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Ci sono 9 commenti relativi a questo articolo

Commento 318 di Vilma Torselli del 30/04/2003


Scusate il disturbo, ben conoscendo il rischio che corre chi si frappone tra due litiganti mi inserisco in un duello che Paolo Ferrara, con la tranciante conclusivit che lo distingue, chiude con un secco: Aspettiamo una Sua replica., eufemismo che lascia leggere tra le righe : Ci troviamo fuori, cos ce la vediamo tra noi...
Si tratta di un duello fortunatamente virtuale, e si sa che di mouse non mai morto nessuno, in cui mi pare che il gusto della dialettica prenda talmente la mano da delineare una polemica anche dove non c disaccordo: su Borromini, per esempio, dove lei, Ferrara, parla di contenuto, e Di Petta di mezzo, che, come si sa, sono le due seppur diverse facce della stessa medaglia.
Non voglio si pensi che io prenda le difese del povero Rosario Di Petta, certamente pi che in grado di difendersi da solo ed al quale il mio povero vuole esprimere non gi pietismo, ma sim-patia.
Perch forse, Paolo Ferrara, Rosario Di Petta , come me e probabilmente tanti altri architetti, ama credere che larchitettura possa scrivere la storia dellumanit, non con le parole, ma con la pietra, i mattoni, il legno, e che per questo debba raccontare la storia degli uomini, e non quella di un uomo solo, per quanto grande, si chiami Frank O. Gehry o Zaha Hadid o Daniel Libeskind o Coop Himmelblau o Rem Koolhaas, che esprima se stesso.
Parlare di stili, o di tipologie, o di codici o di "quel patrimonio culturale millenario che costituisce il grande libro dellarchitettura" pu sembrare anacronistico e demagogico in una societ multietnica e pluralistica come quella di oggi, in cui la contaminazione culturale ha cancellato il valore identitario della tradizione di popoli e nazioni, ma forse non proprio cos, se ancora oggi la diversit di stile tra un tempio dorico ed uno ionico ci racconta la differenza tra due etnie, luna pragmatica e laltra sottilmente intellettuale, o se una tipologia, per esempio il broletto nelle citt del norditalia, testimonia ancora oggi con la sua sola presenza unesperienza sociale e politica unica e circoscritta risalente ai tempi di Federico Barbarossa e ne racconta la storia.
Larchitettura parla, ma deve parlare un linguaggio universale, se vuole farsi capire.
Oggi, per fare un esempio, la 'Sagrada Familia' ricorda a tutti Antonio Gaud, un genio dellespressionismo, anche a chi non sa cosa sia il Modernismo catalano, che fortunatamente storicamente rappresentato da altri, da Picasso, da Dal, da Mir, che hanno sviluppato un discorso pi sfaccettato ed aperto: insomma, il mio timore che fra cento anni il museo di Bilbao possa diventare uno splendido monumento a Frank O. Gehry, lacuto di uno dei tanti solisti dellarchitettura che sono riusciti a cantare certamente per capacit, e poi per favore delle circostanze, opportunit, fortuna di essere nel posto giusto al momento giusto (sono architetto, certo parlo anche per invidia, spero, Paolo Ferrara, che apprezzi la mia onest).
So di aver espresso un concetto non molto originale, ci hanno gi pensato William Morris e le Arts and Crafts, e so anche che non c, oggi, una prospettiva storica sufficientemente ampia sotto la quale valutare correttamente il decostruttivismo o altri movimenti contemporanei, ma credo che larchitettura possa e debba accogliere una coralit di significati che vadano oltre le posizioni individualistiche, riconoscendo allarchitetto il compito e al capacit di individuare quelli archetipici e tradurli in pietra, mattoni, legno, per raccontare la storia di tutti noi a quanti verranno.
Aspetto a pi fermo eventuali strali e tolgo il disturbo

Vilma Torselli

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Commento 319 di Rosario Di Petta del 30/04/2003


