere il senso dell'innovazione connesso alla sua opera. Di fatto per me, l'insieme delle considerazioni svolte dal prof. Antonino Saggio durante il corso monografico "Terragni " sono state in fondo vere e proprie lezioni sul "salto", quale attitudine mentale e, quindi, tecnica progettuale dalla quale i problemi architettonici di sempre trovano miracolosamente soluzioni nuove. Eh s! Poich il problema centrale a mio avviso, che fra l'altro trapela anche dalle sue preoccupazioni, e che andrebbe ancora risollevato per quel che riguarda Terragni-Futuro, (il che come dire Terragni da oggi in poi), proprio quello del nuovo, anzi forse del "Novo" come magari avrebbe detto lui.
In fondo di fronte all'innovazione siamo sempre chiamati ad assumerci delle responsabilit, e cio siamo chiamati a renderci conto di quanto sia pi o meno necessario e importante per noi, immaginare e realizzare nuove soluzioni. Il problema tocca ogni giorno le nostre vite e quindi anche direttamente gli spazi dove vogliamo viverle.
E di fatto (si vedano le lezioni del prof. Saggio su: http://www.citicord.uniroma1.it/saggio/DIDATTICA/Cad/2004caad/TER/HomeGT.htm ) il salto di Terragni incredibilmente acrobatico e mortale: si direbbe che ogni problema spaziale inneschi un processo di estremizzazione dei termini all'indietro nel tempo, per poi contestualmente a ci, avvitare quei dati nel futuro. Cos "Il motivo del tre" (cito i titoli di alcune lezioni del prof. Saggio) , "La liberazione del telaio" ecc., non sono state lezioni su temi di ricerca architettonica, quanto lezioni, anzi interrogazioni al "vecchio centenario" su come riusciva a dare risposte nuove ovvero su come riusciva a "saltare" da una concezione ad una radicalmente nuova.
Tuttavia credo che questi salti da un vertice all'altro, siano stati sperimentati durante tutto il corso non solo sulla questione Terragni, ma anche (come doveva essere) sul piano pi generale della composizione architettonica. Uso a proposito il termine "composizione architettonica" che pare caduto in disuso nei nuovi ordinamenti, proprio per rimarcare il fatto che quello che chiamiamo progetto architettonico, per me un composto alchemico, il quale alla luce della manipolazione che il mezzo informatico implica, vada ancora pi che mai "composto"per diventare opera. Ogni opera comunque dapprima un sogno e la "palette" (come la chiama il prof. Saggio) per la sua liberazione/realizzazione per l'appunto il computer che fortunatamente oggi abbiamo a disposizione. Infatti dell'impalpabilit, dell'allucinazione lucida e delle leggerezza del sogno, lo spazio virtuale offerto dal computer ha tutte le caratteristiche (come abbiamo pi volte spe
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776
di Martino Buora
del 15/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
Per, mi perdoni, non ha risposto alla mie 2 principali obiezioni di merito ma solo alla domanda provocataria su chi meglio di un cattolico debba giudicare una chiesa cattolica.
Riguardo alla sua risposta, mi perdoni ma versa in errore (teologico) infatti, o la fede di un uomo c'entra con tutto quello che quell'uomo fa (anche lavare i piatti e pulire il sedere ai figli e a maggior ragione il lavoro) o se no non fede. in proposito Le ricordo, e da cattolico per me molto importante, quanto Giovanni Paolo II ebbe a dire nel discorso al MEIC del 1982: "Una fede che non diviene cultura una fede non pienamente accolta, non interamente meditata, non fedelmente vissuta". Vale per chi fa l'avvocato, il medico e naturalmente anche per chi fa il critico dell'archittetura moderna o contemporanea.
Anche perch se no, a partire da che cosa critica?
Nel concludere questo piacevole scambio di visioni mi rallegro nel vedere e nel leggere questo sito che ha veramente delle posizioni in cui mi riconosco (e non il solo). Siete infatti tra le poche voci (sebbene appartenente al settore) che abbia il coraggio di dire ci che tutti i comuni cittadini di Milano, anche quelli che si sono fermati alle medie ma vedono la realt senza la lente deformante dell'ideologia, pensano riguardo a p.zza Cadorna, arredo urbano, restringimento delle carreggiate etc. etc.
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775
di Martino Buora
del 15/09/2004
relativo all'articolo
Belli e/o brutti (milanesi)
di
Maurizio De Caro
Concordo in pieno con il sopra scritto commento di Andrea Pacciani. Ha fatto centro. possibile che sia anche lui un architetto ma possegga, tuttavia, una tale rara lucidit?
firmato: un non addetto ai lavori. Di Milano e, come tutti gli uomini, amante del bello che fatica a rintracciare nell'architettura, specie abitativa, ma non solo, dagli anni 50 ad oggi.
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774
di Martino Buora
del 15/09/2004
relativo all'articolo
Don Camillo e l'architettura moderna
di
Ugo Rosa
Mi sono imbattuto per caso nel Vostro sito e non posso trattenermi dal commentare.
La sintesi della vostra critica a Langone che "ritiene di potersi permettere di scrivere d'architettura moderna senza saperne nulla". Questo, dunque, il crimine di lesa maest (nei vostri confronti) di cui si sarebbe macchiato.
Io, invece, credo, in ogni anmbito e settore, che chiunque possa esprimere i propri giudizi, specie su giornale quotidiano, in un determinato ambito senza esserne un tecnico, essendo questo un corollario elementare della libert di pensiero e di stampa.
(Avete presente quante critiche a leggi e normative vigenti vengono pubblicate tutti i giorni sui quotidiani senza che accademici, professori e avvocati si inalberino perch dei non-tecnici hanno espresso il loro giudizo?)
Oltretutto chi meglio di un cattolico pu giudicare un edificio della sua Chiesa dedicato al proprio culto?
Voi, che sicuramente vi professate atei ed agnostici, potete liberamente esercitarvi sugli edifici da piano quinquennale siberiano della Bicocca.
Au revoir.
p.s.
Come che, con tutta la critica dell'archittetura esercitata nel'900, di case belle non se ne vedono pi da un pezzo? Colpa dei geometri o dell'avidit dei costruttori?
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15/9/2004 - Ugo Rosa risponde a Martino Buora
Gentile signor Buora
La sintesi della mia critica a Langone non è affatto quella che lei indica; che Langone abbia ritenuto di scrivere d’architettura moderna senza capirne un’ acca era soltanto una notazione o, se preferisce, un dato di fatto: non c’è però un solo punto, in tutto lo scritto, in cui metto in dubbio il suo diritto di farlo. Esattamente come nessuno, immagino, dovrebbe mettere in dubbio il mio di scrivere ciò che penso di tutti i Langone di questo mondo e di testimoniare, finchè posso, che di architettura, appunto, non ne capiscono niente.
Del resto ho letto in questi giorni una raccolta di stupidaggini sull’architettura moderna edita da Rizzoli e scritta da uno la cui incompetenza in materia non ha assolutamente nulla da invidiare a quella di Langone: Vittorio Sgarbi. Come vede, dunque, la libertà di stampa è salva.
Certo sarebbe esilarante se, per certificare che il gazzettiere può scrivere di ciò che vuole, Giuliano Ferrara si mettesse a disquisire di biologia molecolare e Vittorio Feltri ci spiegasse la meccanica quantistica. Ma faccio l’architetto e so come vanno queste cose: nel mio campo è oramai tradizione pasturare in branco ed ogni asino che staziona sul pascolo ventiquattr’ore ha, per usucapioni, diritto alla sua porzione.
Dunque non me lo sono presa con Langone perché non sa quello che scrive ma piuttosto perché quello che non sa lo scrive con una spocchia che lascia di stucco. Il non comprendere una fava di architettura è, lo capisco, una bellissima credenziale per accreditarsi come martiri della libertà di stampa e tuttavia non mi pare costituisca curriculum sufficiente per supportare un razzismo strisciante e una prosa che inzuppa ogni parola nel luogo comune confidando nel fatto che chi legge, tanto, si beve questo ed altro.
Quanto al fatto che un cattolico digiuno d’architettura possa giudicare l’architettura di una chiesa meglio di chi cattolico non è ma capisce di architettura e possiede sensibilità e talento è, a mio parere, una cosa un po’ peggio che sbagliata: ci sento dietro sinistri cigolii…ma spero che l’abbia scritta solo per non rinunciare a un mot d’esprit.
Cordiali saluti
Ugo Rosa
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773
di Giannino Cusano
del 11/09/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Condivido quasi del tutto l'articolo di De Masi e i conseguenti commenti a favore dell'intervento di Niemeier a Ravello.
Sottolineerei con pi forza un fatto: lo sfondo scandaloso non solo l'abusivismo quanto la scarsissima qualit dell'architettura 'legale' che si produce quotidianamente in Italia. Certo, il TAR ha dato ragione ai ricorrenti, e il rispetto delle leggi l'unit di misura di un Paese civile: ma se le leggi sono pessime -e in Italia per lo pi, specie in materia urbanistica, lo sono- non occorre forse cambiarle ?
La 1150 vecchia e fu attuata, x la prima volta grazie alla 765 del '67, in un contesto disorganico e fortemente neo-corporativo: ben pi di quanto l'eredit del Ventennio non lasciasse sperare ai corporativisti + sfrenati di ogni risma e matrice: basti ricordare che dal Fascismo l'Italia eredit almeno 4 centi decisionali a livello di pianificazione urbana e territoriale e tutti scollegati fra loro: Min. Ll.Pp., Min. per la Pubblica Istruzione x la salvaguardia dei beni culturali e paesaggistici (L.1089, 1.6.1939), mentre il Ministero dell'Industria e quello dei Trasporti potevano a loro volta prendere decisioni fondamentali, quanto scoordinate e disorganiche, sulla grande infrastrutturazione nazionale.
L'Italia post-fascista non esordisce scardinando alla radice quel sistema, ma moltiplicandolo in modo indiscriminato e con una proliferazione spaventosa dei centri di decisione: Consorzi di sviluppo industriale che pianificano intere aree industriali, Enti provinciali del Turismo che pianificano interi insediamenti turistici ecc. Il boom edilizio ed economico succeduto allla ricostuzione post-bellica (che, giova ricordarlo, fu fatta non con gli strumenti urbanistici vigenti e inadeguat ma con una Legge speciale, la Ruini) vertebr il territorio italiano con una stragrande quantit di interventi fuori piano e di scala spesso considerevole.
Nonostante i molti meriti della Legge Ponte, va pur sempre ricordato -a suo demerito- che us una terminologia vaga ed imprecisa: ci rese necessarie precisazioni, definizioni, chiarificazioni che posero le basi per la tolleranza dell'abusivismo: esattamente con la Circolare esplicativa del Min. Ll.Pp. n. 3210 del 28.10.1967, che a mio parere apre le porte a tutti i possibili ed immaginabili condoni successivi quando (.art. 16, primo capoverso) testualmente afferma:
'E' prevista l'applicazione, in via amministrativa - nei casi in cui non si proceda alla restituzione in pristino od alla demolizione delle opere abusive - di una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o delle parti di opere eseguite abusivamente ovvero in base ad una licenza edilizia annullata per i motivi suindicati.
Tale sanzione considerata dalla legge come alternativa rispetto alla demolizione e quindi va applicata quando l'autorit non ritenga di esercitare il potere di demolizione...'
Il gioco fatto: in certe condizioni l'abuso edilizio pu essere un eccellente investimento!
Dissi oltre 20 anni fa, in un pubblico dibattito e a un Italia-Vostrista di spicco (se ben ricordo era tal Fulco Pratesi) che ritenevo Italia Loro e l'ambientalismo italico di maniera responsabili di oltre 500.000 vani abusivi a Roma, gestiti poi dalla mafia, in quanto le suddette associazioni chiedevano a gran voce non l'attuazione del Piano di Piccinato del '62 ma il blocco edilizio integrale per Roma: col risultato che mentre la nuova imprenditoria, ormai fattta in prevalenza da professionisti, si vedeva osteggiata e demoralizzata proprio quando chiedeva l'attuazione di quel Piano, l'abusivismo si fregava le mani!
Ah, beata ignoranza ed irresponsabile incoscienza di questo Paese! Non mi sorprende la posizione di Italia Nostra, ma forse matura l'ora per domandarsi come si sia venuta formando, storicamente, questa strana, strettissima e perversa complicit di fatto fra cattiva legalit (ovvero rispetto rigorosissimo di pessime leggi, tanto pi rigoroso quanto pi cattivi ne sono gli effetti) e atteggiamenti culturalmente retrivi ed oscurantisti.
Confesso di non saper rispondere tanto facilmente: ma ho il sospetto che la risposta a questo interrogativo potrebbe davvero aprire una breccia forte, sul piano delle leggi e della cultura, per un'auspicabile e improcrastinabile rivoluzione urbatettonica nel nostro Paese.
G.C.
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771
di Giusy Pappalardo
del 08/09/2004
relativo all'articolo
Acqua al mio mulino
di
Silvio Carta
E gli occhi che hanno letto questo articolo brillano e piangono.
Perch, in Italia, chi sogna di fare Architettura si trova di fronte ad una grande confusione. Perch il Progettista ben altro che l'architetto o l'ingegnere edile, e dentro di s non ha solo curve barocche o integrali.
Ma chi ci insegner ad esserlo?
Dove sto io molti si impegnano a confezionare inetti palazzinari pronti per affrontare il redditizio mondo dell'edilizia e della speculazione. (ingegneria edile-architettura. Catania)
Come uscirne vivi?
Qualcuno ci prova, seguendo percorsi individuali e tortuosi, nella consapevolezza del rischio e nella paura del fallimento.
Ma ci che conta trovare dentro i propri sogni la forza per non mollare.
In fin dei conti...
"Ci che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendolo"...
(Aristotele)
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772
di Chiara Giovannetti
del 08/09/2004
relativo all'articolo
Terragni virtuale compagno di banco
di
Paolo G.L. Ferrara
DA UN ANELLLO dellINGRANAGGIO
Esprimo qui il mio commento come quello di un piccolo ingranaggio del complesso meccanismo che ha portato il corso CAAD 2004 del prof. Antonino Saggio all'elaborazione delle ricerche finali relative alla mostra Terragni Futuro.
Non nascondo una profonda soddisfazione relativa a questo risultato, sia personale che per tutto l'insieme e le modalit innovative con cui stato raggiunto.
Prima d'ora avevo "incontrato" Terragni forse solo un paio di volte nei corsi di storia dellarchitettura, ma l'approccio era stato sicuramente molto superficiale, relegato a definizioni e catalogazioni di sorta inerenti al nuovo stile e ai rapporti con la storia.
In questo caso le cose sono andate in modo diverso.
Entrare in contatto con Giuseppe Terragni uomo e architetto a 360 ha fatto s che potesse emergere quella sorta di "testamento architettonico" ancora aperto alla sperimentazione e che a noi studenti venisse offerta loccasione di raccogliere questa pesante eredit.
Abbiamo potuto osservare come temi provenienti dal quel passato fossero attualissimi ancora oggi (e opere come L'Asilo Sant'Elia ne sono la conferma) e soprattutto come questi, uniti alle questioni emerse dal dibattito sull'Information Technology lasciassero delle vie ancora del tutto aperte.
E stato questo uno degli aspetti importanti: raccogliere i temi emersi da quella ricerca e, partendo dai risultati raggiunti dalle opere di Terragni, tentare di portarle avanti utilizzando quegli strumenti tipici del nostro tempo e del nostro fare architettura.
In questo modo questioni legate al dibattito moderno (l'interattivit , i sistemi gerarchici, il movimento e il morphing) hanno trovato spunti forti e diversissimi all'interno dell' intera opera dell'architetto comasco analizzando anche progetti meno noti portando a sperimentazioni e studi nuovi.
Cos ci si trovati, per esempio nel nostro caso, a tentare di sviluppare il tema del movimento tanto caro ai grandi nomi della architettura contemporanea partendo per dall'analisi della Casa Giuliani Frigerio fino ad arrivare ad una personale interpretazione che stravolgesse le intenzioni progettuali di Terragni.
E' difficile relegare a poche righe il lavoro di un intenso semestre ma una delle tante possibilit legate alla nuova comunicazione che tutto a portata di un click: http://xoomer.virgilio.it/gac2
Chiara Giovannetti
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770
di Claudio Compagnucci
del 07/09/2004
relativo all'articolo
Terragni virtuale compagno di banco
di
Paolo G.L. Ferrara
GT04. Un'occasione persa?
E' un vero peccato. Una mancanza grave. Nellanno delle celebrazioni per il Centenario di Giuseppe Terragni, si svolge una biennale di architettura che non stata in grado di comprendere la modernit e l'attualit dell'architetto Comasco.
Una mancanza grave perch se di metamorfosi si deve parlare allora da Terragni che si potrebbe partire, soprattutto in occasione di questa importante ricorrenza. Forster forse non ha ritenuto opportuno partire dall'esempio dell'architetto italiano. La metamorfosi appare dunque slegata dal passato. Sebbene l'architettura contemporanea in piena crisi, e perci sta rispondendo con una vera e propria rivoluzione concettuale, Terragni, che nei suoi anni di attivit visse la crisi che port al movimento moderno, avrebbe potuto rappresentare un passaggio per arrivare a comprendere, da un'altro dei punti di vista possibili, la situazione attuale.
Purtroppo si persa una possibilit importante, quella che avrebbe potuto dare il risalto dovuto alle opere del pi grande architetto moderno che lItalia e lEuropa abbiano avuto, anche in occasione della Biennale.
Concordo a pieno con P. Ferrara. Spero vivamente che partendo da questa delusione l'organizzazione GT04 riparta con pi slancio e ancora pi determinazione, per concludere il centenario in modo adeguato.
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769
di Paola d'Arpino
del 07/09/2004
relativo all'articolo
Terragni virtuale compagno di banco
di
Paolo G.L. Ferrara
Verso la Terragni Futuro
Terragni virtuale compagno di banco, il titolo da Lei scelto sintetizza in modo simpatico ed efficace i mesi di frenetici studi, ricerche, progettazioni, verifiche, pubblicazioni e conferenze che hanno portato al simposio di luglio Terragni Futuro mesi in cui io, studentessa, e i miei colleghi del corso Caad 2004 del prof. Antonino Saggio, abbiamo frequentato, studiato e lavorato insieme a Giuseppe Terragni (per continuare la sua parafrasi..) . Questo aspetto della presenza costante, quasi fisica dellarchitetto comasco, stato sicuramente caratterizzante tanto da trasparire, evidentemente, anche nelle presentazioni dei nostri lavori. Una presenza importante, forse scomoda, forse, si dir, troppo distante visto che ci separa addirittura un secolo, ma comunque una presenza che volenti o nolenti ci ha incuriosito, solleticato, e risvegliato anche i pi pigri. Proprio questa presenza ci ha comunicato molto pi di qualsiasi altro stimolo o incentivo allo studio. Alla facolt di architettura si sente parlare di Terragni gi dalle prime lezioni del primo anno, ma si tratta di puro nozionismo come Lei ha fatto notare. Nozionismo e semplice celebrazione che troppo spesso riempiono le righe e i discorsi, che per, una volta conclusi, non hanno effetti, non hanno seguito, non danno vita a niente di nuovo. E invece le celebrazioni dovrebbero servire proprio a questo, ad evidenziare aspetti mai messi in luce, a trovare nuove prospettive e nuove vie, a indicare sviluppi alternativi anche se si sta celebrando un architetto nato nel 1904. E visto che in questi cento anni che ci separano da Terragni, tanti cambiamenti ci sono stati, visto che ha avuto luogo addirittura quella che gli storici e sociologi chiamano la Terza onda, visto che questi sono i decenni dellInformation Technology, allora lanalisi pu essere ancora pi stimolante e la riflessione ed elaborazione di proposte ancora pi ricca di soluzioni inedite se tutto questo entra a far parte della ricerca e delle proposte progettuali. Questo risultato credo che sia stato gi in parte raggiunto nella conferenza di luglio e ci auguriamo di ampliarlo ancora con la mostra che si terr a dicembre.
Cosa ci ha spinto e guidato ? I punti fermi che ci hanno, e continuano, ad ispirarci sono proprio quelli che Lei definisce i nessi reciproci, quelli che la distanza temporale non pu annullare, la consapevolezza che la comunicazione di Terragni tanto quanto lo dellepoca contemporanea. e lesigenza di comprendere quella genialit architettonica che gli consent di capire pregi e limiti della Neue Sachlichkeit. Questa genialit, in particolare, mi ha talmente colpito tanto che la mia ricerca individuale su Terragni iniziata proprio da qui, dal voler dimostrare che quello che allora fu giudicato come limite era ed , in realt, un valore ( -Terragni ha l'intelligenza necessaria a oltrepassare la fase radicale delle rivoluzioni e passare direttamente ad una elaborazione di cose nuove senza perdere l'orientamento.- da The Cat, Paola DArpino http://xoomer.virgilio.it/mediterraneita/the%20cat/il%20gatto.htm) ed proseguita alla ricerca di quegli architetti contemporanei che, come il comasco, comunicano con esiti nuovi e brillanti, quei valori mediterranei che nel secolo scorso vennero giudicati appunto come limite. Questa analisi ha portato me ed il mio collega di gruppo EiKon, (http://art.supereva.it/eikon.freemail/) ad una proposta progettuale che ha alla base una grande tensione verso la comunicazione, individuando un tracciato inedito, forse insolito, ma che ci stato suggerito come da Terragni stesso, dalle poche foto della sua breve vita, oltre che dalle sue opere, un tracciato su cui convergono molti intenti: lallargamento dellambito prettamente architettonico verso settori diversi, la possibilit di diffondere la cultura architettonica attraverso mezzi inusuali, il coinvolgimento allinteresse alla cultura architettonica di fasce det anche giovanissime ed altri ancora. Ci che sorprendeva, noi stessi per primi, durante lelaborazione che ogni tanto, quasi senza rendercene conto spuntavano improvvise confluenze dintenti, inattesi suggerimenti, nuove affinit, tra il nostro lavoro e quello del grande architetto comasco. Ciononostante i risultati non sono n ibridazioni, n tantomeno imitazioni, ma autentiche, originali, nuove esplicazioni di idee di giovani architetti che Vi attendono alla mostra di dicembre.
Paola DArpino
Corso Caad 2004 del Prof Antonino Saggio Facolt di Architettura
L. Quaroni - Universit La Sapienza - Roma
Sito http://xoomer.virgilio.it/mediterraneita/Index/
Gruppo di lavoro: EiKon
Sito http://art.supereva.it/eikon.freemail/
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768
di Pierluigi Di Baccio
del 27/08/2004
relativo all'articolo
Oscar Niemeyer
di
Maurizio De Caro
Auditorium bocciato
Il Tar accoglie il ricorso di Italia Nostra
RAVELLO. L'auditorum a Ravello non s'ha da fare. Il Tar di Salerno ha accolto il ricorso di Italia Nostra, bocciando clamorosamente la struttura polivalente, con 406 posti a sedere, larga 30,25 metri e alta 21, disegnata dall'architetto brasiliano Oscar Niemeyer. Il progetto incompatibile con le attuali norme urbanistiche, hanno sentenziato i giudici amministrativi. Che, cos, rimandano o, addirittura, rischiano di far naufragare il ''matrimonio''. Un matrimonio pi volte annunciato, auspicato da tantissimi esponenti della vita politica, sociale, culturale ed economica nazionale e internazionale, che sottoscrissero qualche tempo fa una petizione, che ora, per, non potrebbe mai pi essere celebrato. Come novelli ''promessi sposi'' Ravello e l'Auditorium rimandano ancora una volta la loro unione. E, stavolta, l'addio potrebbe pure essere definitivo e la cerimonia mai pi officiata. Perch, a meno che non si decida di continuare la ''battaglia'' a suon di carte bollate, la costruzione dell'opera, a questo punto, appare molto difficile. In pratica i magistrati del Tar hanno accolto la tesi di Italia Nostra. L'associazione ambientalista ha sempre sostenuto che il loro diniego non mai stato un problema di architettura ma di tutela del paesaggio. Le dimensioni dell'opera sono limitate ma si inseriscono in un territorio gi saturo. La notizia del ''pollice verso'' nei riguardi dell'auditorium ieri ha fatto rapidamente il giro del paese, in questo periodo affollato da vacanzieri provenienti da tutto il mondo. E, naturalmente, ha lasciato sconcertati i principali promotori dell'iniziativa, tra i quali il sociologo Domenico De Masi e il sindaco Secondo Amalfitano. Aspetto di leggere la sentenza - ha sottolineato immediatamente il primo cittadino prima di esprimere un giudizio. Ma gi da ora posso dire di sentirmi molto scoraggiato. E potrei anche abbandonare, lasciare il Comune, e presentare le dimissioni con tutta la Giunta. Un decisione estrema che, tuttavia, non tanto remota. il motivo di una scelta cos radicale facilmente spiegabile. Si tratterebbe infatti di una presa di posizione decisa che potrebbe avere naturalmente una eco vastissima. Una protesta nei confronti di chi non ha reso possibile la realizzazione di un progetto per il quale sono stati stanziati pi di diciotto milioni di euro. Qualora decidessi di presentare le dimissioni rimarca Amalfitano invito sin da ora i responsabili di Italia Nostra ad assumersi la responsabilit di amministrare il paese, assieme a tutti gli speculatori edilizi che hanno contrastato il progetto. Parole dure, dettate dalla rabbia ma che sono pienamente sentite dal primo cittadino della ''citt della musica''. A questo punto non resta che aspettare le prossime mosse in quella che sembra diventata una vera e propria telenovela. E i colpi di scena non dovrebbero affatto mancare. Il caso a questo punto pu anche diventare squisitamente politico e arroventare ancora di pi la gi caldissima estate della Costiera. (g. d. s.)
Da "La Citt" , quotidiano di Salerno e provincia.
http://www.lacittadisalerno.quotidianiespresso.it/lacitta/arch_10/regione/wx2/wx2144.html
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767
di Stefano Stefani
del 09/08/2004
relativo all'articolo
Il progetto di Richard Meier per l'ara pacis a Rom
di
Giannino Cusano
Non condivido in nessun modo la "parziale" sistemazione del complesso Ara Pacis per i seguenti motivi:
1) Non occorre creare un altro polo museale...Ulteriori edifici che anzich liberare alcuni punti della citt, la occupano, sottraendo spazi e limitando scorci e vedute complessive..
Erano sufficienti degli accorgimenti e non erigere un complesso museale!
2) La piazza sar + un punto di ritrovo per turisti che per i romani!
3) Assai discutibile il progetto soprattutto perch aggettante sul lungotevere, riducendone lo spazio utile alla viabilit, seppur si adatti abbastanza (non troppo per la verit!) agli edifici del razionalismo, resta di dimensioni notevoli, con apertura principale su via ripetta (da p. del popolo/tridente) anzich degradare di livello anche verso p.augusto imp.
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766
di Silvano Oldani
del 02/08/2004
relativo all'articolo
Oscar Niemeyer
di
Maurizio De Caro
Complimenti, la scrittura raffinata, soltanto leggermente da tenere a bada, ma quando finalmente pi tempo da dedicarle? Silvano Oldani
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764
di Luca Rampazzi (ch)
del 19/07/2004
relativo all'articolo
Nonsolomoda, anche idiozie
di
Paolo G.L. Ferrara
Conosco da poco questo sito e lo trovo molto carino dal lato colloquiale poiche ci si puo scontrare con altre idee. Ma per quanto riguarda i testi, parlate tutti come tuttologhi... come puoi pretendere di mostrare la vera faccia del mondo artistico in televisione, quando gia nel mostrare il nostro lavoro al cliente teniamo conto di non potere dire tutto il nostro operato! Se si cerca la cultura bisogna unicamente leggere e discutere e sapere che MAI sapremo tutto... per esempio tu non tieni conto che devono vendersi a un publico universale. Se tutti fossero amanti di questo genere di cose non pensi che nonsolomoda sarebbe trasmesso in prima serata? e se leggi i titoli di coda capirai che anche loro ne risentono di queste ristrezioni...
Comunque gli argomenti sono belli.
Resto in attesa di una risposta.
Tutti i commenti di Luca Rampazzi (ch)
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763
di Carlo Sarno
del 17/07/2004
relativo all'articolo
Leonardo Ricci. Lo spazio inseguito
di
la Redazione e Antonino Saggio
Leonardo Ricci (1918-94) uno dei maggiori esponenti dell'architettura organica italiana . Emblematica la sua Villa Bailman all'Isola d'Elba (1959-62) che rappresenta la splendida risposta italiana alla Casa sulla Cascata di Frank Lloyd Wright .
E stato allievo, collaboratore e amico di Michelucci, da cui si poi allontanato. "Se fossimo stati nel Rinascimento - afferma Ricci in unintervista - forse avremmo lavorato insieme tutta la vita" (L. Ricci, Testi, opere, sette progetti recenti di Leonardo Ricci, Pistoia 1984).
Da Giovanni Michelucci apprende l'umanizzazione dell'architettura , che prima dello spazio c' l'uomo , e da questo principio sviluppa una personale concezione dell'architettura organico-espressionista , dove con il termine espressionista si intende una valenza esistenziale che crea un parallelo architettonico con le problematiche filosofiche di Camus , Sartre , Abbagnano .
Ribelle ed anticonformista di natura non ha mai accettato etichette per la sua passionale architettura , ma chiaramente opera e concepisce nel solco dell'architettura organica .
Un grazie quindi a Giovanni Bartolozzi per il suo bel libro su Leonardo Ricci e ad Antonino Saggio curatore della collana , per aver contribuito ad una maggiore consapevolezza della rilevanza dell'Architettura Organica Italiana .
Carlo Sarno
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762
di Andrea Pacciani
del 14/07/2004
relativo all'articolo
Il progetto di Richard Meier per l'ara pacis a Rom
di
Giannino Cusano
Quel progetto ha un difetto: non imita il contesto, uno dei posti pi belli del mondo, ma dichiara apertamente di costituire uno strato successivo rispetto a quelli sovrappostisi finora e oggi leggibili, con l'arroganza autoreferenziale di sentirsi migliore.
Non Condivido l'appello al Sindaco Veltroni di accelerare le procedure per l'appalto in itinere del secondo lotto riguardante la sistemazione definitiva del complesso Ara Pacis.
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761
di Pierluigi Di Baccio
del 06/07/2004
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' prufessore'
di
Mara Dolce
Mara Dolce ha PERFETTAMENTE ragione. Dalle facolt di architettura italiane si esce non pi troppo giovani, stressati, demotivati e, dulcis in fundo, analfabeti di ritorno. E l'orrore sta nel fatto che tutti lo sappiamo, magari anche ce lo diciamo ma, in fondo in fondo, ci sta bene cos.
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760
di Andrea Pacciani
del 06/07/2004
relativo all'articolo
Miserre!...Ligresti....
di
Paolo G.L. Ferrara
Ottimisticamente la fine prevista dei lavori il 2014 ma con i tempi italiani sar pi verosimile il 2019.
"Dieci anni sembrano davvero molti per potere considerare larchitettura un fatto contemporaneo, soprattutto se consideriamo che non si tratta di progetti linguisticamente e territorialmente rivoluzionari".
L'architettura fatua corrente, di fatto non pu stare al tempo dell'edilizia reale o deve essere talmente "rivoluzionaria" e anticipatrice da arrivare a compiutezza con il minimo del ritardo possibile per vivere almeno qualche stagione da contemporanea: che frustrazione!
Finalmente ci si rende conto che le grandi opere, almeno in Italia per i suoi tempi, sono pertanto per lo pi precluse a quella architettura che privata della freschezza della novit e dello stupore diventano inutile formalismo.
La mia sensazione che avere abbandonato i valori della rappresentazione e dell'identit delle persone che devono vivere le architetture per uno sperimentalismo autoreferenzialista, porti ad un piccolo recinto d'oro chiuso in se stesso per le grandi firme che di fronte ai divismi dello starsystem, genera indifferenza e al pi sdegno e acredine verso la nostra professione (leggi i commenti ai grattacieli sul forum del sito del corriere).
Non mi stancher mai di ripetere che per tutta la storia dell'uomo gli architetti hanno progettato sapendo che non avrebbero sopravvissuto alla compiutezza della loro opera e terminando le opere a loro sopraggiunte dal passato, adattandole alle sopraggiunte necessit, in modo di lasciare ai loro successori la possibilit di fare altrettanto.
Questa regola stata rispettata per millenni con il risultato che oggi ancora abitiamo in edilizia di epoca medievale continuamente rimaneggiata nei secoli e perfettamente ancora idonea alla nostra vita contemporanea ( pi ricercata dal mercato di qualsiasi edificio del XX secolo di pari posizione)
La rapidit della costruzione edilizia dal dopoguerra in poi ha esaltato la possibilit di catturare i presunti rapidi cambiamenti della vita contemporanea in architetture sperimentali.
Di fatto i fallimenti di un secolo di edilizia moderma e quelli annunciati anche in questo scritto di quella neo-espressionista di Ligresti che rappresenter a breve, in ritardo, il dibattito architettonico contemporaneo, danno ancora di pi ragioni all'esperienza della citt storica e della sua architettura, non tanto nella sua originalit materiale, quanto alla sua originalit progettuale di adesione al vivere quotidiano e al successo di adattabilit nel tempo ai cambiamenti di stile di vita.
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759
di Carlo Sarno
del 06/07/2004
relativo all'articolo
Mario Galvagni - Poetica della complessit
di
Sandro Lazier
Mario Galvagni esprime una creativit architettonica eccezionale che convalida la forza e il valore dello sviluppo dell'Architettura Organica in Italia. Mentre il suo compatriota Paolo Soleri, di pochi anni pi anziano, lascia l'Italia dopo l'esperienza con Wright e va nel deserto dell'Arizona a costruire la sua Arcosanti sviluppando la sua ricerca sull'Arcologia (Architettura + Ecologia), Mario Galvagni realizza in Italia, attraverso una poetica del frammento, la sua teoria della Ecologia della Forma, trasmettendo a tutti la sua passione di vivere l'avventura dello spazio come luogo di percorrenza di energie estetiche e sociali .
Partendo dai principi dell'architettura organica e dalle interazioni dinamico-spaziali della poetica futurista, sviluppa attraverso un approccio scientifico una interessante ricerca sperimentale sulle strutture morfologiche dell'architettura, da lui definita : Ecologia della Forma (GestaltEcology). Si tratta di determinare diverse metodologie per evidenziare e interpretare un sistema interattivo di relazionalit sui territori socioestetici. Scrive Mario Galvagni: " LEcologia Formale, in analogia con lecologia biologica (studio delle interazioni tra le forme viventi e il territorio), analizza e ricerca i rapporti e gli scambi di informazione morfologici tra luomo e il territorio estetico circostante (stratificazione del lavoro creativo locale nella cultura storica) per estrapolare le componenti progettuali morfologiche dette matrici formali. "
Credo che Bruno Zevi, quando nel 1997 nella premessa al libro "Leggere, scrivere, parlare architettura" scriveva del TRIONFO DELL'ARCHITETTURA ORGANICA, sicuramente aveva anche in mente la geniale, artistica e super-organica architettura morfogenetica di uno dei pi grandi architetti italiani contemporanei : MARIO GALVAGNI.
Ps. Ringrazio di cuore Sandro Lazier e Paolo GL Ferrara e la Redazione di Antithesi per aver richiamato l'attenzione su uno dei maestri viventi dell'architettura italiana.
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753
di Riccardo Roberto
del 06/07/2004
relativo all'articolo
' prufessore'
di
Mara Dolce
Non posso esimermi dall'essere d'accordo con la tesi esposta dal professor Hosoe. Sono uno studente di design della terza facolt di
architettura del Politecnico di Milano.Sono profondamente deluso
da questo corso di studi; sono ormai al traguardo, lo considero inutile per il design in s e lo specchio di questa considerazione senz'altro la situazione di stallo in cui questa disciplina si trova. Il sistema del design italiano vecchio, inattuale ed assolutamente non informato come le figure che si muovono al suo interno, tranne quei pochi che il design lo vivono e di conseguenza possono insegnarlo. Risulta palese la mancanza di una teoretica e di un percorso di indagine progettuale che possa illuminare le future generazioni di designer. Considero il design un linguaggio fortemente espressivo ed estremamente mutevole, considerando la sua forte matrice idealista. In risposta a chi teorizza il crescente peso del design nella societ c' da far notare quanto l'attuale compagine culturale tagli fuori architetti e designer. Manca tra i docenti l'abilit di potenziare il linguaggio creativo di chi oggi segue questi corsi di studi al punto da spingerli oltre la banalizzazione del progetto perfettamente producibile, al punto da garantire attraverso l'informazione l'innovazione con tutti i suoi risvolti. Tutto saturo di vecchio e non c' da stupirsi se tutto affonda nella crisi pi buia; il design italiano sopravvive portandosi dietro i suoi trofei passati e il suo carattere fortemente nazionale da cui continua tragicamente a prendere spunto. Se un tempo tutto questo poteva essere giocato come una carta vincente, oggi -nel ventunesimo secolo- non ha alcun valore. Non ha pi forza espressiva, scontato. Durante questi anni ho seguito corsi di tutti i tipi, alcuni di una banalit indecente, altri totalmente inutili, e la cosa pi grave e che tra questi posso tranquillamente annoverare dei laboratori vissuti senza nessuno scambio dialettico o culturale con la docenza, di cui oggi purtroppo non ricordo niente.Solo raramente alcuni hanno dato forma alla mia preparazione al punto da poter ammettere in maniera dolorosa la profonda ignoranza del design e di chi ne coinvolto.
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751
di Francesco Pietrella
del 02/07/2004
relativo all'articolo
Un diverso risveglio
di
Giovanni D'Ambrosio
Da mani da architetto a mani da fatica.
E'altrettanto difficile convincere il muratore di Palmarola ad effettuarmi dei tagli nei muri, cosicch la luce che arriva alle stanze gira al girar di sole e traspare nelle pareti essa sia come poesia del vero architettonico, ma anche risparmio energetico e come intimo rapporto tra costo di demolizione e ambigua sensualit di stanza, tra riflessi a girar di sole e come essi testimoniano il tempo di una luce passante, tra poesia da suggestione e realt di cantiere mia scultura in divenire di luce, se tutto ci fosse "sostenibile" lei appare architettura se tutto ci anche nelle mani del muratore di Palmarola e delle sue storie di faticati muri affaticati e murate storie, tra le sue mani che faticano nelle cinque del mattino e rigirano tra mazzole battenti e un boccale di birra allora esso il mio lavoro. E anche le asole sono solo buchi al battere di mazzola esse mi confondono e mi portano nell'estatico timbro di architettura del fare in divenire, esatasiatico ma funzionale gioco di tagli nel muro che testimonia il girar di sole, ne testimonia la presenza ne celebra il passaggio con le sue asole disassate. Una sequenza di feritoie che accostano i tempi domestici di stanze attigue, sussurrando i rumori di vita che si visualizzano. Ne accompagna con romantico silenzio il giro dombra che esalta il bianco dei volumi. E non c' suggestione ne pi sentimento non altrettanto effetto di luce riflessa di questo rincorrersi di vetri-mattone d'ambra e miele, che faticosamente riponiamo da mani di architetto a mani da fatica, da suggestione romantica a risparmiosa energia elettrica, da silenziosa conferenza al silenzio riaccostato ancora assieme nell'incantato fare.
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749
di Renata Chiono
del 02/07/2004
relativo all'articolo
Figini e Pagano sul Novocomum
di
la Redazione
Dov' questa casa di Figini e Pagano? Esiste ancora e se s, che fine far? Avr pi fortuna o qualche sindaco intelligente l'annetter ad una zona esclusivamente industriale, come sta accadendo per la Villa Colli a Rivara?
Dove sono le famose "Istituzioni".
Dov' il DARC?
Dove sono gli "amici dell'architettura"? Eppure sono tanti........
Si pu fare molto se esistono volont forti di non rimandare al domani, ma domani gi qui.
Domani arrivato con l'amarezza, le mani legate, lo svanire del sogno, la perdita di un lavoro durato anni.
Domani gi qui, ma non se ne accorge nessuno.
Renata Chiono
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2/7/2004 - Sandro Lazier risponde a Renata Chiono
Cara Renata,
il novocomum ha una storia molto particolare perch, quando sorse nel 1927, non era proprio quello che i comaschi si aspettavano. Terragni, consapevole, lo nascose alla vista fino al giorno dellapertura e ledificio, per questaffronto, rischi dessere distrutto appena nato. Oggi ancora in piedi, restaurato di recente, di fianco allo stadio di calcio che offre tutto un altro genere di spettacolo. Terragni, con questa architettura, voleva indicarci un futuro, un mondo nuovo, una Como nuova anche per gli spettatori che domenicalmente vanno allo stadio e, di questa novit, ormai hanno fatto abitudine.
Il suo appello per Villa Colli ci fa star male perch rinnova la sensazione di abbandono e menefreghismo che pervade questo paese, sedotto ormai solo da veline giulive e calciatori strapagati, per i quali si stravolgono leggi e regole, mentre non si applicano quelle che gi esistono se limportanza appena superiore alla sensibilit volgare.
Le prometto ulteriore e deciso nostro impegno presso le istituzioni che dovrebbero tutelare e favorire iniziative come la sua.
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748
di Luigi Moffa
del 21/06/2004
relativo all'articolo
Un diverso risveglio
di
Giovanni D'Ambrosio
Sabato 19 Giugno 2004
A DAmbrosio Giovanni
Mi chiedo se a volte non valga la pena di vivere una notte in compagnia di una donna appariscente, con cui passare una meravigliosa serata al lume di candela, restando incantato dal fascino che, trucchi a parte, riesce comunque ad emanare, per poi svegliarsi e alla luce del sole limpida del mattino constatare che forse non ne valsa la pena.
Il gioco sta nella conoscenza a priori di quello che verr dopo. Mi spiego meglio, continuando ad utilizzare la metafora di DAmbrosio: se la sera stessa si sa del tutto fumo e niente arrosto allora perch non concedersi solo per quella sera rinunciando a farla dormire con se? Perch non restare affascinati ma tenendo in ogni modo le dovute distanze? Bisogna saper farsi affascinare ma restando con i piedi per terra. Cogli lattimo, ma non farti infatuare.
Un buon architetto deve innanzi tutto essere dotato di buona critica. Ben poco di quello che passa sotto i nostri occhi rappresenta il giusto, e non tutto quello che a prima vista ci sembra appariscente ed affascinante sar quello che poi veramente condividiamo. Certo che il falso troppo spesso, e per fortuna, non degno di nota. Ma se il falso diventa una mostra di quadri come sta accadendo a Siena, patria dei pi grandi falsari di dipinti rinascimentali, allora perch non andarla a visitare? Prestinenza Puglisi riconosce alla copia pi vera del vero un certo valore, se non altro ai fini conoscitivi. Non che personalmente sia daccordo in tutto e per tutto con laffermazione di Prestinenza Puglisi, ma si parla di una copia pi vera del vero
Quello che maggiormente ha attratto la mia attenzione stato il fine conoscitivo, quel fine conoscitivo che da solo dovrebbe bastare a giustificare la riesumazione di architetture che il tempo, con il quale spesso non ci confrontiamo, ci porta via. Fino a qualche tempo fa venivano posti al di sotto della prima pietra di un edificio di una certa importanza alcuni oggetti di uso comune o carte recante la genealogia dei proprietari costruttori. Erano consci, e mi fu ribadito in una delle prime lezioni che ho seguito alla facolt di architettura, che il tempo si riappropria, prima o poi, di quella fetta di spazio ingabbiata dalluomo. Condivido il punto di vista della Cipriano, e cio che dobbiamo abituarci a rielaborare il lutto delle architetture perse.
Le attuali riviste di architettura, "sfogliate le pagine iniziali, superate le solite pubblicit", "offrono al lettore alcuni progetti che incuriosiscono per la loro forza cromatica". Ma il buon architetto, dotato di spirito critico, qualit essenziale per la disciplina che tratta, non deve soffermarsi pi del dovuto su ci che pi appare, ma deve indagare sui significati pi profondi dellarchitettura stessa. I maggiori scatti a cui sono state sottoposte le case di Wright sono stati effettuati al tramonto, con le luci dellinterno accese. O almeno gli scatti pi suggestivi sono stati fatti in quel periodo particolare della giornata. Si pensi alla Casa sulla Cascata, alla penombra generata dal bosco retrostante ed alleffetto di quelle luci che si diffondono nellambiente apparentemente incontaminato. Bhe ma la Casa sulla Cascata non si ferma al tramonto. E un architettura che vive 24 ore al giorno e che se anche fosse stata ritoccata fotograficamente per attrarre maggiormente lattenzione, deve comunque la sua importanza alla firma, tutta particolare e che ben conosciamo, del suo inventore.
Il buon architetto deve vedere oltre il ritocco, deve saper vedere quello che sta dietro al ritocco. Quando Berlage port in Olanda i primi progetti di Wright (mi riferisco all'album Wasmuth del 1910), mai tratt di petto la questione dellarchitettura organica sostenuta con forza, come capo saldo della sua stessa concezione di architettura, dal grande maestro. Perch Berlage per primo, e di seguito chi prendeva atto delle sue visioni (Wils pi di tutti), guardavano allessenza di quellarchitettura tanto moderna per quei tempi da far paura.
"L'architetto narratore di significati reconditi imponderabili" di P.Marzano mi affascina piu della donna appariscente.
Berlage e company non si sono fatti abbindolare dalle piante arrampicanti disegnate da Wright nei suoi prospetti. I progetti di Wright venivano letti oltre le sue rappresentazioni naturalistiche, nella sola loro essenza.
Un ritocco pu servire ad attrarre lattenzione, con tutti i benefici che ne conseguono per "larchitetto che, comprensibilmente, ha premura di vendere il suo progetto" e per "la carta stampata, vere e proprie chimere, che ci nutrono attraverso lirreale cultura dellimmagine", ma oltre ad attrarre lattenzione non credo che un architettura vada letta per il gioco dei "vetri specchiati o malamente colorati", o per "gli effetti di un architettura che si specchia in un laghetto o sulla ghiaia che si riflette irrealisticamente su soffitti e pareti". Oltretutto se malament
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747
di Paolo Marzano
del 16/06/2004
relativo all'articolo
Un diverso risveglio
di
Giovanni D'Ambrosio
Non c da preoccuparsi, il ritorno dello zero architettonico.
Caro Giovanni D'Ambrosio, non nego che la sua riflessione concordi con quella di molti architetti e futuri-architetti con cui per motivi professionali giornalmente mi confronto. Ritengo necessaria la pratica da laboratorio digitale-informatica; quella per capirci, prettamente diretta all'uso di programmi di effetti speciali e rendering strepitosi o textures sofisticatissime, ma ritengo ugualmente necessario che questa pratica, sia attinente solo all'ambito della ricerca di uno studio d'architettura nell'atto di creare un proprio modo di progettare. Detto questo, mi accorgo, con i miei colleghi, del fisiologico disinteresse (anche il tuo suppongo) per le riviste che 'sovra-espongono' la realt o la falsificano come (hai detto tu) anche le belle donne dei calendari (aggiungo io) oltre alle savariate architetture dei concorsi. Vengono invece, guardate con attenzione, riviste che riportano sezioni, piante, particolari costruttivi per luso di nuovi materiali ed immagini di opere realizzate. E' solo un piccolo anzi piccolissimo equivoco della realt delle immagini che stiamo vivendo, l'architetto lo sa bene. L'architetto un interprete o forse un 'narratore' ed anche un 'traduttore' di significati reconditi imponderabili. Vedi W.Benjamin quando introduce ne 'il narratore' il racconto di Nikolaj Leskov, oppure nei suoi scritti di Angelus Novus nello scritto 'il compito del traduttore' . Ma secondo me, dovremmo recuperare e rivisitare concetti che Bruno Zevi decifr nellarchitettura dellespressionismo catalano di Domenique Montaner quando usando diversi schemi e proporzioni costruttive, stilemi ed fraseggi scultorei sovrapposti, dichiar lo ZERO architettonico.
Ecco limponderabilit di paesaggi e dei significati nuovi.
Ritengo quindi le nuvole in gabbia i bloboidi invasori (solo di riviste patinate), le eruzioni standardizzate di titanio, le strutture metafisiche nella nebbia della campagna bolognese, larchitettura rivestita a fasce neo-neo-rinascimentali e la nuova generazione di subdole mutazioni genetiche fotografiche, solo un piccolo ma picclissimo travaglio che ci avvicina ad un nuovo ZERO architettonico. Grazie ai suoi sacerdoti cos volenterosi di moltiplicare instancabilmente le stesse opere con gli stessi materiali per affermare poi cosa?
Ogni progetto, diceva Frank Lloyd deve avere unidentit..(continuate voi).
Largo, quindi, alle tante voci alle diverse strategie di mercato informatico, tanto chi comprende l'architettura sa quando una rivista sta dando il meglio di s e quando non stimola pi i neuroni dellosservatore.
Oggi pi che mai cos semplice!
Aggiungo che sono d'accordo con la sua premessa, non c' niente di peggio che il sabato mattina inoltrarsi in visioni ed immagini incapaci di far emozionare o sensibilizza o addirittura 'pensare'. Appena si verifica l'angoscia data dall'evidente "irreale cultura dellimmagine", bene, il momento di scegliere tra quella rivista ed altre (tantissime).
Paolo Marzano
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746
di Guidu Antonietti
del 15/06/2004
relativo all'articolo
Un diverso risveglio
di
Giovanni D'Ambrosio
Grazie a te dAmbrosio !!! Veramente
Ciao caro Sandro !
Et scusa dAmbrosio , per il francese
__________________________________
Je viens de lire le dernier article de dAmbrosio .
Waououu ! Jadore !
Je souhaite te formuler une requte :
Peux tu te faire mon interprt auprs de lui pour lui dire
toute la jubilation que ma procur sa lecture
et aussi lui demander de bien vouloir
accepter quon en publie une traduction dans aROOTS .
Et l de toi jai besoin car,
faire la traduction moi-mme risque de donner un rsultat bien imparfait
donc si tu le veux bien ( quand tu auras le temps videment )
pourrais-tu avancer cette traduction puis jen ferais alors une relecture adaptation pour mon webzine
Merci en tout cas pour cette cet article salutaire
Vraiment vous les italiens, enfin ceux qui vous exprimez
dans antiTheSi vous conservez intacte votre esprit critique
vous etes rellement les hritiers de Brunelleschi,
Michelucci, Terragni, Zevi ect
Avec toute mon amiti.
Guidu Antonietti aROOTS-
Ps : je comprendrai parfaitement
que tu ne puisse pas honorer compltement ma demande,
car tu dois tre bien occup par tes propres travaux.
Nous pourrions peut tre demander la charmante et
pertinente Arianna Sdei de contribuer aussi, elle sait le franais aussi .
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745
di Francesca Oddo
del 15/06/2004
relativo all'articolo
Malattia italiana dell'identit
di
Giovanni Bartolozzi
Caro Giovanni,
ho letto con avidit le tue parole e ho apprezzato e condiviso le tue riflessioni.
Spero di assistere presto a quelle serate di architettura previste per giugno. Se da te organizzate, saranno di sicuro interesse.
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744
di Gaetano Puglielli
del 15/06/2004
relativo all'articolo
Tra segreti di Stato... e di Pulcinella
di
Paolo G.L. Ferrara
Comentare un articolo cos caustico e drammaticamente vero una impresa ardua. Resta il fatto che a noi, addetti ai lavori, non puo non rimanere sulla lingua quel senso di amaro e tutte quelle parole che forse sarebbe meglio non venissero fuori per evitare denunce per oltraggio al comune senso del pudore.
Un articolo divertente, con una vena satirica degna di un Pasquino dei nostri tempi......... ma quante voci dovranno mai alzarsi, quanti messaggi dovremo posare sulla statua romana di Pasquino per fare in modo che tutto ci non resti lettera morta?
Bravo Paolo..... ci vediamo nel nostro purgatorio universitario dove almeno possiamo sperare di formare quella coscienza che ad altri sembra proprio mancare completamente
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15/6/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Gaetano Puglielli
Caro Gaetano, chissà se, con il tuo paragone a Pasquino, non abbia dato un'idea al nostro premier: ripristinare -come tradizione- la pena capitale per punire i colpevoli di "pasquinate". Se così sarà, bè...mi avrai sulla coscienza!
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743
di Giancarlo Carnevale
del 11/06/2004
relativo all'articolo
Metamorfosi alla biennale
di
Arianna Sdei
Una perplessit: ho assistito alla presentazione svoltasi il primo giugno a Castel sant'Angelo, Kurt Forster stato e brillante nel suo italiano elegante, ha accattivato l'attenzione con una descrizione del programma anche non enfatica, ma, a un certo punto, ha meglio definito il "campo" entro cui aveva campionato le architetture da mostrare. E lo ha fatto utilizzando un neologismo appropriato quanto, ai miei occhi, presgo di sventure: architetture "post-vitruviane".
Ho scritto qualcosa, anni fa, su Op.Cit. circa una lontana biennale, quando il padiglione americano esibiva le Disney Architecture... , amcora cinque anni fa un mio amico, Henry Ciriani, mi confidava una sua preoccupazione - si parlava di Bilbao - "...l'Architettura corre, ora, un pericolo mortale..."
A quel tempo io risposi che forse si trattava solo del nascere di una altra disciplina, rispetto alla quale non andavano adottati i vecchi paradigmi critici. I ritratti dei primi dagherrotipi indignarono la comunit dei "pittori" che si sentirono insidiati... poi si capi che era un'altra arte quella, che aveva codici diversi, statuti scientifici diversi e criteri di valutazione diversi, anche se si applicava allo stesso ambito di produzione estetica.
Credo che Kurt Forster ci abbia rassicurato: esistono architetture Vitruviane, che si riferiscono ancora alla coerenza della triade, e architetture Post-vitruviane, che si basano sulla comunicazione, sullo spettacolo, sull'immagine... forse arriveremo, tra breve, a renderci conto che potranno rivolgersi allo stesso pubblico - come accade per la pittura e la fotografia - ma che dovranno far capo a diversi statuti scientifici e critici.
