125 commenti di vilma torselli
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14767
di vilma torselli
del 27/03/2019
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Siamo in alto mare
di
Sandro Lazier
Renzo Piano sempre stato talmente occupato a promuovere s stesso che larchitettura da lui stesso prodotta sempre passata in secondo piano (o Piano), il che non so se un bene o un male.
Ultimamente, come si conviene ad un grande vecchio, parla di aria fritta con un sussiego e un impegno degni di miglior causa, proclamando con aria carismatica assolute banalit, ci mancava, per completare il desolante quadro, giusto la sponsorizzazione del libro suo e di suo figlio, entrambi alla ricerca della Perfezione, ovviamente nelle sue stesse opere. E chiss se lhanno trovata, almeno loro.
27/3/2019 - Sandro Lazier risponde a vilma torselli
Scusa Vilma per il ritardo con cui pubblico il tuo commento.
Ho avuto un problema con il server.
Un mio amico ha scritto una novella dove, per raggiungere la perfezione, devi attraversare tutti i vizi.
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14731
di vilma torselli
del 11/09/2018
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Centro/periferia: il grande gelo
di
Vincenzo Ariu
Roland Barthes scrive di un senso cenestetico della città, il quale esige che ogni spazio urbano abbia un centro i cui andare, da cui tornare, un luogo compatto da sognare e in rapporto al quale dirigersi e allontanarsi, in una parola, inventarsi .. il centro delle nostre città è sempre pieno: luogo contrassegnato, è lì che si raccolgono e si condensano i valori della civiltà: la spiritualità (con le chiese), il potere (con gli uffici), il denaro (con le banche), le merci (con i grandi magazzini), la parola (con le agorà: caffè e passeggiate). Andare in centro vuol dire incontrare la verità sociale, partecipare alla pienezza superba della realtà. Il senso della cenesteticità della città è di origine culturale, viene conservato e trasmesso con levoluzione e perpetrato attraverso l'immagine del centro come la parte migliore della città, la più degna di essere tramandata e anche se quanto esterno raccoglie significati che il centro rifiuta o reprime, li riconosce tuttavia come indispensabili allesistenza stessa di un centro che non avrebbe identità senza le relazioni binarie che lo connettono ai margini. Il punto centrale del centro-città [] non è il punto culminante di alcuna attività particolare, ma una specie di "fuoco" vuoto dellimmagine che la collettività si fa del centro. Abbiamo dunque, anche qui, unimmagine in qualche modo vuota che è necessaria per lorganizzazione del resto della città scrive ancora Barthes.
Oggi, in un mondo in cui lo spazio fisico sta perdendo importanza a favore della mobilità virtuale, forse non è necessario che le periferie si emancipino e diventino centro per acquisire pregio, ma è necessario che scoprano la loro vocazione di entità priva di preciso significato e al tempo stesso capace di accoglierli tutti, serbatoio di risorse e di potenzialità impensate che non va necessariamente reintegrato nella logica produttiva e funzionale della città per avere un senso, non un disturbo a cui rimediare o un problema da risolvere, ma una realtà urbana che può fare dei propri difetti un valore.
La periferia come terrain vague, organismo di frontiera e di confine, punto di contatto fra due identità diverse ma non opposte, una sorta di post-metropoli dove si è spontaneamente modificato il rapporto tra urbano e suburbano, non necessariamente a struttura unitaria, omogenea e concentrata ad imitazione di un ipotetico centro, ma un insieme di luoghi autonomi e singolari, senza ordine gerarchico n con il centro n tra loro.
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14719
di vilma torselli
del 04/08/2018
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Centro/periferia: il grande gelo
di
Vincenzo Ariu
La nostra cultura occidentale ci impone un senso cenestetico della città, il quale esige che ogni spazio urbano abbia un centro i cui andare, da cui tornare, un luogo compatto da sognare e in rapporto al quale dirigersi e allontanarsi [...] il centro delle nostre città è sempre pieno: luogo contrassegnato, è lì che si raccolgono e si condensano i valori della civiltà: la spiritualità (con le chiese), il potere (con gli uffici), il denaro (con le banche), le merci (con i grandi magazzini), la parola (con le "agorà": caffè e passeggiate). Andare in centro vuol dire incontrare la "verità" sociale, partecipare alla pienezza superba della "realtà". (Limpero dei segni, Roland Barthes, 1970)
Il senso della cenesteticità della città è di origine culturale e viene conservato e trasmesso con levoluzione e perpetrato attraverso l'immagine del centro come la parte migliore della città, la più degna di essere tramandata, tanto che luomo tendenzialmente propende a costruire a somiglianza del costruito rappresentato dal centro, e anche se quanto esterno raccoglie significati che esso rifiuta o reprime, li riconosce tuttavia come indispensabili allesistenza stessa di un centro che non avrebbe identità senza le relazioni binarie che lo connettono ai margini. Il punto centrale del centro-città (ogni città possiede un centro) [] non è il punto culminante di alcuna attività particolare, ma una specie di "fuoco" vuoto dellimmagine che la collettività si fa del centro. Abbiamo dunque, anche qui, unimmagine in qualche modo vuota che è necessaria per lorganizzazione del resto della città, scrive ancora Barthes.
Questa interazione, in un mondo in cui lo spazio fisico sta perdendo importanza a favore della mobilità virtuale, forse non deve necessariamente essere conflittuale, sta emergendo un modello sociale a vocazione connettiva basato su comunità metaterritoriali slegate da ogni identità collettiva di appartenenza, una 'comunità connessa in cui le informazioni si aggregano per le loro funzioni e non le loro posizioni, acquisendo di volta in volta significato dal loro modo d'uso.
Linformazione è per sua natura equidistante, superando una serie di stereotipi contrapposti quali centro/periferia, prossimità/lontananza, concentrazione/frammentazione, si può provare a considerare le periferie non come luoghi (o non-luoghi) generici e senza identità, ma come luoghi con dinamiche sociali e spaziali specifiche, non necessariamente in rapporto gerarchico o antitetico con il centro città, in grado di veicolare significati autonomi, nuovi, diversi.
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14680
di vilma torselli
del 21/01/2018
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OcchioPinOcchio
di
Ugo Rosa
La predominanza dello sguardo, ipocrita, bugiardo, prepotente e ingannatore che sia, ha ragioni soprattutto evolutive ed è iniziata quando un nostro lontano antenato si è faticosamente drizzato sulle zampe posteriori scoprendo, da quella insolita altezza, nuovi, sconfinati orizzonti in cui spaziare (con lo sguardo), ricavando una visione del territorio infinitamente più ampia e più ricca di informazioni 'osservabili' utili per la sua sopravvivenza. Voglio dire che "la parte del leone" l'occhio non se la è presa, gliele abbiamo data, privilegiando una scelta evolutiva che, pare fino ad oggi, è stata la più utile (quand'anche non necessariamente la migliore) per la nostra sopravvivenza.
Certo, il naso si è allontanato dal suolo e l'odore dell'humus si è fatto più debole, la localizzazione data dai suoni è passata in secondo piano a fronte della precisione della visione e forse è da allora che è cominciato l'adattamento selettivo per l'utilizzo dei nostri miseri cinque sensi, orientandosi alcuni verso la coscienza rappresentativa e cognitiva, altri verso quella affettiva.
Così un neonato riconosce la madre dall'odore che emana, dal sapore del cibo che gli fornisce, dal suono della voce, dal contatto fisico di un corpo caldo, finendo solo in seguito per privilegiare il canale visivo che allo stato attuale, ci fornisce circa l'80% delle informazioni sul mondo che ci circonda.
Quanto a Goethe, più fonti gli attribuiscono queste considerazioni: "Usare occhiali non ha un effetto costruttivo per gli uomini. Quando vedo attraverso le lenti, sono un altro uomo. Non mi piaccio più. Vedo più di quanto sia necessario vedere. Il mondo visto eccessivamente nitido non va d'accordo con il mio io nella sua globalità."
Ma non basta più non mettersi gli occhiali, perch oggi ogni riflessione sulla nostra identità passa attraverso il selfie, che innesca un processo cognitivo, emozionale e relazionale attorno ad un racconto autobiografico dove l'io soggetto-spettatore e l'io oggetto-rappresentato coincidono. E non ci sono scappatoie.
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14672
di vilma torselli
del 29/11/2017
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Cartella L - sezione museo
di
Antonio Mastrogiacomo
Come spesso accade quando si parla di 'mode', culturali e non, l'Italia sta cercando di adeguarsi al modello americano, efficacemente rappresentato, uno per tutti, dal Guggenheim, una griffe come Prada e Armani diffusa nel mondo, a New York a Bilbao a Venezia a Berlino (dove in joint-venture con Deutsche Bank), vera e propria multinazionale dellarte che gestisce la totalit delle opere del 900 e parallelamente un enorme bilancio per ci che riguarda lindotto (vendita di cataloghi, riproduzioni, gadget firmati, shop museum, guggenheim store, caf museum ecc.), una delle multinazionali dellarte in mano a famiglie americane ricche e potenti che, mettendo a frutto le proprie opere private, gestiscono autonomamente oltre ai vari Guggenheim, il Getty Museum, il Whitney Museum, il Metropolitan ecc. per iniziativa di singoli individui ai quali la comunit, diversamente che in Italia, non ha delegato alcun compito rappresentativo.
Nulla di male che il museo, oltre che cultura, produca anche reddito e servizi, anzi, tuttavia, come commenta Salvatore Settis in una vecchia ma ancora attuale intervista su Repubblica, non va dimenticata la "profonda differenza ontologica tra musei italiani e statunitensi secondo la quale i musei americani non hanno alcun legame storico con il luogo in cui sorgono, a differenza dell'Italia dove formano invece un tutt'uno con la citt, il villaggio, il paese. Gli Uffizi appartengono a Firenze cos come Firenze rappresentata dagli Uffizi. Il Metropolitan, il Getty sono delle "astronavi" che potrebbero vivere ovunque negli Stati Uniti . . (http://www.repubblica.it/2003/j/sezioni/cronaca/musei/settis/settis.html).
Quindi s a ristorazione, bar, oggetti ricordo, gadget, cataloghi, volantini e quant'altro, ma soprattutto iniziative e nuove idee per la valorizzazione del "nesso museo-territorio", per non omologare il nostro paese unico e bellissimo, fatto di realt molteplici ed tutte diverse, alla imperante McDonaldizzazione che non ci rappresenta e non ci meritiamo.
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14665
di vilma torselli
del 31/10/2017
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Architettura al MAXXI, utopia o realt?
di
Ambra Benvenuto
Come dire: meglio l'utopia della realt, meglio la versione disneyzzata tipo "minitalia" piuttosto che una realt che, al banco di prova, si rivelerebbe deludente e inadeguata. Questa spiazzante virtualizzazione del mondo alla quale google maps ci ha introdotto, con viaggi impossibili nell'infinitesimale gi appannaggio della letteratura fantasy del '900, mi sembra un pessimo segnale sia per gli architetti che per i fruitori della loro architettura, almeno fino a che non sar possibile la miniaturizzazione degli utenti come in un celebre film degli anni '60.
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14416
di vilma torselli
del 31/10/2016
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Il progetto di Fuksas per il Centro Congressi Ital
di
Sandro Lazier
Sandro, vorrei, a margine, sottolineare, come tu stesso rilevi, che nel caso della Fallingwater, Wright sperimentava a spese del signor Edgar J. Kaufmann, proprietario dell'omonima catena di grandi magazzini, che non doveva rendere conto ad un popolo di contribuenti di ci che spendeva.
E' chiaro come il progetto della nuvola nella teca (poetico gioco di ruoli che vorrebbe imprigionare ci che non si pu imprigionare) persegua l'intento di creare una "configurazione informale" in quella che Zevi avrebbe definito action architetture, perseguita con un notevole "grado di accuratezza e di profondit del progetto nel suo insieme" tanto pi lodevole trattandosi di un progetto molto complesso, accuratezza e profondit necessarie e doverose, ci mancherebbe altro, dopo 18 anni di elaborazione progettuale e un esborso di euro pubblici lievitato da 275 milioni a 413 non ancora definitivi, oltre ad un prestito governativo di 100 milioni di euro.
In attesa di stabilire "se siamo di fronte ad unopera darte vera o ad una costosissima gigionata", vale la pena di sottolineare che il ruolo etico dell'architettura non un optional o un'invenzione di pochi benpensanti, e voglio ricordarlo citando uno stralcio dal libro di un biogenetista Edoardo Boncinelli: Come nascono le idee, Edizioni Laterza, 2008 pag.107:
"In un famoso studio condotto su un nutrito gruppo di architetti, si osserv per esempio che l'interocampione mostrava nei test di intelligenza punteggi superiori a quelli misurati nella popolazione generale, ma quando gli architetti, giudicati come pi creativi dai colleghi, venivano confrontati con il resto del campione, architetti creativi e architetti per cos dire pi normali non mostravano differenze significative nei punteggi riportati nei test di intelligenza. D'altra parte, i soggetti giudicati creativi erano anche giudicati come pi intelligenti dalla media dei loro pari. Ci pu dipendere dal carattere fortemente sociale della creativit. Per essa occorre anche il riscontro della valutazione collettiva. Essere creativi implica produrre qualcosa di innovativo che appaia utile o comunque rispondente a un bisogno condiviso e che ottenga pubblico consenso per entrambi i termini. Il prodotto creativo, cio, deve poter essere giudicato dalla comunit in cui l'atto creativo espresso come innovativo realmente utile." Per quanto strano possa sembrare, un biogenetista parla specificatamente di architetti e pone laccento sulla qualit sociale che si accompagna alla creativit e che giudica latto creativo degno di riconoscimento in quanto origine di un prodotto socialmente utile, in grado di sintetizzare ruolo civico e valenza etica.
Apparentemente, guardando al fenomeno delle archistar, non sembra pi necessario il pubblico consenso n una particolare capacit sociale, essendo la maggior parte dellarchitettura e (dellarte) moderna estranea ed incompresa per il grande pubblico e per la comunit in cui si esprime. Del resto stato cos anche quando hanno costruito la Basilica di San Pietro.
E' irrilevante che da allora siano passati secoli? Che qualcosa sia cambiato nella consapevolezza sociale dell'uomo di oggi?
E' scontato "che per dare giudizi sullarchitettura occorre innanzitutto conoscere larchitettura", ma il resto del mondo, che non ha conoscenze per dare giudizi di architettura (e magari neppure ne d), ma la paga e la subisce e dovrebbe essere l'utilizzatore finale, che ruolo ha?
Cogliendo i commenti sulla festa di inaugurazione molto elitaria del centro di Fuksas, osserva Alessandro Tempi, attento osservatore del sistema dell'arte moderno: "lidea che il popolo - o il pubblico, i cittadini - debba solo (gioiosamente?) confermare quanto altri hanno scelto per loro in campo artistico ha qualcosa di perverso, per almeno un paio di motivi, il primo dei quali presto detto: esso dissimula il fatto che solo questi altri siano in grado di dire cosa arte possa essere o diventare; il popolo pu solo venire a far festa dopo."
Non voglio essere polemica, n sono in grado di offrire proposte di soluzione per una dicotomia che, anche da prima della costruzione della Basilica di San Pietro, sempre stata "il riflesso di quella stessa fastidiosamente disinvolta autoreferenzialit che affligge la nostra classe politica, che si sforza di rendere appetibile lItalia affamando gli italiani."
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14411
di vilma torselli
del 23/10/2016
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Ennesimo terremoto con disastro annesso
di
Sandro Lazier
bravo Sandro, una voce forte e chiara contro l'insensata retorica del com'era dov'era!
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13619
di vilma torselli
del 12/05/2015
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Il padiglione italiano di Expo 2015
di
Sandro Lazier
Sandro, mi pare che l'architettura contemporanea, come del resto l'arte visiva, sempre pi tenda ad un linguaggio sinestetico entro il quale la scenografia (il come) rivendica la sua parte. Perch pelle, epidermide, facciata dovrebbero essere termini esclusi da ogni discorso sull'architettura? Forse la pelle non indispensabile tramite per portare in superficie l'urlo che parte da dentro? E non proprio la manifestazione epidermica, melodrammatica, teatrale che lo riverbera all'esterno? E la pelle, non forse il luogo in cui l'architettura confina col mondo ed acquisisce senso dal confronto con esso?
L'apparenza sta sempre pi diventando sostanza, sostituendo l'immagine della rappresentazione alla rappresentazione stessa in una 'realt aumentata' o aumentabile con informazioni 'aggiuntive' che possono alterare radicalmente la percezione spaziale di ogni architettura. Se l'architettura, come ogni esperienza umana, ci che percepiamo di essa, oggi l'architettura uno spazio, o meglio la percezione di uno spazio, radicalmente cambiato nei suoi stessi parametri, pluridimensionale, elastico, mutevole, colorato, interattivo, contaminato, multiforme, virtualizzato e, perch no, scenografico, questo ci dice il viaggio ai limiti della realt tra i padiglioni dell'Expo.
"La storia dell'architettura anzitutto e prevalentemente la storia delle concezioni spaziali" scrive Zevi ("Saper Vedere l'Architettura", 1948), ma lo 'spazio puro' non esiste pi e forse non mai esistito.
E se la 'sostanza architettonica' fosse oggi la 'forma esteriore' ?
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13618
di vilma torselli
del 11/05/2015
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Il padiglione italiano di Expo 2015
di
Sandro Lazier
Indubbiamente, come suggerisce Vito Corte, sarebbe meglio verificare sul posto, scoprendo che, da altre angolazioni, il volume decisamente meno goffo, laddove squarci vetrati sembrano voler liberare una seconda pelle, lucida e trasparente, dallintrico di sovrapposizioni che ne costituiscono il confine e linterfaccia con lesterno.
Di grande suggestione percettiva gli interni, dove una sorta di entropia architettonica fa venire in mente la versione brutalista di un Calatrava o certe sperimentazioni sullinvolucro di Herzog & de Mueuron.
Nel bene e nel male, unarchitettura frutto di una mente estesa in sintonia con la nostra natura biologica che aspira ad integrare dati emozionali, sensoriali, culturali, sociali secondo un principio di correlazione totale, tracciando la via per un post-decostruttivismo prossimo venturo che gi fa apparire obsoleti i scintillanti ghirigori barocchi di Gehry e le cervellotiche architetture diagrammatiche di Hadid.
Quanto all'albero della vita, lo vedrei perfetto per la piazza principale di Dubai.
11/5/2015 - Sandro Lazier risponde a vilma torselli
La mia critica, Vilma, riguarda il come, non il cosa. Ed il come questa architettura stata espressa, in forma del tutto scenografica, che mi fa dubitare della sua capacit di superare quella che molti considerano la deriva decostruttivista. Infatti, credo, se si ha intenzione di generare nuovi linguaggi, questi non possano che procedere da una rinnovata scrittura, la quale non pu essere limitata alla sola pelle delledificio ma deve coinvolgere la sua struttura. N Gehry, n Hadid hanno mai concesso troppo allepidermide. Discorso diverso per Calatrava che, nella sua ripetitivit rimane, a mio parere, un neoclassico. Le strutture di Gehry e Hadid, se vogliamo, nel loro delirio drammaticamente espresso, urlano a partire da dentro; non sono espressioni di facciata su un fisico compassato e indifferente, pronto, se ce ne fosse necessit, a cambiare la propria pelle e il proprio destino. Insomma, una struttura buona per tutte le stagioni con su la maschera di circostanza. Siamo in pieno melodramma.
Ma forse sta qui tutta litalianit.
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13615
di vilma torselli
del 08/05/2015
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Rem Koolhaas, Fondazione Prada a Milano
di
Sandro Lazier
Rem Koolhaas mi ha sempre indotto qualche perplessit, del tipo "ci sei o ci fai?", alla lunga per ho finito per riconoscergli una onest intellettuale ignota a molte archistar contemporanee.
Dice del suo gruppo "abbiamo abbracciato il tema della conservazione", ironia, astuzia, disimpegno, ma anche umilt, rispetto, amore e magari un po' di nostalgia.
E dice "Dobbiamo preservare la storia", un racconto corale fatto da tutti, architetti compresi, l'antica Roma meravigliosa, pi che mai oggi "la gente vuole vivere in edifici con una storia".
C' pi di un eco di Marc Aug, di Zygmunt Bauman, il seguito di quanto gi dichiarato nella veste di curatore della passata biennale di architettura di Venezia 'Fundamentals': "si concentrer sulla storia - sugli inevitabili elementi di tutta l'architettura utilizzati da ogni architetto, in ogni tempo e in ogni luogo", la modernizzazione come percorso secolare senza soluzione di continuit, che vuol dire anche recupero, riconversione, riutilizzo.
Un percorso lungo il quale l'Italia un paese 'fondamentale'.
Pu essere una conferma?
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13598
di Vilma torselli
del 24/04/2015
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Metrocubismo in salsa verde
di
Sandro Lazier
Il confronto faccia a faccia con al mole antonelliana e quello a distanza con le cime spigolose delle alpi suggerivano, in effetti, il tema di un dialogo che non c'.
Non si capisce perch l'ecosostenibilit debba necessariamente esprimersi in uno "scatolone vetrato", specie se il pensiero va al grattacielo di un'altra banca, la Norddeutsche Landesbank ad Hannover, a firma di Gnter Behnisch, esempio di controllo sugli aspetti tecnologici, impiantistici, strutturali e funzionali che gi nel lontano 2002 poneva al centro della progettazione una gestione intelligente delle disponibilit energetiche nel rispetto dell'ecologia e dell'inquinamento ambientale: l'effetto camino per una ventilazione naturale, l'isolamento della facciata a doppia pelle, il raffreddamento tramite un serbatoio che ottimizza i consumi d'acqua, alette esterne per direzionare la luce naturale e specchi eliostatici per l'energia solare, migliaia di diodi inseriti nel cristallo stratificato delle facciate per l'illuminazione notturna a basso costo......... il tutto senza rinunciare ad un segno architettonico forte, visionario, espressionista come si addice a quella cultura.
A Torino, mi pare che Piano, spesso sospeso tra minimalismo high-tech e intellettualismo qualunquista, non si sia staccato dal suo target, realizzando un'architettura anonima e un po' vecchiotta, ad 'effetto ferraglia' come gi alle origini il suo Beaubourg, che per almeno cercava un confronto con la tipologia costruttiva delle demolite Halles e della tour Eiffel (credo!).
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12109
di vilma torselli
del 25/01/2013
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Lo strumento di Caravaggio
di
Sandro Lazier
Ho letto il libro di Antonino Saggio "Lo strumento di Caravaggio" e l'ho trovato una interessante lettura che aggiunge significative, nuove osservazioni su un artista sul quale pareva che tutto fosse gi stato scritto.
All'interno dell'analisi che l'autore compie, trovo particolarmente suggestivo l'accenno all'iperrealismo in Caravaggio, peraltro padre della successiva pittura iperrealista padana: non pu non stupire il fatto che, in tempi cos distanti anche geograficamente, l'iperrealismo (o fotorealismo) americano degli anni '70 copi la realt nella rappresentazione che ne d la fotografia, surrogato dello specchio caravaggesco, imprigionandola nella bidimensionalit della visione piana. Questa mediazione tecnica frapposta tra il reale e la sua copia, strumentale a due esiti opposti (in Caravaggio mezzo per rompere gli stereotipi di una rappresentazione avulsa dalla vita reale, nell'iperrealismo al contrario in funzione chiaramente revisionista) ci conferma che non solo il mezzo, di per s neutro quando non viene usato, ma il personale uso del mezzo, il significato che l'utilizzatore gli attribuisce, possono fare la differenza.
Potrebbe esserne prova l'angelo di san Matteo, sospeso nel vuoto del solaio di copertura sfondato (con l'autorizzazione della proprietaria in cambiodi una dichiarazione che prometteva ilripristinofinale dell'alloggioa spese dell'inquilino!), appeso al soffitto con un lenzuolo cos realistico nel gioco delle pieghe e cos irrealistico secondo la legge della gravit, un artificio nell'artificio, una licenza poetica.
Curiosa coincidenza che l'autore, nel capitolo "Narciso nel tempo", citi lo stesso brano di Longhi che mi venuto in mente prima ancora di leggere il libro, cos come le osservazioni nel nuovo capitolo "Modernit & Digits" sulle frequenze cromatiche che, a quanto pare, hanno basi reali. E pare che tutto dipenda dal fatto che il sensore digitale cattura la radiazione, la luminanza, mentre la pellicola cattura in analogico ci che il nostro sistema visivo umano vede della radiazione, cio la tonalit. Sintetizzando, parrebbe che il sensore digitale catturi pi dettagli chiari di quanto noi possiamo vedere e meno dettagli scuri di quanti ne possiamo vedere, tecnicamente si parla di luci compresse ed ombre espanse.
Il legame con la tecnica si infittisce, aprendo l'ipotesi di una diversa lettura percettiva che lo stesso Caravaggio non poteva prefigurarsi.
Sempre nel nuovo capitolo, affascinante l'idea del "potere delle dita", l'indice puntato del demiurgo che supera i confini mortali del tempo, un gesto di grande significato simbolico che si presta a qualche deriva esoterica, come del resto molti quadri di Caravaggio.
L'inedita chiave di lettura, inserita nel recente filone della cultura digitale, stimolante ed incoraggiante, perch non si perda mai la capacit di "avere nuovi occhi" nell'affrontare ogni viaggio di scoperta.
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12101
di vilma torselli
del 15/01/2013
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L'indegna sorte d?un architetto patafisico
di
Sandro Lazier
Io esorterei Paolo Bettini a non arrendersi e a trovare il tempo e la voglia di "scrivere pagine su pagine" per mettere tutti quelli che seguono questo blog nella condizione di capire le sostenibili ragioni (se ci sono) alla base della sua boutade.
Gettare il sasso e nascondere la mano non solo sleale, ma pu apparire come un facile stratagemma per coprire una vuota voglia di polemica fine a s stessa.
Siamo tutti ansiosi, credo, di leggere e di capire il suo illuminato parere, per condividerlo, per confutarlo, per dibatterlo secondo le modalit pi consone ad un confronto produttivo ricco di argomentazioni e non di insulti.
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12088
di vilma torselli
del 11/01/2013
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Lo strumento di Caravaggio
di
Sandro Lazier
Non so la critica, ma certamente l'arte moderna ha da tempo cassato l'aspetto narrativo dell'opera a beneficio del (solo) aspetto descrittivo, esasperatamente nel concettualismo, nel nome di un possibilismo interpretativo per il quale stato coniato l'aggettivo 'antigestaltico'.
E molta dell'arte contemporanea, con scelta estrema e radicale, si affida addirittura alle propriet tautologiche dei materiali, una sorta di 'matrice tecnica' di grado zero, per un esito "nel quale la tecnica, e non le emozioni, controllano il risultato".
Per dire che la lettura di Caravaggio data da AS ha forse un sapore innovativo meno pregante di quanto tu le attribuisci, premettendo per doverosa onest che non ho ancora letto il libro e quindi non commento quello, ma il tuo commento a quello.
Per dire che questo aspetto di Caravaggio, il fatto che le sue invenzioni tecniche si inseriscano in una necessit sia estetica che concettuale fino a sostituirla in fondo gi largamente indagato da Roberto Longhi: "da grande spirito qual era, egli non poteva che scoprire il senso poetico, la portata sentimentale di una realt allora tutta sconosciuta, anche non avendone piena coscienza. La sua ostinata deferenza al vero pot anzi dapprima confermarlo nella ingenua credenza che fosse "locchio della camera" a guardare per lui e a suggerirgli tutto. Molte volte egli dovette incantarsi di fronte a quella "magia naturale"; e ci che pi lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non punto indispensabile la figura umana .." (Roberto Longhi, Da Cimabue a Morandi",1973), la tecnica oltre il racconto, in vece del racconto, la "macchina essenziale" che diviene occhio interiore.
A titolo aneddotico, ricordo, e non so se AS lo fa nel suo libro, l'utilizzo di cromie della gamma tipiche della pittura caravaggesca atte a produrre frequenze infrarosse al limite estremo dello spettro visibile, in grado di configurare ed influenzare risposte bio-psicologiche, il che potrebbe far pensare ad un utilizzo della scelta (nonch della tecnica) del colore in chiave neurofisiologica, un modo per orientare la percezione, attraverso l'esperienza visiva, su prescelti schemi di valori.
Credo che ci siano studi specifici su questo filone anche per ci che riguarda la luce nell'architettura.
11/1/2013 - Sandro Lazier risponde a vilma torselli
Non sono sicuro che larte moderna abbia cassato laspetto narrativo. Non credi che labbia solo spostato? Spostato, intendo, dal figurativo al materico, se non addirittura al tecnico, al performativo? Ma sempre di narrazione si tratta, perch questo, comunicare, in fondo il senso ultimo di unopera darte.
Il discorso che volevo affrontare nellarticolo non riguarda tanto il punto di vista dellautore quanto, piuttosto, quella del critico e della sua strategia di valutazione.
Se egli, infatti, rimuove lattenzione dallinterpretazione dellintenzione dellautore, dallinterpretazione del significato dellopera, compresi tutti i riferimenti alla galassia dei possibili contesti, rischia di ridurre la sua critica a pura cronaca dun fatto artistico, figurativo o materico che sia.
Lintuizione di Saggio, secondo il mio parere, che la cronaca, ovvero la descrizione emotivamente neutra di come viene costruito il dipinto, in grado da sola di aprire nuovi scenari interpretativi capaci di cambiare il nostro codice di lettura. Il realismo veemente di Caravaggio, al cospetto di strumenti e tecniche di rappresentazione fertili, scopre nellosservatore che ne avr coscienza una dimensione emozionale sicuramente nuova.
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11107
di vilma torselli
del 18/01/2012
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Un anno molto difficile
di
Sandro Lazier
nazzareno romano pierandrei, sai che non l'ho capita?
Sei pro o contro? E nel caso, pro chi e contro chi? Stai parlando di politica o di architettura? Intrigante il rimando Monti-Colle, vuol richiamare una scala dimensionale simbolica? o l'hai scritto a caso?
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11100
di vilma torselli
del 11/01/2012
relativo all'articolo
Un anno molto difficile
di
Sandro Lazier
Pietro, evidentemente non sono riuscita a farmi capire, volevo indicare un piccolo spicchio di luna e invece sono riuscita a mostrare solo il mio esile, fragile e insignificante dito.
Ci riprovo.
Ho citato, banalmente, lo riconosco, il sistema wifi, la pi vistosa e palese delle innovazioni che stanno cambiando il mondo, volendo significare che, in pochi decenni, si sono concretizzati e si concretizzeranno significativi parametri mediante i quali misurare lefficienza di un sistema urbano, dei quali gli studiosi, storici, teorici dellurbanistica di solo pochi anni fa necessariamente ignoravano n potevano prevedere lesistenza, il che rende oggi almeno datato, certo non voglio dire inutile, il loro lavoro.
Curiosa la tua inversione tra causa ed effetto, tra funzioni che passano e citt che restano, prima lo schema e poi le funzioni che lo utilizzano .. accidenti, il 900 passato invano dalle tue parti!
Il continuo superamento della tecnologia, che ne determina lobsolescenza, il motore che spinge a inventare sempre qualcosa di nuovo e di migliore, a superare il limite, a mandare avanti il mondo che tu vorresti mummificato in uno stato di stabilit per un utilizzo costante e duraturo, uno scenario allucinante che si ripeta allinfinito in una sorta di Truman show per cervelli anestetizzati.
Per fortuna ci sono i folli che pensano lesatto contrario, e per fortuna solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.
Specie oggi, quando persino tutte le cosiddette scienze esatte, la matematica, la biologia, la fisica, la chimica, nonch la storia e persino la geografia si mettono in gioco, si dibattono in una profonda crisi di identit, si interrogano su s stesse.
Specie oggi, quando le tracce della particella di dio fortunosamente comparse nel fantomatico tunnel Gelmini scuotono dalle fondamenta niente di meno che luniverso einsteiniano dimostrandoci che nulla di tutto ci che conosciamo pu essere dato per scontato e che siamo condannati alla ricerca perpetua.