Larchitettura, lascolto, linvidia
Larticolo pubblicato su Newitalianblood.it esprime il mio punto di vista sullarchitettura. Paolo Ferrara, come altri fedelissimi seguaci zeviani, ovviamente non condivide una virgola di quanto da me scritto! Quello a cui mi riferivo riguarda alcuni recenti esiti progettuali degli architetti citati (Progetti per il Concorso Museo Confluenze a Lione di Coop Himmelblau e di Eisenman ad esempio).
Anche se il sottoscritto predilige il riposo della forma, va detto altres che riesce comunque ad emozionarsi dinanzi al movimento di Santiago Calatrava, ritenendolo maggiormente degno di interesse rispetto a quello concitato e rumoroso di Gehry!
Ci sono in Italia molto bravi architetti (Purini, Anselmi, Cellini, Venezia) che non hanno nulla da imparare da Hadid o Libeskind, ma purtroppo una critica invidiosa ed esterofila (come quella che esercita Lei ad esempio) fa si che i Gehry e gli Eisenman siano delle star internazionali, a discapito dei migliori talenti nostrani.
Larchitettura, caro Ferrara, non solo spazio ma anche ascolto paziente e radici profonde.
Forse sono soprattutto questi gli ingrediendi per regalare una nuova bellezza alle nostre citt!

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30/4/2003 - Paolo GL Ferrara risponde a Rosario Di Petta

...ci risiamo... con le definizioni senza costrutto...:"[...]Anche se il sottoscritto predilige il riposo della forma, va detto altres che riesce comunque ad emozionarsi dinanzi al movimento di Santiago Calatrava, ritenendolo maggiormente degno di interesse rispetto a quello concitato e rumoroso di Gehry!".
E ci risiamo anche con le solite questioni dell'invidia: ma davvero crede che Eisenman e Gehry siano famosi...grazie al mio appoggio critico?!!...e che, soprattutto, tutto ci sia finalizzato a danno di Purini & C.?
Suvvia, non rendiamoci ridicoli: Lei mi attribuisce capacit e poteri che non ho e che mai sogner di arrogarmi, ben conoscendo i miei limiti.
Facciamo cos: Lei continui pure ad "ascoltare pazientemente"; io ad ascoltare rumorosamete.
Nel frattempo, riflettiamo entrambi sul commento (318) di Vilma Torselli che, pur non volendoLa difendere, lo ha fatto...e bene. La ringrazi.
cordialit

 

Commento 320 di Gianni Marcarino del 05/01/2003


Riferimento al commento n318
Gentilissima Vilma Torselli,
ho letto con interesse il Suo commento numero 318.
Mentre scrivo penso che gi citare il numero 318 determina qualcosa di oggettivo, non soggettivo.
Tuttavia sufficiente per definire qualcosa di veramente condiviso?
Il rischio quello di cercare, oggi, a priori, con la ragione e con la memoria un qualcosa che sia simbolo di tutti noi e fissare gli archetipi che in qualche modo devono rappresentarci. Chi li fissa oggi per noi? La deriva estrema di questo atteggiamento il regime; quando sono pochi coloro i quali decidono i simboli e le opere meritevoli di essere costruite , od abbattute. Il regime hitleriano, per riunire le coscienze dei tedeschi, cerc con ogni mezzo di definire la comune cultura del popolo germanico, attraverso le immagini unificanti della storia e della natura.
Verso quale fine.......La condivisione come difesa del branco ,come forza,come potenza.
Il nostro passato fatto di oligarchie, tirannie, lutti.....potenza.
Certamente l'individualismo, quando attualit, anche narcisismo, urlo, solitudine. Occorre farlo maturare e giudicare poi se l'autore ha colto pi di altri lo spirito del proprio tempo, le gioie e le paure di un'epoca......come nell'arte.
Ma se dovessimo trovare una cifra dell'oggi, essa forse sta proprio nella babele di solitudini, perse nel mare della comunicazione globale. Quale pietra, legno, mattone..plastica, oggi ci rappresenti, come si pu dire? Tra cento anni forse sar obsoleta anche la domanda, forse il bisogno di senso comune che ci ha reso comunit, si trasformer in qualcosa di diverso, di meno durevole, di non eterno......mutevole e complesso allo stesso tempo.