Giancarlo Carnevale
Iuav-Dpa
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742
di Beniamino Rocca
del 07/06/2004
relativo all'articolo
Ordini professionali contro l'architettura
di
Beniamino Rocca
Se l'architetto Paolo Ventura pensa davvero che gli ordini tutelino la societ e i giovani architetti ; se pensa davvero che l'esame di stato sia effettivamente una cosa seria che tuteli il cittadino, padronissimo.
Io mi preoccupo invece del mio lavoro e della possibilit, essendo architetto, di fare architettura e non edilizia.
Le Corbusier non era architetto, e nemmeno F.L.Wright: perch non dovrei affidare un progetto ad un architetto radiato dall'ordine se lo ritenessi in grado di farmi un buon progetto?
Certamente, mi girerebbero un p le scatole se, ad esempio, fossi radiato da colleghi che siedono nel consiglio dell'ordine e scoprissi poi ( vedi www. arcaso.com) che questi colleghi si raccomandano pi perch vincono concorsi truccati che per meriti deontologici e professionali.
E' anonimo quel sito, purtroppo, ma lo visiti, cos avr qualche dubbio in pi sulla necessit degli ordini deli architetti e sull'onest intellettuale di tanti professori universitari, famosi e no.
Ben venga, per questi ordini professionali, la rupe Tarpea.
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741
di Paolo Ventura
del 05/06/2004
relativo all'articolo
Ordini professionali contro l'architettura
di
Beniamino Rocca
Invidio le sue capacit di individuare tanto rapidamente le cause di complessi fenomeni tramite pochi sintomi e di saper proporre terapie dagli effetti sicuri.
Lei ragiona pressapoco cos: 1) illustrazione di qualche sintomo = l'ordine di Milano approva i bilanci con 15 persone, figli di professori universitari candidati, .... ; 2) deduzione: gli ordini sono inefficienti e corrotti; 3) terapia: abolire gli ordini.
Una medicina spartana la sua! Per estirpare una malattia lei propone semplicemente di uccidere l'ammalato!
Per il resto il suo testo pieno di illazioni, che - non potendola pensare uno sciocco - sono intenzionalmente faziose e offensive: la legge Merloni che impedisce ai giovani di lavorare (ma che cosa c'entrano gli ordini con la merloni?) oppure i "rampolli di accademici sfiatati" candidati alle elezioni dell'ordine" (dispregiativo: spompati, ammalati di asma si riducono, ultima spiaggia, ad infilare i figli nell'ordine).
Mi permetto di riordarle che compito degli Ordini non solo vegliare sul buon comportamento degli iscritti (deontologia) ma anche di tutelare il titolo professionale.
Tutti e due gli obiettivi sono di palese utilit pubblica. 1) La tutela del titolo si esplica anche con l'esame di stato, assai saggiamente previsto dalla Costituzione, strumento che serve a controllare la qualit, nell'interesse pubblico, dei futuri professionisti (architetti, nel mio caso) verificando in un certo modo l'appropriatezza della preparazione conseguita negli anni di studio universitario, i cui curricula per un certo periodo di tempo sono stati abbastanza elastici. Si documenti. Veda gli elaborati di una sessione e verificher le evidenti carenze di preparazione dei giovani.
2) Circa la deontologia, le domando solo se affidrebbe a cuor leggero un incarico ad un professionista radiato dall'albo.
Per queste semplici ragioni l'istituzione ordinistica va, proprio perch di utilit pubblica, certamente migliorata (compreso l'esame di stato), aperta alla massima partecipazione, ma mantenuta.
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740
di Fausto Capitano
del 03/06/2004
relativo all'articolo
Greg Lynn interview
di
Mariopaolo Fadda
Quando esplorai l'area web del gruppo, fui subito colpito dal numero di teste e dall'assenza manifesta di un leader creativo. L'idea di squadra "alla pari" incarna i piccoli sogni di ogni progettista dotato, da Madre Natura, di una buona dose di socialit, che nelle circostanze citate si traduce in desiderio di comunicare emozioni, di aprirsi all'altro, di "lasciare un segno", insieme. Nell'occasione di quella esplorazione, visionai il filmato relativo al Progetto WTC: l'installazione mega galattica si fa fregio di un "valore d'uso" aggiunto, che nasce da una memoria tragica e da un rinnovato sentimento collettivo. Essa prende forma dalla contingenza, si erge con sorpresa e fascino. Emana una soluzione tipologica (transfusa, frame dopo frame, di nuvole e riflessi d'alba!) che si vuole porre alla stregua di un "termine di confronto" per nuove proposizioni architettoniche dell'insediamento intensivo umano. La creatura non incarna un processo irreversibile di residenzialit economico_produttiva, ma si fa portatrice sana di un'idea di "citt pi sentimentale". NO agli "spilloni d'acciaio" irti verso il cielo con indipendenza e indifferenza. SI alle "instabili traiettorie fuse" che trovano equilibrio nell'unione, "nella partecipazione", nell'orizzontalit. Quella del gruppo una riflessione tipologica che cerca di stabilire una particolare "circolarit del pensiero sociale" all'interno del processo creativo: i caratteri di una comunit ferita, impaurita ed emozionabile, diventano variabili di forma; la forma cresce dalle attese modalit d'uso, dalle molteplici culture degli utenti, dalle erosioni strutturali della societ terrorizzata. Il prodotto, icona parametrica di un desiderio di comunit e di "comunione", si alza con presunta dolcezza e sicura forza strutturale, pronta per essere sottoposta al vaglio dell'uso sociale. In sostanza, il filmato divertente, ma non esaustivo: l'oggetto architettonico pi che altro percepito dalle espressioni della gente e dall'ombra portata sulle strade e sugli altri edifici. Il messaggio emotivo la chiave (come lo stesso Greg sottolinea). La forma dell'installazione ancora "solo un passaggio" verso "altre soglie". Altre soglie, altri orizzonti, che visioneremo in luoghi diversi da quello in oggetto, dato che per il futuro del WTC sono state scelte un'altra icona, altre emozioni, altre storie. Buon lavoro ad "United Architects", portatori di un senso di gruppo che sempre "buona cosa".
Tutti i commenti di Fausto Capitano
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738
di Carlo Sarno
del 25/05/2004
relativo all'articolo
Terragni ibernato?
di
Paolo G.L. Ferrara
Zevi scrive di Terragni : "opere tuttora incalzanti nel loro messaggio; anzich oggetti del passato da ammirare passivamente, offrono stimoli sferzanti allattuale inerzia creativa. (da: Cronache di architettura, n.692, 31.12.1967).
E Ferrara , autore dell'articolo , scrive : " nelle opere di Terragni non vi traccia della chiara volont di recuperare laspetto figurativo e simbolico dellarchitettura ma, piuttosto, di riproporre secondo un lessico contemporaneo le ricerche del passato sullo spazio dinamico, lessico che per sua stessa genesi aveva eliminato qualsivoglia elemento stilistico riconducibile alla tradizione. E se Terragni impara qualcosa dal passato, proprio sulla capacit di Michelangelo e Borromini di erodere le impostazioni classiche che va posta lattenzione.... Quello dellerosione un tema che Terragni non tralascer mai nelle sue opere.
Leggere Terragni significa eliminare a priori la ricerca nelle sue opere della simmetria poich una tale impostazione fuorviante rispetto alle finalit che esse avevano... " .
Ringrazio Bruno Zevi e Paolo Ferrara per queste loro precisazioni che colgono un punto essenziale della poetica di Terragni, ed aprono ad una pi profonda comprensione del grande architetto poeta-razionalista italiano. Si, poeta-razionalista credo che sia l'unica esatta denominazione di Terragni. In lui, e lo si evince dalle sue opere, il razionalismo viene sublimato nella poesia, ma non con forzature, con una azione appariscente ed eclatante, ma con l'eleganza e la semplcit che proprio del maestro. E' il suo un linguaggio architettonico che incarna l'ideale democratico del valore della persona e dell'ndividuo, in cui la diversit ed il divenire formale si radicano sulla tradizione senza restarne ingabbiati. Anzi la sua architettura, che potremo definire "razionalismo-poetico", esprime al meglio una istanza creativa originale - per dirla con Zevi - e ancor pi - come indica Ferrara - Terragni erode l'impostazione classica, ma non nelle strutture superficiali ma in maniera profonda .
In tal senso, la Casa del Fascio si pu ben definire un'opera "cubista" in cui l'imprevedibilit ed il diverso giocano un ruolo essenziale. Occorre girare intorno all'opera del maestro, entrare all'interno, percepirne le trasparenze e continuit sinestetiche per apprezzarne il valore .... ma non tutto ... occorre spostarsi dal piano del significante al piano linguistico del significato e coglierne - miracolosamente proprio in un'epoca totalitaria - il profondo messaggio di libert e democrazia, fierezza morale, dignit e valore della persona.
Grazie di cuore Giuseppe Terragni! Tu insegni agli architetti italiani che non ci sono scuse, che non c' alcuna giustificazione morale per chi non svolge la sua missione di architetto oggi: promuovere creativamente uno spazio per il bene dell'umanit .
Carlo Sarno
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735
di Teresa Appesa
del 11/05/2004
relativo all'articolo
Luoghi comuni. Un incipt
di
Domenico Cogliandro
Forse il caso di riportare per esteso quanto citato da Cogliandro. C' anche da aggiungere che sullo stesso argomento un divertente articolo riporta la notizia, facendo nomi e cognomi dei docenti interessati, sull'ultimo numero dell'Espresso.
Ecco di seguito il pezzo uscito sulla rivista di Prestinenza
Teresa Appesa :Il gene segreto della ricerca
La cosiddetta fuga dei cervelli dalla Universit un problema che pu, nel breve periodo, annichilire le gi scarse possibilit di sviluppo del sistema Italia. Si scritto molto sulle cause e sui possibili rimedi da porre in essere per tentare di risolvere il problema, ma tutte le analisi hanno peccato di carenza nell'approccio scientifico. A mio parere sarebbe infatti necessario analizzare le menti di un campione significativo di professori e di ricercatori di un determinato ambiente, per cercare di individuare le in-varianti, le peculiarit, le specificit che hanno consentito di selezionare la classe dei ricercatori e degli accademici che ancora non sono migrati all' estero (anche perch hanno orami conquistato il mitico posto fisso). Per nostra fortuna proprio a Napoli uno sparuto gruppo di ricercatori nel campo della genetica ha resistito alle tentazioni dei prestigiosi Istituiti di Ricerca americani cos che alcuni di loro potrebbero analizzare le menti del corpo docente di una facolt-tipo per cercare di individuare, nel patrimonio genetico del Collegio dei docenti, quali geni hanno consentito a questi ultimi di giungere rapidamente alla conquista del titolo accademico. Questo evento deve infatti dipendere da imprintig genetici particolari in quanto facilmente verificabile, incrociando l'organico dei docenti di una qualsiasi Universit e gli stati di famiglia degli stessi, che l'attitudine alla accademia e alla ricerca si trasmette per parentela diretta ovvero per via genetica. Studiare le caratteristiche genetiche del docente-tipo sino a giungere alla scoperta del gene del ricercatore consentirebbe, ai governanti del futuro, di coltivare sin da giovanissimi le migliori menti in modo da non disperdere energie e fondi dello Stato. Si potrebbero individuare sin dalla culla i futuri ricercatori sui quali concentrare tutte le energie, mentre tutti gli altri cittadini potrebbero occuparsi d'altro senza affollare inutilmente, una volta adulti, le sedi di concorso a cattedra.
Solo a titolo di esempio si potrebbe analizzare quanto l'imprintig genetico ha prodotto nella gloriosa facolt di architettura di Aversa. Qui, a dispetto di tutti i principi della statistica, legami di parentela di vario tipo accomunano un gran numero di docenti, ma probabilmente uno studio attento di altre realt accademiche porterebbe a risultati analoghi. Gli abili ricercatori di genetica napoletani riuscirebbero ad individuare facilmente il gene misterioso che certamente si annida nel patrimonio personale di alcuni dei docenti di questa facolt. Appartengono infatti allo stesso Collegio dei docenti il preside, sua moglie, il fratello, la loro nipote ed in arrivo anche il figlio del preside stesso. Una altra peculiarit genetica che dovrebbe essere attentamente indagata quella della parentela acquisita perch vivendo fra le stesse mura possibile che i geni si trasmettano per via aerea: il marito della nipote del preside e la socia di studio del fratello dello stesso siedono anche essi nell'Olimpo aversano. Allo stesso Collegio appartengono poi il vicepreside ed i suoi due figli, ed anche qui i ricercatori potrebbero affinare la tesi e verificare se il frequentare la stessa presidenza ha prodotto mutazioni genetiche tali da accomunare, ad esempio, la nipote del preside e il figlio del vicepreside. Oltre a ci un nutrito numero di figli di docenti affollano le schiere dei volontari che collaborano a vario titolo con la facolt ed anche qui le sottili arti dei ricercatori potrebbero individuare le peculiarit dei singoli patrimoni genetici per stabilire vincoli e parentele segrete.
Quello della facolt di architettura di Aversa , naturalmente, solo un esempio fra i tanti che certamente si ripetono in altri Atenei, ma studiare un esempio fra i pi emblematici consentirebbe di sviluppare una ricerca capace di isolare il gene della ricerca attraverso il quale si potrebbe provare a risolvere definitivamente il problema della fuga dei cervelli dalla Universit italiana. Un semplice esame genetico potrebbe permettere di individuare le attitudini alla ricerca ed alla docenza di un giovane cos da concentrare sullo stesso tutte le risorse che lo Stato destina alla ricerca. Il futuro ricercatore diventerebbe cos ricchissimo e dotato di fondi pressoch illimitati e non sarebbe pi costretto ad andare all'estero per esprimere al meglio le sue potenzialit.
Un dubbio rimane: e se si scoprisse, una volta individuato il gene della ricerca, che tutti i ricercatori italiani che hanno attualmente successo all'estero non ne sono dotati?
Teresa Appesa
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734
di Antonino Saggio
del 11/05/2004
relativo all'articolo
Terragni, le opere. 1^ parte: villa Saibene, Hotel
di
Renato Pedio
Ritengo la pubblicazione di questi testi un'eccellente idea. Renato Pedio stato molto amato e apprezzato da chi l'ha conosciuto di persona. Che la finezza del suo tocco e la sua intelligenza critica, attraverso le pagine di "Antithesi" , vengano ricordate mi sembra giusto.
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733
di Gianfanco Pilu
del 03/05/2004
relativo all'articolo
E' il dubbio che rode l'uomo. Incontro con Dante
di
Paolo G.L. Ferrara
Purtroppo leggo solo ora la "polemica" fra Ferrara e Benini riguardo Eurocetus. Onestamente non ho capito la "critica" se non fine a se stessa.
Ho costruito Eurocetus, e forse pecco di " affeto " per qui 550 mila mattoni stilati a vista, per quello che Dante chiama il Totem, che io vedevo come una faccia di diamante, per lo sky dome, che in Olanda dove il sole non c' come in Italia, e che si protende leggero verso il cielo, per quella scala in sferro granito, che io chiamavo la scala di di Wanda Osiris, per ilgiardino interno, o la facciata che dalla mensa interna si affaccia all'ingresso con un giardino giaponese e un rivolo d' acqua.
Oggi quell' opera sommersa da scatole quadre di ferro, cemento e vetro, che io giudico un 'oscenit .
Eurocetus non una fabbrica, un grand Hotel di lusso, non un Hotel un centro di ricerca a misura d' uomo, non neanche un centro di ricerca, un grande centro commerciale, ma non neache quello, un posto dove la gente vive e lavora bene, dove ci si sente a prorpio agio, non una scatola anonima e grigia, un luogo piacevole dove la gente passa il proprio tempo a lavorare senza l'oppressione del lavoro.
L' ho costruito, lo conosco, conosco la gente che ancora oggi ci lavora ed felice di lavorare in quel posto.
Spazi e vuoti ??? Benini che " tradisce " il primo Benini ??? non so, credo abbia fatto un ottimo lavoro.
Credo che l' architetto abbia assolto alla sua funzione, rendere un posto di lavoro piacevole.
Non riuscirei ad immaginarmi un edificio diverso, in Olanda, ad Amsterdm, vicino al AMC .
Mi chiedo e mi interrogo piuttosto chi abbia autorizzato quella bruttura di corpo aggiuntivo, che il magazzino, sul lato destro .
Mi chiedo chi siano gli architetti che hanno disegnato quelle "scatole di cartone" fatte di vetro che oggi cercano di nascondere e oscurare Eurocetus.
Non so se chi ha epresso le critiche ha visto e toccato Eurocetus, dalla critica non rilevo valore aggiunto, un pizzico di polemica senza senso.
Giusto per fare polemica ???
saluti
gfrancopilu
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3/5/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Gianfanco Pilu
Carissimo Pilu, il problema non esiste. La mia critica non si addentrava nello specifico dell'Eurocetus ma lo relazionava al linguaggio di Dante Benini, ai modi bruschi con cui è passato da una netta prevalenza all'ispirazione tipica degli anni '70 '80, tendente a riprendere i linguaggi di Botta e di tutti gli altri razionalisti accademici, alla sua totale negazione attraverso l'uso di elementi compositivamente distorti, decostruiti se vuole. Il discorso si basa sui significati spaziali e sulla loro applicazione concettuale nell'architettura, che Benini per me non ha.
cordialità
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732
di Gianluigi d'Angelo
del 30/04/2004
relativo all'articolo
Stroncare la 'lobby del culo e camicia'.
di
Paolo G.L. Ferrara
cari amici di antithesi, voglio cercare di chiarire il mio punto di vista sulla quiete che secondo me regna nel web che si evince dalle righe che Luigi ha pubblicato sulla sua newsletter e che Paolo Ferrara ha riportato sul suo articolo. Quello che ho scritto sono parte di una mail che ho mandato a Luigi Prestinenza dopo aver letto la sua idea di stroncature. In realt il testo era pi lungo e vi riporto il resto in maniera quasi totalmente integrale :
[...]
La "gente" abituata ad usufruire di un informazione preconfezionata veloce e poco impegnativa. Tutto ci che merita un minimo di approfondimento viene scartato. Si rimane in superficie. Si sfogliano le riviste. Al massimo si leggono i testi e si dimenticano dopo 5 minuti e si prendono come bibbia.... " cos.... lo ha detto...X". E' troppo complicato ragionare su delle cose quando al massimo trovi tutto gi "ragionato" quando "ti serve". La "gente" non pi abituata a pensare. E' troppo presa dal consumare voracemente l'informazione. Questa prima fase della societ dell'informazione sta per terminare, si sta bruciando della sua stessa linfa, stiamo per arrivare alla seconda fase, dopo un analfabetismo di ritorno a livello globale, setacceremo il mare di rifiuti di informazioni passate per analizzarle, una sorta di riscoperta del senso della storia post-contemporaneo. Mentre ora vediamo solo al futuro, piano piano incominceremo a riguardarci prima intorno, e vedendo come stiamo andando avanti, guarderemo di nuovo indietro per capire le ragioni di questo "stare". [...] Cercheremo le nostre radici, piano piano come tutti i grandi equilibri della terra, alla globalizzazione ci sar di risposta un grande senso della riscoperta delle radici, delle identit, come dici tu, il caratteristico, il peculiare, l'unico, verranno riscoperti. [...] vedrai che le cose cambieranno. Che le persone incominceranno ad avere consapevolezza del proprio singolo ed unico io, cogito ergo sum. penso dunque esisto. oggi: esisto dunque comunico. Verba volant scripta manent. oggi: scripta volant digital manent. Le grandi biblioteche possono anche bruciare ma la copia digitale riproducibile all'infinito e pur nella sua impalpabilit paradossalmente mai si perder. Nel bene e nel male [...]".
Quelle prime righe riportare da Paolo erano riferite ad un atteggiamento generale della maggior parte delle persone della "gente", che poi ci siano alcune che spargano veleni e attacchino tutto e tutti, rimangono pur sempre quella misera eccezione che conferma la regola. In fondo la rete sempre un mare piatto e queste non sono che piccole e localizzate burrasche che durano pochi giorni.
Riguardo il culo e camicia ecc.. delle reti referenziali, di relazione, amicizia, sfruttamento, leccaculaggine ecc... che si creano, credo sia un processo normale perch fa parte del modo di relazionarsi dell'essere umano. Non la rete di relazioni di favori ecc che bisogna mettere alla forca ma l'uso strumentale che se ne fa. E' normale che alla fine in un contesto culturale come quello dell'architettura oggi in Italia ci si conosce tutti ed normale che tra queste persone coesistano legami di amicizia e professionali. In fondo l'amicizia basata sulla stima, correttezza e condivisione di valori ed ideali e questi fattori fanno bene ai rapporti professionali. Fare la critica che fa arcaso molto pericoloso perch esamina i fatti ma da questo prima di dedurre che determinate circostanze siano strumentali non semplice. alcune cose che sono venute fuori da arcaso hanno svelato oscuri meccanismi e nel caso del concorso di Bagno a Ripoli addirittura abbiamo assistito all'annullamento di un premio. Altre volte ci sono stati degli accanimenti verso alcuni studi come per es i 5+1... in fondo nella storia del concorso priamar Guillermo Vasquez Consuegra si dimesso, per togliere ogni dubbio e questa non una dimostrazione di scorrettezza ma esattamente il contrario di grande onest. La rete di relazioni pur essendo rappresentabile con una mappa credo che non servirebbe a molto. pu essere simpatica vederla su domus, dove ha una precisa funzione, o sui libricini dei cliostraat, ma una mappa del genere "una topografia che descrive il modo in cui circola il potere , in senso positivo e negativo" come dice Luigi, che implica anche un valore morale e tende a misurarlo risulterebbe come un restyling ipertestuale della classica divisione sulla lavagna che si faceva alle elementari tra buoni e cattivi. A parte lo scarso interesse potenziale (a noi inf ondo ci interessa sapere questi retroscena? Quale utilit avrebbero? non la rete che definisce la qualit di un rapporto professionale ma il modo in cui i rapporti tra i singoli sono definiti. Una linea che collega due punti non dice questo, ci dice che sono in relazione ma non ci dice come. e nessuno pu dire in modo oggettivo che la persona A si relaziona con la persona B per avere favori o in maniera disinteressata. E' u
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731
di beniamino rocca
del 30/04/2004
relativo all'articolo
Stroncare la 'lobby del culo e camicia'.
di
Paolo G.L. Ferrara
Ho seguito il consiglio di Mara Dolce e ho letto il suo scritto con attenzione e la consueta voglia di imparare.
Non ho trovato granch per.
Nulla sull'invenzione spaziale e tipologica della chiesa, molto invece su dettagli di design e sui costi di costruzione (che Mara sia , come me, anche geometra e con certa esperienza di cantiere?).
Insomma, non ho trovato niente di critica-costruttiva .
Solite gocce di veleno che, naturalmente, non hanno intaccato , n intaccheranno mai, le splendide vele di Meier.
Sono in calcstruzzo-titanio , perbacco!
Dovrebbe essere pi modesta , forse, Mara Dolce e ricordare che un critico di nome Bruno Zevi giudic questo lavoro come l'opera di un genio, e paragon Richard Meier a Bramante. E fu proprio per il progetto di questa chiesa , non certo per il poco felice intervento dell'Ara Pacis.
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730
di Mara Dolce
del 29/04/2004
relativo all'articolo
Stroncare la 'lobby del culo e camicia'.
di
Paolo G.L. Ferrara
il commento di Beniamino Rocca la dice lunga su come siamo messi a critica in Italia. Un normalissimo intervento che non sia di promozione viene considerato "coraggioso e bello" . Quanto all'impegno generoso di Prestinenza in rete, Rocca potr facilmente vedere che spessissimo sono interventi gi pubblicati precedentemente su riviste.
Niente di personale contro Prestinenza, per il quale una passeggiata in questo momento essere "critico affermato" con quello che gira . Ma non ci venga a vendere la storia della stroncatura dopo che lui per anni ha promosso chiunque. Se arrivato il momento di stroncare che almeno ci spieghi perch proprio adesso, cosa cambiato? Un critico serio fa anche questo: spiega le sue improvvise virate, i salti carpiati di pensiero, gli atteggiamenti ribaltati.
Quanto alla mia credibilit invito Rocca al seguente link:
http://www.b-e-t-a.net/~channelb/corrispondenti/027roma/
purtroppo vedr che tra la critica dell'affermatissimo critico a Moneo, e quella della sconosciutissima osservatrice a Meier, non c'e' poi una gran differenza.
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729
di Beniamino Rocca
del 28/04/2004
relativo all'articolo
Stroncare la 'lobby del culo e camicia'.
di
Paolo G.L. Ferrara
Impeccabile davvero l'articolo di Paolo Ferrara sulle lobby del "Culo e Camicia"... e mi spiace di non poter dire altrettanto invece del commento di Mara Dolce a proposito di Prestinenza Puglisi di cui, non a caso, lamentavo proprio su Antithesi -commento 667- eccessiva timidezza critica a proposito del suo intervento su Ravello.
Va dato atto a Prestinenza di essere uno dei pochissimi critici d'architettura gi affermati che accetta di mettersi in discussione sul web e proprio adesso, con le sue " stroncature" sembra voler rompere la crosta maleodorante e filo-accademico-ordinistico che trova sempre pi spazio sulle riviste di settore e sulla rete.
Non sono certo un critico d'architettura, l'ho gi detto nel mio primo intervento su questo sito mesi fa: sono un "architettogeometra" che ama questo mestiere e, malgrado l'et, non rinuncia ad imparare ed a cercare di capire l'architettura.
Ho trovato coraggioso, bello e condivisibile il giudizio critico di Prestinenza su Moneo.
Solo aggiungerei senz'altro l'ampliamento del museo di Stoccolma tra le cose spazialmente pi monotone e meno riuscite del maestro spagnolo.
Ci premesso, suggerirei a Mara Dolce di dare pi forza e credibilit alle sue argomentazioni illustrandoci lei le " ...vere e tante debolezze dell'architettura di Moneo".
Non solo io, credo, ma molti altri apprezzerebbero.
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728
di Mara Dolce
del 27/04/2004
relativo all'articolo
Stroncare la 'lobby del culo e camicia'.
di
Paolo G.L. Ferrara
Impeccabile lintervento di Paolo Ferrara stroncare la lobby del culo
e camicia. Impeccabile perch tiene conto di tutti gli aspetti che implicano le lobby professionali, perch solleva dei giusti interrogativi sulleventuale capacit dei critici di essere in possesso di quel coraggio e capacit critica che permette di stroncare; fino allinvito a Prestinenza -che ha audacemente (e incoscientemente) istituito una specie di rubrica anti-buonista in favore della stroncatura -a partire, per esercitare la stessa, dai suoi amici critici.
Il mio bravo a Paolo Ferrara va soprattutto perch con il suo scritto
mette in evidenza due cose:
1) per un critico pi facile promuovere piuttosto che mettere in evidenza le debolezze di unopera. Con la prima ci si guadagnano amici, con la seconda si rischia di scoprirsi: impreparati, incapaci, inconsistenti. Negli ultimi 6 anni, mascherata da critica costruttiva ci siamo dovuti sorbire lo sproloquio di qualsiasi leccaculo che ha pensato bene di farsi un po`di amici e di far girare il suo nome fatto precedere arbitrariamente dalla parola critico, facendo una inconsistente promozione della nuova architettura.
2) Prestinenza stato uno di questi critici buonisti che ha proposto e appoggiato la qualsiasi cosa e che ora, con il suo consueto salto triplo da poltico trasformista, ci si propone in veste di anti-buonista invocando la stroncatura. Evidentemente si sente pronto per la critica seria, quella che non ha come obbiettivo principe il consenso. Con la promozione che ha esercitato negli ultimi anni si fatto un discreto gruppetto di amici che lo segue, si sente forte abbastanza per non dover dire ancora troppi grazie. E cosciente, che inaugurando la stagione della critica anti-buonista, pochi lo seguiranno: ci sar una scrematura dei sedicenti critici: spariranno i Barzon, le Palumbo, gli Unali e quantaltri si sono inventati critici per una stagione, permettengli un confronto pi diretto e stretto con gente di maggior livello, facendo in questo modo un salto di qualit nellopaco panorama della critica italiana.
Io non posso che applaudire alliniziativa della stroncatura promossa da Prestinenza, perch circa due anni fa, proprio sulle pagine di antiTHeSi sollevai il problema della critica buonista e dei sedicenti critici che nulla apportano allarchitettura se non a loro stessi. E stroncatura per stroncatura, inviterei Prestinenza a partire non solo dai suoi amici critici
- come gli suggerisce Ferrara - ma da se stesso: dal suo pezzo su Moneo, che debole e che rivela una formazione di storico piuttosto che di architetto, che non centra le vere e tante debolezze dellarchitettura di Moneo; che mette dentro tutto per paura di non aver lasciato niente intentato. Una critica dei grandi numeri la definisco io, che gioca sullle statistiche: ficcandoci dentro parecchia roba, almeno una delle tante si approssimer per difetto o per eccesso alla realt.
Tutti i commenti di Mara Dolce
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727
di Luigi Prestinenza Puglisi
del 26/04/2004
relativo all'articolo
Stroncare la 'lobby del culo e camicia'.
di
Paolo G.L. Ferrara
Una (fanta)ipotesi di lavoro
Caro Paolo, non parlerei di mafia ma sicuramente di omert: la prima fa pensare a un sistema cosciente e strutturato del potere , il secondo a un colpevole silenzio di fronte a fatti e misfatti che, pur essendo gravi, non seguono un preciso disegno e rispondono piuttosto a logiche personali di convenienza, a lobby articolate in forma debole, a volont di carriera, di ottenimento di incarichi o nei casi migliori di acquiescenza in base al principio italico -e non solo- del vivi e lascia vivere.
Vorrei adesso lanciare una proposta provocatoria e credo per certi aspetti non facilmente realizzabile, alla quale mi ha fatto pensare il tuo articolo e che segue a una riflessione sul sito di Arcaso. Dapprincipio ho visto di Arcaso gli aspetti negativi: delazione, gossip, anonimato. Successivamente ho pensato che non era da disprezzare lidea di mettere in evidenza inquietanti coincidenze basate su fatti documentati. Perch avrebbe potuto delineare una geografia occulta, evidenziando una serie di connessioni che sfuggono non solo allosservatore distratto ma anche agli interpreti pi attenti. Connessioni che, per, sono chiarissime a coloro che intendono la cultura strumentalmente. Esplicitare il tessuto delle relazioni: il critico A ottiene lincarico nelluniversit il cui preside B, B fa vincere il concorso ad A, B e A fanno insieme la tal cosa eccMa farlo su scala nazionale e con una mole molto maggiore di informazioni. Infatti, da sola, nessuna relazione vuol dire nulla. Capita spesso di interpretare come scambio di favori fatti esaurientemente spiegabili in chiave esclusivamente culturale. Sarebbe interessante, per esempio, a proposito dei nomi che citi ricostruire una mappa delle relazioni che legano Venezia e il Ticino forse passando per Milano. Cos tanto per vedere che succede in campo professionale, editoriale, accademico. Tante altre mappe sarebbero possibili. Alcune tematiche dedicate alluniversit, dove molto di questo malaffare si annida. Lobiettivo sarebbe insomma una topografia che descrive il modo in cui circola il potere , in senso positivo e negativo. Esplicitarla con un grafico, un ipertesto, una serie di diagrammi, per evidenziare fatti documentati, acclarati, pubblici sarebbe possibile grazie allinformatica. Non sono in grado tecnicamente di riuscire a realizzare un diagramma tanto complesso e di gestirlo elettronicamente. Mi rendo conto che un ipertesto cos fatto potrebbe alla fine somigliare sinistramente alla schedatura del Grande Fratello. Ma, certo, ammesso che qualcuno voglia intraprendere questa iniziativa e che gli aspetti negativi relativi alla privacy siano superabili, sarebbe una operazione di grande interesse, che credo ci direbbe tante cose. Forse troppe.
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726
di Mariopaolo Fadda
del 26/04/2004
relativo all'articolo
Stroncare la 'lobby del culo e camicia'.
di
Paolo G.L. Ferrara
Per rimettere in moto la critica senza mezzi termini, quella che pu addirittura arrivare, per lappunto, alla stroncatura, come dice Ferrara, mi pare interessante dare uno sguardo ad una vicenda, quella dello World Trade Center, dove la critica ha dovuto non solo mettersi in moto ma rivedere il suo ruolo e la sua strumentazione in quellautentico bombardamento di informazioni che ha disorientato non pochi addetti ai lavori. Un bombardamento di quotidiane discussioni che hanno impegnato per mesi semplici cittadini, cattedratici, uomini politici, gruppi culturali, testate giornalistiche, reti televisive. Un tribolato e combattuto processo con una partecipazione pubblica in pianificazione urbana senza precedenti (New York Times) che ha cambiato larchitettura (Libeskind). Le valutazioni staccate nel tempo, le analisi storiche retrospettive, i giudizi interlocutori sono stati aggiornati alla luce degli avvenimenti in tempo reale.
Le oltre 4,500 persone che affollano il Jacob K. Javits Covention Center non solo partecipano ad un processo democratico, ma si immergono nellanalisi delle iniziali 6 ridicole proposte e ne decretano laffossamento. Dora in poi, larchitettura non sar mai pi la stessa. Non ci sar pi un edificio senza che la gente discuta su cosa sta succedendo e come apparir, dice Libeskind. I critici, per non essere tagliati fuori, devono scendere nellarena, prendere posizione e combattere per difenderle. Un tempo si sarebbe chiamata critica militante oggi potremmo chiamarla critica orizzontale, prendendo a prestito da Saskia Sassen la definizione di orizzontalit ... i networks economici, culturali e politici si sono resi conto quanto fosse cruciale operare orizzontalmente invece che gerarchicamente e cio secondo una rete di rapporti meno verticistici e pi democratici. Quellorizzontalit che porta lautrice, una sociologa, a lodare non solo gli approcci degli United Architects e di Libeskind, i primi per la loro citt verticale perch usano la verticalit... ma reinventandola, il secondo per la soluzione del memorial, ma di tutti i concorrenti per la complessit ed il mix di spazi. impossibile che nessuno di questi progetti non venga costruito.
La critica orizzontale non attiene solo alloggetto finito ma interviene nel processo e lo condiziona nei termini del principio democratico di conoscere per deliberare.
La critica verticale quella che ci impone di aspettare e ascoltare in riverente silenzio leditoriale dei direttori delle Casabelle, dei Domus, il libro settimanale di Dal Co, le commemorazioni di Portoghesi, le farneticazioni dellaccademico di turno. Quella critica cio arroccata nelle redazioni delle riviste patinate, nelle pseudo-torri davorio, nelle esclusive cittadelle delle lites intellettuali. Mentre la critica orizzontale scende nellarena e si confronta direttamente con il pubblico, affidandosi alla stampa quotidiana, ai forum con i protagonisti, alle discussioni pubbliche, alle interviste, alle mostre praticamente in diretta per soddifare la tempestivit richiesta dalla societ contemporanea.
La critica orizzontale si fa carico di aiutare il pubblico a districarsi nella giungla di informazioni che i media gli rovesciano addosso. La critica verticale difende a denti stretti una concezione esclusivistica della cultura che la partecipazione del pubblico mette in crisi sollevando il velo di mistero sui rituali che si svolgono nelle sale riunioni degli studi e degli uffici. E in questo contesto acquistano grande importanza anche gli aspetti giornalistici e, se vogliamo, mondani nella valutazione estetico-formale. I giornali quotidiani hanno compreso da tempo limportanza del fenomeno e non a caso i maggiori di essi hanno un critico di architettura che scrive regolarmente articoli di architettura.
Sin dalle prime 6 proposte Herbert Muschamp critico di architettura del New York Times, si fa carico di stroncare la credibilit dei progetti gestiti nel chiuso degli uffici della LMDC. Spara a zero sui consulenti, lo studio Beyer Blinder Bell e Peterson Littenberg giudicando i primi incapaci di produrre architettura moderna di qualit, e riporta il soprannome con cui sono conosciuti nellambiente professionale: Blah, Blah e Blah; ed i secondi di essere architettonicamente reazionari, seguaci di Leon Krier e Prince Charles. Accusa Gravin, il coordinatore per il settore urbanistico-architettonico, di separare artificiosamente laspetto urbanistico da quello architettonico per marginalizzare il ruolo di questultimo. Le valutazioni dei critici trovano conferma nellatteggiamento del pubblico e il tentativo di ricostruire lo World Trade Center con il sistema del culo & camicia deraglia miseramente.
Subito dopo la dbacle pubblica delle prime proposte viene organizzato il concorso internazionale che si conclude con la selezione di 9 proposte sulle quali i giudizi sono variegati quanto le proposte stesse: per Nicolai Ourou
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724
di Gaetano Manganello
del 25/04/2004
relativo all'articolo
Scontro sull'eredit di Terragni
di
Bruno Zevi
Visitando le opere di Terragni a Como il 18 Aprile ho capito la grandezza di un artista architetto che, da pioniere, ha introdotto in Italia la vera architettura. I suoi edifici sono di una entusiasmante coerenza fin nei minimi dettagli, le sue soluzioni sono innovative dopo oltre settant'anni dalla realizzazione; la lezione di Terragni stata ripresa fuori dai confini italiani dagli architetti europei, gli architetti italiani, le facolt di architettura, invece, hanno a lungo disconosciuto la sua grande figura di artista . L'esempio di Terragni andr trasmesso ai giovani studenti di architettura, agli architetti che credono nell'architettura come sinonimo di passione civile, di impegno morale, di espressione artistica.
Tutti i commenti di Gaetano Manganello
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723
di Carlo Sarno
del 24/04/2004
relativo all'articolo
Scontro sull'eredit di Terragni
di
Bruno Zevi
Giuseppe Terragni era un poeta che affront il razionalismo e l'esigenza di modernit dell'Italia infrabellica con il suo geniale lirismo . Lo stesso Le Corbusier nel 1948 nel vedere una mostra sull'opera di Terragni dir che era stato un suo compagno di lotta per un'arte pura , un'arte tutta rivolta all'espressione dello spirito - quindi libera e democratica .
Giuseppe Terragni scrive dal fronte russo il 21 ottobre 1941 : " ... mi sembra di vederti chiedere le mie impressioni sulla guerra e le ripercussioni sull'animo di un artista ( come sinceramente credo di essere ) di una vita e di tante emozioni cos lontane dalla attivit spirituale alla quale l'artista chiamato ..." .
E' proprio qui il punto : "...attivit spirituale alla quale l'artista chiamato..." . E' proprio qui l'acme del suo contributo all'Architettura Italiana : dare uno spessore spirituale all'attivit di architetto , di creatore di spazi per una vita in cui l'uomo possa esprimere al meglio la sua personalit e verit di essere .
Non fossilizziamoci su giudizi storicistici e meramente di cronaca .
Giuseppe Terragni se seppe riscattare insieme a Persico e Pagano la cultura italiana architettonica dal disfacimento totale , opponendosi alla retorica , alla corruzione e al commercialismo , questo fu principalmente perch era un architetto geniale ed un grande artista che credeva nell'onest intellettuale e nella fede in un Dio di amore , unico riferimento sovrastorico per la costruzione di una civilt migliore .
Dice Bruno Zevi : "...La crisi dei linguaggi di estrazione cubista era inevitabile di fronte ai nuovi panorami del dopoguerra, al movimento organico, al dirompente messaggio di Frank Lloyd Wright. Il problema non sta in un revival di Terragni, ma in un confronto, in una spregiudicata riflessione autocritica...".
Questo significa che ci che importante dell'attivit di Giuseppe Terragni il suo messaggio di artista impegnato , che crede a dei valori , che sa che l'artista-architetto chiamato ad una insostiuibile e fondamentale attivit spirituale , baluardo della libert e originalit dell'uomo , costruttore di una civilt migliore per un vivere felice .
Carlo Sarno
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722
di Arianna Sdei
del 21/04/2004
relativo all'articolo
Quelques considerations sur l'enseignement et le m
di
Guidu Antonietti
No,videmment ce nest pas suffisant, et je pense que l exprimentation ncessite dtre mise en ouvre, mais je crois aussi bien que cest beaucoup avoir la force de parcourir ce schma cot de la pratique quotidienne.
Je nai pas des rponses , mais seulement des questions. Est-ce quil y a une place relle ou les architectes peuvent soccuper de larchitecture relle ? Dans lhistoire on a vu assez souvent des beaux projets que sont devenues des belles architectures, mme aujourdhui par fois on le voit. Mais la question cest peut tre : est-ce on peut arriver faire de larchitecture dans lordinaire? Parce que cet ici quil faudrait gagner, exactement dans lordinaire.
No, evidentemente questo non sufficiente, e credo che la sperimentazione teorica ha la necessit di essere messa in opera, penso anche che sia comunque importante continuare questo percorso di ricerca accanto alla pratica professionale quotidiana.
Non ho risposte, solamente molte domande. Esiste un luogo reale dove gli architetti possono occuparsi di architettura? Nel passato abbiamo visto spesso dei bei progetti divenire belle architetture, anche oggi capita. La domanda forse : Si pu fare dellarchitettura nellordinario? Perch e qui che bisognerebbe vincere, nellordinario.
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719
di Arianna Sdei
del 17/04/2004
relativo all'articolo
Quelques considerations sur l'enseignement et le m
di
Guidu Antonietti
Caro Guidu,
Quello che viene detto soprattutto alla fine dellarticolo non incoraggiante. Sono da poco architetto e sto cominciando a lavorare. Forse c qualche differenza tra il sistema francese e quello italiano, da quello che ho letto nellarticolo e dal poco che ho sperimentato mi sembra che il sentimento che esce fuori sia nei due casi molto simile. Io posso raccontare la mia esperienza odierna, fatta di committenti completamente privi di qualsiasi cultura architettonica che non sia quella dei tetti a falde, i portichetti, le mansardine e gli abusi edilizi che prendono decisioni architettoniche e che io non so come trattare per fare qualcosa di degno.
Da un lato bisogna lavorare, dallaltro bisogna potersi esprimere liberamente, ci sono gi tanti vincoli urbanistici con cui fare i conti che se anche il committente ostacola la tua ricerca la libert di espressione decade completamente.
Forse perch sono allinizio ma non riesco a rassegnarmi e dire: che facciano come credono.
Come bisogna comportarsi?
Mi sembra gi un dato positivo che i neolaureati francesi non sono disoccupati, vuol dire che c un mercato che permette di cambiare. Ho frequentato un anno di cole darchitecture in Francia e sono poi ritornata in Italia, ora nutro il desiderio di lasciare questo paese ma penso anche che bisognerebbe lottare un po di pi, dovremmo essere pi combattivi, non stancarci di spiegare il perch dei nostri segni, delle nostre convinzioni, non stancarci di dialogare facendo contemporaneamente azioni liberatorie come scrivere un articolo, approfondire una ricerca teorica o partecipare ad un concorso di progettazione.
Questa potrebbe essere una possibile medicina per curare la frustrazione, cosa ne pensi?
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17/4/2004 - Guidu Antonietti risponde a Arianna Sdei
Chre Arianna crire un article, approfondir une recherche thorique et participer un concours de projetation cest ce que nous faisons sur le Web surtout, oui !
Mais est-ce suffisant ?
Dans aROOTS le 14 octobre 2002 jcrivais :
Un peu artiste, un peu homme daffaire, parfois brillant intellectuel, je mhabille en noir absolu de chez Yamamoto et je prore dans les salons cathodiques. Tandis que dans le rel, le complexe politico-industriel, les grandes banques, leurs bureaux dtudes filiales, tous les acteurs vrais sont au rendez-vous, sur le terrain, sur les chantiers, dans les bureaux de programmation. Tous adhrent cette devise clbre dun roi du bton reconverti en patron dun empire audiovisuel : "je gagne de largent avec les travaux que je ne fais pas !". Ainsi si dans ma mmoire vive il ne sinscrit plus que la priphrie de nos villes est la drive, que le logement social est en faillite, que les mal logs sont les exclus, que les marchands phagocytent la cit cest peut-tre parce que mon cybermonde est impermable au monde tel quil est. Ma vie dArchitecte est donc pareille celle dun dsert o jamais rien ne change si ce nest lillusion du changement quy apporte le vent et la lumire en y faisant se succder les apparences. Elles me disent que chaque matin qui se lve est une leon de courage et que la connexion entre le clair-obscur du Web et la lumire solaire de lUnivers vrai est interrompue.
Bref...suis-je heureux ?
Cest toujours dactualit il me semble ... enfin pour moi !
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718
di Olga Cambiaghi
del 15/04/2004
relativo all'articolo
Sabato fascista e 11 settembre, simbolo e memoria
di
Paolo G.L. Ferrara
Interessante e provocatorio, oppure di buon spunto riflessivo ci che lei scrive; il dialogo con l'architettura, ci che essa rappresenta, ma soprattutto ci che gli architetti rappresentano con tratti di pietra cos pesanti da reggere ogni qualvolta ne producono mezzo, lascia molti intendimenti al pensiero e all'osservazione.
Compresa la sua osservazione sulla presenza di Portoghesi a Como, ma il luogo politico (la scelta...) non poteva che andare in quella direzione.
Continui e io continuer a leggerla.
Ovvio che questo commento non affonda radici nella critica all'architettura, ma ha per ora un tono di lettura.
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717
di Andrea Pacciani
del 14/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Epocale!
L'intevento di Puglisi illuminato da un punto di vista della critica architettonica; per la prima volta su una rivista ufficiale italiana qualcuno si pone finalmente di fronte all'amara (per loro) realt che "una architettura unopera che nel tempo soggetta a continui rimaneggiamenti, spesso per il meglio", che la continuit e il cambiamento sono principi regolativi dell'architettura che la fanno sopravvivere alle generazioni; l'alternativa la museificazione feticistica del lacerto pi vecchio.
E' un'ammissione pesante: questo vuol dire finalmente nei fatti abbandonare la dicotomia "vero-falso" temporale e materiale (concetto introdotto in architettura solo nel XX secolo di fronte allo storicismo fine 800, ma duro a morire); vuol dire dare pi importanza nel giudizio della qualit architettonica all' "identit formale dello spazio" che alla sua identit temporale e materiale; vuol dire previlegiare i concetti di "opportunit","efficacia", "congruit" nel giudizio estetico complessivo di un edificio: di cosa sia fatto e quando sia stato fatto s importante ma meno della qualit della vita che vi si pu svolgere in questo momento.
Con questo metro ecco che senza ipocrisie si capisce l'idolatria del mercato immobiliare per i rustici dei poveri contadini dell'800 e i prezzi del centro storico dei palazzi nobiliari (dove spesso risiedono e lavorano gli architetti moderni), cos come la deriva da collezionismo d'elite dell'architettura conemporanea che punta solo ai valori temporali e materiali della costruzione.
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716
di Antonio Girardi
del 12/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
La riapertura della Fenice segna un importante centro per larchitettura moderna. Linteresse dei media e del pubblico verso linaugurazione del Teatro veneziano permette di puntare i riflettori una volta tanto su quello che un atto di cultura civile e di grande architettura moderna.
Perch di questo si tratta, grande architettura contemporanea, ossia rispondente alle esigenze della nostra societ. Permette una moderna fruizione del teatro: la torre scenica stata riprogettata per essere compatibile con le necessit scenografiche dei nuovi allestimenti, lintero teatro per essere compatibile con il lavoro degli addetti e la fruizione da parte del pubblico di spettacoli complessi che si tengono nei teatri pi moderni e avanguardistici. Il tutto, si capisce, compatibilmente con il sito, la facciata, e gli altri pochi resti dellAntico che erano, siamo tutti daccordo, da salvare. Lequivoco in cui cade a mio avviso chi denuncia la politica della ricostruzione dovera e comera in nome di una ennesima occasione mancata per larchitettura moderna, sta nel credere che per affrontare il nuovo si debba necessariamente ricorrere a forme nuove, a tecniche allavanguardia, a materiali nuovi o presunti tali. Avrebbe forse lutilizzo di un lessico contemporaneo reso il teatro pi rispondente alle necessit della moderna fruizione, rendendo lutensile pi a punto? Questa la domanda decisiva. Naturalmente sono da annoverare tra le moderne esigenze anche la necessit che il teatro sia una valida rappresentazione della nostra attuale societ. Ma che il moderno lessico architettonico internazionale e cosmopolita sia in grado di esprimere chi siamo da dove veniamo e dove andiamo meglio di quanto possa farlo la nostra storia e la nostra tradizione in una parola la nostra identit- tutto da dimostrare.
Si veda a che risultati ha portato nellentroterra veneziano la perdita totale di ogni segno morfologico del passato, lo stupido adeguamento a unidea extraeuropea di citt. Nello sfascio socio-culturale delledilizia veneta ci che inquieta non tanto il ricorso a segni e lessici antichi, lingenuo utilizzo di colonnine doriche, di finestrelle tonde, di archetti, frontoni, timpani, di modanature in calcestruzzo. Ci che realmente sconcertante il fiorire ovunque di capannoni commerciali, di ville villine villette, la totale distruzione del territorio, il completo svuotamento di senso dei centri storici ridotti ormai a lussuosi shopping centre. Il problema non la decorazione classicista, ma limpossibilit-incapacit da parte degli strumenti urbanistici di immaginare una morfologia abitativa, di progettare una citt che sia forma rispondente alla moderna societ. Non riesco a immaginare come lutilizzo di tetti piani, grandi vetrate o qualsivoglia icone dellarchitettura moderna potrebbe risolvere questo problema politico, e anzi leggo nello sgraziato ricorso a un lessico classico, uno stonato urlo contro la citt cosmopolita-universale propinataci dalle riviste darchitettura, un impacciato tentativo di ritorno a una vita civile.
E cosa c di meglio del Teatro della capitale storica del nostro territorio per richiamarci tutti allordine, per imporci di pensare che il ritorno a una vita civile pi partecipe e pi coinvolta sia ancora possibile? Perch questo il senso della sublime progettazione di Aldo Rossi, straordinario maestro che come vero architetto civile rinuncia a lasciare la firma in questa sua ultima opera, affidandosi nella sala prove lunico spazio creato ex-novo e quindi libero a qualsiasi sperimentazione linguistica- alla espressivit della pi rappresentativa architettura del nostro passato, la facciata della Basilica Palladiana di Vicenza, qui riproposta in un plastico in legno in scala 1:3. Cos in un panorama architettonico e artistico in cui gli autori sono nella stragrande maggioranza relegati o autorelegatesi a sperimentatori di innovative espressivit spaziali e di soluzioni formali che nascono gi vecchie e alle quali le riviste fingono di interessarsi, la costruzione della Fenice ci insegna che per lartista ancora possibile e auspicabile uno spazio per progettare un futuro migliore.
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715
di Irma Cipriano
del 11/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
In risposta a Luigi Prestinenza Puglisi.
Grazie per la risposta.
Trovo un po' avvilente le opzioni da Lei date, che riassumerei: far morire l'opera;darla in mano ad un contemporaneo che la rovini; restituire il moribondo ai propri cari e che se lo gestiscano loro fino al momento del declino. Vede, io credo non si debba arrivare n alla prima, n all'ultima ipotesi. Come, d'altra parte, sono convinta che non esistano foto, riproduzioni in Cad e sottrazioni da mandare in qualche museo che possano in nessun modo sostituire la visone di un'opera architettonica e il poterla vivere in prima persona. Quello che sarebbe necessario fare il poter permettere che questa continui a vivere fino a che sia possibile, con le opere di manutenzione necessarie e le pi varie. Ma che essa viva in maniera dignitosa, cio nel modo pi veritiero e vicino a quello che il suo essere, che non vuol dire per rifarne i pezzi come erano prima . Vuol dire riuscire ad interpretare un'opera nella nostra modernit. Purtroppo un'operazione che non sempre riesce, ma la scommessa che si pu e si deve fare. Se questa scommessa viene persa, si prende atto delle conseguenze. Che operazione da farsi in ogni cosa che facciamo, anche al di l dell'essere in campo architettonico. Niente mai uguale, nel mondo, a quello che stato al momento della sua nascita. Da quando una cosa viene creata ,in poi, sempre diversa. Perch non dovrebbe esserlo l'architettura?
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714
di Luigi Prestinenza Puglisi
del 11/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Sono affascinato dalla coerenza del discorso di Irma Cipriano. Ma c qualcosa che non mi torna quando penso ad alcuni esempi che mi vengono in mente. Quali, per esempio, quattro opere la cui visita ha segnato la mia formazione. Sono casa Schroeder, casa Farnsworth, villa Savoye, Falling Water. Tutte e quattro sono oggi ridotte a monumento di loro stesse. Deprivate della loro vita e oggetto di lifting accurati, una- penso a Falling Water- stata recentemente manomessa nella struttura originale per farla tenere in piedi. In altre, casa Schroeder e casa Farnsworth, non permesso entrare se non con soprascarpe per evitare di recare alla struttura qualsiasi danno. E se in casa Farnsworth sino a poco tempo fa ci viveva Lord Palumbo, non doveva essere una piacevole vita a giudicare, dai vincoli che si autoimponeva per non intaccare laura del monumento. Villa Savoye, oggetto di numerosi restauri, diventata un luogo di feticismo dove architetti di tutto il mondo si recano per scattare lennesima foto. In tutte della vita originaria non resta nulla. Sono come la mummia di Lenin. Eppure, devo dire, che sono contento, sia pure in queste condizioni falsate, di aver visto queste architetture. Ne ho imparato pi cose che dalla visione di mille fotografie stampate sui libri di testo. Un po come andare allo zoo, un po come andare ai musei di storia naturale dove fanno mostra di se gli animali impagliati. Mi si dir che oggi esistono altri modi per conservare la memoria: filmati, ricostruzioni CAD ecc... Eppure non credo siano equivalenti. Ecco perch, per certe opere non riesco a disprezzare limbalsamazione o, per dirla con unaltra parola, la museificazione. Certo, vedo con preoccupazione la crescente feticizzazione dei musei e capisco che stanno assumendo un ruolo sproporzionato in questa societ contemporanea, incapace di pensare al futuro e sempre pronta a rimpiangere il passato. Credo che sia fisiologico, parte di un sano metabolismo, che molte cose si eclissino con il tempo. Condivido il punto di vista di chi vede nell ansia conservativa che oggi ci possiede un rapporto pi che irrisolto con la morte.