Poich prevedo mi dirai che non centra niente il bosone di Higgs con larchitettura, preciso che utilizzo il paradigma a scopo puramente evocativo di un clima di dubbio generalizzato, di incertezza, insicurezza ed anche, per ci che mi riguarda, di curiosit nei riguardi di un futuro sempre meno prevedibile, tranne che in architettura e urbanistica, dove consigliabile un fermo immagine, anzi una bella marcia indietro, soluzione tolemaica ma certamente rassicurante.
Il paragone evoluzionista, mutuando parole dalla genetica, mi sembrava, evidentemente a torto, di comprensione facile ed intuitiva.
Nessun individuo nasce nuovo, nasciamo senza nulla di nostro, nasciamo solo con un vecchissimo patrimonio altrui che parte dai nostri genitori ed arriva ad uno sconosciuto Australopitecus afarensis, ma la vita che vivremo, quella s, nostra, irripetibile ed unica, il nostro contributo alla continuit, il nostro modo di portare lantico nel presente, vivendo oggi, non in un passato che non c pi, non in un futuro che non c ancora.
Vivendo il presente testimoniamo il passato senza il quale non esisteremmo, non dobbiamo frugare nei bauli del nonno per provare che abbiamo un passato, ne siamo dimostrazione concreta in ogni momento della nostra esistenza, qui e ora. Perci luomo ha in dovere di agire nel presente, per permettere ad altri che verranno di avere un passato.
In architettura succede un po la stessa cosa, larchitettura di oggi non nasce dal nulla, ha anche lei le sue radici nella caverna dellAustralopitecus afarensis, nellarchitettura di oggi c dentro tutta una storia, bisogna decifrarla e non rifiutarla, ci consegnar una delle chiavi di lettura del tempo in cui viviamo.
Forse non sono riuscita a spiegarmi neanche ora, ma ho cercato di fare del mio meglio, uno sforzo che merita che tu non mi risponda parlandomi di incroci, di negozi nel cantone, di tabaccherie strategiche.
Oltretutto, io sono contraria al fumo.
Commento
11097
di vilma torselli
del 08/01/2012
relativo all'articolo
Un anno molto difficile
di
Sandro Lazier
Per Pietro.
Sempre pi spesso ci potr capitare in futuro di passeggiare in un centro cittadino e vedere locali, parchi e spazi pubblici dove gente comodamente seduta dialoga con lufficio, la casa, raccoglie informazioni, si scambia opinioni, accede agli uffici pubblici, legge e compie altre svariate attivit grazie alla copertura Wi-Fi di aree pubbliche sempre pi estese, gi accade a Bologna, a Roma, a Verona, Udine, Mestre
Non difficile ipotizzare che, in breve tempo, progetti dedicati al Wi-Fi e alla nuova frontiera di orientamento urbano chiamato Bluetrack interamente basato su tecnologia Bluetooth (quella di Bologna, per esempio) costituiranno il pi importante richiamo aggregativo del tessuto urbano grazie ad una rete interconnessa che giustificher, essa sola e con tutta la sua virtualit, perch e dove una piazza sia proprio in quel punto e non in un altro, perch un settore della citt sia pi frequentato di un altro, ridefinendo un metodo di indagine della crescita e dellevoluzione tipologica del tessuto urbano agganciato a parametri che fino ad ieri non cerano e dei quali, per ragioni cronologiche, Caniggia ignorava lesistenza, come per i frattali (che per la verit gi esistevano ma probabilmente non gli interessavano).
Frattali che sono una specie di ombrello sotto il quale ci sta di tutto, a seconda dellintenzione, e vanno bene se supportano le teorie di Salingaros, sono ininfluenti se applicati allarte moderna e ai quadri di Pollock, dove la sequenza spaziale distributiva dei bianchi e dei colorati , s, frattalica, ma non vuol dire niente, trattandosi dellopera di un originale imbrattatele alcolista che si schiantato con lauto ubriaco fradicio.
Giudico paradossale studiare la realt territoriale del mondo, costruito da e per luomo, in modo limitatamente strutturalista e ritenere inutili sociologia o psicanalisi o psicologia o statistica (?) o teorie politiche, ecc , discipline che studiano luomo artefice di quel mondo, cos come ritengo del tutto discutibile la pretesa scientificit dellurbanistica interpretata da chiunque, una scienza deve, fra laltro, avere supporti statistici e permettere la ripetibilit dellesperimento, cosa che evidentemente in urbanistica non avviene, altrimenti non saremmo qui a discutere.
l'ontogenesi dell'individuo e la filo-genesi della stirpe a cui esso appartiene, stanno fra loro nel pi intimo rapporto causale. La storia del germe un riassunto della storia della stirpe, o, con altre parole, l'ontogenesi una ricapitolazione della filogenesi: parafrasando Haeckel, credo sia questa lunica base antropologica (e culturale e fisiologica) che si possa invocare nellagire umano, qualunque siano gli esiti, nei quali, proseguendo la metafora dellevoluzionismo, variabilit ed ereditariet sono fenomeni correlati e complementari, luna legata al caso e responsabile delle mutazioni, laltra alle necessit riproduttive ed a leggi o meccanismi di trasmissione dei fattori ereditari.
Senza dare per scontato che la trasmissione dei caratteri ereditari avvenga senza travagli, dato che c' sempre qualcuno/qualcosa di recessivo che viene sacrificato sull'altare dell'evoluzione, si potrebbe per dire che oggi stiamo assistendo ad una mutazione dellarchitettura, una mutazione genetica ed estetica che la sta trasformando da oggetto tettonico portatore di regole disciplinari codificate nel tempo e di verit costruttive assolute in oggetto performativo cio un architettura come dispositivo che produce fenomeni, come involucro di un azione, come filtro che renda visibile il fluire delle forze invisibili della societ e che evidenzi le azioni umane (Annalisa Chieppa, 2008, La morte del dettaglio).
E cos che oggi larchitettura, per quanto ti possa apparire lontana e povera di contenuti, di teoria, di prassi, ha loccasione di raccontare da vicino, fedelmente e in tempo reale, le mutazioni (genetiche) delle citt che esistono da millenni e delluomo che a te, che vivi su Marte, non risulta essere cambiato.
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11090
di vilma torselli
del 06/01/2012
relativo all'articolo
Un anno molto difficile
di
Sandro Lazier
Pietro, nel tuo intervento rilevo alcune vistose contraddizioni che ti sottopongo.
Studiare "i processi di crescita e di formazione delle varie tipologie . come gli edifici si aggregano a formare le strade e quali siano le gerarchie che si instaurano .. perch e dove una piazza sia proprio in quel punto ecc." penso sia ci che possono fare e probabilmente fanno tutti gli architetti che si apprestino a progettare, non questo il punto su cui discutere, il punto, ed proprio ci che tu critichi, l'esito che deriva da questa analisi.
Ci che tu non consideri e non ammetti che qualcuno, da questi preliminari, possa derivare il progetto di "tre scatolette incastrate, o quattro puntazze al vento", secondo te necessariamente frutto di "sensazioni personali e poco pi", senza cultura e senza storia.
Guarda che per andare contro corrente bisogna conoscere i percorsi della corrente, chi inventa qualcosa di nuovo, in tutti i campi, lo fa perch ha sviluppato una conoscenza critica del vecchio ed affronta con nuovi mezzi "il dramma del passaggio dal vecchio al nuovo e quindi in sostanza l'eterno dramma del processo evolutivo."
Le dinamiche sociali sono le pi difficili da ricreare artificialmente, ma anche da conservare immutate o sviluppare a tavolino secondo evoluzioni future difficilmente prevedibili o assolutamente impreviste (la globalizzazione e la multietnicit, per esempio).
Ma per te dallo studio dei processi del passato deve scaturire per forza un progetto "tradizionale", non importa che sia coerente con la societ (moderna) che lo utilizzer, basta che sia coerente con la tradizione della societ che realizzato quei progetti 100? 200? 300? anni prima.
Mi pare un punto di vista assai poco democratico per uno che vuole chiamare il popolo a scegliere e poi decreta a priori che, se vorr dimostrarsi intelligente, non dovr/potr optare per "scatolette incastrate", ma solo per soluzioni "tradizionaliste".
Sar forse la scelta pi votata, ma solo perch difficile per i non addetti ai lavori immaginare qualcosa di diverso o contrario a ci che fa parte del loro immaginario consolidato ed in questo senso, penso al commento di Lenzarini, risulta noto, gi visto, rassicurante e perci pi semplice da capire ed accettare.
Rinunciando ad unoccasione, quella di guardare oltre il proprio naso e captare il respiro del mondo, dove sta andando, dove potr/vorr arrivare.
Perch la tradizione va, appunto, tradta (o trdita, come vorrebbe letimologia), essa una lunga storia di regole e norme consolidate disattese, ribaltate, abbandonate, e "quando la nuova regola o configurazione si afferma, il tradimento si trasforma in tradizione [] Proprio questo il significato etimologico della tradizione: essa la storia dei tradimenti passati". (Ada Cortese)
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10958
di vilma torselli
del 30/12/2011
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Sopprimere le Commissioni edilizie
di
Sandro Lazier
Ettore, ma io sono infantile, fortunatamente e saggiamente infantile, ho dubbi, ripensamenti, crisi, esitazioni, autocritiche, incertezze . so che domani non sar pi la stessa e vedr quello che ho fatto ieri in modo nuovo, forse opposto, certamente critico, ogni giorno accade qualcosa che cambia il mondo, che ci cambia, le fonti ufficiali restano ufficiali, siamo noi che cambiamo e con noi il loro senso, la storia raccontata muta a seconda della finalit che vogliamo darle, troviamo quello che cerchiamo solo se sappiamo cosa cercare prima di trovare, non esiste la storia "raccontata in maniera cruda e vera", esiste la storia raccontata da te e quella raccontata da tanti altri che non sono te.
Neanche la storia di Dio ha una sola versione (su Ges ci sono vangeli canonici, vangeli gnostici e vangeli apocrifi) non resti che tu, EMM, quale depositario di versioni uniche, racconti asettici e storia vera e documentata.
Non ti devi risentire se te lo faccio notare, una fortuna che, sotto sotto, ti invidio un po'.
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10954
di vilma torselli
del 30/12/2011
relativo all'articolo
Sopprimere le Commissioni edilizie
di
Sandro Lazier
"Io sono la Via, la Verit e la Vita", Gv.14,1-6
E' bello vedere tante luminose certezze radunate in una sola persona, tante apodittiche verit trovate, scritte e avvallate (in modo asettico) da un solo individuo, tante inconfutabili dimostrazioni prodotte da un solo uomo che ha raccontato, dimostrato, pubblicato, sempre mettendosi in gioco in prima (e unica) persona nel nome della Verit assoluta.
E' bello e ci conforta, vuol dire che Dio esiste.
E si chiama E.M.M.
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10930
di vilma torselli
del 20/12/2011
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Sopprimere le Commissioni edilizie
di
Sandro Lazier
Mi incuneo brevemente e sinteticamente nel dibattito su un punto per me di particolare interesse.
Sul rapporto arte-architettura, sulla possibile ma non necessaria inutilit delluna e la necessaria e sempre possibile utilit dellaltra, mi sembra illuminate ci che Gramsci scrive nella sua Letteratura funzionale sul fatto che larchitettura sola, tra le varie attivit creative svolte dalluomo (per esempio la letteratura) debba/possa essere funzionale secondo un indirizzo sociale prestabilito: forse perch larchitettura risponde a necessit mentre le altre arti sono necessarie solo per gli intellettuali, per gli uomini di cultura?
Larchitettura, sulla scia di Persico e prima di lui di SantElia, per Gramsci linguaggio pratico di dimensione sociale attraverso il quale essa si incunea nella societ reale, perch proprio i pratici si propongono di rendere necessarie tutte le arti per tutti gli uomini, di rendere tutti artisti .
In questa filosofia (o estetica) della prassi, dove larchitettura si qualifica come tramite per soddisfare i bisogni umani e delineare le relazioni tra organizzazione sociale e ambiente, sembra concludersi una conciliazione accettabile tra arte e architettura per la realizzazione di un mondo socio-umano.
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10821
di vilma torselli
del 18/11/2011
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Sopprimere le Commissioni edilizie
di
Sandro Lazier
C una sentenza del TAR del Piemonte (n. 657/2005) circa la legittimit di un permesso di costruire che recita: "Seppure la Commissione Edilizia abbia perso, a seguito delle innovazioni introdotte dal D.P.R. 380/2001, il suo carattere di organo necessario ex-lege potendo oggi scegliere gli enti locali se conservarla o sopprimerla , laddove si sia optato per la persistenza di tale organo, leffettiva espressione di un parere da parte di una commissione illegittimamente composta da soggetti politici, in violazione del generale principio di separazione delle funzioni politiche da quelle amministrativo-gestionali (principio che ha portata generale ed per ci stesso in suscettibile di eccezioni che non siano espressamente previste dalla legge), inficia di conseguenza gli atti successivi del procedimento e travolge la legittimit del provvedimento finale".
Il che oltre a sancire il principio di separazione fra competenze politiche e competenze amministrative, in un certo senso sancisce anche la sostanziale libert di giudizio, ma anche l'inutilit, della C.E.
Della quale peraltro, da sempre il parere consultivo e non costituisce presunzione della emissione di concessione: secondo il T.U. sullEdilizia (D.P.R. 380/2001) che ne mantiene in vita l'istituto, sulla base dell'art. 4 comma 2 la C.E. facoltativa e disciplinata in base a quanto statuito nel Regolamento Edilizio di ciascun comune che di essa intenda valersi. Ovviamente, la decisione sottost a logiche squisitamente politiche che prescindono da valutazioni estetiche o dalla originaria attribuzione della C.E. al momento della sua costituzione come Commissione di ornato (r.d. 23 ottobre 1859 n.3702).
Se la C. E. pu essere un alibi per scelte che nulla hanno a che fare con i suoi presunti compiti, c' quindi da chiedersi perch un comune scelga di dotarsi di C.E. ed un altro no. Voglio dire, il problema va spostato su un piano politico, forse non sono le C.E. che impediscono "il confronto delle idee", la strumentalizzazione che la politica ne fa, con la scusa di fermare il brutto.
Secondo me ci sarebbe da discutere sul fatto che "Cos come ci si sceglie vestito e automobile e ci si esprime liberamente con parole e gesti, allo stesso modo si ha il sacrosanto diritto di abitare a proprio gusto e piacere .. ", perch l'architettura ha peculiarit ben diverse da un abito o un'auto, beni di consumo di durabilit variabile e comunque contenuta: l'architettura resta, in particolare in Italia, dove si tende a conservare tutto indiscriminatamente, il ciclo vitale di un edificio pu durare secoli, dopo di che difficilmente esprimer il "modo molto intimo e personale di stare al mondo" di chi lo ha pensato, ma pur perdendo la sua giustificazione estemporanea rester comunque e per lungo tempo un elemento connotativo dell'ambiente e del paesaggio (beni indiscutibilmente collettivi), anche se magari non era questa l'intenzione n del committente n del progettista. Mi sembra un nodo importante, ancorch di difficile soluzione.
Cos come mi pare difficile scegliere tra la presenza di C.E. che censurino la libert progettuale dellarchitetto esprimendo poco deontologici giudizi di merito, e, in assenza di esse, sindaci o assessori che si inventino chiss quali strumenti giuridici per fermare il brutto. E magari sono pure geometri!
Il parallelo tra arte e architettura moderne, a mio parere uno dei temi portanti della cultura contemporanea, cozza da sempre ed inevitabilmente contro un discrimine irremovibile: larte libera perch inutile, larchitettura no, quantomeno non inutile, quantomeno nella maggior parte dei casi.
Ma questa unaltra storia.
Saluti
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10654
di vilma torselli
del 02/09/2011
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
In risposta alla sana e simpatica incazzatura di Claudio Giunta:
[] il compito dell'architetto, servire o dirigere?". La risposta semplice ed implicita in quanto ho detto: ponete una "e" al posto della "o". Servire e dirigere appaiono interdipendenti. Il buon architetto deve servire gli altri e simultaneamente svolgere una reale funzione di guida, fondata su una convinzione reale: guidare tanto il suo cliente quanto il gruppo di lavoro che si raccoglie intorno all'edificio. Dirigere non dipende solo dall'innato talento, ma anche, e moltissimo, dall'intensit di convinzione che si possiede e dalla volont di servire.
Come potr raggiungere questa posizione? Mi stato spesso domandato dai miei studenti qualche consiglio sul problema di divenire architetti indipendenti dopo la laurea, ed evitare di svendere le proprie convinzioni a una societ ancora abbastanza ignorante circa le idee moderne in architettura e in urbanistica.
La mia risposta questa:
Guadagnarsi la vita non pu essere l'unico scopo di un giovane che vuole soprattutto realizzare le proprie idee creative. Perci il vostro problema come serbare intatta l'integrit delle vostre convinzioni, come vivere quel che propugnate e, nello stesso tempo, guadagnare. [..........] Create centri strategici dove il pubblico sia posto di fronte a una realt nuova e tentate poi di superare l'inevitabile stadio di violenza critica finch la gente non abbia imparato a rimettere in funzione le proprie atrofizzate capacit fisiche e mentali, in modo da utilizzare adeguatamente la nuova soluzione che le offerta. Dobbiamo distinguere tra i bisogni vitali, reali della gente, e la consuetudine dell'inerzia, l'abitudine, cos spesso gabbata per "la volont del popolo".
Le forti e terribili realt del nostro mondo non saranno attenuate rivestendole di "nuove vedute", e tentare di umanizzare la nostra civilt aggiungendo alle nostre case fronzoli sentimentali sar ugualmente futile.
Ma se il fattore umano diverr sempre pi dominante nel nostro lavoro, l'architettura riveler le qualit emotive del suo autore proprio nelle ossa degli edifici, e non solo nei loro rivestimenti: sar il risultato di un giusto servire e di un giusto guidare."
(Walter Gropius, Architettura integrata, edizioni il Saggiatore, 1954)
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10646
di vilma torselli
del 07/08/2011
relativo all'articolo
Estetica dell'abuso
di
Sandro Lazier
Sandro, mi sono divertita molto a leggere larticolo ed anche a documentarmi in rete su questo artista, strano personaggio di cuneese trapiantato al sud, che, come tutti gli artisti, gode del privilegio di poter essere irrazionale, utopista, sovversivo, visionario, provocatorio, anarchico, superfluo.
Certo, se un progettista, architetto o ingegnere o geometra, avesse distribuito agli utenti un questionario come quello di Tibaldi come base per un reale progetto architettonico, sarebbe stato gentilmente invitato a recarsi presso il pi vicino centro di igiene mentale, ma Tibaldi non si inserisce in alcuna categoria, quindi segue le procedure che crede. E lui sa che non dovr progettare veramente quellimprobabile condominio, quindi provoca, perch lui pu farlo, perch lui un artista, mica un architetto, il suo mestiere provocare, non fare case. Leterogenea schiera di condmini del suo utopic building probabilmente la stessa che si siede attorno alla sua tabula rasa portandosi da casa la sedia ed inscenando attorno al tavolo una sorta di happening dellarredamento, o la stessa armata brancaleone che costruisce in tempo record una casa bifamiliare abusiva neanche peggio di quelle erette con tutti i sigilli dellufficialit.
C una parola che accomuna tutto ci, ed libert. E quella che si legge nellinusuale questionario che non dar luogo ad alcun condominio ma che avr fatto sognare qualcuno, nellaccozzaglia di sedie scompagnate dove nessuno rinuncia alla propria comodit, nel perverso efficientismo dellillegalit, libert dalle regole, dalle convenzioni, dalle imposizioni, dallapparato burocratico, dal minimalismo modaiolo, dal significato ad ogni costo.
Da tempo larchitettura guarda allarte con interesse, con emulazione e con dichiarata invidia, cerca di indagarne i codici linguistici aprendosi alla contaminazione ed allinterdisciplinarit, di evadere dalle imposizioni della ragione e della funzionalit per poter finalmente volare.
Gerhy o Hadid sono grandi evasori, la loro architettura artisticizzata un tentativo continuo di sottrarsi ai condizionamenti culturali, stilistici, persino statici, opera aperta che, come larte, rifiuta dichiarazioni formali o funzionali definitive.
E larte non fa prigionieri, larte si lascia dietro solo cadaveri nel continuo superamento di s, una fuga in avanti che lascia il vuoto, che ce la fa perdere di vista e quando la raggiungiamo spesso non riusciamo a riconoscerla.
Invece larchitettura, per sua stessa natura, comunque destinata a divenire testimonianza permanente ben oltre le sue ragioni progettuali, perch
nessunaltra attivit umana influisce sullambiente e sulla qualit della vita in modo cos determinante e soprattutto duraturo, perch la materia dellarchitettura sopravvive alla sua stessa idea.
Quanto larchitettura necessaria, altrettanto larte inutile e proprio linutilit sembra essere il decisivo discrimine tra queste due discipline. Certamente anche unarchitettura pu essere inutile, tutte le volte che non d risposte convincenti ai singoli senza avere il coraggio di liberarsi da generiche soluzioni generaliste autocompiacenti e auto compiaciute, ma questo non la rende unopera darte, solo una brutta architettura.
Quando tu invochi, la liberazione dellarchitettura sullesempio di unarte che, a differenza di essa, capace di affrancarsi dallomologazione e dallinscatolamento di massa affermando la priorit del singolo sulla presunta tutela dun astratto fine collettivo che nessuno individualmente riconosce come proprio, quando auspichi la libert degli architetti (e presumo anche unadeguata capacit professionale), mi vengono in mente parole del lontano 1954, di Walter Gropius (Il compito dell'architetto: servire o guidare?, Architectural Forum, New York) che sintetizzano ci che lui definiva comporre in funzione del vivere: l'architetto dovrebbe concepire gli edifici non come monumenti ma come asili del flusso di vita che essi debbono servire , il flusso di vita, sedie scompagnate, condominii utopici, maestranze improvvisate, le tensioni estetiche ed emotive degli uomini che abitano larchitettura.
Per citare un ricorrente tormentone, non servono nuove leggi, basta applicare quelle che gi ci sono, parafrasando si potrebbe dire: non servono architetti liberi, solo architetti capaci.
Per legge.
Commento
10152
di vilma torselli
del 10/05/2011
relativo all'articolo
La Fiera e la Moda
di
Gianni Marcarino
La parola consumo, specie a causa dellazione demistificante della pop art, stata talmente demonizzata da venir oggi usata quasi esclusivamente per indicare una generalizzata cattiva abitudine che percorre trasversalmente strati sociali e stati politici nel nome del fatidico compro quindi sono.
Eppure proprio grazie al consumismo che nato il design, un'idea che si fa derivare, soprattutto nell'immaginario collettivo degli architetti, dal mitico Bauhaus.
Il quale, tuttavia, nonostante le premesse populiste pi che popolari, fu un movimento elitario, intellettualistico, nato a tavolino, che sostanzialmente fall i suoi scopi, tanto che Paul Klee nel 1924, dichiara: "Non abbiamo l'appoggio della gente. Ma ci stiamo cercando un popolo. proprio cos che abbiamo cominciato, laggi al Bauhaus. Abbiamo cominciato con una comunit a cui abbiamo dato tutto quello che avevamo. Non possiamo fare di pi".
Il design che si riconosce figlio di questo movimento, come il design italiano di trent'anni fa, non fu un'utopia, perch, come la pop art, insegn alla gente a guardare l'oggetto quotidiano con occhi nuovi, a capire che se un apriscatole, oltre che funzionale, anche bello, ci non guasta.
Scontato che 'non ci sono pi i designer di una volta', mi sembra resti in sospeso la differenza individuata da Andrea fra design e non design. Perch se vogliamo riagganciarci al Bauhaus, la sequenza logica di una corretta operazione di design sarebbe questa: progettazione/produzione industriale-seriale/abbattimento dei costi/accessibilit al mercato, irrilevante dove avvenga la produzione, in o fuori Europa, lo scopo di produrre a basso costo prodotti in serie utili e tecnologicamente aggiornati. Qualunque oggetto pu essere design quando assolve a questi fini, sia che esprima tendenze di elite che popolari, design per il modo in cui tutti i fattori si sintetizzano e non per una presunta ed opinabile bellezza formale. Anche perch il concetto di design figlio della mentalit positivista del suo tempo ("la forma segue la funzione") e non persegue primariamente, almeno in teoria, una ricerca estetica.
Se oggi i progetti di vita, come le occupazioni lavorative, sono a termine, se un tostapane dura pi di un matrimonio, inevitabile 'pensare ikea', per soluzioni abitative anch'esse a termine, senza che ci tradisca lo spirito del design (alcune proposte ikea sono a mio avviso veramente geniali!).
Design usa e getta per vite usa e getta . tutto torna.
Ci non scongiura il proliferare di una parallela produzione di pseudo design che se ne frega dell'abbattimento dei costi, delle difficolt di produzione seriale e del politically correct: basta girare per i vari saloni e fuori saloni e dare un'occhiata alla seduta-tappeto di Sophie de Vocht, alle varie poltrone-trono o alla neonata VM Valeria Marini Home Collection .
Ricorrendo alle facili astuzie svelate da Gianni Marcarino, si parla di brand design oriented , di styling, di desing process, quello che Andrea definisce prototipazione e sperimentazione.
E esattamente quello che mi viene in mente guardando un progetto di Gehry, anche in questo caso tutto torna.
Commento
10146
di vilma torselli
del 30/04/2011
relativo all'articolo
La Fiera e la Moda
di
Gianni Marcarino
L'oggetto durevole non necessariamente il pi bello, forse il pi solido, certo il pi caro, ma questo, dal punto di vista dell'accessibilit economica da parte delle masse e quindi della divulgazione di un (buon)gusto diffuso ( o al fine della "missione educativa e sociale del design "), un limite, non un merito.
Le tecnologie si bruciano nel tempo di una stagione non perch imitano la moda, ma perch il progresso tecnologico pi veloce di quello dei nostri tempi di adattamento, non facciamo in tempo ad affezionarci ad una cosa che gi obsoleta, meno sicura, meno efficiente, non ergonomica, non a norma. Ho fatto ricablare la mia vecchia Pavoni, ora perfetta, non si prende pi la scossa, l'interruttore sicuro, i contatti sono a posto .. ma fa un caff da schifo, oggetto cult, durevole, costoso, oggi superato nei risultati dalla pi economica delle macchinette per espresso made in Japan che costa un quinto, dura un decimo e magari ha una linea stilisticamente pregevole.
'Design' sta per 'industrial design', il prodotto finale, inteso come tensione tra funzione, forma, materiali, innovazione pesantemente connotato dall'aspetto tecnologico, fa parte del gioco il fatto che il prodotto venga eliminato (butter la mia Pavoni!) se la funzione alla quale deve la sua nascita non pi assolta al meglio, non c niente di male se nel giro di un anno ci orienteremo su oggetti pi aggiornati stilisticamente, specie se laggiornamento deriva da radicali riprogettazioni tecniche (basti pensare cosa ha significato stilisticamente la miniaturizzazione dei componenti elettronici per tanti oggetti duso comune).
In definitiva mi pare che la sfida del mercato si giochi oggi tra la durata nel tempo di un oggetto di qualit per pochi e la transitoriet di un oggetto usa e getta per molti, gi allorigine concepito per una breve durata perch destinato comunque ad essere eliminato per obsolescenza. In realt io non ci vedo una contrapposizione, ci sono oggetti che appartengono alla prima categoria (lo spremiagrumi di Stark, perch si pu prevedere che ancora per un bel pezzo gli agrumi si continuer a spremerli nello stesso modo) ed altri alla seconda (il rasoio Bic, la penna a sfera). Difficile stabilire dove sta pi genialit.
Quando Zanuso ha disegnato la Cubo per Brionvega voleva progettare una radio portatile, vorrei vederlo quello che oggi se la porterebbe . ed anche se si tratta di un oggetto dotato di intrinseca bellezza, tutto tranne che una radio portatile e come tale non ha pi senso.
Per i nostalgici, resta la rivisitazione operata dal redesign, astuta operazione di 'cosmesi', per dirla con Gillo Dorfles, proposta anche da certa architettura, secondo me da evitare accuratamente.
Vilma
Commento
10141
di vilma torselli
del 25/04/2011
relativo all'articolo
La Fiera e la Moda
di
Gianni Marcarino
Qualcosa di pi interessante ed intelligente sul tema del rapporto moda/design (ma anche arte e architettura) si trova su RAI5 (per esempio 'Il bello il brutto e il cattivo', magazine settimanale sulla creativit italiana, 'Tous les habits du monde', 11 documentari intorno alla moda nel mondo come indicatore visivo della societ).
Commento
9277
di vilma torselli
del 14/02/2011
relativo all'articolo
Rivendichiamo l'AntiPiacentinismo
di
Antonino Saggio
"........ La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non intrinseca
perch fuori.
La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
La storia non magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla pi vera e pi giusta ......"
da 'La storia', di Eugenio Montale.
Commento
9224
di vilma torselli
del 03/01/2011
relativo all'articolo
Un anno difficile
di
Sandro Lazier
Oltre che una 'cara Signora' (bont sua) alla quale rivolgere 'garbate riflessioni', sono anche un architetto regolarmente laureata al Politecnico di Milano parecchio tempo fa.
E' incredibile come ancora nel terzo millennio si tenda a rivolgersi alle donne con pi o meno celata sufficienza, come ad 'esseri' alieni avulsi dalla societ attiva e dalla realt lavorativa (roba da uomini, sia chiaro, e non da casalinghe di Voghera, che parlino di uncinetto, se proprio devono parlare!)
Non si adombri, caro Signor Errico, mi rivolgo a lei perch per caso me ne ha offerto lo spunto e probabilmente perch oggi ho la luna storta o Saturno contro, prego i maschietti di astenersi da commenti, il mio off topic, a una cara signora si pu concedere.
Saluti
dr. arch. Vilma Torselli
Commento
9222
di vilma torselli
del 02/01/2011
relativo all'articolo
Un anno difficile
di
Sandro Lazier
Brunelleschi, Bernini, Palladio, Longhena .. furono per il loro tempo grandi architetti/archistar, portatori di una libert espressiva tanto dirompente e spiazzante (o eccessiva per alcuni) quanto quella dell'architettura contemporanea. Quanto all'ibridazione dei linguaggi, che si potrebbe anche chiamare interdisciplinarit, forse va ricordato che Michelangelo fu pittore, scultore e architetto, che Leonardo fu artista e ingegnere, che Loos fu architetto, designer, arredatore e stilista, che Nervi fu ingegnere e architetto, che Gio Ponti fu architetto e creatore di piastrelle, che Morris fu architetto, artigiano e disegnatore di carte da parati tutti personaggi 'inclassificabili', forse perch geniali, ma cos averne!
Invochiamo pure quali partecipanti alle iniziative degli architetti "il gelataio, l'edicolante, la parrucchiera", ma invitiamo anche lo scrittore, il professore, il manager, altrimenti si rischia di fare della demagogia populista, che forse peggio della cortigianeria.
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9211
di vilma torselli
del 19/12/2010
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Hopeless Monster (Night at the museum)
di
Ugo Rosa
Pietro, larchitettura, nata per rispondere a necessit primarie quali la difesa dai pericoli esterni e dai rigori climatici, riparo ed involucro protettivo per il corpo delluomo con la stessa funzione di un 'abito' vero e proprio, secondo Gottfried Semper, architetto e teorico tedesco dellottocento, si sarebbe poi sviluppata come architettura abitata, con etimo appunto nella parola abito, grazie alla pratica della tessitura, tutta femminile, attraverso la quale veniva costruito labito per il corpo. Da l avrebbero infatti preso spunto le costruzioni arcaiche fatte di strutture intrecciate (tende e capanne), materiali tessuti sullesempio di quanto facevano le donne della trib.
Al di l della curiosit della teoria, stupisce gi a met dellottocento questo approccio antropologico allo studio dellarchitettura, che evolve con luomo sulla base delle sue esigenze sociali.
