Malattia italiana dell'identit
di Giovanni Bartolozzi
- 14/6/2004
Firenze 20 Maggio 2004: si apre a distanza di un anno il secondo Convegno sullidentit dellarchitettura italiana. Circa cinquanta architetti sono invitati a esporre i progetti nel tentativo di circoscriverne i risultati entro la frontiera italiana. Molti colgono loccasione per far manifesto delle ultime realizzazioni; pochi, pochissimi, tentano una seria riflessione sulla validit del tema proposto.
Franco Purini, con la solita problematicit che caratterizza i suoi interventi, mette sullattenti laccademica platea: il secondo anno che si discute lo stesso tema senza variazioni propositive. Purini invita gli organizzatori e il pubblico a ribaltare il problema per comprendere larchitettura italiana, antica e contemporanea, guardando ai contributi esteri: scoprire come architetti di fama internazionale abbiano creativamente interpretato larchitettura italiana per aprire nuove frontiere.
Carmen Andriani sottolinea invece lassenza di giovani architetti al convegno, alcuni dei quali molto attivi, quindi indispensabili per aggredire il tema proposto. E invita a non circoscrivere i risultati entro margini troppo definiti.
Il convegno sullidentit ha enfatizzato i contributi stanchi e poco incisivi degli stessi organizzatori, attraverso il confronto con i progetti, decisamente pi aggressivi, di A.Anselmi, F.Cellini, F.Purini, C.Andriani e pochi altri. Insomma, parlare di questo convegno serve a poco. Serve invece smontare limpalcatura ideologica che gli organizzatori, un gruppo di docenti della facolt fiorentina, vorrebbero costruire a supporto della parola "identit", utilizzando come strumenti di persuasione i corsi universitari di progettazione architettonica, i dottorati di ricerca, i convegni autocelebrativi e pure il recente tentativo di allestire delle mostre al SESV, lormai noto spazio espositivo di Santa Verdiana. Cerchiamo adesso di riflettere sul tema proposto dal convegno, per comprendere come esso rappresenti oggi solo un alibi che ostacola il naturale corso di evoluzione della storia e, nello specifico, dellarchitettura.
Due brevi premesse prima di entrare nel cuore del problema. La prima; evidente che gli organizzatori del convegno hanno posizioni radicalmente diverse dalle nostre, e pi volte ne abbiamo espresso il dissenso. Si tratta di un diverso modo di vivere la vita, di non credere che larchitettura espressione tradotta in spazio, materia e forma di un determinato periodo dellesistenza terrena. In questa chiave larchitetto colui che si fa interprete del suo tempo e in alcuni casi lo prefigura. La forte limitazione degli organizzatori sta quindi alle origini, nel voler precludere agli edifici di assorbire i cambiamenti nella nostra societ. E di certo la societ in cui oggi noi tutti viviamo ha bruciato gi da decenni la certezza dellidentit.
La seconda ne una grave conseguenza: a Firenze si sta letteralmente sotterrando lo spirito, lispirazione trasmessa da Giovanni Michelucci che attraverso i suoi allievi - Leonardo Ricci, Leonardo Savioli, Giovanni K. Koenig sul terreno della critica e dellindustrial design e tanti altri - ha contribuito in modo decisivo al risveglio italiano degli anni Sessanta e perfino al travolgente rinnovamento della didattica nella facolt fiorentina, negli stessi anni.
Ci premesso ritorniamo al nodo dellidentit. Nel 1968, pubblicando il celebre volume sullarchitettura toscana, Koenig temeva che il suo lavoro venisse frainteso e ridotto a banali teorie identitarie. Per questo, con incredibile lungimiranza, avvertiva: Se questo continuo processo di osmosi tra le varie citt italiane oggi cos avanzato da far pensare che fra non molto tutta lEuropa avr una sola storia architettonica []; sar in tal caso estremamente difficile isolare un episodio dallaltro, e non avr pi senso nemmeno il fare una storia dellarte italiana. Gi oggi in atto questo scambio delle esperienze formali, specialmente nellIndustrial design. [] Non dimentichiamo perci che lattuale diffusione di mezzi di comunicazione di massa ha di fatto abolito, nei linguaggi artistici, le tradizionali frontiere e i relativi codici ristretti a gruppi relativamente poco numerosi. Limperatrice della Persia si veste a Parigi; non solo, ma non ha fatto in tempo ad essere incoronata che tutto il mondo ha saputo e visto come era vestita per loccasione. E cos, lesposizione internazionale di Montreal aveva appena aperto i battenti che tutti conoscevamo, tramite la televisione, ogni suo particolare architettonico, forse meglio di alcuni affaticati visitatori. E le immagini pi pregnanti, come la cupola di Fuller o lHabitat israeliano, tre mesi dopo influenzarono gli studenti di architettura di tutto il mondo, da Firenze a Costantinopoli; e si ponevano nel loro bagaglio di immagini in modo pi perentorio ancora delle architetture cittadine, di cui gli studenti possedevano una esperienza diretta.