Torniamo, per agli esempi concreti, quale la Casa della cascata. Cosa fare? Farla andare in rovina per non sostituire la vecchia struttura dei terrazzi con una nuova e pi efficiente? Darla in mano a un architetto contemporaneo per reinterpretarla, con il rischio di far ripetere il rovinoso restauro e ampliamento fatto da Gawathmey al Guggenheim di NY ( diciamocelo: che restauro da cani!). Restituirla ai proprietari per fargli vivere una vita normale? Tra tutte le soluzioni credo che la musealizzazione e il restauro conservativo siano, per il caso specifico, le migliori. Ecco perch penso che in certe condizioni eccezionali- presenza di opere di assoluto rilievo e coerenza, elementi particolarmente importanti in un contesto unico ecc...- possa essere pensabile bloccare la vita a un dato istante, accettando anche gli aspetti negativi che questa operazione di sicuro crea: se da molto sottraggo qualcosa, qualcosa comunque resta.
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713
di francesco pietrella
del 08/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
falsificazione o clonazione?
in questa epoca diviene difficile anche chiarire quando ci si trova dinnanzi a falsificazione o clonazione.....
e' chiaro che c'e' qualcosa di sbagliato nell'operazione Fenice...credo si tratti di una confusione generale da italietta piuttosto che interpretarla come la stratificazione di presenze architettoniche-restaurismi tipica del belpaese...
ascolto alla radio un pezzo di Andrea Bocelli e "l'uomo volante" di Marco Masini. sinceramente un po' di paranoia mi viene non riuscendo a distingure chi dei due e' un musicista pop o uno classico, se sia piu' moderno rivoluzionario Bocelli con la sua musica transdisciplinare o piu' classico standard Masini con un conformismo sanremese e stereotipato-marketing da cantautore maledetto...San Remo (festival della canzone italiana)..
se questa e' l'italia...mi augurerei vedere "l'uomo volante" a penzolare dai candelabri in similplastica della Fenice e Bocelli primeggiare di fronte a liceali del Leoncavallo a Sanremo con una canzone in stile melodramma italiano..
Eviteremo di non stupirci piu' di tanto di fronte alle falsita', alle clonazioni, alla fascia grigia attutita.
p.s.
la musica classica quella vera...quella di Muti di Pavarotti di Domingo quella intoccabile la lasciamo ai signorotti degli assessorati...inebetiti di inaugurazioni di posti prenotati in prima fila...li lasciamo a celebrarsi e a celebrare il senso estetico da borghesia da primasera impellicciata e li lasciamo annichiliti a godersi il catenaccio di se stessi, a girare lo sguardo tra la perfetissima interpretazion di un R. Muti e i candelabri in similplastica che sgocciolano similplastica dalla galleria..
poco piu' in la'....Bocelli incanta il Leoncavallo..
Tutti i commenti di francesco pietrella
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712
di Irma Cipriano
del 07/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Risposta a Luigi Prestinenza Puglisi
La ringrazio per le chiarificazioni, molto puntuali e -appunto- di pi chiara lettura.
Non sono d'accordo con lei quando afferma che il plastico 1:1 del padiglione di Barcellona ad opera di Mies sia cosa ben congegnata. Non tanto dal punto di vista estetico e di mera produzione tecnica ( sar indubbiamente molto ben fatto a livello materiale ), quanto come concetto in s, perch diviene monumento alla memoria, cosa che non so se lo stesso Mies avrebbe voluto. Sono sempre stata convinta che quando si perdono delle architetture, in maniera pi o meno rimediabile, si debba riuscire ad accettare la cosa, a " rielaborare il lutto ". Se queste sono recuperabili, bene non lasciarle morire ( senza riprodurne per gli arti mancanti ). Ma se sono morte, inutile l'accanimento terapeutico.
Non capisco perch non si debba falsificare un centro storico ma una singola architettura si. Se il centro storico ha una sua vita ininterrotta ci pu valere anche per la singola architettura, se ad essa viene data una manutenzione continua e intelligente. Ci deve valere quindi sia per il singolo che per l'insieme. Dopo tutto non sono anche le singole architetture che fanno il centro storico? Anche una solo architettura falsificata pu fare presepe.
Per concludere, sono assolutamente d'accordo con l'immissione del moderno nell'antico -ovviamente senza falsit- producendo quindi architettura moderna e non antichit modernizzate. Per questo, riprodurre una qualche architettura, che sia la Fenice o il Padiglione di Mies, un atto, a mio avviso, di incoscienza. Secondo me, sfiora lo sberleffo. Forse non sar bella come il padiglione di Mies ( ma di certo pi della Fenice..! ), ma l'idea che mi possano imbalsamare mi f un po' orrore e mi sa di presa in giro. Un po' come il povero Lenin nella teca da lei citato.
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711
di Luigi Prestinenza Puglisi
del 06/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Volevo ringraziare le persone che sono intervenute sul mio articolo e, come richiestomi, precisare il mio pensiero:
A: non sono aprioristicamente contro il falso. In certi casi una ricostruzione falsa pu essere utile: esempio il padiglione di Mies. Per me, per, il padiglione di Mies solo un modello in scala 1:1 rimesso allo stesso posto delloriginale. Detto questo: sono felice che lo abbiano ricostruito, anche con una certa accuratezza.
B: sono convinto che il restauro come il liftng crea dei falsi. Il Colosseo attuale falso come falsa la faccia di un signore ( o, se vogliamo, una signora) molto liftato. Lalternativa, senza un lifting continuo avvenuto nei secoli, era forse avere un cumulo di pietre. Nessun problema da parte mia: non amo cos tanto il Colosseo. Ma il lasciarlo in piedi, falsificato, non grave peccato. Anzi, pu essere utile a fini didattici. Sono per contrario allidea di Aymonino di ricostruirlo interamente ( quello che c basta e avanza per farsene unidea e per avere unidea delle tecniche di restauro usate nel tempo).
C: la Fenice non era il Colosseo. Se costruivano una cosa nuova al suo posto sarebbe stato a mio avviso molto meglio. Merita di essere conservato, falsificandolo, solo ci che ha grande valore culturale. O un grande valore contestuale: per esempio il campanile di piazza San Marco riedificato nel novecento ( francamente laverlo riedificato come era e dovera non mi sembra un grande peccato, anche se sono sicuro che non come era perch sempre una reinterpretazione, per quanto accurata). Sottolineo, per non essere travisato: il modello in scala 1:1 al posto delloriginale dovrebbe , a mio avviso, essere solo lultima delle mosse disponibili.
D: I centri storici falsificatti in blocco, come avviene oggi, alla fine creano Disneyland, una iperrealt pi vera del vero ( nellaccezione che di iperrealt da Baudrillard). Ma il pi vero del vero, liperreale in realt solo un falso. Un po come i quadri degli iperrealisti , i quali per, poich gestiti artisticamente hanno qualche interesse, mentre nel caso dei centri storici non c nessuna intenzionalit artistica: solo feticismo. Inoltre, per il padiglione di Mies pu avere un senso blocare la storia in un momento: al 1929. Per un centro storico non ha alcun senso: perch la loro storia la loro vita ininterrotta. Pensare a congelarli nel tempo vuol dire presepizzarli. Insomma: sono contrarissimo alla falsificazione in blocco dei centri storici .
E: il metodo migliore per evitare falsi , a mio parere, lavorare per stratificazioni, in cui il moderno si sovrappone allantico, dialogando con questo e reinterpretandolo ( credo che esistano modi molto diversi che credo siano validi: apprezzo Scarpa al museo di Castelvecchio, ma apprezzo anche Foster a Londra, al British e, soprattutto, in un pi piccolo museo di cui adesso mi sfugge il nome). Su questo tema ho sviluppato un altro contributo che Antithesi ha, a suo tempo, gentilmente pubblicato e al quale, per brevit, rimando.
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710
di Isabel Archer
del 06/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Si dimentica spesso che il Padiglione di Mies nasce come struttura effimera e, in quanto tale, con un implicito intento informativo e simbolico.
Mi sembra un caso molto differente dalla ricostruzione di un'architettura nata per essere vissuta.
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709
di Carlo Sarno
del 05/04/2004
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Quelques considerations sur l'enseignement et le m
di
Guidu Antonietti
Cher Guidu , oui " ... LARCHITECTURE est un Art majeur ( assez peu une technique, en France les ingnieurs sont senss soccuper de cela... ) qui est le reflet de ce qutait ou est la socit o il se dploie...".
Guidu , Mre Threse de Calcutta a dit que le mer est fait de goutes ! Tu doit etre optimiste ! Tu es la goute ... tous nous architects sommes les goutes que ralizeront une nouvelle societ , une nouvelle ville .... plein d'amour et bonheur ! Cordialement , Carlo.
- traduzione per gli amici italiani : caro Guidu , si ".. L'Architettura un Arte maggiore ( non una tecnica , in Francia gli ingegneri si occupano di questo ...) che il riflesso di ci che la societ nel suo sviluppo..." . Guidu , Madre Teresa di Calcutta ha detto che il mare fatto di gocce ! Tu devi essere ottimista ! Tu sei la goccia ... tutti noi architetti siamo le gocce che realizzeranno una nuova societ , una nuova citt ... piena di amore e felicit ! Cordialmente , Carlo .
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708
di Irma Cipriano
del 05/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Io trovo sia paradossale mettere a confronto un plastico di una architettura con l'architettura "vera", quella che poi viene creata. L'architettura simulazione quando questa disegnata e modellata dall'uomo a livello teorico, quindi. Ma poi essa viene prodotta nella realt, e non pu essere solo momento conoscitivo, perch bisogna viverla, con onost e senza l'imbroglio di una copia. La scusa del momento conoscitivo vecchia come il mondo, e viene utilizzata spesso per nascondere la mistificazione che stata fatta nei confronti di un edificio e dell'uomo che ne il fruitore. Se si voleva far conoscere la Fenice per quello che stata, il comune di Venezia poteva mettersi d' accordo con la De Agostini e pubblicare un fascicolo con tanto di modellino da costruire tipo Hobby and Work.
Perch si debbano usare strumenti dell'inganno in questi termini? Perch dobbiamo continuare a ingannare ed essere ingannati? Non ne capisco sinceramente il vantaggio, sia pratico che teorico. Il restauro della Fenice stato quindi proprio in questi termini, tutto fuorch onesto.
Venezia si sarebbe arricchita con un nuovo teatro. Allora evitiamo di falsificare le carte dicendo che in molti casi il dov'era e com'era l'unica soluzione e che non si contro la riproduzione totale delle opere del passato! Cosa ci si vuole dire, che l'unico errore fatto nel teatro veneziano quello di essersi inventate alcune parti poich non si avevano fonti sufficienti? E' questa l'onest? Ed questo l'unico errore?
Per concludere vorrei far notare che mi pare in contraddizione dire che '" 'molte volte le architetture sono sbagliate e accettarle come erano e dove erano un errore', concetto discutibile e paradossale " e poco prima affermare " Il teatro veneziano Non era un granch e, se si fosse perduto, la nostra civilt non ne avrebbe risentito, quindi necessario, a monte, scegliere tra ci che va salvato e tramandato, e ci che non lo merita o comunque che rappresenterebbe una perdita ininfluente (Serve un giudizio cio una assunzione di responsabilit e un riconoscimento di valore).
Tutti i commenti di Irma Cipriano
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707
di Vilma Torselli
del 05/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Se mi concesso, vorrei fornire una mia interpretazione dello scritto di Prestinenza Puglisi attraverso quelle che ritengo le chiavi di lettura pi idonee .
1)Noi che predichiamo la simulazione come uno strumento conoscitivo e la applichiamo al cyberspazio, riconosciamo alla copia pi vera del vero un certo valore, se non altro a fini conoscitivi.
Mi pare chiaro che venga riconosciuto al restauro conservativo un fondamentale valore storico e documentale, come pu averlo un gigantesco plastico, un modello che riproduce comera la morfologia di qualcosa di perduto.
2) Limportante per che sia sciolto lequivoco [.]che ci che noi vediamo non loriginale ma un oggetto simile privato di vita [..]
il che va dichiarato senza incertezze, adoperando gli strumenti dellinganno con grande intelligenza e accortezza e, aggiungerei, onest.
3) Il teatro veneziano Non era un granch e, se si fosse perduto, la nostra civilt non ne avrebbe risentito, quindi necessario, a monte, scegliere tra ci che va salvato e tramandato, e ci che non lo merita o comunque che rappresenterebbe una perdita ininfluente (Serve un giudizio cio una assunzione di responsabilit e un riconoscimento di valore).
4) Crediamo, inoltre, che Venezia con un nuovo teatro autenticamente moderno si sarebbe arricchita, frase che non necessita n di commento n di interpretazione.
Fin qua mi pare che si capisca da che parte stia Prestinenza Puglisi.
Lo trovo pi sibillino quando dice che molte volte le architetture sono sbagliate e accettarle come erano e dove erano un errore, concetto discutibile e per certi versi paradossale.
Comunque, poich tra gli umani accade che talvolta il messaggio che parte sia radicalmente diverso da quello che arriva, cosa che non accade mai nel resto del regno animale in cui i messaggi, per quanto complessi, sono sempre inequivocabili, sarebbe forse lo stesso Prestinenza Puglisi la persona pi adatta a chiarire ogni dubbia interpretazione.
Tutti i commenti di Vilma Torselli
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706
di Irma Cipriano
del 05/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Leggendo larticolo di Luigi Prestinenza Puglisi si rimane, ad ogni riga che avanza, sempre pi stupiti. Da ci che scrive non si capisce veramente da che parte stia. Dalla parte di quelli che hanno compiuto il misfatto o da quella di "...noi poveri architetti a cui non resta che qualche amara considerazione"? Ma lui dice che non siamo contro la riproduzione di opere del passato, visto che vogliamo la simulazione come strumento conoscitivo, dandogli un significato "pi vero del vero". Ma quando mai un falso (cos come lo chiama anche lui) pi vero del vero? Non lo pu essere mai, una contraddizione in termini autentica (questa lo senzaltro, autentica...).
Il mistero pare svelato quando ammette che ci sono dei casi in cui non si pu fare altrimenti, senn va persa la conoscenza del passato. Io credo che la conoscenza del passato in verit non venga mai persa, anche se di un edificio non ne resta quasi pi niente. Cos dovrebbe essere grazie al lavoro dellarchitetto se affrontato con cognizione di causa.
Se per si afferma che il padiglione di Mies a Barcellona stato ricostruito con buoni risultati e poi si dice che ci in verit non avviene perch non viene sciolto lequivoco (probabilmente quello dellinterpretazione e della ricostruzione) allora cominciamo a nutrire seri dubbi sulla logicit delle affermazioni. Ci incasiniamo ancora di pi quando larchitetto ci dice che purtroppo in Italia di riproduzione del passato a fini didattici se ne fa sostanzialmente poca. Allora si rende complice di coloro che perpetuano il misfatto prima citato, cio linganno ai contemporanei e ai posteri. Se La riproduzione tale e quale diciamolo chiaramente- in certi casi lunica soluzione allora capiamo che avevamo fatto i conti giusti. Prestinenza Puglisi vuole il falso come monito educativo. Vuole il suo tanto vituperato Lenin imbalsamato e messo in teca di vetro (alla Fenice manca solo la teca...). Fantastico! Come non averci pensato prima? Il problema delle bugie che la Fenice ci racconta pu essere risolto avvertendo il visitatore o il passante che quello che sta vedendo un falso di pessimo gusto che abbiamo creato perch questi non si possa pascere nellignoranza pi completa! La soluzione sta tutta nel mettere una targa allingresso o nelle prossimit delledificio in questione dove viene spiegata per filo e per segno la malefatta compiuta. E noi che stiamo qui a discutere sul senso della storia, del vero, dellarchitettura che non deve mai essere imbroglio e mistificazione...! Non sapevamo che per insegnare a non commettere atti di violenza il metodo pi efficace fosse quello subito dal protagonista di Arancia Meccanica, costretto a guardare le pi indicibili torture! O almeno lo conoscevamo ma stupidamente lo ritenevamo inefficace e aberrante. Se Falsificare pu essere necessario come le signore (o i signori...) che si fanno il lifting da lui citati, pensiamo un po al perch debba essere necessario rendersi ridicoli in questo modo, senza accettare la realt. Ovvio che lidea del monumento che dura in eterno non ha senso ed puramente metaforica ma se cos , cade immediatamente il concetto del lifting e del falsificare che lui stesso ha prima espresso. Perch restauro e manutenzione non possono equivalere ad un lifting, non devono assolutamente. Se riduciamo il restauro architettonico ad un intervento di chirurgia plastica forse abbiamo sbagliato mestiere e dovevamo fare i medici.
Siamo forse un po delusi da queste posizioni, ma almeno abbiamo capito da che parte sta colui che scrive. Quando arriviamo verso la fine dellarticolo per, incappiamo in frasi quali Il dove era e il come era, spesso vuol dire solamente mettersi in mano a mummificatori dilettanti , [...] gli oggetti devono essere usati e non si vede perch debbano essere accettati come erano e dove erano e Ma la Serenissima non ama larchitettura contemporanea e in tempi diversi ha rifiutato di ospitare un buon progetto di Le Corbusier e un magnifico palazzo di Wright sul Canal Grande. Cosa si pu augurare ad una citt cos sprecona, che si ammanta di storia ma non ha saputo sfruttare due splendide occasioni che la storia le ha offerto? Nulla solo che non continui a farsi del male con le sue stesse mani, tra gli applausi dei conservatori che credono di stare nel mondo reale e invece stanno costruendosi, pervicacemente e da soli, il da loro tanto paventato mondo di Matrix.
Allora ci diciamo che neanche chi scrive ama larchitettura contemporanea se difende la Fenice e i "restauri educativi", e fa la posa esattamente con quelli che plaudono e vogliono vivere in una matrice.
Allora, ancora pi confusi di prima, lasciamo perdere e speriamo che i dubbi sollevati ci vengano al pi presto chiariti.
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705
di a saggio
del 04/04/2004
relativo all'articolo
Lo schiaffo morale del riscatto virtuale
di
Paolo G.L. Ferrara
Il link esatto
http://www.citicord.uniroma1.it/saggio/DIDATTICA/Tesidilaurea/TesiGalofaro/Galofaro.html
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704
di Lorenzo pes
del 01/04/2004
relativo all'articolo
Introduzione ad Eisenman
di
Antonino Saggio
Ma a cosa è potuta servire l'introduzione di Saggio, forse di nome, non certo di fatto!
Una ripetizione di notizie assolutamente risapute e masticate che nulla hanno avuto a vedere con il bellissimo intervento dell'illustre architetto americano che, ahimè, dalla superficialissima introduzione citata, è apparso un teorico tout court della moderna architettura.
Speriamo che l'Università di Roma non sprechi altre importanti occasioni come questa, affidandosi ad altri illustri "presentatori".
Grazie
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703
di Mara Dolce
del 23/03/2004
relativo all'articolo
Introduzione ad Eisenman
di
Antonino Saggio
Poco tempo fa la facolt di Valle Giulia di Roma, ha dato la laurea Honoris causa allarchitetto argentino Clorindo Testa. Le celebrazioni per il decennale dellUniversit degli Studi di Ferrara , si sono concluse con la Laurea Honoris Causa allo svizzero Peter Zumthor. Ieri, la facolt Ludcovico Quaroni, ha dato la laurea Honoris causa allamericano Peter Eisenman: Carla Ricci nel suo commento ci assicura che stata la conferenza pi interessante degli ultimi 5 anni, se solo ne avesse captato l'altra met .
Che cosa significano queste lauree Honoris Causa?
Che ci vogliono dire i presidi delle facolt con queste operazioni culturali?
Si tratta per caso di un vuoto della linea di facolt che si cerca di riempire
-in assenza di un pensiero proprio- con quello di personaggi pi o meno autorevoli?
O forse lennesima operazione poltica di presidi di facolt, ormai ridotti a burocrati che, obbligati allautonomia, sono in cerca di consensi che poi si trasformino in matricole?
Lucio Barbera e` il nuovo preside della facolt Ludovico Quaroni, si appena installato.
La prima operazione che ha fatto da preside stata quella di investire a Honoris il noto architetto americano: che dobbiamo pensare? Che quella sar la nuova linea della Ludovico Quaroni?
O che altro? Lavr spiegato il professor Barbera perch fosse cos urgente questa Laurea honoris causa?
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702
di Carla Ricci Roma
del 23/03/2004
relativo all'articolo
Introduzione ad Eisenman
di
Antonino Saggio
Un'altra occasione persa per gli studenti di Architettura.
Ieri nell'Aula Magna de La Sapienza, Peter Eisenman ha tenuto una delle conferenze pi interessanti degli ultimi cinque anni...peccato che ci siamo persi met di quello che diceva. Ho passato tutto il tempo a sforzarmi di captare qui e l il senso del discorso, perch, naturalmente, l'Universit non pu permettersi di pagare un traduttore che ci facilitasse la comprensione di concetti come METAPHYSIC, che non proprio come parlare delle mele che si comprano al mercato. Davvero un gran peccato.
Peccato anche che tutti gli esimi professori e i rampanti architetti dell'ultima generazione, che pure abbiamo riconosciuto tra i presenti, non abbiano colto l'occasione di porre domande all'esimio architetto. Evidentemente sanno gi tutto. Beati loro! io da parte mia ho solo dubbi e se fossi riuscita a seguire la logica del discorso , state certi che le domande non sarebbero mancate. Porre domande un modo per far circolare le idee, per rendere partecipi, coloro che lavorano in uno stesso ambito, di quello che c' di nuovo nell'aria, un modo per creare un ambiente diffuso pi accogliente per il "fare architettura". L'architettura non deve essere materia per pochi, non un affare d'lite...
Peccato, infine, non aver visto nessuno della Facolt di Valle Giulia...
a conferma che le idee chi ce l'ha se le tiene per s e chi non sa non ha nemmeno l'umilt di domandare.
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701
di Alberto Scarzella Mazzocchi
del 22/03/2004
relativo all'articolo
Belli e/o brutti (milanesi)
di
Maurizio De Caro
Belli e\o brutti (milanesi) 2
Ironizzare su Vittoriano Vigano un gioco da fanciulli. Il taglio brutalista delle Sue opere lha portato ad arredare la mensa del Marchiondi con un selva di montanti delle acque nere che rallegravano, con il crepitio degli sciacquoni, il triste pasto dei reclusi, o , in mancanza di pennuti esotici da far svolazzare nella grande voliera, progettata per la rinata Triennale, a trasformare allanilina degli scipiti piccioni padani in coloratissimi parrocchetti brasiliani.
Pi impegnativo assumere il progetto del Parco Sempione a modello di un percorso che le amministrazioni comunali non devono assolutamente seguire; e quindi a perno del discorso che Maurizio De Caro ha affrontato con pertinenza di esempi.
E dal lontano 1954 che Vigan inizia ad elaborare proposte progettuali per la valorizzazione del Parco Sempione, concretizzate poi in otto lotti operativi. Gli elaborati restano per al chiuso dei cassetti dellAmministrazione comunale sino al 1979 per essere approvati solo nel 1981. Secondo le previsioni di progetto, dopo lo smantellamento delle recinzioni, dovevano essere unificati i comparti che comprendono il Castello, lArena, lArco della Pace e la Torre del Parco, risanate le piantumazioni malate, sfoltendole dove si erano ingigantite e ripiantumandole nelle zone strappate allasfalto e alla formula uno. Obiettivo, restituire il grande polmone verde di Milano al silenzio e alla sua monumentalit e ridare vita ad un vero parco come lo posseggono le grandi metropoli che amano il verde non solo a parole.
LAmministrazione comunale rumina per 30 anni il progetto poi, in 24 ore, decide di dare il via ai lavori senza preavvisare abitanti, commercianti e automobilisti che una bella mattina si sono visti chiudere una serie di strade mentre le ruspe davano lassalto ai chioschi di benzina. La protesta dei cittadini fu quindi repentina, quanto prevedibile.
Invece di porsi il problema di rivitalizzare larea attorno allarco della pace con bar, ristoranti, librerie e quantaltro potesse sostituirsi ai negozi di ricambio per auto, si d inizio ad un braccio di ferro tra assessorato e Ministero ai beni ambientali, tra soprintendenza regionale e statale, con lapprovazione di delibere che si annullano a vicenda generando repentine interruzioni dei lavori. Risultato, la citt si trova a gestire un opera incompiuta con evidenti segni di abbandono, resi ancor pi evidenti da una pessima esecuzione dei lavori. Ed il progetto del Parco Sempione viene inserito dufficio nellelenco delle grandi incompiute: Palazzo Reale, la Grande Brera, piazzale Dateo con il veto alla proposta di Magistretti, al recupero dei giardini del Piermarini ai Boschetti di via Marina, e a quello dei Navigli.
E noi invece di condannare il sistema delle lotte interne tra amministratori comunali regionali e statali, tra soprintendenze decentrate e dellassenza di un responsabile che impediscono il concretizzarsi delle opere, disperdiamo le nostre energie nel dare spazio alle critiche innescate dalla calligrafia dei lampioni che, a mio avviso, hanno invece il pregio di evocare, con un segno attuale, latmosfera ottocentesca in felice connubio formale.
Se critica va fatta al progetto, nellambito caratterizzato dai lampioni, riguarda la sistemazione del tratto che fiancheggia i binari del tram. Ma quanto da attribuirsi al progetto e quanto alle esigenze e ai vincoli dellAzienda tranviaria?
Chiediamoci semmai perch Milano, pur avendo tra i suoi cittadini un folto gruppo di designers che il mondo ci invidia, si ritrovi con unarredo urbano tra i pi dequalificati. Individuiamo i laccioli che ne impediscono il risveglio e insieme cerchiamo di scioglierli.
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700
di Irma Cipriano
del 21/03/2004
relativo all'articolo
Belli e/o brutti (milanesi)
di
Maurizio De Caro
Non credo che rischiare, sperimentare, in sostanza creare il nuovo e il moderno possa essere solo esclusiva di architetti vanesi e autoreferenziali. Se cos lo erano molti geni dell'architettura. Il metodo non centra.. ma poi cosa vuol dire metodo? Il progettare secondo codici pi o meno classici? O bisogna cambiare metodo eliminando gli abusi e i comodi di architetti legati pi al soldo e alle "conoscenze di palazzo" che a creare qualcosa di valido?
Credo che questo basterebbe senza scomodare il futurismo, che non mi risulta abbia insegnato che la bellezza solo del passato. E' visione distorta e ingannevole. Purtroppo molto comune. E anche da questo si vede che invece Milano ha completamente dimenticato l'insegnamento futurista. Perch costruire musei alla memoria e cittadelle della cultura tempo sprecato e volont puramente conservatrice se non si fatti propri gli insegnamenti e i messaggi che questa ha voluto dare. E' sempre molto facile fare delle lapidi alla memoria, portarci per qualche giorno i fiori e poi non ricordarsene pi.
Dove stanno gli esempi che ci dicono che Milano ha interiorizzato gli insegnamenti delle avanguardie?
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699
di Mariopaolo Fadda
del 20/03/2004
relativo all'articolo
Introduzione ad Eisenman
di
Antonino Saggio
Antonino Saggio d ripetutamente dellintellettuale a Peter Eisenman. Speriamo che il buon Peter non lo prenda come uninsulto. A Ivy, che in una recentissima intervista per AR gli chiede La sua una ricerca intellettuale?, cos risponde:
Sono interessato alla ricerca intellettuale, ma non mi considero un intellettuale. La domenica faccio le parole crociate di Times, leggo gialli, guardo Internet e gioco il solitario. Non chiamerei tutto ci intellettualmente stimolante. Mi alzo alle 5:30 del mattino e alle nove ho gi scritto quello che ho bisogno di scrivere e letto quello che ho bisogno di leggere. E sono a posto. Il resto del giorno, il tran-tran professionale di architetto, non lo chiamerei una ricerca intellettuale.
P.S. Chi volesse, pu leggere lintera intervista al seguente indirizzo:
http://archrecord.construction.com/...
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698
di Vilma Torselli
del 19/03/2004
relativo all'articolo
Belli e/o brutti (milanesi)
di
Maurizio De Caro
"Milano una brutta e mal combinata citt ..... " , sono parole di Carlo Emilio Gadda , dalle quali prese spunto un famoso dibattito sullo stato della citt, tenutosi alla Triennale di Milano il 30 novembre 1993.
Sono passati pi di dieci anni e Milano ancora brutta, o addirittura pi brutta di allora.
Ci sar pure un motivo perch ci accada.
Sar segno che, dopotutto, ai milanesi va bene cos? Sar segno che, in fin dei conti, il concetto di bello o brutto applicato ad una citt cos labile e vago che ci che per uno brutto per un altro pu essere bello?
Forse sar che Milano una citt spiccia e bottegaia, la sede della borsa, della finanza, degli affari, e la circolazione dei soldi fa dimenticare la circolazione del traffico, e se non c niente di bello da veder non importa, c tanto di utile da fare.
Perch se Milano fosse bella, colta e raffinata non sarebbe Milano, sarebbe Firenze, e se grondasse storia e memorie sarebbe Roma, non Milano, e se avesse la pi bella piazza del mondo, e non piazzale Cadorna, che un nodo viabilistico che forse non ambisce ad essere nientaltro, sarebbe Siena.
Ma non ha dimenticato di essere stata la citt del Futurismo, nel 2005 avr nellattuale Arengario il pi completo Museo del 900 e del Futurismo (a firma di tale Italo Rota, vincitore di un concorso internazionale, di cui confesso di sapere poco) che con il Palazzo Reale potr costituire una straordinaria cittadella della cultura.
Stiamo a vedere, e poi, se del caso, continueremo (a cose fatte, purtroppo) a lamentarci.
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697
di Andrea Pacciani
del 18/03/2004
relativo all'articolo
Belli e/o brutti (milanesi)
di
Maurizio De Caro
Ineccepibile la diagnosi delle schifezze meneghine, deludenti le conclusioni.
Ci si vuole rendere conto che questi prodotto sono proprio il risultato del "rischiare ,riscoprire il piacere eccitante dell'azzardo" di architetti vanesi e autorefernziali?
E' una questione di metodo; o lasciamo a tutti i progettisti questa velleit e ci teniamo i risultati delle opere scadenti senza lamentarci, o cambiamo metodo.
Non mi stancher mai di dire che la storia dell'architettura ci insegna che questa viene realizzata per pochi edifici da grandi maestri e mentre la quasi totalit della citt progettata da epigoni di questi pi o meno distanti e capaci; ieri era cos, oggi cos, domani lo sar ancora; perci basta con questo falso moralismo di distinzione tra gli architetti bravi e quelli scarsi venduti al soldo delle imprese speculatrici.
"il godimento estetico non come eccezione ma come normalit" non appartiene alla cultura della modernit, come ci hanno insegnato dal futurismo in poi, semmai alla cutura tradizionale.
L'architettura moderna per questo piace e piacer solo agli architetti o ad un'elite in grado di apprezzarla, ma mai alla gente comune che si vuole identificare nei luoghi che abita. Il suo destino quello dell'arte moderna contemporanea chiusa a recinto in se stessa, incontaminabile dalla citt reale, non pi in grado di comunicare con l'esterno.
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696
di Fausto Capitano
del 17/03/2004
relativo all'articolo
Ponte sullo Stretto. Contrordine: Unione Europea a
di
la Redazione
Cari Amici, di cosa parliamo? Parliamo di un'opera che non sar mai iniziata (Berlusconi sa di non essere un faraone!). Parliamo di un'operazione che ha il solo fine della promozione politica. Parliamo di giochi di potere per non perdere seicentomilioni di euro gratis. Parliamo di giochi di potere per non perdere la faccia rischiando di non aggiudicarsi l'appoggio di un'Assemblea che gi storia passata, su un'opera che solo una storia. Qui non si tratta di guardare all'esercito dei Cornuti di cui parla P.GL. Ferrara, ma si tratta di chiarire cosa ne potrebbero ricavare gli strasuperintellettualiprogettisti "silenziosi" da questa "intenzione mediatica" che si chiama Ponte sullo Stretto di Messina. Che c'entrano gli Architetti con questo ponte!? (e non cominciate a cacciar fuori dal cilindro delle VS dialettiche, questioni sull'ambiente, sull'urbanizzazione demolitrice, sulla violenza di un contesto territoriale secolare, sulla mafia dell'edilizia) La questione non questa. La questione : cosa pu portare di buono alle tasche degli Architetti "silenziosi" il "nostro" Ponte sullo Stretto? Fateci capire, Voi che sapete, e non dite!
NEWS ANSA - UE: PONTE STRETTO; GOVERNI LO HANNO RIMESSO NELLA LISTA - BRUXELLES - La decisione, secondo quanto apprende l'Ansa da fonti della presidenza di turno irlandese, e' stata presa - appena 24 ore dopo il voto degli eurodeputati - dal Coreper 1, il Comitato dei rappresentanti permanenti, che comprende i numero due delle ambasciate preso le istituzioni europee. Una consultazione a 25, quindi anche con la partecipazione dei dieci stati membri che entreranno a far parte dell'Ue dal primo maggio prossimo. I governi, con parere sostanzialmente unanime, hanno nell'occasione scelto di non accogliere grosse modifiche alla lista delle 29 opere proposta a suo tempo e, comunque, di non accettare tagli. La presidenza di turno irlandese e' stata formalmente incaricata di prendere contatto gia' lunedi' prossimo con il Parlamento europeo, che ha votato una relazione - redatta dal conservatore britannico Philip Charles Bradbourn - che apporta diverse variazioni al progetto preparato dalla Commissione e varato dai ministri dei trasporti. La cancellazione del Ponte sullo stretto di Messina dalle opere prioritarie non faceva parte della relazione ed e' stata inserita con l'approvazione di un emendamento proposto da Verdi, gruppo del Partito socialista europeo (Pse) e sinistra. Dublino, secondo quanto si apprende, comunichera' al relatore Bradbourn ed al presidente della commissione trasporti dell' Europarlamento che i governi sono pronti ad accogliere solo piccole integrazioni alla lista ed ha il mandato di tentare di definire un elenco concordato da presentare alla plenaria dell'Europarlamento del 22 aprile. I deputati europei che vogliono depennare il progetto del Ponte hanno sostanzialmente due possibilita' per ostacolare il suo reinserimento tra le opere prioritarie: fare in modo che l'argomento non sia intanto incluso nell'ordine del giorno o raccogliere una maggioranza qualificata quando il provvedimento tornera' in aula. La seduta di aprile e' l'ultima prima dello scioglimento dell'assemblea di Strasburgo. Il 13 giugno si terranno le elezioni - a quella data saranno gia' entrati i nuovi dieci paesi - ed i parlamentari europei passeranno dagli attuali 626 a 732. Commissione e Consiglio premono perche' il progetto sia varato prima, per timore che a 25 sia rimesso tutto in discussione. Ma il Parlamento europeo terra' ancora solo due sessioni prima di chiudere la legislatura, una tra due settimane e l'altra a fine aprile. Entrambe hanno gia' un'agenda molto affollata perche' deputati e gruppi ci tengono a concludere i progetti avviati che, altrimenti, possono andare perduti. Anche perche' molti parlamentari non si ripresenteranno o rischiano di non essere rieletti. Quindi i gruppi che contestano la lista dei governi possono fare ostruzione per impedire che sia messa in esame prima dello scioglimento. Nel caso che, invece, il provvedimento torni in aula - trattandosi della seconda lettura - ci vorra' la maggioranza qualificata, pari a 314 voti. Nella votazione di giovedi' l'emendamento contro il Ponte ha avuto 231 voti a favore, 198 contrari e 17 astenuti. Al blocco di coloro che contestano l'opera ne occorrono pertanto almeno altri 83. Giovedi' mancavano nell'aula 180 deputati, ma con la legislatura agli sgoccioli le defezioni tendono a aumentare. La procedura prevede che se passa l'elenco proposto da Commissione e Consiglio il progetto va avanti, se resta il veto del Parlamento al Ponte ed i ministri dei trasporti insistono per volerlo, si passa alla conciliazione, che puo' prendere da un minimo di sei ad un massimo di dodici settimane. Vale a dire che se ne dovra' riparlare nella prossima legislatura.(ANSA). VS - 15/03/2004 10:47 (http://www.ansa.it/infrastrutturetrasporti/notizie/rubriche/unioneeu/20040315104732875263.html)
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694
di Fausto Capitano
del 16/03/2004
relativo all'articolo
Ponte sullo Stretto. Contrordine: Unione Europea a
di
la Redazione
NEWS - Consiglio dei Ministri n. 149 del 12 marzo 2004 - Il Governo manda in pensione i provveditorati alle Opere pubbliche. Nella seduta di venerd scorso 12 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo regolamento di organizzazione del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Il provvedimento, si legge in una nota del Governo, "in attuazione della legge n.152 del 2003, specifica alcune aree funzionali di competenza in materia di pianificazione delle reti della logistica e dei nodi infrastrutturali, nonch di edilizia e di aree e citt metropolitane". Fra le maggiori novit figurano la riduzione delle direzioni generali da 19 a 16 e l'istituzione dei Siit, Servizi integrati infrastrutture e trasporti, organismi decentrati a livello sovraregionale destinati a prendere il posto dei provveditorati alle Opere pubbliche. (fonti www.governo.it www.projectmate.com)
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693
di Domenico Cogliandro
del 16/03/2004
relativo all'articolo
Ponte sullo Stretto. Contrordine: Unione Europea a
di
la Redazione
Caro Paolo, non una novit. Il mio commento alla prima notizia, in qualche modo, preannunciava il fare "gamberesco" dell'UE. Quello che ci lascia attoniti, commentavamo con Paola Ruotolo via email, il disarmante silenzio dei professionisti italiani, o solo di quelli che "normalmente" scrivono su Antithesi, ad articoli come il mio, sul progetto del ponte. E' un silenzio che non ci d nessuna soddisfazione. Me li immagino, gongolanti dopo aver letto il pezzo, di avere anche loro da quel momento in poi un'idea sul da farsi ma, questa la cosa grave' nel loro piccolo, e il tutto avvolto da un rumore di fondo che non spaventa nemmeno una mosca. Ora, non so quanti di quelli che leggono o scrivono Antithesi abbiano mai attraversato lo Stretto di Messina negli ultimi cinquant'anni, la questione ha a che fare con i coglioni, maschili e femminili, di chi comincia ad avere idea sul da farsi. Chi fa denunce ai TAR italiani, chi sostiene la battaglia presso le sedi istituzionali, chi si fa due palle quanto una casa a studiare questioni di una gravit inenarrabile per evitare che in futuro accadano drammi, sono sempre altri e, questo il solito commento, importante che ci sia qualcuno che se ne interessi. Punto, finisce qua di solito. Qualcuno ha il coraggio di inviare un tiepido commento che dice: andate avanti, e poi si vedr. Sapete quali sono gli scenari? Se va bene, se siamo andati avanti bene, allora tutti diranno che erano, ed eravamo, dalla parte giusta sin dall'inizio; se va male, se accadono cose, come quest'ultima svolta dell'UE, che stravolgono l'idea nobile dell'opposizione ad una stronzata colossale, allora tutti si ritirano in buon ordine e attendono l'evoluzione dei fatti. Evidentemente viviamo in un'epoca in cui, di l dal nostro passato in cui alcuni "maestri" avevano il coraggio di dire cose "forti", predichiamo il passato dei maestri, oh yeah, ma ci ritiriamo non appena si inizia a sentire le prime folate della bora. Traduco: ci si sente coinvolti emotivamente nella questione che riguarda Niemeyer e Diener (ognuno di noi, in cuor suo, vorrebbe essere firmatario del listone degli intellettuali) perch, tanto, ad essere buoni non costa nulla; mentre quando qualcuno tenta di serrare le fila su una questione spinosa e pericolosa (politicamente, strategicamente e professionalmente) allora il segnale di ritirata quello che, tra le folle acclamanti o protestanti, si sente in maniera cristallina. Che dire? Una sola cosa: non abbiamo pi il coraggio di dire che non ci si sta, siamo stati lobotomizzati dall'informazione distorta, siamo sulla via del rincoglionimento totale. A che serve commentare gli articoli su Domus, e a criticare Domus, se poi su questioni centrali della politica "distorsiva" di certe amministrazioni locali e centrali non si hanno i coglioni per avere opinioni sferzanti, per dare contributi utili, per scendere in piazza (anche solo sul web) e dimostrare che alle stronzate non ci si vuol credere. Vi immaginate, col senno di poi, una rivoluzione studentesca a Tien An Men con sole dieci o dodici persone? Adesso la Cina predica la democrazia, noi cosa professeremo tra quindici anni?
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16/3/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Domenico Cogliandro
Caro Domenico, non saprei proprio dirti dove siano i professionisti di cui tu parli. Beninteso: non sto dicendo che non ce ne siano, ma che su antiTHeSi probabilmente non reputano sia oppurtono scriverci. E sai perch? perch su antiTHeSi o si tosti e si prende il toro per le corna, rischiando di esserne infilzati, oppure si evita di scendere in arena.
Se tu e Paola siete attoniti, Sandro ed io lo siamo da quattro anni. Di argomenti su cui potere davvero innescare piccole rivoluzioni ne abbiamo toccati parecchi, facendo nomi e cognomi. Basterebbe rileggere articoli quali "Il silenzio degli innocenti", "Il triangolo no", "Gibellina: vergogniamoci tutti", "I due deputati" e tanti altri (e cito solo i miei) per rendersi conto di quanto abbiamo cercato di andare a fondo a problematiche vere e pericolose. Risultato? Pochissimi interventi a commento, e di lettori che i coglioni li avevano. Gli mancava il cognome altisonante...ma le loro opinioni erano altrettanto valide dei professionisti di cui tu parli proprio perch avevano il coraggio d'intervenire e dichiarare le loro parti.
Comprendo che tu possa essere amareggiato da questa situazione, ma non esserne stupito, perch tu stesso conosci molti di questi professionisti che vorresti intervenissero ma non lo fanno. Conoscendo la tua intelligenza posso affermare senza dubbio che conosci bene anche i perch di questo silenzio.
Vedi Domenico, quando si vuole qualcosa si ha paura di perderlo e dunque sempre bene starsene alla larga dai vortici da risucchio. Ne abbiamo parlato a voce e credo che oramai mi conosci molto bene, e conosci i miei modi di fare e vedere le cose: io sono nella condizione di essere tagliato fuori da qualsivoglia pseudo giro culturale ufficiale perch nulla me ne frega di avere il mio nome stampigliato sui biglietti d'invito a conferenze e minchiate varie. Detto ci, non mi piace che tu abbia citato gli articoli su Domus quale cosa praticamente superficiale rispetto ad altre problematiche: qui su antiTHeSi di problematiche ne abbiamo sollevate un'enormit ma pochissimi le hanno colte. Di pi: su Ravello abbiamo scritto per primi ma nessuno si sognato di invitarci ai dibattiti pubblici che si sono costruiti a contorno della vicenda. Per il dolore provato ho cercato di suicidarmi mangiando un chilo di pasta con le sarde, ma non mi ha fatto nulla...Ci ritenter con 50 cannoli...chiss!
Tornando a Domus, ogni articolo che si scrive sulle modestissime pagine di antiTHeSi ha un suo "perch", sia che tratti appunto di Domus che di Topolino. La problematica del silenzio degli intellettuali sulla questione Ponte l'ha gi sollevata Luigi Prestinenza Puglisi nella sua PresS/Tletter n11. Adesso siete in due e con Sandro e me siamo in quattro.
Sia chiaro, caro amico, che ho perfettamente capito l'obiettivo della tua critica: ho solo rincarato la dose prendendo a prestito la storia di antiTHeSi rintracciabile negli articoli pubblicati in quattro anni. Noi siamo qui, pronti a qualsiasi lotta vera e senza alcun timore di essere infilzati dal Toro. Il problema solo uno: non ci si deve difendere da un solo toro. Di cornuti ce ne sono ovunque....
Commento
695
di Enrico Malatesta
del 16/03/2004
relativo all'articolo
Ponte sullo Stretto. Contrordine: Unione Europea a
di
la Redazione
Cara Antithesi,
la realt supera non "la", ma "ogni "fantasia.
E quindi anch'io voglio abbandonarmi al delirio delle ipotesi.
Se i pazzi sanguinari vendicatori del nulla di Al Qaeda - o chi per loro - non avessero sterminato in un solo minuto duecento innocenti lavoratori, donne, uomini e bambini spagnoli , identici a quelli morti sotto i bombardamenti in Iraq e Afghanistan di Bush e Blair, se Aznar non fosse stato quindi sul punto di essere spazzato via dalla nemesi popolare, avrebbe la combriccola dei governi europei di destra (mascherati o meno da sinistra) disperatamente inserito tra i suoi ultimi colpi di coda anche l'oltraggio mafioso del Ponte sullo Stretto?
E' altamente probabile che Berlusconi e soci in Siclia siano stati eletti con una maggioranza di voti della Mafia: non ci sarebbe proprio quindi niente da stupirsi se qualche piccolissimo favore venisse restituito. (Fate voi i conti, con il "pizzo" vigente sui lavori pubblici, e non, di almeno il 10%.)
Gli alleati di qua e di l dall'Atlantico, chiudono un occhio, anzi due.
Sono la societ civile e l'intellighenzia che dovrebbero smetterla di associarsi alla moscacieca.
Dovremo ringraziare Al Quaeda se questo succeder?
Enrico Malatesta
P.S.
E' stato rinvenuto ieri nel deserto dell'Arizona un meteorite, probabilmente proveniente da un lontanissimo passato,
recante questa iscrizione.
Progetti: il ponte sullo Stretto di Messina
da Domus 850 luglio/agosto 2002
di Roberto Gamba
Il fascino per la realizzazione di unopera monumentale si manifesta soprattutto nei bambini: limpresa costruttiva sviluppa nelle loro menti, con lidea del progresso tecnologico, uno spirito di positivit, che sembra ad essi possibile solo con la concretezza del costruire. Molti hanno conservato dallinfanzia il desiderio di veder compiuta una delle pi grandiose, possibili opere delluomo: il ponte, a campata unica, per il collegamento stabile tra la penisola italiana e lisola di Sicilia.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri dellattuale governo italiano ha annunciato con grande clamore, nelle passate settimane, che c, da parte sua, lintenzione di por fine al trentennio di incertezze per questopera pubblica.
Lo scorso anno, Guido Gentili, editorialista del Corriere della Sera, ha gi scritto un libro (Lincompiuta: dalle dighe mobili al ponte di Messina storie di un paese bloccato), che sembra mettere sotto accusa lindecisione della nostra classe dirigente: ma che anche rivela quanto sia irrazionale voler approvare a tutti i costi leggi scorciatoia, per compiere opere per le quali o i soldi non ci sono, oppure le analisi preventive non hanno sancito completamente la fattibilit. del 1971 la legge che ha promosso lattuazione del Ponte, da allora si sono susseguiti annunci, progetti, pareri positivi e negativi, ma la promessa dellonorevole Berlusconi non pu significare una completa garanzia per il completamento dellopera: dal momento che la previsione di inizio lavori va al 2004 e la fine al 2010, come potr essere solo suo il merito costruttivo? Come potr il Governo da lui diretto durare cos a lungo? Non c il rischio di andare a costituire unulteriore caso di incompiutezza, da rilanciare ai governi successivi?
Lentusiasmo attuale si basa soprattutto sugli aspetti finanziari: si coinvolgerebbero i privati nella costruzione e nella gestione dei pedaggi, ma in campo le cifre appaiono poco chiare (oltre che talmente elevate da risultare incontrollabili). Quanto coster definitivamente lopera e a che prezzo lutente automobilista, o il trasportatore ne potranno godere? Lintervento necessario e probabile di capitali extra-continentali non parrebbe suscitare entusiasmo negli imprenditori nazionali; inoltre attirerebbe piccoli e grandi interessi dellambiente mafioso, soprattutto per subappalti e forniture.
Il Ponte sullo Stretto ancora un modello di non sviluppo, perch non sviluppa le forze locali, nega altre priorit sul terreno delle politiche sociali, dove urgono invece servizi diffusi e capillari; distrugge una risorsa dellambiente: la bellezza, afferma Osvaldo Pieroni, docente di sociologia allUniversit della Calabria nel suo saggio Tra Scilla e Cariddi - il ponte sullo Stretto di Messina: ambiente e societ sostenibile nel Mezzogiorno (vedi Domus n. 833). Il ponte deve essere criticato proprio a partire da aspetti che, apparentemente, non riguardano la sua fattibilit. C in primo luogo da considerare cos diventato il vivere civile nelle regioni del Sud dItalia, paurosamente segnate da cronica carenza dacqua, inefficienza nei servizi sanitari, insicurezza, arretratezza in ogni tipo di struttura pubblica. In questi territori proprio lambiente e il paesaggio sono la principale risorsa, capace di far migrare, verso il Sud nei mesi di vacanza, intere popolazioni dal Nord, ove insieme incerto e irrefrenabile
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691
di fausto capitano
del 11/03/2004
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La qualit dell'architettura per legge
di
Sandro Lazier
NEWS - 09/03/2004 stata definitivamente approvata la legge quadro sulla qualit architettonica. Tra le importanti novit in arrivo: diffusione del ricorso ai concorsi di progettazione per la realizzazione di alcune opere pubbliche, coinvolgimento degli enti locali, pubblicizzazione da parte delle regioni delle informazioni relative alla valorizzazione delle opere architettoniche attraverso siti internet.
Raffaele Sirica, presidente del Cnappc (Consiglio nazionale architetti, pianificatori e conservatori), intende attivare un network delle regioni ed unalleanza con i sindaci per la democrazia urbana.
Realizzare il diritto fondamentale di tutti a un ambiente fatto di architettura di qualit. Con queste parole Sirica spiega lobiettivo delliniziativa.
Firenze la prima tappa di questa task force: lincontro con il sindaco , secondo Sirica, il passo fondamentale per tradurre in realt il ricorso ai concorsi di progettazione per alcune opere pubbliche.
Larticol 1-bis della legge quadro prevede, infatti, che le pubbliche amministrazioni individuino le opere per le quali ritengono necessario il concorso di progettazione, nella fase di preparazione del piano triennale delle opere pubbliche, previsto dalla Merloni.
Nuovi risultano anche il coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche regionali nellattivit del centro di documentazione e le arti contemporanee, e la diffusione, da parte delle regioni, delle notizie finalizzate alla valorizzazione delle opere architettoniche. Il comma 2 dellarticolo 9 della legge la loro pubblicizzazione attraverso siti internet. (fonte: http://www.edilportale.com)
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690
di Carlo Sarno
del 10/03/2004
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Dedicato a Valle Giulia
di
Laura Podda e Silvio Carta
Al futuro giovane professionista invio questo brano di Gio Ponti :
AMATE L'ARCHITETTURA
Amare larchitettura amare il proprio Paese
Amate l'architettura, la antica, la moderna
Amate l'architettura per quel che di fantastico, avventuroso e solenne ha creato - ha inventato - con le sue forme astratte, allusive e figurative che incantano il nostro spirito e rapiscono il nostro pensiero, scenario e soccorso della nostra vita
Amatela per le illusioni di grazia, di leggerezza, di forza, di serenit, di movimento che ha tratto dalla grave pietra, dalle dure strutture
Amatela per il suo silenzio, dove sta la sua voce, il suo canto, segreto e potente
Amatela per l'immensa gloriosa millenaria fatica umana che essa testimonia con le sue cattedrali, i suoi palazzi e le sue citt, le sue case, le sue rovine
Amate l'architettura antica e moderna: esse han composto assieme quel teatro che non chiude mai, gigantesco, patetico e leggendario, nel quale noi ci moviamo, personaggi-spettatori vivi e naturali in una scena al vero , inventata ma vera: dove si avvicendano giorno e notte, sole e luna, sereno e nuvole, vento e pioggia, tempesta e neve: dove ci sono vita e morte, splendore e miseria, bont e delitto, pace e guerra, creazione e distruzione, saggezza e follia, giovent e vecchiaia: l'architettura crea lo scenario della Storia, al vero, parla tutti i linguaggi
Amate l'architettura antica e moderna; esse han creato attorno a noi, nello scenario che hanno composto, la simultaneit delle epoche: ci han creato Venezia e New York
Amate l'architettura perch siete italiani, o perch siete in Italia; essa non una vocazione dei soli italiani, ma una vocazione degli italiani: l'Italia l'han fatta met Iddio e met gli Architetti: Iddio ha fatto pianure, colli, acque e cieli, ma i profili di cupole facciate cuspidi e torri e case, di quei colli e di quei piani, contro quei cieli, le case sulle rive che fanno leggiadre le acque dei laghi e dei fiumi e dei golfi in scenari famosi, son cose create dagli Architetti: a Venezia poi, Dio ha fatto solo acque e cielo, e senza intenzioni, e gli Architetti han fatto tutto
(rispose l'autista parigino di Tony Bouilhet, quando gli chiesi come trovava l'Italia: trs architecturale : vox populi)
Amate l'architettura per le gioie e le pene alle quali le sue mura, sacre all'amore ed al dolore, hanno dato protezione, per tutto quello che hanno ascoltato (se i muri potessero parlare!) ed hanno conservato in segreto: amatela per la vita che s' svolta in essa, per le gioie, i drammi, le tragedie, le follie, le speranze (questa forma di follia), le preghiere, le disperazioni (questa forma di lucidit), i delitti stessi che rendono sacro - amoris et doloris sacrum: come scritto sulla chiesa della Passione a Milano - ogni muro: muri, pieni di storia, di fatica, di vita e di morte, di poesia, di follia, di ricchezza e di miseria
Amate l'architettura per gli incantesimi che ha creato attorno a noi, attorno alla nostra vita; pensate ancora a Venezia, pensate alle enormi cattedrali, ai monumenti sublimi
Anche quelli che furon palazzi privati, se sono belli, appartengono a tutti perch appartengono alla cultura; la loro bellezza privata fu per l'eccezione, sogno o follia che li origin , fu per una volta soltanto di un uomo solo o di una famiglia sola, ma poi una socialit ritardata quella della Storia, l'ha consegnata a noi tutti: il monumentale cio l'opera che funziona sul piano perpetuo e disinteressato dell'arte e della gloria umana, sociale, i monumenti sono sociali: tutti varchiamo tutte le soglie dei monumenti; il pi povero dei veneziani dice da padrone il mio San Marco
ed entra: i palazzi che furono dei potenti, oggi sono le pareti del suo Canal Grande - non nobis Domine, non nobis, scritto sul palazzo Vendramin Calergi - e Venezia non nemmeno soltanto sua, di tutti, della civilt
Amate gli architetti antichi, abbiate fra essi i vostri prediletti io il Palladio, il Borromini; voi scrivete qui i nomi dei vostri
Amate l'architettura moderna, dividetene gli ideali e gli sforzi, la volont di chiarezza, di ordine, di semplicit, d'onest, di umanit, di profezia, di civilt
Amate l'architettura moderna, comprendetene la tensione verso una essenzialit, la tensione verso un connubio di tecnica e di fantasia, comprendetene i movimenti di cultura, d'arte e sociali ai quali essa partecipa; comprendetene la passione
Amatela nei grandi maestri d'oggi, in Le Corbusier, in Mies van der Rohe, in Gropius, in Nervi, leggete i loro libri, conoscetene le opere
L'architettura contemporanea ha i suoi vegliardi, Wright, e Van de Velde; ha i suoi grandi iniziatori e profeti scomparsi Loos, Perret; ha i suoi genii, Gaudi, Wright, Niemayer: ha i suoi artisti : Aalto, Neutra: ha i suoi capolavori
Amatela, l'architettura moderna, nei suoi giovani
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689
di Isabel Archer
del 10/03/2004
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Abitando la Terra
di
Domenico Cogliandro
Si attraversavano paesaggi malefici, giogaie maledette, pianure malariche e torpide; quei panorami calabresi e basilischi che a lui sembravano barbarici, mentre di fatto erano tali e quali quelli siciliani. La linea ferroviaria non era ancora compiuta: nel suo ultimo tratto vicino a Reggio faceva una larga svolta per Metaponto attraverso plaghe lunari che per scherno portavano i nomi atletici e voluttuosi di Crotone e di Sibari. A Messina poi, dopo il mendace sorriso dello Stretto subito sbugiardato dalle riarse colline peloritane, di nuovo una svolta, lunga come una crudele mora procedurale. Si era discesi a Catania, ci si era arrampicati verso Castrogiovanni: la locomotiva annaspante su per i pendii favolosi sembrava dovesse crepare come un cavallo sforzato; e dopo una discesa fragorosa, si era giunti a Palermo
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Non cali unombra irreversibile sul sorriso dello Stretto , Calabria e Sicilia sono gi unite.