In realt, ci dice la grammatica che il latino habitare un verbo frequentativo (o intensivo) di habere (avere). Esso significa, innanzitutto, avere continuamente o ripetutamente. Abitare rimanda quindi allavere con continuit. Labitante, allora, ha il luogo in cui abita" (Sebastiano Ghisu, Essere, abitare, costruire, vedere), e lo ha tanto pi quanto pi lo personalizza, lo rende unico e rispondente allidea che ha di s ..
Anche secondo questa derivazione, lidea di abitare strettamente legata allabitante/possessore, alla sua vita, al suo tempo, alle sue esigenze peculiari e transitorie. In questo senso larchitettura un bene di consumo, che muta, o dovrebbe mutare, a seconda delle necessit e delle richieste. Come gli abiti.
Partendo da Walter Benjamin (Parigi capitale del XIX secolo appunti incompiuti del 1925: Moda e architettura appartengono all'oscurit dell'attimo vissuto, alla coscienza onirica del collettivo .. architetture, moda, anzi persino il tempo atmosferico, sono, all'interno del collettivo, ci che i processi organici, i sintomi della malattia o della salute, sono all'interno dell'individuo), Patrizia Calefato, che si interessa di sociolinguistica, scrive: C' un profondo intreccio - poetico, semiotico, testuale - tra la moda e la citt, un intreccio che si avviluppa sul nucleo della "strada", per riprendere l'immagine di Benjamin, intesa come il luogo dove il gusto sperimenta l'atmosfera del tempo, come zona di incrocio tra culture e tensioni, come spazio fisico e metaforico entro cui la citt acquisisce il suo senso in virt di pratiche sociali condivise. Dalla "strada", concepita in questo modo, possibile guardare ai flussi che moda e architettura veicolano e moltiplicano.
E poi, basta pensare agli edifici e agli abiti del barocco, del rinascimento, del neoclassicismo per rilevare a colpo docchio profonde analogie tra moda e architettura. Pi o meno consapevolmente, la moda si caratterizzata nel tempo in senso concettuale, assecondando sempre di pi la fluidit (passami il termine abusato) del corpo anzich lesibizione di esteriorit, per giungere oggi ad una disinvolta ibridazione di forme e materiali grazie alla quale moda e architettura si integrano come stili di vita e forme di estetizzazione del quotidiano.
E non un caso che famose archistar firmino i punti vendita di famosi marchi di fashion.
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9153
di vilma torselli
del 10/12/2010
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Hopeless Monster (Night at the museum)
di
Ugo Rosa
solo una breve intromissione in una tenzone che promette di essere interessante: Ugo dice "provate ora a immaginare un padiglione per malati terminali di cancro progettato la Gehry".
Non occorre immaginare, guardate qua
http://www.mrflock.com/eventi/lou-ruvo-center-incredibile-architettura-di-frank-gehry.html
un centro di salute mentale (si fa per dire) specializzato nella cura di malattie come lAlzheimer, il Parkinson, la SLA, progettato da Gehry.
Ogni commento superfluo.
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9143
di vilma torselli
del 30/11/2010
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Hopeless Monster (Night at the museum)
di
Ugo Rosa
Egregio Lenzarini, mi permetto una breve replica.
Anche se qualcuno si ricordasse che il progetto del Maxxi incompiuto, ci non cambierebbe le eventuali critiche, specie quelle negative: un progetto incompiuto e mozzato un progetto fallito, indipendentemente da chi si possa caricare della colpa, o dellinavvedutezza, o dellincapacit alla base del risultato. Voglio dire, riusciamo ad immaginarci il colonnato del Bernini realizzato per met? Colpa del progettista, del papa o di chiunque altro, sarebbe una scempiaggine e basta!
La lettura diagrammatica (cos la chiamano) del progetto secondo i flussi di espansione dei fluidi, (http://www.plancton.com/genart/inarch04/Ciclo_acqua.pdf) con tanto di restringimenti, deviazioni e pozzanghere (cos le chiamano) informative senzaltro affascinante, quasi romantica: come non ricordare Zygmunt Bauman e la sua societ liquida, dove anche la modernit liquida, un tipo di modernit individualizzato, privatizzato, in cui l'onere di tesserne l'ordito e la responsabilit del fallimento ricadono principalmente sulle spalle dell'individuo" (Z. Bauman, Modernit liquida, 2002)?
E una condizione storica, culturale e soprattutto umana, la liquidit, quella stessa che permette di incanalare in flussi sia i fluidi che le persone, entrambi incapaci di mantenere una forma in mancanza di coesione propria. Vite di scarto, persone di scarto, arte di scarto, musei di scarto, mutevoli, effimeri, senza domani .
Ma tornando al Maxxi e alla sua affascinante corrispondenza spazio-fruitiva con le modalit dell'allestimento museografico: lungi ovviamente dal proporsi come contenitore neutrale e quindi facilmente allestibile, il Maxxi pretende di interagire costruttivamente con l'attivit museografica che si svolger al suo interno.
Compito non facile, a giudicare dallallestimento iniziale, dove sculture, dipinti e installazioni dispiegano la loro bulimia a muoversi e a rapportarsi con la nuova liquidit territoriale del comunicare architettonico. Affidate attraverso la mano dei curatori ad un nuovo continente senza confini tradizionali vagano e perdono ogni ancoraggio. Sono fantasmi dispersi e sconcertati che si scontrano e si sovrappongono senza una logica, perch nel mondo della rete aperta e dei flussi dinamici non sussiste n storia n tema. Cos il tentativo di isolare gruppi di lavori d'arte, raccogliendoli sotto titoli [] risulta astratto e inutile. Rende superficiali certi insiemi [..] oppure scardina l'impatto mitico di certi interventi [..]. Di fatto questa riduzione di prestazione artistica il risultato di una contraddizione. Contrappone la fluidit architettonica ad una pratica statica e passiva, decisamente storica: quella del museo, dove conta l'accumulo, cronologico e linguistico, non la comunicazione. Una schizofrenia tra il compito di collezionare il passato e di proiettarsi nel futuro che produce un procedere ibrido su cui riflettere al fine di non rovinare la funzione dell'istituzione. [] Avendo progettato un'architettura senza confini n territori privilegiati, un corpo quasi sferico in cui tanto le irradiazioni quanto le prospettive non sono riferimento, ma indici erranti di una superficie totale, Hadid ha sollecitato l'affermazione di un'estetica pluralista, che volge lo sguardo a tutti i possibili stimoli dall'Asia all'Africa, dalle Americhe all'India: un invito alla rimozione del locale e nazionale, per un'apertura alla mondializzazione. E qui si concretizza un'altra dicotomia del nuovo museo che manifesta intenti globali, ma sollecitato a rivolgere la sua attenzione alla dimensione interiore, quella dell'arte italiana, augurandosi una sua potenzialit internazionale. Cos Germano Celant, Maxxi caos sullEspresso e La repubblica del 3 giugno 2010.
Larticolo di Celant smonta facilmente alcune non scontate prese di posizione:
- che larte moderna debba necessariamente essere esposta in un museo moderno
- che lagibilit per flussi sia automaticamente pi intelligente di quella per percorsi
- che i flussi spaziali possano essere reinterpretati al variare delle esigenze espositive secondo una flessibilit parallela tra contenente e contenuto che non pare cos agevolmente attuabile, come dimostra linsoddisfacente esposizione di apertura.
Su queste scelte di fondo lincompiutezza della struttura ha scarsa rilevanza, anzi, la compiutezza forse accentuerebbe le incongruenze.
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9134
di vilma torselli
del 10/11/2010
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Hopeless Monster (Night at the museum)
di
Ugo Rosa
Per Antonino Saggio.
Premettendo che condivido ci che scrive nellarticolo da lei stesso citato, mi pare vadano aggiunte alcune considerazioni:
Lidea di un museo autosostenibile, che si autofinanzi con introiti propri mi pare assolutamente normale per quei musei americani, circa ventimila, la quasi totalit dei musei sul territorio, che non sono statali, ma sono stati pensati, costruiti e riempiti da privati: dal Getty Museum al Whitney Museum ai vari Guggenheim, che hanno dato casa ai transfughi surrealisti europei monopolizzandone le opere e creando da zero lespressionismo astratto americano, ai vari Rothschild, che ne hanno esposto nelle loro sedi bancarie 2500 esemplari, ai Castelli ecc.
Cito dalla rete www.sindromedistendhal.com/LaLente... I nostri musei hanno ben poco in comune con quelli americani. Sia da un punto di vista istituzionale, gestionale ed amministrativo, sia sotto lottica pi strettamente legata alla funzione culturale del museo. Negli ultimi anni si deve al noto studioso e direttore della Normale di Pisa Salvatore Settis un impegno attento e appassionato sullargomento. Ne sono testimonianza due importanti libri (Italia S.pa. pubblicato da Einaudi nel 2003 e Battaglia senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto, una raccolta di articoli e interviste, edizione Electa -2005), numerosi interventi su giornali e riviste specializzate ed infine la recente nomina a presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali.
Settis impegnato a dimostrare, innanzitutto, che primo ostacolo allapplicazione del modello americano in Italia una profonda differenza ontologica tra musei italiani e statunitensi.
Personalmente, forse perch non sono americana, penso che la cultura, come la scuola, debba/possa essere gratuita o anche onerosa, penso che i musei non dovrebbero far pagare il biglietto dingresso, che i depliant e il materiale divulgativo sulle iniziative in corso dovrebbero essere regalati ed offerti gratis ai visitatori perch meglio comprendano (un catalogo che costa 50 euro non alla portata di tutti, delle orrende tazzine con su scritto Tamara de Lempika sono inutili, portano soldi allorganizzazione ma non diffondono cultura).
Oggi Guggenheim una griffe come Prada e Armani, un marchio diffuso nel mondo, a New York a Bilbao a Venezia a Berlino (dove in joint-venture con Deutsche Bank), una vera e propria multinazionale dellarte che gestisce la totalit delle opere del 900, dal Surrealismo al Cubismo, all'Astrattismo alla Pop Art.
Parallelamente gestisce anche un enorme bilancio per ci che riguarda lindotto, vendita di cataloghi, di riproduzioni, gadget firmati, shop museum, guggenheim store, caf museum ecc.
Una recente invenzione, che ottimizza la gestione economica e si inquadra in un crescente processo di McDonaldizzazione della cultura cosiddetta globale (nel senso che offre tutto a tutti in modo indifferenziato) quella delle mostre itineranti (mostra sulla Bauhaus che passa da Berlino a New York, di Tiffany tra Parigi e Montreal, di Hopper da Milano a Roma a Losanna, della mostra sul Futurismo, quella su Hans Hartung ecc.), un unico pacchetto preconfezionato che si sposta da Milano a Roma, dalla Francia alla Germania, con unorganizzazione controllata, efficiente, prevedibile, asservita alla logica di mercato che governa oggi molti fenomeni sociali e culturali (dall'alimentazione al lavoro al tempo libero) .
Sarebbe pensabile e possibile un tale sistema in Italia? Una famiglia ricca e potente che fa incetta di opere e gestisce una catena di musei senza chiedere finanziamenti statali e proponendo una sua libera offerta culturale? Non so se auspicabile, ma forse, e il MAXXI potrebbe esserne l'occasione, non da escludere, confidando nel fatto che il supermanager Mario Resca, consigliere del ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, anche lex presidente di McDonalds Italia. Non ci resta che aspettare.
Il 3 giugno 2009 viene inaugurato a Venezia il museo Vedova, modesto, piccolo, costa solo 1,5 milioni di euro, il primo museo in movimento dedicato a trenta tele di un solo artista italiano, dove le tele del grande artista veneziano vengono esposte per mezzo di una struttura meccanica che con un movimento circolare le trasporta dal magazzino, in cui sono conservate, nella sala dove gli spettatori possono ammirarle mentre galleggiano nellaria.
www.veneziasi.it/it/musei-gallerie-venezia...
E una novit, anche dal punto dello sfruttamento ottimale degli spazi, la tecnologia semplice ma efficace, bellidea, forse Elizabeth Diller lavrebbe o lha apprezzata, qui in Italia nessuno ha fatto una piega.
Voglio dire, per chi vive nella realt di un paese come lIta
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9131
di vilma torselli
del 08/11/2010
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Leonardo Ricci. Lo spazio inseguito
di
la Redazione e Antonino Saggio
Forse Socci voleva sapere chi Carlo Sarno, cio l'autore del commento , e non chi Leonardo Ricci (da parte mia confesso la mia ignoranza su entrambi).
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9130
di vilma torselli
del 08/11/2010
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Hopeless Monster (Night at the museum)
di
Ugo Rosa
Questo http://dailymotion.virgilio.it/video...
un divertente Sgarbi-show che forse sfuggito a Ugo Rosa.
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9079
di vilma torselli
del 01/11/2010
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La modernit, tramite tra passato e futuro
di
Vilma Torselli
gentile Scandellari Valeria, circa la chiusa del suo commento al mio scritto, cito una notizia di oggi pescata in rete: "Mentre l'Europa ha celebrato il 65esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale la Germania inaugura "Topografia del Terrore" un museo sugli orrori nazisti. Proprio nella vecchia sede di SS e Gestapo". Il titolo: Berlino non dimentica.
Come sempre, l'odio tiene vivo s stesso attraverso questi musei della memoria.
Solo cos fa notizia.
Saluti
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8753
di vilma torselli
del 20/07/2010
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Addio Giannino Cusano
di
La redazione
Sono costernata, come immagino tutti quelli che, come me, hanno avuto il piacere di dialogare con lui sulle pagine di antithesi ed apprezzare la sua cultura, l'intelligenza aperta, la capacit di ascolto, la voglia di mettersi in discussione.
Da ieri siamo tutti un p pi poveri.
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8562
di vilma torselli
del 03/06/2010
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Arte senza senso
di
Sandro Lazier
Cusano scrive: "..... la logica "concettuale" precede quella "poetica" o non , piuttosto, il contrario? E' il "Cogito" (peraltro vuoto di contenuto, cos come lo aveva formulato Cartesio) o non per caso l'intuizione poetica che fonda la realt? ....."
Bella domanda!
io credo che buona parte delle prime teorie freudiane fossero capovolte. A quel tempo, molti pensatori consideravano normale e ovvia la ragione conscia, mentre linconscio era considerato misterioso, bisognoso di prova e spiegazione. La spiegazione era data dalla rimozione, e linconscio veniva riempito da pensieri che avrebbero potuto essere consci, ma che la rimozione e il meccanismo onirico aveva distorto. Oggi riteniamo misteriosa la coscienza, mentre i metodi di computazione impiegati dallinconscio, ad esempio il processo primario, li riteniamo continuamente attivi, necessari e onnicomprensivi. Queste considerazioni sono particolarmente pertinenti nellambito di qualunque tentativo per ricavare una teoria dellarte e della poesia. La poesia non un tipo distorto e ornato di prosa; piuttosto la prosa poesia spogliata e inchiodata al letto di Procuste della logica..:
cos risponde Bateson, che sintetizza questa sua rivoluzione copernicana in una frase di Pascal: "Le coeur a ses raisons que la raison ne connait pas.
E ancora: ".... una relazione astratta, ad esempio tra verit e giustizia, viene prima concepita in termini razionali; poi viene tradotta in metafora e agghindata per farla apparire il prodotto di un processo primario., invertendo il normale processo, creativo che in realt, secondo lui, avviene al contrario.
Quindi non l'arte ad interpretare il reale trasfigurando e veicolando in messaggi irrazionali concetti logici, ma invece la ragione che si adopera per relazionare con significati consci i messaggi che l'arte ci invia dall'inconscio.
La natura imita ci che l'opera d'arte le propone. Avete notato come, da qualche tempo, la natura si messa a somigliare ai paesaggi di Corot? (non Bateson, quel burlone di Oscar Wilde)
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8559
di vilma torselli
del 02/06/2010
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Arte senza senso
di
Sandro Lazier
Mi trovo d'accordo con l'analisi di Cusano, se ho capito correttamente tutti i passaggi.
In particolare mi pare assolutamente condivisibile la chiusa finale: "L'arte non ha, come si possiede un oggetto o un che di estraneo, "senso" perch l'arte essa stessa (il) senso".
Ci che intendo per senso dell'arte il suo significato peculiare, diverso da opera ad opera e da artista ad artista, il quale artista produce un intreccio indissolubile tra contenuto e forma che si materializza in un quadro, una statua, una installazione ecc., contenuto e forma che sono propri di quell'opera e irripetibili da altri e anche dal medesimo artefice (non permutabili con altri colori o parole), il che mi riporta alla discussione con Sandro sul linguaggio, che manterrebbe invece nel tempo la sua autonomia anche in presenza di un messaggio obsoleto.
In realt, il linguaggio, specie per l'arte moderna, esso stesso, come contenuto e forma, un elemento irrinunciabile del messaggio, con il quale nasce e muore, senza pretese 'universalistiche'.
Che l'artista sia semplice 'produttore' dell'opera mi sembra riduttivo, fare arte implica progettivit e intenzionalit, oltre a capacit tecniche oggettive e razionali come la scelta dei materiali, l'uso del pennello, dei colori, dello scalpello ecc.
Van Gogh, indubbiamente artista e indubbiamente malato mentale, ha tanta consapevolezza di ci che fa che descrive minutamente, nell'epistolario con il fratello Teo, come rappresenter la sua camera di Arles e persino a quale mercante porter il quadro, su quale parete della galleria lo posizionar, sullo sfondo di quale tappezzeria. Con lucida autoanalisi, cos spiega al fratello il suo "Caff di notte": "Ho cercato di esprimere con il rosso e il verde le terribili passioni umane. La sala rosso sangue e giallo opaco, un biliardo verde in mezzo, quattro lampade giallo limone a irradiazione arancione e verde. C' dappertutto una lotta e un'antitesi dei pi diversi verdi e rossi, nei piccoli personaggi di furfanti dormienti, nella sala triste e vuota, e del violetto contro il blu".
Parallelamente, la fruizione dell'opera d'arte non dipende solo da una sorta di rapimento empatico che per vie irrazionali ce ne fa capire il senso, ma anche dalla possibilit di collocarla entro una sorta di spazio culturale percepito come condivisibile da fruitori opportunamente informati sulle intenzionalit dell'artista che ha eseguito un'opera. E' quanto sostiene Joseph Margolis, filosofo pragmatista poco noto in Italia, interessato alla sociologia e all'estetica, (Art and Philosophy, 1980) che con posizione anti-idealistica (o non idealistica) collega a questo aspetto la comprensione del senso di un'opera d'arte.
Ed infatti se sappiamo che Daniel Spoerri, instancabile nomade intellettuale (poeta, ballerino, coreografo, regista, attore, costumista, organizzatore museale, regista, insegnante all'Accademia di belle Arti di Colonia) anche appassionato di culinaria (si definisce uomo di teatro e di cucina), autore di un libro di ricette "Diario Gastronomico"(Grecia, 1966), nonch proprietario fondatore del Ristorante Spoerri, (Dusseldorf nel '68), probabilmente riusciamo a meglio capire da dove scaturiscano i suoi tableaux-pieges, se sappiamo che Cy Twombly, americano conquistato dal classicismo, gi da bambino piccolissimo ripeteva sempre: Da grande andr a Roma! riusciamo a capire il "simbolismo romantico delle sue potenti sinfonie barocche, n ci stupiremo davanti alla tela tutta bianca di Robert Rauschenberg se la vedremo come contrappunto ai 433″ di silenzio di John Cage, amico ed ispiratore.
Edoardo Boncinelli, biologo genetico e molecolare, sostiene il "carattere fortemente sociale della creativit. Per essa occorre anche il riscontro della valutazione collettiva. Essere creativi implica produrre qualcosa di innovativo che appaia utile o comunque rispondente a un bisogno condiviso e che ottenga pubblico consenso per entrambi i termini. Il prodotto creativo, cio, deve poter essere giudicato dalla comunit in cui l'atto creativo espresso come innovativo realmente utile. Il successo creativo, pertanto, richiede qualit sociali tali da permettere l'affermazione propria. e dei propri prodotti, e tali capacit sociali possono facilitare un giudizio positivo sull'insieme delle caratteristiche possedute dal soggetto creativo (Come nascono le idee, 2008)
Dal canto suo Gregory Bateson, antropologo, psichiatra, studioso di logica e cibernetica, dice: Ritengo che sia dimportanza fondamentale possedere un sistema concettuale che ci costringa a vedere il messaggio (p. es. loggetto artistico) sia come in s internamente strutturato, sia come parte esso stesso di un pi vasto universo strutturato: la cultura o qualche sua parte " (Verso un'ecologia della mente 1977)
Lapproccio quasi antropologico all'arte che si desume dalle ipotesi sia di Boncinell
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8555
di vilma torselli
del 30/05/2010
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Arte senza senso
di
Sandro Lazier
Per J.P. Sartre le opere d'arte "sono soltanto 'analoga' materiali delle immagini ideali che costituiscono la vera e propria opera darte valutabile, la quale una struttura irreale, cio priva di senso corrente, in grado di rivelare un mondo dell'immaginazione diversamente non accessibile dalla coscienza: gli aspetti materiali e fisici dell'opera sono, insomma, dei catalizzatori per arrivare al 'senso dell'opera'.
Secondo questa interpretazione, il gesto dell'artista si fa senso nell'urgenza della domanda, nella ricerca della risposta, nel segno che lascia, nella ridefinizione di una sorta di 'statuto mimetico' dell'arte.
Arthur Danto parla di "destituzione filosofica dellarte" e sceglie il pop di Andy Warhol per interrogarsi sul perch qualcosa sia arte e qualcosa di esattamente uguale sul piano percettivo non lo sia: davanti ad una scatola di Brillo dipinta da Warhol non possiamo cogliere la differenza rispetto ad una scatola del supermercato se non concentrandoci non sul suo aspetto fisico, ma sul pensiero, sull'idea che trasforma il mezzo in senso e l'oggetto in opera artistica mediante la traslitterazione dal reale.
"Per usare il mio esempio favorito, nulla indica una differenza esteriore fra la Brillo Box di Andy Warhol e le scatole di Brillo al supermercato. E larte concettuale ha dimostrato che non serve nemmeno un oggetto visivo tangibile affinch qualcosa sia unopera darte. Ci significa che non puoi spiegare il significato dellarte per esempi. Ci significa che, in quanto si tratta di apparenze, qualunque cosa pu essere unopera darte, e significa che se si cerca di scoprire che cosa sia larte, ci si deve spostare dallesperienza dei sensi al pensiero. Si deve, in breve, voltarsi verso la filosofia." (Arthur Danto, "L'abuso della bellezza" 1997)
Con ci, l'arte scivola nella filosofia, ma ci decreta la morte dell'arte?
La s-definizione dell'arte paventata da Harold Rosemberg, la sparizione dell'arte lamentata da Baudrillard, larte allo stato gassoso di Yves Michaud, trasformata in 'etere artistico' sono il limite estremo della de-sostanzializzazione dell'arte che, con Duchamp, diventa procedurale e concettuale, acquisendo in ci autoconsapevolezza e senso.
Non poco.
Commento
8553
di vilma torselli
del 30/05/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
L'arte ha sempre un 'senso', anche se non si tratta di 'senso comune', quest'ultimo s che non obbligatorio.
La decodificazione del linguaggio artistico avviene secondo un 'senso' intrinseco all'opera che non ha niente a che fare con i normali meccanismi cognitivi di cui ci serviamo nella vita quotidiana.
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8030
di Vilma Torselli
del 11/05/2010
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Arte senza senso
di
Sandro Lazier
Sandro, sono molti i punti del tuo articolo sui quali discuterei, anche se so di non avere la preparazione e gli strumenti per contestarli efficacemente, ma ci provo ugualmente, premettendo che le mie argomentazioni potranno sembrare semplicistiche.
Ti chiedi che fine fa la verit, datosi che la mappatura del territorio viene costruita prima di esplorarlo e la rappresentazione dei fatti, scrivi, ormai a totale servizio del modo con cui vengono descritti.
Io credo che i fatti siano nella stragrande maggioranza dei casi fatti descritti, in tutti i modi possibili, oggi con le simulazioni virtuali, in passato attraverso il racconto di testimoni o storici o cronisti, linvenzione dei linguaggi e delle scritture hanno permesso la prima, importante decontestualizzazione della storia rendendo possibile raccontare la realt dei fatti anche senza esserne stato testimone oculare.
Da allora la verit dei fatti ha cessato di esistere.
Io non sono mai stata a Petra, so che esiste, o almeno mi hanno fatto credere che esista, perch me lhanno raccontata, fotografata, descritta, oggi me la fanno percorrere con sofisticati mezzi tecnologici di simulazione in 3D, comunque sempre un racconto mediato, seppure costruito con linguaggi diversi, probabilmente inquinato, come tutti i racconti, dalla soggettivit del narratore.
Mi anche difficile, data la mai ignoranza in materia, discutere sul discorso del linguaggio, al quale attribuisci una sua autonomia strutturale che lo rende sempre autentico e veritiero: da ci che capisco, lo paragonerei al medium di McLuhan, dotato di una struttura intrinseca che lo straforma da mezzo per esprimere un messaggio a messaggio vero e proprio. E allora, il virtuale non un mezzo, quindi un linguaggio? Non racconta una sua verit?
Quanto a Duchamp, mi viene in mente una curiosa foto del Baudrillard-artista che fotografa una poltrona nascosta sotto un drappo rosso (dalla mostra Scatti, Bologna, 2000, http://img104.imageshack.us/img104/8784/baudrillardsaintbeuve19.jpg): che fa, se non decontestualizzare un comune ed insignificante pezzo di stoffa senza alterarlo in alcun modo [ ] per trasformarlo in oggetto darte, consegnandolo allestetica divorante della banalit.? Io lo leggo come un ironico e benevolo omaggio al pop, non proprio una lattina di campbell's soup, tuttavia ..
Quanto a Il delitto perfetto, cos commenta lo stesso autore: [] Voglio dire che la perdita pi grave senz'altro quella dell'illusione, vale a dire di una parte diversa del nostro rapporto con l'esistente. Il concetto di realt relativamente recente, contiene un sistema di valori solo da poco consolidatosi. Per contro, mi sembra che l'illusione sia parte integrante dell'organizzazione simbolica del mondo, ed perci assai pi dinamica. l'illusione vitale di cui parla Nietzsche, costituita da apparenze, fantasie, e tutto ci che pu essere la forma di una proiezione, come una scena diversa da quella della realt. E mi pare che essa sia stata completamente eliminata da questa operazione del virtuale che, in parole semplici, io chiamo "delitto" ma che in fondo non che una metafora un poco esagerata e forse persino non troppo giusta, nella misura in cui non si tratta in realt di un crimine o di un assassinio in senso simbolico. Quando Nietzsche diceva "Dio morto", ad esempio, intendeva identificare con l'uccisione di Dio una rivoluzione positiva, se cos posso esprimermi, mentre nell'altro caso non abbiamo un omicidio ma una eliminazione, una scomparsa, un annullamento, cosa alquanto pi grave. Quanto all'aggettivo "perfetto", esso denota come il vero delitto, come sto per dire, consista nella perfezione, perch vuol dire che quest'ultima il risultato finale. (Intervista sul virtuale a Jean Baudrillard, 1999, http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/b/baudrillard.htm).
Sono convinta che se Baudrillard, per cause di forza maggiore, non si fosse perso gli ultimi tre anni del decennio, avrebbe cambiato almeno alcune delle sue affermazioni.
Sulla felicit della scrittura di F. O. Gehry, sono daccordo, senzaltro felice, lui, prima di tutto, che ha il coraggio, la capacit, la possibilit e lonest(?) di esprimersi, credo che non ci sia un architetto che non lo invidi!
E, come dici, una scrittura liberata dal giogo del significato, ma io il confronto sempre leale con la realt (materiale e sociale) che sarebbe prerogativa ineludibile dellarchitettura non ce lo vedo.
Mi sembra anche discutibile sostenere che la spettacolarit di certa architettura risulti tale perch confrontata con la pochezza dellarte figurativa che ospita, fra contenente e contenuto c', ci deve essere, una tensione reciproca che suggerisca un equilibrio delle parti a beneficio di entrambe, perch si capisca che sono fatte l'una per l'altra.
whos the star, the building or its contents? si chiede Andrew McClellan, sto
11/5/2010 - Sandro Lazier risponde a Vilma Torselli
Vilma, ho letto il tuo ultimo scritto Se
questo un quadro dove lamenti per larte e larchitettura
lassenza di racconto. So, quindi, che non puoi essere daccordo con
me, che propongo una decisa presa di distanza da qualsiasi forma di significato.
Il racconto, secondo la mia opinione, non vietato ma negato, perch
non pu aver pretesa di contaminare e condizionare il linguaggio artistico
o architettonico. Lautonomia formale di questo lo rende immune
dal giudizio sulle cose che raccontiamo. Si pu dire la pi grande
menzogna o la pi grande verit con linguaggio raro o banale indifferentemente.
La differenza la fa la forma del linguaggio, non la sua sostanza.
Il riferimento a McLuhan non credo sia del tutto adatto. Il linguaggio non
un messaggio o un medium, rimane uno strumento per comunicare che per
ha una sua vita propria. Vive e prospera anche quando il messaggio esaurito.
La poltrona rossa di Baudrillard. In occasione della mostra, su Repubblica
del 30 aprile 2009, viene pubblicato lo stralcio di uno scritto del 2004,
Ombre et photo, che dice a un certo punto: La fotografia ()
conserva la traccia di una scrittura d'ombra, quale essa altrettanto
che "scrittura di luce", e dunque il segreto di una fonte luminosa venuta
dalla notte dei tempi.
Allautore interessa, in questa fotografia, la relazione tra luce e ombra
e il loro dialogo. Il racconto c, ma interno al dialogo
luce ombra esclusivamente fotografico. Non ci sono riferimenti altri che al linguaggio.
Infatti, dice ancora pi avanti: Ora, bisogna che un'immagine
sia libera da se stessa, che sia sola e sovrana, che abbia il proprio spazio simbolico.
Si racconta che Stendhal passasse alcuni giorni di tempo su poche righe dei
suoi romanzi. Non era in discussione il racconto, ma la forma con cui veniva
comunicato. La letteratura, per rinnovarsi, deve fare i conti con la lingua.
Larchitettura, per rinnovarsi, deve fare i conti con la scrittura dello
spazio, non con i suoi significati.
Larte contemporanea deve innanzitutto ritrovare il suo ambito formale,
il luogo dellespressione e della sua scrittura.
Recentemente ho visto due immagini piene di significato. La prima riguarda
un americano che, per la festa di Halloween, ha indossato un costume da prete
cattolico con cucito sullabito allaltezza dei genitali un bimbo
visto da tergo. La seconda sulla copertina di un settimanale tedesco,
dove una classica statua greca tende il pugno rovesciato in avanti con lindice
medio alzato.
La pubblicistica la vera arte dei significati e queste due immagini
valgono molto pi di un asino appeso al soffitto di un museo.
Commento
8029
di Vilma Torselli
del 10/05/2010
relativo all'articolo
Costruire con i suoni
di
Vincenzo Santarcangelo e Sara Bracco
vorrei ricordare: 433 di John Cage, composizione per pianoforte.
Commento
8019
di Vilma Torselli
del 20/04/2010
relativo all'articolo
Kairos e modernit
di
Paolo G.L. Ferrara
" ......Il nostro concetto di moderno ATEMPORALE ed cos che si definisce un atteggiamento, un modo di porsi rispetto al mondo e pertanto in quanto tale non definibile temporalmente. Altro concetto quello di crisi. Nel cambiamento delle situazioni si operano grandi e potenti crisi di trasformazioni, sono crisi profondissime , sono crisi che rappresentano la grande difficolta' nel collocarsi.........CRISI e MODERNITA' SI LEGANO, perch la definizione migliore di modernit quella che suscita domande e risposte alle crisi..........": sono parole di Antonino Saggio, le ho lette tempo fa e confesso di non ricordarne l'esatta collocazione (magari ce la pu indicare lui stesso).
Mi pare che ci sia una certa 'circolarit' con l'articolo di Paolo Ferrara.