Le parole di Koenig sono profetiche e basterebbero da sole a confutare lanacronistico tema proposto dal convegno. Ne prova il fatto che oggi si costituita lEuropa, e si lavora a una politica comune tra le nazioni che ne fanno parte (e di recente se ne sono aggiunte altre undici). Abbiamo distrutto le frontiere politiche e sociali, comunichiamo con chiunque attraverso la lingua inglese, ci spostiamo e viaggiamo con estrema semplicit in ogni parte del mondo, abbiamo una moneta unica che ci consente, in fondo, di sentirci a casa in qualunque altro paese, evitando inutili problemi di scambio. Le pi grandi citt italiane sono cosmopolite, piene di studenti e lavoratori stranieri di ogni parte del mondo. Ma attenzione, queste sono delle conquiste sociali e non dei semplici dati. Trovarsi a Firenze e dare indicazioni a un tedesco oppure stare a Berlino e dare indicazioni a un francese, sono piccoli gesti quotidiani che ci fanno sentire partecipi del mondo intero, di un'unica realt. Fino a diventare emozioni umane individuali. E larchitettura?
Koenig parla della televisione e nel 68 non poteva far altro. Noi possiamo invece parlare del computer, di internet, degli MMS e in generale delle conquiste tecnologiche dei nostri giorni, che non sono pi soltanto catalizzatori del business economico, poich hanno radicalmente cambiato il nostro modo di vivere. Pensate a come le immagini dell11 Settembre abbiano fatto il giro del mondo nellarco di pochi minuti. In quei pochi minuti ci siamo sentiti tutti americani. Pensate come sia affascinate poter comunicare attraverso internet con qualsiasi parte del pianeta e in tempo reale. Certamente chi legger queste parole tra le pagine di una rivista web, dar tutto per scontato. Ma non lo .
Come si pu parlare di identit immersi come siamo in un mondo che annienta ogni tipo di distanza? La nostra societ parla invece di ibridazioni di identit, e basta guardare la maggior parte dei giovani studi di architettura italiani per averne conferma. Molti architetti, dopo aver conseguito la laurea, si avventurano allestero, principalmente in Olanda, in Inghilterra e in America. Svolgono master, ricerche, collaborano con bravi architetti e ne assorbono particolari caratteristiche, a volte anche solo la passione e lentusiasmo per la ricerca e la sperimentazione (che purtroppo difficile acquisire dalle nostre universit). Poi ritornano in Italia per continuare autonomamente o in gruppo la ricerca. Questo accade a tutti i giovani architetti. Ma lo stesso fenomeno (e qui sta la svolta sostanziale) si verifica in altri paesi del mondo. In Slovenia per esempio, dove la formazione di giovani architetti presso i focolai dellarchitettura mondiale ha contribuito alla nascita di giovani gruppi, impegnati nella ricostruzione del loro paese, oggi autonomo dallex Iugoslavia e in sorprendente ripresa.
La storia non coincide con quella di una nazione, scriveva nel 69 Pasolini, la storia una storia di cultureNazione e cultura sono due nozioni che devono distinguersi, anche se una secolare abitudine le mescola dentro di noi. Ecco allora perch anacronistico parlare di identit dellarchitettura italiana, poich la formazione individuale dellarchitetto sempre frutto di ibridazioni, di percorsi trasversali imprevedibili, di improvvisi cambi di direzione. Non ci sarebbe stato Le Corbusier senza il Partenone. Non ci sarebbe stato Terragni senza Le Corbusier e oggi non ci sarebbe quel catalizzatore instancabile di Peter Eisenman senza Terragni. Affermare lesistenza di una identit italiana significa allora negare lo scambio delle idee, negare ai contenuti e ai programmi una libera evoluzione imperniata nella societ che viviamo, ma anche impedire agli architetti e perfino ai giovani studenti di sognare durante lavventura di un progetto.