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688
di Isabel Archer
del 10/03/2004
relativo all'articolo
Abitando la Terra
di
Domenico Cogliandro
La terra, il cielo e il mare, in queste regioni, assumono tinte meravigliose; tramonti fiammeggianti e chiari di luna di ampiezza da melodramma corrono per la cresta delle colline e nuotano gioiosamente attraverso letere; nelle gole delle montagne, dalle tonalit ambrate, si annidano le ombre ristoratrici nelle splendide giornate di giugno, mentre il folle groviglio estivo dei tralci si avviticchia in una verde frenesia agli olivi, agli olmi ed ai fichi. Ci sono tremule vampe violette che si librano sul calcare arso dal sole, vapori marini che risalgono a spire maestose lungo i burroni umidi e i raggi sulfurei di unalba sciroccosa, quando le barche dei pescatori sembrano pallidi spettri sulla linea dorizzonte.
Norman Douglas
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687
di arianna sdei
del 09/03/2004
relativo all'articolo
Il lifting di Minerva
di
Paolo G.L. Ferrara
Di questo articolo ho apprezzato linteressante ed inquietante paragone tra il nostro presidente del consiglio ed il duce storico, ci sono tra essi cotante similitudini che non possono passare inosservate: la politica estera, il monopolio dei mezzi di informazione, luso della guerra come strumento per colonizzare ( mi riferisco allinvio delle truppe in Iraq in previsione del miraggio della ricostruzione che non sappiamo quando inizier visto che a quanto pare prima necessaria la totale distruzione) ed a tal proposito egli mente apertamente quando afferma che il voto per la permanenza delle truppe in Iraq gia stato dato. Egli mente di fronte al primo ministro britannico ed al mondo intero. Mi fermer qui ma questi sono fatti che da soli danno unidea della gravit della situazione.
Daltra parte le opere pubbliche mi sembrano veramente inadeguate ai bisogni del paese, ancora fortemente scollato tra nord e sud perch vero, pare che si far il ponte sullo stretto dopo tanti anni ma bisogna arrivarci allo stretto, con un autostrada ed una linea ferroviaria, certo uno gi qualcosa, meglio di niente.
La linea generale di governo promuove un processo di smantellamento di anni di lavoro fatto per garantire le pari opportunit a tutti i livelli in favore di una logica personalizzata che premia il pi ricco (del paese), tutte le riforme vanno in questo senso, parla chiaro la pericolosa volont di rivedere la legge sulle pari opportunit unica garanzia di una democratica campagna elettorale.
Arriviamo alla scuola, il ministro Moratti una che le cose le fa, ha concretamente legalizzato il sistema di vendita dei diplomi di scuola superiore. Luniversit vero, necessita di un cambiamento, una boccata daria, e francamente gi oggi la scelta professionale di intraprendere la carriera universitaria eroica, per non parlare della lontananza tra universit e mondo del lavoro, ma temo sinceramente che si faccia alluniversit quello che si fatto alla scuola secondaria. Il ministro inizia a parlare nellintervista sul Corriere della sera di sabato 6 marzo spiegando quale sar il nuovo sistema di finanziamento delle universit. Suddiviso in quattro quote: il 30% in base al numero di iscritti escluse matricole e fuori corso, il 30% in base ai risultati della ricerca scientifica dellateneo, il 30% in base alla qualit dei risultati, ed il 10% di incentivi a discrezione del ministero. Poi sostiene che non si tratta di co.co.co ma di contratto a tempo determinato di 5 anni offerto ai ricercatori, e che i cinque anni potrebbero essere ridotti. Poi passa alla ricerca, sostenendo: abbiamo portato la percentuale pubblica dallo 0.53 allo 0,65 del pil quando la media europea allo 0,66. Questo suona strano, perch non so di quale Europa si tratti visto che i dati che conoscevo erano ben diversi, in linea con quelli pubblicati su AntiThesi.
Una riforma per il momento fatta di numeri alcuni dei quali discutibili e poco veritieri.
Il giorno 4 marzo tuttavia alla facolt di Architettura di Roma stata una giornata come tante altre, le aule dinformatica piene e gli studenti indaffarati forse con gli ultimi esami. Anche perch ormai tre anni fa in occasione della riforma del tre + due solo loro si mobilitarono per protestare.
Ringrazio cordialmente.
Tutti i commenti di arianna sdei
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686
di Domenico Cogliandro
del 09/03/2004
relativo all'articolo
Dedicato a Valle Giulia
di
Laura Podda e Silvio Carta
Andrebbe smaltita la sbornia, per. Mi trovate d'accordo quasi su tutto, quello che dite ha senso e, di pi, ha un riscontro nelle altre facolt d'architettura in Italia e, se non mi venisse -mentre lo dico- un prurito al naso, anche in Europa. Mi sono sempre detto "alla lunga i palloncini si sgonfieranno", e per palloncini ho sempre inteso i virtuosismi bloboidali tridimensionali, e le idee di architettura (quelle che hanno a che fare con l'uso della luce, con la capacit di coprirsi la testa, con il ritrovarsi accanto ad un punto fermo) verranno fuori. Fatto sta che la scuola, la stessa scuola d'architettura, grazie ad un sistema pi da superenalotto che educativo, ha soppiantato automi agli studenti, e lo dico a ragion veduta. Tengo un corso di Industrial design a Reggio Calabria (lo tengo nel tentativo di continuare ad imparare), e uno studente del terzo anno mi ha confessato che nei tre anni precedenti nessun docente gli ha chiesto di disegnare "a mano libera" con una penna su un foglio di carta bianco. Se devo giudicare i disegni che ho voluto far fare agli individui che ho avuto davanti la settimana scorsa, devo dire che il panorama desolante. Le idee hanno bisogno di tempo, e questo significa che devono decantare, affiorare e ricadere, riposarsi e ritrovarsi attorno ad uno scarabocchio. Ho detto loro, anche, che la prova del nove per il buon architetto, per quello che riesce a raccontare bene le cose che ha in testa, sta nel riuscire a raccontare il progetto che in quel momento sta facendo sulle tovagliette in carta delle pizzerie di borgata. E' il luogo pi pericoloso in assoluto, l la capacit di comunicare un'idea deve valere pi della capacit di impaginare una tavola o di articolare (esplodendo, reimplodendo ed esplodendo ancora) il progetto come se fosse una scoria radioattiva. Quando, per una serie di circostanze che ancora non mi spiego, sono stato anch'io studente di architettura, certi professori non consentivano (ma allora un vizio!) che le idee fossero pi forti delle forme esteriori, e dunque alcuni Maestri andavano cercati nelle pieghe della Storia (e il trucco era di andarsi a ricostruire architetture e progetti di quelli che il Giedion citava per necessit di cronaca o che il Rykwert sfiorava appena). Provate a farvi spiegare da qualche docente le strategie di progetto di un Mollino, di un Michelucci, di uno Scarpa, per citare alcuni nomi noti, per non parlare di Ricci, Savioli o altri. Le idee, quelle pi "pericolose", appartengono alle pieghe della storia e pochi, tanto per stare nel tema della copertina di Antithesi, formuleranno una ipotesi cosciente e concreta di quello che ha significato, dopo le teorizzazioni del Modulor, la cappella di Ronchamp per generazioni di architetti. Di questi pochi, solo qualcuno avr compreso a fondo il senso di ci che realmente aveva intenzione di "scrivere" Le Corbusier. Ma, e questo un dato riscontrabile, il caso Ronchamp non un esempio da seguire, almeno teoreticamente, perch contiene in s contraddizioni e incongruenze (questo quel che viene detto), mentre dall'altra parte, pur negando l'esempio di riferimento, le architetture virtuali bloboidali fanno da padrone. Da una parte l'idea (travisata) e dall'altra le pure forme (trasandate). Ora, per sostenere che le idee, che da qualche parte stanno, valgono pi delle forme e, politicamente, che l'insegnamento dell'architettura deve passare anche attraverso il non classificabile per accogliere appieno l'eredit di teoreti come Ernesto Nathan Rogers, Giuseppe Pagano, Eugenio Battisti, per dirne alcuni, che hanno sempre sostenuto il primato dell'idea sulle cose, bisogner, in qualche modo (e anche, perch no, dalle singole identit) riscrivere la propria storia presente a partire dalla lettura delle cose, dalla critica alle cose, dalla riconfigurazione di cose che si ritengono perdute, o soltanto smarrite. Ritengo inutili le crociate contro ci che ognuno legge come mulini a vento (ognuno ha i suoi), forse pi saggio (e Antonino lo sa!) credere nelle proprie capacit intuitive ed ermeneutiche, e cercarsi la strada da percorrere; Quella strada, a lungo andare, porta esattamente dove voi volete arrivare.
Tutti i commenti di Domenico Cogliandro
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684
di Enrico Malatesta
del 02/03/2004
relativo all'articolo
Domus 866: il Solid sea e la Solid architecture
di
Paolo G.L. Ferrara
Cari Lazier e Ferrara,
meno male che c' Antithesi! - per parafrasare Giorgio Gaber e il suo Riccardo ("che sta solo e gioca al biliardo").
Siete aperti, democratici, forse soli; giocate di sponda dando spazio a riflessioni utili e ad occhi ben aperti.
Almeno non censurate - con il perbenismo e l'ipocrisia piccolo borghese - il disagio generato da chi
mistifica e specula sulle miserie altrui.
S, mi ero ripromesso di tacere per un po', di lasciar decantare la critica alla Domus di Boeri: ma ecco che i commenti (sinceramente addolorati mi pare) ma soprattutto le informazioni date dal giornalista Taccone fanno riemergere gli imbarazzanti retroscena dell'operazione Solid Sea.
Scusate, ma la narrativit dell'arte non c'entra un fico secco con la manipolazione mediatica a scopo autopromozionale.
Taccone smaschera realmente i trucchetti di Boeri/Deteheridge, la loro provinciale lobby lib/lab all'assalto del nulla.
Boeri smentisce s stesso, come il miglior Berlusca. La sua impreparazione giornalistica, la confusione visiva e testuale in cui ha gettato Domus, l'ombra di Koolhaas (degnamente rappresentata da Kayoko Ota che dello studio Koolhaas socio a tempo pieno) incombente
sulla rivista, ne fanno finora la caricatura (Manga?) dell'intellettuale di sinistra.
Cordiali saluti,
Enrico Malatesta
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683
di Sergio Taccone
del 01/03/2004
relativo all'articolo
Domus 866: il Solid sea e la Solid architecture
di
Paolo G.L. Ferrara
Lungi da me l'idea di entrare in qualsiasi pretestuosa polemica con il professor Boeri. Per quanto mi riguarda, da giornalista, mi sono basato sui fatti senza cercare dagli stessi smentite o altro. Ed i fatti, depurati dalle metafore, sono chiari. Ho sempre sostenuto il silenzio del Governo di allora (siamo nel '97 quando Frisullo su Narcomafie e Quagliata sul Manifesto scrivevano del Naufragio di Natale) e per quanto riguarda il mio precedente commento ho fatto riferimento ad un seminario, svoltosi a Kassel nel settembre 2002, del quale nessuno, a parte il sottoscritto, ha dato conto sulla stampa (eppure la moderatrice del seminario era niente meno che Anna Detheridge che scrive sul Domenicale del Sole 24 ore). Non c' quindi alcun equivoco funzionale che possa fungere da ragione di polemica e soprattutto, n da parte mia n degli intellettuali catanesi (che si sono occupati dei risvolti culturali sul naufragio a largo di Portopalo, smentendo nettamente la linea di Solid Sea) si sono cercate delle smentite dai fatti. Rimando pertanto questa provocazione al mittente. Ribadisco infine un dato incontrovertibile, scritti alla mano: il gruppo culturale "Colophon" ha sempre cercato un confronto con Multiplicity che ha risposto con un "silenzio solido". Forse per paura di fare la stessa figura rimediata a Kassel, durante il seminario conclusivo di Documenta XI, quando persino il presidente della rassegna, Enzewor, avrebbe manifestato un certo fastidio nell'apprendere quello che i due rappresentanti del gruppo artistico di Catania (tra i quali il professore Nuccio Foti) avevano rilevato in merito alle semplificazioni di "Solid Sea" ed al fatto che gli autori erano arrivati a modificare, a rassegna in corso e dopo i rilievi di "Colophon", un frammento testuale dell'installazione. I fatti dunque hanno dato ragione a coloro i quali, dalla Sicilia, hanno sottolineato come, con il pretesto dell'arte, si sia creato solo confusione, facendo perdere dettagli importanti (leggasi: silenzio dei governi del centro-sinistra sulla tragedia, dal '97 alla met del 2001) che in pochi, tra i quali il sottoscritto, hanno messo in evidenza sulla stampa. Per amore della verit e dei fatti. E senza cercare smentite dagli stessi.
Cordialmente
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682
di fausto capitano
del 29/02/2004
relativo all'articolo
Spazzatura sul web
di
La Redazione
Mi permetto di prendere la coda del disappunto palesato dalla Redazione, per tentare di lasciar stazionare la luce, ancora per qualche secondo, sul citato stato d'abbandono della preziosa sezione riguardante la linguistica architettonica, e nell'estendere il fascio dell'attenzione anche sullo stagnare del confinante campo d'indagine intorno all'"archigitale"; entrambi i casi sono emblematici di uno stato delle cose, soprattutto se messi a confronto con la logorrea cresciuta su un rispettabilissimo comodino in erba e su un'altrettanto rispettabile rivista cartacea strapiena, ahim, di pubblicit, in cui pi facile (e snervante) sapere tutto di un bidet o di un abat-jour, piuttosto che di un progetto architettonico, tradendo in tal modo, le aspettative di un professionista della pratica progettuale, che spende e compra per sapere di "architettura fatta" e di "come" stata fatta "in quel modo", e si ritrova, invece, con un mucchio ben fatto, colorato (e, stavolta, socialmente impegnato) di parole e spot. Di emblematicit si marchia, dunque, l'evidente presa di distanza da questioni basilari (quanto classiche) che per essere rinvigorite e/o confutate richiedono spessori e qualit che "la massa parlante (e sparlante)" non ha, e presa di distanza da questioni nuove (quanto interessanti) che si liquidano come fatti di costume o come anomalie sociologiche e filosofiche; di emblematicit si marchia, anche, il disarmante amore per la faida e le liti da cantina sociale, di cui anche un buon uomo come Niemeyer stato fatto oggetto e soggetto; d'emblematicit si marchia, infine, l'assenza sul mercato delle riviste cartacee italiane, di una testata blasonata che veramente (sottolineo "veramente") fornisca una "base dati" soddisfacente per iniziare a conoscere e capire le architetture che si pensano e si costruiscono nel mondo.
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681
di Sergio Taccone
del 26/02/2004
relativo all'articolo
Domus 866: il Solid sea e la Solid architecture
di
Paolo G.L. Ferrara
Cari Amici di Antithesi,
ho letto i commenti sul nuovo Domus e soprattutto sul suo direttore. Sono un giornalista siciliano che collabora con alcune testate tra le quali LA SICILIA e LIBERO. Seguo da quasi tre anni, da quando Repubblica trov il relitto del barcone maltese colato a picco nel canale di Sicilia la notte di Natale del 96, il caso trattato nellinstallazione del professor Boeri (The ghost ship - SOLID SEA). Sdoganato piuttosto frettolosamente dallambito squisitamente giornalistico, quel naufragio approdato in quello culturale ed artistico con non poche approssimazioni.
Ho anche collaborato alla realizzazione di un sito web incentrato sul naufragio (www.naufragio-natale96.net). In questa sede faccio riferimento a quanto accaduto durante il seminario conclusivo di DOCUMENTA XI nel settembre del 2002, che nessun giornale, a parte LA SICILIA, ha riportato. In quelloccasione infatti nella prestigiosa rassegna darte contemporanea di Kassel, dove linstallazione di Multiplicity era una delle due opere italiane ammesse, un gruppo catanese guidato da un docente di fisica dellUniversit di Catania (Nuccio Foti) mise in evidenza alcune incongruenze di Solid Sea la quale, pur basandosi su un fatto di cronaca, seguiva strade diverse e palesemente difformi dalla realt. Vi risparmio le arrampicate sugli specchi che sono state messe in atto in quella circostanza, da un punto di vista dialettico, dai responsabili di Multiplicity, con lappoggio dellautorevole chairman Anna Detheridge che di quel seminario sul Sole 24 ore non ha scritto un rigo. Ebbene quel gruppo culturale catanese, attraverso unanalisi dei documenti trovati sul web (e quindi alla portata di tutti), aveva messo in evidenza le semplificazioni mediatiche di Solid Sea rilevando che Multiplicity, a rassegna in corso, aveva cambiato parte del testo dellinstallazione. Tutto stato puntualmente riportato nel numero monografico della rivista darte internazionale Colophon (marzo-agosto 2003), dedicato proprio al caso del naufragio di Portopalo e nel dicembre del 2002 c stata anche una trasmissione di approfondimento giornalistico in unemittente televisiva siciliana, condotta dal giornalista Nino Milazzo (ex vice-direttore del Corriere della Sera), dove si parlato di quanto accadde a Kassel. Dal numero di Colophon ho appreso della proposta fatta dal responsabile del gruppo culturale siciliano di allestire gi allora Solid Sea in Sicilia, magari proprio a Portopalo di Capo Passero. Il no del gruppo milanese fu motivato da problemi legati ai costi delle attrezzature e dei diritti dautore ( scritto in quella rivista che, a detta del professor Nuccio Foti, stata fatta pervenire anche a Boeri). Trovandomi a Milano nel settembre del 2003 ho inviato una mail al professor Boeri chiedendo unintervista su Solid Sea. Non si degnato nemmeno di rispondermi con un no!!! Che stile, signori!!! Un silenzio solido ed impenetrabile. Le semplificazioni presentate a Kassel sono anche finite nella relazione introduttiva di un disegno di legge del Senato (n.1937, primo firmatario Francesco Bevilacqua).
Per quanto mi riguarda ho parlato di Solid Sea nei miei pezzi sin dallagosto del 2002. Ho pubblicato molti articoli sul quotidiano siciliano, facendo riferimento a quella installazione, che smentiscono quanto scritto da Boeri a proposito del silenzio dei giornali e delle televisioni locali su quella vicenda che anche nel 97 si occuparono di quel naufragio. E non tralasciando la proposta arrivata allo stesso Boeri di allestire quel lavoro artistico in Sicilia gi nel 2002, come ho detto precedentemente. Ci sono state inoltre numerose iniziative promosse in contesti culturali siciliani, proprio perch qui nessuno ha mai voluto rimuovere la memoria, anzi. Sono altri che hanno scelto delle scorciatoie, facendo calare la sordina sui silenzi che nel 97 arrivarono da alti livelli istituzionali (leggasi Governo Nazionale presieduto da Romano Prodi) nonostante i reportage del Manifesto e le inchieste di Dino Frisullo sulla rivista Narcomafie. Ed in molti lavori artistici e culturali incentrati sul Naufragio del Natale 96 (a partire da Solid Sea) vengono ignorati purtroppo aspetti sostanziali della tragedia, facendo uso di metafore forse per creare confusione e disinformazione. Cos si ottenuto un solo risultato: il naufragio della verit.
Tutti i commenti di Sergio Taccone
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26/2/2004 - La Redazione risponde a Sergio Taccone
Stefano Boeri ci ha risposto privatamente escludendo perentoriamente di voler entrare in una polemica, secondo il suo giudizio, pretestuosa. Infatti, secondo Boeri, La ricostruzione proposta da Multiplicity ha soprattutto lo scopo di sottolineare come questo silenzio sia frutto di una oscena disponibilit a tollerare che vicende come queste accadano attorno a noi, a poche centinaia di metri dai luoghi dove viviamo, lavoriamo, ci divertiamo. Tutto questo senza togliere o aggiungere nulla alla verit dei fatti raccontati.
Concordiamo con Boeri soprattutto sulla necessit di utilizzare lo strumento artistico non in forma inquirente ma narrativa ed evocativa. Forse questo equivoco funzionale ragione di polemica presso chi non ha avuto dai fatti le smentite che attendeva.
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679
di Carlo Sarno
del 23/02/2004
relativo all'articolo
Architetture della memoria: costruire luoghi per r
di
Metella Montanari e Fausto Ciuffi
"...E' la storia antichissima , di ogni et e di ciascuno , cui la dodecafonia schonberghiana ha impresso un'attualit acuta fino allo spasimo . ' Fatti capire dal popolo ; parla in modo adatto a lui ' , sollecita Aaron ; e Moses intransigente risponde : ' Dovrei falsificare l'idea ? ' ..." Da una parte , argomenta Bruno zevi nel suo brano Moses und Aaron , abbiamo Moses che pone il problema della definizione di Dio come indefiniblit , dall'altra Aaron si sforza di comunicare al popolo ed in tal maniera con la sua parola tradisce l'idea di Dio e conduce al vitello d'oro .
Continua Bruno Zevi con un meraviglioso parallelo con la poetica di Schonberg : "... Schonberg impersona in chiave artistica , il dramma... l'inesprimibilit dell'idea - dodecafonica - si traduce cos in un disperato travaglio linguistico , storicamente agganciato all'insorgente bestialit nazista : ' di fronte ad una societ in cui tutti i valori morali erano entrati in crisi - commenta Fedele D'Amico - e ogni codice stava diventando menzogna , la risposta dell'espressionismo musicale fu questa : dichiarare tutti gli elementi del linguaggio irrimediabilmente compromessi in quella menzogna , e perci solo atteggiamento morale il rifiuto della 'parola' e il conseguente rifugio in una tensione permanente verso l'inesprimibile " ; il segreto per cui , aggiunge Massimo Mila , '...Schonberg , questo musicista tanto volentieri tacciato di cerebralismo e spesso descritto come un grande teorico sprovvisto di ispirazione , ha vinto la partita sul terreno della musica , della sua potenza espressiva e della sua virt poetica ...' . Veniamo all'architettura , dove l'inconciliabilit tra 'idea' e 'parola' , o tra 'coerenza' e 'vita' , si manifesta in modo forse ancor pi aggrovigliato ...".
Mi fermo qui nella citazione del pensierio di Bruno Zevi sulla questione , ringraziandolo per aver addolcito con "forse" un aspetto icastico e crudo della nostra misera realt .
Tutti i commenti di Carlo Sarno
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678
di Isabel Archer
del 23/02/2004
relativo all'articolo
Ravello? Si fa, si fa!... Non si fa, non si fa.
di
Sandro Lazier
Solo una breve precisazione: il Sindaco di Ravello ha affermato che il pericolo del parcheggio privato non esiste pi, poich i relativi progetti sono stati respinti diverso tempo fa. Anzi, lo stesso sindaco ha invitato a non considerare l'auditorium solo come un'alternativa migliore a quest'intervento.
Parole sue.
Cordialmente
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677
di Paola Ruotolo
del 22/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Gentile redazione, caro Paolo,
invio qui di seguito il testo dell'articolo sull'Auditorium di Ravello da me scritto e pubblicato il 17 febbraio 2004 su European Art Magazine - www.eartmagazine.com - dove si possono visionare anche le foto del luogo d'intervento.
Cordiali saluti,
Paola Ruotolo
La voce di Niemeyer.
L'appartenenza pubblica di un'architettura, declinata nelle parole e negli attrattori virtuali, conduce a dissonanti e controverse emozioni: cammina sul filo del rasoio la nascita dell'Auditorium di Ravello, ma accende una serie di riflessioni vitali sullo stato dell'architettura contemporanea in Italia. Possibile perdere l'orientamento.
martedì 17 febbraio 2004
di Paola Ruotolo
[email protected]
Dopo aver seguito la puntata del programma televisivo Ambiente Italia - andata in onda il 24 gennaio 2004 su Rai Tre e disponibile in rete – interamente dedicata alla querelle sul progetto dell'Auditorium di Ravello, la voce di Oscar Niemeyer continuava a risuonare nella mia mente: dolce, poetica, vibrante, perfino giovanile.
Una perfetta assonanza tattile, una traslazione oceanica d'intuito empatico, un sesto senso sventagliato dal cielo del Brasile, come un rezzaglio di tremolante rugiada policroma che piove sulla natura mai conosciuta di Ravello e ne cattura la rifrazione pulviscolare, interpretazione quasi insostenibile dei nostri occhi abbacinati e commossi: perché tutto questo risultava mortificato e confuso nel frastuono delle parole "impegnate" e a volte inadeguate della discussione?
Tutto comincia, forse, dalla "rappresentazione plastificata" di un'idea, incarnazione di un limite atavico nella comunicazione dell'architettura: il modello resinoso dell'Auditorium che ha invaso la rete sembra il riflesso congelato degli schizzi tremuli e quasi animati in cui Niemeyer, oltre alle sue mani, pone tutta l'emozione del concepimento di un progetto architettonico. E' la stessa suggestione che dalle coordinate geometriche e dinamiche delle vele disegnate di Meier ci proietta in una solida realtà materica ben diversa? Chissà se ci sarà dato saperlo.
Si tratta di un "triplo salto mortale" di particolare attualità, poiché i passaggi che mirano a rendere futuribile un'azione mentale di tipo progettuale oggi acquistano equilibri delicati e inaspettati: internet, in maniera pressoché involontaria, rende finalmente giustizia alla vocazione pubblica della disciplina architettonica e la stessa promozione di un'opera moderna in divenire si può mutare in un'arma a doppio taglio.
L'esperienza concreta d'interazione con una nuova forma progettata si amplifica a dismisura, manifestandosi già nella nostra mente, nei reiterati clic, nel susseguirsi di immagini familiari sul monitor luminoso, nella creazione di un'aspettativa comune che difficilmente, nel bene e nel male, coinciderà con la reale fruizione dell'opera.
Rappresentazione/comunicazione/realizzazione sono, quindi, tre momenti operativi particolarmente interconnessi che possono nascondere notevoli salti nel vuoto.
Pochi fotogrammi di traballante simulazione mi passano davanti agli occhi: blocco l'immagine in cui, finalmente, il sovrintendente di Salerno mostra un'ambientazione monocroma del progetto di Niemeyer, accendo le mie capacità di prefigurazione, ricercando avidamente la metamorfosi tridimensionale del luogo paesistico e la proiezione figurativa del volume dell'auditorium. E' questa la "merce preziosa" che dovrebbe girare in internet, molto più copiosa, volgendosi in un totale vantaggio per la difesa dell'architettura contemporanea: è solo così, per esempio, che ci rendiamo conto delle reali dimensioni di questo "guscio"; le parole, i metri, non ci avevano convinto. Solo ora possiamo valutare le proporzioni dell'impatto che, a mio parere, è molto minore di quello che l'affettuosa apprensione può far immaginare. Del resto il lotto destinato a quest'opera, a pochi passi dall'ingresso di Villa Rufolo e dalla piazza principale di Ravello, de visu sembra quasi troppo piccolo per ospitare il progetto che tutti noi abbiamo visto riprodotto in scala.
Un albergo strettamente contiguo all'area, dal nome altisonante, ma di gusto architettonico assai dubbio e, pochi metri più in alto, il solito palazzotto incompiuto di cemento, rudere ambiguo ed ordinario dei nostri paesaggi quotidiani, ridimensionano sicuramente le severe, ma comprensibili perplessità nei confronti di una nuova architettura, che, quantomeno, in questo caso, di qualità ne ha da vendere.
Certo infastidisce sentir additare la questione come "grottesca", "banale", "insignificante": l'intervento di un architetto sul territorio non dovrebbe mai essere definito
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676
di Massimo Pica Ciamarra
del 22/02/2004
relativo all'articolo
Ravello? Si fa, si fa!... Non si fa, non si fa.
di
Sandro Lazier
Se non per aver aderito ad un Appello ed un sintetico contributo alla tavola rotonda INARCH, non ho partecipato al dibattito sullAuditorium di Ravello. Altri hanno detto molto, e bene, per sostenerne la realizzazione.
Un confronto ampio, straordinario per la positiva divergenza di atteggiamenti fra gli ambientalisti. Parte di loro questa volta al fianco di noi che ci sentiamo tali credendo nel vero insegnamento della tradizione: trasformare, continuamente innovare, cercare nuove qualit nei paesaggi, con consapevolezza ambientale e coscienza delle stratificazioni. Fiduciosi nella capacit umana di formare stratificazioni e paesaggi, di intrecciare natura ed artificio: quella che ha prodotto qualit e bellezza dei nostri luoghi.
Gli aspetti positivi di questo confronto sono per offuscati da due affermazioni. Fa sorridere chi considera il paesaggio perfetto, espressione di grave incultura. Ma irrita il continuo appellarsi a questioni di legalit. Certo si poteva espletare un concorso, strumento basilare (e spesso tradito) per selezionare, confrontare, tendere alla qualit degli interventi. Formalmente ancora ammesso affidare il progetto allUTC con lapporto di uno dei Maestri dellarchitettura del 900. Ricalca prassi diffuse, degenerate, da evitare e correggere. Ma non ha senso discutere su cosa si poteva fare. Ora lalternativa unautorimessa (senza concorso) oppure unopera di architettura che introduce nuova qualit in quel contesto.
Con il pretesto della legalit (bisognerebbe discutere di altri progetti di ufficio, del perch si generano tante opere che devastano paesaggi ed ambiente, pur se perfette nelle procedure) si rischia la paralisi, lorrida sconfitta del nulla.
Tutti i commenti di Massimo Pica Ciamarra
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675
di paolo fiore
del 20/02/2004
relativo all'articolo
Ravello? Si fa, si fa!... Non si fa, non si fa.
di
Sandro Lazier
Nella vicenda Ravello emergono una serie di aspetti inquietanti, oltre a quello che le leggi sono uguali per tutti tranne che per i sociologi famosi i maestri dell'architettura e i sindaci amici dei sociologi famosi e dei maestri dell'architettura, c'e' l'allarmante atteggiamento disinvolto di critici (Prestinenza Puglisi con "Ravello") e commentatori e docenti quali quello di Lazier:
"Certamente, dico e insisto, le leggi sono fatte per essere superate quando necessario. E vanno modificate se sbagliate; infine va cacciato chi le ha fatte in modo sbagliato, compresi gli urbanisti che le hanno pensate e scritte". In questa vicenda Antithesi si schierato per la "giusta" violazione della legge, non c'e' stata mobilitazione per cambiare la legge, atteggiamento che, mi dispiace, concordo con Salvatore Aprea, ricorda tanto Berlusconi che invita ad evadere le tasse perch la legge ingiusta, piuttosto che modificare la stessa. Insomma rivelano questi commenti ,la mentalit di una generazione con una etica fragile e la predisposizione italiana al "fatta la legge trovato l'inganno".
Il critico Prestinenza Puglisi invece, strenuo difensore dei giovani talenti bravi ma privati della leggittima visibilit , come mai non si battuto per un concorso pubblico per Ravello?
Tutti i commenti di paolo fiore
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20/2/2004 - Sandro Lazier risponde a paolo fiore
E vero, nella vicenda Ravello emergono parecchi aspetti inquietanti.
Il pi grave quello che se non vincer un minimo di buon senso, al posto di un auditorium disegnato da un maestro dellarchitettura moderna si far un bel parcheggio privato (alla faccia del bene comune, della legalit offesa e del comunismo da barricata e da concorso).
Il pi interessante quello che, nella sostanza, non c nessuna differenza tra conservatori di destra o di sinistra, perch esprimono le stesse perplessit e gli stessi giudizi di valore. Infatti ci mostrano disinvoltamente la parte pi conformista e reazionaria della loro personalit.
Il pi stolto quello che accomuna le scelte di campo del nostro giornale a quelle di un qualsiasi media sostenitore del marketing berlusconiano. E concesso a chi ci segue da poco e non ci conosce. Lo di meno a chi ci frequenta da un po di tempo e di lei, caro Fiore, abbiamo commenti che risalgono al febbraio 2002. Quindi non faccia il fariseo.
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673
di Salvatore Aprea
del 20/02/2004
relativo all'articolo
Ravello? Si fa, si fa!... Non si fa, non si fa
di
Sandro Lazier
Noto, con estremo disappunto, che le cose in Italia stanno peggiorando come non mai. Gentile Sandro Lazier, da napoletano mi aspetto almeno le sue scuse per una frase quale: "Ogni tanto qualcuno si sveglia e allimprovviso sembra che Napoli sia diventata il capoluogo del Trentino". Come si permette? Cosa vuol dire? Che a Napoli si autorizzati a violare le leggi, solo perch l'hanno fatto in tanti?
Beh, in un paese dove l'attuale Presidente del Consiglio sostiene che giusto evadere le tasse, che i disoccupati volenterosi possono cercarsi un lavoro nero, c' da aspettarsi anche questo. Le leggi hanno valore relativo in base alla geografia e in base ai giudizi estetici di presunti esperti! Che fine faremo?
Noto anche che non si sottratto a toni dannunziani: "Certamente, dico e insisto, le leggi sono fatte per essere superate quando necessario. E vanno modificate se sbagliate; infine va cacciato chi le ha fatte in modo sbagliato, compresi gli urbanisti che le hanno pensate e scritte". "Cacciare", ma s, applichiamo il metodo RAI!
Lasci che le istituzioni democratiche decidano quando e quali leggi "superare", questo verbo mi sembra assolutamente inappropriato.
E venendo all'Auditorium, su cui troppi si sono espressi senza avere alcuna formazione specifica, Le dico che quest'opera mal si inserisce nel luogo. Il plastico non restituisce la qualit orografica del sito, sembra un giochino Playmobil. E ancora posso dirLe che il progetto, nel tentativo, a mio avvisso fallito, di legarsi al sito "naturale" (quanto c' ancora di veramente naturale in costiera amalfitana?) dimentica secoli di felice tradizione costruttiva. Chi si potr riconoscere in un'opera che viene da lontano? No, Niemeyer ha imposto la sua idea di spazio a-priori a secoli di nobile arte architettonica locale.
Tutti i commenti di Salvatore Aprea
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20/2/2004 - Sandro Lazier risponde a Salvatore Aprea
1. - Sorvolerei su tutta la retorica del dove andremo a finire perch, su questo giornale, per la sua storia e le sue limpide posizioni culturali, non ha nessuna ragione dessere. Comprendo gli slanci emotivi e le facili cadute nella trappola berlusconiana ma, in questo modo, lei rischia di mandare al rogo anche gli amici.
2. - Il plastico non restituisce la qualit orografica del sito, sembra un giochino Playmobil.
Le sembra questo un modo serio di affrontare la critica architettonica? Secondo lei Niemeyer solo un cretino che disegna giochetti? Un uomo di 94 anni che ha una storia parecchio lunga e interessante avrebbe deciso di finire la sua carriera disegnando cretinate che prendono per i fondelli il prossimo?
Se ritiene di avere argomenti interessanti, senza grottesche banalizzazioni, lei invitato a produrre un testo nel quale vengano considerate ragioni che non siano gi note (come quelle dellambientamento paesaggistico e del nichilismo ecologista).
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671
di isabel Archer
del 18/02/2004
relativo all'articolo
Ravello
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Il paragone non regge
Domus, n. 605, 1980.
Cable from Milan/Casa come me
I nostri rapporti con specifici eventi, o immagini nel tempo, sembra talora si concentrino su frammenti, disparati e ossessivi, della nostra esperienza: siamo giocatori ed osservatori ad un tempo, come al biliardo. ()
La Casa di Malaparte, come la pens Libera, una casa di riti e di rituali, una casa che immediatamente ci riporta, con brivido, ai misteri e ai sacrifici egei: un gioco antico in una luce italiana. Ha a che fare con gli dei primitivi, e con le loro implacabili richieste. Con linghiottire pietre e foglie e restituirle come mare e cielo. Con lo scegliere il bene o il male, e con linevitabile pathos dellerrore. Con il vuoto delle caverne e linaccessibilit del sole. Con il rifiuto dellastrazione e l'incanto lirico. Ed anche con i dilemmi e i problemi del tempo nostro. ()
Allesterno, il dramma nel panorama, ed ha altri valori. E il dramma delluomo e della natura, della nascita e della morte, della espansione e della compressione, del sacrificio e dellaccettazione.()
Isolata, esclusa, la casa Malaparte di Libera un paradossale oggetto che si consuma in solitudine, pieno di storie senza risposta. Un relitto sulla roccia, dopo il ritiro delle acque. Un sarcofago di voci segrete, sussurranti di fati ineluttabili.()
John Hejduk
Mi spiace molto aver dovuto "sintetizzare" questo bellissimo articolo, ma per dirle, gentile LPP, che un progetto architettonico dovrebbe ispirare tutto questo e molto altro.
Isabel Archer
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670
di Isabel Archer
del 18/02/2004
relativo all'articolo
Tradimento e tradizione
di
Vilma Torselli
Corsi e ricorsi storici
Domus, n. 51, marzo 1932.
"Morte e vita della tradizione".
E opinione comune che modernit significhi mortificazione della tradizione.
La tradizione mortificata invece dai pigri profittatori di essa. Da qui la decadenza delle arti, proprio per opera inconsapevole di fedeli della tradizione, che poi la vanno a ficcare, gelosi a comodo loro, anche dove (come in tante attivit e tecniche doggi) tradizione non esiste, o dove (come in certe nostrane industrializzazioni che datano dalla fine dellottocento, vedi tappeti) la tradizione sarebbe limitazione o contraffazione di modelli esotici.
La tradizione, per noi, pi che nella forma mutabile, nella gloria delle arti, nella mira degli spiriti: il carattere che deriva allespressione artistica dalla natura di una razza sicuramente incancellabile; non questo snaturamento da temere, da temere solo la decadenza di quelle viventi energie che creano via via gli elementi della grande tradizione.
Ora, se essa ha da essere per noi un prestigio da servire perch sia conservato ed accresciuto, alle sole energie viventi, cio moderne, che la tradizione stessa infallibilmente si raccomanda.
Senza lapporto di queste energie, proprio quelle arti, che parrebbero pi salvaguardate dalle pure forze della tradizione, sicuramente decadono; e decadono non per mancanza di modelli, di regole, di musei e di trattati, ma per mancanza dellintervento di artisti doggi. Questi artisti hanno in s le forze ed il destino di ci che si chiamer la tradizione, essi soli ne sono i depositari.
Acutamente stata notata gi questa fatal presenza in alcune opere nostre moderne. Ed essa viva non nelle fabbriche ma solo negli artisti che quelle opere han create: nei laboratori donde essi han tratto rivoluzionariamente queste nuove produzioni, la tradizione giaceva corrotta e tradita.
Le forze che operano nella tradizione sono occulte, di volte in volta le individuiamo anche dove non ci apparvero presenti: ma esse operano attraverso i pi vivi: la tradizione fatta solo di autenticit. Vicinissimi le sono ed ardentemente la servono non quanti se ne giovano, ma quanti invece, avendo per se e per le proprie opere alte e severe ambizioni, incorruttibile spirito, danno perdutamente alla espressione di se stessi e del loro tempo, tutta la propria energia, tutta la propria passione.
Gio Ponti
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672
di Isabel Archer
del 18/02/2004
relativo all'articolo
Ravello? Si fa, si fa!... Non si fa, non si fa.
di
Sandro Lazier
Con il dovuto senso dellironia, la cosa suona sinistramente calzante:
"Nella prima met degli anni 30 il fascismo sceglie di presentarsi allEuropa con un volto efficiente e moderno, servendosi di uniconografia in linea con i tempi; il terreno delezione per questa operazione di propaganda la citt, dove non si intende ovviamente spostare alcun privilegio privato. Per questo la dimostrazione di forza da parte del nuovo stato fascista non porta ad una nuova politica urbana, ma ad un rinnovamento della scena della citt che punta su alcuni grossi interventi monumentali.
Il senso di imperio statale doveva scaturire dalladozione di un linguaggio in contrasto con la tradizione delledilizia borghese, che nel contempo si prestasse bene a soddisfare le aspirazioni piccolo-borghesi ad un mondo dal volto nuovo. In un certo senso, era proprio il programma di politica culturale a richiedere per lopera architettonica una chiarezza di rapporti col contesto che ne siglasse lefficienza comunicativa, ed un livello di qualificazione formale che ne assicurasse il prestigio."
Gianni Accasto
E in questo caso magari si potesse parlare almeno di chiarezza di rapporti col contesto ed efficienza comunicativa. Ci vuole qualcosa di pi per larchitettura contemporanea. Osiamo.
Isabel Archer
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667
di Beniamino Rocca
del 17/02/2004
relativo all'articolo
Ravello
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Ha ragione Luigi Prestinenza Puglisi quando dice .non si pu, credo, ricorrere agli strumenti dellordinariet. Gestire la quale porta alla banalit. Che certo meglio dellillegalit dellabusivismo, ma che non basta per fronteggiare un paesaggio eccezionale.; ma si sa, la banalit, la mediocrit, sempre ben accetta . E lintelligenza che, di norma, viene rifiutata dalla gente, figuriamoci la genialit di un architetto brasiliano.
In Italia, poi, si confonde sempre l edilizia con l architettura. Per questo le associazioni ambientaliste hanno avuto cos successo e sono cos numerose e potenti. Sono ormai veri e propri partiti politici (come il ritiro del ricorso da parte di alcune associazioni ambientaliste ben testimonia).
Larchitettura artificio e, inevitabilmente, lartificio architettura modifica la natura.Tra architettura e natura vi uno scambio, un gioco di dare ed avere in cui larchitettura d forma al proprio tempo esprimendo nel bene e nel male il modo politico di organizzare la societ. E un modo, forse impietoso, ma profondamente vero e sincero di dare conto del livello di civilt di una societ. Su queste tematiche avrei voluto che si cimentasse un po di pi un critico giovane e bravo come Prestinenza Puglisi.
Proprio per queste profonde implicazioni tra fatti amministrativi, modifiche del paesaggio, architettura costruita, legislazione vigente, occorre guardare con attenzione ed in profondit al caso Ravello.
Trovo troppo timido Prestinenza Puglisi quando, dopo una bella disquisizione sui fatti storici raccontati, chiude il suo articolo individuando solo il pericolo nelleventuale costruzione in economia dellauditorium (ed a tale proposito doverosa una precisazione ai lettori di Antithesi: la sciagurata legge Merloni non ratifica il massimo ribasso- lo prevede solo se le imprese partecipanti sono meno di cinque - la norma per laggiudicazione dei lavori , giustamente, la media ponderata con lo scarto dellofferta pi alta e quella pi bassa. Lo preciso, perch la sacrosanta lotta per abrogare la Merloni deve essere fatta sulle vere cause per cui in Italia si continuer a produrre edilizia e non architettura e non su informazioni incomplete. E sarebbe bello se Prestinenza Puglisi ed altri importanti critici darchitettura come lui volessero saperne un po di pi su questa pessima legge.) perch una semplificazione marginale delle grandi questioni in gioco e potrebbe generalizzare tra gli amministratori lerrata convinzione che l architettura sia sempre costosa .
Il fatto che siano scesi in campo anche noti urbanisti e lInu contro il progetto Niemeyer a salvaguardia della legalit urbanistica, questione che dovrebbe preoccupare i critici darchitettura .
Questi personaggi sono i teorizzatori della Pianificazione, della Idea di Piano che tutto risolve attraverso la cultura dello standard e dei retini ed il rispetto della normativa urbanistica . Non hanno ancora capito che quello che decide, giorno per giorno, della qualit del paesaggio costruito la Gestione urbanistica . La verit, a mio modo di vedere sintende, che un piano regolatore deve essere innanzitutto unostrumento della gestione urbanistica, una costruzione di occasioni pubbliche di contrattazione della trasformazione del territorio per esprimere al meglio le necessit di quella comunit che, democraticamente, si scelta degli amministratori che la rappresentano.
Insomma, costruire significa imprimere il segno delluomo su un paesaggio che ne rester modificato per sempre e contribuire a quel processo di lenta trasformazione che l essenza stessa della vita della citt, cos come della costiera amalfitana.
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666
di Irma Cipriano
del 16/02/2004
relativo all'articolo
Tradimento e tradizione
di
Vilma Torselli
IN RISPOSTA A VILMA TORSELLI.
Innanzitutto vorrei chiarire che il discorso direttamente sfociato in un ambito prettamente linguistico e filosofico. Si parla dunque di Interpretazione e quindi di Ermeneutica. Credo che le cose stiano pi o meno cos. Se discutiamo di Traduzione penso per prima cosa che non si possa parlare assolutamente di Falso bens al massimo di Tradimento, cosa del tutto differente. Ma il tradimento insito in ogni cosa che facciamo allora, perch non potremo mai essere altro da noi stessi.
Lilluminismo aveva dichiarato che in claris non fit interpretatio, ovvero le cose sono normalmente comprensibili e latto di Interpretare avviene solo quando si di fronte a qualcosa di oscuro. Ma viene da s che oramai questInterpretazione oramai obsoleta nella nostra cultura. Di fatti Schleiermacher , partendo da un contesto prettamente antropologico e difficilmente non condivisibile, affermava che Gli altri sono essenzialmente un mistero per me, di modo che ogni loro espressione, non solo quella consegnata allo scritto, ma altres ogni comunicazione orale dotata di significato, pu essere fraintesa. Questo avviene tra persone di stessa lingua e, pi o meno, cultura. Figuriamoci quando si comunica e si produce pensiero tra lingue diverse e culture differenti!
Da questo, come dir poi Dilthey, viene che ogni comprendere sia interpretare.
Ma Interpretare significa per noi, oggi, intendere il senso e non di gi esprimerlo. Il linguaggio trascendentale, che piaccia o meno. Ci non vuol assolutamente significare che una parola, o meglio un sinonimo valga per un altro, anzi. Ma se teniamo conto della difficolt a Interpretarsi anche tra esseri che parlano la medesima lingua.! Il traduttore lunico mezzo che abbiamo per poter avvicinarci a ci che altro da noi e che non possiamo comprendere. Inoltre cosa non da poco se pensiamo che in moltissimi casi autore e traduttore lavorano insieme quando c da trasporre unopera in altra lingua. Ci ovviamente non avviene se lautore morto anni prima che avvenisse latto della traduzione. In questo caso vorrei citarLe uno scritto di Umberto Eco riguardo la Traduzione, scritto quando il suo editore aveva a lui proposto di tradurre il Montecristo di Dumas: .. Dumas non era forse autore che lavorava in collaborazione? E perch no, allora, in collaborazione con un proprio traduttore di cento anni dopo? Dumas non era forse un artigiano pronto a modificare il suo prodotto secondo le esigenze del mercato? E se il mercato gli chiedesse ora una storia pi asciutta, non sarebbe il primo ad utilizzare tagli, accorciature ellissi? Il traduttore pu snellire, aiutare il lettore a seguire pi velocemente le vicende, quando per istinto avverte che la lungaggine, il giro di parole, non hanno alcuna funzione n trattengono alcun profumo dal tempo. [] Non si tratta di guadagnare spazio, ma di rendere la lettura pi agile, di saltare di fatto quello che il lettore automaticamente salta con locchio. E in questo si aiutati non solo da ridondanze che il francese impone e litaliano evita, talora come regola e spesso come norma ( per esempio molti soggetti, e i possessivi), ma anche dal fatto che certe espressioni cerimoniali, consuete e nella lingua e negli usi della societ francese dellepoca devono sparire nellitaliano proprio per ragioni di fedelt allo spirito del testo. Tanto per fare un esempio, un ringraziamento in un dialogo tra due persone di bassa condizione suona in francese come merci monsieur, ma in italiano deve diventare un semplice grazie, perch un grazie, signore farebbe sospettare un rapporto di ossequienza che non nellintenzione dellautore n nelle connotazioni della lingua. Si potrebbe obbiettare che questo fenomeno si verifica in ogni traduzione italiana da qualsiasi testo francese: ma in un libro come questo dove i merci, monsieur si sprecano per le ragioni gi elencate, il risparmio conta ed incide sulla leggibilit. Io aggiungo: unoperazione del genere viene sempre fatta in narrativa, proprio per questioni di rispetto per la lingua ( anzi, per entrambe le lingue ) e di volont di significato che lautore ha voluto dare alla sua opera. E se ci accade per la letteratura e anche per le opere scritte in genere, accade ancora di pi per ci che concetto espresso in forma e colore, spazio e luce come pu essere per larchitettura e per larte in generale, visto che queste sono codici ancor meno codificati della scrittura. Se non si traducesse, o neanche ci si provasse, la maggior parte delle opere che oggi abbiamo non esisterebbero perch chi scrive impara anche da tutti gli autori che egli ha letto, di qualsiasi lingua fossero. Se non ci fosse la traduzione- per esempio se Joyce non avesse letto Svevo- magari non avrebbe scritto determinate cose. Noi oggi non potremmo leggere gli scritti di Wright o di Van Doesburg se non conoscessimo bene linglese o lolandese. Magari non sono del tutto fedeli, an
Tutti i commenti di Irma Cipriano
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16/2/2004 - Vilma Torselli risponde a Irma Cipriano
E' vero, il discorso scivolato in ambito prettamente linguistico, come la sua scolastica trattazione ben evidenzia, e le confesso che a me personalmente non interessa pi di tanto. Oltretutto quello che intendevo esporre nel mio scritto (mi illudevo che si capisse), semplicemente il concetto che il trasporto acritico "trans loca et tempora" di linguaggi del passato un'operazione passiva che non pu che nuocere alla cultura in generale.
Ci che sostengo inoltre, e da cui non mi sposto, che la traduzione pu alterare talvolta in modo molto significativo il senso del testo, potendo tuttavia ognuno scegliere di correre il rischio di recepire concetti "non del tutto fedeli", pur di recepirli.
Dico per che bisogna essere coscienti della possibilit di mistificazione ed esercitare il dubbio, una delle prerogative che pi incisivamente distinguono l'uomo dagli animali.
Tutto qua.
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664
di Irma Cipriano
del 16/02/2004
relativo all'articolo
Tradimento e tradizione
di
Vilma Torselli
Sembra incredibile, ed io per prima me ne stupisco, ma per una volta sono totalmente daccordo con Di Baccio. Non posso difatti assolutamente accettare che si dica che la traduzione falsit.
Certo, un'opera tradotta non dar mai la stessa lettura dell'originale. Ma oltre alla linguistica in s ci sono anche i contenuti, parte assolutamente non da trascurare. E se un traduttore bravo e scrupoloso, credo che possa solo dare un ottimo contributo all'opera in questione. Se cos non fosse ci sarebbe del tutto preclusa ogni tipo di cultura che non corrisponde alla nostra. E questo sinceramente lo trovo aberrante. Non posso credere che qualcuno vorrebbe una situazione di questo genere. L'abilit dell'uomo sta anche nel riuscire a trasmettere agli altri idee, pensieri, forme, immagini che per forza di cose non ci appartengono e non possono appartenere a tutti, sia per questione di incomunicabilit linguistica e formale, o pi genericamente culturale. Se cos non fosse sguazzeremo nella nostra stagnante autocelebrazione .
Tutti i commenti di Irma Cipriano
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16/2/2004 - Vilma Torselli risponde a Irma Cipriano
Ciò che, secondo le più recenti teorie della traduzione o traduttologia, che è una vera e propria scienza, non è possibile rispettare quando si attua una traduzione è il concetto di "equivalenza", che sembrerebbe di fondamentale importanza in un'operazione che Catford J. C. A. definisce "sostituzione di materiale testuale in una lingua [...] con materiale testuale equivalente in un'altra lingua ".