Per sto leggendo il libro cercando di dimenticarmene, perch sono contraria al fatto di seguire, in qualsiasi lettura, le 'istruzioni per l'uso'. Saluti
Vilma
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8010
di Vilma Torselli
del 14/04/2010
relativo all'articolo
Architettura e modernit
di
Paolo G.L. Ferrara
Giannino Cusano, ci che intendevo dire che, con l'avvento delle tecnologie informatiche, il rapporto tra medium e messaggio o opera creativa significante del pensiero dell'artefice, si talmente assottigliato che oggi il paragone con il fabbro che curva il ferro di Horta o il falegname che curva il faggio per Thonet e il tecnico informatico improponibile.
C' infatti una differenza fondamentale tra il fabbro che martella fino a domare il ferro secondo il disegno fornito da Horta, azione sostanzialmente copiativa, e il tecnico che utilizza i nuovi mezzi digitali, differenza costituita dal fatto che questi ultimi possiedono una loro "intelligenza", attivabile attraverso l'applicazione di programmi di funzionamento anche molto complessi, con i quali l'utilizzatore si deve relazionare.
Per riuscirci non indispensabile "conoscere" il programma, bisogna per saperlo "usare", e forse per la prima volta nella storia della tecnica, la seconda cosa pi difficile della prima.
Le nuove tecnologie digitali sono a base visiva, pongono al centro della comunicazione e della elaborazione l'immagine e non il testo, lo fanno il cinema, la televisione, l'arte digitale e, almeno in parte, l'architettura.
Con queste premesse evidentemente sempre pi difficile stabilire quanto il risultato sia attribuibile al cervello che ha pensato quel tal progetto o a quello che ha escogitato ed utilizzato al meglio gli strumenti che lo renderanno leggibile e realizzabile.
Questo mi sembra anche il senso del commento di Pietro Pagliardini.
Horta senz'altro non conosceva neppure l'artigiano che curvava il suo ferro, mentre Gehry deve lavorare gomito a gomito e in perfetta sintonia con il suo programmatore, del quale non pu fare a meno (mentre Horta si poteva rivolgere indifferentemente a vari fornitori).
In questo senso mi chiedevo che farebbe Gehry se il suo programmatore andasse in pensione (non essendo tanto facile sostituirlo quanto un fabbro), ipotizzando che, in tal caso, potesse tornare alla professione di quando era uno scultore di belle speranze povero e sconosciuto, il camionista, appunto ( "Povero ebreo arrivato a Los Angeles dal Canada nel 1947, guida un camion per mantenersi agli studi ...." da una pagina di Antonino Saggio http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/filmati/bilbao/Page.html)
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8006
di Vilma Torselli
del 14/04/2010
relativo all'articolo
Architettura e modernit
di
Brunetto De Batt
Ma Zappal, lei non ha capito niente della mia replica a Tanzi, anzi, se devo essere pi precisa, credo che lei faccia fatica a capire qualunque cosa.
Il tema che Tanzi propone e che io ho raccolto, il rapporto uomo/macchina, creativit/tecnologia, uno dei filoni portanti del dibattito culturale di tutto il '900, indipendentemente da ci che sta scritto nel libro in questione, e lei me lo liquida come 'arroganza salottiera'? Ma dove stato fino ad ora?A cosa crede pensasse lo stesso Antonino Saggio quando ha scritto "Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura", "Frank O. Gehry, Architetture residuali", nonch svariati articoli sul tema? Se li persi tutti? La sua, Zappal, non semplificazione, ignoranza.
Per il resto, credo che qui nessuno voglia esprimere 'giudizi', ma solo pareri ed opinioni, i giudizi li esprime lei, che arrogante lo davvero, con una grossolanit che lascia ben poche speranze circa la profondit del suo pensiero, le sue conoscenze e la sua educazione.
Le lascio un aforisma facile facile, si sforzi, vedr che riuscir a capire: "Quando il dito indica la luna, l'imbecille guarda il dito".
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7999
di Vilma Torselli
del 13/04/2010
relativo all'articolo
Architettura e modernit
di
Brunetto De Batt
Tanzi scrive .edifici "pionieristici" progettati secondo una logica compositiva fortemente influenzata dai mezzi informatici, (mediateca di Sendai ed altro), offre una panoramica sulle ricerche interdisciplinari che coinvolgono l'architettura contemporanea e questo credo che sia un merito del libro.
Anche se non ho ancora letto il libro, accetto a scatola chiusa questo suo merito.
Tuttavia mi viene spontanea la stessa riflessione che ho fatto quando ho letto in rete un articolo di Saggio, non ricordo dove, che parlava di un libro che un autore americano ha scritto sul modo di procedere di Gehry e su come dai suoi schizzi, che, diciamocelo, lasciano piuttosto a desiderare, i suoi esperti informatici ricavino progetti comprensibili e fattibili con sofisticati programmi grafici.
Devo dire che mi sfugge come la scintilla del genio si trasferisca dallo schizzo sommario al progetto finito e mi pare che il clou di tutta la faccenda sia nel mezzo: voglio dire, chiss quanti giovani architetti in grado di sbizzarrirsi con la matita e un foglietto di carta ci restano sconosciuti perch non hanno i tecnici di Gehry che trasformano i loro scarabocchi in musei, centri commerciali o auditori, chiss se il genio di Gehry sarebbe venuto alla luce senza laccurata operazione di maieutica di uno staff che magari di architettura capisce poco, ma che con il computer fa magie.
Non voglio rispolverare lantico dilemma del rapporto tra arte e scienza, irrisolto quanto quello di stabilire se sia nato prima luovo o la gallina, ma mi pare che Saggio prenda la faccenda da un certo punto in avanti, senza porsi il problema principale, cio se quello che ne viene fuori sia architettura.
E un po come dire di un artista che un gran pittore, peccato che non sappia usare il pennello!
Gehry fa degli schizzi eufemisticamente mediocri, per fortuna c chi sa usare il pennello al posto suo.
Oggi il medium e il messaggio sono talmente intrisi luno nellaltro (Mac Lhuan non ha parlato invano) da risultare inscindibili, il nocciolo della questione sta, secondo me, nel come relazionare le abilit (o le disabilit) tecniche con latto creativo della mente in modo che le une siano indispensabili allaltro e viceversa.
Da casalinga di Voghera: se non ci fosse il computer e chi lo sa usare con consumata maestria, Gehry sarebbe un architetto (o un 'creatore di sogni', come da spot a firma di Sydney Pollack) o sarebbe destinato a fare il camionista?
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7962
di Vilma Torselli
del 25/03/2010
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Architettura e modernit
di
Brunetto De Batt
effettivamente, sono d'accordo con Marrucci (una volta tanto!): un bello spot pubblicitario, non c' che dire, complimenti a A.S., che leggo da sempre con assiduit e piacere, ma soprattutto a lei!
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7756
di Vilma Torselli
del 13/01/2010
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Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Il dibattito Pagliardini-Cusano ha finito per indurmi in tentazione, voglio dire la mia.
Per, come Pietro sa, poich l'argomento tutt'altro che nuovo, mi prendo l'arbitrio di ripetermi con un mio post sullo stesso tema comparso sul blog di Giorgio Muratore, Archiwatch.
Da allora, infatti, il mio parere non cambiato, e neppure quello di Pietro, pare!
A proposito di Giurie popolari
Vilma Torselli, rispondendo a Pietro Pagliardini, cos commenta:
Forse deludendoti, devo ribadire (rispondo a Pietro che mi ha citata in modo puntuale) che non ho nessuna fiducia nelle possibilit di apporto costruttivo, almeno in campo urbanistico-architettonico, da parte delle casalinghe di Voghera: una volta mi hai scritto che ti sembravo un po snob, forse avevi ragione, pu essere che sia anche antidemocratica, presuntuosa, classista ecc. , non ho difficolt ad ammettere, con tutto ci che questo comporta, i miei personali pregiudizi negativi sulla necessit/possibilit di progettazioni partecipate da chicchessia.
Ho visto da vicino i mitici anni 80 della Milano da bere, consigli di zona, comitati di quartiere, tavole rotonde, seminari aperti e tutto il repertorio del populismo ipocrita travestito da democrazia, da una parte platee di metalmeccanici, bottegai e casalinghe disperate che improvvisandosi progettisti sparavano fesserie fuori tema, quasi sempre dettate da contingenti interessi personali (lasilo, o il parco o il minimarket, perch non lo facciamo vicino a casa mia? e su quella strada, perch non ci mettiamo un semaforo cos appena esco dal portone posso attraversare? analogamente per il tracciato del metr, la fermata del bus, il parcheggio dei negozi ecc.), dallaltra parte palchi di demogoghi imbonitori che fingevano di trovarle intelligenti: se la cosa avesse veramente funzionato oggi dovremmo avere citt diverse, pi vivibili, le citt dei cittadini, invece il tempo passa e vediamo ancora i soliti architetti, soliti politici, soliti palazzinari .
Nulla cambiato, as time goes by, Lui, nella sua eternit di celluloide, continua a fumare la solita sigaretta e Sam suona ancora la solita canzone, sempre quella.
La nostra legge urbanistica la pi vecchia, la pi farraginosa, complicata, vincolante e restrittiva di tutto il pianeta, abbiamo il maggior numero di centri storici e di siti protetti da vincoli storico-ambientali, paesaggistici e artistici, una miriade di sovraintendenze, associazioni e fondazioni che mummificano ogni tentativo di cambiamento ostinatamente propensi al non-intervento a prescindere, questa la realt entro la quale si deve districare un progettista oggi, ci mancherebbe pure che ci si mettesse la giuria popolare a dire la sua.
Ho letto da qualche parte che nei parchi giapponesi, le pavimentazioni dei percorsi pedonali vengono posate sulle tracce lasciate dal calpestio dei passanti sullerba, il che, se non una leggenda metropolitana, costituisce un piccolo ma illuminante esempio di integrazione sui generis tra progettazione pubblica ed esigenze della comunit in un paese che non certo noto per i coinvolgimenti popolari a qualunque livello.
Questo esempio minimale mi porta a dire che, forse, larchitetto debba essere prima di tutto un cacciatore di tracce, un segugio che scopre i segni che la gente lascia nellambiente senza neppure rendersene conto, quei percorsi spontenei derivati dalluso e dalle abitudini di una comunit, deve trovarli, analizzarli, decifrarli e trarne le conclusioni sotto forma di un progetto nel quale, in qualche modo, quelle vecchie tracce siano recepite e identificabili: non dico che sia facile farlo, dico anche che larchitetto non pu n deve operare da solo per conto di Dio, non basta stare sul campo, ha bisogno di opportune integrazioni che vengano dalla sociologia, dallantropologia, dalla statistica, dalla storia, dalla psicologia, da tutta una serie di discipline umanistiche che si occupano delluomo nel suo ambiente.
E non di una platea di incompetenti che gli fornisca non tanto informazini utili, quanto un alibi per un eventuale insuccesso, quello, s, condiviso.
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7695
di Vilma Torselli
del 30/12/2009
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L'arte facile
di
Sandro Lazier
". Lidea in se stessa [] un lavoro darte tanto quanto un prodotto finito. [] Nellarte concettuale lidea o il concetto laspetto pi importante del lavoro." ( Sol LeWitt Paragraphs on Conceptual Art, da Artforum, 1967)
E' innegabile che questo processo di dematerializzazione, dove la spiegazione dell'opera sostituisce l'opera stessa, abbia prodotto una frattura tra l'arte ed i suoi fruitori e sia responsabile dellinstaurarsi di una incomunicabilit imbarazzante: come scrive Luigi Baldacci nella sua raccolta I quadri da vicino pu oggi accadere che il destinatario del messaggio artistico, il pubblico, sia "assente o sconosciuto al portalettere", poich larte pare essersi arroccata su posizioni aridamente didascaliche, preda di una autoreferenzialit narcisistica dove viene a mancare lo spazio per quel processo identificativo senza il quale la fruizione dell'arte non possibile.
Tuttavia vorrei ripercorrere larticolo di Sandro Lazier e fare alcune osservazioni.
Sono daccordo sul fatto che lhomo faber abbia esaurito il suo tempo ed il suo ruolo lasciando sul suo cammino quelle che Sandro chiama tracce, orme, scrittura ecc. Ma non va dimenticato che le scritture sono necessariamente compatibili con i mezzi di cui si dispone per scrivere: la pennellata di Leonardo unica, come la martellata di Michelangelo, lunico modo per non perderle quello di conservare il prodotto oggettuale (al Louvre o in San Pietro) e andarcelo a guardare per leggerlo e per captarne lirripetibile aura. Per larte concettuale, che non usa pennello e scalpello e beneficia di straordinarie tecnologie avanzate, la procedura non pi questa poich ricorre ad altri mezzi di registrazione ed archiviazione delle tracce, non ha bisogno delloggetto perch si propone di conservare lidea che sta a monte, della quale la traccia sar un filmato, un video, un cd, un testo .. Il concettualismo sospinge ad un riesame radicale della natura dell'arte al di l della visibilit (e quindi della possibile mercificazione) del prodotto artistico e persegue, tra utopia e ribellione (quella che Sandro chiama provocazione puramente scenica), lidea di unarte-evento che, in quanto essenza concettuale e mentale, non pu essere posseduta e venduta.
Lintenzione quella di indurre una presa di coscienza di ordine intellettuale e mentale verso problemi di ordine sociale, esistenziale, culturale, filosofico.
Non unarte facile quella che vuol parlare direttamente al cervello senza la mediazione sensoriale e la seduzione del racconto, non a basso costo, visto che nessuno pu comprarsi le sedie della 'One and Three Chairs' di Kosuth o lorinatoio di Duchamp, unarte difficile che non ha prezzo.
Il rapporto dellarte con il mercato c sempre stato, tutti i grandi del passato, da Raffaello a Michelangelo hanno sempre prodotto i loro capolavori grazie a ricchi mecenati che attraverso le loro opere tramandavano la propria immagine o la storia della loro vita, penso alla Cappella Sistina, che non ci sarebbe se papa Sisto IV non avesse finanziato i lavori. Daltra parte, non cerano gallerie o musei o mostre-mercato che rendessero redditizio il mestiere dellartista, bisognava dipendere dai pochi ricchi disponibili, mentre oggi i canali del danaro sono solo pi numerosi e diversificati ed il mercato dellarte pi organizzato e strutturato, quindi pi perverso.
Spesso i tentativi per richiamare al racconto e alla scrittura compiuti da critici ed artisti volenterosi non sono altro che il tentativo di trovarsi uno spazio anche o soprattutto nel mercato grazie a discorsi frusti e gi sentiti che possono sembrare nuovi solo in antitesi al concettualismo: la Transavanguardia proprio un movimento costruito a tavolino grazie allabilit, la cultura e il potere di un critico giocoliere della parola quale Achille Bonito Oliva che cos la definisce " Transavanguardia significa apertura verso lintenzionale scacco del logocentrismo della cultura occidentale, verso un pragmatismo che restituisce spazio allistinto dellopera"
Una dichiarazione di estrema banalit travestita da novit.
Il minimalismo vuol esprimere concetti non necessariamente minimali, ma attraverso il minimo dei mezzi, il che innegabilmente la scelta pi adatta a riflettere il sostanziale minimalismo di ideali, sia quantitativo che qualitativo, nella societ contemporanea, in congruit con il concetto che ogni societ ha la cultura che si merita. E non si possono prendere le distanze dal suo minimalismo modaiolo come fosse una cosa che non ci riguarda, si pu solo impegnarsi per cambiarla, assieme allarte e allarchitettura.
30/12/2009 - Sandro Lazier risponde a Vilma Torselli
Cara Vilma, ho troppa stima delle tue parole per pensare che tu possa sbarazzarti delle mie con tanta sicurezza e celerit.
Il mio discorso sul linguaggio sicuramente molto pi profondo di quanto le mie
modeste doti letterarie hanno saputo esprimere in questo articolo. Per questo
ti cito Jean Baudrillard (La scomparsa della realt): La critica ideologica
e moralistica, ossessionata dal senso e dal contenuto, dalla finalit politica
del discorso, non tiene mai conto della scrittura, dellatto di scrivere, della
forza poetica, ironica, allusiva, del linguaggio, del gioco col senso. Non vede
che la risoluzione del senso si trova nella forma stessa, nella materialit
formale dellespressione. [] Tutti hanno delle idee, pi di quante ne
siano necessarie. Ci che conta la singolarit poetica dellanalisi,
che sola pu giustificare chi scrive e non la miserabile oggettivit critica delle
idee. Lunica soluzione possibile alla contraddizione delle idee sta nellenergia
e nella felicit della lingua. Non dipingo la tristezza e la solitudine dice
Hopper cerco solo di dipingere la luce su questo muro.
Io credo che, per dirla con Baudrillard, per recuperare credibilit e attualit critica si debba inevitabilmente tornare al linguaggio e alla scrittura.
Se vedo un carrello della spesa allungato su un tappeto bianco, non mimporta il suo significato perch qualsiasi significato esso abbia analiticamente solo una realt fenomenica che mi arriva in forma distorta, una semplice tautologia imbrogliata. Minteressa molto di pi com costruito il carrello e com disposto sul pavimento, perch ci dice molte cose molto pi interessanti e coinvolgenti.
Dissento quindi totalmente dallaffermazione di Sol LeWitt. Lidea rimane unidea
e, come le parole, se inespressa, niente. La difficolt teorica della dottrina
di LeWitt sta nel fatto che impossibile qualsiasi evidenza al di fuori della
scrittura, opere sue comprese, che quindi cadono in inevitabile contraddizione
dal momento che non cos facile sbarazzarsi del cadavere della realt.
Sul mercato dellarte una precisazione. Ognuno di noi, architetto, ha avuto incarichi dove sono in ballo somme di denaro ben superiori a quelle che potrebbero permetterci lacquisto dopere darte anche importanti. Ci detto, nessuno di noi crede daver a che fare con dei mecenati ma con persone comuni di questa societ, fortunatamente priva di queste figure, seppure meritorie. Se larte concettuale deve la sua fama alla contrapposizione con quella borghese riservata a pochi privilegiati, perch tirarli in ballo per motivi di bottega finendo nella pi grande delle contraddizioni?
Per quanto riguarda la transavanguardia, il vero scacco al logocentrismo delloccidente la decostruzione del linguaggio, quindi la scrittura, non il ritorno allo spazio istintivo dellarte. Con buona pace di Achille Bonito Oliva.
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7697
di Vilma Torselli
del 30/12/2009
relativo all'articolo
L'arte facile
di
Sandro Lazier
Sandro, immagino tu sappia che non era mia intenzione di sbarazzarmi delle tue parole "con tanta sicurezza e celerit". Certo anche per me la sintesi, obbligatoria in questa sede per non tediare a dismisura sia te che i tuoi lettori, non mi ha evidentemente aiutata ad esprimere a dovere il mio pensiero. Ma sostanzialmente non credo che ci si possa sbarazzare facilmente di un fenomeno (di cultura? di costume? di moda?) cos dirompente come il concettualismo, oggi riattualizzato alla luce della progressiva virtualizzazione delle azioni e delle relazioni umane nella societ moderna. Mi pare che sia proprio Baudrillard ad affermare che la realt morta, uccisa dal virtuale, ed stato un delitto perfetto.
Certamente ognuno pu auspicare ci che crede, sperare nel ritorno alla scrittura e alla lingua ed affermarne la necessit, questo non vuol dire esprimere un giudizio sulla contemporaneit, ma solo una speranza sui suoi futuri sviluppi.
La citazione che fa di Hopper, per la verit, mi sembra inopportuna, Hopper era talmente minutamente figurativo da essere definito precisionista, tutte le sue idee erano ben visibili nei suoi dipinti, racconti raggelati nelle sue atmosfere sospese, piene, appunto, di tristezza e solitudine, non doveva aggiungere altro, non c'era problema, essendo quanto di pi lontano dal concettuale.
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7675
di Vilma Torselli
del 21/12/2009
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Architetti, crisi e architettura
di
Sandro Lazier
In arte non ha senso parlare di buono o cattivo, ma solo di bello o brutto, larte pu esprimersi liberamente senza autolimitarsi n finalizzarsi, pu essere bella e cattiva, brutta e buona, pu essere contemporaneamente bella e brutta, buona e cattiva, senza intenzionalit alcuna, senza scopo e senza utilit.
Ha ragione Eco, che per la verit compie un ragionamento pi articolato di come sembrerebbe nella citazione di Casgnola: "L'artista non ha convinzioni etiche, non servirebbero, larte comunque etica, suo malgrado e al di l delle sue stesse intenzioni (lintenzionalit condurrebbe ad un imperdonabile manierismo dello stile"): etica perch ha a che fare con i comportamenti umani, con la societ, con i costumi, etica perch, per tornare ad Eco, essa "metafora epistemologica di una persuasione culturale assimilata" ed in grado di definire il mondo come qualsiasi altro strumento conoscitivo del sapere del suo tempo.
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7668
di Vilma Torselli
del 20/12/2009
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Architetti, crisi e architettura
di
Sandro Lazier
Il concetto del bello (e del brutto) ha subto e subisce continue trasformazioni nel tempo, legato com ad un excursus storico-critico che parte dalla concezione platonica e classica di bellezza basata su proporzione ed armonia fino a giungere, oggi, al predominio di una voluta, provocatoria dissonanza formale che pare il linguaggio pi adatto ad esprimere la crisi della cultura contemporanea. Tanto che chi si occupa di comunicazione visiva si chiede se nellestetica moderna sia il brutto ad essere diventato la vera bellezza.
Umberto Eco ha scritto una interessante Storia della bellezza (2004) , a cui ha fatto seguito, per par condicio, una altrettanto interessante "Storia della Bruttezza(2007) partendo proprio dal presupposto che la Bellezza non sia mai stata, nel corso dei secoli, un valore assoluto e atemporale: la lettura potrebbe chiarire tante idee, specialmente a Flavio Casgnola.
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7656
di Vilma Torselli
del 14/12/2009
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Architetti, crisi e architettura
di
Sandro Lazier
A Flavio Casgnola:
LArchitettura in quanto tale una forma dellespressivit e creativit umana che prescinde dalla politica, se non per le implicazioni deboli legate alla pianificazione territoriale e, di contro dovrebbe influenzare la cultura, intesa come costume, ma solo per gli aspetti pi profondi legati alla sensibilit estetica.
Tutto il resto pura demagogia o, peggio, retorica.
Non sono daccordo, neanche in parte, e confesso che una delle poche volte, se non lunica (non uno scherzo, vero?), in cui sento affermare da un architetto che ci che fa vuole avere come risultato prioritario di influenzare gli aspetti pi profondi legati alla sensibilit estetica, (tutto il resto optional).
Dire che Fare gli architetti significa fare politica e cultura non vuol dire che larchitetto debba piattamente aderire alla pianificazioni (politiche) di chicchessia, mi sembrerebbe una lettura piuttosto semplicistica dellaffermazione di Sandro, cos come mi sembra oltremodo riduttivo dire che larchitettura sia un fenomeno di costume legato alla sensibilit estetica dei destinatari.
C un innegabile legame tra etica ed estetica (tra bene e bellezza) in base al quale
larchitettura che sollecita ed appaga la sensibilit estetica del maggior numero possibile di fruitori (dato che ogni architettura patrimonio collettivo), acquisisce automaticamente una valenza etica, altro che prescindere!.
(Se vogliamo discutere del rapporto etica-politica dobbiamo probabilmente spostarci su un altro blog).
Edoardo Boncinelli (Come nascono le idee, 2008) mette in risalto il carattere fortemente sociale della creativit , mezzo per soddisfare, in termini di novit e fruibilit, bisogni condivisi, e proprio la soddisfazione di bisogni, o se vogliamo, lassolvimento di una funzione, da sempre uno dei temi caldi se si parla di architettura. Soddisfare i bisogni dei fruitori vuol dire fare politica, direttamente o indirettamente, quando quei bisogni siano determinanti per il buon andamento della convivenza civile, sociale e comunitaria.
Voglio fare anchio un po di retorica e citare una frase di William Morris: "L'architettura abbraccia l'intero ambiente della vita, e rappresenta l'insieme delle trasformazioni operate sulla superficie terrestre in vista delle necessit umane" dove il fare architettura ha proprio il senso delloperare in vista dellassolvimento di bisogni (necessit umane) e funzioni.
In epoca di bipolarismo, anch'io trovo divertenti, oltre che provocatorie, le divisioni proposte da Sandro tra destra e sinistra dellarchitettura (ci manca solo unindagine per sapere se larchitetto con la canotta di sinistra e quello con la T-shirt di destra), divisioni che comunque sono paradigma di una situazione assolutamente realistica.
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7630
di Vilma Torselli
del 30/11/2009
relativo all'articolo
Conservatori del moderno e moderni conservatori
di
Sandro Lazier
Mi pare che Marrucci tratteggi con acuta efficacia la 'macchietta' del pi grande architetto vivente (cos ho sentito definire Piano), che Prestinenza Puglisi, con minor ironia e maggior conformismo definisce "il pi persuasivo e affascinante degli architetti presenti sulla scena internazionale" riconoscendogli in dote " straordinaria retorica neo-umanista e accortezza tattica e comunicativa da manuale" (Due sfide per Piano, 2007).
La stessa retorica del boschetto di Milano, la stessa che assegna un nome vagamente 'ambientalista' ,Vulcano Buono, ad un allucinante centro commerciale giocato attorno ad una piazza vuota di alienante squallore.
Se questo quello buono, figuriamoci quello cattivo ........
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7617
di Vilma Torselli
del 24/11/2009
relativo all'articolo
Conservatori del moderno e moderni conservatori
di
Sandro Lazier
Renzo Marrucci,
mi pareva di aver capito che l'articolo di Lazier volesse affrontare il problema in termini pi generali, ma posso aver sbagliato. Secondo me ci su cui si dovrebbe discutere la 'demolibilit' di strutture diventate estranee non solo al contesto, ma alle loro stesse intenzionalit. Questo non viene determinato da infiltrazioni d'acqua o da scrostameto di intonaci, ma dal fatto che l'edificio non serve pi, essendo venute meno l'ispirazione sociale e la base ideologica che ne hanno informato il progetto.
Quindi, la manutenzione che lei auspica potrebbe certamente salvare la struttura, ma se "Il valore (dell'opera d'arte) non pi nella materia e nella forma che la costituiscono ma nel racconto che essa propone.", racconto esaurito e divenuto vuoto di significato, perch farlo?
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7613
di Vilma Torselli
del 21/11/2009
relativo all'articolo
Conservatori del moderno e moderni conservatori
di
Sandro Lazier
Trovo che lidea di unarchitettura che, se non ha pi nulla da raccontare, possa/debba essere demolita sia estremamente moderna, oggi, quando la rapidit del divenire spinge inesorabilmente ogni forma espressiva verso il provvisorio, il superamento di s, secondo lidea che architettura sia non solo il costruito e labitato, ma anche il temporaneo, il precario, linstabile, leffimero eterno" direbbe Daniel Spoerri, artista concettuale del tableaux-pige.
La radicata opinione che larchitettura sia fatta per durare nei secoli, cosa che di fatto spesso accaduta, si scontra oggi con lidea che anchessa debba avere un ciclo vitale, decada e si consumi.
.ogni cosa dura il tempo che dura. Perch auspicare che un'architettura si conservi per l'eternit? (Massimiliano Fuksas, "Pi emozioni in periferia", intervista di Leonardo Servadio, L'Avvenire on line, 02.02.05).
E forse ci che intende Marc Aug in modo indubbiamente pi articolato e sottile, quando scrive: Larchitettura contemporanea non mira alleternit ma al presente: un presente, tuttavia, insuperabile. Essa non anela alleternit di un sogno di pietra, ma a un presente sostituibile allinfinito..
Il che tuttavia, mi sembra contrasti, quantomeno in termini pratici, con la possibilit che la scrittura abbia invece un suo valore atemporale e sia praticamente sempre attuale o attualizzabile e conservabile, con una prelazione di eternit. Voglio dire, come si fa a decidere quando si pu demolire (perch unarchitettura non pi in grado di servire materialmente una funzione) e quando invece valga la pena di conservare una testimonianza di scrittura anche quando il contenuto non ha pi efficacia o interesse?
Il colosseo non serve pi da parecchi anni, ma si deciso che la sua scrittura meritasse di sopravvivere alla sua funzionalit, a quanto pare, e stessa sorte potrebbe toccare alla la scrittura di Pellegrin. E per evidente che mancano criteri oggettivi per stabilire simili distinguo, specie se si parla di architettura recente, il che abbastanza grave perch unarchitettura demolita non si pu riabilitare come si fa con una critica negativa, una demolizione per sempre.
Nel dubbio, noi italiani abbiamo sempre optato preferibilmente per la conservazione, in nome della memoria o dellindifferenza o della incapacit di operare scelte, non so, applicando ci che Sandro propone, una riattualizzazione di strutture obsolete, ma di buona scrittura, talvolta con qualche evidente forzatura. Il che, sono certa, non sarebbe il caso della scuola di Pellegrin affidata a Galvagni.
Gi che ci siamo, vorrei aggiungere che non darei proprio per scontato che larte concettuale, in mancanza di interazione tra pensiero e cosa pensata abbia rinunciato a considerare limportanza della scrittura, anzi, larte concettuale nasce proprio come tentativo di far coincidere l'opera darte con l'analisi del linguaggio e del sistema in cui si colloca, con la scrittura, appunto, secondo un metodo non pi intuitivo, ma analitico-scientifico attraverso il quale comunicare un concetto. Non a caso nel suo 'Art after Philosophy' Joseph Kosuth parte dal pensiero di Wittgenstein, filosofo del linguaggio, per affermare lidea di unarte in cui gli oggetti non hanno altro scopo che definire s stessi, al di l di ogni pretesa soggettiva, estetica o contemplativa, per unarte senza cervello, estranea alla fisicit della materia.
L'arte ha a che fare coi significati e non con la loro forma, quella concettuale ignora la grammatica e predilige la logica del linguaggio, come un gioco che costruisce se stesso, la sua mancanza di referenzialismo non significa mancanza di scrittura, significa circolarit di un processo in cui il linguaggio diviene esso stesso arte.
In questo caso non c diversit tra pensiero e cosa pensata, la scrittura coincide con questa relazione di identit, ci che lartista concettuale vuol dire coincide con ci che dice.
Be, cervellotico, ma affascinante!
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7600
di Vilma Torselli
del 15/11/2009
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Kazuyo Sejima direttore della Biennale 2010
di
La Redazione
Scusate, non c' nessun altro, oltre me, che abbia rilevato nel contenuto l'alta percentuale di aria fritta?
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7559
di Vilma Torselli
del 22/10/2009
relativo all'articolo
Opere faraoniche e tragedie annunciate 3
di
Leandro Janni
Se vogliamo essere precisi, Leandro Janni, leggo nei suoi articoli:
" .... ineffabili affermazioni del ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli a proposito del ponte sullo Stretto: Spero che al massimo per gennaio i primi lavori a terra possano partire, spero anzi che il via possa esserci gi a dicembre (Opere faraoniche e tragedie annunciate). Ora, io in quel 'ineffabili' ci leggo una presa di posizione critica, oltre che ironica. Sbaglio?
"Mentre non mancano, a quanto pare, risorse economico-finanziarie, per mandare avanti opere faraoniche come il ponte sullo Stretto ....... di vero e di concreto, per la realizzazione di questa inutile e faraonica opera ..... il parere che il ponte sullo Stretto rimanga una priorit, sembra sostenuto ormai dal solo ministro Matteoli " (Opere faraoniche e tragedie annunciate 2). Mi sembra che la sua posizione sia chiara ed inequivocabile. Sbaglio?
........ Il ponte ha da farsi e si far ..... Che leventuale realizzazione della mega-infrastruttura andr a sconvolgere il paesaggio di uno dei luoghi pi belli e delicati del nostro Paese, non considerato degno di attenzione......." (Opere faraoniche e tragedie annunciate 3) Qui c' poco da commentare, e anche da sbagliare.
