Un anno molto difficile
di Sandro Lazier
- 30/12/2011
Mi ero promesso una riflessione di fine anno un anno molto difficile
da proporre ai lettori in vista di quella che sar sicuramente
una svolta nella professione degli architetti. Limminente riforma degli
ordini professionali.
Ci vorrebbe quindi un attimo di calma, ma ho appena smesso di polemizzare con
un pasdaran del capitello, un guerrigliero dellitalianit
perduta, ovvero quellavanguardia del gambero che al grido di indietro
tutta vorrebbe convincere in particolare me, su questo giornale,
di quanto siano brutti, sporchi e cattivi, ma soprattutto pericolosi, Bruno
Zevi e tutta larchitettura della modernit. Oltretutto dandosi
arie d'innovatore e insieme martire dun sistema culturale che lo emarginerebbe dalla cultura che conta.
Questo tale si chiama Ettore Maria Mazzola, discepolo dellantidecostruttivista
per eccellenza Salingaros. Egli vanta, a suo dire il Mazzola, lorgoglio
daver proposto di trasformare il corviale romano in una caricatura dellottocento
neoclassico, ovvero in una Duckburg a buon mercato.
Applaudito da forchettoni di bocca buona, effettivamente potrebbe essere loccasione
per dare al popolo sovrano una bella fetta di strapaese e sopire in questo modo
il dissenso per la crisi per un prossimo paio d'anni. Sane salcicce denoartri
al posto dellodiata omelette, forse pi attuale e raffinata,
ma, perdio, dimportazione. Ma che futuro avranno queste persone?
Abbiamo necessit di rinascere, di recuperare ventanni di letargo
conservatore, ventanni di nausea per le minestre rifatte e riscaldate,
le sagre della zucca e del culatello; ventanni di degrado morale, civile
e finanche sessuale perch da vecchi, quel che succede a letto,
farsa; ventanni senza nessuna crescita n etica, n sociale,
n civile, n tantomeno estetica.
Siamo arrivati al fondo della sopportazione politica, in mano a partiti despoti,
senza idee e novit, padroni assoluti dello stato e di istituzioni cresciute
fine a se stesse e alle poltrone di chi le governa, sotto ricatto di lobby,
categorie, associazioni, comitati e ogni altro genere di forma collettiva senza
la quale un cittadino resta solo come un pirla. Ma un pirla da spremere fino
alla fine. Viviamo in uno Stato vorace, che succhia cos tante risorse
da non conoscere nemmeno la quantit di cui ha bisogno. Non esiste pi
bene comune, libero per davvero. Il mondo non pi di tutti,
un fatto comunque privato, pubblico o personale che sia: i parcheggi
blu hanno pervaso il globo. Il bene comune ormai propriet dei
partiti e dei loro capi. Senza il loro consenso si sopravvive, ma non si partecipa
a niente e non si fa nulla.
Ebbene, in una situazione del genere, c ancora chi vive nellottocento,
con gli ideali e le aspettative dellottocento, e le propugna ottusamente
come una soluzione attuale.
Abbiamo, al contrario, lassoluta necessit di fare un salto in
avanti di almeno trentanni, non indietro di centocinquanta. Questa crisi,
arrivata inattesa per lincapacit e la pigrizia di comprendere
quanto sia grave e pericoloso dormire sugli allori del passato e della tradizione
(economia compresa, incapace di crescere e rischiare), sar greve di
diete e rinunce e ci priver di tante cose. La speranza che
le diete non riguardino i sentimenti e le idee innovative, le uniche capaci
di risollevarci dalla palude conservatrice in cui ci siamo infilati. La speranza
che, chi ci guida in questo momento, sappia dare spazio alla concretezza
degli ideali e alle loro efficaci rappresentazioni formali. Tra queste c
larchitettura, che in Italia deve recuperare il suo spazio prima di tutto
creativo, cacciando dai luoghi che contano personaggi arcaici, inaspriti dallinvidia
e dalla sterilit inventiva, che si dichiarino antichi o moderni non ha
importanza. Abbiamo bisogno duna nuova giovent didee,
che sappia finalmente immaginare un futuro, perch di gente che simmagina
il passato ne abbiamo abbastanza. Un futuro che sicuramente sar europeo
e che, nelle mie possibilit, far di tutto perch lo sia,
per mia figlia e per le mie nipotine, per le quali non riesco a immaginare un
domani diverso da quello europeo, multietnico, multiculturale e rispettoso della
dignit della preziosa persona, unico vero territorio inviolabile.