In estrema sintesi, è parere condiviso da molti studiosi del campo che decidere cos'è un equivalente è estremamente difficile, perché ci si scontra con il problema della mancata corrispondenza di categorie grammaticali (parti del discorso) tra lingue (specificatamente russo, francese e inglese), problema evidenziato dal classico esempio: My father as a doctor - Mon père était docteur - u menja Otec byl doktor .
Io so ben poco di questa scienza, e forse lei ne sa meno di me, ma è evidente che, comunque si voglia definire il termine "equivalente", l'inglese "a" non ha equivalenti, ed infatti nel testo russo non c'è equivalente traduttivo dell'articolo indeterminativo inglese. In casi come questo, che lei capisce essere estremamente frequenti, l'equivalenza può essere stabilita solo ad un rango più alto, ossia di gruppo .
"Sul piano scientifico, ciò dovrebbe indurre a creare un modello diverso, che non si basa sulla parola come unità traduttiva minima, ma su frammenti di testo maggiori. Questo, purtroppo, non avviene", sono parole di Bruno Osimo, docente di traduzione, che riprendono Catford quando dice: "Le voci della source language che occorrono spesso di solito hanno più di un equivalente nella target language nel corso di un testo lungo".
Concludo con altre parole di Osimo che mettono in evidenza quel tanto di arbitrario che sempre c'è in una traduzione e che, in misura minima o consistente, falsifica il significato originario del testo tradotto:"........ quando in una traduzione incontriamo la parola X, nel 60% dei casi la traduciamo con la parola Y. Sempre che non vari il tipo di testo. Sempre che non vari l'argomento. Sempre che non vari l'autore. Sempre che non vari l'epoca storica. Sempre che non vari il registro. Sempre che non vari la collocazione.....".
Insomma, nel passaggio da un prototesto ad un metatesto intervengono sempre delle variabili ineliminabili che non impediscono certo l'osmosi culturale, ma che ancora una volta ci invitano ad affrontare criticamente ciò che la storia, la tradizione e la traduzione ci tramandano.
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661
di Ermelinda Tuzzi
del 15/02/2004
relativo all'articolo
Luce di stelle
di
Mariopaolo Fadda
Caro Fadda,
tradurre non il mio mestiere; mi sono rivolta a lei perch ha preso una iniziativa in tal senso e certo lo sa fare (difatti batte cassa, sigh..). Ma sono certa che i lettori sapranno armarsi di pazienza e gustarsi in originale l'articolo da me indicato.
Quanto al destinatario del commento, lei forse non conosce il detto: "parlare a nuora perch suocera intenda"...
Saluti.
Tutti i commenti di Ermelinda Tuzzi
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15/2/2004 - Mariopaolo Fadda risponde a Ermelinda Tuzzi
Cara Tucci,
Tradurre non è neanche il mio mestiere e se l’ho fatto è perchè volevo che anche chi non conosce l’inglese avesse l’opportunità di leggere quell’articolo. Lei si limita alle battutine. E invitata ad approfondire se ne lava le mani ( “i lettori sapranno armarsi di pazienza...”) e risponde con le battutine sulle suocere.
Ma non ha altro di meglio da fare?
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662
di Pierluigi Di Baccio
del 15/02/2004
relativo all'articolo
Tradimento e tradizione
di
Vilma Torselli
Gentile Vilma Torselli,
mi sembra pacifico che noi due la pensiamo in maniera alquanto diversa. Non condivido infatti la sua radicale negazione di utilit e valore all'attivit della traduzione: lei forse eccede in formalismo nel momento in cui pretende dalla traduzione una oggettivit e neutralit intrinsecamente impossibili.
E' per me ovvio e nient'affatto scandaloso che tradurre un testo, una lingua altra, operazione culturale prima ancora che tecnica: l'interpretazione personale non solo inevitabile ma necessaria, nella cornice comunque di un atteggiamento scientificamente filologico. Accanto alle regole sintattiche, alle questioni fonetiche, persiste sempre e comunque il compito arduo di rendere accessibile appieno il significato del testo, che spesso si compie oltre la sua valenza semantica primaria.
"Il rischio incombente quello della soggettivit della traduzione, che diviene cos una interpretazione personale e quindi un falso. Personalmente credo che la traduzione non possa che nuocere ad unopera letteraria, che nasce legata alla sua lingua"... Lei parla di Falso laddove semplicemente si tratta di essere consapevoli che la sensibilit del traduttore componente indissolubile e anzi valore aggiunto, che bisogna saper riconoscere e valutare.
La responsabilit forse in chi legge piuttosto che in chi scrive: siamo noi a dover sapere che quando leggiamo una poesia come "Aspettando i barbari" di Costantino Kavafis nella traduzione di Filippo Maria Pontani in realt leggiamo per il 40% Pontani e non Kavafis. E' quel 40% che possiamo agilmente riconoscere leggendo la stessa poesia nella traduzione di Eugenio Montale...
L'opera di traduzione dunque permette, anzi richiede, il contributo attivo di sensibilit e scienza del traduttore che in ci finisce per esprimere una parte della propria originalit: alla luce di questo scorretto dire che la "traduzione avrebbe ritardato lo sviluppo e lespressione dei caratteri architettonici autonomi di una cultura indipendente e libera".
Ricordiamoci d'altronde che la letteratura latina nasce come traduzione di originali greci e questo non le impedisce di svilupparsi in maniera autonoma e originale, sviluppando anche nuovi generi letterari rispetto alla tradizione ellenica.
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15/2/2004 - Vilma Torselli risponde a Pierluigi Di Baccio
Il fatto che le sembri "pacifico che noi due la pensiamo in maniera alquanto diversa" mi conforta molto, significa che è possibile sviluppare pacificamente, appunto, una dialettica serena e costruttiva seppure all'interno della pluralità e della diversità delle opinioni.
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656
di Roberto Felici
del 14/02/2004
relativo all'articolo
Che buona la gassosa
di
Silvio Carta
Bravo Silvio Carta!
Quello che dice clamorosamente giusto e giustamente clamoroso!
Da poco, nella mia citt, si concluso l'iter concorsuale per la riprogettazione di un grossissimo isolato proprio a ridosso del centro storico.
Le confido che ho avuto, pur da architetto, non poche difficolt ad interpretare i cinque progetti finalisti, immersi in un turbine di renderings con flotte di persone e foreste di alberi che occultano le facciate progettate, con piante rovesciate, specchiate, in trasparenza o in dissolvenza (non proprio facilissime da leggere...), con sezioni coperte da slogan o da concetti talmente astrusi da voler risultare appositamente incomprensibili!
Io penso che comunque questo modo di porsi faccia parte di una nostra specificit sociale, quella di voler essere sempre all'ultima moda, tremendamente glamour da poter essere inseriti nella pi attuale rivista di moda o nell'ultimo saggio di arte moderna (per non dire nell'ultima pubblicit televisiva). Cos, come per vendere un cesso di automobile devo far ricorso ai maghi della grafica e della pubblicit, cos per "vendere" il mio progetto lo devo infiocchettare di immagini tremendamente irreali o con impaginazioni degne di un depliant commerciale che scavalcano, aggrediscono e oscurano la stessa progettualit. Il problema che fior di progetti, magari poco appariscenti nell'impaginazione delle famigerate tre tavole vengano messi da parte senza tanti rimpianti.
Purtroppo, la stragrande maggioranza di noi giovani "apprendisti stregoni" tagliata fuori o quasi da questa tipologia di concorsi, per scarsit di mezzi e di risorse o per reale timore di presentare tavole che, proporzionalmente all'attualit, sembrino fatte dieci anni fa per un esame di composizione.
E' un vero peccato, perch l'esercizio concorsuale sarebbe per noi un momento di crescita professionale concreto e forse, ci aiuterebbe nella professione spicciola, quella di "architetti condotti", come dice argutamente ridendo un mio esperto collega.
La ringrazio per aver posto un problema che credo sia importante per molti.
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657
di Pierluigi Di Baccio
del 14/02/2004
relativo all'articolo
Tradimento e tradizione
di
Vilma Torselli
La lettura dell'articolo di Vilma Torselli mi suggerisce due riflessioni:
1. sulla TRADUZIONE
Non mi pare corretto affermare che la traduzione rappresenta una operazione "che in campo culturale rischia sempre di essere [...] inutile dietrologia e [...] sterile rassegnazione intellettuale". L'autrice dimentica che l'esercizio della traduzione ha rappresentato e rappresenta uno sforzo creativo e cognitivo di dimensioni a volte sovrumane, e mi riferisco certo all'ambito letterario e della poesia, laddove grandi traduttori si sono rivelati di fatto e prim'ancora grandi scrittori o poeti loro stessi. La traduzione, fin dai tempi dei Settanta che tradussero la Bibbia dall'aramaico al greco della koin, atto fondamentale per la circolazione delle idee e la crescita di intere civilt: non sviliamola, dunque. Tradurre non copiare, partecipa appieno di quel senso del passaggio ragionato e della conversione, anche traditrice, da un prima a un dopo.
Saremo tutti d'accordo, spero, che la tra-duzione in ambito nord europeo degli stilemi del rinascimento italiano stata foriera di eventi architettonici fondamentali per la storia delle citt europee (Parigi, Londra, etc.), non certo indice di "rassegnazione intellettuale".
2. sulla DIALETTICA OPPOSITIVA
Per tradurre bisogna conoscere ci che si traduce, per tradire bisogna conoscere ci che si tradisce: creare il nuovo, senza conoscere il vecchio, impresa impossibile. La tradizione tesoro di conoscenza, come dice Vilma Torselli, solo se non si relega la Storia a figlia illegittima, negletta e dimenticata. Lo scontro artificioso e banalizzante fra il culto della frattura da una parte e il culto della continuit dall'altra produce a parere mio solo una vittima, la conoscenza.
Tutti i commenti di Pierluigi Di Baccio
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14/2/2004 - Villma Torselli risponde a Pierluigi Di Baccio
1. sulla Traduzione
ci che mi pare contestabile, nellattivit di traduzione, proprio lo sforzo creativo e cognitivo di dimensioni a volte sovrumane poich, essendo spesso i grandi traduttori.. grandi scrittori o poeti loro stessi il rischio incombente quello della soggettivit della traduzione, che diviene cos una interpretazione personale e quindi un falso. Personalmente credo che la traduzione non possa che nuocere ad unopera letteraria, che nasce legata alla sua lingua non solo concettualmente ma anche letteralmente e foneticamente , se invece la traduzione la migliora, bisogna sospettare.
Ricordo un mio vecchio professore di greco che ci faceva tradurre Omero e poi confrontare la nostra traduzione con quella di Vincenzo Monti (gran traduttor dei traduttor dOmero, che traduceva dalla traduzione latina non conoscendo il greco), facendoci cos scoprire versi onomatopeici che in origine non lo erano affatto, metafore inventate, significati addomesticati, povero Omero!
Non sono certa che la tra-duzione in ambito nord europeo degli stilemi del rinascimento italiano stata foriera di eventi architettonici fondamentali per la storia delle citt europee se penso, per analogia, a Palladio ed alla traduzione in inglese dei suoi quattro libri dellarchitettura, che hanno introdotto nel nuovo continente stilemi non tanto europei quanto francamente palladiani.
Ebbene, mi chiedo cosa sarebbe accaduto se anzich Palladio, per caso avessero tradotto, che so, il Vasari: oggi la Casa Bianca sarebbe probabilmente in stile rinascimentale e anche in questo caso una malaugurata traduzione avrebbe ritardato lo sviluppo e lespressione dei caratteri architettonici autonomi di una cultura indipendente e libera che avr bisogno dellopera dirompente di Wright per configurarsi ed affermarsi.
Chiss che anche il Nord Europa non abbia perso loccasione per articolare un suo originale linguaggio architettonico, come sarebbe accaduto senza il condizionamento degli stilemi del rinascimento italiano!
2. sulla dialettica oppositiva
.. non mi pare che si debba discutere, non ho mai negato che la tradizione vada conosciuta, analizzata e criticamente revisionata, senza proporsi aprioristicamente lintenzione di operare una frattura o una fusione con il passato.
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660
di Ermelinda Tuzzi
del 14/02/2004
relativo all'articolo
Luce di stelle
di
Mariopaolo Fadda
Due brevi osservazioni all'articolo dell'Architectural Record:
1) invito Fadda a tradurre anche lo scritto apparso a firma di Ann Wilson Lloyd sul NY Times del 25 gennaio dal titolo "If the Museum Itself Is an Artwork, What About the Art Inside?" sulla chiusura del Bellevue Art Museum, "a three-year-old avant-garde edifice designed by the New York architect Stephen Holl" in cui sono magistralmente evidenziati gli effetti della capacit (sigh) di certe architetture di "reindirizzare il nostro modo di pensare offrendo contemporaneamente, ai clienti e al grande pubblico, pi confortevoli modi di vita e di lavoro";
2) il concetto di "building blocks" della chiesa d Dio Padre Misericordioso a Roma per intero ascrivibile al prof. Antonio Michetti e non certo a Richard Meier che in quelle curve avrebbe da par suo instillato la sua solita impalpabile griglia (cfr. pure Ara Pacis, sigh sigh sigh)
Grazie, saluti a tutti.
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14/2/2004 - Mariopaolo Fadda risponde a Ermelinda Tuzzi
Cara Tuzzi
A pagamento le tradurrei tutto il New York Times del 25 gennaio.
Perchè non traduce lei gli articoli che pensa possano interessare i lettori di antiTHeSi?
Per quanto riguarda le osservazioni, sigh compresi, può farle direttamente a Ivy; questa l’e-mail: [email protected].
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658
di francesco pietrella
del 14/02/2004
relativo all'articolo
Ravello
di
Luigi Prestinenza Puglisi
francesco pietrella [email protected]
architettura e design
ACUSTICA CONCHIGLIA
In questi giorni di gelo e neve che cade su Roma in quella maniera inusuale ma che mi allerta dubbi circa le inusuali alterazioni climatiche dei tempi correnti mi arriva agli occhi l’ultimo progetto di Oscar Niemeyer per Ravello. Con mio grande interesse constato e apro il mio cuore e la mente al prossimo insegnamento che questo grande maestro ci da alla sua veneranda eta’.
La testimonianza di un poetica umana che si misura con la natura e ne diviene il sigillo dell’esistenza, riscatta la storia e il brutto e compie l’iperbole linguistica consegnando l’opera d’arte al luogo, alla gente, alla storia e ai benpensanti.
Il rapporto con il luogo e’ la genesi del progetto, e’ la trama di elementi che formalizzano in un volume splendido per la sua semplicita’ non da nuvola Fuksas troppo imitate o per proporzioni inumane da palazzone dittatoriale da abbattere con le bombe intelligenti.
A noi ci appare uno splendido piccolo gioiello al confine di una scultura architettonica che parla come dal Brasile all’immenso spazio naturale divenendone il sigillo, l’ambito controllato e commensurabile della realta’ stratigrafica che digrada nel mare, metafora di un’ ACUSTICA CONCHIGLIA protagonista ella si’ del territorio di Ravello e di cui e’ il futuribile-teatro-antico affacciato, presenza eco di spazi lontanissimi e immensi che parlano per frammento ai piccoli funzionari del comune, ai bigotti e professoroni dal cavillo imperioso che primeggiano per la polemica tralasciando guarda un po’ tutto il resto di abusivismo edilizio che tracima e tracima il belpaese. Come quando, da ragazzetto, visiti la Farnesina e sei colpito dagli sgarri di sgherri sugli affreschi raffaelleschi.
L’antisimmetria e l’orientamento sono puntamenti che ci indicano chiaramente il rapporto con il luogo, la piazza a striscia ci riempie di ammirazione per la valorizzazione da una parte delle possibilita’ aggregative del contenitore dall’altra dell’agora’ antisimmetrica come memoria e come innovativo innesto tra urbano e natura, tra citta’ storica e orografia costiera, tra la TEXTURE UMANA per frammenti DNA di memoria brasiliana ibridata alle dimensioni attutite e il mescolio di popolo locale a nuove integrazioni miraggi di “MOSCHEE AMALFITANE” sapori di cucina mediterranea portate dal vento al di la’ del mare. Ci viene indicato il rapporto tra il puntamento ai venti marini che insistono sul fronte costiero e la possibilita’ di una viabilita’ che cucia come una “rete a strascico” il territorio interno alla conchiglia-auditorium ibrida alla vita di mare e terra, tra spazi sconfinati sudamericani e minimo ambito urbano sud-italiano, tra silenziosa natura selvaggia da antropizzare e natura sociale provinciale da orientare culturalmente ad un futuro di diversita’, architettonicamente da poter anche strutturare con
meno convivenza
piu’ convivialita’.
Francesco Pietrella
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655
di Irma Cipriano
del 13/02/2004
relativo all'articolo
Italia Nostra: i perch del 'no' a Niemeyer
di
Italia Nostra
In risposta ad Andrea Pacciani
Veramente non capisco perch un architetto di novantaquattro anni non possa creare un'architettura di valore come quando ne aveva trenta o quaranta. Le potenzialit di un architetto non credo vadano di pari passo con l'andropausa. Dare a Niemeyer praticamente del rincoglionito svilisce la sua certa intelligenza, signor Pacciani. Alla faccia dell'arroganza. Oramai il fatto che Ravello sia un bellissimo posto diventato un handicap invece di essere una nota di merito. E' un paesaggio tristemente perfetto, intoccabile. E' quindi MORTO ?
S. Perch tutte le persone che continuano a ripetere che Ravello st bene cosi come lo vogliono sterile e insensibile agli eventi.
Se poi si pensa che cercare di capire come si deve costruire a dispetto delle metodologie per lasciare il posto a " Cosa ci mettiamo dentro, una bisca o un asilo? " lascia veramente un senso di incredulit. E le banalit " Tanto qualsiasi cosa ci si costruisca vive della luce riflessa del contesto in cui si trova che in questi posti enorme; " dovrebbero farci veramente riflettere, perch siamo arrivati al punto che l'architettura non un valore in pi, ma il rispecchiarsi amaro dell'impotenza di fronte al romanticismo della natura come perfezione.
La casa di Curzio Malaparte a Capri testimonia la malafede del suo pensiero, perch E' ESATTAMENTE LA STESSA COSA che si vuole fare a Ravello: inserire il meglio della capacit e dell'inventiva umana - sotto forma, in questo caso,di un'opera architettonica - in un luogo di grande potenzialit naturale. Non si capisce perch un bel posto non si meriti una bella architettura. Le invidie e le volont castranti contro i dati anagrafici di una persona e i suoi "gioiellini celebrativi del fortunato eletto a bearsi di cotanta bellezza circostante. " mortificano qualsiasi pensiero, come il voler evirare l'architettura riducendola sempre ad un mero risanamento delle aree cadute in disgrazia. L'architettura , cos come Lei la pensa, veramente disgraziata.
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654
di Andrea Pacciani
del 13/02/2004
relativo all'articolo
Italia Nostra: i perch del 'no' a Niemeyer
di
Italia Nostra
Il dibattito sulla qualit del progetto del brasiliano non c' non perch questo sia ben fatto, anzi per me puro modernariato, di nostalgia modernista ormai cara agli architetti, che fa il pari cent'anni dopo a quella storicistica di fine '800; il dibattito non c' perch di fatto un progetto che fa tenerezza per l'et dell'autore che con coerenza di se stesso progetta come quarant'anni fa (alla faccia della modernit che deve lasciare il segno della contemporaneit) a cui non si pu dire di no perch non ha pi l'arroganza e la forza dirompente dei grandi interventi del dopoguerra.
Il fatto che il posto di cui si parla, mi auguro voi ci siate stati di persona, di altissima qualit ambientale.
E come dibattere sulla piramide del Louvre: pi imprtante discutere se vale la pena costruirci dentro o meno, pi che cosa costruirci.
Tanto qualsiasi cosa ci si costruisca vive della luce riflessa del contesto in cui si trova che in questi posti enorme; perci basta un qualsiasi gesto architettonico magari moderato negli accenti che questo apparir di una bellezza e perfezione esaltante; perci se l'auditorium di Ravello fosse anche di Titanio, di cristallo, o con le pareti storte anzich di cemento curvo col buco tondo, questo apparirebbe come un gioiellino celebrativo del fortunato eletto a bearsi di cotanta bellezza circostante.
La casa a Capri di Libera, l accanto, un piccolo miracolo, ma nel 2004 non avrebbe nessun senso dare incarico di progettazione architettonica in un posto simile.
Io credo che il compito dell'architettura stia oggi pi umilmente nel riqualificare quelle aree che ha degradato nel recente passato, pi che cercare nuove verginit in cui farsi bella; purtroppo il narcisismo di architetti e politici radicato nei secoli della storia e non vedo come oggi possa interrompersi di colpo.
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13/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Andrea Pacciani
Grazie al narcisismo abbiamo opere quali quelle di Michelangelo. Evviva il narcisismo!
Scusi Pacciani, scusi la mia profonda ignoranza, ma che significa "modernariato" quando si parla di spazio quale materia costruttiva dell'architettura?
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653
di Mariopaolo Fadda
del 13/02/2004
relativo all'articolo
Italia Nostra: i perch del 'no' a Niemeyer
di
Italia Nostra
RAVELLO: DALLE PAROLE AI FATTI
La sezione californiana di Italia Nostra, nellappoggiare senza riserve la sacrosanta battaglia intrapresa dalla casa madre in difesa del paesaggio perfetto italiano, chiede gentilmente alla direzione di antiTHeSi la pubblicazione della seguente proposta di legge, tesa a scongiurare il ripetersi, in futuro, di incresciosi episodi come quello di Ravello.
PROPOSTA DI LEGGE PER LA SALVAGUARDIA E LA PROTEZIONE DEL PAESAGGIO PERFETTO ITALIANO.
Art. 1. Lintero territorio italiano viene proclamato, ai sensi della presente legge, paesaggio perfetto.
Art. 2. Il paesaggio di cui allart.1 dovr essere salvaguardato e conservato nella sua integrit.
Un Piano Paesistico Nazionale, dalle Alpi alla Sicilia, dalla Sardegna alle Puglie, dovr essere predisposto entro 40 anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Sino allapprovazione del PPN, e con effetto retroattivo, sono indistintamente e tassativamente proibite, in tutto il territorio nazionale, costruzioni moderne di ogni genere ed espressione.
Qualora, per imprescindibili situazioni locali, si rendesse necessario procedere con un intervento contemporaneo, il giudizio definitivo sul progetto verr demandato ad una apposita commissione, composta da 999 membri di cui un terzo nominati da buoni padri di famiglia, un terzo da Italia Nostra ed un terzo dai sindacati del settore agricolo-pastorale. La commissione, presieduta dal Presidente di Italia Nostra, decider allunanimit. In caso di disaccordo tra i membri il progetto si intender respinto.
Art. 3. Al fine di ripristinare le condizioni originarie del paesaggio perfetto, ed ai sensi dellart. 2 della presente legge, sono consentite, sotto la diretta supervisione dei Soprintendenti ai Beni Ambientali, di concerto con il Presidente di Italia Nostra, demolizioni di edifici di qualsiasi genere (chiese, palazzi comunali, stazioni ferroviarie, ecc.) che siano sorti in danno al paesaggio di cui allart. 1. Il ripristino del paesaggio dovr essere attuato con la metodologia scientifica del comera, e dovera. In mancanza di documentazione inoppugnabile si proceder per analogia con paesaggi delle stesse caratteristiche.
Art. 4. Gli impianti tecnologici di origine post-industriale, linee e palificazioni elettriche e telefoniche, antenne telefoniche e televisive, ponti e linee ferroviarie, autrostrade dovranno essere rimossi entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Con apposito decreto verranno stabiliti gli opportuni incentivi finanziari. Non sono ammesse deroghe al presente articolo.
Art. 5. Ai Soprintendenti ai Beni Ambientali, vengono conferiti, con la presente legge, pieni poteri per lintero territorio italiano e per tale ufficio saranno forniti delle pi sofisticate attrezzature per combattere guerre intelligenti, nonch dei pi tradizionali mezzi di coercizione: carri armati, portaerei, mezzi anfibi da sbarco e corpi speciali dassalto. Il Governo attiver anche le procedure per lattribuzione dello status di caschi bl ai soci di Italia Nostra.
Art. 6. istituita una speciale Procura Distrettuale Antimoderna per perseguire i reati contro il nostro paesaggio perfetto. I magistrati potranno trattenere in custodia preventiva, per una durata tassativamente non superiore a ventanni, qualunque sostenitore del modernismo sospettato di ideare inserimenti moderni nel paesaggio perfetto italiano. Trascorsi ventanni senza che la PDA abbia contestato specifici reati, il sospettato dovr essere rilasciato e potr comunque essere inviato, a discrezione della PDA, al confino.
Art. 7. autorizzata in via del tutto eccezionale la creazione di liste di prospcrizione dei sostenitori degli inserimenti moderni nel paesaggio perfetto. Per la tenuta della lista verr creata, con separato provvedimento, unautorit Garante. Al Garante spetter il compito di tenere aggiornata la lista e trasmetterla periodicamente ai Soprintendenti ed al PDA per i provvedimenti di loro competenza.
Art. 8. Sempre in via del tutto eccezionale saranno confiscati e mandati al macero per il riciclaggio tutti quei testi illustranti opere dei modernisti inclusi nelle liste di proscrizione.
Una commissione, nominata con separato provvedimento, di tre saggi, scelti tra tradizionalisti di sicura fede e buoni padri di famiglia, vigiler sulla corretta applicazione dei provvedimenti di cui al precedente comma.
Art. 9. I docenti universitari dei corsi di paesaggistica, urbanistica e architettura dovranno conformare i loro programmi didattici allo spirito della presente legge. In mancanza, il Ministro della Cultura, sentito il Presidente di Italia Nostra, i sindacati del settore, gli ambientalisti del sole che ride, dellarcobaleno, del girasole, del WWF potr disporre la chiusura dei corsi, la confisca dei beni ed il confino per i docenti.
Art. 10. Con la presente legge si
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652
di Vilma Torselli
del 13/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Alla conclusione, mi auguro, di un dibattito che ha preso ormai i connotati di quello che definirei il tormentone Con De Masi per Niemeyer, noto con una certa curiosit una sostanziale convergenza di giudizio sul progetto ed il suo autore, estranea alla vena fortemente polemica che ha caratterizzato tutto il contradditorio. In nessuno dei commenti che mi sono diligentemente riletta compare una critica negativa verso Neimeyer, nemmeno in quelli dellacidissimo enricogbotta, che tuttal pi assume un atteggiamento neutro, con poca voglia di entrare nel merito (contento lui., come insegnano gli antichi, de gustibus., ecc.)
Cito, dai 33 commenti presenti a tuttoggi:
nasce dallidea di uno dei grandi maestri del Moderno, il 94enne Oscar Niemeyer, e rappresenterebbe sicuramente una buona occasione per accrescere il patrimonio di opere di architettura contemporanea del nostro paese.. (Pierluigi Di Baccio)
. sconfortante vedere un grande architetto riportato a questioni di cos bassa lega...(Andrea Pinna)
Non si discute il merito e la comprovata professionalit di Niemeyer .. (Mara Dolce)
..mi arriva agli occhi lultimo progetto di Oscar Niemeyer per Ravello. Con mio grande interesse constato e apro il mio cuore e la mente al prossimo insegnamento che questo grande maestro ci da alla sua veneranda eta. (Francesco Pietrella)
L'ottimo Domenico De Masi potr anche perderla, temo, la sua battaglia per il bel progetto di Niemeyer a Ravello, ma le persone libere saranno sempre dalla sua parte (Beniamino Rocca)
Niemeyer un architetto che ha fatto la storia del secolo scorso, sarebbe bellissimo avere una sua opera nel nostro paese (Arianna Sdei)
benvenuto auditorium!Va bene cos?
Lo slancio culturale che darebbe un intervento di questo genere in quella zona, dovrebbe far meditare molti
spero che costruiscano l'auditorium di Oscar Niemeyer a Ravello,
il luogo ci guadagner e anche tante altre iniziative culturali previste ed in attesa di realizzarsi.. (Paolo Marzano)
.non in dubbio la forza creativa e l'impegno sociale di questo architetto.
Il suo spessore morale ben noto a tutti. (Isabel Archer)
..un grazie specialmente ad Oscar che ha donato all'Italia un altro suo preziosissimo fiore. (Carlo Sarno)
Per una casuale concomitanza, per influenza della buona sorte o di qualche dio dellarchitettura, per una rara combinazione planetaria o qualche favorevole posizione astrale, avevamo davanti un progetto che andava bene per tutti, nonostante le carenze legislative, le irregolarit procedurali, i vuoti normativi, il parere di Italia Loro, ed invece di occuparci del progetto ci siamo occupati delle regole, che non sono nulla senza un buon progetto.
Da perfetti imbecilli, abbiamo guardato il dito che indicava la luna.
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650
di Paolo marzano
del 12/02/2004
relativo all'articolo
Italia Nostra: i perch del 'no' a Niemeyer
di
Italia Nostra
Continuando le notizie dallincontro organizzato dallIN/ARCH
"La costruzione del paesaggio L'auditorium di Niemeyer a Ravello",
ricevo delle informazioni, secondo me, importanti;
la sala era gremita allinverosimile. Platea piena, corridoi laterali e spazi attigui anche.
La lettura del documento di Italia Nostra, ( assente al confronto ! ) ha aperto i lavori.
- Il rappresentante di Lega Ambiente si dichiarato pienamente daccordo con il progetto.
- Il rappresentante del WWF ha annunziato che, oltre alla richiesta di sospensiva, il WWF ritira anche quella di giudizio sul merito.
- Gravagnuolo e il Sovrintendente hanno tessuto le lodi del progetto.
Spero che in futuro gli ambientalisti ritrovino un loro punto comune, per affrontare una stagione piena di nuove possibili collocazioni architettoniche (vedi concorsi vinti e interventi dei grandi nomi, nellarea campana, per esempio l'opera di David Chipperfield o Zaha Hadid oppure di Oriol Bohigas e Albert Puigdomenech, Tobia Scarpa a Salerno), di sfruittare cos questo laboratorio sperimentale dove larchitettura incontra lambiente di cui ne essenza e alloa stesso tempo continuit. Lultima cosa da fare in questi casi rinchiudersi in sospetti di presunta invasione architettonica.
Mentre consigliabile, secondo me, osservare con attenzione gli errori del passato, perch si possano, da questi, riabilitarsi discussioni per un arricchimento della collettivit su tematiche legislative e quindi dintervento, secondo me, vitali. Occorrono organi di controllo dellambiente che mostrino una dinamica dapproccio al territorio, che guardino alla totalit degli aspetti e disciplinino caso per caso indagando capillarmente le opinioni e le scelte. Dimostrando, in questo modo, una de-strutturazione che si adegui ad ogni evento stabilendone scientifiche coordinate di trasformazione, sulla base di una visione organica di un luogo in trasformazione. Si rinnovino, praticamente i monolitici principi ambientalisti che tutti riconosciamo perfettibili. Queste scelte, saranno sicuramente utili per la stessa essenza dellarchitettura che, se studiata e analizzata, con la giusta cultura, conferma la sua attivit nellesaltare la relazione tra luomo e lo spazio (ambiente).
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648
di Marco Mauro
del 10/02/2004
relativo all'articolo
Libera cultura e bastioni oscurantisti
di
Mariopaolo Fadda
Rapidamente le rispondo. Mi chiede: sa almeno leggere quello che scrivo? Prima di risponderle le farei notare quel che si permesso di scrivermi dopo il mio primo intervento:
lei ha ben poco da dire. Anzi direi che non ha proprio nulla da dire, se non esibire un devastante (per lei) sfogo dettato da frustrazione, rancore, impotenza. E infarcito di insulti gratuiti. Se Isozaki presuntuoso lei cosa sarebbe? [] lei cosa sostiene se non cumuli di infantili banalit, slogans da stadio e ignobili sciocchezze [] Mi fermo qui perch il resto un crescendo di repellente demagogia [] che non merita repliche. [] Fai la somma dei tuoi rancori e vergognati.
Io in quellintervento ho detto la mia, e non sono tenuto a leggere tutto quello che lei ha scritto prima di dire la mia dato che il mio intervento non era rivolto contro di lei. Non mi sembra di averle arrecato unoffesa personale (come lei invece sta facendo con me da quando scrivo in questo sito). E non mi sembra di doverle ricordare che alcune mie prese di posizione sono simili alle vostre . Che senso avrebbe? La pare che io sia qui per fare i riassunti del vostro pensiero o per farmi suo discepolo? Le pare che io debba scrivere solo quello che voi ancora non avete detto?
Si limiti a leggere quello che scrivo prima ancora di attribuirmi aggettivi infamanti e prima ancora di farmi domande sciocche (questo se lo merita). Le pare che io desideri spartire un bottino? O che io detesti gli architetti?
Lei generalizza.
Le pare che disprezzare Isozaki, Le Corbusier, Kahn, Rossi pi di altri (Gehry, Gregotti, Eisenman, Aulenti), significhi detestare larchitettura o gli architetti?
Non credo che le sue coordinate di gusto siano basate sui nomi sopra citati. Lo spero.
Posso essere libero di amare altri architetti? Posso amare Venezia, Sejima, Nouvel, Klotz ad esempio? Potr preferire Foster a Calatrava? Sar libero di dire che mi fanno schifo Le Corbusier, Kahn e Mies e preferisco Machintosh, Wright o Aalto? Oppure sar libero di dire che studiando gli scritti di Rossi e Le Corb il novanta per cento degli studenti di architettura finiscono per credersi dei teorici o dei rivoluzionari senza dover spiegare il banale? Le sembra un bene la teoricizzazione dellarchitettura causata da Le Corb, CIAM e balle varie? Non credo. Allora non mi accusi prima ancora davermi imparato a leggere.
Non desidero entrare nelle grazie di nessuno: le ricordo che il mio trenta e lode nel laboratorio di progettazione con lincriminata Lima ( per questo che la conosco), Salvadeo, Lula lo presi e rifiutai di seguirla anche lanno seguente nel suo laboratorio (me lo chiese esplicitamente). E rifiutai anche di fargli dassistente.
Sono pi libero di lei mi creda.
Non ho bisogno di agganciarmi a cordate giuste o sbagliate, non mi attribuisca comportamenti che semmai riguardavano lei ai tempi dei suoi tentativi di diventare qualcuno.
Redimere larchitettura e rieducare gli architetti lei la chiama missione. La definisce, concludendo in maniera quasi vergognosa, missione difficile e pericolosa, non un pranzo di gala.
Fai la somma dei tuoi rancori e vergognati.
Lei si permette di definire gente che si presume intelligente i vari Sgarbi o Eco accusandoli di dire sciocchezze a ripetizione per far piacere alla platea che li applaude. Questo s che un bel calderone, lei a far impressione. Forse lei ignora limportanza che ha avuto Sgarbi negli studi sulla storia dellarte del quattrocento? Lei ignora limportanza che ha Eco nella letteratura italiana? (si legga Lector in fabula e la smetta di scrivere idiozie). Crede che persone di quel calibro possano dire sciocchezze in fatto di cultura arte e architettura?
No ovviamente. Per li mette (lei s) in un calderone gigantesco. Peccato che fra i suoi calderoni e i miei ci sia una non piccola differenza.
Ho studiato Eco come ho studiato Le Corb. Non devo dimostrare a lei (lei s che intelligente) quale sia il mio mestiere.
Ma sia chiara una cosa: sono fiero di far parte della platea che applaude con intelligenza (e questo, le spiego, non significa che io ami le platee, ma significa che la mia sensibilit mi permette di capire la portata in bene e in male di certe idee).
Lei si tenga le sue idee fondate sul fraintendimento e la cecit, ma non si permetta pi di fare il redentore dellarchitettura, se nemmeno capisce la portata culturale di certi dibattiti o limportanza del saper vedere in profondit (questa banalit se l cercata, rifletta).
Ha letto troppo poco e con troppo pressappochismo credo.
Forse questo a farle vedere negli altri i suoi stessi difetti.
Le randellate non me le ha mai date nessuno, non si preoccupi; piuttosto sta cercando di farlo ora lei per sfogarsi di quelle che negli anni ha preso lei, quindi, quei dolori se li tenga per lei e cerchi, se possibile, di non sfogarsi su di me
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10/2/2004 - Mariopaolo Fadda risponde a Marco Mauro
Parafrasando Sandro Lazier: della serie "Pugnette, non fatti". Quindi argomento chiuso.
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647
di Pierluigi Di Baccio
del 10/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Cari lettori di Antithesi,
pur essendo io stato brevemente protagonista sabato scorso di uno spiacevole scambio di battute con il sig. Lazier, di cui mi assumo doverosamente la responsabilit, assieme al mio interlocutore, per aver perso momentaneamente il controllo delle parole, gradivo intervenire con unultima nota chiarificatrice e distensiva.
Ritengo infatti possa essere utile cercare di riassumere pacatamente quelli che secondo me sono i termini salienti della diatriba sviluppatasi nei 32 commenti allarticolo di Paolo G. L. Ferrara giunti finora.
La questione cui ci troviamo di fronte riguarda la possibile costruzione di un nuovo piccolo auditorium (400 posti) nel territorio del comune di Ravello, in unarea privata destinata dagli strumenti urbanistici ad un uso pubblico (anche se non chiarissimo quante e quali tipologie di uso pubblico la norma contempli). Lintervento, nella configurazione che stata pubblicizzata, nasce dallidea di uno dei grandi maestri del Moderno, il 94enne Oscar Niemeyer, e rappresenterebbe sicuramente una buona occasione per accrescere il patrimonio di opere di architettura contemporanea del nostro paese. Tutta loperazione, nonostante ci, contiene anche alcuni aspetti di criticit e ambiguit che hanno scatenato accese battaglie e legali e culturali.
Bisogna appunto sottolineare che esistono due piani di lettura della vicenda, paralleli ma non coincidenti:
1. il piano legale-giuridico: riguarda forse pi la cronaca che il dibattito culturale; vede da una parte i privati proprietari dellarea che difendono strenuamente interessi particolaristici e il cui ricorso al TAR rappresenta nientaltro che una mossa dilatoria (alla luce anche del fatto che il comune di Ravello rischia di perdere il finanziamento pubblico di 18,5 milioni di euro se non comincia in fretta i lavori), da unaltra parte ci sono ALCUNE associazioni ambientaliste che contestano la non congruenza dellopera alla normativa urbanistica e paesistica regionale e hanno ricorso al TAR non perch contrarie al progetto in s (ci valeva almeno per il WWF) ma perch temono che linterpretazione estensiva della normativa, che il progetto si porta dietro, determini un pericoloso effetto emulativo nei comuni limitrofi, non facilmente controllabile in futuro.
2. il piano culturale vero e proprio: quello che ci e mi interessa pi da vicino. Pu riguardare il giudizio di merito sullopera, la sua opportunit e la sua capacit di aggiungere o togliere valore al territorio in cui si inserisce: a riguardo direi che pochissimi si sono espressi a sfavore del progetto, praticamente nessuno (forse solo Salzanoe Sgarbi?). Pu riguardare inoltre il giudizio di valore sul modello di procedimento usato per laffidamento dellincarico ed qui che sinseriscono le perplessit mie e di altri per il mancato utilizzo della procedura concorsuale.
Per comprendere davvero la questione bene chiarire alcuni malintesi che secondo me sono nati nel corso del dibattito e ne hanno impedito uno svolgimento pi sereno. Esistono infatti anche qui due livelli diversi di lettura del problema.
Il comune di Ravello, nella realt dei fatti, non ha conferito a Niemeyer un vero e proprio incarico di progettazione, bens ha recepito alcuni suoi disegni e idee inquadrandoli ufficialmente come una consulenza esterna (una sorta di supervisione artistica?), il progetto nei vari livelli di approfondimento viene invece sviluppato dallufficio tecnico comunale e firmato dalla sua responsabile, Rosa Zeccato. Come ammette lo stesso Lazier, si tratta di una procedura dincarico un po tirata e al limite della legalit usata dal sindaco di Ravello.
La critica dunque legittima, anche se, a dire il vero, dal basso della mia media competenza, non sono affatto sicuro che la legge Merloni obbligasse al concorso pubblico, soprattutto dopo le modifiche degli ultimi due-tre anni; in ogni caso, io e alcuni (molti?) altri abbiamo espresso perplessit per la mancata indizione di un concorso di idee perch siamo convinti della sua opportunit AL DI LA (E A DISPETTO) del fatto che la legge lo preveda (o no), cos come Antitesi ci ha insegnato.
Non si tratta di essere attaccati allintangibilit della norma-feticcio, bens di continuare coerentemente a sostenere che il metodo migliore per la risoluzione del problema della democraticit e qualit degli incarichi di progettazione quello di indire pubblici concorsi, chiari, trasparenti e internazionali.
Detto questo, pi che legittimo, per, avere sensibilit diverse riguardo al fatto che, in un contesto di mancato rispetto delle norme, lobiettivo di realizzare un progetto di qualit possa giustificare il perpetuarsi ulteriore di tale prassi.
Ugualmente non condivido che il parziale (o totale) fallimento della Merloni (legge nata in regime di emergenza, mai amata e quindi pi e pi volte modificata, creando solo confusione, senza aver avuto mai il cor
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639
di Gianluigi D'Angelo
del 09/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Mi dispiace per la rottura con Enrico Botta e la sua mancata partecipazione al tuo corso.Puoi dirlo direttamente a lui, non sono n suo sicario n tantomeno suo portavoce. Sia ben chiaro che io non voglio fare la morale a nessuno, n ti ho mai accusato mai di aver "chiesto agevolazioni carrieristiche". Considera sempre i miei commenti semplicemente per quello che sono.
un saluto gianluigi
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636
di Gianluigi D'Angelo
del 09/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Credo che il punto di vista di Enrico Botta sia condivisibile, e piano piano se ne stanno accorgendo il giro. Possono non piacere i toni ma non bisogna perdere di vista i contenuti. Mi dispiace che il concorso che sta preparando il CPA sia boicottato omettendo link e non dandone comunicazione. L'informazione va garantita a prescindere dalle opinioni, sono poi i lettori a dare un giudizio.
un saluto
Gianluigi D'Angelo
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9/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Gianluigi D'Angelo
Nessuno ha mai boicottato nulla. Semplicemente, non abbiamo ricevuto la segnalazione. Credo possa capitare qualche disguido anche con le e mail. Abbiamo sempre pubblicato tutto quanto Botta ci ha sottoposto.
Adesso mi sono un pò seccato di sentire antiTHeSi tacciata di boicottaggi vari: siamo stati i primi a garantire la libertà di espressione on line e ne abbiamo pagato lo scotto, visto e considerato che c'è chi, criticato, ne ha fatto una questione personale. Dunque, per favore, finiamola.
Botta, come chiunque, ha avuto lo spazio per dire e fare quello che credeva opportuno. Se il tuo intervento era finalizzato a metterci sul banco degli imputati, bèh hai sbagliato nettamente.
Botta ci ha comunicato di avere deciso di non volere intervenire più su antiTHeSi: ne prendiamo atto, ma, per favore, non mandi i sicari, perchè così finiamo per cadere nel ridicolo.
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637
di Paolo Fiore
del 09/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Dalle reazioni scomposte di Sandro Lazier emergono due punti:
il primo:
l'unico autorizzato ad insultare, ad aggredire ingiustificatamente chi non condivide il suo punto di vista, a decidere chi arrogante e chi non lo . Sale in cattedra Lazier e ci fa la morale, chiede di moderare i toni gridando pi forte di tutti gli altri. Ci fa sapere che si stufato, si scocciato di quei lettori che gli piantano delle grane e manifestano il dissenso. Un consiglio: potrebbe cominciare a scrivere un diario personale piuttosto che dirigere una rivista, non avr contraddittorio e sar finalmente felice.
il secondo:
sulla vicenda Ravello porta degli argomenti di grande debolezza, risponda invece perch non si dovrebbe fare un concorso. E`l'unico strumento di confronto serio.
saluti
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9/2/2004 - Sandro Lazier risponde a Paolo Fiore
1.
Non vero che insulto ed aggredisco. Anzi, mi difendo, animatamente ma mi difendo e difendo il giornale per cui scrivo. Comunque grazie del consiglio per il diario ma nessuno obbligato a leggere quello che scrivo. Tra laltro, leggere antiTHeSi, non costa nulla. Quindi a lei cosa dovrei dare?
2.
Che un concorso, per di pi fatto da Botta, sia l'unico strumento di confronto serio mi pare quantomeno esagerato. Il concorso non buono in s e per s. Dipende dal programma che lo concepisce e, soprattutto, da chi sceglie e giudica. E ora di smettere di pensare che sia sufficiente indire un concorso per risolvere ogni male sociale. Questo pensiero da talebani dilettanti. Chi giudicherebbe, Botta? O qualche suo amico? Di destra o di sinistra? Verde, grigio, bianco o nero? Modernista o tradizionalista? Il giudizio sul gusto non matematica, dove basta fare la somma e tutti sono daccordo. Come si pu pensare che il concorso premi il meglio e basta. Il meglio per chi? Dovremmo applaudire unarchitettura scadente solo perch frutto di un onesto concorso?
Io credo che in un paese che voglia seriamente comportarsi in modo democratico non ci sia altra possibilit di scelta che affidarsi alla responsabilit politica delle persone che lo governano. Il principio responsabilit il solo che ha legittimit. Se il sindaco di Ravello ha fatto la sua scelta deve risponderne politicamente. Se la Regione Campania ha fatto un piano urbanistico che produce contraddizione e ostacola il comune a vantaggio di un privato che vuol costruire un parcheggio, giusto che paghi politicamente le conseguenze, licenziando funzionari, consulenti, urbanisti e quanti hanno sbagliato. Non si possono chiudere gli occhi e pensare che nulla conti perch si leso un principio: fare il concorso. Chi pensa seriamente e conosce un po la storia sa che i principi vanno amministrati con cautela e responsabilit, se no diventano macchine da guerra e basta.
Il filosofo Popper sosteneva che una societ evoluta quella che sa dotarsi di regole tali per cui chiunque agisca al suo interno non possa fare pi di qualche danno. Questo nega di fatto qualsiasi principio assoluto e per sempre.
Commento
638
di Gianluigi d'angelo
del 09/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Caro Paolo, non posso accettare la tua risposta. Io non sono il sicario di nessuno, e credo che sia difficile far credere che a Botta sia necessario. Io semplicemente esprimo la mia opinione. Sai benissimo che la segnalazione l'hai ricevuta e sai altrettanto bene che il commento di Botta non stato pubblicato integralmente. Tu stesso lo hai affermato. E quello che mancava era proprio il link al sito del concorso per l'auditorium di Ravello. Giustamente pu sfuggire un'e-mail, ci possono essere dei disguidi, ma omettere volontariamente una parte del commento atto consapevole. Se non vuoi definirlo boicottaggio decidi tu il termine, possiamo spostare la discussione in abito linguistico, ma quello che certo sono i fatti.
Riconosco il vostro impegno e con questo non voglio generalizzare e il mio giudizio sul vostro lavoro in generale, abbiamo condiviso spesso molte posizioni, spesso scomode, per la maggior parte dei media, ma a volte pu succedere di non avere lo stesso punto di vista. Non bello ricevere del "sicario" solo perch si esprime in maniera trasparente la propria opinione. Spero che la prossima vollta i miei commenti vengano presi in maniera costruttiva e non come difese di ufficio o attacchi personali. Il ridicolo di questa storia se mi permetti proprio questo
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9/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Gianluigi d'angelo
Hai idea del fatto che Botta ci ha dato dei "malfattori"?! e poi ha piazzato il suo bel link quale fosse il paladino della giustizia da noi oltraggiata?
Senti Gianluigi, il comunicato o il link (e non il commento) io non l'ho mai ricevuto. E ti dir di pi: Botta era tra gli ospiti programmati negli incontri universitari nell'ambito del mio corso: ha volutamente annullato dopo le diatribe con Lazier. Ci tenevo molto che i miei studenti conoscessero il suo lavoro e poteva essere anche occasione per approfondire la questione Ravello. Inoltre, visto che non appena sar effettuata la cancellazione qualcuno potrebbe pensare ad una censura, lo stesso Botta ci ha chiesto di eliminare tutti i suoi interventi fatti su antiTHeSi. Non condivido, ma rispetto e presto lo faremo. Di certo non posso condividere un'altra promessa che mi ha fatto, non certo edificante e di cui tralascio i particolari perch finirei per sminuire il personaggio, che avr anche grandi qualit, ma che deve imparare lui ad essere democratico.
Comunque sia, tralascio altri piccoli particolari che non credo interessino ai lettori, ma che Botta ed io conosciamo bene. Tanto basta.
Arrivano giornalmente veri e propri commenti in forma di "insulto" ma non appena si chiede a tutti questi idioti di approfondire, scrivere e farci pubblicare il loro parere, bh spariscono!
Ora, a me la morale non pu farla nessuno, questo sia chiaro una volta per tutte, perch sfido a trovare una sola persona a cui abbia chiesto agevolazioni carrieristiche. Il mio articolo stato frainteso nei suoi contenuti veri ed stato pretesto per ingaggiare una battaglia inutile, all'interno della quale siamo stati schierati tra i malfattori, fascisti, berlusconiani. Mio Dio!
Sicario? forse s o forse no, fatto sta che il tuo intervento stato davvero tempestivo rispetto quanto accaduto con Botta sabato pomeriggio.
con rinnovata stima
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641
di Andrea Pinna
del 09/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Credo che leggendo i vari interventi in questa discussione, e anche girando per la rete, emerga come sia quantomeno dubbio l'iter procedurale seguito per far approvare il progetto di Ravello...
La legalit dell'operazione credo e spero verr chiarita dal TAR ma, indipendentemente dalla sua legalit,
qui, in generale, ambiguo l'atteggiamento di sostenitori e detrattori...
Questi ultimi sostengono tesi poco condivisibili, riguardo il definire "sconvolgente" l'impatto ambientale della struttura... definire questa tesi "eccessiva" un eufemismo... loro per almeno si pongono il problema della legalit... con un accanimento anche un p sospetto, nel senso che in tante altre occasioni pi pressanti e -sensibili, non li si vede, e questo fa pensare che usino Niemeyer come "nome" per attirare l'attenzione cavalcando la polemica...
I primi invece, i sostenitori, vedono solo il bicchiere mezzo pieno... il grande architetto ci ha dato un capolavoro poetico, e adesso bisogna farlo, punto e basta, la legge un optional... cosa importa se il tar potrebbe decidere sull'illeggittimit dell'operazione, a noi piace e lo vogliamo! punto e basta!
Mi dispiace dover constatare quanto sia "italiana" questa vicenda...
sembra che per noi le leggi sono sempre un qualcosa che ci riguarda fino a un certo punto: la legge, se la conosci la eviti... solo che poi ci si lamenta tutti dell'abusivismo e degli appalti poco "trasparenti"...
e anche se, come in questo caso, c' chi [pochi] ha puntato il dito contro la legalit dell'operazione, tra questi a quasi nessuno importava che non si sia fatto un concorso [magari trasparente come quello del cpa] su quest'opera... la legge lo prevederebbe, la Merloni, ma solo per le opere importanti, e, di fatto, l'auditorium non lo ... controllate la destinazione d'uso dell'area, non lo pu essere! anzi nell'elenco dei tipi di edifici che si possono costruire su quell'area ci sta un sacco di roba, ma l'auditorium proprio no... per non parlare poi del PRG... e dei diplomatici commenti alla legittimit di questo bel casino sollevati da Bohigas...
Ma, quelli che l'auditorium lo vogliono, di tutto questo se ne fregano...
insomma, sconfortante vedere un grande architetto riportato a questioni di cos bassa lega...
Considero il progetto del brasiliano molto poetico, e spero si riesca a realizzarlo, ma nel rispetto della legge... e qui sta il punto, credo che in Italia le leggi andrebbero riviste... perch se la burocrazia rende troppo complesso la realizzazione di opere come l'auditorium, bh allora bisogna cambiare le leggi, anzich aggirarle col consenso e l'appoggio di alcune lobby di potere, e rendere gli strumenti a disposizione dei politici pi elastici e flessibili, facilmente modificabili e con minori tempi di esecuzione, nonch pi trasparenti ovviamente...
Ma contro la politica non ci va nessuno... meglio tenersela amica...
meglio criticare il progetto di Niemeyer
meglio criticare chi critica Niemeyer e il suo progetto...
solo che cos perdiamo tutti...
a parte qualcuno con interessi particolaristici...
concludo quindi difendendo l'intervento di Enrico, del quale condivido la sostanza...
Capisco che la forma "manichea" usata x esporre le sue tesi possa irritare... la realt bianca o nera, o siete con me o contro di me... non molto bello... ma vi considero persone con spalle abbasta larghe da poter reggere questo e altro, ad Enrico bisognava ribattere sulla sostanza, non sulla forma...
Le questioni in ballo sono troppo importanti per fermarci a commentare l'appassionato estremismo di un ragazzo innamorato dell'architettura, ce ne sono cos poche in giro...
Considero il vostro sito un bel contenitore di libero pensiero, come pochi se ne possono trovare, e fa strano notare come basti cos poco per farvi mutare la linea editoriale...
un saluto ottimista e di stima
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9/2/2004 - Sandro Lazier risponde a Andrea Pinna
A parte lennesima difesa dufficio del signor Botta, a proposito di fatti e non pugnette, la domanda formale del suo intervento qual ?
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642
di Paolo Marzano
del 09/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Questo il punto sul caso audirorium a Ravello di Oscar Niemeyer
La frase da scolpire sulla roccia esattamente quella citata da Andrea Pinna : "... La legalit dell'operazione credo e spero verr chiarita dal TAR ma, indipendentemente dalla sua legalit, qui, in generale, ambiguo l'atteggiamento di sostenitori e detrattori... Questi ultimi sostengono tesi poco condivisibili, riguardo il definire "sconvolgente" l'impatto ambientale della struttura... definire questa tesi "eccessiva" un eufemismo... loro per almeno si pongono il problema della legalit... con un accanimento anche un p sospetto, nel senso che in tante altre occasioni pi pressanti e -sensibili, non li si vede, e questo fa pensare che usino Niemeyer come "nome" per attirare l'attenzione cavalcando la polemica..."