Che tutto ci concordi con la sua affermazione "Io non sono mai stato ostile all'idea di un PONTE" me lo deve, questo s, spiegare bene, non vorrei sbagliare per l'ennesima volta.
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7555
di Vilma Torselli
del 21/10/2009
relativo all'articolo
Opere faraoniche e tragedie annunciate 3
di
Leandro Janni
Visto che, gira e rigira, del ponte si finisce sempre per parlare, vorrei capire come mai tanta ostilit verso un'intenzione, quella di unire fisicamente seppure artificialmente, due sponde della stessa nazione, che ha rappresentato da sempre il sogno urbanistico di chi si affacciasse su quelle sponde, dai romani che costruirono sullo stretto, in mancanza di meglio, ponti di barche a Carlo Magno a vari re di Sicilia, Oggi che il sogno realizzabile, ci sono le tecniche, ci sono, pare, i soldi, no, non va bene, continuiamo con le barche.
Faccio mia una "PROPOSTA DI LEGGE PER LA SALVAGUARDIA E LA PROTEZIONE DEL PAESAGGIO PERFETTO ITALIANO" redatta da una sedicente Sezione californiana di Italia Nostra (Santa Monica, CA) e segnalata gi nel 2004 da Mariopaolo Fadda proprio sulle pagine di Antithesi in occasione del rigetto del progetto di Niemeyer (noto sabotatore di paesaggi perfetti) per l'auditorium di Ravello.
Cito per esteso gli articoli pi significativi:
Art. 1. Lintero territorio italiano viene proclamato, ai sensi della presente legge, paesaggio perfetto.
Art. 2. Il paesaggio di cui allart.1 dovr essere salvaguardato e conservato nella sua integrit. Un Piano Paesistico Nazionale, dalle Alpi alla Sicilia, dalla Sardegna alle Puglie, dovr essere predisposto entro 40 anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Sino allapprovazione del PPN, e con effetto retroattivo, sono indistintamente e tassativamente proibite, in tutto il territorio nazionale, costruzioni moderne di ogni genere ed espressione. Qualora, per imprescindibili situazioni locali, si rendesse necessario procedere con un intervento contemporaneo, il giudizio definitivo sul progetto verr demandato ad una apposita commissione, composta da 999 membri di cui un terzo nominati da buoni padri di famiglia, un terzo da Italia Nostra ed un terzo dai sindacati del settore agricolo-pastorale. La commissione, presieduta dal Presidente di Italia Nostra, decider allunanimit. In caso di disaccordo tra i membri il progetto si intender respinto.
Art. 3. Al fine di ripristinare le condizioni originarie del paesaggio perfetto, ed ai sensi dellart. 2 della presente legge, sono consentite, sotto la diretta supervisione dei Soprintendenti ai Beni Ambientali, di concerto con il Presidente di Italia Nostra, demolizioni di edifici di qualsiasi genere (chiese, palazzi comunali, stazioni ferroviarie, ecc.) che siano sorti in danno al paesaggio di cui allart. 1. Il ripristino del paesaggio dovr essere attuato con la metodologia scientifica del comera, e dovera. In mancanza di documentazione inoppugnabile si proceder per analogia con paesaggi delle stesse caratteristiche.
Art. 4. ... omissis ...
Art. 5. Ai Soprintendenti ai Beni Ambientali, vengono conferiti, con la presente legge, pieni poteri per lintero territorio italiano e per tale ufficio saranno forniti delle pi sofisticate attrezzature per combattere guerre intelligenti, nonch dei pi tradizionali mezzi di coercizione: carri armati, portaerei, mezzi anfibi da sbarco e corpi speciali dassalto. Il Governo attiver anche le procedure per lattribuzione dello status di caschi bl ai soci di Italia Nostra.
Art. 6. .... omissis ....
Art. 7. autorizzata in via del tutto eccezionale la creazione di liste di prospcrizione dei sostenitori degli inserimenti moderni nel paesaggio perfetto. Per la tenuta della lista verr creata, con separato provvedimento, unautorit Garante. Al Garante spetter il compito di tenere aggiornata la lista e trasmetterla periodicamente ai Soprintendenti ed al PDA per i provvedimenti di loro competenza.
Art. 8. .... omissis .....
Art. 9. ..... omissis .....
Art. 10. Con la presente legge si d mandato al Governo perch attivi le procedure nazionali ed internazionali per proclamare, sotto legida dellUNESCO, il territorio della Repubblica Italiana .
La proposta di Fadda, se convertita in legge, potrebbe venire incontro alle richieste di Italia Nostra, Paese Loro, Il Sole che Sorride, L'arcobaleno che Ammicca, Il Movimento per l'Abolizione dei Terremoti, Leandro Janni e tutti quanti si adoperano per la salvaguardia del Paesaggio Perfetto, naturalmente senza ponti.
Saluti
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7516
di Vilma Torselli
del 14/10/2009
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Opere faraoniche e tragedie annunciate 2
di
Leandro Janni
Sono d'accordo con Pietro (una volta tanto!), il problema sta a monte. Se, come scrive Janni, "negli ultimi anni questo territorio stato offeso, violentato da unurbanizzazione aggressiva e dissennata, che ha stravolto i delicati equilibri ambientali e paesaggistici. Numerose sono le inchieste della magistratura che riguardano abusi e speculazioni edilizie perpetrate in aree torrentizie", concentrarsi sul piano casa un p come guardare la pagliuzza e dimenticarsi della trave.
Se il disastro incombeva da anni per una scriteriata gestione del territorio perch gli stessi cittadini, diretti interessati e oggi direttamente danneggiati, non hanno scelto di farsi governare da politici corretti e capaci, ma hanno scelto di barattare licenze abusive e demolizioni mancate contro voti.
Non avremo politici con una coscienza civile finch non saremo cittadini con una coscienza civile.
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7506
di Vilma Torselli
del 10/10/2009
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Opere faraoniche e tragedie annunciate
di
Leandro Janni
Ci informa Leandro Janni: Il presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo ..... ha espresso la volont di adottare un atteggiamento intransigente verso labusivismo ........, evviva, bont sua!
Dobbiamo ringraziarlo perch fa rispettare leggi dello stato? Ma non sarebbe un obbligo (da svolgere in silenzio e senza proclami)?
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7491
di Vilma Torselli
del 07/10/2009
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Opere faraoniche e tragedie annunciate
di
Leandro Janni
Sul fatto che il territorio italiano necessiti di essere 'messo in sicurezza' non ci sono dubbi, sul fatto che possa essere messo in sicurezza ci sono dubbi (anni fa ho visto rimpolpare con iniezioni di cls la rocca di tufo su cui sorge Orvieto e mi venuto da ridere), sul fatto che non si debba costruire (abusivamente) su aree torrentizie o faglie franose ci dovrebbero essere certezze.
Forse, specie a Sarno e a Messina, bisognerebbe cominciare dalla elementari ad insegnare ai bimbi che se fai una casa abusiva in zona sismica o alluvionale, pu essere che la perdi per catastrofe naturale, perch mai lo stato te la dovrebbe ripagare?
Certo te lo dovrebbe quantomeno impedire, demolirla con le ruspe una volta che l'hai fatta, forse aveva intenzione di farlo se, come ho sentito, ci sono un migliaio di provvedimenti antiabusivismo recapitati ad altrettanti abusivi.
Forse la natura solo arrivata un p prima della burocrazia.
Quanto al ponte sullo stretto, che personalmente non ritengo indispensabile, mi pare che si finanzi con altre partite di bilancio, con contributi europei che non si potrebbero utilizzare diversamente (per esempio per la messa in sicurezza del territorio) e che andrebbero quindi persi. O sbaglio?
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7438
di Vilma Torselli
del 17/08/2009
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Difendere la tradizione dai tradizionalisti
di
Sandro Lazier
Ci sono luoghi comuni che possiedono una straordinaria forza seduttiva, un potere evocativo tanto radicato quanto ingannevole, uno di questi lidea di tradizione. Intimamente connessa al concetto di identit e quindi di differenza, la tradizione vista come una componente statica della cultura di un popolo, alla quale parametrare la modernit ed al tempo stesso la propria appartenenza etnica. In realt non vi nulla di pi instabile della tradizione, che non solo una tessitura di secoli di avventura.", ma essa stessa unavventura in fieri, un impasto indistinguibile di nuovo e vecchio in continua lievitazione, un processo collettivo ed individuale variabile ed imprevedibile al quale arbitrario attribuire le caratteristiche fisse e precise di uno o laltro momento storico . Cosa vuol dire seguire la tradizione? Quali i riferimenti da tenere presenti, di cent'anni fa, di duecento? C un periodo nel quale individuare e fissare la tradizione?
Mi viene in mente un paragone che ho letto da qualche parte, secondo il quale stabilire un momento significativo al quale far riferimento per la definizione della tradizione e dellidentit di un popolo un po come scattare la foto di gruppo di una indisciplinata classe di bambini, in continuo movimento, che si scambiano di posto, che mutano la disposizione, il numero, lespressione .. Qual lo scatto che veramente li rappresenta? E una volta fissati in una foto, quei bambini ci si possono veramente riconoscere?
Oggi, in epoca di globalizzazione, laltra faccia di una medaglia che esibisce con compiacimento una visione ecumenica ed universalizzata della realt planetaria, il timore del diverso espresso demagogicamente come difesa delle radici culturali, come difesa di una cultura glocalizzata alibi per una crescente attenzione verso il locale e i localismi in genere, camuffati, appunto, da valori tradizionali: per citare, Sandro, parole del tuo articolo, In quest'ottica la tradizione viene vista pi come un elemento retorico utilizzato da gruppi di individui per rafforzare una propria identit collettiva, in particolare per essere utilizzata in contrasti con altri gruppi sociali."
Bobo, artista immaginativo con una grande manualit e con lanima ecologica di attento osservatore della natura, rimasto vittima di un regolamento pittoresco e, nella sua ingenuit, anche un po' fanatico che non concepisce neanche lontanamente che, in oltre mezzo secolo, la tradizione, anche quella della Val dAosta, possa aver accolto neologismi, ibridazioni e legni clandestini, appropriandosene e quindi assimilandoli in quella che, fra qualche anno, sar chiamata tradizione. Lidentit collettiva meglio rappresentata da regole e comportamenti da documentare e tramandare fedelmente ai posteri o da chi, pur figlio di quella terra, sta nel mondo con la sensibilit di oggi e distilla poesia assemblando con passione e fantasia uno dei materiali pi amati dalluomo (specie valdostano) sin dallinizio dei tempi senza distinzione di essenze?
Quanto allimbarazzo degli organizzatori del concorso che sono fermi al 54, direi che si sono persi un pezzo di storia del 900, il quale va incontrovertibilmente verso una unificazione dei linguaggi e labolizione di categorie quali arte, artigianato, arti minori, arte applicata, design ecc. ( altrimenti che ci stanno a fare le Arts and Craft, il liberty, la Bauhaus ?). Lespressione creativa arte, persino sotto forma di ruota di bicicletta o lattina di campbells soup.
Ora, che vuol dire quel titolo Mostra-Concorso dellartigianato valdostano di tradizione, volto agli artigiani del settore tradizionale ed equiparato (surreale! Vorrei proprio vedere come si fa lequiparazione)? E corretto ed adeguato ai tempi imprigionare unespressione comunque artistica in categorie cos riduttive? Non , oggi come oggi, unanacronostica forzatura e la deroga un peccato solo veniale, anzi magari un'utile indicazione verso un ammodernamento del regolamento?
Ovviamente non posso/voglio entrare nel merito di scelte che non conosco sufficientemente a fondo, comunque consiglierei a Bobo di ritentare lanno prossimo, col tempo e con la paglia maturano le nespole, vuoi che non maturino pure gli organizzatori di concorsi?
Ps: se passo da quelle parti, chieder anchio il mio pennarello colorato e cercher di individuare il clandestino. Si vince qualche cosa?
Vilma Torselli
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7334
di Vilma Torselli
del 27/06/2009
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Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Allora, Christofer, commento breve ma pieno di contraddizioni: societ inetta, e va bene, un manipolo di intellettuali (e qui mi chiamo ovviamente fuori, il mio target sono le casalinghe di Voghera) impegnati nel risveglio delle 'insensibili coscienze', e fin qui non mi sembra criticabile, che per lo fanno con 'alterigia' sentendosi i 'pochi eletti', e a questo punto non ci capisco pi niente........
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7319
di Vilma Torselli
del 22/06/2009
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Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Renzo Marrucci, Arte dotata di aurea sacrale?
il termine aura sacrale a cui ricorre Eraclito-Cusano, accreditato, nella storia dellarte, da autorevoli studiosi della materia e non la deve scandalizzare pi di tanto. Ci che lei ribatte sono ovviet (L'arte vita e per questo sincera e profonda, quando seria... ecc.), il mondo non affatto semplice, larte lo ancora meno.
Cos laura? Non sar io a darne una definizione, basta leggersi Walter Benjamin. Il concetto sottile, punta sullaspetto emotivo della fruizione dellopera darte, ma ha una sua inscalfibile credibilit: aura lirrepetibilit, lhic et nunc, la percezione di manipolazioni tecniche individuali (dellartista) e perci uniche ed inimitabili, laura una specie di timbro di autenticit, legata allopera in quel luogo ed in quel tempo.
Penso che non sia il caso di addentrarsi pi di tanto in un argomento che forse esula dal tema principale e che coinvolgerebbe altri temi caldi (il restauro, la riproducibilit, il falso ecc) in grado di produrre altri 50 commenti.
Unosservazione da casalinga di Voghera: si mai chiesto perch, potendo, tanta gente va al Louvre a vedersi la Monna Lisa, che pure lopera pi riprodotta al mondo e si pu vedere stampata anche in Lapponia?
Per sentire laura, per spiare la crespatura delle pennellate fatte dalla mano di Leonardo, cogliere qualche incertezza, qualche ripensamento, per vedere la leggera patina che secoli di storia hanno steso sullimmagine, per rendersi conto che la sorgente di tutte le riproduzioni sparse per il mondo quella, lunica, e sta davanti ai loro occhi e capire che per quellemozione valeva la pena di arrivare fino a l.
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7290
di Vilma Torselli
del 17/06/2009
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Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Renzo Marrucci, la funzione dellarte in quanto, come lei scrive, stimolo verso interrogativi a quanto pare esistenziali alla ricerca di risposte para-artistiche e filosofiche mi sembra gi meglio di niente, in grado di attribuire allarte una qualche utilit. Credo tuttavia che il dibattito attorno allarte, specie moderna, sia in gran parte ozioso: larte non un oggetto, che ogni tanto ci possiamo rigirare tra le mani per scoprirne cambiamenti e deterioramenti, non una capricciosa signora che a volte ci seduce e a volte ci respinge a seconda del suo instabile umore,"arte tutto ci che gli uomini chiamano arte (Dino Formaggio,L'arte come idea e come esperienza, Mondadori, 1990), semplicemente il prodotto degli artisti, ai quali anche Croce, come ricorda Cusano, se i miei ricordi scolastici non mi tradiscono, delega il potere e la capacit di saper esprimere intuizioni di valenza collettiva e morale nella forma pi adatta. E vero che Croce, per ragioni anagrafiche, si perso gli ultimi 50 anni del 900, forse avrebbe corretto il tiro.., comunque la sua posizione in merito di estrema modernit, ripresa anche da un grande storico-critico dellarte quale Gombrich.
Quanto ai critici e storici, usando parole di Alessandro Tempi "possiamo dire che la funzione critica oggi fa molta paralogia e poca ontologia, ci offre ragionamenti e spesso sofismi intorno a qualcosa chiamata arte, ma non ci dice perch quel qualcosa effettivamente arte [.] Larte (lungo il corso del 900) si trasforma in una qualit immateriale, un effetto di pensiero, uno spostamento insieme fisico e concettuale di qualcosa da un piano allaltro dellesperienza. E a questo punto che il lavoro dei critici diventa indispensabile, se non altro per decodificare ad uso del fruitore linguaggi altrimenti incomprensibili, anche se questa operazione, lei osserva, forse toglie gli strumenti per questa crescita della sensibilit artistica e poetica.
La funzione della critica dovrebbe essere provvisoria e transitoria, dovrebbe tendere a portare il pubblico a non avere pi bisogno dei critici, ma questo nessuno lo vuole, n il pubblico, che per pigrizia o ignoranza spesso preferisce lesperienza vicaria, mediata, impersonale e delega volentieri ai critici la funzione interpretativa, n i critici stessi, per unovvia questione corporativa.
Anche se la societ (non meglio identificata) non fa nulla per elevare il senso critico dei cittadini , si pu sperare tuttavia nella futura estinzione della razza dei critici darte quanto nel futuro avvento di un pubblico meno impreparato e indifferente.
Per il discorso sulla realt economica, mercantile del mondo dellarte, per quanto possa apparire immorale il fatto che larte possa/voglia/debba essere una macchina per fare soldi e che il mercato ed il commercio dell'arte prevarichino oggi limportanza dellarte stessa grazie soprattutto a figure-chiave di professionisti ed operatori (critici, galleristi, mercanti, collezionisti ecc.), oggi, nel nostro "regime della comunicazione", i reali produttori degli eventi artistici e forse degli artisti stessi o di veri e propri movimenti, va fatta una considerazione: da sempre larte stata connessa al potere economico, dato che re, papi, principi, signori e la loro disponibilit finanziaria hanno condizionato la possibilit che un artista si potesse esprimere e si potesse far conoscere grazie a quella elegante e un po ipocrita forma di munificit che si chiama mecenatismo. Il quale, ..se da una parte [.] garantisce quella tranquillit economica cos spesso, anche drammaticamente, inseguita dagli uomini di cultura, dallaltro prevede una diretta committenza per il suo riconoscimento, la sua gratificazione politica e sociale che non pu non limitare la libert dellartista [.]. (Floriana Calitti)
Ci ha configurato due punti di vista opposti tra chi vede nel mecenatismo una promozione delle arti come "virtuosa" manifestazione della liberalit e magnificenza del principe [] e chi invece considera una produzione "asservita" di letteratura encomiastica un prezzo troppo alto da pagare per la prodigalit del mecenate. (idem)
Questo per dire che la demonizzazione dellarte moderna e contemporanea ( brutta, venale, incomprensibile ecc.) esprime una visione facile e parziale di un fenomeno che accompagna la vita delluomo sin dai suoi albori e che andrebbe valutato pi oggettivamente nel complesso del suo divenire storico.
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7284
di Vilma Torselli
del 15/06/2009
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Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Christofer Giusti, lei un abile provocatore, quasi quanto Marcel Duchamp e Piero Manzoni, e la sua provocazione andata a segno, per ci che mi riguarda, tant che le sto scrivendo.
Bisogna per dire che i suoi spiazzanti abbinamenti sono in realt falsi sillogismi, specie quando si chiede se premesso che sia arte orinare e defecare, che siano arte feci e orina, lecito abbinarle a orinatoio (fontana) e WC?, come dire se lorinatoio arte, lo pure latto dellorinare?
Gi molti artisti del passato, da Rembrandt a Goya, sono stati, per il loro tempo, grandi provocatori, da Caravaggio che ritraeva provocatoriamente come sante le puttane delle sue osterie a Michelangelo che usava il non-finito per ridicolizzare le regole del classicismo rinascimentale, inoltre nellarte classica sono innumerevoli le rappresentazioni di ammazzamenti, crocifissioni, decollazioni (penso a La Tour, Tiziano, Caravaggio), eppure credo che lei non si sia mai chiesto se la provocazione cambiava in qualche misura il valore del loro messaggio o se il fatto che Goya abbia dipinto celebri fucilazioni renda artistico anche latto del fucilare.
In realt credo che lei sappia benissimo che, dopo la Monna Lisa baffuta di Duchamp (titolata, a proposito di provocazioni, con lacronimo L.H.O.O.Q. , Elle a chaud au cul) la vera essenza dell'opera sta nell'idea che la precede e il progetto, il gioco sottile dell'intelligenza, la formazione del pensiero sono i veri prodotti artistici, l'opera non che pretesto, traduzione materiale di un discorso e di una riflessione concettuale.
E a proposito degli interrogativi che lei esprime con tanta divertente ironia, sappia che larte fatta proprio per suscitare domande, non per dare risposte.
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7260
di Vilma Torselli
del 31/05/2009
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Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Pietro Paglliardini, puoi anche fregartene della neurofisiologia, della psicanalisi, dellemotivit, della comunicazione subliminale ecc., per siamo fatti cos, analizzare larchitettura per quello che senza voler conoscere luomo, che lha inventata, un esercizio monco che dar risultati parziali e inesatti.
Ogni azione creativa compiuta dalluomo trasmette un messaggio, comunica qualcosa, consciamente o inconsciamente, volontariamente o involontariamente, che lo voglia o no, tutto, dallarte allarchitettura, allo scarabocchio di un bambino al disegno di un folle, dalla scrittura nella sua componente grafologica allimpaginazione di un testo, dal disegno pi elaborato alla nota della spesa ( la mia per esempio dice che sono una persona piuttosto distratta con un senso dellordine del tutto personale).
Anche nel fare una capanna, un tetto che ripari dalla pioggia, quattro mura, si trasmette un messaggio, e tutte le volte che si delimita uno spazio (lo spazio racchiuso di Zevi) e gli si attribuisce una funzione si fa architettura: in questottica la differenza tra edilizia e architettura appare del tutto artificiosa mentre la definizione di emergenze specialistiche sembrerebbe inevitabilmente delegata a valutazioni marcatamente soggettive (di chi?), il che non mi sembra coerente con la tua posizione.
Scrive Salvatore Zingale: Gli spazi della vita sociale sono un campo semiotico e dialogico che richiede una nostra risposta in termini di scelta di azione: che cosa dobbiamo fare per trovare la strada? Questo campo composto di luoghi e percorsi, mete e direzioni. immaginabile come un reticolo di schemi duso inscritti in quel tessuto o testo architettonico che lo spazio costruito.
I segni dello spazio semiotico raccontano un senso, definiscono degli schemi che dobbiamo trovare ed interpretare per interagire con quegli spazi. Tutta la nostra vita si svolge in spazi semiotici, architettonici o urbanistici, quelli delle nostre case, dove lo spazio comunica il nostro vissuto, quelli delle citt, dove siamo continuamente chiamati a dialogare con lambiente, dove continuamente chiediamo informazioni per orientarci e rispondiamo interpretandole: lo sguardo, unocchiata allinsieme (guardare, ancora guardare) il primo mezzo di contatto e quanto pi buono il contatto ( quindi non si parla solo di esperienza visiva ma anche di coinvolgimento empatico e affettivo, ci che ti fa sentire a casa), tanto migliore la cognizione dellambiente.
Le citt sono veri e propri discorsi (Roland Barthes, Umberto Eco), dove lo spazio urbano non pu per essere letto autonomamente perch non pu prescindere dallarchitettura (la quale invece pu essere autonomamente valutata), dove niente sperimentato singolarmente, ma sempre in relazione alle sue adiacenze, alle sequenze di eventi che portano ad esso, alla memoria delle precedenti esperienze. (Kevin Lynch, L'immagine della citt, 1960).
Se la cortina architettonica che contorna linvaso a cielo aperto di piazza del Campo si articola in una serie di segni inseriti in un sistema autonomo, viceversa il sistema urbanistico non ha significato senza quel contorno.
Louis Hjelmslev scrive che lelemento urbanistico un tutto formato da elementi solidali fra loro e tali che ciascuno dipenda dagli altri e non possa essere quello che se non in virt delle sue relazioni con essi, la tensione tra spazio urbanistico e spazio architettonico, le reciproche connessioni di vuoto e pieno, che fanno di quella piazza una entit autonoma di dipendenze interne potrebbero rappresentare una possibile risposta ed un efficace canale di comunicazione non verbale tra passato e presente, oppure i significati originari, ammesso che fossero in questi termini leggibili, sono irrimediabilmente persi e ci che sperimentiamo una loro interpretazione attualizzata?
La spontaneit che tu proponi come chiave di lettura non risolve il quesito, ci che emerge da unanalisi anche superficiale e sommaria come la mia mi pare sia la necessit di cercare risposte in campi disparati e in discipline apparentemente lontane, non ci sono, se ci fermiamo limitatamente al campo dellarchitettura e dellurbanistica, regole per porre le condizioni di base che facciano scattare la molla della poesia, per conoscere lopera delluomo bisogna indagare luomo.
So che non scalfir le tue convinzioni, ma il bello della discusssione il disaccordo
ciao
Vilma
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7256
di Vilma Torselli
del 28/05/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Pietro, conoscendoti, frequentando il tuo blog ed avendo spesso dialogato con te, trovo il tuo commento del tutto pertinente con il tuo pensiero generale, con il tuo caratteriale pragmatismo, specie quando, in estrema sintesi, definisci larte non finalizzata allottenimento di uno scopo preciso.
Hai ragione su tutto, certo larte non ti ripara dalla pioggia e non ti d un tetto, unattivit senza un perch, una componente accessoria dellarchitettura.
Ebbene, devo dire che non ho mai inteso parlare dellarte in questi termini, tanto meno sostenere che pu aiutarti nella vita pratica o nel perseguire precise finalit o avere determinata importanza nel definire unarchitettura: non ho difficolt a convenire che tutto ci larte non lo pu fare (n lo vuole).
Tenendo conto che intendo per arte quella visiva, il punto da cui sono partita un altro: mi sono chiesta perch sia luomo di Lascaux che quello del terzo millennio siano cos affascinati da una cosa che li induce semplicemente a guardare, ad esercitare la vista. Naturalmente, tutto si pu guardare, un paracarro come un tramonto, ma larte usa un trucco accattivante e geniale, la bellezza, dotandosi di un significato estetico, un valore aggiunto costituito dal fatto di essere bella, nellaccezione pi ampia del termine e compatibilmente con le sue mille varianti nel corso dei secoli. Guardare, perch?
Voglio citare brevi parole di Adriano Sofri tratte dalla sua recensione di un libro di Semir Zeki ormai divenuto classico, La visione dallinterno (Bollati Boringhieri, 1999): Noi vediamo, dice Zeki, per conoscere il nostro mondo. (Ho visto dunque so, dicevano i greci: e la stessa radice in vedere e in idea). La premessa che gli artisti possono prendere in conto solo le caratteristiche della natura che il loro cervello attrezzato a vedere. Non avvertono i raggi ultravioletti, e dunque non li riportano sulla tela, bench i fisici sappiano indagarli. Le api, sensibili allultravioletto, potrebbero trasferirlo nelle loro opere darte - e magari lo fanno. Questa apparente ovviet, con la consapevolezza che la visione sia il pi efficace mezzo di conoscenza del mondo, , secondo Zeki, trascurata dai neurologi come dagli artisti. Si continua a pensare che la visione sia un processo passivo - unimpressione sulla retina, trasmessa da questa a una zona della corteccia visiva che la riceva e decodifichi, e non piuttosto un processo in cui il cervello specializzato interviene attivamente. Mirando la conoscenza ad astrarre lessenziale dai dati contingenti disponibili, il sistema visivo, dice Zeki, molto pi evoluto del linguaggio verbale, acquisto ben pi recente
Ora, il punto chiave mi sembrato proprio questo, il fatto che larte sia sopravissuta alla selezione che la natura opera abbandonando nel corso dellevoluzione le caratteristiche inutili e sia stata conservata tra le attivit che luomo continua a svolgere e perfezionare. Se vedere vuol dire conoscere il nostro mondo e la conoscenza del mondo vuol dire migliorare le possibilit di sopravvivenza della specie, allora tutto ci che migliora, affina ed arricchisce la nostra capacit di vedere (o guardare) inevitabilmente utile, sia al singolo che alla specie.
Larte quindi non ci aiuta a costruire una casa, ma ci aiuterebbe a migliorare la nostra conoscenza dellambiente-mondo, il che comunque correlato con le attivit che vi si collocano (compresa quella di costruirci la casa).
Sicuramente il discorso preso molto pi alla lontana di quanto il tuo pragmatismo vorrebbe, voglio dire che la necessit dellarte non sta nel guardare un quadro di Mir piuttosto che uno di Picasso per trarne un piacere fine a s stesso, ma nellesercitare una delle nostre abilit conservandola al meglio grazie allarte.
Pi o meno, cos la penso io
Un saluto
Vilma
Commento
7254
di Vilma Torselli
del 28/05/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Certo, Renzo Marrucci, sempre e solo secondo me, non ho verit apodittiche da proporre!
Non posso che invidiare le sue certezze e le idee chiare che ha sullarte, avendo oltre tutto un passato di scultore passato allarchitettura, peccato che non ce ne faccia partecipi.
In realt, se avessi voluto controbattere il suo primo commento con maggior precisione, avrei dovuto partire da pi lontano, e chiederle cosa intendesse per capire.
Infatti, parlando di arte visiva e preferibilmente di arte moderna, che per noi moderni dovrebbe essere la pi interessante, il verbo capire pi elastico che mai, almeno a partire dagli ultimi decenni dell 800. E allora che lavvento della fotografia comincia a mettere in crisi la possibilit di capire, quando nasce la pittura impressionista e il racconto, la narrazione, la rappresentazione realistica cominciano a sgretolarsi. Fino ad allora, nella stratificazione dei molti significati possibili di unopera, il racconto dei fatti, la raffigurazione mimetica della realt erano un punto fermo di comprensione immediata ed accessibile anche alle casalinghe di Voghera: limmagine, il paesaggio, le fattezze di un volto le capiscono tutti.
Ma quando ci si accorge che la fotografia pu raffigurare la realt (era stato questo, fino ad allora, lo scopo, seppure ingannevole, dellarte figurativa) meglio, pi fedelmente, pi rapidamente e a minor costo di quanto faccia la pittura, larte visiva piomba nel bel mezzo di una grave crisi di identit dalla quale non uscita ancora oggi.
Larte costretta a rifondarsi annullando il suo passato, cerca nuove motivazioni al suo stesso esistere e si volge allanalisi e alla rappresentazione dellanimo umano, delle passioni, delle pulsioni interiori (il contemporaneo Freud fa la sua parte!): nasce lespressionismo, che travolge come un fiume in piena regole e canoni, prospettiva, proporzioni ........ Certo, lanimo umano non si pu fotografare, non ci pu essere concorrenza, ma non si pu neanche raffigurare secondo liconografia classica.
Larte cerca nuove tecniche, nuovi mezzi e inediti linguaggi espressivi lungo itinerari creativi inesplorati, diventando aniconica, astratta, informale, in una inarrestabile marcia di allontanamento dalla figurazione che lha condotta oggi al concettuale pi radicale, dove non richiesta neanche la presenza dellopera.
Ecco, ora cosa c da capire? Che elementi abbiamo per capire il messaggio che lartista di oggi ci invia in modi talvolta criptici? E poi, cos importante capire, dal momento che non ci pu essere ununica, inequivocabile lettura di un concetto?
Cito ancora Gombrich quando dice: "Che rapporto ha l'arte con il sapere, che senso ha parlare delle possibilit di comprendere un capolavoro? Non sapremo mai che significato potesse avere per il suo creatore, perch anche ammettendo che ce ne abbia parlato pu essere che in realt fosse ignoto persino a lui. L'opera d'arte significa dunque ci che significa per noi, non c' altro criterio".
Mancando il racconto, eliminata la necessit della lettura razionale, ci resta come arma solo la nostra intelligenza emotiva per tentare di capire un messaggio che coinvolge direttamente il nostro emisfero cerebrale destro, che vuole trasmettere non pi unemozione suscitata da una realt narrata, ma lemozione in modo diretto, senza mediazioni di senso e di significato.
In questo territorio, ci si addentra con la mappa costruita in base alle nostre conoscenze e alle nostre esperienze precedenti [] - tuttavia - [......] con una bella espressione della Programmazione NeuroLinguistica possiamo dire: la mappa non e' il territorio, e ognuno di noi costruisce mappe diverse dello stesso territorio e anche mappe diverse da momento a momento, in base al nostro grado di attenzione, ai nostri bisogni, alle nostre motivazioni."