Ho suggerito, con una lettera alla Presidenza del Consiglio, di proporre agli
stati membri di far suonare poche battute dellinno europeo prima degli
inni nazionali. Occorre sentirsi europei, prima che italiani, padani, piemontesi
e, per quanto mi riguarda, albesi e di sinistra Tanaro, per non marcire tutti
nel nostro bel paese soffocati dalla retorica.
con questa speranza europea che auguro il buon anno in generale ed in particolare
al Presidente Monti e al suo governo e al Presidente Napolitano che lo ha voluto alla guida del Paese.
(Sandro Lazier
- 30/12/2011)
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Commento 11016 di Leandro Janni del 31/12/2011
Diciamo cos: inesorabilmente oggi paghiamo il nostro debito verso l'ingiustizia.
Auguri a tutti!!!
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Commento 11080 di ettore maria mazzola del 01/01/2012
Caro Lazier,
lei dice: Mi ero promesso una riflessione di fine anno un anno molto difficile da proporre ai lettori in vista di quella che sar sicuramente una svolta nella professione degli architetti. Limminente riforma degli ordini professionali, ed aveva tutto il diritto di farlo, ma per far questo avrebbe dovuto evitare di scadere in argomentazioni ideologiche, prive di relazione con loggetto del discorso, e soprattutto false e fuorvianti.
Nessuno avrebbe messo mai in discussione le sue parole, se il suo discorso si fosse limitato a discutere delle problematiche reali che riguardano la nostra professione e la burocrazia che le gira intorno.
Il problema che lei si era promesso di fare il solito monologo sciacqua cervello, ma incappato nella critica non solo mia, ma anche di altri lettori dovrebbe dedurre che non tutto ci che dice risponda allopinione di tutti gli architetti, e soprattutto delle persone che non hanno nulla a che fare con la nostra professione se non quella di dover vivere allinterno di ci che noi progettiamo.
La parzialit del suo punto di vista, e lastio nei confronti di chi diverge dal suo pensiero la portano quindi a sparare accuse come quella che mi vede come un pasdaran ma che centra la religione in tutto ci? Posso avere qualche sospetto, ma lascio andare la cosa perch, ritenendomi laico ed obiettivo, la cosa mi fa abbastanza ribrezzo.
La sua parzialit di vedute, che in realt si chiama limite culturale la porta a definire il mio progetto per Corviale come una caricatura dellottocento neoclassico, dimostrando che lei non conosce affatto quel periodo storico!
Per sua conoscenza, comunque, la informo che il mio progetto e i miei scritti partono proprio da una dura critica nei confronti del Neoclassicismo e del Beaux Arts che considero due grandi errori, analoghi, ma in maniera diversa, allerrore pi grande dellInternational Style, perch portarono ad una visione piatta e uniforme del mondo. Se ne deduce che lei, abituato a parlare con la pancia, piuttosto che con la mente, abituato a giudicare le immagini in base al suo pregiudizio malattia tipica degli architetti non riesca a riconoscere un impianto urbanistico ottocentesco, da un altro che tende invece ad armonizzarsi allambiente in cui sorge in base ad un modello senza tempo o forse non lo conosce affatto!
Il Neoclassicismo, e peggio ancora il Beaux Arts, con le loro visioni piatte, prevenute e ottuse, hanno gettato le fondamenta alla teoria dellazzeramento della storia. Basta leggere gli scritti di Giulio Magni, o di Gustavo Giovannoni, per rendersi conto di quello che era il sentimento generale allinizio del Novecento. Ecco quindi che, se da un lato ci fu ovunque in Europa un tentativo di rivendicare le proprie origini culturali con movimenti reazionari che portarono alla riscoperta delle tradizioni locali e del regionalismo che a Roma generarono il Barocchetto Romano dallaltro ci fu il proliferare di movimenti reazionari avanguardisti e visionari che, sebbene risultassero mossi da tutte le buone intenzioni di indipendenza, finirono per sfociare nella peggiore produzione architettonica e urbanistica dellintera storia dellumanit, specie a seguito delle cose portate avanti da LeCorbusier sponsorizzato dallindustria automobilistica. (Essendo largomento lungo e complesso, e non volendo monopolizzarle lo spazio, la invito a leggere il mio vecchio post sul blog De-Architectura in cui raccontavo, elencando le fonti, una serie di verit nascoste dellavvento del Modernismo).