E' il sunto, di una strategia vecchia come il mondo, per essere 'riconosciuti ed individuati' socialmente, bisogna scagliarsi contro un grande nemico. Quanto pi grande il nemico pi varr la vittoria su di esso e l'importanza sociale e il 'potere'. Sempre per questo motivo, sempre lui. Povera architettura, povero Comune di Ravello!
Tutti i commenti di Paolo Marzano
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643
di Mariopaolo Fadda
del 09/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Ineccepibile, tempestiva e saggia la decisione della direzione di AntiTHesi di stroncare la gazzarra scatenata da un pugno di professionisti dellinsulto.
Per quanto mi riguarda ero pronto a togliere il disturbo, non per sottrarmi al confronto o allo scontro duro che non mi spaventano pi di tanto, ma perch detesto lassemblearismo tribale, la parodia della democrazia, la piazza forcaiola, lignoranza e la disinformazione elevate a valore.
Le reazioni scomposte dei protagonisti confermano la saggezza della decisione.
Tutti i commenti di Mariopaolo Fadda
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645
di Andrea Pinna
del 09/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
"A parte lennesima difesa dufficio del signor Botta, a proposito di fatti e non pugnette, la domanda formale del suo intervento qual ?"
Mi dispiace, leggendo gli altri interventi non vi trovo domande formali, quindi non capisco perch dovrei averle io...
credevo che fosse un dibattito, dove ciascuno dice la sua, ma evidentemente le mie ultime 12 righe di commento a questa vicenda riguardante il signor Botta contano + delle prime 42, assolutamente generiche...
mi dispiace x i toni esasperati di questa discussione ma non posso fare a meno di notare come ne siano coinvolti anche i gestori di questo sito...
signor lazier, se, dopo il mio intervento generico, avessi difeso il signor ferrara, lei avrebbe scritto "a parte l'ennesima difesa d'ufficio del signor ferrara..."???
do un consiglio a tutti [me compreso], finiamola di trattare discussioni importanti come questa come fossero discussioni da bar sulle partite di calcio, con tifoserie contrapposte... questo contro quello, senn finisco col pensare che il manicheismo di enrico riguardi anche voi...
lasciamo da parte le persone e ridiamo centralit alle idee... le persone passano le idee restano.
lei mi dice "fatti e non pugnette"...
io le rispondo con "sostanza, e non forma"... e lasciamo da parte l'orgoglio...
e cmq le idee, in generale, sono delle pugnette [un'idea finch resta un'idea soltanto un'astrazione diceva gaber], e il vostro sito fatto di critica, quindi di idee, quindi di pugnette, quindi il mio intervento su misura x voi...
ah, a scanso di equivoci, questo non vuole essere un intervento polemico, n tantomeno offensivo...
solo propositivo e costruttivo, come il precedente d'altronde, ma visto che non si capito, stavolta lo scrivo e passa la paura...
Tutti i commenti di Andrea Pinna
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640
di Beniamino Rocca
del 09/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
caro Sandro, so bene come sia difficile tentare di " liberare certa sinistra" come tu dici (e in questi casi, mi viene sempre da pensare al segretario di Rifondazione Comunista , Bertinotti , personalmente conosciuto quando era ancora un sindacalista socialista in carriera...) dal suo massimalismo giacobino.
Che un giovane architetto come Botta poi, dia del "malfattore" a chi favorevole al progetto Niemeyer (e quindi all'architettura) e sia nell'operare concreto dei fatti suoi (e della sua associazione) a favore dell'"orrida " legge Merloni (e quindi degli ordini professionali, dei burocrati, dei concorsi truccati, dell'Assimpredil, che quesa legge cos hanno voluto) la dice lunga sull' onest culturale della discussione che nata.
Anche l'aspirante architetto di successo che se la prende con l'ottimo Mariopaolo Fadda , nei fatti, con "i baronati universitari, i favoritismi della corporazione, lostracismo delle riviste patinate, i concorsi truccati, lanalfabetismo."
Meno male che c' Antithesi ... e anche il Co. Di.Arch., forse, che nel silenzio (imbarazzato?) dei lettori-critici, del Darc, del Ministero ai Beni Culturali, continua la sua battaglia per proporre concrete modifiche di legge per arrivare ad un'architettura libera, antiaccademica , che sappia dare "serenit e stupore".
Tutti i commenti di Beniamino Rocca
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633
di Pierluigi Di Baccio
del 07/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Senta Lazier,
credo lei si offenda senza motivo: lei dice che io sono un cretino appartenente a certa sinistra malata? A parte che, semmai, quel che vale per me vale anche per lei (che ne sa?), e poi qui di farneticante c'era solo il fatto che parlando di architettura e concorsi lei non ha trovato di meglio che tirare fuori le leggi razziali e lo sterminio di persone innocenti.
Scusi, ma le pare serio?
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7/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Pierluigi Di Baccio
Credo che Lei, egregio Di Baccio, non abbia ben chiaro il significato dell'articolo a cui si riferiscono i commenti in causa e la Sua diatriba con Lazier. Dunque, credo sia il caso di lasciare perdere perch, come si dice da noi in Sicilia, "quannu lu scecu nun voli viviri, inutili fiscari". Ora, non che io Le stia dando dell'asino, per carit! che Lei non ha sete.
Commento
629
di Pierluigi Di Baccio
del 07/02/2004
relativo all'articolo
Libera cultura e bastioni oscurantisti
di
Mariopaolo Fadda
Carissimo Fadda (!),
bench non mi risulta lei bazzichi molto per l'italico suolo, pare proprio sia molto informato sulla vicenda nostrana. O almeno pretende di esserlo.
Sinceramente scrivo questo commento spinto solo dal fastidio provocatomi dal tono delle sue note e delle sue risposte, improntate proprio a quell'atteggiamento di arroganza e prepotenza degna dei peggiori teppisti intellettuali che lei attribuisce (a ragione) al suo collega rampognaro Vittorio Sgarbi.
Credo lei debba un po' chiarirsi le idee: non le piace Sgarbi (come dire: a tutto c' un limite) perch quello a sua volta preferisce Portoghesi a Isozaki (i gusti son gusti), tuttavia direi proprio che la di lui lezione lei la applichi con pervicace impegno.
Mi deve proprio scusare, se le riesce, ma a me restano particolarmente indigesti questi minestroni infarciti di affermazioni gratuite quanto banali contro i soliti Cattivi che si mangiano i bambini mentre i poveri, sparuti Buoni di turno con ardito ardore si lanciano controcorrente alla salvezza del Futuro....mah
E poi, il pistoletto sui biechi intellettuali organici (comunisti!, of course) attentatori delle libert civili etc. ....per favore, certe cose, almeno lei, ce le risparmi...ci sono gi i Bondi, gli Schifani, i Bagget Bozzo, i Berlusconi e le ballerine al seguito a ricordarcele a ogni pi sospinto!
Non so se ha presente, ma qui fra un po' ci rimane solo la canna del gas per salvare la nostra integrit mentale.
Comunque, se poi qualche temerario avesse ancora voglia di comincia a capire qualcosa della intricata vicenda dell'architettura moderna, al di l di semplificazioni e dietrologismi che lasciano il tempo che trovano, consiglio vivamente un ottimo articolo appena comparso su Arch'it: "Postmodern Oppositions. Eisenman contro Koolhaas" di
Pier Vittorio Aureli e Gabriele Mastrigli.
Auguri!
Tutti i commenti di Pierluigi Di Baccio
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7/2/2004 - mariopaolo fadda risponde a Pierluigi Di Baccio
Un’altro che mi attribuisce un amore inconfessato per Isozaki.
Io parlo di stravolgimento delle regole e questi orbi prendono fischi per fiaschi.
Diversamente da lei non lancio accuse generiche ma faccio nomi e cognomi. Non parlo di povere mammolette, ma di gente che per anni ci ha raccontato la favola dell’architettura esemplare, delle esemplari città comuniste, della società esemplari, che si stavano costruendo nella madre patria, nascondendo e coprendo le persecuzioni "Il contrattacco stalinista fu feroce. I migliori architetti furono arrestati, ostracizzati oppure obbligati a rinnegare la loro arte per progettare con assurde forme greco-latine. Il poeta Majakovskij si suicida il 4 aprile 1930. Sì, il momento eroico dell'architettura sovietica è cominciato col grido di un poeta e si è concluso col suicidio di un poeta... Rendiamo omaggio ai fucilati, agli scomparsi, agli imprigionati, agli umiliati, alle vittime del loro amore e della loro passione per l'architettura." (G. Candilis)
Lei vorrebbe che su questo tacessimo perchè ne parla anche Berlusconi? Un corno! Lei vorrebbe che su questo tacessimo per non rovinare l'assalto al potere dell'intellighenzia organica riciclata negli ulivi? Un corno!
Per quanto mi riguarda ho preso da tempo le opportune precauzioni per l’integrità mentale, mi auguro che anche lei ci riesca senza la canna del gas.
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632
di Pierluigi Di Baccio
del 07/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Gentile Lazier,
purtroppo la sua risposta non rimuove affatto l'ambiguit di cui sopra. Lei non vuole entrare nel merito e ritira fuori la solita storiella dei giacobini infingardi: capisco che l'argomento molto gettonato, ma non c'entra nulla.
Per non parlare del riferimento alle leggi razziali...di cui tutti potranno valutare l'opportunit. Io rimango perplesso, ma non mi stupisco pi di tanto: non so quanto consapevolmente, ma lei sembra muoversi sulle orme di quel revisionismo facilone che ormai soffoca da anni questo paese.
Lei ce l'ha con l'intellighenzia presunto-giacobina che chiede solo il rispetto del corretto gioco democratico? Sar, ma io il pericolo lo vedo dall'altra parte, in quell'Italia incattivita da un invincibile spirito di rivalsa culturale pi forte di tutto e di tutti. E' un'Italia pseudo-libertaria e in realt contro-rivoluzionaria nella quale si fa troppo presto a rivoltare la storia nazionale come un calzino e nella quale qualunque giornalistucolo pu permettersi di andare in giro indisturbato a dire che l'Olocausto colpa dei partigiani che non fermavano i treni della deportazione...
Qui qualcuno ha perso il senso della misura, e delle cose. Delle casette abusive non fregato niente a nessuno, in primis a quelli dalle vostre parti, tutti persi in elucubrazioni sulla stupenda visionariet del Corviale e via dicendo.
Mi spiace, ma in questo paese ai corrotti e ai tangentisti un po' di paura (per troppo breve tempo, purtoppo) l'hanno messa solo quei cattivoni dei giacobini giustizialisti innamorati del rispetto delle regole democratiche (non certo delle leggi raziali) e della moralit della pubblica amministrazione! Gli autoproclamatisi riformatori, innovatori, modernizzatori, radical-libertari o liberisti dov'erano? Ad appoggiare i governi dei condoni, da Craxi a Berlusconi....mi spiace Lazier, ma se l' cercata.
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7/2/2004 - Sandro Lazier risponde a Pierluigi Di Baccio
Di Baccio, ma sta scherzando?
Cosa conosce lei della mia vita e della mia storia per offendermi senza nessuna possibilit di dialogo e di ascolto?
Mi sarei cercato cosa? Il giudizio sommario di un cretino di cui certa sinistra malata non riesce a liberarsi?
Mi spiace per lei ma quello che ha scritto porta una grande responsabilit verso i lettori che sapranno sicuramente dar giudizio delle mie parole e della storia di antiTHeSi e delle sue estemporanee farneticazioni.
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634
di Pierluigi Di Baccio
del 07/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Egregi Ferrara e Lazier,
sinceramente non mi rallegra che la discussiamo sia degenerata in tal modo, dunque se io ne ho colpa, chiedo venia (sarà irruenza giovanile). Non rientra nel mio modo di essere, tuttavia, offendere gratuitamente: tengo a precisare infatti che quanto scrivo va inteso in senso generale, senza alcun riferimento personale. Non mi pare proprio il caso di accapigliarsi...
Il fatto però è che io avevo ben presente il significato di articolo e commenti, ho semplicemente invitato a un maggiore approfondimento su un aspetto che mi pareva venisse trascurato, a mio parere ingiustamente. Evidentemente ho urtato la sensibilità vostra, me ne scuso -ripeto-, tuttavia mi sembra che tale suscettibilità mal si concilii col vostro atteggiamento battagliero di militanti della critica architettonica.
Forse il sentirsi fortino assediato non aiuta alla serenità d'animo e ad affrontare con maggior lievità queste nostre discussioni, che non pretendono certo di scoprire verità nuove.
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635
di EnricoGBotta
del 07/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Mi conforta che in molti su questo sito abbiano puntato il dito contro la procedura usata dal comune di Ravello per aggirare il concorso e dare l'incarico a Niemeyer direttamente.
Mi sconforta profondamente che molti dei paladini del cambiamento difendano invece il vecchio, vecchissimo sistema delle clientele.
Al di l dei motivi che stanno dietro la decisione di inventare una procedura fantasiosa per far si che l'auditorium lo facesse Niemeyer (o Rosa Zeccato? ma Rosa Zeccato sara pur iscritta ad un ordine, e l'ordine non dice niente???), forse c' solo l'amore per l'architettura, forse no, evidente che si tratti di una cosa inaccettabile, non solo perche aggira una legge (orrenda) come la Merloni, ma perche aggira il diritto di tutti i progettisti al confronto pubblico.
C' anche chi pensa che i progetti di architettura siano opere d'arte e che quindi, l'architetto come l'artista dovrebbe basare le sue fortune, come era nel Rinascimento, sulla rete di conoscenze "influenti" che riesce a tessere.
Beh, io sinceramente mi illudevo che fosse scontato che in un paese democratico la gestione della cosa pubblica non potesse essere operata con la disinvoltura invece comprensibile per gli incarichi privati o per le dittature rinascimentali.
Voglio dire, se De Masi dovesse fare casa sua non ci vedrei assolutamente nulla di male se facesse una telefonata a Niemeyer e gli desse l'incarico (contento lui...). Un auditorium che costa l'ira di dio di soldi pubblici credo sia una faccenda molto, molto diversa. Perche l'Italia, ci piaccia o no, un paese democratico e non il Vaticano, o la Firenze del '500 (grazie a Dio). Di conseguenza ci vuole un concorso.
Sono giacobino? Giacobino non so... manicheo senz'altro. Chi sostiene questo auditorium un malfattore. Punto. Chi ostacola il concorso per l'auditorium un malfattore, c'e' poco da fare e poco da argomentare. Non si tratta di opinioni, ma di principi.
Poi si pu tirare l'acqua a tutti i mulini del mondo (io, al contrario di quasi tutti gli altri, la tiro al "nostro" e non al "mio"). Rimane il fatto che questi 18,6 milioni di euro sono uno scippo operato ai danni di tutti noi. E sinceramente mi molto difficile solidarizzare con chi si felicita di questo.
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7/2/2004 - Sandro Lazier risponde a EnricoGBotta
Caro Botta, io credo che non esista pi nessuna seria possibilit di dialogo. Malgrado la generosit con la quale diamo spazio a qualsiasi genere di commento e molti lettori ci rimproverano questo atteggiamento forse troppo indulgente alla fine non muoviamo di un pelo le nostre convinzioni e quelle dei nostri interlocutori. Quindi, fatica sprecata.
Si rende conto che veniamo accusati di speculazione, connivenze varie e complicit indegne. Lei ci definisce malfattori punto e basta. E questo avviene in casa nostra, nel nostro giornale e senza nessuna giustificazione razionale. Larticolo di Paolo G.L. Ferrara, infatti, non conteneva nulla di tutto quello che ci viene sputato addosso. Per cui ci siamo scocciati delle stupidaggini, che provengano dal centro, da destra o da sinistra, alle quali non intendiamo pi dare spazio e risonanza.
P:S: mi sono permesso di togliere il link che ci ha segnalato in virt di questa rinnovata tendenza editoriale.
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630
di Pierluigi Di Baccio
del 07/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Poich sulla questione Ravello mi pare che la nostra Dolce Mara non sia ancora intervenuta su queste pagine, e la mancanza si sente, spero di non farle eccessivo torto riportando qui pari pari quanto da lei scritto e comparso sull'ultima presS/Tletter di LPP:
"Mara Dolce: Domenico De Masi e Oscar Niemeyer.
Dice il sociologo De Masi promotore di Niemejer e del suo progetto per l' auditorio di Ravello contestato da Italia Nostra :'In un periodo di volgare mercificazione della cultura e del turismo...'. Non si discute il merito e la comprovata professionalit di Niemejer , n la necessit per Ravello di un auditorio. Non si vuole neppure entrare nel merito del progetto dell'architetto brasiliano e passano in seconda istanza anche le ragioni degli ambientalisti davanti alla seguente domanda:perch il sociologo De Masi, ex presidente in/arch da anni in prestito all' architettura- e quindi, deduciamo, con una comprensione cosciente dello stato e delle necessit della architettura italiana, non ha promosso un concorso per l' auditorio di Ravello visto che si tratta di denaro pubblico (finanziamento regionale di 18,5 milioni di euro) e non di committenza privata? Perch il sociologo De Masi ha dato un incarico diretto al suo amico Niemejer ? L' architettura non un evento mondano, non si chiama un professionista come se fosse la firma di uno stilista di moda; il campo del confronto e della prova quello del progetto, volta per volta, non quello del nome n dello stile . Perch non passare per il confronto culturale e democratico del concorso? Se si adottasse il criterio De Masi degli incarichi diretti che vede nomi dalla professionalit consolidata, per mettere a tacere qualsiasi perplessit, finirebbe l'architettura. Il concorso e' un utile strumento democratico che permette di volta in volta, di considerare il valore formale di un progetto; questo elementare criterio che ha permesso a un giovane sconosciuto, tal Michael Arad, anni 34 - che lavora al comune di New York- di aggiudicarsi il concorso per il monumento in memoria delle vittime degli attacchi all' America dell'11 settembre , scalzando colleghi dalla comprovata e solida professionalit. Una citt, un paese, non un museo che deve 'acquisire' UNA ARCHITETTURA COME FOSSE un'opera d'arte, per poter vantare il nome di tal artista o scultore nella propria galleria in modo da aumentare la propria offerta culturale. Un paese civile e democratico, usa il concorso come indispensabile strumento di confronto e riflessione, per assicurarsi quanto di meglio si possa concepire sul tema. Come gi successo in questi casi, gira la solita petizione che difende la banale contrapposizione nuovo/vecchio. La sottoscrivono accademici e non, che si spettinano sull'aspetto secondario del caso: la necessit del nuovo; senza eccepire invece, sulla modalit dell'incarico diretto. De Masi sociologo e pu peccare di superficialit e incompetenza nell'ambito dell'architettura, ma che gli architetti gli facciano da amplificatore sul ritornello nuovo osteggiato dal vecchio, non vedendo la macroscopica anomalia della procedura, veramente grave."
Ovviamente condivido ogni singola parola! Spero solo la diretta interessata voglia scusare la mia intromissione...tuttavia il suo commento riassume alla perfezione l'argomento qui gi sostenuto da me a da altri (Botta) e sul quale sia Ferrara che Lazier mi pare continuino ambiguamente a sorvolare....
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7/2/2004 - Sandro Lazier risponde a Pierluigi Di Baccio
1. Lazier e Ferrara non sorvolano. Ferrara ha scritto un articolo che basta leggere. Lazier non condivide, contrariamente a lei, nulla o quasi di quel che dice Mara Dolce.
Infatti, non mi piace il giacobinismo di fondo che c nelle riflessioni sue e, in parte , in quelle di EnricoG. Botta. Il principio la loi avant-tout sempre stato strumento che storicamente ha mortificato la dignit umana, basti pensare alle leggi razziali europee, quando la legge prima di tutto imponeva di denunciare i propri vicini di casa per mandarli nei forni crematori. Let e qualche buon maestro mi hanno insegnato a distinguere i reati dai peccati e, a casa mia, ha voce la coscienza che ancora valuta caso e caso.
2. La necessit del nuovo non un aspetto secondario della vicenda. Anzi, quello principale, perch nessuno si sollevato per le casette abusive costruite in passato con procedure ben pi scandalose di quelle che hanno permesso a Niemeyer di progettare lauditorium. La molla, il motore che ha smosso linerzia dei benpensanti, stata lidea di sfregio che il nuovo avrebbe procurato ad un immaginario ambiente originario, sedicentemente tutelato da ogni genere di associazione che, tutte insieme, sono responsabili di questo paranoico universo normativo: regole su regole in continua e comica contraddizione. Della legge Merloni abbiamo gi detto - insieme al Co.di.Arch. di Beniamino Rocca e Alberto Scarzella Mazzocchi - come dei concorsi di architettura. Non si riforma luna senza riformare gli altri.
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628
di Francesco Pietrella
del 06/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
ACUSTICA CONCHIGLIA
In questi giorni di gelo e neve che cade su Roma in quella maniera inusuale ma che mi allerta dubbi circa le inusuali alterazioni climatiche dei tempi correnti mi arriva agli occhi lultimo progetto di Oscar Niemeyer per Ravello. Con mio grande interesse constato e apro il mio cuore e la mente al prossimo insegnamento che questo grande maestro ci da alla sua veneranda eta.
La testimonianza di un poetica umana che si misura con la natura e ne diviene il sigillo dellesistenza, riscatta la storia e il brutto e compie liperbole linguistica consegnando lopera darte al luogo, alla gente, alla storia e ai benpensanti.
Il rapporto con il luogo e la genesi del progetto, e la trama di elementi che formalizzano in un volume splendido per la sua semplicita non da nuvola Fuksas troppo imitate o per proporzioni inumane da palazzone dittatoriale da abbattere con le bombe intelligenti.
A noi ci appare uno splendido piccolo gioiello al confine di una scultura architettonica che parla come dal Brasile allimmenso spazio naturale divenendone il sigillo, lambito controllato e commensurabile della realta stratigrafica che digrada nel mare, metafora di un ACUSTICA CONCHIGLIA protagonista ella si del territorio di Ravello e di cui e il futuribile-teatro-antico affacciato, presenza eco di spazi lontanissimi e immensi che parlano per frammento ai piccoli funzionari del comune, ai bigotti e professoroni dal cavillo imperioso che primeggiano per la polemica tralasciando guarda un po tutto il resto di abusivismo edilizio che tracima e tracima il belpaese. Come quando, da ragazzetto, visiti la Farnesina e sei colpito dagli sgarri di sgherri sugli affreschi raffaelleschi.
Lantisimmetria e lorientamento sono puntamenti che ci indicano chiaramente il rapporto con il luogo, la piazza a striscia ci riempie di ammirazione per la valorizzazione da una parte delle possibilita aggregative del contenitore dallaltra dellagora antisimmetrica come memoria e come innovativo innesto tra urbano e natura, tra citta storica e orografia costiera, tra la TEXTURE UMANA per frammenti DNA di memoria brasiliana ibridata alle dimensioni attutite e il mescolio di popolo locale a nuove integrazioni miraggi di MOSCHEE AMALFITANE sapori di cucina mediterranea portate dal vento al di la del mare. Ci viene indicato il rapporto tra il puntamento ai venti marini che insistono sul fronte costiero e la possibilita di una viabilita che cucia come una rete a strascico il territorio interno alla conchiglia-auditorium ibrida alla vita di mare e terra, tra spazi sconfinati sudamericani e minimo ambito urbano sud-italiano, tra silenziosa natura selvaggia da antropizzare e natura sociale provinciale da orientare culturalmente ad un futuro di diversita, architettonicamente da poter anche strutturare con
meno convivenza
piu convivialita.
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627
di Marco Mauro
del 06/02/2004
relativo all'articolo
Libera cultura e bastioni oscurantisti
di
Mariopaolo Fadda
Senta Mariopaolo Fadda, il mio rancore quello di ogni studente di Architettura.
Fortunatamente non ho mai disegnato cose oscene come Gregotti (ovviamente lei disposto a tagliarsi la lingua pur di non dire che Gregotti incapace - fra le altre cose - di scrivere), Aulenti e compagni.
Crede che io non riuscir mai a fare strada anche se (purtroppo dir lei) ho la dote di disegnare belle cose (parli con i miei docenti)?
Certo, le rispondo pu essere, la mia media universitaria non vuol dire nulla e il gusto (spesso pessimo dei miei docenti non una buona prova - guardi i progetti di D'Alfonso ad esempio. Le ricordo che andai ad una conferenza due anni fa, con Frampton che avrebbe dovuto discutere di Storia dell'Architettura. Ebbene, D'Alfonso - docente del Politecnico - inizi a parlare riempiendosi la bocca di cose che non aveva capito, e che quindi non sapeva dirci, e non lasci spazio all'altro che guardava divertito lui e le nostre facce sconvolte - Frampton in un'ora parl 5 minuti. Chieda ai testimoni se non mi crede.). Certo il mio futuro dipender anche dal master che frequenter l'anno prossimo e dallo studio dove far i primi passi (o meglio dalla possibilit che mi daranno di poter imparare il mestiere).
Allora, mi chieder, perch nutre cos rancore per Isozaki?
Perch sono incazzato con lo schifo che gira in quest'ambiente. Io da studente non conoscevo il mondo del lavoro. L'ho conosciuto indirettamente la scorsa settimana, quando mi sono accorto che il Concorso Internazionale di Progettazione "Piazze 2001" (IN/ARCH e Regione Lombardia) stato vinto in Piazza Gambara da Vincenza Lima con un progetto TERRIFICANTE.
Lo sa perch ha vinto il progetto pi brutto? Lo sa vero perch c' solo bruttezza? E questo da Lima in s e in gi?
Perch il capogruppo Lima docente del Politecnico di Milano (con Cecchi, altro partecipante al gruppo di progettazione).
Lo sa per che il settimo componente della giuria del Concorso era lo stesso Pierluigi Salvadeo (docente del Politecnico, assistente della Lima dal 1998 al 2001, curatore di un libro edito da Skira che raccoglie anche un saggio a due mani Cecchi-Lima?).
Ora lei pu anche permettersi di dirmi che pronuncio ignobili sciocchezze con cumuli di infantili banalit, eppure sappia che la mia frustrazione non dovuta alla mie (forse innata?) grandi capacit di fare il bello. Ma alla mia sensibilit. E' dovuta alle bruttezze che alcuni architetti continuano a produrre (perch abili ciarlatani e produttori del proprio mito) sanno infinocchiare chi culturalmente ancor meno dotato di loro o chi meno intrallazzato di loro.
Si tenga pure le belle parole e le belle architetture.
Per ritornare a Isozaki, parli bene di lui (e delle sue scatole fuoriscala antinucleari in cemento, a prova di ere geologiche), parli di Le Corb, Gropius, Kahn, Rossi, Hejduk, Eisenman. Si riempia la bocca di concetti.
Ma sono certo (se lei del mestiere)di una cosa: i suoi progetti, caro Fadda, sono terrificanti.
Si rilegga le mie banalit. Non sto scrivendo un trattato sul Modulor, sui frattali. Non sto tentando di ricrivere la storia dell'architettura come han cercato di fare con i loro libri gli incapaci (com'era divertente Wright quando parlava di Le Corbusier agli amici: "Ora che ha finito un'opera, ci scriver su quattro libri.").
Gli emeriti docenti di progettazione (e incapaci) ci fanno leggere "Verso una Architettura".
Ma perch i docenti Storia dell'Arte non ci fanno studiare i suoi quadri?
Perch in Sociologia non studiamo la sua idea di internazionalismo?
Perch forse era un bravo architetto e un pessimo pittore?
No.
Questo succede solo perch in certi campi, dove forse meno sarebbe importante, regna ancora il gusto per il bello.
Poi Fadda, i suoi motti sesantottini (magari lei esce da Architettura proprio in quel periodo di lotta politica, pistolettate nella quale gli studenti si davano i voti fra di loro) se li tenga pure.
Sappia che se ogni persona sensibile che si indigna di fronte allo schifo di molte architetture, deve essere accusata e ritenuta rancorosa e risentita, questo succede perch quelli come lei, han perso la capacit di apprezzare il bello. Vi siete nutriti di schifezze. La bruttezza (e non solo) vi ha corrotto.
Ma lei non pu provar vergogna per quel che fa, perch non si pu render conto delle brutture che si permesso di scrivermi (non mi stupisce...ma non mi ferisce).
Sa cosa disse Gae Aulenti in un'intervista qualche anno dopo la realizzazione della terrificante stazione a Cadorna?
"L'uomo deve imparare a vedere la bellezza".
Si vergognino lei signor Fadda e l'Aulenti
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6/2/2004 - mariopaolo fadda risponde a Marco Mauro
Il suo più che rancore è odio cieco: mette tutti nello stesso calderone, Isozaki, Le Corbusier, Kahn, Rossi,Gehry, Gregotti, Eisenman, Aulenti, gli speculatori, AntiThesi, il sottoscritto, frutta, verdura, cani, porci. Tutti degenerati. Tutti al rogo.
Dovrebbe ricordarci quando io, o AntiThesi, avremmo preso le difese o tenuto bordone a Gregotti, Aulenti e compagnia cantante, truccato i concorsi, o fatto apologia della schifezza universitaria. Dovrebbe ricordarmi in quale occasione avrei lodato il progetto di Isozaki per gli Uffizi (ma sa almeno leggere quello che scrivo?). Dovrebbe spiegare cosa c’entri Le Corbusier con lo sfascio universitario italiano.
Sono domande retoriche che non esigono risposte, non si affretti quindi a servirci qualche altro polpettone bruciacchiato.
Se disprezza l’architettura, detesta gli architetti, le fa schifo l’università perchè frequenta la facoltà di architettura? Spera di poter un giorno partecipare alla spartizione del bottino?
Spera di entrare nelle grazie di uno dei tanti docenti raccomandati e lottizzati sparando a zero su tutto e su tutti? Spera di agganciare la cordata giusta?
Lei è frustato per tutti quei casini che AntiThesi, e, nel suo piccolo anche il sottoscritto, denuciano ogni santo giorno: i baronati universitari, i favoritismi della corporazione, l’ostracismo delle riviste patinate, i concorsi truccati, l’analfabetismo.
Come vede denunciamo le stesse cose che denuncia lei; con una differenza: noi crediamo in qualcosa e per questo ci battiamo, pagandone anche il prezzo quando è necessario, lei non crede in niente e morde, come un cagnolino bastonato, chiunque le venga a portata di mascella. Se qualcuno le dà una randellata, se la tenga e non se la prenda con il mondo infame. Redimere l’architettura e rieducare gli architetti è una missione difficile e pericolosa, non un pranzo di gala.
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622
di Enrico Malatesta
del 03/02/2004
relativo all'articolo
Delitti perfetti e riviste perfettibili
di
Maurizio De Caro
Caro Ferrara,
la ringrazio della precisazione e sono onorato della sua richiesta.
Le scriver volentieri un articolo pi circostanziato,
magari con qualche piccolissima considerazione generale.
Abbia ancora i miei saluti e auguri per il sito, specialmente se si terr lontano dai vizi nazionali.
A presto
Enrico Malatesta
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621
di Falconh Viviana
del 03/02/2004
relativo all'articolo
Errata Corrige
di
Paolo G.L. Ferrara
...non vi sembrer vero ma anche io mi sono sempre chiesta, e me lo sto chiedendo adesso che giunta la necessit di seguire il corso di storia moderna della Bovisa, "ma perch devo studiare la Milano del '400????????''
Avvilita ma rassegnata, non sar la mia opinione a rinnovare i contenuti del corso, volevo solo aggiungermi alle critiche.
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619
di Guidu Antonietti
del 03/02/2004
relativo all'articolo
Dess(e)ins de voyage
di
Ugo Rosa
Les dess(e)ins de voyage de Domenico COGLIANDRO
Breve publie dans aROOTS :
http://www.aroots.org/notebook/breve358.html
mardi 3 fvrier 2004
ITALIE : Vient de paratre
Une collection de figures dans un carnet de Domenico Cogliandro traces sans intentions didactiques. Une faon dvacuer les donnes de la mmoire en les esquissant. Certaines sont dessinables dautres non , elles n existent que dans leur contexte, le croquis soutient leur restitution. Le regard et la main du dessinateur ne dcommandent pas les vnements simples, ils se diluent dans le regard de celui qui les a vus, il les retranscrit en une interprtation imaginaire. Le croquis demeure un outil indispensable la pense de lArchitecte mme laire du numrique .
G.AdC
La Biblioteca del Cenide publie cet ouvrage en italien avec une postface de Ugo Rosa. le titre "Dess(e)ins de voyage", est en franais. Un bien bel hommage italien Villard de Honnecourt.
Parcourir Le CATALOGUE des ditions Biblioteca del Cenide dont Domenico Cogliandro Architecte
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623
di Marco Mauro
del 03/02/2004
relativo all'articolo
Libera cultura e bastioni oscurantisti
di
Mariopaolo Fadda
Cerco di dire la mia.
Prima di aggiungere altro, il fatto che Isozaki abbia vinto un concorso regolare non vuol dire nulla, dal mio sciocco punto di vista. C' bisogno di intervenire agli Uffizi? E soprattutto: quanti hanno partecipato a quel Concorso? A giudicare dal progetto vincitore direi che la qualit dei progetti concorrenti era ancor pi disastrosa.
Possibile che in Italia ci si debba accanire contro i cavilli legislativi, politici, organizzativi e non si debba discutere dell'incapacit degli architetti di oggi di sapersi rapportare alla storia senza presunzione. In quanto a presunzione Isozaki ne dimostra fin troppa: uno - perch ha partecipato ad un concorso inammissibile. due - perch la sua proposta progettuale terribilmente imponente, volgare ed invasiva ed irrispettosa.
Insomma il problema di fondo, prima ancora di parlare di amministrazioni, ordini degli architetti, politica, partiti, WWF e balle varie, e prima ancora di sputtanare le disastrate universit italiane vorrei far notare una cosa. Il gusto.
Abbiamo architetti (in tutto il mondo) che ostentano cultura. Lo accetto. Fa parte del mestiere dell'architetto il dimostrarsi competenti in tutto: computi metrici, statica, particolari costruttivi, leggi, normative (in passato si credevano persino astronomi), suono, clima. In realt non san nulla. Vaneggiano. Leggere Gregotti ad esempio intollerabile ma non propongo il rogo. Gli architetti si impastano la bocca di concetti che non conoscono e di pensieri che non sanno formulare chiaramente. Quando parlano o scrivono si riempiono la bocca di nomi che non conoscono e concetti che credono di sapere. Parlano di materiali come fossero dei chimici o dei geologi. E lo accetto. Parlano di Heidegger, di caos, di Nerone e di frattali. Spiegano ad un ingeniere del suono l'acustica e ad uno scultore la scultura. Gli artisti (e gi qui si potrebbe parlare di arte e architettura - ammesso che l'architettura sia un'arte) sono alteri. E diciamo che dobbiamo tollerarli per questa loro faccia della medaglia.
Ma cosa conta nell'architettura? L'altra faccia. Conta il loro sapersi confondere le idee, il loro discutere di materie che non gli competono, o l'edificare per l'uomo?
L'architettura fatta per gli uomini e questo il punto fondamentale.
E cio che da quando gente come Le Corbusier (uno dei tanti preso a caso dalla storia) entrata nelle facolt di architettura, si persa la dimensione vera del fare architettura.
Ideologie. Utopie. Ma peggio ancora: teorie. E l'architettura? Sostenete la balla che l'architettura deve essere teoria, utopia ecc.ecc.? Ma per favore!
Paradossalmente (ma non troppo perch a dimostrarlo sono le loro facce immortalate nelle fotografie, il loro vestire eccentrico, o il loro vestirsi di nero per imitare Michelangelo ad esempio - ditemi se non si credono degli dei in terra tutti i pi conosciuti architetti) l'architetto costruisce solo per se stesso, anche quando con raggiri tenta di spiegarci che in realt disegna per l'uomo.
L'architetto di oggi cerca solo la gloria. L'eternit. E anche l'effimero diventa solo una questione teorica mai praticata. Una giustificazione all'insignificante.
Ecco insomma che l'architetto con la sua vanagloria si inserisce con presunzione (quasi sempre) in contesti storici, sulla citt, piegandola e ridisegnandola da 10000 metri con riga e squadra. Questa strada giusta questa no. E questo a tutte le scale. Sempre dall'alto.
VERGOGNA!
Allora c' da vergognarsi. Gi perch qualsiasi architettura moderna (il 90% delle opere che troviamo pubblicate sulle costosissime rivista di architettura) sono terrificanti. E il terrificante in architettura il bello vuoto. Scatole inabitabili. Parchi che sembrano percorsi di guerra accidentati. Palazzi che sembrano dei surgelatori. Musei che sembrano dire: la tela ha bisogno di una parete piana per esporre? Allora io la piego e ti metto un soffitto inclinato con degli spigoli in modo che tu possa sentirti male quando cammini dentro il museo. Avete mai provato a camminare dentro un edificio di Eisenman? Ci si sente male! (balle se mi parlate dello scultore Ghery come di un architetto - e balle se mi dite che l'operazione provocatoria di Wright possa avere ancora senso continuando ossessivamente a proporre musei che sono essi stessi opere). E cosa dire dei giapponesi? Disegni pulitissimi, superfici e materiali fantastici. Incantevole ooesia. E poi? Poi scopro che abito in un cubo di cemento armato a vista e vetro senza un posto dove io possa riporre un libro senza sentirmi fuori luogo e senza turbare l'armonia interna dello spazio.
E' questo il problema.
Prima di criticare gli storici o i politici, riflettiamo sul gusto.
Il gusto della gente dei giorni nostri nasce e si modifica con la pubblicit o con le riviste. Ma muore con l'esperienza del quotidiano. Si spegne nelle case degli architetti di oggi che vogliono gli interni mov
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3/2/2004 - Mariopaolo Fadda risponde a Marco Mauro
Marco Mauro,
AntiTHesi - giornale di critica dell’architettura - le consente di dire la sua. Anche se lei ha ben poco da dire. Anzi direi che non ha proprio nulla da dire, se non esibire un devastante (per lei) sfogo dettato da frustrazione, rancore, impotenza. E infarcito di insulti gratuiti.
Se Isozaki è presuntuoso lei cosa sarebbe? (Mi scuso con Isozaki per l’inqualificabile accostamento)
Se noi (io) sosteniamo (tutta da verificare) “la balla che l'architettura deve essere teoria, utopia ecc.ecc.”, lei cosa sostiene se non cumuli di infantili banalità (“L'architettura è fatta per gli uomini), slogans da stadio (“Viva l'arco. Viva le colonne nelle villette, gli gnomi nel giardino e le cucine di una volta.”) e ignobili sciocchezze (“Gli architetti si impastano la bocca di concetti che non conoscono e di pensieri che non sanno formulare chiaramente.”)?
Mi fermo qui perchè il resto è un crescendo di repellente demagogia (“L'architetto di oggi cerca solo la gloria. L'eternità.” “Parlino alla gente! Allora, quando un operaio, come una cassiera o un politico, tornando a casa si sentiranno a proprio agio, nel bello, vorrà dire che l'architetto ha capito il suo mestiere.”) che non merita repliche.
Diceva uno slogan del ‘68 francese “Fai la somma dei tuoi rancori e vergognati”.
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624
di Andrea Pacciani
del 03/02/2004
relativo all'articolo
Tradizionalismo a Parma
di
Sandro Lazier
Gentile Sandro Lazier
La ringrazio per la consueta disponibilit con cui accoglie i miei interventi da dirimpettaio (mi piace il termine, fa molto cultura dellabitare tradizionale; probabilmente si estinguer presto perch gli edifici dei nuovi sperimentalisti non possiedono i concetti quali il vicinato, il rapporto con chi abita di fronte).
Questo convegno al quale sto collaborando nellorganizzazione a mia saputa uno dei pochi che si occupa di architettura tradizionale che non va confusa con i soliti e noti teoremi del modernismo costruttivo a cui pi giusto accumunare il 90 percento delle costruzioni comprese villette e palazzotti e proprio questo distinguo spero venga fuori dal convegno.
La lista degli invitati lunga e solo alcuni parteciperanno come oratori, gli altri con interventi scritti a corredo degli atti del convegno. Io personalmente mi sono autoescluso dalla lista degli oratori per far spazio ad altri. Ogni sessione avr comunque un dibattito in cui le ragioni del modernariato (forse un termine che bisognerebbe introdurre anche in architettura) e un minimo di contestazione sar garantito, anche perch gi tra gli invitati c disparit di vedute, vedi Rizzi biografo di Heisenmann e De Poli di riferimento alle riviste Area e Materia che tradizionali propri non sono; sono daccodo con lei che non ci sono nomi di posizioni totalmente opposte ma il rischio uno sterile e poco costruttivo rimanere sulle proprie idee troppo distanti.
Sarei ovviamente onorato della presenza costruttiva del suo sano antagonismo in uno di questi dibattiti a fine sessione.
Aggiungo alcune riflessioni sui suoi concetti:
1) Il localismo, o meglio il regionalismo a mio avviso la vera risorsa dellarchitettura che la modernit ha cercato di cancellare.marcare la propria differenza rispetto al resto del mondo unatteggiamento tuttaltro che tradizionale, semmai degli egoismi delle avanguardie e degli sperimentalismi per trovare una propria dignit dessere.
In un periodo storico come questo in cui si combattono i pericoli della globalizzazione si impone unarchitettura simile in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, imponendo modi di vivere a chi li deve abitare; un vizio dellInternational Style che duro a morire (Gi ho parlato in questo sito come il vecchio saggio che ha dato il la al decostruttivismo lo stesso Philip Johnson.)
2) Larchitettura tradizionale non ha bisogno di misure fisse, tali da formare base oggettiva di un qualsiasi pensiero derivato basti pensare al disegno degli ordini classici nella storia della teoria dellarchitettura: non ce ne uno uguale allaltro, cambia per ogni periodo storico e per ogni regione se non da architetto ad architetto (erano anche loro quasi sperimentalisti!).
3) Lindividuo che rivendica la propria diversit tale appunto se diverso da qualcosa che altro, convenzionale, banale, tradizionale; il tutto diverso da tutto non credo generi una citt ma solo urla in un coro di urla dal quale non riescono nemmeno ad uscire e allora s diventano omologazione forzata che sopprime le individualit. La gara per costruire meglio le citt non a chi grida pi forte o inventandosi una voce nuova
4)litalianit, il regionalismo, la tipologia, dal mio punto di vista hanno a che fare con la democrazia e la libert, tanto quanto la architettura moderna e la storia lo insegna. Non nascodiamoci dietro un legame tra politica e architettura perch non esiste.
Federico Fellini sosteneva: Siate regionali, sarete universali!
Andrea Pacciani
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620
di enrico malatesta
del 03/02/2004
relativo all'articolo
Delitti perfetti e riviste perfettibili
di
Maurizio De Caro
Caro Ferrara,
a questo punto temo sia proprio impossibile intendersi, ma
provo ad esprimermi ancora pi chiaramente: il progetto Solid Sea
non un progetto qualsiasi, ma il cavallo di battaglia (o di Troia) con
cui Boeri cerca di inserirsi nel circuito dell'arte contemporanea.
Poich il progetto, vecchio di due anni, non riscuote molto successo mediatico, Boeri se lo pubblica da solo su Domus. Chiaro?
Quanto poi al paragone con Pagano e Casabella semplicemente
fuori luogo. Boeri sta a Pagano come Franco Franchi sta a William Shakespeare.
Comunque la prego di considerare chiusa questa querelle, evidentemente qualche germe del berlusconpensiero in merito al conflitto di interessi deve aver contagiato anche Antithesi.
Pazienza, rimane pur sempre il pi lucido Prestinenza, che almeno
non chiosa ogni lettera che pubblica.
Cordiali saluti e auguri,
Enrico Malatesta
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3/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a enrico malatesta
Ha ragione: non ci si intende. La invito a scrivere direttamente a Boeri.
AntiTHeSi malata di berlusconismo? Oddio, questa è davvero la più grossa cantonata che Lei potesse prendere. Niente da aggiungere, se non che La invito a scrivere un articolo per antiTHeSi in cui, con il giusto peso critico, possa smontare il Domus/Boeri, evidenziandone le lacune che vi ha rintracciato. Aspetto con piacere.
Cordialità
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618
di Pierluigi Di Baccio
del 02/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Premesso che anche io, come Botta, ho seguito la vicenda un po' distrattamente...tuttavia mi sento di condividere pienamente le sue considerazioni. Anzi, anche ascoltando la trasmissione di Ambiente Italia di due settimane f, avevo la netta impressione che non si volesse cogliere il nocciolo della questione, che esattamente quello esposto da Botta. L'episodio dell'auditorium a Ravello tuttaltro che edificante dal punto di vista del rispetto delle regole, e non tanto di quelle paesaggistico-urbanistiche, ma proprio di quelle riguardanti la democraticit e trasparenza delle procedure di affidamento degli incarichi di progettazione!
Non sto qui a riassumere i termini della questione, chi non li conoscesse vada a leggersi i gi citati commenti di Botta (n. 602 e 612): tuttavia mi preme sottolineare il fastidio da me provato nel vedere la levata di scudi che sulle pagine di Antithesi si sviluppata a difesa di questo progetto. E' come se pur di cavalcare la questione ai fini della pluriennale (e meritoria) battaglia a favore dell'architettura contemporanea in Italia, illustri commentatori avessero deciso di oscurare, censurare un aspetto fondamentale della questione finendo per contraddire se stessi, visto l'impegno profuso invece in altre occasioni a favore dell'estensione a 360 gradi della procedura concorsuale nell'affidamento di opere d'architettura!
Mi sembrato che pur di aprire la gazzarra al presunto COMPLOTTO burocratico-passatista-antimoderno che qualcuno vede come un fantasma aggirarsi ovunque, ci si sia turati il naso nascondendosi dietro un dito, ovvero il nome illustre del povero Niemeyer che in tutta questa storia mi pare la vittima, visto il livello indecente di strumentalizzazione che della sua figura si fatto.
Qui non si trattava affatto di difendere l'architettura di un Maestro dalla grinfie della buracrazia immobilista o delle tanto vituperate associazioni ambientaliste, semplicemente si trattava di censurare un modo un po' disinvolto di amministrare la cosa pubblica che colpevolmente ha strumentalizzato valori importantissimi come quelli legati alla promozione del moderno in italia, sporcandone cos l'immagine e la legittimit per il futuro! Non pretendendo di violare le norme o di aggirarle elegantemente con palese strafottenza che perverremo mai a fare di questa Italia un paese degno. Mi spiace soprattutto che stimabili persone, anche su questa webzine, si siano fatte accecare dallo spirito di rivalsa culturale arrivando a ridurre tutta la questione a una gara fra Noi e Loro. Non so se a qualcuno interesser, ma assai poco mi piaciuto leggere frasi di questo tipo: "Personalmente, mi del tutto indifferente che il progetto sia di Niemeyer, o di Meier, o di Tschumi, o di Gehry, o di Nouvel, o di Piano, etc. Importante che non sia di Grassi, Gregotti, Aulenti, Bofill, Purini, Krier, Zermani, etc."
Io a questo gioco dei buoni e dei cattivi sinceramente non ci sto, lo trovo infantile. Dibattiamo sul merito, per favore!
Tutti i commenti di Pierluigi Di Baccio
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2/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Pierluigi Di Baccio
Dice Lei: "...COMPLOTTO burocratico-passatista-antimoderno che qualcuno vede come un fantasma aggirarsi ovunque...". Aggiungo io: magari fosse un fantasma; ha letto l'articolo di Lazier "Tradizionalismo a Parma"?
L'Italia soffre di tradizionalismo: che vengano uno, dieci, cento Terragni del Novocomum. A proposito, per quanto concerne "entrare nel merito delle cose", antiTHeSi è un filo rosso. Se rileggesse tanti altri articoli, se ne accorgerebbe.
Cordialità
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617
di Beniamino Rocca
del 02/02/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Per fatti come Ravello una cosa certa: la polemica non va fatta sulla
non conformit del progetto, e dell'incarico, alle leggi esistenti (da sempre, in Italia, aggirate dai pi furbi, cio i meglio inseriti nell'apparato politico-amministrativo).
Questa, invece, un'occasione formidabile per denunciare il ruolo deleterio (per l'architettura e, quindi, per il paesaggio) della legge Merloni e degli ordini professionali degli architetti, come i fatti riportati da E.G. Botta testimoniano. Ecco un tema che vorrei vedere posto con forza ed onest intellettuale sulle riviste d'architettura. Domus in testa magari, visto che, pur tra le palesi debolezze deontologiche gi evidenziate da Enrico Malatesta, sembra voler fare dell'impegno civile una sua nuova specificit.
C' poco da fare, la battaglia culturale, il clamore che il progetto Niemeyer ha sollevato va indirizzato contro la sciagurata legge Merloni, gli ordini professionali, l'apparato burocratico-amministrativo, le associazioni ambientaliste, i concorsi d'architettura truccati (e lo saranno fin quando non saranno finalmente palesi e con dibattito pubblico delle giurie), e gli intellettuali di sinistra che, potendolo, non hanno il coraggio di difendere la libert dell'individuo e la creativit, dunque, l'architettura come epressione di vera civilt.
Tutti i commenti di Beniamino Rocca
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614
di Paolo G.L. Ferrara
del 01/02/2004
relativo all'articolo
Delitti perfetti e riviste perfettibili
di
Maurizio De Caro
In risposta al commento di E.Malatesta
Intervengo per esprimere due pensierini sulle Sue opinioni, sicuro che De Caro replicher da par suo.
Se De Caro scriver per Domus non lo so e, mi creda, sar un onore o un problema suo, a secondo dei punti di vista.
Neanche noi sapevamo come si facesse una rivista (seppure on line) ma con pazienza, errori, lavoro, siamo riusciti a fare qualcosa di cui neanche noi ci aspettavamo certi risultati. Ma siamo soggetti a miglioramenti, indubbio. Dunque, non sarebbe il caso di aspettare altri tre, quattro numeri per potere davvero dire che linea abbia preso Domus?
Un italiano partecipa al concorso per la Fiera di Milano? Evviva!l'importante che non siano i soliti Gregotti, Aulenti, etc. No, perch qui dobbiamo deciderci: quando non chiamano alcun italiano ci lamentiamo dell'invasione straniera; quando lo chiamano, e di nuova generazione,....ci lamentiamo lo stesso!
Gino Valle: cos come Lei ha il sacrosanto diritto di espriemre le personali opinioni, anche D'Angelo lo pu fare, cos come Cino Zucchi (e le garantisco che non che mi faccia impazzire). Di "cadaveri" piena la cultura architettonica, ma quelli peggiori sono ancora vivi...E' molto banale la Sua affermazione sulla rivista-necrologio, e credo basti dire questo.
Su Berlusconi e il carro dei vincitori: non conosco n l'uno n l'altro. Tiro la mia carretta, e mi basta.
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616
di Carlo Sarno
del 01/02/2004
relativo all'articolo
Libera cultura e bastioni oscurantisti
di
Mariopaolo Fadda
Semplicemente amore , pi amore per l'architettura e per l'umanit. Viviamo in un mondo che sta dimenticando il vero amore . Basta leggere le riviste di architetturra, i libri di architettura, ascoltare i convegni di architettura, le commissioni di piano, ascoltare gli architetti e gli urbanisti di oggi, ... per capire che hanno dimenticato la parola " amore ", che hanno tolto dal loro linguaggio architettonico l'amore .
Caro Mariopaolo, parlo qui di un amore radicale, alla maniera di Ges Cristo, un amore fino alla morte per la libert del prossimo, un amore senza compromessi, che non vacilla, che difende la libert e la giustizia dell'abitare democratico e creativo.
E' prima nel cuore degli architetti e degli urbanisti che deve avvenire la liberalizzazione, occorre prima purificare i nostri cori ed abituarli alla verit. Solo allora l'oscurantismo sar debellato alla radice .
Mi viene in mente il meraviglioso libro di Pavel Nikolajevic Evdokimov sull'arte dell'icona intitolato: Teologia della Bellezza. L si dice chiaramente che nessuno potr diventare un vero iconografo se prima non avr reso bella, libera e vera la sua coscienza di artista. Riconquistiamo la luce dentro di noi e saremo luce anche per gli altri, in questo caso nell'ambito dell'urbatettura intesa zevianamente.
Impariamo di nuovo ad amare se vogliamo veramente creare una civilt dell'amore e della solidariet.
Cordialmente, Carlo.
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615
di Enrico Malatesta
del 01/02/2004
relativo all'articolo
Delitti perfetti e riviste perfettibili
di
Maurizio De Caro
Caro Ferrara,
rispondo a lei, se non le dispiace, in quanto presumo che il suo sito rappresenti un luogo di mediazione o - per usare un termine pi circense - di "arena " dove si confrontano le diverse opinioni.
Noto che sia lei che De Caro glissate elegantemente sulla questione del "conflitto d'interessi" di Boeri - che prima si pubblica il suo progetto "Solid Sea" poi, socio in affari di Koolhaas con cui lavora ad altri progetti molto importanti, gli lancia un bouquet di roselline con un simpatico fumetto, tutto nello stesso infausto numero di Domus.
Invece io (e forse altre due o tre persone in Italia) continuo a credere che a un direttore di riviste si addica una certa obiettivit, o almeno il rispetto delle regola per cui non si pubblicano i progetti propri (o dei propri soci) sulle riviste che si dirigono. Quando Bellini cominci a farlo, un po' troppo, la cosa non piacque affatto all'Editore di Domus, che lo sostitu abbastanza velocemente con il noioso, ma almeno corretto, Vittorio Magnago Lampugnani.
Boeri sar forse, come crede De Caro, il nuovo Messia dell'Architettura, e le masse adoranti si strapperanno dalle mani ogni mese la rivista che temporaneamente dirige: ma sicuramente (da come si comportato alla sua prima uscita) anche l'ultimo arrivato di una lunga sequenza di furbi che usano i media - che posseggono o che diriigono - per l'interesse personale loro e dei loro amici. Niente di nuovo, dunque,
altro che "coraggio di mettere in discussione".