E inoltre indispensabile confrontarsi con gli altri rami della cultura, non solo per procedere in modo interdisciplinare, ma anche per misurare lo stato di avanzamento o di arretratezza della nostra disciplina. E un evento passato in sordina conferma lo stato di arretratezza dellarchitettura italiana. Si tratta di un convegno dal titolo Firenze e la lingua italiana fra nazione ed Europa ( e gi il titolo esplicativo), promosso dallUniversit di Firenze in collaborazione con lAccademia della Crusca e tenuto il 27 e 28 maggio. Nicoletta Maraschio, docente di storia della lingua allUniversit di Firenze e membro del comitato scientifico del convegno, spiega che si scelta Firenze ...come luogo di osservazione privilegiato per riflettere sullitaliano di oggi, guardando appena un poco pi indietro. Ma la prospettiva sul presente e soprattutto sul futuro. Su una questione della lingua che oggi non pu pi essere nazionale ma deve essere affrontata in una dimensione europea. E prosegue: Noi ci crediamo molto ma stranamente anche gli storici pi attenti, quelli che vanno alla ricerca di questi tratti di identit, della lingua parlano raramente. La lingua un bene culturale diffuso, importante, ma cos impalpabile che lo si d forse per scontato. E poi paghiamo le conseguenze della nefasta politica linguistica del fascismo, che puntava a un monolinguismo assoluto e alla cancellazione dei dialetti e delle lingue straniere. Quando si parla con orgoglio dellitaliano si rischia ancora di vedersi comparire davanti lo spettro del nazionalismo. Ma io credo che i tempi siano maturi per superare questo atteggiamento.
Il messaggio chiaro: se seguitiamo a parlare di identit dellarchitettura italiana non combiniamo niente di nuovo. Da queste poche parole sgorga uno spirito vivace, coraggioso, riflessivo, attento, proiettato verso unaffascinate dimensione. E larchitettura? Le pseudoteorie sullarchitettura impartite a Firenze non hanno la stessa dignit delle coraggiose ricerche svolte in altri campi. Larchitettura a Firenze giace impaurita, avvolta nel mantello dellidentit. Un mantello che copre tutto e tutti, dal dibattito alleditoria, dalla facolt di architettura fino allamministrazione comunale, ancora convinta di aver realizzato la citt del terzo millennio in quella famigerata area di Novoli.
(Giovanni Bartolozzi
- 14/6/2004)
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Commento 745 di Francesca Oddo del 15/06/2004
Caro Giovanni,
ho letto con avidit le tue parole e ho apprezzato e condiviso le tue riflessioni.
Spero di assistere presto a quelle serate di architettura previste per giugno. Se da te organizzate, saranno di sicuro interesse.
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Commento 975 di Mario Mangone del 07/10/2005
Sono completamente d'accordo nel rilevare i poderosi salti di scala interpretativi per tutto ci che riguarda una "nuova identit" dell'archiettura. Infatti necessario un altrettanto poderoso processo organizzativo, storico e processuale nel ri-mettere in relazione le identit nazionali con i precari e non consolidati standard di conoscenza a scala globale.
Questa un campo culturale dove l'Italia ed in particolar modo gli italiani devono urgentemente apportare, in collaborazione con i colleghi architetti del nord e sud europa, un grande e decisivo contributo.
Questo il campo decisivo e fondante una nuova natura del progetto, nell'era della globalizzazione. Bisogna urgentemente ri-definire nuove relazioni storiche ed operative tra linguaggi, pratiche, organizzazioni, processi e discpline sino ad ora impensabili. La nostra universit non attrezzata per questo compito. Il nostro mercato professionale e disciplinare, nemmeno. Quindi come ne usciamo?
Prima fase avere consapevolezza metodologica.
Seconda fase bisogna costruire reti tematiche di sviluppo analitico e progettuale.
Terza fase istituzionalizzare questo processo.
Da Napoli un iniziale e flebile segnale di autonomia (naviga su www.copaweb.it ) vuole puntare verso questa direzione.
Ri-definire completamente il proprio punto di vista sulle cose attraverso il proprio locale nella citt-mondo. Lo scontro non su cosa scopriamo all'interno di essa. Questo un gioco che conoscaimo abbastanza bene e fa parte delle nostre pratiche di confronto-scontro scientifico e culturale che di prassi (da qui la decadenza culturale), ma di come rappresentiamo l'"oltre" della citt-mondo, del suo immaginario, della sua dimensione mitica, su questo campo l'architettura potrebbe slittare in una pericolosa regressione. Ma siamo solo agli inizi, anche se per me l'inizio di questa fase ha una data ben precisa :
Chicago 1893 : Esposizione Universale di Chicago o sottotitolata all'epoca "La Citt Bianca". Ma questa infatti un'altra storia, appunto, su cui sarebbe opportuno soffermarci per molto tempo .
Intanto buon lavoro e ritenetemi ampiamente disponibile per questo progetto collettivo.
Cordiali saluti Mario Mangone
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