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Commento 321 di Rosario Di Petta del 05/01/2003


Ringrazio la collega perch un architetto dotato di sensibilit.
La stessa qualit sembra mancare a chi propone critiche gratuite ed infondate, purch siano in antitesi (con o senza h)...
A presto,
Rosario Di Petta

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5/1/2003 - Paolo GL Ferrara risponde a Rosario Di Petta

Peccato che Lei non sappia andare oltre il definire le mie critiche "gratuite ed infondate". Mi aspettavo che le avrebbe confutate con argomentazioni ben pù forti. Ma, in fondo, la Scuola a cui fa riferimento (Purini in primis), ha sempre scacciato malamente chiunque muovesse loro critiche, vanificando in larga parte le riconosciute potenzialità (vista la statura dei personaggi) che potrebbero dare al dibattito architettonico attuale, fossilizzandosi su posizioni intransigenti, ed autoescludendosi dal dibattito internazionale.



 

Commento 323 di Fausto D'organ del 05/01/2003


[arche-tipi stereo-tipi e...]
Semplifichiamo: l'archetipo il "primo esemplare", il "modello"; se preferite, l'essenza sostanziale infusa nell'inconscio collettivo che raggruma tutte le esperienze "del prima", e si manifesta come immagine primordiale ed elemento simbolico negli eventi "del poi"... dunque: sperare nella coagulazione di nuovi archetipi, che ci salvino dalle derive, a dir poco ingenuo! la deriva ci serve; essa ci sta dando aria diversa con cui respirare speranza; essa ci fa barcollare e ci devia, le "passeggiate architettoniche" sono terminate da un pezzo: ora si corre, si sbanda, si va fuori strada e si scoprono nuovi sentieri, percorsi e abbandonati in un istante; il flusso aperto da ogni lato e tutto imbevuto di scoperte eclatanti e silenziose, immense e piccole; non c' tempo per fermarsi a impacchettare "modelli" universali: nessuno, che io sappia, si arrischia a imbalsamare i fragorosi progettisti da voi citati, marchiandoli col timbro di consegna celere alla storia; la storia appena cominciata, e se a molti l'imprevista durata di questo tumultuoso preludio (una trentina d'anni o poco pi), procura senso di insicurezza e mancanza di "epidermiche certezze" alle quali attaccarsi per svolgere professioni parassite e appassite... beh! a costoro, penso, si possa dire soltanto - resistete, finch potrete; presto il vostro supplizio si annacquer - al di l di questi male abbozzati proclami rivoluzionari c' solo un punto da chiarire: ad oggi, nessuna opera architettonica con una quarantina d'anni nelle membra pu essere ritenuta "archetipo" della nostra societ, ad oggi, nessun progettista con una sessantina d'anni nelle membra pu essere ritenuto origine di formulazioni archetipe; perch ci si vuole a tutti i costi convincere della necessit di approntare la ricerca di "modelli" con cui andare avanti? avanti dove, poi!? io non sento bisogno di "modelli", ed io mi disperdo in un mare di menti che non hanno bisogno di "modelli", e se gli acclamati progettisti da voi citati vengono (forse) scoperti a "sbagliare", ad inrinarsi nei rapidi movimenti della loro corsa... bene! siamo tutti contenti per costoro: liberi da responsabilit verso una societ (fantasma) bisognosa di punti fermi, loro e noi altri, si continua a correre, a scoprire, a sbagliare, a recuperare terreno sul futuro in ristagno da un'ottantina d'anni! e poi, diciamocelo chiaramente, nel clima polemico che ci sorbiamo da tempo, la parola "archetipo" non viene certo presentata sul piatto d'argento: piuttosto la si confonde facilmente con quella di "stereotipo"... riduzione impoverita e vaga del nostro insieme di esperienze visive, tattili, in una parola, sensibili; forse non sono il solo a percepire la snaturata tendenza di alcuni a camuffare sotto sperati "modelli" altrettante anelate "forme convenzionali" da suggerire ed imporre "contro" ogni scelta personale; forse non sono il solo a percepire la voglia di alcuni (ancora troppi) di voler ripartire da statiche immagini mentali, astrattezze di pietra fissate nell'anima e non messe mai in discussione, roba dal significato immediato, la cui applicazione implica scarso lavoro di attenzione, di osservazione o di esercizio dell'occhio, della memoria e del cuore... molti "pigroni" vorrebbero ricominciare a "passeggiare in economia mentale": la questione non si pone! e cos, tra una scaramuccia e l'altra, malgrado gli sforzi di questi "occhi spenti", sempre pi sottile diventa il distacco tra "modello" (archetipo) e "modello fisso" (stereotipo)... secondo il mio umile sentire, in questo sta gi la sconfitta di chi nutre speranze di stabilit in un periodo storico in cui la "metastabilit" l'unica fonte di speranze.
cordialit. Fausto d'Organ]