Continuo a pensare che con questa direzione Domus cadr in un triste oblio, da cui forse la risolleveranno ogni tanto gli uffici di pubbliche relazioni: materia di cui peraltro Boeri un vero esperto.
Cari saluti
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1/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Enrico Malatesta
Mi perdoni, ma davvero non capisco la questione del conflitto d'interessi.
O, per meglio dire, a me non interessa come Boeri gestir Domus, ma il prodotto che ci dar. Pensiamo un p all'ostracismo che Pagano fece a Terragni su "La Casa bella". Condanniamo Pagano perch in quella fase assoluto "piacentiniano"? buttiamo nel cesso tutto quello che ha rappresentato?
Ora, Boeri pubblica su Domus quella che ritiene essere una ricerca importante (Solid sea) e noi lettori possiamo dargli meriti o criticarlo, ma non possiamo affermare che sia solo questione d'interessi.
Ripeto: comprer i prossimi numeri di Domus e, se lo riterr opportuno e giustificato, sapr essere critico, o meglio, continuare ad esserlo, perch il mio articolo tale voleva essere, e non certamente improntato alla gioia esultante che pu provocare l'arrivo di un Messia...anzi.
La saluto cordialmente
PS. Su Bellini: credo che De Caro potr risponderLe meglio, visto che ci lavora fianco a fianco.
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612
di enricogbotta
del 31/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Cara Arianna,
la questione della procedura seguita nel caso di Ravello molto importante perch ha dimostrato una cosa che i meno ingenui di noi gi sapevano da molto tempo: che le leggi possono essere aggirate.
A Ravello hanno fatto i disinvolti per molti motivi, il primo evidentemente il principio "padroni a casa nostra", a dispetto di tutto e di tutti.
La legge 109, che giustamente citi, stata bypassata con una tale disinvoltura ed eleganza che lasciano attoniti: Niemeyer "regala" al comune il modellino e qualche schizzo, passati sotto le mentite spoglie di "opere d'arte", quindi non si tratta di un progetto di architettura (e la 109 con le "opere d'arte" non ha nulla a che fare), dopo di che il progetto definitivo viene firmato formalmente dall'architetto dell'ufficio tecnico di Ravello, Arch: Rosa Zeccato. Due piccioni con una fava: in giro si dice che il progetto di Niemeyer per gli ovvii motivi di pubblicit, ma nella forma la firma l'ha messa l'arch. Zeccato. Ora, se io fossi l'Ordine un po' mi agiterei, e invece...
Come afferma il sindaco di Ravello, Secondo Amalfitano: "A Niemeyer stata affidata una consulenza per la parte architettonica, al di sotto della cosiddetta soglia Merloni, per un importo di 95.000 euro. Si proceder poi con il sistema dellappalto integrato, previo bando europeo, allaffidamento della progettazione esecutiva e dei lavori".
Resta da chiarire come faranno a tenere fede alla clausola imposta da Niemeyer di essere incaricato della direzione dei lavori (il suo studio, non lui, visto che lui non prende l'aereo e che quindi a Ravello non c' mai stato n mai ci metter piede).
L'obiezione sollevata da ItaliaNostra, per chi abbia letto il testo del ricorso, non fa una piega visto che le violazioni alle regole, nel senso pi ampio del termine, operate in questo caso sono palesi e numerose.
A me, tra l'altro, piacerebbe che qualche valoroso critico si azzardasse in una critica del progetto in se stesso, ma pare che tutti abbiano tirato i remi in barca su questa questione. Il sindaco di Ravello addirittura definisce Niemeyer il pi grande architetto vivente, peccato che lo dica qualunque committente del proprio architetto di fiducia.
L'opera di Niemeyer in Italia c' gi, la Mondadori e risale al 1968. Nel frattempo, come si detto, di acqua sotto i ponti ne corsa, e forse un pezzo di architettura modernespressionista anni '50 a posteriori ce la potremmo risparmiare. Ma come insegnano gli antichi, de gustibus...
sulla vicenda segnalo il sito di Edoardo Salzano, ricchissimo di documenti e links: www.eddyburg.it
per chi avesse mancato la trasmissione di sabato scorso di Ambiente Italia dedicata alla vicenda dell'auditorium:
http://www.ambienteitalia.rai.it
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610
di enrico malatesta
del 30/01/2004
relativo all'articolo
Delitti perfetti e riviste perfettibili
di
Maurizio De Caro
Cara Antithesi,
ho piacere che il mio intervento abbia contribuito a smuovere un po' il clima stagnante e melenso creato da interventi/sviolinata come quelli di De Caro, che suppongo presto scriver per Domus, visto che di fatto si candida come miglior corifeo di Boeri: che forse si meriterebbe di meglio che le sviolinate, dato che nessuno ha mai detto che non sia preparato e competente in materia di problematiche urbanistiche (soprattutto le pi trendy ) e che le sue posizioni non meritino considerazione.
Nessuno contesta a Boeri stesso il dirtitto di esprimere certe sue idee.
Il problema da una parte di ordine professionale (non sa fare riviste, e si vede) e dall'altro di ordine squisitamente etico e deontologico.
E' giusto che un direttore piazzi nel primo numero - o anche negli altri - della rivista che dirige un proprio lavoro (Solid Sea), con tanto di strillo in copertina? Direi proprio di no.
E le informazioni sulle tante connection di Boeri non sono gossip, sono informazioni che circolano liberamente, basta volerle leggere. E' un dato di fatto che nessun altro architetto italiano sotto i cinquanta anni parteciper al concorso per la riurbanizzazione dell'area storica della Fiera di Milano.
Per il Signor D'Angelo, ritengo che Valle sia stato un architetto che ha solo fatto bene il suo lavoro - come ce ne sono stati tanti in Italia - semplicemente con un ego un po' pi forte.
E due morti , per quanto importanti (Valle e Price), in un solo numero fanno pagine dei necrologi, non rivista d'innovazione.
Inoltre, non vedo in giro questo gran pieno di riviste "alla Sudjic".
C'era Domus, direi che ora non ce ne sono altre. E un po' di rispetto, se non nostalgia, per un architetto che ha realizzato tra l'altro una Biennale di Architettura molto importante (anche per gli interessi di categoria) non guasterebbe.
Ma non mi stupisco, gli italiani hanno la memoria cortissima e lo sport nazionale rimane saltare sul carro del vincitore del momento. In un paese che ha eletto e tiene in vita con l'ossigeno il cadavere politico di Berlusconi - in attesa di un nuovo padrone, magari di sinistra - cos'altro aspettarsi?
Ugualmente per, ogni italiano - o straniero - anche libero di comprare e leggere la rivista che pi gli piace. Io Domus non la comprer pi, e penso che molti altri faranno altrettanto.
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30/1/2004 - Maurizio De Caro risponde a enrico malatesta
E' proprio cos :voglio essere il corifeo di Boeri,caro Malatesta perch tra chi sceglie di agire e di rischiare abbandonando tendenze alla Sudjc (Dio, Berlusconi o l'Ulivo ci liberino da Biennali e/o riviste d'avanspettacolo) ferme al "madamina il catalogo questo" preferisco la strada, il mare, le tempeste e qualcosa che manca alla critica italiana: il piacere del rischio e il godimento del complimento leale.
Sono l'ascaro di Boeri? Forse perch sono stufo delle analisi tristemente complicate che vogliono divenire complesse, e quella Domus (che Lei, e si limiti a parlare nella certezza del singolare, non comprer pi) ha il coraggio di mettere in discussione come in uno psicodramma collettivo perfino quelle dell'olandese volante. Domus adesso, e basta.
Questo non pu essere per tutti. Non scrivero per Domus ma non voglio togliermi l'abitudine di giudicare e scrivere positivamente (lontanissimo dalla piaggeria) e non mi capita spesso, per questo, comprer il prossimo numero di Domus.
cordialmente
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611
di arianna sdei
del 30/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Quello che dice EnricogBotta sullassegnazione dellincarico in parte vero, unamministrazione pubblica ha il dovere di valutare prioritariamente la possibilit di esperire un concorso di progettazione nel caso di opere di rilevanza architettonica o ambientale, questo stabilito dalla legge 109.
Questo il caso tipico, e di certo le cose non sono andate cos.
Tuttavia non ho abbastanza elementi per valutare la legittimit del procedimento dellauditorium e comunque non spetta a me.
Non credo che siano inutili prese di posizione quelle dei pro e dei contro perch arrivati a questo punto cos avanzato del procedimento le scelte sono due: o si realizza il progetto o non si realizza.
E qui dunque che entra in gioco la sua qualit, questa decisione in questo momento andrebbe presa tenendo conto della qualit del progetto e non di fatti burocratici o economici.
Niemeyer un architetto che ha fatto la storia del secolo scorso, sarebbe bellissimo avere una sua opera nel nostro paese. Spero che su questo non ci siano dubbi.
Arianna Sdei
Tutti i commenti di arianna sdei
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609
di Gianluigi d'Angelo
del 29/01/2004
relativo all'articolo
Domus 866: il Solid sea e la Solid architecture
di
Paolo G.L. Ferrara
Cari amici di antithesi, in questo angolo di rete si sta parlando molto, forse troppo, di questo nuovo Domus. Si fa critica della critica e questo pu essere costruttivo fino a quando non si perdono gli obiettivi da cui si partiti. Mi dispiace leggere certe affermazioni che si basano sul giudizio personale. Gino Valle pu piacere o no, ma questo rimane all'interno di una soggettivit che non va oltre la necessit di dedicare ad un architetto che fa parte della storia dell'architettura italiana degli ultimi cinquant'anni la minima e necessaria memoria. Gino Valle morto lontano dai riflettori, in silenzio. Anche al suo funerale si sono sentite molte assenze. Credo che Boeri abbia fatto bene a inserire l'articolo di Cino Zucchi. Al di la dei giudizi, per un "dovere di cronoca" negato dal resto del mondo editoriale. A parte questo e altre affermazioni di questo tipo, a prescindere se ci piaccia o meno la linea editoriale di Boeri, quello che possiamo criticare se all'interno di questa linea editoriale ci siano delle contraddizioni o delle lacune. Si pu essere d'accordo che la tragedia di porto palo lontana dall'architettura, se la si estrapola dal contesto questa potrebbe essere l'impressione, se invece la mettamo in relazione con la ricerca "solid sea" allora la tragedia assume un significato diverso. E' il contesto in cui leggiamo l'articolo,che gli da significato, evidentemente Boeri parte dal microcosmo di una realt per tracciare un macrocosmo di un continente e definirne la geografia. Domus di Boeri domostra che si pu fare contenuto anche con le immagini, quando queste non sono semplice illustrazione ma mezzo attraverso il quale leggere la realt contemporanea. Eviterei di fare retoriche classificazioni come "rivista teorica", affermazioni da gossip o confronti di sapore calcistico tra domus e architectural record. La rinnovata linea editoriale di Boeri credo metta domus fuori competizione con le altre riviste, insomma se piacciono le riviste alla Sudjic le edicole sono piene e non vedo il motivo per il quale anche domus dovrebbe continuare su questa linea. E che ben vengano per l'architettura italiana pubblicazioni sulle riviste americane di giovani studi come Labics di Roma.
Chiudo segnalandovi la mia lettura-recensione di Domus su channelbeta:
http://www.b-e-t-a.net/~channelb/speciale/021domus/index.html
un saluto gianluigi
Tutti i commenti di Gianluigi d'Angelo
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608
di Alberto Alessi
del 28/01/2004
relativo all'articolo
Domus 866: il Solid sea e la Solid architecture
di
Paolo G.L. Ferrara
Caro Ferrara,
sono anch'io un lettore di Domus, ho da poco ricevuto la "nuova" rivista e la trovo francamente sconcertante.
Non perch Boeri - che non avevo mai sentito nominare prima - non possa essere un direttore come un altro qualunque architetto, come lei giustamente fa notare nella sua risposta al lettore Malatesta: ma perch mi sembra che da Domus ci si potesse aspettare qualcosa di molto, ma molto di pi innovativo.
Questa mi sembra una via di mezzo, un "vorrei ma non posso", un miscuglio di vecchie Domus e di un po' di Abitare: e anche un po' di Casabella.
Se Domus deve -o vuole- invece diventare seriamente una rivista teorica, perch non manifestarlo esplicitamente?
Poche immagini, molti testi -ma allora di vero approfondimento (non osservazioni agiografiche come quelle di Cino Zucchi su un architetto molto discutibile come Gino Valle, neanche fosse stato Frank Lloyd Wright )- e soprattutto meno ammiccamenti alla cronaca da quotidiano, come con quel paradossale e, mi permetta la parola un po' forte, cinico servizio sui poveri emigranti annegati davanti a Porto Palo.
Cosa c'entra con l'architettura la necessit di acciuffare e farla pagare a chi specula sull'orribile miseria che costringe tanti disperati a lasciare il proprio paese?
Non intervengo poi in merito alla questione della deontologia, ma certo se Boeri pensa di fare una rivista soprattutto con e per le sue conoscenze (i suoi clienti?) che, da quanto scrive Malatesta, sembrerebbero davvero molte e molto influenti, come potr avere il coraggio di fare vere critiche
E se Domus diventa una rivista teorica, chi ci far allora vedere bene l'architettura che si fa nel mondo?
Non vorrei essere al posto di Boeri, parafrasando non so pi chi, mi verrebbe da dire che "Domus troppo importante per farla fare a un architetto". Il precedente direttore Sudjic lo era solo per titolo di studio e ha fatto una rivista che per rimane ancora validissima.
La ringrazio dell'attenzione e continuer a leggerLa, la sua franchezza e il suo equilibrio mi sembrano segno di una coerenza assolutamente rara nelle riviste e nei siti Internet, non solo d'architettura.
Cordiali saluti,
Alberto Alessi
PS
Tengo a precisare di non essere parente - neanche alla lontana -
di un ben pi famoso Alessi.
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607
di Paolo Marzano
del 26/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
Lasciamo cadere il discorso perch noto che il dialogo dopo due interventi arriva, non so' perch, ai giudizi sommari fino alle offese facili come se fosse una tecnica strategica per imporre condizioni costumi e modi d'uso terminologico che non lasciano alternativa, la rete fa' questo effetto, evidenzia a livello comportamentale un alterazione veloce dei colloqui che entrano facilmente in conflitto.
Mi sembra veramente un atteggiamento facile facile e molto comune; troppo comune...mah!
Comunque, l'argomento iniziale erano le opere di Gehry ?
Bene cara lei, forse non mi sono spiegato (per il linguaggio della rete invece suonerebbe: 'non ha capito') che questi, un grande architetto, ma con le sue colate di titanio non pu rivestire il mondo intero, come la sua Gehry tecnologia prevede, vero ci ha insegnato la libert espressiva che si pu raggiungere con quella tecnica (scultorea, tutto dire!), ma fino a quando durer come metodologia d'intervento? Non Le dico cosa diceva Wright a proposito perch Lei lo sa' gi, sul fatto che ogni luogo pretende un'architettura diversa perch esistono relazioni diverse nello spazio e nel luogo in questione; altrimenti, detto in poche parole, l'architetto a cosa serve . Non crede?
A parte le battute, pendo che lo spazio architettonico sia un'altra cosa; magari un pochino pi complessa e stimolante, d'altronde tanti altri grandi dell'architettura si sono evoluti e si stanno ancora evolvendo mostrandoci opere di qualit estrema. Ora tocca a Ghery , lo stiamo aspettando siamo curiosissimi di vedere le sue lineee che assumono un profilo diverso o uno scatto nuovo.
tutto qui!
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26/1/2004 - Sandro Lazier risponde a Paolo Marzano
Accomunare Gehry solo alle colate di titanio mi sembra un po' troppo riduttivo. Mi sembra una lettura piatta, poco plastica, che non coglie la sostanza ma si ferma alla forma.
Ma per chiarire il messaggio ottimamente ha fatto Vilma Torselli nel suo articolo Gehry, Oldenburg e l'archiscultura al quale rimando.
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605
di Irma Cipriano
del 25/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
In risposta a Paolo Marzano
Cosa voglia dire ragionare di riflesso questo me lo si dovrebbe proprio spiegare perch non lho capito. Forse uno ragiona di riflesso quando legge qualcosa che non lo convince e ne fa una critica...mahCercher sul vocabolario!
Quello che indubbio che non ho MAI dato dellincompetente a Dal Co e che il mio articolo era improntato su un certo modo di fare critica , e non ho MAI voluto dare lezioni a nessuno. E ben me ne guardo, soprattutto verso chi ha pi cultura ed esperienza di me.
Ma vedo che purtroppo o per fortuna? pochi hanno capito il senso delle mie parole, anche se mi sembrava di essere stata abbastanza chiara.
Certo che i miei occhi si incrociano quando leggo che non si pu fare una critica al modo di scrivere di qualcuno senza aver scritto prima come minimo unenciclopedia sul tema. Se come ripicca vuole che anche io scriva un articolo sullopera di Gehry, mettendo le mie metafore del cuore, cos che lei e altri come lei possano sottolinearle e criticarle per il gusto piccino di farlo.
Mi spiace ma questi giochi meschini mi irritano parecchio e preferisco divertirmi con altri .
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604
di Paolo Marzano
del 25/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
Benissimo sono pienamente d'accordo con Lei, era una delle risposte prevedibili come la mia definizione di 'METAFORA', ma c' una differenza Dal Co ha scritto l'articolo su Casabella e tuti lo abbiamo letto (anche grazie a Lei che ci ha interessato), ora, per sulla stessa opera scriva qualcosa Lei , perch si possa leggere tutti appuntare, le metafore che non riusciamo proprio a vedere 'conness' con le deverse interpretazioni.
Questo vuol dire essere sul piano di chiunque e criticare anche propositivamente. senza difendere nessuno, di critica infertile ne siamo pieni, soprattutto in rete.
Dica la sua, ci dia una forma di 'controparte' senza parlare di 'interiora' , di 'putrefazione' ecc... si esponga. Non ragioni di riflesso, inizi una sua ridiscussione dell'articolo e la staremo a leggere, accogliendo certamente i suoi, sicuramente utili, punti di vista
Come fa Dal Co, d'altronde questo fa la differenza tra la ricerca di un storico e il 'normale' colloquio universitario. Non riconoscendo questo, allora non esistono pi regole, leggi, norme di comportamneto linguistico, lezioni, esempi, ecc....ecc...ecc...
Attendiamo una sua dimostrazione di come vanno analizzate ed evidenziate le caratteristiche di queste 'eccezionali' espressioni architettoniche vere e proprie opere d'arte, o almeno ci dia un riferimento bibliografico o nome di autori rispetto ai quali usare una forma di filtro critico e i termini per osservarle.
al prossimo 'ricco' suo intervento.
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606
di Enrico Malatesta
del 25/01/2004
relativo all'articolo
Domus 866: il Solid sea e la Solid architecture
di
Paolo G.L. Ferrara
Cari Ferrara e Prestinenza Puglisi,
quanto tempo sembra ormai passato dallannuncio della nomina di Stefano Boeri a nuovo direttore di Domus e da quel lucido editoriale con cui Ferrara metteva in guardia - soprattutto i giovani - da facili entusiasmi! Le reazioni al numero di gennaio della rivista, sia su Antithesi che nella newsletter di Prestinenza, francamente mi sembrano di uneccessiva indulgenza da parte vostra anche se, nel caso di Prestinenza, con lattenuante della provocazione. Non si era mai visto un direttore - Boeri - che chiede al direttore di un altro mezzo di comunicazione - Prestinenza - di esprimere pubblicamente un parere sulla propria rivista! Con luscita del primo numero della nuova gestione, mi sembrano comunque ancora pi misteriose le ragioni per cui - fra tanti bravi architetti/critici italiani under 50 che animano la discussione in architettura (Ciorra, Molinari, Brandolini, Garofalo, Irace... voi stessi) - proprio Boeri riuscito ad arrivare alla direzione della pi importante rivista italiana darchitettura. Ma per farne che? Intanto Boeri si direbbe molto preoccupato di ricevere e restituire favori. Ad esempio, le sue apparenti simpatie di sinistra non gli impediscono di scrivere regolarmente sul quotidiano della Confindustria Il Sole 24 Ore, dove lo sostiene lamica Anna Detheridge. Ed ecco che questa famosa esperta di urbanistica e architettura con una mano scrive un editoriale di scarso interesse sul primo numero della "nuova" Domus e con laltra, appena uscita la rivista, ne fa un bel panegirico sul domenicale del Sole 24 Ore: un vero modello di obiettivit e deontologia professionale! Anche Boeri deve avere unidea estremamante vaga di cosa sia la deontologia, visto che non sintende per nulla di riviste, non ne ha mai fatte e lo dichiara pubblicamente, civettando con Prestinenza sul proprio essere "dilettante": c da prenderlo alla lettera, rilevando nella nuova rivista una grafica decisamente sciatta, la mancanza di edifici significativi, foto amatoriali, testi lunghissimi in puro architettese, culminanti in un pasticciato servizio su Barcellona: che se diventasse cos triste come la prospettano le pagine di Domus, sarebbe meglio evitare anche di visitare. Come grande novit del design, i piccoli elettrodomestici del solito Jasper Morrison, gi strapubblicato in ogni rivista darredamento del globo. In generale, non ho trovato unimmagine o dei disegni da cui poter veramente capire le architetture: in particolare, mi sembrato davvero imbarazzante il "soffietto" a Koolhaas, per lAmbasciata Olandese di Berlino, che scimmiotta i fumetti di Restany per la Domus anni Ottanta di Mendini. Come esilarante lattacco del "coccodrillo" sul povero Gino Valle, scritto da Cino Zucchi che ricorda quando da giovane, negli Stati Uniti, "cadde dal pero" sentendo parlare di Valle: che lui, studente italiano di architettura, non conosceva! A parte tutti questi segni evidenti di incompetenza, mi sembra invece che la grande pensata di Boeri sia quella di sviluppare su Domus alcuni "temi", furbescamente un po sociologici. Quali siano (saranno?) si indovina facilmente: sono tutti gi stati ben sviluppati nei suoi ripetuti interventi, un po ovunque, al rimorchio di Rem Koolhaas, cui ha spianato la strada in Italia per tutti questi anni. A cominciare dalle mappature delle sfortune planetarie - quintessenza dell' ultima, grottesca mostra di Koolhaas "Content" che ho visto, pentendomi poi, alla NationalGalerie di Mies a Berlino (che combinazione, lassistente a Domus alla Direzione di Boeri, Kayoko Ota, proprio il curatore di quella mostra...) - non c espediente propagandistico inventato da Koolhaas che Boeri non vada ripetendo quando e come puo. Questo spiega forse anche perch, tra le tante versioni che hanno circolato sulla nomina di Boeri a Domus una delle pi diffuse faceva capo proprio a Koolhaas. Lui, il pi mediatico teorico dellarchitettura contemporanea, interpellato per la direzione avrebbe dichiarando limpossibilit di fare il direttore di una rivista, anche cos prestigiosa come Domus. Poi le versioni si confondevano: Koolhaas ha candidato Boeri come apprendista direttore? O semplicemente stato preso un rampollo della solida borghesia milanese al posto di un populista olandese ed eccentrico? Fatto sta che Boeri ce lha fatta a raggiungere uno dei suoi obiettivi pi desiderati. Mi domando per come riuscir, visti i suoi gi tanti impegni didattici tra IUAV, Domus Academy e Berlage Institut, a fare anche la rivista e allo stesso tempo a sostenere la gestione di uno studio di architettura e urbanistica molto ben avviato. Certo, non c niente di male a frequentare sistematicamente i salotti, da quello di Miuccia Prada (che guarda caso ha come angeli custodi in architettura Herzog, De Meuron e - ovviamente - Rem Koolhaas) a quello della miliardaria di sinistra Milly Moratti: che plaude giuliva al progetto di Boeri per un fantomatico "Quinto Anello" per lo stadio
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25/1/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Enrico Malatesta
Caro Malatesta, credo che sia corretto cercare di andare un p pi a fondo alla questione, in primis mettendo in risalto che la richiesta di Boeri a Prestinenza va interpretata quale un momento di confronto importante.
E' inusuale che un direttore si confronti e non credo sia corretto vedere in questo atteggiamento un modo per accattivarsi pi pareri possibili, soprattutto se, come Lei dice, Boeri gi ben calato nel sistema... quello dei presunti "favori" di cui Lei parla, e di cui non so proprio cosa commentare, soprattutto se si tiene conto che i rapporti interpersonali non sempre sono sinonimo di clientelismo. Detto ci, vengo a quanto mi riguarda. Io direttore di Domus? Suvvia! pur ringraziandoLa della fiducia, devo dirLe che la prima cosa che ciascuno di noi deve avere presente il proprio limite: non sarei capace di fare il direttore di una rivista qual' Domus, n di nessun'altra. Ho antiTHeSi e mi basta. La deontologia di Boeri? Attenzione, perch nessuno pu mettere in discussione la deontologia di nessuno senza avere dati certi. Il fatto che Boeri non abbia mai diretto una rivista non significa nulla. Un direttore non altro che s stesso, dunque, cos come Gregotti portava la sua vita professionale e culturale su Casabella, cos come Pagano faceva su La Casa Bella, cos come Zevi faceva ne L'architettura, cronache e storia, Boeri far nella sua gestione di Domus, che non sar per nulla facile proprio perch molto ci si aspetta da un giovane direttore.
Sia chiaro che la mia non una difesa a Boeri: lo conosco di "sfuggita" e nulla ho a che dividere professionalmente e, men che meno, a livello di partecipazione a Domus. Ripeto: la carta igienica non l'ho mai fatta, e mai la far.
Se ho scritto il primo articolo in cui mettevo in preallarme e se ho scritto il secondo in cui mi rendevo partecipe di un tiepido entusiasmo, beh! non significa che non ce ne possano essere un terzo...un quarto...in cui Boeri possa essere criticato pesantemente. D'altronde, come Le dicevo, solo da antiTHeSi posso avere la libert di dire tutto quello che penso, anche se dobbiamo imparare a "pesare" le parole, a saperci autogestire....come mi aspetto possa fare Lei nel suo prossimo intervento, andando a fondo delle questioni che pi ci interessano, proponendo alternative costruttive. E, magari, mandandole direttamente a Boeri.
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603
di Irma Cipriano
del 24/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
Che Dal Co abbia usato delle metafore credo sia chiaro a tutti, anche al pi ignorante, basta sappia leggere. Come chiaro -credo- il senso delle metafore, senza che ci sia il bisogno di andare a cercare il significato di queste sul vocabolario (cosa che spero neanche il pi sprovveduto degli studenti farebbe). Nessuno vieta a nessuno di usarle, anzi ben vengano. Ma non c' persona che mi convincer che una metafora non abbia una sua "ragione di utilizzo", e che la sensibilit di ognuno le possa trovare appropriate o meno. Perch, fino a prova contraria, anch'esse sono passibili di interpretazioni e come tutte le cose possono essere lette in maniera diversa, esser reputate calzanti o no. Io le ho reputate fuorvianti e un p ridicole. E' l'opinione di Dal Co contro la mia. Ed bellissimo che possa essere cos.
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602
di enricogbotta
del 24/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Premetto che ho seguito solo distrattamente il dibattito sullauditorium di Ravello come si sviluppato qui sulle apgine di antithesi. Ci nonostante mi permetto di condividere le perplessit che alcuni lettori hanno espresso sulla vicenda a prescindere dal caso specifico del progetto di Niemeyer.
In particolare credo che la procedura adottata per assegnare lincarico per lauditorium allarchitetto brasiliano sia assolutamente discutibile, fermo restandone la leggitimit.
Quindi al di l delle solite diatribe tra fronte del si e fronte del no, mi sembra che il nocciolo vero della questione (non solo di questa e per questo vale la pena discuterne) sta nel fatto che i processi che portano allassegnazione di incarichi che abbiano un impatto diretto su una comunit avviene in modo o arbitrario o non traspearente, comunque in un modo non democratico.
Allora, ripeto, al di l delle discussioni sul merito del progetto che lasciano il tempo che trovano visto che nessuna delle parti pu vantare una qualsivoglia oggettivit, lunica soluzione sono concorsi trasparenti e democratici.
Questo, al contrario di ci che si pu pensare, ben altro che wishful thinking, si tratta piuttosto di una cosa assolutamente realizzabile nella realt e il caso di Ravello pu essere unottima occasione per aprire la strada a nuove procedure concorsuali.
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601
di paolo marzano
del 24/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Considerazione ad Italia Nostra di Paolo Marzano, per il dibattito in corso sulla costruzione dellauditorium a Ravello.
aspettando il 1 Aprile
Visto che ci sar una pausa dattesa fino all 1 Aprile, giorno della decisione del TAR di Salerno, sulla possibilita di realizzazione dellauditorium a Ravello, vorrei che ad Italia Nostra arrivasse questa mia considerazione sul dibattito in corso.
A Ravello, non entro nel discorso di particolaristici interessi politici che pi delle volte rallentano e sprecano energie debilitando gli entusiasmi e la voglia di fare, mi chiedo se possibile che non sia chiara la logica confluenza di un indotto culturale nel vero senso della parola.
Possiamo osservare questo particolare fenomeno come su un vetrino di un microscopio in un laboratorio che analizza lintima struttura, quando sinterviene sulla materia paesaggistico-artistico-storico-natuale. Essa, infatti, rappresenta ricchezza che non manca certamente, sul tavolo della ricerca italiana per lo sviluppo del nostro paese. Componenti determinanti facenti parte, ora di una coltura delementali particelle che con impercettibili ameboidi movimenti, elaborano nuove interconnessioni. Generano sinapsi interstizialmente capaci, con il tempo, di far emergere un tessuto sensibile, una probabile nuova metodologia dapproccio alla difesa di questi stessi ambienti; magari isolando eventuali punti deboli oppure comprovando generatori di energia propulsiva per quanto riguarda flussi turistici e forze imprenditoriali locali. La natura pu essere benissimo vincolata, quindi salvata e strappata ad artigli cementizi, anche fondendola ad uno dei suoi pricipali derivati, luomo.
Guarda caso luomo per vivere con i sui simili crea comunit, le comunit hanno bisogno di relazioni comunicative supportate, questo importante, da fattori emozionali che stimolano conoscenza, sviluppando dinamiche indirizzate al miglioramento della qualit di vita. La natura da difendere quindi formata anche dall uomo urbano. Questo essenziale; appena lindividuo si confronta con atteggiamento conoscitivo, allambiente in cui vive, crea delle relazionalit in uno spazio che appartiene gi alla collettivit, per cui ha bisogno di essere interpretato nella maniera pi aperta e flessibile.
Ora, quando in questo caso, tutte queste cose, confluiscono in un luogo geografico ben determinato (pensiamo al miglioramento ed alla reale riqualificazione che lintervento darebbe a gran parte della costa su cui sorger lauditorium, nel rispetto delle regole) allora non ci si pu preoccupare se si tratta di una costruzione di cemento o pietra a vista. Esso apporta un salto qualitativo legato indissolubilmente ad una cultura dinamica (la natura rientra come recettore sensibilmente in attesa di continuit con altri vettori pluridirezionali) gi verificata da anni. Spero non si tiri fuori, in ultimo, largomento bello/brutto che come si sa, scomparso come concetto al salto del secolo 800/ 900; come genialmente dice Woody Allen.
Dalle mie ricerche sulle mutazioni dei luoghi collettivi derivate dalla trasformazione tecnologica, penso che se osservata da vicino, quest intera area produrr fenomeni che diventeranno dei precedenti, per soluzioni strategiche future dintervento sullargomento ambientale. Pozione difficile e complessa da ottenere in quanto le percentuali di sostanze componenti sono difficili da dosare per ogni luogo deputato ad evidenziare le sue caratteristiche, ma il risultato certamente sar inequivocabilmente positivo se per, sar adottato il principio del laboratorio sperimentale, capace di trasformazioni appena una caratteristica ambientale evidenzia nuove e impreviste, ma utili ipotesi di sviluppo. Recepire, maturare, sviluppare. Questo, ricordate, richiamer lattenzione di fervide menti pronte a considerare le vittorie e sottolineare le immancabili disattenzioni progettuali (parlo di tutta larea), per cui consiglio di prestare attenzione soprattutto ai collegamenti per cos salvaguardare, per esempio; la viabilit e di dotarla delle sue diverse destinazioni duso perch tutti possano accedere, ed in qualunque modo ad una migliore qualit di vita che lopera sicuramente produrr. Lauditorim nasce come cntro di confluenza culturale per cui sar di tutti. Un ultimo consiglio che ho tratto dallinsegnamento dei maestri dellarchitettura lasciati tra le righe dei tanti testi delle loro esperienze raccontate;
nei casi in cui si costruisce unopera per la collettivit:
sono entusiasmanti e stimolanti le pubblicazioni dei progetti che si realizzeranno per la riqualificazione di tutta larea, ma oltrech raccoglierle in testi o monografie che gireranno per il mondo, sarebbe auspicabile che venissero presentate in mostre ed esposizioni periodiche locali itineranti, con lo scopo di illustrare alla popolazione come si svolgeranno i lavori prima durante e dopo il progetto o i progetti. Un modo
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600
di Paolo marzano
del 24/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Buone nuove per Ravello, pi vicino l'auditorium
Si allunga lattesa per lauditorium di Niemeyer a Ravello, rimandata la decisione al 1 Aprile, passo in avanti a favore della realizzazione del progetto, per lultima decisione del TAR di Salerno.
Stralci degli articoli di
Giovanni Marino
da La Repubblica del 23.01.04
e di Gaetano de Stefano
da La Citt di Salerno del 23.01.04
E successo che i proprietari del terreno, che l vorrebbero invece farci dei garage, originariamente erano contro il progetto, faceva parte di questo schieramento anche il Wwf ma, in extremis ci ha ripensato rinunciando all'agone giudiziario. Contro Italia Nostra e privati, uno schieramento composto dal Comune di Ravello, dalla Regione Campania, dalla Comunit montana, che ritengono "legittimo" la costruzione dell'auditorium, compreso a loro dire dal Put alla voce "centri sociali e culturali"
"Quanto stabilito dal Tar ci vede concordi, la soluzione adottata consente infatti all'amministrazione di non interrompere le procedure per il finanziamento". Ma pure l'avvocato per Italia Nostra, d un giudizio favorevole su quanto accaduto ieri: "Siamo soddisfatti della decisione assunta perch le ragioni di diritto esposte con il ricorso non potranno che trovare adeguata valorizzazione nelludienza di merito".
Lo slancio culturale che darebbe un intervento di questo genere in quella zona, dovrebbe far meditare molti, prima di azzerare ogni speranza di rivalutazione, ambientale e storico-paesaggistica che, se gestita con responsabilit, apporterebbe ricchezza non solo economica ma incentiverebbe iniziative sociali e imprese collettive in un luogo certamente 'elettivo' in attesa da tempo di risorgere storicamente esprimendo le sue colte meraviglie.
Per maggiori notizie al link:
www.architettiroma.it/archweb/dettagli.asp?id=4969
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597
di Isabel Archer
del 23/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
In risposta a Paolo Marzano - commento n.596
Gentile Marzano, lei ricade nel panegirico, ma questa volta di se stesso. Il suo pi che un invito a leggere, mi pare un invito a leggere i suoi scritti. Apprezzabile il tentativo quasi surreale di fare un riassunto di tutti i suoi proliferanti articoli, ma ne risulta un pastiche letterario che sfinirebbe chiunque.
Io non voglio essere maestra di nessuno, dico solo quello che penso.
Mettere le mani in questo suo discorso veramente difficile, mi perdoni la sincerit.
Con tutta la buona volont riesco a fare qualche considerazione solo sulle cose che mi sono pi care, ma si rischia di uscire molto fuori tema.
Mi viene in mente che lo stupore delleffetto prospettiva dal basso mi ricorda i grandi disegnatori di inizio Novecento.
Larchitettura interattiva non una realt, gi il passato! Si parla di possibilit di creare una nuova generazione di database dove pi individui possono interagire apportando tecniche e metodi per il controllo di forme complesse connesse con pi postazioni, ma questo sottointende una pratica mediale e una strategia collettiva di comunit unite da forze relazionali che vanno oltre linterazione;
come se Lei parlasse del telegrafo ad individui che posseggono programmi interni alla NASA di cui solo dopo trentanni la gente comune apprezzer li sviluppi (cos successo per il tubo catodico o televisione, cos successo per il computer, per internet ecc) .
Cosa dire? Parliamo e non ci capiamo. A questo punto bisognerebbe chiarire prima cosa sintende per architettura interattiva. Ma non so se sia il caso farlo qui, magari privatamente sarebbe meglio, non fosse altro che per il bene dei lettori.
Mi scusi ma io spero proprio che lei non mi prenda mai sottobraccio per spiegarmi le cose in questo modo.
Comunque, da quello che mi sembra di intuire, credo che le sue idee siano sicuramente pi chiare del modo in cui le esterna.
Anchio vorrei comunque tornare al tema principale e a costo dinimicarmi tutto il mondo architettonico contemporaneo vorrei dire con spassionata parziale sincerit che: passi lauditorium di Ravello, ma a sperimentare si vada nei centri storici delle grandi citt italiane, dove c tanto da ricucire, da recuperare, da valorizzare, cominciamo da l.
Ravello bella cos, lasciamola in pace e cerchiamo solo di difenderla dagli abusi ( sia chiaro non considero lauditorium un abuso) e di lasciarla crescere da sola, come ha sempre fatto, in una dimensione appartata e spontanea.
Mi si accuser di voler congelare il mondo, ma meglio, dopotutto, essere realistici e vedere che in Italia non siamo ancora pronti: se per unopera architettonica di smisurata importanza si ricorre ad una trattativa privata e non ad un concorso di idee che speranze ci sono?
E se poi , spesso giustamente, non si ha nemmeno fiducia nei risultati di un concorso, da dov' che dovremmo cominciare?
Qualcuno viene a dirci che tutta una paranoia nostra, che dobbiamo smetterla di dire che la gente "pulita" non va avanti... beh, deve essere una persona veramente dissociata per non vedere ci che abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi, nel 99% dei casi.
Ora se io ero amica di Bernhard Franken e decidevo che il modo migliore per costruire un auditorium a Ravello fosse affidare la progettazione a lui, quanti si sarebbero strappati i capelli per difendere la mia iniziativa?
Non voglio svilire la fatica di un'operazione economica e culturale complessa, di sicura validit morale, come quella innestata da De Masi, ma questa soluzione doveva essere l'ultima ratio.
Un concorso, ci vuole un concorso.
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599
di Paolo Marzano
del 23/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
Gehry o della titanica inno-ovazione fisionomica
Nota a margine sullarticolo di I.Cipriano a proposito di F.Dal Co su Casabella 717/718
Devo osservare l'esistenza nel mondo dellarchitettura di una categoria di persone vicine ad essa che, per spiegare i complessi fenomeni a cui costantemente soggetta, usa, per meglio comprenderla, delle METAFORE.
La metafora una sostituzione di un termine proprio con uno figurato, in seguito ad una trasposizione simbolica di immagini; es. le spighe ondeggiano, il mare mugola, il re del deserto eccDal greco metaphora cio trasferimento.
Da Oli De Voto, Dizionario di lingua italiana.
Perch questo? Perch ho un terribile sospetto che molti osservatori dellarchitettura non si sono resi conto che dopo le descrizioni fisiche e materiali dellarchitettura esistono una serie di caratteristiche sensazionali che per essere descritte non hanno una possibile terminologia comune e allora si ha bisogno di trasporre i significati . Uno degli impegni di chi scrive d'architettura, quindi quello di avere una mente cos creativa da farsi avvolgere da questo mare magno di trasposizioni con lunico scopo di creare degli ambiti di significato per cui a diverse persone arrivano diverse immagini. Poi a seconda dellesperienza vissuta da ognuno esse, tentano di svelare possibili visioni di una generale poetica (perch proprio questo, alla fine, il significato). Chiaramente, chiunque si accinge a raccontare larchitettura, avr una sua logica metodologia e si rifar alla trasposizione che pi gli aggrada. Per la maggior parte dei casi, sar compreso, questo lo posso testimoniare. Per una parte, invece non sar compreso, questo chiaro, ma c una parte che non ci st con quelle trasposizioni METAFORICHE usate, e allude sovente allerrore dello scrittore. Mi spiace perch gran parte della letteratura critica architettonica si rif a questo tipo di linguaggio dinamico e piacevolmente seguito, anche uno dei maestri della critica storico-architettonica contemporanea (Bruno Zevi), era uno di questi scrittori. Audace nelle metafore con cui, da esemplare prestidigitatore dialettico, accompagnava il lettore a descrivere, per esempio, langoscioso disegnatore Palladio, per il passionale Michelangelo nei disegni delle fortificazioni, a sovvertire lequilibrio delle masse quasi anatomiche dei grafici-graffi di Mendelshon nei sui schizzi darchitettura fino allestrema visione degli interni intrauterinidi Gaud. Ho! Quale vocabolo! E s, funziona proprio cos. Le sensazioni, non si evocano e non si trasmettono solo parlando di masse, volumi, piani, rette, punti oppure di intonaco, interasse, pendenza di scarichi ecc questa unaltra storia, di uguale importanza, certo, ma larchitettura pretende la loro contemporanea presenza per potersi svelare.
Gi da un mio scritto in tempi non sospetti, dal titolo lestetica dellespansione (parafrasando linsuperabile saggio di Paul Virilio lEstetica della sparizione, ora, su Costruzioni.net), ma ancora prima ( la maggior parte dei miei scritti sono su architettare.it) analizzavo alcune opere di Gehry, Eisenman (che al contrario si legge n-amnesiE, dice il Tafuri) Libeskind, Hadid, notando levidente evoluzione formale degli ultii quindici anni. Ma, mentre in Hadid Eisenmann e Libeskind la ricerca continuava a trasformare la materia architettonica in esperimenti esaltanti per critici e studenti, in Gehry era arrivata ad unimpasse.
La nascita della Gehrytecnologia aveva congelato i termini di uno stimolante discorso innovativo e trasformava in una colata solita-solida di titanio, eventi spaziali di cui adesso bisogna specificare solo la destinazione duso allesterno, perch limmagine generale soffre della sua solitaria differenza. Finivo lo scritto, col dire che si attendeva ormai da un po, un tentativo di evoluzione non tecnologica (perch con le due opere che Francesco Dal Co analizza, Gehry ha stabilito una libert assoluta dellapproccio architettonico, allo spazio), ma formale del capacissimo architetto. Lo scritto di dal Co abbastanza chiaro, come spero premettendo ci che ho scritto, sia per i pi. Per coloro che non si convincono si questo, posso aggiungere che solo una questione di temini da aggiornare senza significati nascosti o accuse di scarsa cultura, ognuno di noi ha una libreria in casa con una strada bibliografica propria e solo che rispetto a quella, magari non coincidono delle trasposizioni terminologiche metafore, ma non essendoci quelle, mancherebbero anche gli objet a reation poetique, o i listelli e le fasce di legno di Alvar Aalto (che secondo me hanno generato i nastri di Hadid, nel Centro di Arti Contemporanee a Roma, vedi lo scritto lambito variabile), non ci sarebbero le sculture di Boccioni di cui conosciamo le sensibili assonanze con larchitettura scultorea di Ghery, eccAllora come funzionano questi impulsi di esperienze vissute cos funziona il
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598
di paolo marzano
del 23/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
a Isabel Archer, benvenuto auditorium!
Va bene cos,
spero che costruiscano l'auditorium di Oscar Niemeyer a Ravello,
il luogo ci guadagner e anche tante altre iniziative culturali previste ed in attesa di realizzarsi. I grandi discorsi legati a come vanno le cose in Italia dal punto di vista concorsuale, lasciamole perdere ormai sono vortici terminologici e trappole per cui si perde solo tempo a discuterne.
(una soluzione auspicabile, ma non un discorso da fare continuamente!!!)
In rete, o si arriva ad una conclusione dopo pochi interventi o verifichiamo quello di cui parla Ferri nei suoi testi; il rischio e solo quello di parlare, parlare parlare senza sforzarsi di cogliere ed definire eventuali 'ipotesi' risolutive, QUESTO, NON MERITANO I LETTORI!
A parte l'ironia che avevo usato nell'elencarle i miei scritti, con riferimenti a banalissime prospettive dal basso (tipo deposito di zio Paperone) che non approvo assolutamente e capisco che per mio, errore non sono state compese, Le chiedo: per due volte ha definito alcune mie descrizioni come panegirici, ma Lei, da quale baule ottocentesco con finti pidini a zampa di leone e mordentato color noce, ha tirato fuori questa frase:
"..Ravello bella cos, lasciamola in pace e cerchiamo solo di difenderla dagli abusi ( sia chiaro non considero lauditorium un abuso) e di lasciarla crescere da sola, come ha sempre fatto, in una dimensione appartata e spontanea..."
Dopo queste parole, penso che la discussione per me, possa finire qui, tanto tra un p sapremo cosa si far o non si far a Ravello.
Buona continuazione e buona trattazione di problemi italiani concorsuali, di baronato, di ricercatori mal pagati, di studenti fuori corso e di laureati americani ed europei a 23- 24 anni, di amministrazioni indolenti imprenditoria sfacciata di superfetazioni spungiformi e periferie labirintiche, di nuova interttivit e costruzione di nuovi Zen, di tetti inclinati nel Salento e di grandi pareti vetrate al nord, di terziario avanzato congestionante e di centri storici invasi da sportelli bancomat , ecc....
(tutti spunti interessanti, ma decontestualizzati, non vogliono dire nulla!
una tecnica politica, banale, per 'oscurare' l'interlocutore)
Penso seriamente che non sia il luogo adatto per discutere di questo. Spero vivamente che nascano dei siti con questo scopo. Altrimenti non si potr pi parlare di nulla in quanto rovesciare negativit e azzerare desideri e buoni propositi con fumose e pretestuose teorie irrealizzabili, da semplice e abusato sport italiano.
Alla prossima disavventura architettonica!
(incredibile! Stessa situazione di tanto tempo f, del progetto di Wright a Venezia!)
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596
di Paolo Marzano
del 22/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Osservazioni pro - Niemeyer a Ravello, discutere un po realizzare.
Note a margine di Paolo Marzano per Isabel Ascher
Ravello, come sicuramente, Lei avr visto e mirabilmente indagato dalla storia recente, ha avuto ed ha delle particolari caratteristiche elettive naturali tali da generare numerose altre RELAZIONI (vedi principi base dellarchitetura moderna, anzi contemporanea, anzi direi quotidiana). Queste relazioni hanno a che fare con una relazionalit identificabile per differenza. La differenza, come ho gi citato in un mio scritto ( luomo Altrove) , la prossima parola che affonder i suoi artigli percettivi in questo secolo determinado unesaltazione della differenza programmata dallevoluzione genetica umana come contaminazione differenziata secondo ordini casuali, a questo punto, necessari per la sua esistenza.
Qui non si parla di fenomeno da baraccone, ma di una probabilissima deformazione cognitiva che esiste dietro la parola INTERAZIONE e specialmente quando si unisce ad unaltra parola alla quale penso, si sia appassionatamente vicini, architettura.
In un altro scritto (Interazione reale o alterazione virtuale? vedi parametro.it) coglievo un aspetto particolare di questa parola.
Linterazione, mi chidevo, pu territorializzare, unendo indissolubilmente luomo ad un luogo fisico o pu astrarre metafisicamente la percezione da un ambito spaziale (architettonico) adducendo a luoghi altri e contribuendo ad una certa distrazione dal reale. Dal ragionamento (anche lungo) si arrivava a dare una risposta infatti la seconda ipotesi era quella possibile.
Purtroppo si ricade sempre nel dire o consigliare allinterlocutore di leggere di pi, ma lascio cadere questi attributi terminologici ad altri individui e in altri luoghi che penso siano lontani sia da Lei che da me e continuo.
Per il caso della Farnsworth House era successo che, gi larchitettura aveva raggiunto un equilibrio tale in quel luogo che si poteva fare solo filologia pratica tra cui esaltarne gli aspetti perch diventasse un sito oltrech fisico anche con un valore altamente didattico per chi vuole imparare o meglio vivere questo spazio, ma solo l in quel luogo e in nessun altro. Poi, chiaro che super-analizzando lopera, in quel caso, si poteva percepire uno stato di occupazione virtuale che poteva essere interpretato come un vero e proprio interagire con lo spazio per v i r t u a l e di quella architettura. Abbiamo avuto ragione, ha vinto il valore didattico che lopera poteva ancora comunicare, se ne sono accorti e guadagneranno di pi tutti. Bene!
Pi che sognatore sono un appassionato della letteratura storico-descrittiva zeviana e se lei avesse letto..ALT! (vede come facile consigliare di leggere? Si sempre dalla parte del giusto propositivo, ma non va bene per loffesa che reca alla presupposta inabilit psicologica dellinterlocutore, quando invece tutti noi abbiamo una strada almeno storico-libresca da difendere, magari da ridiscutere, ma da difendere.) torno al discorso. Le descrizioni zeviane degli scitti su Michelangelo le osservazioni particolari dei disegni di Mendelsohn o larchitettura di Gaud per me sono insuperabili, a questi aggiunga una visione crepuscolare stimolante della critica del saggista Paul Virilio, senza per dimenticare larchitettura vitale nella descrizione delle piccole cose di ogni giorno di Roland Barthes e lassordante teoria del quotidiano trasformarsi di Walter Benjamin. Sono scritti che hanno un denominatore comune un linguaggio che racconta come luomo ha bisogno di numerose metafore per comprendere equilibrando e stimolando la mente per vedere cose che non esistono, avendo aiuto da impulsi codificati di episodi vissuti. E quello che faccio quando scrivo di architettura (vedi la soglia in dissolvenza e Spazioalle riflessioni, su architettare.it, parlo dellinterazione usata come elemento architettonico, parlando di supporti riflettenti o trasparenti in spazi particolari, anche urbani, elencando tecniche e pratiche di partizione interne con pareti contenenti cristalli liquidi a trasparenza controllata (Nouvel insegna), dando unidea di stravolgimento del semplice interno domestico, senza parlare di domotica), comunicando, come, dove e con quali mezzi arrivare alla soluzione definita, questa la differenza tra uninterattivit che comprende tutto o niente oppure quella verificabile immaginando ambienti descrivendoli o addirittura realizzandoli.
Per gli acquari con le nuvole dentro e i mouse giganteschi, in Luomo Altrove ho elencato dove e in quali progetti, evidente una resa incondizionata purtroppo di alcuni architetti ad un trucco surreale (aumentando le dimensioni) di esperimenti che farebbero rivoltare Escher nella tomba. Soluzioni architettoniche che in Italia sono passate per meravigliose (solo ben pubblicizzate, altro pericolo) e che non hanno niente, ma proprio niente di interessante, se
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594
di enricogbotta
del 21/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
Lo scambio tra Giovanni Damiani e Paolo Ferrara mi ha incuriosito e sono andato a leggere larticolo di Irma Cipriano.
Mi sembra che il senso dellarticolo, che condivido, sia basta con questo linguaggio. Non tanto perche brutto o insolente, ma perche completamente inutile.
Giovanni Damiani si irrita e dice che la signorina Cipriano sostanzialemnte unignorante perch non sa che per DalCo putrefazione membra disarticolate hanno un accezione positiva.
Avr le sue ragioni per prendersela cos, per impartire lezioni a destra e sinistra per dare dei perdenti ad altri e non a se stesso. Soprattutto, evidentemente pensa di poterselo permettere. Chiss perch. Forse per lo stesso motivo per cui ritiene che DalCo si pu permettere di scrivere emerite scemenze e tutti zitti perch se non si ha studiato quello che dice lui non si pu neanche fiatare.
Allora, lidea di fondo che ognuno padrone di avere una sua opinione, anche Irma Cipriano e anche Giovanni Damiani.
Se si difendono i ruoli e le caste per, come cerca di fare Giovanni Damiani, si devono accettare le conseguenze delle proprie scelte, che possono anche essere delle sonore pernacchie provenienti dal volgo ignorante.
Si parla di studiare, ma bisognerebbe anche capire cosa si studia e perche si studia. I percorsi critici sono una nobile impresa, ma infondo, perch ce ne dovrebbe fregare qualcosa dei persorsi critici approntati da chi fa conferenze sul lavoro e sul pensiero di un altro? Cio, se Tschumi non fosse esistito su cosa la faceva la conferenza il signor Giovanni Damiani? Mi rendo conto che questa una critica ai critici un po vecchia, ma fino a prova contraria i topi di biblioteca non sono architetti.
Quella dello studio una bella favola che era tanto di moda tra i cosiddetti intellettuali comunisti (che col comunismo ovviamente non avevano nulla a che fare), in realt solo affetti da gravi forme di invidia sociale, arrivismo, e complessi di inferiorit, come Tafuri, Cacciari e DalCo appunto. Lo studio era visto come strumento di affrancamanto da condizioni di inferiorit, vera o presunta che fosse: solo una favola per, visto che, come noto, non si pu essere nullaltro di ci che si .
Chiudo, dicendo che ho trovato gli interventi di Giovanni Damiani, se non si fosse capito, molto irritanti e tipici delle patologie appena descritte, ma soprattutto fondati sulla convinzione, a mio avviso oggettivamente ingiustificata, di potersi permettere di esprimere giudizi riguardo lignoranza altrui. Giovanni Damiani non sar ignorante o forse si, ma di certo arrogante e antipatico, e studiare tanto temo non avr nessun effetto positivo su queste due cose.
Saluti
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593
di Isabel Archer
del 21/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
In risposta a Paolo Marzano
Una buona notizia, pare che il Wwf abbia ritirato il ricorso al tar contro lAuditorium di Ravello.
Ma veniamo al gentile Paolo Marzano: apprezzo il suo modo garbato dinvitarmi ad una riflessione, ma non capisco cosa intenda quando scrive: Interattivit a Ravello? Benissimo, ma non in questi termini. Di quali termini stiamo parlando?
Chi non un ambientalista? Chi non difenderebbe e difende la natura? Nessuno vorrebbe che sparisse sotto colate di cemento e struture pilastate o a gradoni ?
Su questo nutro dei fortissimi dubbi e comunque se simpedir ai proprietari del terreno, destinato allAuditorium, di costruire un garage, questo non accadr.