Nella sostanziale, soggettiva indeterminazione dellapproccio all'opera d'arte come sistema comunicativo dobbiamo mettere in conto infinite variabili nella decodificazione del messaggio che rendono quanto mai plurivoco il significato dellatto di capire. Per questo ho riconosciuto nel suo coraggio una dose di 'eroica' incoscienza!
ps 1: mi scuso per la didascalicit del testo, ma non sapevo come altrimenti farmi capire
ps 2: adoro Bruciafoco!
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7249
di vilma torselli
del 27/05/2009
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Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Secondo me, egregio Marrucci, bisognerebbe a monte di tutto stabilire cos larte e quindi dove e come dobbiamo cercare la sua eventuale utilit.
Ma anche preso per buono che sia/possa essere utile, lei dice bisogna imparare a capirla necessariamente, una affermazione che affronta con coraggio e forse un po di incoscienza uno degli interrogativi pi sibillini della storia delluomo (e dellarte) dopo i classici "chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?": capire larte possibile? E soprattutto necessario?
Perch per decidere se possibile capire bisogna anche decidere se possibile spiegare, e quindi se possibile stabilire una relazione univoca tra spiegare e comprendere, condizione che sola pu rendere feconda l'opera di decodificazione di un linguaggio, nella fattispecie quello artistico, secondo un 'senso', quest'ultimo inteso come categoria comune e unificante tra chi spiega l'arte e chi la capisce.
Se poi si ricorda ci che afferma Gombrich, che cio non esiste una 'cosa' chiamata arte (lui aggiunge che esistono solo gli artisti), e che "l'opera d'arte significa dunque ci che significa per noi, non c' altro criterio", lei vede come le cose si complichino e come appaia difficile sia capire che spiegare.
Quanto poi al fatto che larte sia utile quando segue un percorso serio, lineare, e non si rivolge alla sola elite, mi sento con tutta tranquillit di dire che: 1) larte non pu n vuole seguire un percorso n serio n lineare (basti pensare ai movimenti avanguardisti del 900 che della non-linearit fanno la loro bandiera). 2) larte non pu n vuole rivolgersi n ad una elite di intellettuali n alle casalinghe di Voghera, queste categorie sono semmai nelle intenzioni dei critici darte, non degli artisti, larte si rivolge, come lei giustamente afferma, agli uomini in senso lato, di ogni forma e colore, lingua o vissuto.
Perch larte emozione (la vibrazione di cui parla Lazier nel suo articolo), prima di tutto com-passione, empatia, intuizione, ed anche se sembra alla moderna neurobiologia che la fruizione estetica abbia basi biologiche comuni e reali (il che spiegherebbe perch tutti o quasi provano sensazioni simili davanti allo stesso capolavoro), ci avviene in un cervello che diverso per ogni uomo, ed anche nello stesso uomo in momenti differenti: pensi dunque come pu essere arduo 'spiegare' o guidare con opportune 'istruzioni per l'uso' un percorso cos aleatorio e indefinito quale quello dell'emozione.
Perch larte irrazionalit, abdicazione a quella che Lazier chiama la propria struttura logica e culturale, , paradossalmente, labbandono di una precisa coscienza artistica, spericolata incursione nelle aree di conflitto e contestazione delle regole comuni
una volta spiegato e capito, l'irrazionale non sarebbe pi tale ...... e l'arte, una volta spiegata, continuerebbe ad essere arte?
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7243
di vilma torselli
del 26/05/2009
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Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Grazie, Sandro, dell'attenzione al mio scritto, e grazie soprattutto per l'interpretazione acuta e pertinente del suo senso, trovarti d'accordo mi di grande conforto!
Divertente il siparietto Lazier-Libeskind che ci offre una versione umanizzata di una indiscussa archistar spaesata in quel di Alba e riportata ai livelli di assoluta normalit di un turista qualsiasi, forse anche un po' rintronato da insolite degustazioni e dalla temperatura insostenibile di "una piattaforma tipo bolla" poco confacente al clima di questi giorni.
Ogni esperienza ci lascia qualcosa, Libeskind se ne ricorder certamente!
Vilma
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7219
di vilma torselli
del 20/05/2009
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La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Allora, signor sindaco, se ho capito bene lei delinea due vie alla ricostruzione, entrambe pericolose e nefaste: una che fa del territorio un palcoscenico per le sperimentazioni selvagge di un manipolo di vanitose archistar "che spesso supportano quelle holding immobiliariste ammantando con accattivanti messaggi figurativi grandi operazioni di speculazione", l'altra, altrattanto temuta, che sbriciola la torta tra un nugulo di archigeometri "incolti tecnici allo sbaraglio che, brandendo una abilitazione professionale dalle incerte origini, occupano quelle posizioni che il mercato delledilizia e dellurbanistica ancora lascia per le loro attivit".
Come sempre, sta nel mezzo una via virtuosa, quella che vedrebbe impegnati silenziosi operatori culturali e centinaia di piccoli architetti che sarebbero in grado di fare presto e bene.
Forza, signor sindaco, nomi, cognomi, referenze, curricula ....... lei, la sua giunta, i suoi elettori, la sua ventennale esperienza ..... cosa vi impedisce di farvi sentire ed imporvi? Al di l delle lamentele e delle catastrofiche previsioni, Il potere politico siete voi!
Quanto a Sgarbi, che lei cita ad esempio ma che di architettura non che ne capisca molto, specie di quella moderna, direi che si sempre dimostrato talmente prevenuto 'a prescindere' verso il nuovo che il suo parere, fatta salva la facile presa del suo accattivante eloquio, oggi totalmente squalificato.
Saluti ed auguri
Vilma Torselli
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7170
di Vilma torselli
del 27/04/2009
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'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
In realt, Andrea Pacciani, ho usato quella definizione non in senso spregiativo, almeno dal mio punto di vista, volendo significare l'accattivante valenza oggettuale del cubo di Fuksas, che minaccia di diventare pi famoso di quello di Rubik.
Il mio commento senza'altro una semplificazione un p provocatoria, cos come lo pu sembrare la scelta progettuale di Fuksas, che in genere non apprezzo particolarmente.
Il suo tentativo di mediare tra slancio espressionista e ingabbiatura cartesiana mi ha richiamato certe immagini di Claes Oldenburg (Clothespin, Trowel, Spoonbridge and Cherry o se vogliamo il milanese Ago e filo) dove l'oggetto gigantesco diventa archetipo di un'idea platonica di 'oggetto'.
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7124
di Vilma Torselli
del 19/04/2009
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Etica e disegno della citt
di
Leandro Janni
Ci che si evince dallarticolo, almeno secondo la mia personale lettura, che etica ed urbanistica siano due aspetti distinti della societ, che bisognerebbe far convergere ed integrare il pi possibile, avendo letica fortissime implicazioni sul nuovo disegno della citt .
In realt, credo, tra i due termini non c differenza, la citt etica il risultato della eticit (da ethos=costume) dei suoi abitanti, non necessario cercare convergenze, etica e citt sono la stessa cosa, luna applicata ai fondamenti programmatici e razionali del progettare, laltra ai risultati concreti della messa in atto degli stessi. Paradossalmente si potrebbe dire che la citt sempre etica, in quanto specchio della civilt che la produce, espressione tangibile della moralit, per usare un sinonimo, dei suoi cittadini.
Il concetto di bene comune non sempre stato lo stesso, variando a seconda delle epoche e in rapporto allidea del bene e del male cos come definita ed accettata nel codice di regolamentazione dei rapporti comuni in ogni tempo.
La citt di oggi discende dallidea di citt degli ultimi decenni, dagli anni Cinquanta ad oggi, quando la priorit condivisa, e quindi letica corrente, era quella di dare ad ogni famiglia italiana una casa, era lepoca dei facili arricchimenti privati, ma anche quella eroica del cooperativismo (di tutti i colori, dal rosso al bianco passando per tutte le sfumature intermedie), dopo la quale lItalia ha raggiunto un primato di cui non c certo da vergognarsi: la nazione in Europa nella quale maggiore il numero di abitanti che abitano una casa di propriet.
Oggi quel record ci presenta il conto, periferie inumane, inquinamento, cattivo utilizzo delle risorse, insufficienza delle infrastrutture ecc., cosicch oggi la priorit diventata unaltra, quella visione nuova dellurbanistica integrale e dellarchitettura sostenibile in linea con il pensiero contemporaneo (ecologico, sistemico, organicistico, olistico).
Cambiamenti sociali, climatici, tecnologici, economici hanno configurato una nuova idea di etica, modellata sui tempi, il che non significa migliore di quella di altri periodi, solo diversa, non significa creata o imposta ex-novo all'occorrenza, ma discendente per una naturale evoluzione da quella passata.
E passibile di cambiamento in futuro.
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7111
di Vilma Torselli
del 16/04/2009
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Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
Ma vi rendete conto? Se tutta l'animata discussione che ci ha impegnato nei giorni scorsi partita da Gibellina, o meglio dall'idea che abbiamo di Gibellina, e se Enzo Messina ha invece ragione (n c' motivo di dubitarlo) ....... vuol dire che abbiamo discusso con tanta foga sul vestito dell'imperatore mentre lui se ne andava in giro tutto nudo?
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7094
di Vilma Torselli
del 15/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
Maurizio Zappal, mi sono riletta il suo primo commento ed estraggo quello che mi pare il succo pi pregnante: Demolire completamente il "demolito" e ricostruirlo come e con la tecnologia che ci consente, l'oggi! Gi ,rovine e ruderi (chiese, ospedali, palazzi pubblici, chiese) . Citt nuova nel vecchio sito! .. Un'architettura fatta da archistars ma anche e soprattutto da architettura fresca e giovane, .. mininimale ma non banale, fatta di materiali contemporanei come il vetro, letfe, lacciaio, lo zinzo, il titanio, la resina, il corian, leterno legno e il giusto cemento! Allora, la sfida del riscatto passa attraverso il coraggio del cambiamento e non del ripristino filologico/falso "
Confesso che neppure io vedo la terza via, a meno che lei non voglia intendere una mediazione un po pasticciata tra le due (modernismo/passatismo).
Citt nuova nel vecchio sito (pronta a crollare di nuovo al minimo movimento della faglia di 15 chilometri che spacca in due il territorio), architettura di archistar ma anche di giovani, fatta di materiali nuovi ma anche di quelli vecchi insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte: non c un po troppa aria fritta, per uno che, 'molto "seriamente" ', (sic!), unico in un gruppo che cazzeggia del pi e del meno, si ritiene all'altezza di dare un fattivo contributo alla causa?
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7086
di Vilma Torselli
del 14/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
A Maurizio Zappal vorrei segnalare ci che afferma Roberto Grandi, docente e prorettore dellUniversit di Bologna, che si occupa di sociologia dei processi culturali e comunicativi, in occasione del Convegno Larchitettura del movimento (Bologna, maggio 2006), secondo un concetto difficilmente non condivisibile, quello della citt intesa come realt in continuo divenire o, come dice con felice espressione, a identit variabile:
. La citt pertanto la risultante di un processo di costruzione che intreccia di continuo lapporto individuale con quello collettivo, avendo di conseguenza unidentit variabile. Parlare pertanto di persistenza dellidentit dei territori assai aleatorio, perch significa individuare, in un processo dinamico inarrestabile, un preciso momento storico cui assegnare unessenza particolare, relativizzando tutto il resto, arbitrariamente:..
Ricostruire comera e dovera vorrebbe quindi dire riprodurre e consegnare ai posteri un preciso momento storico, nel caso specifico quello temporalmente corrispondente allevento terremoto, e ci che verrebbe tramandato sarebbe quindi uno solo dei molti momenti della vita della citt, non necessariamente il pi significativo e il pi pregevole, solo quello pi traumatico, scelto casualmente da una imprevedibile Natura.
Come vede, non si tratta di una semplice partita tra "passatisti contro modernisti" n del ripristino o meno di "volute e cagnoli, si tratta di definire come leggere la storia di una citt, sapendo, come ci insegna la moderna storiografia, che la storia non una scienza esatta, a volte bugiarda, a volte solo reticente, sempre manipolabile e alterabile, sia dalluomo che dai terremoti.
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7075
di Vilma Torselli
del 13/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
Le rovine non hanno altro avvenire se non lo sguardo che vi posiamo sopra. Tra i loro passati molteplici e la loro funzionalit perduta, ci che lasciano percepire una sorta di tempo puro, al di fuori della storia, a cui sensibile l'individuo che le contempla, come se questo tempo puro l'aiutasse a comprendere la durata che scorre in lui. (Marc Aug, Narrazione, viaggio, alterit, 2005)
Pietro, abbiamo gi discusso innumerevoli volte su questo tema e rischierei di ripetermi. Direi che Sandro Lazier ha espresso un pensiero che condivido in pieno e che non avrei potuto esprimere meglio, sono assolutamente convinta della necessit del cambiamento e non di una conservazione a tutti i costi, anzi penso addirittura che certe distruzioni (fatte dalluomo o dalla natura) possano essere occasione e pretesto di coraggioso rinnovamento.
Le citt antiche sono nate per ragioni utilitaristiche e non sentimentali, Milano lhanno fatta l non perch fosse un gran bel posto, ma perch era un crocevia di rotte commerciali, cos come altre citt sono state edificate lungo le vie dacqua per facilitare i trasporti, o su colli aguzzi per renderne pi agevola la difesa dai nemici ecc. veramente oggi "appartenenza" e "identit" di una comunit discendono da questi valori? O non si collocano, invece, nella cultura comune sedimentata nel tempo, nella comune memoria storica, nel sentimento di empatia che tutti i cittadini dellAquila proveranno, in futuro, davanti alla cattedrale distrutta o ai resti delle case in frantumi? La memoria assicura la persistenza del sentimento di appartenenza, la condivisione di un destino e di un passato comune costituisce una comune identit, non un villaggio riprodotto tale e quale a prima, o una chiesa riedificata ad uso turistico.
Scrive ancora Marc Aug ( Rovine e macerie. Il senso del tempo, 2004).
Le macerie accumulate dalla storia recente e le rovine nate dal passato non si assomigliano. Vi un grande scarto fra il tempo storico della distruzione, che rivela la follia della storia (le vie di Kabul o di Beirut), e il tempo puro, il tempo in rovina, le rovine del tempo che ha perduto la storia o che la storia ha perduto
La follia della storia o, come allAquila, quella cieca della natura hanno prodotto solo macerie, ci vuole il tempo che diventino rovine se vogliamo che ci sia storia.
Ma nel frattempo, la vita altrove, in una zona possibilmente meno a rischio, in edifici antisismici, in una ricostruzione nella quale ciascuno far del suo meglio, perch non ci si debba in futuro vergognare, tutti, e Gibellina sia servita a qualcosa.
(Be, lasciatemi sognare.)
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7057
di Vilma Torselli
del 11/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
A scanso di equivoci, dico subito che assolutamente condivisibile lo sdegno, la critica, la stroncatura e tutto quanto il dicibile sull'esperimento Gibellina, tuttavia vorrei chiedere al signor Rossi che scrive "L'Aquila deve tornare dove era e come era.... ", cio una citt pericolosamente fondata su una faglia, in stile falso antico come una Poundbury italiana?
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6975
di Vilma Torselli
del 26/03/2009
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Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
X Giannino Cusano
PS: s, ho visto, e me ne compiaccio.
Buona giornata
Vilma Torselli
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6968
di Vilma Torselli
del 24/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
Si tranquillizzi, Cusano, mi sono solo accodata allargomento che lei ha portato avanti con ampie argomentazioni, non volevo rispondere in particolare a lei (ci sarebbe voluto ben altro impegno), non volevo tacciarla di essere lesegeta di Derrida (come le venuto in mente?), non volevo scalfire la sua granitica (super)valutazione di Carmelo Bene (ma non le sembra un argomento un po off topic per insisterci tanto?), sul quale vorr essere cos equanime da lasciare intatte le mie personali convinzioni, non intendevo confutare due sue espressioni (..(Come) si dice in spazi questa elisione della presenza? - comm.6938) e ( porsi in termini di esclusione dell'utente - comm 6949) ma semmai rafforzarle.
Vorrei, questo s, consigliarle una lettura meno scolastica dellarte moderna e poi, visto che la parola forse la inquieta, aggiugerei una breve meditazione su una frase pescata in rete che mi piace molto: "Se un uomo parte da certezze, terminer con dubbi; ma se si contenta di cominciare con dubbi, terminer con certezze." (Francis Bacon)
Ancora saluti
Vilma Torselli
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6961
di Vilma Torselli
del 23/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
Approfittando delle ampie argomentazioni fornite da Giannino Cusano, tornerei su Carmelo Bene, indubbiamente un fenomeno singolare e circoscritto della nostra cultura non solo teatrale, ma aggiungerei che andrebbe inquadrato in un discorso pi generale, ed in un certo senso pi generico, con un occhio di riguardo ai tanti fenomeni dellarte moderna che in qualche modo lo riguardano e lo contaminano, happening, performance, environmental art e persino body art, arti che accadono, plurivoche, non programmabili, interdisciplinari, comportamentali, giungendo fino dalle parti di Allan Kaprow, Mattew Barney, Dennis Oppenheim e tanti altri, senza dimenticare ci che della musica ha fatto John Cage.
E magari senza dimenticarci nemmeno di Luigi Pareyson, teorico della formativit' , che invoca per larte un fare critico, intellettualmente attivo, che si interroga lungo il suo procedere , che mentre fa inventa il suo modo di fare.
Pu essere questo ci che Cusano intende per sottrarsi alla tirannia della struttura?
Quanto al resto, Bernard Tschumi scrive: "Il corpo sempre stato sospetto in architettura: perch ha posto i propri limiti alle ambizioni architettoniche pi estreme. Disturba la purezza dell'ordine architettonico. Equivale a una pericolosa proibizione", e suggerisce una rilettura modernizzata delle categorie vitruviane venustas-firmitas-utilitas che le muti in linguaggio-materia-corpo, dove il corpo suggerisce sia laspetto utilitaristico e funzionale dellarchitettura che la sua esperienza edonistica e sensoriale.
Come dire che, per quanto si faccia, il corpo, in quanto presenza fisica umana, non pu essere escluso dal pensare, fare e fruire larchitettura, attivit eminentemente umana, fatta dalluomo per luomo, quindi doppiamente ed inevitabilmente autoreferenziale.
Impossibile quindi ogni elisione della presenza.
quando si pensa allarchitettura, si pensa ad unarte abitata, con un corpo umano che si muove al suo interno e larchitettura che si adatta ad esso scrive Bassam Lahoud, daltra parte lo stesso Derrida dice che larchitettura (cito ancora dallarticolo di Luisella Piscottu) " anche un'attivit o un impegno della gente che legge, guarda questi edifici, entra nel loro spazio, si muove nello spazio, sperimenta lo spazio in modo diverso. E cos conclude riferendo il pensiero dello stesso Derrida: Secondo Derrida, Eisenman e Tschumi hanno dato prova che quella decostruttivista una strada percorribile; anche le loro creazioni sono fatte per essere abitate, per dare riparo, tuttavia, dietro consiglio di Derrida, quello che bisogna chiedersi "non soltanto ci che costruiscono, ma come noi interpretiamo ci che essi costruiscono".
Luomo, sempre luomo, artefice e fruitore, onnipresente ed ineliminabile.
Impossibile quindi ogni esclusione dellutente.
Tuttavia sul fatto che ci possa essere un parallelo stretto tra critica del logocentrismo e decostruttivismo (del linguaggio architettonico) resta sempre qualche dubbio, condiviso forse dallo stesso Derrida.
Il quale, invitato nel 1986, con Eisenman, proprio da Bernard Tschumi a collaborare alla stesura di un progetto di giardino nella "promenade cinmatique" a Parigi, progetto poi rifiutato dalla committenza e mai realizzato, scrive un libro, si direbbe senza eccessiva convinzione, Adesso larchitettura, addentrandosi in un campo di speculazione nuovo con una certa cautela, se a pag.198 scrive: Io non so molto bene che cos un parco. Che cos un parco? Una citt? Queste non sono questioni filosofiche astratte. Parlare di un parco urbano ancora pi problematico. Chiederei di rivedere tutto.
Alimentando il sospetto che i supporti teorico-filosofici del decostruttivismo siano veramente poco sostanziosi.
Saluti
Vilma Torselli
Commento
6948
di Vilma Torselli
del 22/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
Trovo assai curioso, signor Avino, che lei consigli di leggere attentamente "Della Grammatologia" proprio a me che, cosciente dei miei limiti di semplice architetto, non sono intervenuta direttamente nel dibattito e non ho espresso alcun giudizio personale, avendo invece citato pari pari due fonti senz'altro pi autorevoli di me e probabilmente anche di lei: Luisella Pisciottu, docente di filosofia, e Andrea Tagliapietra, professore ordinario di Storia della filosofia.
Consigli direttamente a loro di leggersi attentamente "Della Grammatologia", e se lo legga pure lei, attentamente, mi raccomando.
Saluti
Vilma Torselli
Commento
6929
di vilma torselli
del 18/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
Il senso dell'articolo di Lazier mi sembra largamente condiviso.
Se vogliamo, possiamo anche leggerci questa pagina:
http://www.giornalediconfine.net/n_2/art_6.htm
l dove Luisella Pisciottu scrive "La sua posizione [di Derrida] si configura come una lotta al logocentrismo, a quel privilegio che la tradizione della metafisica occidentale ha sempre accordato alla "fon", alla voce come luogo della vicinanza assoluta tra significato e significante: nella voce il corpo sensibile del significante sembra cancellarsi nel momento stesso in cui viene espresso; l'atto che anima l'intenzione immediatamente presente a s.
L'epoca della fon l'epoca dell'essere nella forma della presenza. Ci ha comportato inevitabilmente una condanna della "gramm", della scrittura come deriva e perdita del senso..."
Oppure anche l'articolo di Andrea Tagliapietra, Addio a Derrida, filosofo della differenza
(http://www.giornalediconfine.net/tagliapietra_rassegnastampa...)
l dove si legge "All'origine del linguaggio, suggerisce Derrida, non sta la voce, il risuonare della "parola detta", ma la scrittura, un'archiscrittura che ci consente di accedere all'essere non mediante lo schema della presenza - la parola sempre, almeno all'inizio, una parola pronunciata -, ma attraverso quello della differenza, della presenza-assenza che la scrittura custodisce. ...".
Con buona pace di Dio e di tutti i santi!
Vilma Torselli
18/3/2009 - Sandro Lazier risponde a vilma torselli
Grazie Vilma.
Il link al testo di Luisella Pisciottu al quale ti riferisci era già inserito in fondo all'articolo criticato da Luca Avino.
Ma, secondo me, il nostro non l'ha nemmeno visto.
Commento
6874
di Vilma Torselli
del 26/02/2009
relativo all'articolo
Geografia interstiziale
Audible geography
di
Sara Bracco e Emanuela Giudice
ok, Renzo Marrucci, tolgo il maschietto e la faccio finita, anche se sarebbe forte la tentazioni di discutere con lei su come accada in tutti i fatti della vita, e non solo nella geografia, che ci sia un punto di vista maschile e uno femminile, magari diversi, non c niente di male, anzi, il progresso va avanti grazie alle disuguaglianze, e anche discutere su come sia il suo, e non il mio, un concetto di geografia ottocentocinquantesco.
Una cosa per la voglio aggiungere: ha presente un recente spot pubblicitario per una marca di whisky dove Alessandro Gassman cerca di proporsi come nuovo testimonial e una signora bendata, come assaggia il Glen Grant, lo guarda illuminandosi e lo chiama Michele!?
Ecco, sappia che dora in poi c il rischio che chi legge il suo nome su Antithesi aggiunga ah s, il maschietto!, senza offesa, si intende ..
Posso salutarla con un adieu, o un po troppo 'aristocratico'?
Vilma Torselli
Commento
6863
di Vilma Torselli
del 25/02/2009
relativo all'articolo
Geografia interstiziale
Audible geography
di
Sara Bracco e Emanuela Giudice
Nessun particolare protezionismo, egregio Marrucci, se non una inconscia e involontaria solidariet femminile, forse .. E comunque utile che chiarisca la mia personale interpretazione del tema, forse pi a me stessa che a lei.
La geografia nellultimo secolo profondamente cambiata, certamente sotto la spinta dellevoluzione delle tecniche di indagine e di restituzione, ma soprattutto per levolversi del concetto stesso di geografia, sempre pi convergente verso il senso di una geografia culturale che tiene conto non solo del territorio, ma anche del paesaggio, delle etnie, degli stati e delle frontiere, dei modelli di sviluppo, dei sistemi urbani ecc.
Allinizio del 900, a fronte di una concezione che gi appariva riduttiva per questa disciplina, Friedrich Ratzel fonda una nuova branca, la geografia antropica, e conia la definizione di spazio vitale, in seguito si intensificano studi e ricerche che passano per Rudolf Arnheim, teso ad assimilare la fruizione spaziale allesperienza estetica come per larte visiva, per i paths, edges, nodes, land-marks ecc. che governano la visone spaziale dellurbanistica secondo il pensiero funzionalista di Kevin Andrew Lynch, per Edward Hall, inventore della prossemica, che punta sulla componente culturale e comportamentale che influenzerebbe in maniera determinante il concetto di spazio, per Gordon Cullen che pone laccento sullaspetto visivo dellambiente geografico ed urbano, con indirizzo sostanzialmente artistico-estetizzante, senza dimenticare il situazionismo di Debord, che introduce un filone chiaramente destabilizzante nellanalisi dellambiente e riconduce lattenzione allambito comportamentistico e sensoriale dellesperienza umana.
E questa la concezione della geografia moderna, secondo la quale lo spazio geografico con il quale il nostro corpo interagisce genera nel fruitore sensazioni molteplici legate appunto ai sensi, che sono quindi di tipo tattile, visivo, uditivo ecc., mentre allelaborazione soggettiva e personale delle stesse sono dovute le percezioni, con base culturale, conoscitiva, etnica ecc.
Le percezioni sono assai pi complesse delle sensazioni, perch coinvolgono anche aspetti psicologici del soggetto immerso nellambiente, tanto che si pu parlare di psicogeografia, di geografia della percezione e di psicologia ambientale come oggetto di studi e discipline specifiche.
Si insomma acquisito il concetto che la geografia dei luoghi non definita solo dallo spazio, ma anche dalla rappresentazione che di esso hanno i fruitori per effetto di una cultura di base che li porta ad interagire con lambiente in modo del tutto peculiare.
Entro la variet delle possibili chiavi di lettura del termine geografia, che sono come si vede assai numerose, ci sta anche quella di Audible Geography, un linguaggio sonoro che lega spazio e luogo in una fruizione che si potrebbe definire sinestetica e che non annulla il valore umano e sociale, culturale della geografia, lo contrabbanda, semmai, in una forma adatta ai linguaggi comunicativi della societ attuale.
Almeno credo sia questa la corretta lettura.
Cordialit
Vilma Torselli
Commento
6851
di Vilma Torselli
del 24/02/2009
relativo all'articolo
Geografia interstiziale
Audible geography
di
Sara Bracco e Emanuela Giudice
Sono certa che lUniversit della Tasmania, alla quale attribuito il patrocinio del progetto, non aveva nessuna intenzione di occuparsi delle nostre citt che crescono come periferie da terzo mondo, anche se quelle erano le sue personali aspettative.
L'articolo verte su altri temi, forse lei doveva scegliere di leggere un altro testo .......
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6849
di Vilma Torselli
del 23/02/2009
relativo all'articolo
Geografia interstiziale
Audible geography
di
Sara Bracco e Emanuela Giudice
Posso capire, e condividere, la sua delusione, Renzo Marrucci, per una certa sbrigativit dellarticolo e per concetti molto (troppo) sintetizzati che galleggiano sulla superficie di un problema che, evidentemente, altro.
Non sarei per cos tranciante, larticolo, pi che sviscerare un tema, mi pare che voglia lanciarlo come un piccolo sasso in uno stagno, per dirci che c anche quel modo di leggere la geografia, stimolando forse il lettore ad andare oltre per conto suo.
E magari ci sar chi stender un prossimo articolo scrivendone e parlandone in modo chiaro, mettendo in evidenza criticamente e chiaramente le perversioni culturali di oggi.
Con la calma, la meditazione e la cultura che sia lei che io ci auguriamo.
Cordiali saluti
Vilma Torselli
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1897
di Vilma Torselli
del 04/03/2007
relativo all'articolo
Rosa e il fiore di Gehry
di
Paolo G.L. Ferrara
Mi permetto un riferimento ameno che , seppure sommario e superficiale, comunque un significativo specchio dei tempi. Leggo su un blog di architettura (http://www.deluxdesign.it) frequentato soprattutto da giovani architetti , a proposito del progetto Marques de Riscal , questo post del 16 ottobre 2006: " Ho letto su Professionearchitetto.it che Gehry ha progettato la nuova sede dellazienda vinicola Marques de Riscal pensando a qualcosa di eccitante e festoso, perch il vino un piacere. Confrontando questo progetto con i precedenti le ipotesi sono due: la vena artistica di Gehry si sta esaurendo, oppure progetta sempre pensando al vino ;-)".
Anche i giovani non sono pi quelli di una volta, sempre pi difficile gabbarli!
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1764
di Vilma Torselli
del 27/01/2007
relativo all'articolo
Nonsolomoda, anche idiozie
di
Paolo G.L. Ferrara
Ma quando mai, sig. Schintu, le opere di architettura si comportano come abiti usati, che passati di moda si mettono da parte e che ogni tanto rispuntano dagli armadi in odore di vintage? E se un tipo di architettura stufa, che facciamo, la ripieghiamo per bene e la mettiamo in naftalina in attesa di riciclo?
Il sillogismo se i musei sono loro stessi delle opere d'arte, inevitabile che dopo un p stufino, seppure umoristico, lascia veramente sconcertati, anche perch poi, imperterrito, ribadisce quel tipo di museo dopo un p stufa, sicuramente torner in auge tra un p di tempo, tutto un ciclo e riciclo..
Come mai non ci dice niente dei saldi?
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1474
di vilma torselli
del 20/11/2006
relativo all'articolo
Carnevale a Piazza Armerina: la carrozzata 'Villa
di
la Redazione
Pare che Vittorio Sgarbi abbia finalmente acquietato ci che, parafrasando Freud, chiamerei invidia del titolo e sia riuscito a fare larchitetto, seppure in carenza di regolare autorizzazione accademica.
Naturalmente, per la suddetta carenza, lo fa male, rischiando di fornire lennesimo esempio di come le buone intenzioni degli incompetenti possano essere pi dannose dellindifferenza degli esperti.
Evidentemente, nel caso specifico, il fatto che si tratti di un intervento di restauro lo autorizza in qualche modo ad impicciarsi di una disciplina non sua, ma anche una casalinga di Voghera sa che non si pu restaurare ci che non si conosce profondamente, perch il restauro attiene allanima delle cose, ad una intimit che dorme sotto il degrado e che va attentamente indagata con opportuni strumenti culturali.
La realt che Vittorio Sgarbi non ha una particolare vocazione per larchitettura, molto pi brillante quando parla/scrive di quadri, evidentemente la bidimensionalit della tela gli pi congeniale, quello il campo in cui dispiega al meglio il suo linguaggio colto, ricco, evocativo, di intrinseca eleganza letteraria, perch mai non si limita a quello?
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1434
di vilma torselli
del 08/10/2006
relativo all'articolo
Addio a Vico Magistretti
di
la Redazione
Lui stesso, Vico Magistretti, era 'concettualmente' elegante, l'ho visto ad una riunione di lavoro in camicia a scacchi, pantaloni gialli, calzini rossi e mocassino di colore indescrivibile, giacca marrone. Forse non era elegante secondo le correnti regole della fashion pi rigorosa, ma era elegantissimo nei termini di uno stile originale ed indipendente che nasceva dalla sua personalit interiore, uno stile concettuale, appunto.
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1367
di Vilma Torselli
del 15/08/2006
relativo all'articolo
Sull'idea di complessit
di
Sandro Lazier
Condivido le perplessit espresse da Christofer Giusti circa la frattura tra le teorie spesso affascinanti che hanno attraverstao la storia dell'architettura moderna ed il loro risultato pratico sul campo, molte volte deludente.