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Commento 324 di Vilma Torselli del 05/02/2003


Riferimento al commento n323
Egregio Fausto D'organ,
travolta dalla foga della sua dialettica dirompente, dallenfasi oratoria, dal vortice della spirale barocca di un discorso non sempre comprensibile, confesso che ci ho messo del tempo per realizzare che lei stava parlando con me.
Eccomi.
Dovrei probabilmente esordire con un educato: Forse non mi sono spiegata bene., preferisco invece dire: Lei non ha capito bene..
Semplifichiamo: io non ho MAI usato il temine archetipo, ho usato invece lespressione significati archetipici.
La differenza pu essere sottile, non certo irrilevante, e mi stupisce che lei, che ha sviscerato con tanta profondit lorigine etimo-filologica di un vocabolo mai scritto, non abbia colto il palese significato di una breve frase di importanza cruciale per la comprensione di un discorso che lei contesta forse senza aver letto.
Partiamo da una banale analisi logico-grammaticale secondo le regole della lingua italiana: significato, sostantivo, astratto, maschile, singolare, (dalletimo greco sinnifikantsa) concetto racchiuso in un qualunque mezzo di espressione (Nicola Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana), mentre archetipico , aggettivazione del vocabolo di cui lei fornisce cos puntualmente il senso, aggettivo attributivo che, in quanto tale, esprime una caratteristica saliente, una attribuzione, appunto, del sostantivo a cui si riferisce.
Nella fattispecie, laggettivo archetipico conferisce al sostantivo significato, qualunque esso sia , il significato (perdoni il bisticcio) di archetipo, senza che esso lo sia.
C una bella differenza tra archetipo e significato archetipico, la stessa che c, tanto per fare un esempio a caso, tra presunzione e persona presuntuosa: se dico di lei che una persona presuntuosa, voglio affermare il suo essere persona, che ha, tra le sue caratteristiche, come caratteristica principale, determinante, archetipica, quella di essere presuntuosa, non voglio parlare della Presuntuosit (archetipo) in assoluto n dire che lei la rappresenti, lei anche altre cose.
In ogni periodo storico, indipendentemente dalla sua estensione temporale, sono rintracciabili dei significati, anche in questo che stiamo vivendo, in cui lei continua a correre, a scoprire, a sbagliare., e se prendiamo per buona la sua analisi, se il significato che emerge come saliente per la nostra epoca la la "metastabilit", ecco, questo il significato archetipico che gli architetti di oggi coglieranno, quello che trasferiranno nelle loro opere, quello che chi verr dopo legger.
La mia spiegazione banalmente didascalica, sono certa che, questa volta, riuscir a capire cosa intendo dire, basta che si concentri quel tanto che le permetta di ascoltare i discorsi degli altri, specie di quelli a cui vuole dare una risposta o una lezione.