Lei probabilmente un sognatore, eppure mi sembra che durante la campagna per la Farnsworth House si fosse ben reso conto del pericolo.
Allora il passo dopo : usiamo larchitettura interattiva, cosa? chi? dove? quando? Gi, s quella s, eccome, anzi la soluzione!"
Vedo per che anche un disfattista. Qualche idea sul chi lavevo lanciata in un mio precedente messaggio, ma preferirei, ripeto, un sano concorso, non c bisogno che io Le ricordi cos un concorso di idee spero.
Lo sa, Marzano, larchitettura interattiva non un fenomeno da baraccone, rischia di diventarlo se ad occuparsene sono persone che non ne conoscono lessenza e la scambiano per un allestimento scenografico degno di Eurodisney (testuggini o mouse giganteschi sono forse i suoi incubi peggiori? Per gli acquari prismatici con le nuvole dentro ci si pu lavorare, un buono spunto).
Ho scritto e raccontato tanto su questargomento, forse dovrebbe leggere di pi caro Marzano.
Larchitettura interattiva comincia ad essere gi una realt in altri luoghi del mondo, si documenti. Lasciamo ai disegnatori specializzati i rendering e le sovrapposizioni di scritte, cerchiamo di non banalizzare lapporto prezioso dei Futuristi alla nostra cultura. Lei ha unidea davvero confusa, distorta e vaga di Interattivit e di Futurismo.
Vorrei anchio invitarla a riflettere sul fatto che a Ravello lurbano per fortuna centra ancora poco, fino a quando a qualcuno non verr in mente di proporre la progettazione di un ponte che, dopo varie iperboli temerarie, partendo da Paestum e facendo il giro attorno a Ischia, Procida e Capri, vada a schiantarsi dentro il costone roccioso dei monti Lattari. Mi scusi per la figurazione fortemente retorica, ma questo sembra essere il linguaggio che pi le gradito.
In ogni caso lInformation Technology gi di grande aiuto nel controllo della dimensione urbana.
Comunque, gentile Marzano, non voglio contestare punto per punto il resto delle sue osservazioni, che, sebbene espresse in una forma piuttosto romantica, sono dopotutto condivisibili.
Un dubbio atroce mi rimane: qualcosa le fa pensare che io sia un membro di Italia Nostra?
Rilegga con maggior attenzione i miei precedenti post.
Cordialmente
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592
di Irma Cipriano
del 21/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
Risposta a Giovanni Damiani
Il dare agli altri degli ignoranti che non studiano lascia lo stesso tempo delle critiche accennate dell'architetto Dal Co. Il fatto che io sia una studentessa, e che quindi non abbia di certo le competenze del direttore di Casabella, non vuol dire che cio che lui dice sia oro colato e io dica scemate. Non si preoccupi signor Damiani, che lo studio c'.
Se vole che discutiamo DAVVERO sul mio articolo, non puo' dire che non abbia riconosciuto la cultura di chi ha scritto prima di me. Ci che io ho contestato il modo in cui le critiche su Gehry sono state affrontate. Le sue non spiegazioni non mi fanno di certo cambiare idea sul risultato che ha ottenuto Dal Co srivendo quell'articolo. Lo dico difatti chiaramente. Se come dice lei Casabella una rivista "facile facile" -e gi questo non le da giustizia, secondo me- dare in pasto al lettore le conclusioni che se ne tirano non per niente costruttivo e sensato.
Tutti sono onesti e tutti sono bravi finquanto non esprimono quello che pensano?
Il solito adagio di attaccare la gente dando loro degli ignoranti contro producente proprio per chi lo dice. Anche perch in maniera socratica so anch'io di esserlo e lo anche lei.
Passa subito dalla parte del torto e, a mio avviso ci rimanne, continuando su questa rotta e senza dare spiegazioni sensate. Se non avessi ammesso di essere una studentessa - in quest'articolo e anche in altri commenti su antiTheSi - scommetto qualche cosa che i suoi commenti sarrebbero stati completamente diversi. E ci non solo scorretto ma anche avvilente. Se lei da ragione a Dal Co- ed commovente la tenacia e la vis polemica con cui lo fa, sar mica suo zio? - ci dica il perch. Parliamo di cose concrete e non dei cocci delle noci. Altrimenti davvero inutile - come lei dice -anche solo cominciare a parlare, perch non ci si intender mai.
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591
di Giovanni Damiani
del 21/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
Scusate se replico ancora, ma qui davvero non ci sono le premesse neppure per comprenderci quel minimo che permette di parlare. Non ho mai usatola parola dilettanti, bens intendenti che ha un ruolo preciso nella storia dellarchitettura, detto tra noi molto nobile.
Mai mi sono pensato un culture sopraffino, mi occupo di architettura da alcuni anni, sono appassionato e cerco di costruire dei percorsi storiografici il pi possibile seri.
Ben venga Antithesi, ben venga dare spazio a tutti e lasciar parlare tutti, cosa che nelle Universit si fa poco e male, colpevolmente. Non fatemi fare laccademico perch non lo sono per nulla e non fatemi difendere le nostre universit perch vorrei essere uno che le critica, anche aspramente, Criticare per non significa dire la prima cosa che viene in mente, ma anzi essere massimamente coerenti, seri. Per criticare Dal Co bisogna studiare, altrimenti si viene zittiti subito (e lui bravo a farlo) e si esce dalla discussione. Lavorare su una critica seria vuol dire anche comprendere che bisogna difendere listituzione in se e non confonderla per come viene usata. Voler provare a fare delle critiche serie vuol dire lavorare credo di pi e farlo con ancora pi impegno, non certo leccareculi visto che a questo mi pare vi riferite quando pensate ad unUniversit. Nella pratica lo sar (fino ad un certo punto, spazi abbastanza liberi si trovano mi pare, basta con questa retorica dellescluso perch pi pulito, le regole del gioco ci sono e non sono solo quelle di leccareculi e che forse serve vederle e faticare per farlo), ma resta il fatto che sparare sulle Universit vuol dire demolire ci che resta dei luoghi in cui si pu studiare. Oltre quello c solo lo spazio libero del si dice ci che viene in mente. A me questo non va per nulla bene. Non confondiamo la libert, che cosa serissima, con il tutto lecito per cui posso dire ci che mi salta in testa, quella non libert ignoranza, almeno secondo me.
Credo che Antithesi, che reputo comunque un momento positivo come tutti i momenti di riflessione, come molte delle riviste in internet che sono nate, abbia il compito anche di aprire discussioni varie con toni di vario livello, ma lesegesi della nicchia dei perdenti perch puliti debba finire.
ora di studiare, proprio per costruire nuovi panorami, costruire nuove libert. Libert per non luoghi di svacco libero.
Dal Co, per tornare al suo pensiero su cui non ho nessuna voglia di discutere a lungo, nasce in un contesto molto preciso di letture che legano la generazione dei Veneziani. Il tragico, il marcio da Piranesi in poi, un certo anarchismo molto vitale e anche fisico, che fa si che quando parli di rovina, putrefazione le usi come termini molto interessati e sostanzialmente positivi.
Oggi gi un miracolo se uno legge qualcosa, ma studiare non significa leggere e neppure leggere e commentare, significa intrecciare, costruire contesti e sequenze logiche. Non sapere nulla del da dove e come escono i pensieri delle persone fa si che si costruisca un pensiero fatto di microframmenti e giudizi che lasciano il tempo che trovano perch non hanno struttura possibile a reggerli. Costruire delle storie, io credo, sia ancora possibile anche in questo tempo complesso, solo che bisogna lavorare per questo. Il momento difficile, le universit sempre meno difendibili, le posizioni di molti anche, ora di rimboccarsi le maniche e invece di sparare a caso nel mucchio, bisogna a mio avviso fare lunica cosa che ha sempre portato avanti le idee: STUDIARE.
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21/1/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Giovanni Damiani
Caro Damiani, qui nessuno si piange addosso. E davvero ora di finirla con la storia che ci sentiamo "nicchia dei perdenti perch puliti": "puliti" lo siamo, e non ci consideriamo "perdenti". Il motivo semplice: non vogliamo vincere nulla, n nulla vogliamo. Se ti guardassi un p intorno ti accorgeresti dellipocrisia che vige nei rapporti tra i diversi personaggi dellambiente culturale "ufficiale". Ma forse lo hai gi fatto...
In quello che tu definisci luogo di "svacco libero" ipocrisia non se ne trova: luogo in cui tutti si possono confrontare, dai pi lucidi cultori ai pi neofiti tra gli studenti. Questi ultimi potranno anche parlare impropriamente ma, proprio perch studenti, si aspettano che qualcuno li aiuti a capire anche gli eventuali errori. Chi, come te, ha conoscenze e capacit critiche tali da potere essere daiuto alla crescita degli studenti deve porsi al di sopra dei loro scritti, delle loro opinioni; piuttosto, deve capirne le difficolt e dare i giusti consigli, che non devono per limitarsi a dire:"STUDIARE". L "ignoranza" pu essere dolosa o meno: nel primo caso non potrei che essere daccordo con te rispetto a quanto dici; nel secondo caso, invece, noi tutti abbiamo il dovere di aiutare la crescita, chi dando spazio affinch le opinioni espresse dagli studenti possano essere portate a conoscenza di tutti, chi dando i giusti correttivi alle lacune -abbastanza probabili vista l'inesperienza- che qualunque studente pu avere.
Il confronto fondamentale, ma teniamo presente che lesperienza dello studiare qualcosa che cresce piano piano, sino ad arrivare a comprendere che sono necessari gli intrecci e le sequenze logiche. Sino a capire cos che, spesso, tanto logiche non sono.
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595
di Isabel Archer
del 21/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
Io penso che, in ogni caso, chiunque produca informazione, e chi scrive un articolo - anche suo malgrado- ne fa, chiunque egli sia, non autorizzato ad usare un linguaggio la cui reale interpretazione sia chiara unicamente ad un ristretta conventicola di persone.
Isabel Archer
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589
di Giovanni Damiani
del 20/01/2004
relativo all'articolo
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile
di
Irma Cipriano
Non gradisco fare difesa d'ufficio a Francesco Dal Co, sia perch si difende benone da solo, sia perch non mi sembra nelle condizioni di non potersi pagare un buon avvocato migliore del sottoscritto, ma ogni tanto per leggere serve sapere qualcosa.
Casabella una rivista facile facile e a tratti edulcorata, ma almeno due cordinate sono richieste per capire qualcosa anche in un articolo molto didascalico.
La minima conoscenza del pensiero del Dal Co, che poi vuol dire aver letto dei libri, vista la sua ampia produzione, e (magari anche o) del Tafuri sarebbe servita a comprendere che il senso dell'articolo esattamente l'opposto.
Apprezzo l'idea di provarci sempre e il coraggio di mettersi in prima linea, in qualche modo lo stile da intendenti d'architettura di antithesi e delle pubblicazioni internet...ma alla lunga il commento nel vuoto rende poco e i nodi vengono al pettine.
cordiali saluti da un vostro lettore
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20/1/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Giovanni Damiani
Ci definisci "intendenti di architettura" per non dirci chiaramente che ci reputi dilettanti? No, non fartene un problema, perch vero: siamo dei dilettanti che non possono certo competere con un cultore sopraffino quale sei tu. Ma vedi, caro Damiani, noi pubblichiamo anche pareri quali quelli della Cipriano poich reputiamo che tutti siano soggetti ad approfondimenti, soprattutto se si tratta di studenti, i quali si cerca di spronare in senso critico, facendogli esprimere le loro sensazioni e non solo i concetti scritti sui "sacri testi" dell'architettura, che sono costretti ad imaparare nelle facolt. Siamo dilettanti che per non conoscono il sapore dei sederi di chi conta, di quelli che potrebbero farci fare carriera. Credimi: ne siamo fieri. Piuttosto, il tuo ruolo di cultore dovrebbe andare oltre questi semplici commenti e puntare dritto al centro della questione, ovvero farci capire perch il pensiero di Dal Co lo abbiamo frainteso. Nel modo in cui lo hai fatto, anche il tuo commento resta nel vuoto.
Come vedi, non mi soffermo a difendere i contenuti espressi dalla Cipriano, lasciando a lei stessa l'eventuale replica. Posso solo dire che concordo pienamente sull'aleatoriet delle critiche di Dal Co.
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588
di Paolo Marzano
del 20/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
A favore dell'auditorium di Ravello, uno spunto di riflessione per Isabel Archer
Interattivit a Ravello? Benissimo, ma non in questi termini.
La mia formazione architettonica contempla una piccola, ma importante, parte riferita alla fantascienza degli anni settanta e rimango perplesso quando delle verit tecnologiche allora profetizzate ora risultano realizzarsi .
Chi non un ambientalista? Chi non difenderebbe e difende la natura? Nessuno vorrebbe che sparisse sotto colate di cemento e struture pilastate o a gradoni ?
Nessuno, ma queste sono banalit.
Allora il passo dopo : usiamo larchitettura interattiva, cosa? chi? dove? quando? Gi, s quella s, eccome, anzi la soluzione!"
Vediamo la situazione un p pi da vicino. Ho scritto e raccontato tanto su questargomento che per avere una sicurezza o controllo su di esso, pendo che ci vorr ancora un p tempo, di questo sono certo. Non bastano concorsi dove vengono premiati rendering e sovrapposizioni di scritte che gi i Futuristi, guardando le riviste, erano abbbastanza avanti. Al massimo ora, stiamo sicuramente preparando le basi per individualit che, con strumenti nuovi, inizieranno a parlare di architettura interattiva.
Ma osserviamo: mentre le nostre citt (centri storici mummificati, o meglio, plastificati incelofanati e avvolti da quellaura finta-vecchia che fa tanto in) sono sepolte e annerite da gas inquinanti derivati dalla combustione di carburanti scaricati direttamente nel nostro corpo, mai fin troppo controllati, ci accorgiamo che i regolamenti nei locali chiusi, per quanto riguarda il fumo da sigaretta, sono diventati rigidissimi.
Stride il confronto, e Italia Nostra?
Luomo vive nella sua incompiutezza.
Le isole per le campane della raccolta differenziata che occupano spazio aumentano il loro numero perch aumentano le tipologie di materiali che consumiamo ogni ora, ed in modo esponenziale. Andrebbe indetto un concorso darchitettura per risolvere il problema spazzatura non come oggetto a s, ma come sistema di relazione con LUOMO URBANO.
Stride ancora il confronto con la citt, e Italia Nostra?
Luomo vive della sua incompiutezza
Oltre le campane per la raccolta dei rifiuti differenziati esistono degli alieni accato a noi nel nostro vivere lurbano; esili, con la testa grossa alti a dismisura e purtroppo tanti, proprio l dove si realizza lessenza della congestione cittadina, la segnaletica. Sempre tanta, sempre troppa e si moltiplica giornalmente, lo chiamano inquinamento visivo. Dovrebbe rientrarae in un sistema di strategia progettuale per cercare di inserire, davvero, linterattivit in questo campo. Secondo me, sarebbe risolutiva.
Stride ancora il confronto con lumano osservare, o come dicono i saggi, percepire la citt, e Italia Nostra ?
Luomo vive sulla sua incompiutezza.
Facciamo un discorso pi ampio.
La sonda Spirit che non trova lacqua su Marte, limportante comunque che sia arrivata, genera tanti sogni e tante speranze. Il mondo virtuale al quale abbiamo sempre pensato per tanto tempo ora, a nostra disposizione, un intero pianeta da esplorare. Affinate le tecnologie sar territorio di conquista.
Ma luomo incompiuto e spero tanto che non venga in mente a qualcuno (non improbabile) di trasferire scorie nucleari e rifiuti tossici sul sito marziano tanto lo spazio c ed tanto. E allora cosa faremo se non ci siamo occupati di prendere delle posizioni convincenti in campo terrestre (cittadino) chi ci soddisfano? Accetteremo tutto tanto poi si risolver in futuro? Avremo nascosto unaltra volta le bucce delle caramelle sotto il tappeto.
Sar lURBANO, il tema dominante di questo nuovo millennio, inserito per in un altro genere di relazioni, oltrech mediali di matrice organica come un corpo vivente in cui linterazione dovr costituire un vero e proprio sistema nervoso sensibile e attento. Anche larchitetto sapr che oltre a progettare unabitazione deve trattare con altre relazionalit di quellabitazione vista come tassello insostituibile di un maglia relazionale vivente. Questo determinerebbe edifici e quartieri pi vivibili. Purtroppo la mancata considerazione di certe componenti sociali ha fatto diventare lURBANO, o un vero e proprio fortino super controllato o super degradato, isolato in periferie sociali percettive pi che fisiche.
Stride ancora il confronto, lURBANO una NATURA da salvare. E un concetto complesso che per non esula dal non tenerne conto, e Italia Nostra ?
Luomo vive nella sua incompiutezza e quando, come a Ravello, si creano delle confluenze dinteressi, non soltato economici, ma accompagnati da una certa qualit dintervento architettonico che plasmer unendole nello stesso luogo, forme artistiche quali musica, spettacolo, architettura, bellezze naturalistiche e storico-paesaggistiche appartenenti ad un naturale sistema connettivo-collettivo i
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587
di Isabel Archer
del 20/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Trovo che non sia utile l'ennesimo panegirico su Niemeyer: non in dubbio la forza creativa e l'impegno sociale di questo architetto.
Il suo spessore morale ben noto a tutti.
Il dubbio pi che altro se sia sufficiente un gesto di alta suggestione poetica per procedere all'inserimento di un'architettura (sicuramente di evidente qualit) in un contesto che quasi impossibile descrivere con le parole.
Voglio dire, l'essenza stessa del luogo interessato anche natura, nuvole, compresenza di altitudine e mare, vertigine, ripeto, difficile descrivere.
Temo che si sia giocato troppo sul solo elemento "cultura", anche se iniziative come queste, tese alla valorizzazione delle risorse produttive a livelli alti di pensiero, sono rare.
"Non l'angolo retto che mi attrae, e nemmeno la linea retta, dura, inflessibile, creata dall'uomo. Ci che mi attrae la curva libera e sensuale. La curva che incontro nelle montagne e nei fiumi del mio paese, nelle nuvole del cielo, nelle onde del mare, nel corpo della donna preferita. Di curve fatto tutto l'universo. L'universo curvo di Einstein". (O. Niemeyer)
L'impressione che quest'anelito di fusione con la natura non sia poi cos riuscito.
Abbiamo altri mezzi oggi, oltre alle superfici curve, per inserirci in uno spettacolo complesso, etereo e materiale al tempo stesso, sfuggente, cangiante, vibratile e liminare.
Unarchitettura interattiva sarebbe auspicabile in circostanze simili. Un dono che il paesaggio accolga, una struttura da innestare nel territorio predefinito e lasciar fiorire liberamente, evitando accuratamente ogni forma di rigetto, augurandosi anzi che il sistema naturale la inglobi presto, riconoscendola come una creatura propria.
Questo guscio, un po troppo solido e, se non in dimensioni, visivamente ingombrante, sembra contenere unastrazione tutta umana, un concetto estraneo al fluire locale dei luoghi, inteso sia come secrezione costruttiva spontanea, che come morphing soggettivo, variabile e perpetuo della percezione di uno spazio cos estremo.
Intanto vorrei indicare il sito in cui dovrebbe nascere questo progetto:
via della Repubblica, a 500 metri da Villa Rufolo, almeno dalle notizie on line si evince questa location.
Magari se qualcuno ha possibilit di andarci, potrebbe comunicarci le sue impressioni.
Cordiali Saluti
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Commento
590
di Ercole
del 20/01/2004
relativo all'articolo
New York the Gap
di
Gianluca Milesi e Aurelia Duplouich
Cosa realmente segnalare in questo libro? A New York non c' gran che in termini di architettura contemporanea, intesa come architettura colta e costruita e pochi sono i contributi, costruiti, al progresso del pensiero architettonico.
?????
Voi siete matti o vivete nella preistoria??? neppure uno degli utlimi dinosauri accademici dell'ultima facolt italiana riuscirebbe a pronunciare frasi simili...
vergognatevi
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20/1/2004 - la Redazione risponde a Ercole
Di cosa dovremmo vergognarci tutto da scoprire. Piuttosto, dovrebbe essere il firmatario di questo commento a vergognarsi, visto e considerato che non ha il coraggio di firmarsi con nome e cognome. Pubblichiamo il commento solo perch risulti ai lettori quanto inutili siano certi commenti e perch possano avere un esempio di come non si debba "commentare". L'uso improprio del linguaggio per insultare tipico dei vigliacchi, quale stato colui/lei che su newitalianblood ha scritto spacciandosi per Maria Luisa Palumbo. "Sapere" criticare un fatto culturale. Bando agli ignoranti, dunque.
Commento
586
di Paolo Marzano
del 17/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
A favore del progetto per l' Auditorium a Ravello di Oscar Niemeyer
Questo caso diverso, racconta non di un'architettura generata per richiamare l'attenzione, ma di un'architettura che completa un quadro generale d'esigenze umane. Qui non si 'decentra', non si 'decongestiona' non si 'restaura mummificando' non si 'decora scimmiottando', qui si creer l'architettura per il suo primo scopo. Realizzare un desiderio che da tempo esiste ed ha bisogno di concretizzarsi in un 'ambito variabile' un architettura prodotta, questa la cosa fondamentale, da una volont collettiva. Il produrre architettura come continuazione materica di funzioni umane derivate direttamente da pratiche artistiche. Quale migliore luogo d'intervento dove l'architettura stessa chiama per un architetto?
E allora quale migliore possibilit se non quella di realizzare il progetto che Oscar Niemeyer ha preparato per Ravello?
Se la preparazione del Parsifal, predispose Richard Wagner, nel suo viaggio in Italia, a riconoscere tra le bellezze paesaggistiche, ed in particolare quelle di villa Rufolo, il giardino magico di Klingsor, allora possiamo avere una leggera percezione di un luogo dove diventa logico far nascere interessi culturali. Infatti, da cinquant'anni a Ravello si celebra un Festival dedicato a Wagner. La presenza per buona parte dell'anno, di musicisti artisti intellettuali, ha generato pratiche 'indotte' di rispetto e osservazione attenta dell'ambiente circostante che ha acquisito un valore aggiunto di notevole spessore sociale. E' in atto a Ravello una verifica pratica di come un ambiente storico pu coinvolgere 'le arti' fino a trasformare elementi naturali in energie 'sensazionali' e 'relazionali' che esaltano l'ambiente paesaggistico senza il quale, chiaro, non sarebbe sucesso un bel niente.
La natura ha preparato uno scenario che l'uomo pu e deve comprendere, rispettare ma a maggior ragione, da questo possibile far nascere altre forme di attenzione per elementi che con la natura si compenetrano o ne sono la diretta continuazione, vedi la musica, l'arte, la ricerca di nuove forme d'espressione artistica e non ultima l'architettura. A chi ha qualche dubbio sull'inserimento dell'auditorium vada a indagare nella storia dell'architetto Oscar Niemeyer. Una vita colma di tante e tali realizzazioni di ricercata qualit e di lotta contro la megalomania dittatoriale sui popoli, da uscire indenne da qualunque ipotesi di accusa di 'rovinare' un paesaggio con le sue idee.
Quando parliamo di un grande architetto qual' Oscar Niemeyer, dobbiamo fare riferimento alla nostra onest intellettuale e stabilire cosa intendiamo in quel momento quando usiamo il temine 'opera d'arte'. Una volta stabilita una definizione, la useremo per capire la vita intensa e sempre d'alto livello del maestro. Una delle caratteristiche essenziali della sua vita, ci accorgeremo, riguarda proprio la ricerca dell'opera d'arte (mai architetto fu pi indicato, quindi, per Ravello). Certo, quando si tratta di progetti di opere pubbliche molto difficile creare un'opera d'arte, ma il maestro ha guardato soprattutto alle nuove esigenze che il corpo costruito, genera nella confluenza delle funzioni, delle forme e della materia del suo stesso ambito (il luogo), rispettando cos la continuazione dello spazio creato, con l'ambiente. L'architettura infatti deve sempre azzardare creando spazialmente eventi nuovi rispetto ad una trama 'funzionale' data, deve cercare secondo Niemeyier :" la bellezza, che la preoccupazione di un artista e lo scopo di qualsiasi opera d'arte. [] Una volta Le Corbusier mi disse che io avevo negli occhi le montagne di Rio. E' vero. Ma non solamente le montagne di Rio".
Notiamo come la sua architettura plasticamente si evolve in forme antigravitazionali moltiplicando sbalzi e sperimentando nuove gestualit materiche che, definire moderne, determinerebbe una regressione al senso qualitativo dell'opera di un'intera vita. Il suo approccio progettuale, di fronte al foglio. Testimonia il lavoro dell'architetto fatto di ricerca estenuante e continua capace di assorbire, maturare e mettere in pratica quei segni che derivano da una colta gestione emozionale delle forme e dello spazio 'attivo' che possono generare. Ecco perch il mestro 'evoca' pi che schizzi (numerosi), dei 'grafici' d'architettura, in cui le linee denotano poetiche assimilate, testimoniano la seriet della pratica costruttrice conseguente e la responsabilit di 'corpi architettonici' che occuperanno un spazio 'ritrovato' per la vita dell'uomo. Non un'architettura simbolica, ma una pratica che affranca lo spirito, sollecita la percezione stimola la mente che si lascia andare, seguendo profili alla scoperta linee sinuose organico-materiche. Il passo seguente gi spazio.
Dalle interviste al maestro chiara la sua dinamica d'intervento che lo vede ritornare pi volte agli schizz
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585
di Alberto Scarzella Mazzocchi
del 15/01/2004
relativo all'articolo
Villa Colli - Lettera a Pio Baldi
di
Mariopaolo Fadda
AntiTHeSi
Abbiamo letto con interesse la lettera di Mariopaolo Fadda a favore di Villa
Colli in particolare e dellarchitettura moderna in generale.
Ci piace ricordare come in occasione dellelaborazione della Legge sulla qualit architettonica abbiamo incontrato il Dr. Squitieri, capo di Gabinetto del Ministero dei Beni Culturali, per offrire il contributo del mondo libero-professionale alla stesura del testo e soprattutto per ricordare come, ad oggi, la Legge, pur prevedendo linserimento delle architetture moderne nellelenco dei beni vincolati a tutti gli effetti di legge, non ha ancora programmato regolamento, modalit e tempi.
La sottoscrizione a favore della Villa Colli, potrebbe favorire la sensibilizzazione degli estensori della Legge sulla qualit architettonica su questo tema, ricordando come solo dopo oltre quarantanni si avuto risposta positiva alla domanda di vincolare la casa progettata da Gardella a fronte del parco di Milano.
Cordialmente
Il Comitato Direttivo del Co.Di.Arch. Comitato per la Difesa degli interessi degli Architetti:
Tomaso Gray de Cristoforis, Giovanni Loy, Beniamino Rocca, Maristella Terzoli, Alberto Scarzella.
Originale lettera in formato pdf (~53Kb)
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584
di Emma Terri
del 15/01/2004
relativo all'articolo
Domus 866: il Solid sea e la Solid architecture
di
Paolo G.L. Ferrara
Spendo poche parole..per esprimere la mia approvazione.
Ero tra le persone curiose di vedere cosa avrebbe avuto di nuovo Domus e non sono rimasta delusa, anzi, stupita pagina dopo pagina...Interessante fin dalla copertina ..il numero un viaggio ben costruito..dove la presenza di Boeri si avverte subito.
Fa ben sperare.
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583
di Isabel Archer
del 15/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Mi spiace per la svista sul deserto delle mummie, che per me rimane comunque tale, non me ne voglia lamabile e illuminato Domenico De Masi.
Personalmente sono daccordo con Pierluigi Molteni: Possibile che nessuno degli autorevoli firmatari dell'appello non si sia chiesto se non fosse il caso di indire un concorso per un tema cos importante? Sarebbe stato doveroso.
Sempre augurandoci un concorso libero dagli strani arcasi nazionali, daltronde sarebbe sufficiente seguire le semplici e acute indicazioni di Beniamino Rocca.
LItalia un paese, comunque, nel quale chi non scettico fanatico: un paese dove non c posto per una saggezza costruttiva. (L. Quaroni, 1957).
Sono passati quasi 50 anni e sembra che non sia cambiato niente.
Quindi dopotutto comprendo la sua posizione, gentile Paolo G. L. Ferrara, ma pur vero che la critica deve essere parziale, appassionata, politica, vale a dire condotta da un punto di vista esclusivo, ma tale da aprire il pi ampio degli orizzonti (C. Baudelaire).
Cordiali saluti
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581
di Beniamino Rocca
del 12/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
L'ottimo Domenico De Masi potr anche perderla, temo, la sua battaglia per il bel progetto di Niemeyer a Ravello, ma le persone libere saranno sempre dalla sua parte.
Dalla parte del progresso, della modernit, della complessit e della civilt, di cui l'architettura sempre espressione vera.
Le associazioni ambientaliste -come Italia Nostra- che hanno la spudoratezza di scrivere a Ciampi, loro s, andrebbero sciolte; non un consiglio comunale democraticamente eletto!
Da decenni queste associazioni spacciano la loro "impotenza creativa" come "castit". Minacciano le istituzioni, mobilitano su stampa e tv, fondano partiti politici.
Dove erano i comunisti alla Vezio De Lucia, tutti attenti al rispetto delle leggi urbanistiche (e alla cultura dello standard, quando a Genova, alla met degli anni ottanta, la giuria presieduta da Paolo Portoghesi approv il deleterio progetto del teatro Carlo (in)Felice: di 15 metri pi alto di quanto consentito dal PRG?
E le associazioni ambientaliste? e Italia Nostra? e il mondo accademico cosa hanno fatto? Oltre che illegale, quel progetto era anche il pi caro!
E' davvero ora di finirla con "l'avanguardia dei gamberi" con la consolante e tranquillizzante logica del gi conosciuto, del pittoresco; insomma, della mediocrit sempre vincente perch non disturba.
Quando capiranno la lezione wrightiana che "...il cambiamento l'unica costante del paesaggio"?
In architettura, cos come nell'arte "Senza lacerazione e senza rottura non c' bellezza" (Chambas).
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582
di Carlo Sarno
del 12/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
"...E' evidente che una cultura organica , nel suo sforzo di dare una base e una storia all'uomo moderno disperso e senza radici e di integrare le esigenze individuali e sociali che si presentano oggi in forma di antitesi tra libert e pianificazione , cultura e pratica , rivolgendosi al passato , e specificamente alla storia dell'architettura , non pu usare due diversi metri di giudizio per l'architettura moderna e per quella tradizionale . Noi avremo fatto un deciso passo avanti nel cammino di questa cultura - organica - , quando saremo capaci di adottare gli stessi criteri valutativi per l'architettura contemporanea e per quella che fu edificata nei secoli che ci precedono ... ". Bruno Zevi , Saper vedere l'architettura .
Grazie Paolo per la tua sensibilit critica , un grazie anche a Beniamino per la sua passione per una architettura vivente , ed un grazie specialmente ad Oscar che ha donato all'Italia un altro suo preziosissimo fiore!
Cordialmente Carlo
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580
di Pierluigi Molteni
del 11/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Fatto salvo anche per me il cappello del precedente commento, e quindi assoluto accordo sul giudizio per le patetiche esternazioni di Sgarbi (che ormai si commentano da sole), sull'assurda prevenzione generalizzata nei confronti delle opere di architettura, sull'impegno ed il prestigio di quanti sono scesi in campo in quest'occasione, mi sembra per si stia perdendo di vista l'oggetto stesso di tanto impegno. Come al solito le crociate ideologiche fanno spesso piazza pulita di tutte le considerazioni intermedie che servono ad arricchire e ad approfondire l'approccio ai temi. Non vorrei essere preso per passatista (tra l'altro mi sembrava ormai fuori moda la disputa tra moderni vs. resto del mondo) ma mi sembrano francamente manichei tutti quei ragionamenti per cui chi contro questo progetto contro l'architettura moderna. Possibile che nessuno degli autorevoli firmatari dell'appello non si sia chiesto se non fosse il caso di indire un concorso per un tema cos importante? Tra l'altro sarebbe anche servito per affinare una cultura architettonica locale (parlo dell'amministrazione pubblica di ravello) che rimasta ferma al pur prestigioso architetto brasiliano: nel frattempo ne passata dell'acqua sotto i ponti, anche per quanto riguarda l'attenzione dell'architettura contemporanea per l'inserimento in contesti storici o di pregio ambientale. Siamo sicuri che questa bella scultura si inserisca con la dovuta attenzione all'interno del paesaggio (nel sito non c' alcuna ambientazione che ne consenta una serena valutazione)? Siamo sicuri, all'alba del 2004, che la vera esigenza di Ravello, massacrata, come si legge nel sito della fondazione, da tante brutte architetture, sia un segno forte (siamo ancora a questo punto)? possibile che, all'alba del 2004, si senta ancora l'opportunit di "aggiungere" piuttosto che "togliere"?
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579
di Isabel Archer
del 11/01/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Premesso:
1) che condivido pienamente le riflessioni di Paolo G. L. Ferrara sullabusivismo, sullassurda burocrazia e sulle beghe bizantine e massoniche della politica italiana;
2) che se ci fosse da sottoscrivere un ulteriore documento a favore della costruzione dellAuditorium di Niemeyer lo farei subito, quanto meno per scegliere il male minore, di fronte allopportunismo del guadagno personale contrapposto al bene di una comunit;
3) che ovviamente preferisco lopera di un grande architetto allennesimo triste scheletro di cemento che vediamo spuntare in ogni luogo dItalia , proprio sul pi bello, mentre ci stiamo godendo la scoperta di nuovi squarci di paesaggio.
Premesso tutto questo, devo dire, per, che proprio non capisco perch unopera che voglia discretamente inserirsi in un contesto prezioso debba per forza essere un riferimento visivo per chiunque guarder Ravello da lontano, perch questo desiderio di occupare il territorio degno delluomo di neanderthal?
Non sarebbe stato meglio affidarsi ad unarchitettura pi trasparente, pi aperta, meno strutturale, meno bianca, meno compatta? Uninsieme che contenesse in s i principi stessi della natura, che si lasciasse attraversare dai flussi di luce, di azzurro, di verde, di tempo atmosferico, fino a diventare quasi invisibile. Un organismo costruito che rispondesse agli stimoli esterni, che interagisse con lambiente circostante. Intervenendo in un sito cos unico sarebbe stato doveroso adottare criteri altrettanto unici, disegnati su misura, flessibili al punto tale da farsi parte stessa dellambiente. Un gesto artistico non sufficiente.
Si parla tanto male di Gehry e delle sue lamine di titanio, ma almeno esse sanno riflettere quello che le circonda. E poi perch questa nuova creazione dovrebbe essere meglio della chiesa di Meier?
Ma dico io, con tutto il rispetto per Niemeyer, per De Masi e per le loro intenzioni sicuramente pi che illuminate, ma proprio un architetto che li dimostra tutti i suoi 95 anni bisognava andare a scomodare oltreoceano? Con tutte le sperimentazioni davanguardia interessantissime che abbiamo a disposizione oggi nellarchitettura, con tutte le figure emergenti e le giovani promesse del mondo architettonico.
Perch non scegliere Bernhard Franken o Farshid Moussavi e Alejandro Zaera-Polo?
E poi, gentile Paolo G. L. Ferrara, perch citare Gli esperti pi autorevoli (da De Seta a Fuksas, da Portoghesi a Pagliara e a Rosi)? Ma cos, il deserto delle mummie?
Mi scusi ma non riuscivo a tenermela dentro questa e ripeto, tutto ci che ho espresso in questo post vuole essere comunicato allinsegna del profondo rispetto per tutte le persone coinvolte e per la dimensione di singolarissima bellezza del luogo interessato dalle vicende di cui discutiamo. Spero di non essermi lasciata trascinare dalla passione e di aver usato un linguaggio adeguato.
Cordiali saluti
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11/1/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Isabel Archer
Non sono volutamente entrato nel merito dell'architettura di Niemeyer a livello linguistico. M'interessava affrontare un argomento che "conditio sine qua non" affinch si possa poi entrare nel merito proprio dell'architettura: che l'architettura contemporanea trovi spazio anche in Italia.
La situazione di allarme rosso, e ne siamo tutti consapevoli. Finch continueremo a "non costruire" sar difficilissimo educare l'utenza alla qualit dell'architettura moderna e contemporanea.
Personalmente, mi del tutto indifferente che il progetto sia di Niemeyer, o di Meier, o di Tschumi, o di Gehry, o di Nouvel, o di Piano, etc. Importante che non sia di Grassi, Gregotti, Aulenti, Bofill, Purini, Krier, Zermani, etc.
"Gli esperti pi autorevoli" li cita De Masi. Ne avrebbe potuti citare altrettanti.
cordialit
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578
di Pierluigi Di Baccio
del 10/01/2004
relativo all'articolo
La Carta del Restauro
di
Vilma Torselli
Cara Vilma Torselli,
a parte il fatto che, per esser precisi, io ho usato il termine "ripristino" filologico, il problema che lei d per scontata e universalmente accolta l'assimilazione del concetto di restauro a quello di conservazione.
Si tratta d'altronde dell'equivoco tutto italiano del cosiddetto restauro conservativo che raprresenta in realt un vero e proprio ossimoro.
Il concetto vero di restauro, etimologicamente corretto, si porta dietro una componente di progettualit e innovazione rappresentata dal ri-nnovare, ri-fare, ri-portare in vita....insomma uno sguardo volto a ricomporre lo iato generatosi fra passato e futuro nel momento in cui un edificio ha perso nel corso del tempo la sua integrit fisica, strutturale, funzionale, artistico-formale e noi ci proponiamo di ricomporla.
Conservare e basta rappresenta nel migliore dei casi una abdicazione, una rinuncia a restituire all'oggetto che abbiamo di fronte la sua identit piena, la capacit di vivere nel presente e non solo come lacerto o rovina.
Restaurare filologicamente significa, ad esempio di fronte a edifici gravemente danneggiati da eventi tragici, decidere di ricostruire non solo la materia ma anche la forma, che poi carattere indissolubile della prima, che ne costituivano l'essenza. Si tratta di una scelta, attuabile ovviamente solo laddove si hanno tutte le informazioni necessarie allo scopo: sta qui la filologicit della cosa, nel non procedere per arbitrio ma solo se supportati da adeguata documentazione. Altrimenti, se, come intende lei, restauro solo conservazione di ci che rimasto, che bisogno c' di aggiungere l'aggettivo "filologico"?
Opporsi al ripristino filologico del testo architettonico, come fanno i sostenitori del sedicente restauro conservativo, significa quasi stabilire l'intangibilit del testo deturpato, in una visione parossistica del concetto di architettura come organismo vivente e della sovrapposizione/sedimentazione storica.
L'abdicazione, la rinuncia alla scelta progettuale di ri-costruire significa dare dignit alla deturpazione come momento evolutivo dell'organismo architettonico, in un circolo vizioso che finisce di fatto per ammettere la possibilit di operare anche con ulteriori manomissioni!
Sta tutta qui la contraddizione di chi partendo da propositi conservativi finisce per dire, fra il serio e il faceto, che una manutenzione ordinaria mancata entra a far parte della storia del manufatto, della sua stratificazione storica, e quindi non lecito rimuoverne gli effetti e ripristinare lo stato originario (Dezzi Bardeschi).
Tutti i commenti di Pierluigi Di Baccio
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10/1/2004 - Vilma Torselli risponde a Pierluigi Di Baccio
"Gli antichi avevano su di noi un grande vantaggio. Gli antichi non avevano niente di antico" - (Denis Diderot)
Vede, egregio Di Baccio, credo che lei ed io potremmo andare avanti per pagine e pagine in un nostro personale dibattito su restauro, ristauro, ripristino conservativo o filologico, scuola di Roma o scuola di Milano, Marconi o Dezzi Bardeschi ecc. ecc. ecc. finendo probabilmente per annoiare a morte eventuali lettori.
Perci le voglio sottoporre alcune considerazioni, non mie, dalle quali, ne sono quasi certa, non potr dissentire.
Scrive Antonio Paolucci (laurea in storia dell'arte, dirigente del Ministero per i Beni e le Attivit Culturali, Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Firenze, Prato e Pistoia) :"[]Ogni restauro - ogni restauro moderno intendo dire - deve essere filologico non potrebbe essere diversamente. Filologico deriva da philos, ossia "amico" della realt fattuale dell'opera d'arte, quindi un restauro che deve rispettare l'identit stilistica e materica di quell'opera. Questo il restauro filologico. Ora, ci pu essere un restauro filologico devastante, quando la filologia portata alle estreme conseguenze [] la conservazione dell'immagine nella sua completezza un valore che non filologico nel senso stretto della parola, piuttosto storico: quindi la filologia deve sempre misurarsi con la storia, con le cose che si sono succedute nei secoli e, soprattutto, deve misurarsi anche con gli occhi di chi guarda []".
Paolo Marconi, circoscrivendo di fatto le sue teorie interventiste ai soli casi ineccepibilmente documentati, riferendosi comunque ad ampie ricostruzioni e non a totali rifacimenti, afferma "Bisogna pensare allarchitettura come a una lingua. Lintervento sullantico si somiglia nei due casi. Se io sono un filologo classico e mi trovo di fronte a un brano di Cicerone mancante di una parte nella met, sono di fatto obbligato a ripristinarlo: a patto che conosca bene quella lingua".
Bruno Zanardi, dell'Universit di Urbino, allievo di Federico Zeri e Giovanni Urbani, scrive sul Corriere della Sera: "Attenzione perch leffetto Disneyland pu incombere su di noi. Va bene l abbandono dei restauri fin troppo "filologici". Ma non perdiamo mai di vista Brandi. Ed evitiamo diversi eccessi".
Come vede, la definizione del termine "filologico" ha in realt, attualmente un significato pi sfaccettato e meno letterale di quello che lei sembra attribuirle, cos come l'aggettivo "conservativo" si inquadra in quel concetto di programmazione del recupero dei monumenti che rappresenta un nuovo atteggiamento culturale del nostro paese, accolto anche in una proposta di legge (n: 5534, 20 giugno 2000).
Sono considerazioni (molte altre ne potrei riportare) che, mentre ampliano e rendono pi flessibile la chiave di lettura di teorie e regole che si devono adattare ai tempi, e non viceversa, ci inducono a meditare sulla centralit dell'uomo, dell'individuo nella sua esseit, o anzi nella sua asseit, per usare un elegante termine coniato da Mario Costa, professore di estetica, a sottolineare che ogni uomo diverso da un altro (ed ogni architetto pi diverso).
E l'uomo (architetto compreso) non teoria o regola, memoria, conoscenza, esperienza, sensibilit, buon senso e buon gusto, un insieme eterogeneo che si chiama "cultura", la quale, come per don Abbondio il coraggio, uno non se la pu dare, deve averla di suo.
Ed alcuni non ce l'hanno.
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577
di Falconh Viviana
del 09/01/2004
relativo all'articolo
Che sta succedendo? Ma che Storia questa?
di
Paolo G.L. Ferrara
...io credo che che le ragioni ipotizzate da Paolo Ferrara su tale silenzio non centrino la questione come dovrebbero.
Penso che ben piu' gravemente molta di questa gente (fatta esclusione di chi senza colpa ha taciuto) sia cosi' ostinatamente convinta di aver concluso la propria ricerca, da non abbisognare di ulteriori approfondimenti; peggio, molto peggio, alcuni di questi non hanno mai fatto ricerca, tutti forse, hanno assunto le verita' di qualcuno piu' in gamba di loro, e ne hanno fatto proprio stendardo.
Ecco nata l'accademia.
Il problema, Ferrara, e' che ad inveire a tutti gli imbecilli che sputano al cielo si rischia di restare vittime della forza gravitazionale.
Forse (e' quasi piu' un invito che una riflessione) bisognerebbe che tutti coloro che sognano un cambiamento si costituiscano in massoneria: dal basso, e' piu' facile minarne le fondamenta.
Tutti i commenti di Falconh Viviana
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576
di Isabel Archer
del 09/01/2004
relativo all'articolo
La Carta del Restauro
di
Vilma Torselli
Dal "com'era dov'era" all' "abbattiamo tutto" non se ne pu pi di leggere sciocchezze.
Dalla PresS/Tletter n.2 - 2004
http://www.prestinenza.it/
Stefano Casciani wrote:
"Stanno toccando il fondo gli esaltatori della preesistenza, i difensori dell'anticaglia, i commentatori gattopardeschi: come l'incauto che sulla Repubblica del 6 gennaio ha gioito in un lungo articolo per il ritrovamento delle solite quattro carabattole romane durante i coraggiosi scavi per la Metropolitana di Napoli, nei pressi del Maschio Angioino. Mentre arrivano le ultime foto dal Pianeta Marte, vogliamo farci venire un orgasmo per l'ennesimo accumulo di cianfrusaglie che stopper, probabilmente all'infinito, un altro piccolissimo passo per la modernizzazione di una grande citt (che dopotutto si chiamava proprio Citt Nuova), per finire poi scaraventato in qualche buio magazzino dellaSovrintendenza? "
Non si comprende l'arroganza di questo modo di esprimersi.
Perfino i replicanti di blade runner portavano con s foto fasulle che rappresentassero i propri ricordi.
Questo disprezzo per la memoria perpetuato nelle forme pi varie inamissibile.
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574
di Falconh Viviana
del 09/01/2004
relativo all'articolo
Gli ultr di Zevi
di
Paolo G.L. Ferrara
Certamente lei ha ragione, Zevi va onorato portandone l'apertura mentale come proprio codice genetico, in modo propositivo, concretamente, nel progetto e nel confronto dialettico...ma credo che uno striscione (che non ho visto) non possa turbare o dispiacere al Maestro, anzi credo che come il titolo sula copertina di un libro, esso rappresenti e parli gia' tanto del contenuto.
due parole su un lenzuolo possono avere la forza di un'atomica, nel tempio del silenzio.
Questa non mi sembra idolatria, non mi sembra affronto.
Delle volte e' l'unico modo per far sapere a chi si tiene stretto il microfono che anche se non c'e' una sola voce contro non ha piu' la sua ''maggioranza''.
La lotta e' fatta anche di marce pacifiste, ed io mi sarei emozionata.
Tutti i commenti di Falconh Viviana
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573
di Pierluigi Di Baccio
del 08/01/2004
relativo all'articolo
La Carta del Restauro
di
Vilma Torselli
Se posso, solo una nota. Credo che stavolta Vilma Torselli potesse risparmiarsi la reprimenda al fu Rossi riguardo all'affaire Fenice. D'altronde non capisco come non se n'accorga ma ella stessa cita un'intervista allo stesso Rossi da cui si evince chiaramente che la scelta del ripristino filologico degli interni (il cosiddetto "scempio") non compete a lui ma fu una richiesta esplicita e vincolante del committente!
Se si vuole attaccare Rossi, un suggerimento: si guardino piuttosto gli abomini funzional-distributivi del teatro Carlo Felice a Genova....
Tutti i commenti di Pierluigi Di Baccio
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8/1/2004 - Vilma Torselli risponde a Pierluigi Di Baccio
Egregio Di Baccio,
Innanzi tutto un consiglio: acquisire una corretta dizione del termine "restauro filologico", altrimenti rischiamo di portare avanti un dialogo tra sordi.
Perch ben altra cosa da una integrale ricostruzione in falso stile originale (ci che stato fatto), quando magari un vero restauro filologico si poteva forse fare limitatamente ad alcune parti della struttura scampata all'incendio (credo fosse questa l'intenzione del bando), senza mascherare da citazioni gli interventi nuovi ed avendo il coraggio di progettare nei termini di una modernit libera e creativa.
E' vero, il fu Rossi dichiara che il rifacimento filologico paradossale perch un vincolo non rispettabile, ed infatti non lo fa: avrebbe dovuto limitarsi a questo.
Lei dice "non compete a lui", e a chi, scusi? Deontologia vuole che se un committente ti chiede la luna, tu o riesci a fargli capire che non edificabile, o rinunci a dargliela, o gli dai un falso che lo accontenti, la scelta tra le tre opzioni personale, Aldo Rossi ha fatto la sua.
Infine, ho voluto riallacciarmi alla Fenice ed alla polemica pi recente poich l'attualit mi pareva pi degna di interesse sia per me che ne scrivevo sia per i lettori, non volevo scrivere del Carlo Felice, altrimenti avrei scritto del Carlo Felice.
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572
di Giampiero Freschi
del 08/01/2004
relativo all'articolo
Design, Arte? Moda?
di
Gianni Marcarino
Caro Sandro,
chi ti scrive un giova studente in design presso l'Isia di Roma, specifico il mio istituto per meglio introdurre il mio commento
visto che quest'ultimo si pone come spazio totalmente rivolto
al design senza un apparente collegamento all'architettura, o
pi esattamente (per evitare fraintendimenti) lontano da altre
esperienze didattiche dove design solo una parola che intende
un esame o un indirizzo all'interno di un contenitore dove valori "altri"
sono gi stati posti.
Dico questo perch al commento a cui rispondo l'ultimo concetto
da cui voglio inominciare per dare una risposta (o pi maliziosamente
porre interogativi).
Tu sostieni che forse inutile chiedersi che cos' la sostanza del design
se solo il sistema produttivo rimane ad assolvere questo compito.
Ora credo che dovremmo porre molta attenzione a questa affermazione. Senza cercare definizioni assiomatiche che dispiegano la tavola dei valori del design, possiamo affermare con buona pace di molti (la mia compresa) che senza sistema produttivo, senza l'industria non si d design. Questo non significa negare esperienze distanti dalla macchina, la mia affermazione circoscrive piuttosto l'elemento storico in cui si d design. Il design nasce dall'incontro di diverse esperienze con la macchina produttiva. Quindi spero che la tua affermazione non intenda riferirsi ad un presunto conflitto tra il profitto/razionalit industriale vs. ricerca individuale/creazione di linguaggio, poich piuttosto che un conflitto questo un confronto dialettico il cui prodotto il design stesso.
Detto ci, sebbene non ami il minimal dobbiamo fare attenzione nel parlarne; riprendendo quanto detto sopra ne segue che il progetto/prodotto la definizione stessa del design (quindi sar sempre relativa ma anche democratica), insomma il design non si definisce semplicemente si afferma. Dico questo poich sarebbe pi interessante parlare di quel tavolo minimal o di quella sedia minimal piuttosto che del minimal. In tal modo potremmo speculare sull'esperienza minimale e scoprire che se una libreria minimale produce una sintesi perfetta tra la sua forma e la sua funzione tale situazione non si riscontra in quella sedia minimale e via dicendo...
Traendo le mie conclusioni voglio intendere che dobbiamo distinguere tra prodotto e immagine del prodotto poich corriamo il rischio di addentrarci in una sterile speculazione stilistica con l'unico risultato di allontanarci dal design.
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571
di Emma Terri
del 05/01/2004
relativo all'articolo
Domus cambia. Vedremo come...
di
Paolo G.L. Ferrara
Stefano Boeri stato un mio professore e devo a lui ed ai suoi collaboratori tutto l'entusiasmo che porto sempre con me.
Ho avuto l'onore di seguire le sue lezioni e le conferenze alla Triennale di Milano "Multiplicity"...dopo di che l'ho segituo sempre ..grazie ad internet a rai satArt e alle riviste.
E' sempre stato molto impegnato su vari fronti...critica, studio, architettura, amministarazioni pubbliche, urbanistica e arte; spero possa dare a Domus quel qualcosa in + che ormai le riviste del settore hanno perso nella concorrenza con i siti web.
Tutti i commenti di Emma Terri
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5/1/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Emma Terri
Ho avuto modo di conoscere e parlare con Boeri, per poco tempo, su di un treno. Le idee per Domus mi sembrano fresche, foriere di novit. E' ovvio che ce lo auguriamo tutti noi che auspichiamo riviste che riportino il tema del dibattitto culturale alla posizione centrale che gli compete. L'impressione pi positiva va oltre la preparazione culturale e professionale: credo che Boeri abbia compreso perfettamente il significato del ruolo che riveste quale direttore di Domus e sapr comprendere appieno chi gli star intorno per dare un contributo positivo e chi, viceversa, lo far solo per averne vantaggi personali. Questa la chiave.
Commento 858 di Angelo Errico
del 26/12/2004
relativo all'articolo Eisenman Terragni
di Antonino Saggio
Per lamor di Dio! Non ho alcun livore per Eisenman. Se ho dato limpressione di essere un delatore di questillustre architetto che da me non ha nulla da imparare come nulla ha da condividere la redazione di Antithesi sul mio accolto commento scritto (che ringrazio), oltre ad Eisenmann posso augurare quel vuoto di memoria ad altri illustri professionisti, della caratura per esempio di Zaha Hadid, Coop Himmelblau, Richard Meyer, o citando nel mucchio per par condicio, glitaliani Gae Aulenti, Gardella jr., Vittoriano Vigan.
Poi nessuno vieta a chiunque di esprimersi liberamente e di catechizzare lumanit con le proprie opere e gli scritti lasciati in eredit.
Il confronto con la storia un sacrosanto principio. Eisenmann lo ha fatto con Terragni questo confronto, con la sua (di Terragni) memoria, con il suo (di Terragni) insegnamento. La nobilt di Eisenmann non si nega.
No. Non approfondisco come la redazione chiede e vorrebbe; per rispetto anche agli altri protagonisti della comunicazione architettonica citati. Sterilit, sar il mio pensiero. Pu essere. Perch dover dire sempre quello che interessa gli altri? Accetto di essere microscopico. Palesemente sterile. Non sono le mie considerazioni che Eisenmann attende nella casella della posta. Perch allora la redazione infierisce su di me? E la storia abile di sempre, di chi fa comunicazione e informazione. Sui viventi non ammesso opinare. Sui morti non ammesso interrogare gli assenti.
Mi rimangio tutto. Eisenmann un grande, in tutti i sensi. Ha scritto troppo poco. E per quel poco, non valorizzato. Limportanza e la valenza di Eisenman non hanno trovato ancora la giusta dimensione del riconoscimento, saranno solo gli anni e il tempo a dirlo. Lo penso per davvero
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