Il problema delle persone che, come lei, pensa di dove guardare solo in avanti, quello che ha finora generato solo problemi. Chi guarda solo in avanti presuntuoso, e talvolta nasconde una impreparazione culturale, chi invece si guarda anche indietro, per vedere se c qualcosa di saggio da riprendere in considerazione, non un passatista, antichista o tutto ci che lei vorr dire, bens una persona umile che, diversamente dallarchitetto demiurgo modernista, pensa di poter fare tesoro dellesperienza passata che il tempo ha dimostrato aver avuto successo, unesperienza che, se ha funzionato, pu ancora funzionare, eventualmente con i dovuti aggiornamenti.
Piuttosto che accusare con argomenti insulsi chi secondo lei compie falsi storici, farebbe bene ad accusare chi promuova il falso futuro Tra laltro, guardando i suoi progetti, qualcuno potrebbe definirli come dei falsi storici che pescano negli anni 50 e 60, con intrusioni operate falsificando Eisenmann e i decostruttivisti, ma cosa conta un giudizio del genere per chi, diversamente dallarchitetto rivale, non ha interesse a farlo?
Le consiglio di evitare quindi di parlare per luoghi comuni, con frasi come Abbiamo necessit di rinascere, di recuperare ventanni di letargo conservatore, ventanni di nausea per le minestre rifatte e riscaldate, le sagre della zucca e del culatello; ventanni di degrado morale, civile e finanche sessuale perch da vecchi, quel che succede a letto, farsa; ventanni senza nessuna crescita n etica, n sociale, n civile, n tantomeno estetica [ ]Abbiamo, al contrario, lassoluta necessit di fare un salto in avanti di almeno trentanni, non indietro di centocinquanta, e inizi lei con laggiornarsi.
Gli stessi grandi artisti come Picasso, ad un certo punto della loro carriera, hanno guardato indietro per trovare nuovi stimoli. Anche la maledetta moda guarda indietro quando le mancano le novit, cos abbiamo assistito al ritorno di modelli vintage che richiamano la moda degli anni passati, mentre le automobili e le motociclette si sono riappropriate del fascino delle linee sinuose.
Tornando al progetto di Corviale, e alla mia presunta posizione passatista, voglio farle notare che il progetto che ho sviluppato non ha nulla dellOttocento. Lurbanistica ottocentesca conosceva solo la maglia squadrata con stradoni tutti uguali, e quella maglia noiosissima, quasi sempre, se ne strafregava dellorografia. L?edilizia ottocentesca di bella facciata nascondeva condizioni di invivibilit allinterno degli edifici concepiti secondo il modello del blocco chiuso.
Nel mio progetto invece, ho proposto unurbanistica basata sui modelli storici rispettosi dellorografia (ma anche, per ragioni economiche e funzionali, delle strade e sottoservizi preesistenti), in un certo qual modo, limpianto urbanistico si basato sugli studi di Giovannoni e compagni che portarono alla versione italiana della Citt Giardino versione che nasceva proprio dalla lettura critica nei confronti del monotono e antieconomico modello anglosassone.
Gli edifici residenziali misti del mio progetto sono tutti basati sulla tipologia a corte, con ampi spazi giardino aperti al pubblico transito nelle ore diurne dove realizzare campi di gioco per i bambini e aree per il tempo libero degli anziani, secondo il modello degli edifici costruiti fino agli anni 20 da personaggi come Pirani, Magni, Sabbatini, Palmerini, Energici, Marconi, ecc. In poche parole, il modello urbanistico architettonico di questo progetto ispirato a precedenti che aborrivano lottocento, ma non per mere ragioni estetiche, bens per ragioni funzionali e culturali.
Nei miei studi, che ho riportato nei miei libri e che voluto tradurre nel progetto per il Corviale di Roma e in quello per lo ZEN di Palermo, ho spiegato come in passato, in Italia, esistessero delle norme e strumenti illuminanti, che lidiozia della dittatura fascista mise al bando, perch troppo attente al bene comune, piuttosto che allo schifoso interesse personale che faceva comodo al partito al potere e, ovviamente, ai suoi sostenitori.