Ci non toglie che, magari come puro esercizio intellettuale, nell'ambito di un dibattito di interesse generale e non di un pi o meno polemico dialogo a due , non si possa discutere da un punto di vista puramente speculativo 'sull'idea di complessit' e non su come Lazier la abbia o no applicata nei suoi progetti.
Mi capitato pi volte di scrivere di architettura, da architetto e da appassionata di questa materia, ma non mi mai capitato di dover essere chiamata a giustificarmi per non aver applicato le teorie analizzate nei miei scritti. Mi rendo conto oggi che la mia pi grande fortuna stata quella che Christofer Giusti non li abbia mai letti!
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1361
di Vilma Torselli
del 13/08/2006
relativo all'articolo
Lottare disegnando. Disegnare scrivendo.
Qualch
di
Marco Maria Sambo
Forse quel meraviglioso mondo chiamato Architettura sempre stato un gioco di soldi e speculazione, papi, principi, ricchi mercanti non necessariamente illuminati e poi banchieri, industriali e mafiosi ci hanno lasciato il mondo di chiese, palazzi, vie, quartieri e centri commerciali nel quale, pi o meno bene, abitiamo, ignorando le lotte che gli architetti che ci hanno preceduto, anche questi non sempre illuminati, hanno combattuto per costruirlo e lasciarcelo in eredit.
E vero, non ci sono pi i Caff di una volta, nei quali gli architetti si radunavano per parlare con scrittori pittori, artisti, oggi c il villaggio globale in cui ognuno entra e esce senza chiedere il permesso, dice ci che vuole, posta unopinione che nessuno legger, o lo far qualcuno allaltro capo del mondo, di unaltra lingua e di unaltra civilt. Le identit sbiadiscono, lappartenenza non ha significato, la cultura massificata ed omologata di un mondo dove tutto alla portata di tutti si appiattita in linguaggi senza peculiarit, generalisti e perci sommamente democratici, i movimenti oggi si costruiscono a tavolino, basta stipendiare un critico, comprare qualche giornalista, affittare una sede prestigiosa, inventarsi un premio, sono aperti, globali, oggi un architetto di Canicatt pu, senza muoversi dal suo studio, partecipare ad un concorso per un museo in Nuova Zelanda, e vincerlo pure!
E tutto ci non significa qualunquismo, ma globalizzazione, le parole di Zevi sono lontane anni luce, larchitetto vincente oggi non un lottatore, ma un mediatore, che sa superare un suo personale background culturale, una sua idea del mondo fatato in cui la realt si piega alla forza delle sue idee, per captare e catturare senza preconcetti i segnali del mondo reale, anche se lontano da una sua immaginata citt invisibile, rinunciando, mediando, compromettendo, elaborando, ibridando, progettando un mondo certamente non perfetto, ma tuttavia il migliore dei mondi possibili.
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1358
di Vilma torselli
del 11/08/2006
relativo all'articolo
Sull'idea di complessit
di
Sandro Lazier
Innanzi tutto, Sandro, complimenti ed auguri per Architentare, ho visitato il sito e mi pare che il progetto sia innovativo, interessante e stimolante.
Sul tuo articolo, devo dire che rappresenta un excursus ampio, esaustivo, elegante ed affascinante su di un argomento tuttaltro che facile, zeppo di concetti talvolta francamente ostici: non ho difficolt a confessare che mi ha fatto scoprire parecchie mie lacune ed in parte mi ha aiutato a riempirle, come penso sia accaduto a molti tuoi lettori.
Poich, tuttavia, mi pare che esista una frattura o quanto meno una non perfetta consequenzialit tra ci che afferma Salingaros e la tua seguente trattazione, vorrei, se me lo concedi, aggiungere qualche considerazione e per farlo devo partire un po da lontano, dallassegnazione, nel 1964, del Gran Premio della Biennale di Venezia al padre spirituale della Pop Art Robert Rauschenberg, riconoscimento per la prima volta assegnato ad uno statunitense nel sacrario della cultura visiva europea, che ufficializza definitivamente la supremazia americana in campo artistico mondiale, gettando le basi di uno dei pi importanti imperialismi culturali che mai abbiano dominato il mondo dellarte.
Levento stato sapientemente preparato negli anni precedenti mettendo in atto una attenta sequenza di strategie politiche, mediatiche ed economiche che hanno coinvolto indiscriminatamente artisti, critici, galleristi, collezionisti, dalle manovre della CIA degli ultimi anni 40, volte a promuovere larte americana il direttore del MOMA, Alfred Barr, convinse la rivista "Life" a sostenere i pittori d'avanguardia ed intraprese un organico programma desportazione verso l'Europa, previa garanzia di una sovvenzione governativa di 125.000 dollari lanno per cinque anni agli scritti di James Johnson Sweeney (1952), critico darte, direttore del Solomon R. Guggenheim Museum e consulente del Museum of Modern Art di New York, che esaltano i contenuti filo-americani profondamente democratici di unarte di libert estrema come solo un paese estremamente libero pu esprimere, allattivit propagandistico-divulgativa del gallerista italo-americano Leo Castelli e della moglie Ileana Sonnabend, proprietari di una vera e propria catena di prestigiose gallerie in America ed in Europa, alla rassegna "Th Responsive Eye" organizzata dal MOMA nel 1965 che consacra sul fronte internazionale la nascita dellEspressionismo astratto americano nonch delloptical art, peraltro gi apparsa in Europa con assai meno scalpore.
Anche la Pop Art, ufficializzata a New York con una collettiva del 1962, "The New Realistsal, fenomeno americano seppure di indiscutibile matrice europea che scippa e neutralizza grazie a costosissime campagne di marketing sia la nascente Popular Art inglese sia il Nouveau Ralisme italo-francese, che hanno il solo torto di essere i parenti poveri della grande famiglia new dada. Linvestimento di mezzi dar i suoi frutti, dopo la Pop Art lAmerica sar infatti la culla di ogni nuovo movimento artistico importante, il concettualismo, la minimal art, la body art, la land art e cos via, opportunamente associando fortune artistiche e fortune economiche in una nazione nella quale, si sa, utile e dilettevole costituiscono da sempre laccoppiata vincente, con una netta propensione per lutile, visto che anche in epoca pi recente .. Il boom della pittura contemporanea coincise con una fase di espansione delleconomia americana comunemente detta Reaganomics. In un articolo del 1980 il critico darte del New Yorker Calvin Tompkins scriveva: Il congiungimento fra un nuovo tipo di pubblico ed una nuova generazione di artisti ha reso pi febbrile la scena artistica attuale, provocando un eccitamento nervoso che se un bene per gli affari, non lo necessariamente per larte.(Alessandro Tempi, Il caso Schnabel ed il boom della pittura contemporanea)
Con lEspressionismo astratto, la giovane America pone la prima pietra per la costruzione di una tradizione artistica autoctona ed autonoma, finalmente liberata dallinfluenza della cultura della vecchia Europa: Barnett Newman scrive "Nel 1940 alcuni di noi si destarono per accorgersi che eravamo senza speranza; che in realt non esisteva nessuna pittura..Fu quel risveglio che ispir l'aspirazione, l'elevato proposito, qualcosa di assai diverso dalla semplice ambizione, di ripartire da zero, come se la pittura non fosse mai esistita." , Pollock, Still, Kline, Tobey, e molti altri, grazie anche alla sensibile azione prodromica di Arshile Gorkij e Roberto Matta, interpretano ciascuno a modo proprio quelle aspirazioni e quegli elevati propositi e colmano l "enorme vuoto", cos lo definisce Adolph Gottlieb, che andava riempito con uno sforzo di rifondazione della mitologia e della simbologia primitiva.
In realt tutti gli espressionisti subiscono il fascino della tradizione culturale del vecchio continente, magari in un distorto rapporto di
11/8/2006 - Sandro Lazier risponde a Vilma torselli
Cara Vilma,
ho riflettuto parecchio prima di rispondere.
Intanto riconfermo che la mia risposta alla provocazione di Salingaros un atto dovuto. Poi propedeutico allincontro di Architentare di cui so che hai curato insieme allarch. Giudice limpianto organizzativo.
Sul tuo ricco e circostanziato intervento che dire?
Che stabilire fin dove lecito che il potere si serva dellarte e viceversa non per nulla semplice? La vicenda Pollock sembra profetica rispetto alle scoperte scientifiche, in barba allantropologia culturale e ai nessi e connessi con i poteri sociali.
Sicuramente lo strumento primo di ogni potere la propaganda e quella culturale sicuramente la pi efficace. Quindi ogni potere usa sicuramente larte e ne abusa. Ma ci sono senza dubbio meccanismi che poi trascinano altri meccanismi che, a loro volta, trascinano altri meccanismi ancora, con medaglie e loro rovesci. Tutto ci perch il sistema delle societ di persone complesso e non sempre funziona il congegno causa effetto. O, almeno, non sempre funziona come si spera.
Credo di poter pensare con convinzione sufficiente che allinterno del potere e della sua rappresentazione, soprattutto se questo aperto alla ricerca del nuovo e quindi lascia spazio allinventiva degli individui, ci siano gi elementi che funzionano come anticorpi.
Se il regime democratico delloccidente sceglie, per evidenti motivi di propaganda, di rappresentarsi con unarte libera che ha per fine la critica del sistema sociale e delle sue deficienze, contribuisce di fatto alla proprio benessere perch utilizza le forme di libert espressiva per diagnosticare i suoi mali. Credo che questo intendesse Zevi quando definiva larchitettura il termometro e la cartina al tornasole della giustizia e delle libert radicate in consorzio sociale.
Questo avviene in societ dov permessa la libert di ricerca creativa. Quando invece si tenta dimporre vincoli espressivi - che storicamente hanno sempre avuto le forme della tradizione costruttiva, classica in particolare occorre cominciare a preoccuparsi.
Poi ci sono le eccezioni e chi ne approfitta. Ma il sistema, si sa, molto imperfetto, soprattutto incerto. Perci occorrono strategie
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1327
di Vilma Torselli
del 28/07/2006
relativo all'articolo
Quattro maestri esclusi: meno concorsi e pi giard
di
Mara Dolce
Per coerenza, visto che oggi pi che mai architettura e critica dell'architettura tendono verso pericolose convergenze, ci vorrebbe una ventata d'aria nuova non solo tra quelli che fanno architettura, ma anche tra quelli che ne scrivono............
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1009
di Vilma torselli
del 23/12/2005
relativo all'articolo
Ri-costruire nei centri storici
di
Vulmaro Zoffi
Vorrei citare poche parole di Marc Aug che forse non sono strettamente pertinenti all'articolo, ma che ,secondo me, colgono efficacemente lo spirito di un concetto di modernit dove si sintetizza la possibilit o
necessit di un continuum tra passato e presente senza il quale non esisterebbe la storia dell'umanit (e dell'architettura, che ne la concreta traduzione).
"Presenza del passato nel presente che lo supera e lo rivendica: in questa conciliazione che Jean Starobinski scorge l'essenza della modernit." Nello stesso testo, riportando ancora Starobinski , Aug approfondisce il concetto parlando della "possibilit di una polifonia in cui l'incrociarsi virtualmente infinito dei destini, degli atti, dei pensieri, delle reminiscenze poggia su un 'basso continuo' di fondo che ritma le ore del giorno terrestre e che segna il posto che occupava (che potrebbe ancora occupare) l'antico rituale [......] "Basso continuo"; l'espressione utilizzata da Starobinski per evocare i luoghi e i ritmi antichi significativa: la modernit non li cancella ma li pone sullo sfondo. Essi sono come degli indicatori del tempo che passa e che sopravvive". (Marc Aug, 'Nonluoghi', pag.71)
Sono forse le stesse variazioni su un tema dato di cui parla l'autore
dell'articolo, o comunque ci che mi venuto alla mente leggendolo.
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937
di Vilma Torselli
del 18/07/2005
relativo all'articolo
Giancarlo De Carlo morto
di
la Redazione
Mi conforta il fatto che Mariopaolo Fadda, e spero non solo lui, abbia capito perfettamente lo spirito del mio discorso, il che pare non sia accaduto con Attilio Vannucci, probabilmente deviato da un atteggiamento preconcetto talmente radicato che gli impedisce ogni apertura al dialogo.
Solo un passaggio del suo commento merita comunque una sottolineatura: Ma lo sa la signora Torselli che, oltre a somministrare ai suoi lettori decine di pagine sull'architettura sgangherata di Koolhaas, Boeri progetta da tempo di far compilare al "Giordano Bruno vestito di Prada" (come os scrivere una volta il povero Sudjic, poi fatto fuori dalla direzione della rivista per far posto allo stesso rampante Boeri) un intero numero di Domus?.
Ecco, siamo arrivati allultima spiaggia, il processo alle intenzioni.
Ma lo sa, signor Vannucci, che oggi non si processano per le intenzioni neanche i terroristi?
Figuriamoci i direttori di riviste darchitettura!
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934
di Vilma Torselli
del 13/07/2005
relativo all'articolo
Giancarlo De Carlo morto
di
la Redazione
Spero che nessuno si offenda se dico che i numerosi commenti che larticolo ha sollecitato risultano complessivamente pi interessanti dellarticolo stesso, senzaltro meno celebrativi, meno ovvii e soprattutto pi umoristici. E interessante notare come largomento sia progressivamente scivolato dalliniziale primo commento Grazie Giancarlo De Carlo, allultimo circa le ..perplessit nei confronti dell'allegra gestione che a Domus Boeri fa di vivi e morti, a cominciare da De Carlo , in un processo di strisciante reificazione del soggetto originario che diviene alla fine oggetto pretestuoso per quelli che la redazione definisce eufemisticamente scambi interpersonali poco gentili: De Carlo morto, viva De Carlo, parliamo di Boeri.
E a questo punto, per uno che si autodefinisce, relata refero, un dilettante e che non durer pi di qualche anno i pareri si sprecano: il nocciolo del contendere pare comunque definire se sia pi o meno giusto che il direttore della pi importante rivista italiana - stampata - d'architettura la usi a fini di promozione di un preciso gruppo di professionisti [..]" per concludere da una parte che no, non giusto, n corretto, dallaltra che sarebbe assurdo per Boeri rinnegare tutte le sue ricerche, ignorare quelli che partecipano con lui alla progettazione [.] ecc. ecc.
Applicando con spirito salomonico il rasoio di Ockam, semplice regoletta implicante il minimo sforzo di comprensione accanto alla minima complicazione dei ragionamenti da sviluppare, criterio di semplicit non disdegnato a suo tempo nemmeno da Martin Lutero, sono propensa a credere che neanche lo stesso Boeri pensi di parlare, o scrivere, in nome di Dio, ma che Boeri parli per Boeri.
E vero che Ockam venne accusato di eresia, condannato e segregato (correva lanno 1324), tuttavia vale ancora oggi la regola che, tra tutte le possibili spiegazioni di un fatto, quella pi semplice ha maggiori possibilit di essere vera: in questo caso quella pi semplice e veritiera pare essere che Boeri scriva a buon diritto e da un punto di vista inevitabilmente soggettivo, ci che vuole su una rivista non finanziata da fondi pubblici, non palesemente investita di un qualche ruolo ufficiale, liberamente supportata da chicchessia, come molte rispettabili testate giornalistiche, della quale a tutti gli effetti , seppure transitoriamente, egli il responsabile.
Nella pluralit delle voci che, democraticamente, si esprimono oggi anche sullarchitettura, ciascuno pu ascoltare ci che meglio gradisce, astenendosi dallascolto di ci da cui dissente, almeno se non in grado di fornire un apporto dialettico costruttivo nellambito di un confronto civile.
Insomma, il rasoio di Ockam suggerisce di non leggere Domus, piuttosto che insultare il suo direttore.
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921
di vilma torselli
del 29/06/2005
relativo all'articolo
Il campo di margherite
di
Silvio Carta
Ci che Silvio Carta descrive ha una precisa denominazione scientifica, si chiama kainotetofobia, paura dei cambiamenti e delle novit, di tutto ci che non noto, compreso e riconducibile a canoni consolidati. E una paura che ha anche i suoi aspetti positivi, poich attiva utili meccanismi di difesa, ma che ha talvolta innegabilmente frenato il corso della storia e della scienza.
Il nuovo ci fa temere linvalidazione delle credenze assimilate e divenute parte della nostra identit individuale e collettiva ed averne timore un innato ed inevitabile retaggio antropologico, la ripetizione del comportamento del nostro antenato preistorico che, indifeso davanti allimprevisto a causa della propria ignoranza, temeva ogni novit ed ogni dirottamento da una realt nota e quindi dominabile, che significava spesso la garanzia della propria sopravvivenza.
Le reazioni emotive che regolano la nostra vita non sono molto differenziate, sono tuttavia sottilmente modulate ed adattate ai vari contesti, cosicch i sentimenti indotti da un paesaggio urbano o da un pezzo di citt non sono diversi da quelli che entrano in gioco nei rapporti tra esseri umani, per questa via che una piazza pu associarsi alla sacralit del ricordo di mio nonno.
Il termine ricordo, infatti, deriva etimologicamente dal latino cor-cordis, che vuol dire cuore, ad indicare la valenza emozionale dellatto del ricordare, non confinabile entro i limiti di una confortante ragionevolezza, cosicch la reazione empatica al ricordo di mio nonno si pu estendere, seppure irrazionalmente, ai luoghi che con lui ho frequentato, ad una piazza o ad oggetti inanimati che in qualche modo gli associo.
Una persona che conosco e che da decenni vive a New York, quando ricorda la sua citt natale, Perugia, fa immancabilmente riferimento ad unantica struttura, la torre degli Sciri, che ha visto passare generazioni di nonni e di nipoti e che resta tuttora per quella persona imprescindibile riferimento spazio-temporale, com destino di tanti elementi architettonici o urbanistici, realt ferma e concreta nel mutevole divenire della vita. Ebbene, se tornando a Perugia quella persona trovasse al posto della sua torre un bel campo di margherite, vogliamo negargli il diritto di restare delusa, di rimpiangere in qualche modo quello che non c pi?
Ci che caratterizza larchitettura, o una sistemazione urbanistica, unorribile vasca per i pesci rossi o una fontana del Bernini , fra laltro, la fisicit, la concretezza, unesteriorit inequivocabilmente definita, solidamente fissata nel cemento, nella pietra, nel ferro, sar per questo che, col tempo, ci scopriamo incredibilmente affezionati al loro aspetto, divenuto noto e familiare come quello di una persona cara.
E sar pure per questo che un grande della passata generazione ha lasciato scritto Amate larchitettura, fisicamente, come si amano le persone, al punto da rimpiangerne la scomparsa.
Ci non significa che si debba lasciare il mondo cos com, il mutamento lessenza della vita, ma significa che ogni cambiamento, leradicazione di un passato rassicurante perch noto, la distruzione di punti di riferimento conosciuti , comportano unelaborazione simile a quella di un lutto, la presa di coscienza della necessit e dell'inevitabilit del cambiamento e laccettazione di un nuovo stato delle cose, in virt di quelladattamento della psiche alla variet delle situazioni di cui dicevo prima.
vecchio non necessariamente bello, infatti, solo vecchio, con la sua carica di significati positivi e negativi. Cambiamolo, senza scandalizzarci se, comunque, non sar unoperazione indolore.
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917
di Vilma Torselli
del 22/06/2005
relativo all'articolo
Diritto d'Autori - il diritto a un ricordo... il d
di
Davide Crippa
La richiesta di Ubaldo Peroni ha sollecitato la mia curiosit. Ho avuto la fortuna di laurearmi alla facolt di architettura del Politecnico di Milano nei mitici anni in cui i docenti si chiamavano Carlo De Carli, allora anche preside della facolt, Ernesto Nathan Rogers, Franco Albini, Franca Helg, Vittoriano Vigan, Ludovico Barbiano di Belgioioso ecc. eppure non riesco a ricordarmi affatto di un architetto-docente Giacomo Scarpini, n mi aiuta il fatto che, nell'unico ritratto che ho reperito in rete, egli si copra intenzionalmente il volto .
Una rapida ricerca su internet mi dice che potrebbe invece ricordarsene tale Piero Milesi, collaboratore di Fabrizio De Andr (sic!), architetto evidentemente non militante, ma presumibilmente informato.
Confesso che mi interesserebbe conoscere la soluzione di questo interessante "Chi l'ha visto?"
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905
di Vilma Torselli
del 25/05/2005
relativo all'articolo
Gli studenti universitari non conoscono la storia
di
Paolo G.L. Ferrara
Gli studenti d'architettura non potranno mai pensare allarte come ad una profonda estensione esplorativa della loro personalit soprattutto perch i docenti non insegnano loro le profonde e puntuali correlazioni dell'arte visiva con l'architettura. Probabilmente perch essi stessi non ne valutano l'importanza (non voglio pensare che non ne siano in grado) o non ne vedono la necessit, alla faccia della contaminazione interdisciplinare!
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899
di Vilma Torselli
del 16/05/2005
relativo all'articolo
Riso amaro
di
Ugo Rosa
Il femminismo di ritorno, che ha perso ogni mordente, perch non c pi niente da mordere, e sfoggia un pacato equilibrio annacquato di qualunquismo, dopo che le battaglie femministe hanno dato alle donne uno spazio che esse stesse non sono state capaci di prendersi, il modo pi o meno elegante che il genere femminile ha scelto oggi per una strisciante e dignitosa marcia indietro, dopo aver sperimentato che, in fin dei conti, il potere ha i suoi aspetti negativi, frustranti e stressanti e logora anche chi ce lha.
Personalmente sono sempre stata molto lieta del pregiudizio discriminante che mi ha proibito di fare la minatrice, o la camalla, e che non mi ha mai impedito, invece, di fare larchitetto, nei limiti delle mie potenzialit intellettive e delle mie capacit generali, probabilmente ho avuto vita facile, o mi sono accontentata, o ho mediato tra le molte cose che una donna vuole dalla vita, cio un po tutto, rinunciando un po a tutto.
Diversamente da come lo avrebbe fatto un uomo, perch non sono un uomo.
Per libera scelta, come fanno molte donne, non necessariamente architetti, perch le donne hanno rispetto agli uomini priorit diverse, un cervello strutturato diversamente, come ormai la scienza ha dimostrato, una diversa visione del mondo, una costituzione fisica diversa, interazioni ormonali specifiche, partoriscono, hanno il ciclo mensile, la sindrome premestruale, insomma sono DIVERSE.
Sar forse per questo che ci sono meno donne che uomini architetti, dato inoppugnabile, statistiche alla mano, di cui il genere femminile non ha nulla da vergognarsi, perch le donne vogliono fare dellaltro, magari le veline, ambito nel quale, invece, gli uomini sono tenacemente discriminati.
Insomma, il tira e molla di Casabella non spezza nessuna lancia a favore delle donne, architetti o meno che siano, semmai ne mette in risalto incertezze, debolezze, ovviet e superficialit mettendo le mani avanti con tutti i suoi distinguo, le precisazioni, le cautele e le scuse. Ma se gli architetti, come gli angeli, non hanno sesso, perch mai Casabella distingue? E se invece il sesso ce lhanno, perch Casabella non ha mai dedicato, che mi risulti, un numero agli architetti uomini?
Mi aspetto dissenso e proteste dalle femministe, dalle donne-architetto e probabilmente anche dallassociazione donne architette dellOrdine di Roma, in compenso, credo che avr leterna riconoscenza di Ugo Rosa.
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888
di Vilma Torselli
del 15/04/2005
relativo all'articolo
Il moralista: miracolo a Milano
di
Paolo G.L. Ferrara
Fare unarchitettura ad alto contenuto tecnologico che riesca a sembrare gi vecchia e gi vista, fare progetti plurisignificanti in cui, afferma la moglie/collaboratrice Doriana Mandrelli, non esiste mai un punto di vista preciso n una direzione privilegiata per osservarli, tanto che invano si cercherebbe quella giusta per dare un senso al tutto, riuscire ad avere contemporaneamente il cuore a sinistra e il portafoglio a destra (Il Cavaliere e lArchitetto, Corriere della Sera, 01.04.2005): queste le rare concomitanze che, con delicato equilibrismo, solo Massimiliano Fuksas riesce a conciliare.
Fortunatamente.
Uno basta ed avanza.
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849
di Vilma Torselli
del 05/12/2004
relativo all'articolo
La Cultura Morfologica nella progettualit archite
di
Mario Galvagni
Da una lunga intervista di Pietro Zullino a Bruno Zevi comparsa su una pagina del numero 15 (inverno 1998/99) della rivista on line Telema, oggi purtroppo soppressa: "......... Il computer ha portato la libert, la rivoluzione in casa nostra. Ha abbattuto le antiche costrizioni indotte dagli strumenti di lavoro tradizionali; ha spazzato via la grammatica e la sintassi dell'architettura classica ...... Il computer concede all'architetto di far di tutto e non gli impone niente: questa la cosa straordinaria. Ci libera da tutte le schiavit di rappresentazione dell'architettura che nascono dall'inizio del Quattrocento e finiscono... ieri sera........... La consapevolezza divenne generale nel 1988, con la mostra del decostruttivismo al Museo dell'arte moderna di New York. Accettata l'idea della decostruzione fu evidente che questa si poteva realizzare solo con il computer. ....".
Un bell'abbaglio, non c' che dire.
Scusate se oso, ma i miti ogni tanto vanno scossi, se non altro per far cadere la polvere, anche se si chiamano Bruno Zevi.
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707
di Vilma Torselli
del 05/04/2004
relativo all'articolo
La Fenice, com'era e dov'era
di
Luigi Prestinenza Puglisi
Se mi concesso, vorrei fornire una mia interpretazione dello scritto di Prestinenza Puglisi attraverso quelle che ritengo le chiavi di lettura pi idonee .
1)Noi che predichiamo la simulazione come uno strumento conoscitivo e la applichiamo al cyberspazio, riconosciamo alla copia pi vera del vero un certo valore, se non altro a fini conoscitivi.
Mi pare chiaro che venga riconosciuto al restauro conservativo un fondamentale valore storico e documentale, come pu averlo un gigantesco plastico, un modello che riproduce comera la morfologia di qualcosa di perduto.
2) Limportante per che sia sciolto lequivoco [.]che ci che noi vediamo non loriginale ma un oggetto simile privato di vita [..]
il che va dichiarato senza incertezze, adoperando gli strumenti dellinganno con grande intelligenza e accortezza e, aggiungerei, onest.
3) Il teatro veneziano Non era un granch e, se si fosse perduto, la nostra civilt non ne avrebbe risentito, quindi necessario, a monte, scegliere tra ci che va salvato e tramandato, e ci che non lo merita o comunque che rappresenterebbe una perdita ininfluente (Serve un giudizio cio una assunzione di responsabilit e un riconoscimento di valore).
4) Crediamo, inoltre, che Venezia con un nuovo teatro autenticamente moderno si sarebbe arricchita, frase che non necessita n di commento n di interpretazione.
Fin qua mi pare che si capisca da che parte stia Prestinenza Puglisi.
Lo trovo pi sibillino quando dice che molte volte le architetture sono sbagliate e accettarle come erano e dove erano un errore, concetto discutibile e per certi versi paradossale.
Comunque, poich tra gli umani accade che talvolta il messaggio che parte sia radicalmente diverso da quello che arriva, cosa che non accade mai nel resto del regno animale in cui i messaggi, per quanto complessi, sono sempre inequivocabili, sarebbe forse lo stesso Prestinenza Puglisi la persona pi adatta a chiarire ogni dubbia interpretazione.
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698
di Vilma Torselli
del 19/03/2004
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Belli e/o brutti (milanesi)
di
Maurizio De Caro
"Milano una brutta e mal combinata citt ..... " , sono parole di Carlo Emilio Gadda , dalle quali prese spunto un famoso dibattito sullo stato della citt, tenutosi alla Triennale di Milano il 30 novembre 1993.
Sono passati pi di dieci anni e Milano ancora brutta, o addirittura pi brutta di allora.
Ci sar pure un motivo perch ci accada.
Sar segno che, dopotutto, ai milanesi va bene cos? Sar segno che, in fin dei conti, il concetto di bello o brutto applicato ad una citt cos labile e vago che ci che per uno brutto per un altro pu essere bello?
Forse sar che Milano una citt spiccia e bottegaia, la sede della borsa, della finanza, degli affari, e la circolazione dei soldi fa dimenticare la circolazione del traffico, e se non c niente di bello da veder non importa, c tanto di utile da fare.
Perch se Milano fosse bella, colta e raffinata non sarebbe Milano, sarebbe Firenze, e se grondasse storia e memorie sarebbe Roma, non Milano, e se avesse la pi bella piazza del mondo, e non piazzale Cadorna, che un nodo viabilistico che forse non ambisce ad essere nientaltro, sarebbe Siena.
Ma non ha dimenticato di essere stata la citt del Futurismo, nel 2005 avr nellattuale Arengario il pi completo Museo del 900 e del Futurismo (a firma di tale Italo Rota, vincitore di un concorso internazionale, di cui confesso di sapere poco) che con il Palazzo Reale potr costituire una straordinaria cittadella della cultura.
Stiamo a vedere, e poi, se del caso, continueremo (a cose fatte, purtroppo) a lamentarci.
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652
di Vilma Torselli
del 13/02/2004
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Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Alla conclusione, mi auguro, di un dibattito che ha preso ormai i connotati di quello che definirei il tormentone Con De Masi per Niemeyer, noto con una certa curiosit una sostanziale convergenza di giudizio sul progetto ed il suo autore, estranea alla vena fortemente polemica che ha caratterizzato tutto il contradditorio. In nessuno dei commenti che mi sono diligentemente riletta compare una critica negativa verso Neimeyer, nemmeno in quelli dellacidissimo enricogbotta, che tuttal pi assume un atteggiamento neutro, con poca voglia di entrare nel merito (contento lui., come insegnano gli antichi, de gustibus., ecc.)
Cito, dai 33 commenti presenti a tuttoggi:
nasce dallidea di uno dei grandi maestri del Moderno, il 94enne Oscar Niemeyer, e rappresenterebbe sicuramente una buona occasione per accrescere il patrimonio di opere di architettura contemporanea del nostro paese.. (Pierluigi Di Baccio)
. sconfortante vedere un grande architetto riportato a questioni di cos bassa lega...(Andrea Pinna)
Non si discute il merito e la comprovata professionalit di Niemeyer .. (Mara Dolce)
..mi arriva agli occhi lultimo progetto di Oscar Niemeyer per Ravello. Con mio grande interesse constato e apro il mio cuore e la mente al prossimo insegnamento che questo grande maestro ci da alla sua veneranda eta. (Francesco Pietrella)
L'ottimo Domenico De Masi potr anche perderla, temo, la sua battaglia per il bel progetto di Niemeyer a Ravello, ma le persone libere saranno sempre dalla sua parte (Beniamino Rocca)
Niemeyer un architetto che ha fatto la storia del secolo scorso, sarebbe bellissimo avere una sua opera nel nostro paese (Arianna Sdei)
benvenuto auditorium!Va bene cos?
Lo slancio culturale che darebbe un intervento di questo genere in quella zona, dovrebbe far meditare molti
spero che costruiscano l'auditorium di Oscar Niemeyer a Ravello,
il luogo ci guadagner e anche tante altre iniziative culturali previste ed in attesa di realizzarsi.. (Paolo Marzano)
.non in dubbio la forza creativa e l'impegno sociale di questo architetto.
Il suo spessore morale ben noto a tutti. (Isabel Archer)
..un grazie specialmente ad Oscar che ha donato all'Italia un altro suo preziosissimo fiore. (Carlo Sarno)
Per una casuale concomitanza, per influenza della buona sorte o di qualche dio dellarchitettura, per una rara combinazione planetaria o qualche favorevole posizione astrale, avevamo davanti un progetto che andava bene per tutti, nonostante le carenze legislative, le irregolarit procedurali, i vuoti normativi, il parere di Italia Loro, ed invece di occuparci del progetto ci siamo occupati delle regole, che non sono nulla senza un buon progetto.