Vilma Torselli

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Commento 327 di enricogbotta del 05/03/2003


Inannzi tutto si tratta di newitalianblood.com e non .it, credo sia una correzzione doverosa per un sito che merita dei link corretti.
In secondo luogo noto con dispiacere che nessuno ha colto il mio invito a parlare di fatti. Ne Di Petta, ne' Ferrara ne' Torselli ne' D'Organ parlano di fatti... parlano di parole e per di piu' si azzuffano su scemenze.
Non si poteva lasciare l'articolo su NIB nel dimenticatoio? No, Paolo Ferrara lo va a riesumare e lancia una crociata contro il povero Di Petta colpevole di aver espresso un'opinione.
Ho proprio ora finito di tradurre un articolo di Eli Ettia sulle bugie di Libeskind. Questo articolo e' esemplare di come vada condotta una critica architetonica... cioe' mostrando delle prove. E queste prove dimostrano che Libeskind racconta un sacco di storie.
Ed e' basandosi su queste prove che dico che Libeskind e il suo progetto per il WTC non vanno presi sul serio. Ora Ferrara non sara' sicuramente d'accordo, il che va benissimo... che porti le prove a sostegno delle sue idee non solo parole.
ecco il link all'articolo "Le Nove Bugie di Daniel Libeskind" su newitalianblood.com
http://www.newitalianblood.com/testi/testo141.html
saluti,

Tutti i commenti di enricogbotta

5/3/2003 - Paolo GL Ferrara risponde a enricogbotta

Ogni tanto litigo per scemenze anche con le mie fidanzate, il che significa che un vizio congenito: chiedo scusa (a Botta e, soprattutto, alle fidanzate...).
Il pi che, cos come Botta desidera che i suoi articolo su newitalianblood.com (altra scusa che faccio per avere confuso .it con .com) vengano letti, altrettanto desidera Di Petta.
Dire le cose che ha detto Di Petta non significa dire scemenze: questo il problema. Difatti la linea di pensiero di Di Petta ha una grande percentuale di seguito, soprattutto nelle scuole di architettura.
Portare le prove? Su Libeskind ho gi detto quanto dovevo dire nell'articolo "L'architettura va alla guerra: Fuksas diserta".
Se poi Botta desidera leggere qualcos'altro di mio su Libeskind, sempre su antithesi (con il motore di ricerca) vada a rintracciare "Il dubbio Libeskind".
Forse se ne toglier qualcuno su di me.

 

Commento 328 di Stefano Tesotti del 05/04/2003


"Inannzi tutto si tratta di newitalianblood.com e non .it, credo sia una correzzione doverosa per un sito che merita dei link corretti..."
Mi permetto di apportare anch'io una correzione doverosa per un sito che merita dei link corretti. Gi, perch sono corretti entrambi! Provare per credere...e si tratta proprio dello stesso sito! Ma guarda un po'...quando meno te lo aspetti...

Tutti i commenti di Stefano Tesotti

 

Commento 778 di Giorgio Righi Riva del 15/09/2004


Non ti curar di lor...Chi giudica il lavoro di Zaha Hadid, Gehry, Coop Himmelblau e gli altri studi innamorati della forma e del colore, come lo e' Dio e gli artisti e chi contempla l'arte e si limita a un giudizio estetico e basta e' lui il vero superficiale. Certo molti architetti retrogradi, invidiosi, esprimono giudizi superficiali, essi sono piu' ingegneri che architetti, sono persone molto pragmatiche poco sensibili, amano la funzionalita' e basta non sanno volare, guardate la situazione in italia e il numero di architetti italiani che vincono concorsi internazionali. come dice Herzog e Meuron l'architettura non ha l'obbligo di metafore. Questa e' l'epoca in cui le utopie architettoniche non sono piu' tali, c'e' una metamorfosi in atto e l'hanno messa in moto non architetti italiani. L'architettura 'statica', 'immobile' sar sempre piu' rara, spazio alla fantasia grazie anche agli strumenti digitali. Il modernismo esasperato nel minimalismo non e' naturale come dice Hani Rashid , e' un tentativo di riordinare il mondo e' una terapia, e' sbagliato . la vita, la natura, la tecnologia, hanno andamenti irregolari, curvilinei asimmetrici e' la morte che ha un andamento retto, minimale, monotono, appunto il riposo delle forme....

Tutti i commenti di Giorgio Righi Riva

 

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