Da perfetti imbecilli, abbiamo guardato il dito che indicava la luna.
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568
di Vilma Torselli
del 29/12/2003
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Un'americanata a Venezia
di
Mariopaolo Fadda
Gentile Nicoletta Borghese (non mi pare il caso di usare il suo confidenziale "cara"),
non vero che l'oggi non interessi, mi pare che i temi presenti su Antithesi siano preferibilmente incentrati sull'attualit, come sapr certamente se legge il giornale con una certa assiduit, ma ci non toglie che si possa anche dibattere sul restauro della Fenice.
Ci che dice Errico potrebbe essere pubblicato su qualunque giornale, su un giornale sportivo, su un giornale di moda, su un giornale di attualit, si tratta di una protesta generica, demagogica e un po' infantilmente provocatoria sulle "situazioni di bisogno" di cui il mondo pieno, che si potrebbe anche scrivere sui muri.
Anzi, penso che se volesse veramente giovare a qualcuno, proprio questo che dovrebbero fare, Errico, o lei o qualche altro armato di buona volont e bomboletta spray, con risultati pi eclatanti, efficaci ed anche decorativi.
Sar senz'altro d'accordo, vista la sua propensione alla denuncia delle disuguaglianze, che la libert di espressione contempli anche la possibilit di disquisire sul restauro della Fenice, oltretutto nella sede pi adatta, almeno nella stessa misura che le verr riconosciuta, non ne dubito, quando vorr gratificare anche una azzeccagarbugli come me di un articolo circostanziato, documentato ed illuminato di critica architettonica a qualcuna delle milionate di metri cubi di costruito di cui non solo lei, ma tutti faremmo volentieri a meno.
Attendo con ansia di leggerla sulle pagine di Antithesi o altrove, basta che mi dica dove e quando.
Vilma Torselli
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563
di Vilma Torselli
del 27/12/2003
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Un'americanata a Venezia
di
Mariopaolo Fadda
Finalmente da Angelo Errico una parola chiara, semplice, categorica, definitiva che pone termine a tutti i dibattiti: l'architettura si costruisce, poi muta, si degrada, a volte viene rifatta, in qualche modo, ma dopotutto, chi se ne frega!
Con tutti i problemi che ci sono al mondo, i baraccati, le carestie, il terrorismo, stiamo qui a parlare della Fenice! Ma chi se ne frega!
C' solo una cosa sbagliata, in tutto l'insieme dell'intervento cos finemente argomentato: la sede, un giornale di critica dell'architettura.
Ma dopotutto, della critica d'architettura, chi se ne frega!
Propongo di chiudere Antithesi.
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557
di Vilma torselli
del 21/12/2003
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Un'americanata a Venezia
di
Mariopaolo Fadda
"A parlare di restauro, dei suoi effetti visivi nonch dei risultati eclatanti che ne suggellano le singole operazioni, sono veramente in molti fra gli addetti ai lavori e non, e la sensazione che se ne trae quella di unattivit destinata a superare le pi ottimistiche previsioni e aspettative culturali, producendosi in una vera e propria restituzione degli antichi valori messi a repentaglio dal tempo e dagli uomini. E alquanto difficile trovare, almeno da noi, testimonianze di un atteggiamento meno disponibile verso quellottimismo diffuso che ormai caratterizza le iniziative e le affermazioni dei responsabili del restauro, e che influenza a tal punto lopinione pubblica da farle credere che restaurare unopera significhi non tanto conservarla il pi possibile ma farne rivivere i fasti di una volta, come se la ruota del tempo potesse girare a ritroso ed il passato mostrarsi interamente nella sua verit incontrovertibile ("Filosofia dell'arte e problemi di restauro: il caso di Cesare Brandi", di Cesare Chirici ).
Il risultato di tanto facile ottimismo sotto gli occhi di tutti, credo che non ci sia architetto che non condivida lo sdegno di Mariopaolo Fadda per un'operazione a ritroso che non riesce, e forse non si pone neanche nella posizione di tentarlo, a restituire un'opera architettonica del passato in termini di leggibilit alla portata della moderna percezione, un'operazione che, per usare ancora parole di Cesare Chirici, "non d luogo a transiti di senso" e ignora " il passaggio da un passato sospeso e virtuale a un presente che rimette in circolo e revivifica una referenza indeterminata".
L'acriticit delle scelte, l'assenza di una cernita selettiva di ci che va scartato da ci che va tramandato, la mancanza, in definitiva, di una critica che impedisca un rispecchiamento passivo del passato hanno prodotto, com'era inevitabile, una pedissequa ricostruzione storiografica che, condividendo le parole di Fadda, si pu brutalmente definire una plateale falsificazione.
Il concetto di restauro conservativo , pare il caso di dirlo, come l'araba fenice, esiste, almeno nella teoria, ma inafferrabile ed ambiguo come pochi.
Mi pare che il problema, sulle pagine di Antithesi, sia gi stato pi volte affrontato, mi riferisco, per esempio, a Sandro Lazier quando scrive: "[...] Conservare le cose sempre stato un grande problema per lumanit, dal cibo alle case, dai ricordi alla storia, gli egizi conservavano persino i morti. Ma se voglio conservare la frutta devo mutarla in marmellata e, allora, loggetto della conservazione non pi lingrediente ma il ricavato (Ci si preoccupa di conservare la marmellata, non la frutta). Perci ci si illude di rifare marmellate nel modo dellantica tradizione, ma si scorda che i frutti sono sempre nuovi.", (Tradizione e identit, Antithesi, 2002).
Un pittore liberty, Gaetano Previati, affermava che, lasciando ad un quadro il tempo di invecchiare, si sarebbe finito per avere un altro quadro, magari migliore dell'originale, sicuramente assai diverso: le opere, come gli uomini, invecchiano e mutano inderogabilmente, nel nome dell' irreversibilit dei processi vitali che rendono la vita unica ed irripetibile.
Il concetto di restauro, poi, ha in s un inalienabile carattere di provvisoriet che fa s che non esista un restauro "definitivo", perch al suo compimento ha inizio una nuova, inevitabile mutazione che vanifica ulteriormente ogni pretesa di riportare tutto a "com'era prima".
E' certo che restauri come quello perpetrato ai danni della Fenice andrebbero proibiti.
Per legge.
Il ministro Urbani potrebbe cominciare a pensarci.
Ma se vogliamo fare della critica costruttiva, allora bisognerebbe anche dire quale potrebbe essere l'alternativa, bisognerebbe individuare il discrimine tra una massiccia ristrutturazione ed un restauro vero e proprio, bisognerebbe stabilire quando una struttura possa essere efficacemente curata e quando debba invece essere sottoposta ad una dignitosa eutanasia. Sarebbe proficuo e civile che ora il dibattito si aprisse a queste problematiche, magari proprio sulle pagine di Antithesi, non fosse altro che per fornire utili suggerimenti al ministro Urbani
Per l'Europa ed in particolare per l'Italia, credo che Fadda lo sappia bene, esiste un problema del restauro che in America non si pone, l l'amore dellantico e il rispetto del passato hanno radici corte, pi facile estirparle e ripiantare nuovi germogli, non pu attecchire la sudditanza psicologica a vecchie norme e vecchi schemi, esiste una libert di idee che da noi sconosciuta. Non a caso, in America che il surrealismo europeo ha superato le sue nevrosi ed ha parlato il dirompente linguaggio liberatorio dell'espressionismo astratto.
Personalmente non credo
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394
di Vilma Torselli
del 17/08/2003
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Storia e critica 4 - racconto di come le cose sono
di
Sandro Lazier
Mi sembra di capire che per parlare di storia, qualunque storia, delluomo, dellarchitettura, dellurbanistica, sia innanzi tutto necessario mettersi daccordo sul concetto di storia, per esempio seguendo Sandro Lazier nel suo percorso alla ricerca del significato attuale della storia.
E su questo mi pare che non ci piova.
Ad affiancare e forse integrare il testo di Domenico Parisi suggerirei comunque la lettura di una pagina di Giacomo Marramao, professore ordinario di Filosofia politica presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze Sociali dell'Universit di Roma Tre, dove si legge fra laltro: "Storia" una parola greca, "histora", che vuol dire "rendiconto", all'inizio. E poi diventa una parola che esprime l'idea di un corso degli eventi, che ci abbraccia tutti insieme. Questa idea di storia, che greca, originariamente occidentale, oggi si trova al cospetto di un mondo globalizzato, in cui l'Occidente ha a che fare con le altre civilt. Molti mettono in dubbio che si dia quindi una unica storia, che la storia sia unitaria e che la storia possa inglobare insieme tutte le civilt. Si pongono degli interrogativi molto seri sul concetto stesso, sull'idea stessa di storia(Giacomo Marramao, Che cos' la storia?")
Ci che va messo in crisi, infatti, nellepoca della globalizzazione, non come ma se si debba o possa fare storia, almeno nella comune accezione del termine.
Mi pare, comunque, che anche sullidea di una storia che recepisca lodierna crisi dei linguaggi e delle identit nazionali non ci piova, anche se credo che una storia che sia storia globale, cio storia di tutte le societ umane che ci sono state sulla Terra.volta a creare una identit di specie ci sia gi e si chiami antropologia. Cos come mi pare che oggi, come Parisi auspicava nel febbraio 2001, il linguaggio abbia cessato di essere il canale di apprendimento privilegiato della storia, dato lenorme sviluppo, intervenuto nel frattempo, dei mezzi tecnologici di diffusione di cui disponiamo (tecnologie digitali, realt virtuale, interattivit, ipertesti ecc.), tutti canali non linguistici democraticamente ed indiscriminatamente alla portata di tutti.
Sulla convinzione che la storia sia lorganico racconto, in chiave evoluzionistica, di come le cose sono cambiate si potrebbe discutere, tirando in ballo la nostra necessit di dare giudizi (Sandro Lazier, Storia e Critica 2 - Verit storica e verit dei fatti), che potrebbe viziare il nostro comportamento, o, se vogliamo, rifacendoci a Lucien Fvre quando dice che siamo noi che, nel bisogno di organizzazione del passato, diamo un ordine, che continuamente viene rivisto, ad una catena di fatti apparentemente senza significato: perch in tal caso la rilevazione e la lettura di come le cose sono cambiate risulterebbero del tutto arbitrarie, perch, in tal caso, la concatenazione storica degli eventi dipenderebbe dallarbitrario lavoro dello storico, un ansioso insicuro alla ricerca di una consolatoria giustificazione che gli permetta di dare un senso al passato, nella recondita speranza di trarne rassicuranti suggerimenti comportamentali per il futuro.
Lo storico, per definizione, portato al pensiero progettuale, mentre la visione globalistica passa attraverso la destrutturazione, filosoficamente intesa, che lantitesi della progettualit, come ci ha insegnato Bruno Zevi con la sua entusiastica adesione al decostruttivismo: si tratta di due verit incontrovertibili ma incompatibili, delle quali una di troppo.
Essere in grado di leggere un testo (o un evento o unarchitettura o un piano urbanistico) senza interporre un'interpretazione soggettiva rappresenta non solo la forma ultima di esperienza interiore", stando a Nietzsche, ma anche la certezza di non dare ad un racconto un senso che non ha o addirittura di non leggere un consequenziale rincorrersi di cause ed effetti che possono non esserci. E difficile, per loccidente, sospinto incessantemente da un bisogno di ricostruzione storica del passato secondo un concetto evoluzionistico che gli appartiene, ma ci che dovremo fare se vogliamo che i nostri discorsi sulla globalizzazione e sulla storia globale abbiano un senso.
Dobbiamo porci il dubbio che evoluzione e cambiamento siano due concetti generati dalla metafisica occidentale basata sull'opposizione dualistica del o non (essere/divenire, vero/falso, bene/male, in questo caso immobilismo/mutamento ecc.), che inducono a leggere gli avvenimenti come racconto del passato nel quale cercare processi e cause con la pretesa di attuarne un tentativo di comprensione e spiegazione.
E mi pare che alla luce di tutto ci possa essere irrilevante stabilire se sia o no storicamente corretto demolire o meno il carcere di San Vittore.
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390
di Vilma Torselli
del 11/08/2003
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La qualit dell'architettura per legge
di
Sandro Lazier
Il disegno di legge del ministro Urbani ha, effettivamente, per certi versi, lindefinibile propriet organolettica dellaria fritta assieme al dirompente contenuto innovativo della scoperta dellacqua calda.
Perper quanto arduo ed utopistico sembri essere credere di poter promuovere e tutelare la qualit dellideazione e della realizzazione architettonica e urbanistica con una Legge-quadro che intervenga sulla qualit estetica, mi sembra che questa 'convincente impossibilit' sia preferibile ad una 'non convincente possibilit', ..una seria riforma delle professioni, che azzeri le posizioni di privilegio.. ( mi perdoni Aristotele).
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369
di Vilma Torselli
del 14/07/2003
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Nonsolomoda, anche idiozie
di
Paolo G.L. Ferrara
A proposito del dialogo Fabrizio Leoni - Paolo Ferrara sul molto dibattuto argomento Nonsolomoda ecc...,, qualcuno mi spiega se mi sono persa qualcosa, oppure uno molti dei casi in cui chi mal comprende peggio risponde (senza offesa per nessuno)?
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371
di Vilma Torselli
del 14/07/2003
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Critica da allevamento
di
Mara Dolce
Egregio EnricogBotta,
sono grosso modo daccordo sulla sua definizione di critica inutile che "serve solo ed esclusivamente a se stessa, mi sono espressa in termini simili in un mio precedente commento.
Non sono daccordo sul fatto che, per essere larchitettura un servizio che va offerto nel rispetto e nella salvaguardia della vita, della salute, della propriet e del benessere collettivo, (e nelloccasione mi complimento per la sua invidiabile chiarezza di idee, nella linea del pragmatismo americano che noi europei invidiamo tanto) debba essere automaticamente esentata da un giudizio critico, almeno cos sembrerebbe dal suo intervento. Perch mai? Critichiamo tutto, gli ospedali, le pensioni, i cibi transgenici, perch mai non dovremmo criticare larchitettura?
Il vero tema della discussione, che mi pare lei scavalchi, definire non larchitettura, ma la critica dellarchitettura, che una delle "definizioni mancanti " del nostro paese, come lei lamenta.
Dino Formaggio dice che Arte tutto ci che gli uomini hanno chiamato arte: parafrasandolo, si potrebbe dire che critica tutto ci che gli uomini hanno chiamato critica, quello che intende lei, io o altri. L' Art. 21 della Costituzione italiana recita: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
E' inevitabile che ne beneficino anche i critici d'allevamento, lasciamoli parlare e....critichiamoli!.
Cordiali saluti
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363
di Vilma Torselli
del 02/07/2003
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Critica da allevamento
di
Mara Dolce
"Nella critica ci deve essere un'attitudine alla spregiudicatezza, di viaggio, d'avventura, senza parametri, senza apriori. Sono caduti i rituali dell'avanguardia, siamo immersi ormai in un magma: ognuno si muove a ruota libera, libero nelle memorie, negli strapaesi, nelle archeologie, nei neri, negli scuri, nell'ironia oppure nelle epiche e nelle mitologie. Anche la critica deve fare i conti con questo. O sta a battere cattedra e a parlare del Rubicone, ma allora rimane emarginata, o deve "scendere"."(Emilio Vedova, 1984)
La critica, da allevamento e non, sempre pi spesso un gioco linguistico ed un esercizio narcisistico esercitato dalla figura del critico creativo, oggi cos diffusa, che inventa il suo ruolo, le sue capacit, la sua autorit, gli architetti e larchitettura da salotto, affetto da un inguaribile logocentrismo (penso a ci che intende Deridda) , che, tra gli innumerevoli centri di significato definiti dal pensiero occidentale, ha posto anche le parole critica, estetica, gusto.
La centralit del linguaggio ha sostituito la centralit dellarchitettura, limperante logocentrismo e fonocentrismo fa s che spesso un bel discorso venga scambiato per una buona critica.
Molta critica di oggi , come molta architettura, inutile: per i criticati, che se ne fregano, per i critici, che restano ognuno asserragliato in posizioni personali senza dialettica costruttiva, per il grosso pubblico, lutente finale, il non addetto ai lavori, che non pu capire neanche il senso di certi farragginosi discorsi.
Cos la critica galleggia, come un palloncino, tra la vacuit del senso e la vanit del significato, autoreferenziale, egocentrica, fine a s stessa.
Che la critica, di qualunque genere, possa e debba assumersi un ruolo di denuncia in nome di un impegno etico che le connaturato, sembrerebbe ovvio ed auspicabile: persino Michael Fried, critico americano in un paese che non brilla certo per coscienza civile e sociale, rivendica per il critico, cos come per lartista, unautonomia morale nei confronti della societ che lo metta in grado di dare dei giudizi, pur ammettendo che potrebbe trattarsi di una concezione intollerabilmente arrogante.
Ma non per sottrarsi allarroganza che nessun critico parla dellarchitettura delle imprese costruttrici nelle brutte periferie urbane di tante citt italiane: non ne parla perch scendere faticoso, impegnativo, oscuro, il confronto anonimo, generico, non fa clamore perch il misfatto viene compiuto nellanonimato dei giochi di potere, spesso da personaggi squallidi e sconosciuti.
Se invece il misfatto porta una firma illustre, allora non pi un misfatto, vale la pena che se ne parli, e larchitettura scadente trover, da una parte o dallaltra, una interpretazione illuminante che la trasformi in una interessante sperimentazione proiettata verso il futuro.
Credo che questa, Mara Dolce, sia la realt contro la quale lei si applica con lodevole, condivisibile, appassionato ed inutile impegno, inutile quanto certa critica: esclusi i presenti, naturalmente.
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354
di Vilma Torselli
del 15/06/2003
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Critica della critica
di
Sandro Lazier
Parlare di critica dellarchitettura, e parlarne per traslato, attraverso lo scritto di Guido Guglielmi, professore di letteratura italiana, poich il trasporto degli stessi concetti nellambito dellarchitettura del tutto naturale e conveniente mi pare, francamente, un arbitrio del tutto opinabile.
Due realt come le opere di letteratura e le opere architettoniche, con diversi ambiti di indagine, la lingua e lo spazio (zevianamente inteso come categoria interpretativa fondamentale dellarchitettura), sono infatti incommensurabili , ed a maggior ragione non interscambiabili, perch mancanti dell'omogeneit che, per definizione, si assume come elemento fondante e fondamentale rispetto all'intero sistema dei saperi.
Comunque, a prescindere, dopo lanalisi acuta, esaustiva ed assolutamente illuminante e condivisibile compiuta dal prof. Gugliemi sulla storia del concetto di critica (letteraria) nel tempo, a partite da De Sanctis ai giorni nostri, vorrei far presente che, talvolta, il discorso non in realt cos lineare, e citare un caso paradossale (altri ve ne sarebbero), che certamente non fa la regola, ma che ne costituisce una affascinante eccezione: quello di Antonin Artaud, un malato psichiatrico, schizofrenico, pi volte sottoposto ad elettroshock, uno squilibrato patologico, un matto che un giorno del 1947 (morir un anno dopo, internato a Ivry-sur-Seine) visita una retrospettiva di Van Gogh allestita al Museo dell'Orangerie a Parigi e, dopo pochi giorni, scrive un saggio su di lui, "Van Gogh, le suicid de la socit", nel quale, con impressionante lucidit, sviluppa una disamina approfondita della sua opera pittorica come mai nessuno aveva fatto prima n alcuno in seguito far.
Difficile credere che avesse gusto e quindi capacit di giudicare nei limiti della norma, o avesse un metodo critico organico, a meno che non si ammetta che lopera di un folle (Van Gogh) possa essere correttamente giudicata solo da un altro folle (Artaud), e allora a questo punto il discorso si farebbe talmente frammentario da essere improponibile e da uscire completamente dagli schemi analitici proposti da Guglielmi, anche se mi pare che aprirebbe scenari inesplorati di fascino eccezionale, mettendo in crisi tutte le teorie logicamente e faticosamente costruite sullattivit, la metodologia e la funzione della critica.
Se vero, oggi, che un critico fa il critico perch ha acquisito una capacit di ascolto, di decifrazione, di lettura e che tale capacit gli deriva da una sorta di memoria del sapere che lo rende in grado di analizzare, dedurre, formulare una sua verit, seppure costantemente in fieri, anche vero che ci render perennemente il sapere del resto degli uomini una conoscenza di seconda mano, da lui mediata , mentre, in unottica forse utopistica ma sicuramente pi costruttiva, il critico, nella fattispecie di architettura, dovrebbe innanzi tutto credere alla provvisoriet della propria funzione, per dirla con Alessandro Tempi, e preoccuparsi di fornire al suo pubblico gli strumenti per capire autonomamente, anzich le informazioni , inevitabilmente soggettive, atte a spiegare cos larchitettura, come avviene in genere e spesso in un linguaggio nozionistico comprensibile solo a chi gi sa.
Chiudo con una frase di Barnett Newman di sintetico ed illuminante significato: "Aesthetics is for the artist as ornithology is for the birds" (The Sublime Is Now, 1948): il rischio che la critica pretenda di insegnare ci che non pu essere insegnato e che abbia, per i fruitori dellarchitettura, la stessa funzione che lornitologia ha per gli uccelli, servire a chi uccello non .
15/6/2003 - Sandro Lazier risponde a Vilma Torselli
Beh, io credo che definire la critica come facolt di dare giudizi di valore valga per la letteratura, larchitettura e lornitologia senza differenza. Questo mi pare il punto centrale di tutto il discorso di Guglielmi. Possiamo discutere sul come ma non possiamo astrarre il giudizio o sospenderlo in virt di un democratico relativismo che dice il gusto appartenere a chiunque. Se non ci sono regole per costruire il bello (e qui non centrano le differenze di categoria) lunico modo per stabilire ovviamente in forma storica, non per sempre- cosa vale e cosa no, ricorrere al giudizio critico. Un giudizio che non si fonda su concetti chiari e distinti ma sulla lettura dei testi, sullesperienza che si fa dei medesimi (testi di architettura o letteratura). Per rimanere nellambito dellornitologia che lei cita, al fine di un giudizio critico, si potrebbe dire che, per conoscere gli uccelli, non interessante ridurli a categoria ma pi importante la loro frequentazione.
Con simpatia ed amicizia.
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318
di Vilma Torselli
del 30/04/2003
relativo all'articolo
Gehry, Hadid e Libeskind presi...Di Petta
di
Paolo GL Ferrara
Scusate il disturbo, ben conoscendo il rischio che corre chi si frappone tra due litiganti mi inserisco in un duello che Paolo Ferrara, con la tranciante conclusivit che lo distingue, chiude con un secco: Aspettiamo una Sua replica., eufemismo che lascia leggere tra le righe : Ci troviamo fuori, cos ce la vediamo tra noi...
Si tratta di un duello fortunatamente virtuale, e si sa che di mouse non mai morto nessuno, in cui mi pare che il gusto della dialettica prenda talmente la mano da delineare una polemica anche dove non c disaccordo: su Borromini, per esempio, dove lei, Ferrara, parla di contenuto, e Di Petta di mezzo, che, come si sa, sono le due seppur diverse facce della stessa medaglia.
Non voglio si pensi che io prenda le difese del povero Rosario Di Petta, certamente pi che in grado di difendersi da solo ed al quale il mio povero vuole esprimere non gi pietismo, ma sim-patia.
Perch forse, Paolo Ferrara, Rosario Di Petta , come me e probabilmente tanti altri architetti, ama credere che larchitettura possa scrivere la storia dellumanit, non con le parole, ma con la pietra, i mattoni, il legno, e che per questo debba raccontare la storia degli uomini, e non quella di un uomo solo, per quanto grande, si chiami Frank O. Gehry o Zaha Hadid o Daniel Libeskind o Coop Himmelblau o Rem Koolhaas, che esprima se stesso.
Parlare di stili, o di tipologie, o di codici o di "quel patrimonio culturale millenario che costituisce il grande libro dellarchitettura" pu sembrare anacronistico e demagogico in una societ multietnica e pluralistica come quella di oggi, in cui la contaminazione culturale ha cancellato il valore identitario della tradizione di popoli e nazioni, ma forse non proprio cos, se ancora oggi la diversit di stile tra un tempio dorico ed uno ionico ci racconta la differenza tra due etnie, luna pragmatica e laltra sottilmente intellettuale, o se una tipologia, per esempio il broletto nelle citt del norditalia, testimonia ancora oggi con la sua sola presenza unesperienza sociale e politica unica e circoscritta risalente ai tempi di Federico Barbarossa e ne racconta la storia.
Larchitettura parla, ma deve parlare un linguaggio universale, se vuole farsi capire.
Oggi, per fare un esempio, la 'Sagrada Familia' ricorda a tutti Antonio Gaud, un genio dellespressionismo, anche a chi non sa cosa sia il Modernismo catalano, che fortunatamente storicamente rappresentato da altri, da Picasso, da Dal, da Mir, che hanno sviluppato un discorso pi sfaccettato ed aperto: insomma, il mio timore che fra cento anni il museo di Bilbao possa diventare uno splendido monumento a Frank O. Gehry, lacuto di uno dei tanti solisti dellarchitettura che sono riusciti a cantare certamente per capacit, e poi per favore delle circostanze, opportunit, fortuna di essere nel posto giusto al momento giusto (sono architetto, certo parlo anche per invidia, spero, Paolo Ferrara, che apprezzi la mia onest).
So di aver espresso un concetto non molto originale, ci hanno gi pensato William Morris e le Arts and Crafts, e so anche che non c, oggi, una prospettiva storica sufficientemente ampia sotto la quale valutare correttamente il decostruttivismo o altri movimenti contemporanei, ma credo che larchitettura possa e debba accogliere una coralit di significati che vadano oltre le posizioni individualistiche, riconoscendo allarchitetto il compito e al capacit di individuare quelli archetipici e tradurli in pietra, mattoni, legno, per raccontare la storia di tutti noi a quanti verranno.
Aspetto a pi fermo eventuali strali e tolgo il disturbo
Vilma Torselli
Commento
324
di Vilma Torselli
del 05/02/2003
relativo all'articolo
Gehry, Hadid e Libeskind presi...Di Petta
di
Paolo GL Ferrara
Riferimento al commento n323
Egregio Fausto D'organ,
travolta dalla foga della sua dialettica dirompente, dallenfasi oratoria, dal vortice della spirale barocca di un discorso non sempre comprensibile, confesso che ci ho messo del tempo per realizzare che lei stava parlando con me.
Eccomi.
Dovrei probabilmente esordire con un educato: Forse non mi sono spiegata bene., preferisco invece dire: Lei non ha capito bene..
Semplifichiamo: io non ho MAI usato il temine archetipo, ho usato invece lespressione significati archetipici.
La differenza pu essere sottile, non certo irrilevante, e mi stupisce che lei, che ha sviscerato con tanta profondit lorigine etimo-filologica di un vocabolo mai scritto, non abbia colto il palese significato di una breve frase di importanza cruciale per la comprensione di un discorso che lei contesta forse senza aver letto.
Partiamo da una banale analisi logico-grammaticale secondo le regole della lingua italiana: significato, sostantivo, astratto, maschile, singolare, (dalletimo greco sinnifikantsa) concetto racchiuso in un qualunque mezzo di espressione (Nicola Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana), mentre archetipico , aggettivazione del vocabolo di cui lei fornisce cos puntualmente il senso, aggettivo attributivo che, in quanto tale, esprime una caratteristica saliente, una attribuzione, appunto, del sostantivo a cui si riferisce.
Nella fattispecie, laggettivo archetipico conferisce al sostantivo significato, qualunque esso sia , il significato (perdoni il bisticcio) di archetipo, senza che esso lo sia.
C una bella differenza tra archetipo e significato archetipico, la stessa che c, tanto per fare un esempio a caso, tra presunzione e persona presuntuosa: se dico di lei che una persona presuntuosa, voglio affermare il suo essere persona, che ha, tra le sue caratteristiche, come caratteristica principale, determinante, archetipica, quella di essere presuntuosa, non voglio parlare della Presuntuosit (archetipo) in assoluto n dire che lei la rappresenti, lei anche altre cose.
In ogni periodo storico, indipendentemente dalla sua estensione temporale, sono rintracciabili dei significati, anche in questo che stiamo vivendo, in cui lei continua a correre, a scoprire, a sbagliare., e se prendiamo per buona la sua analisi, se il significato che emerge come saliente per la nostra epoca la la "metastabilit", ecco, questo il significato archetipico che gli architetti di oggi coglieranno, quello che trasferiranno nelle loro opere, quello che chi verr dopo legger.
La mia spiegazione banalmente didascalica, sono certa che, questa volta, riuscir a capire cosa intendo dire, basta che si concentri quel tanto che le permetta di ascoltare i discorsi degli altri, specie di quelli a cui vuole dare una risposta o una lezione.
Vilma Torselli
Commento
229
di Vilma Torselli
del 29/11/2002
relativo all'articolo
Tradizione e identit
di
Sandro Lazier
Tradizione e identit, un dualismo che per noi italiani un po un chiodo fisso, perch per noi il passato non mai passato completamente.
C da dire, a nostra discolpa, che riflettere sulla modernit significa anche, inevitabilmente, mettersi a confronto con il passato e rintracciare rapporti di causa-effetto, cos come ognuno di noi rintraccia nella propria infanzia le ragioni della sua attualit, scoprendo che intervenuto, per fortuna, il Cambiamento, proprio con la c maiuscola, grazie al quale la vita, e larchitettura, vanno avanti.
E quindi, dice Zevi confidate nel nuovo, nella modernit rischiosa, nella modernit che fa della crisi un valore, anche se la modernit non un valore temporalizzabile, uno stato, una tensione, una coscienza per la verit con il dubbio che questultima frase sia in realt attribuibile pi verosimilmente a Duchamp.
Ecco, in tutto il suo bellarticolo, egregio Sandro Lazier, che raggiunge il sublime nella metafora gastronomica della marmellata, mi pare che sia troppo sfumato proprio il concetto di modernit, attorno a cui, peraltro, ruota specificatamente la tesi (o forse il caso di dire lantithesi).
E vero che il nocciolo della questione il cambiamento, attuato in nome e per conto della modernit, ma anche vero che si deve volere/potere cambiare, possibilmente sapendo che cosa si lascia e che cosa si cerca, affinch la modernit non diventi una promessa mancata di libert.
Ecco, leggendola, egregio Sandro Lazier, a un certo punto si persino sfiorati dal dubbio che modernit significhi nuovi regolamenti igienico-sanitari, coefficienti aereoilluminanti, assi eliotermici e roba del genere: fosse cos, saremmo davanti alluovo di Colombo, anche questo con la c maiuscola, tanto per restare nellambito culinario.
La lascio rinnovando alla sua pubblicazione i miei complimenti non solo per la freschezza dei contenuti ma anche per il lessico ironico, pungente e stimolante con il quale gli argomenti vengono esposti, ed aggiungo un piccolo contributo, non mio, alla definizione del concetto di modernit: "La "modernit" forma, non periodo: forma capace di stare nel tempo (dal tempo attraversata e alimentata) perch pensata da civilt ove la dimensione temporale sia concettualmente agibile e operativamente efficace."
Cordiali saluti
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Commento 14832 di Vilma Torselli
del 09/08/2020
relativo all'articolo Senza vergogna
di Sandro Lazier
Non so se avete notato, Piano, da perfetto tuttologo, dà uno spunto anche per la questione banchi scolastici, suggerendo di affidarne la produzione ai "Falegnami d'Italia". Che ci vuole?, saranno in tutto, così stima, circa 10.000, basta fare 10.000 ordini, affidare 10.000 commesse, coordinare 10.000 consegne, allestire 10.000 singole aule, controllare che ogni singola ditta rispetti la normativa...... il tutto in un paese tra gli ultimi ad utilizzare i mezzi digitali persino nell'uso del bancomat.
Auguri!
https://video.repubblica.it/scuola/l-idea-di-renzo-piano-per-i-banchi-della-scuola-post-covid/365286/365839?ref=RHPPTP-BH-I264018946-C12-P5-S2.4-T1