Avendo ristudiato (e documentato) tutte le leggi e strumenti urbanistici emanati dallunit dItalia fino agli anni 40 studio che avevo fatto per comprendere come fosse stato possibile costruire con pochi soldi e con tempi brevissimi, gli ultimi grandi esempi di architettura ed urbanistica che, pur essendo nati come popolari oggi vengono considerati edilizia di pregio dal mercato immobiliare nel mio progetto ho voluto mostrare come quelle norme e strumenti possano oggi esser presi nuovamente in considerazione, consentendoci di migliorare le cose, a livello economico, sociale ed ambientale. Ne La Citt Sostenibile Possibile, cos come nei testi che accompagnano i progetti, ho indicato come quelle norme e strumenti di un tempo possano convivere, e supportarsi vicendevolmente con norme e strumenti odierni, al fine di progredire. Del resto una serie di quelle norme e strumenti, specie in materia economica e sociale, vengono oggi usati allestero in paesi come lOlanda, dove non v distinguo tra edilizia popolare e non.
Tutto ci fa s che la sua frase: in una situazione del genere, c ancora chi vive nellottocento, con gli ideali e le aspettative dellottocento, e le propugna ottusamente come una soluzione attuale risulta quantomeno ottusa e insulsa!
La invito nuovamente a mettere da parte le sue ragioni ideologiche che la portano ad offendere, in maniera volgare e del tutto gratuita chi, come me, diverge dal suo pensiero estetico, si limiti invece a combattere le giustissime battaglie sul senso degli ordini professionali e delle commissioni edilizie, mettendoci dentro anche linsegnamento, che a mio avviso alla base di tutto.
Buon anno
Ettore Maria Mazzola
Tutti i commenti di ettore maria mazzola
1/1/2012 - Sandro Lazier risponde a ettore maria mazzola
Nessuno avrebbe messo mai in discussione le sue parole
Male. Pretendo dessere discusso e contraddetto.
La sua parzialit di vedute, che in realt si chiama limite culturale la porta a definire il mio progetto per Corviale
Io sono convintissimo della mia parzialit di vedute e del mio limite culturale, ma non me ne dispiaccio. Diffido sempre di chi si dice obiettivo e imparziale. Le volont che vengono imposte come leggi di natura, oppure della ragione (ed questo il vero limite del razionalismo, non la vanagloria degli architetti) sono pericolose. Occorre limpidamente dichiarare la propria parzialit e offrirla al confronto. Queste sono la scienza e la democrazia moderne. Lobiettivit una tensione morale che appartiene al senso di giustizia di ognuno, ma non pu essere il motore delle idee. Pu essere lesito di un confronto, mai il fine.
Chi non ha limiti culturali e parzialit di vedute? Lei, forse? Ha verit tali da ritenersi completo culturalmente e detentore duna verit indiscutibile?
Il problema delle persone che, come lei, pensa di dove guardare solo in avanti, quello che ha finora generato solo problemi.
Una volta Einstein scrisse: Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potr porne uno.
Quindi la cosa minorgoglisce. Io sono fiero di essere un problema e non una facile soluzione per una societ addormentata che sta correndo a cento allora verso lincivilt. In periodi come lattuale, occorre stimolare la creativit, lidea originale, non la copia di quelle passate perch, quelle, erano originali (non sempre) allora e risolvevano (non sempre) problemi dallora. La soluzione per lei quale sarebbe? Cercare di non sollevare problemi nuovi perch, per quelli antichi, gi abbiamo la soluzione che funziona? Il compito supremo dellarte moderna quello di scavare nelle pieghe nascoste dellanima per nutrire anche quelle. Oggi sappiamo bene che il disagio il motore del cambiamento. Chi sta bene e ha il culo al caldo non si muove. La modernit, diceva Baudrillard, trasformare la crisi in valore. Per voler bene al mondo, oggi, occorre essere problematici.
Detto questo, le riconosco di essere aperto al confronto. Le riconfermo, per, che io sono schieratissimo e poco disposto ai compromessi ideali. Come giusto che sia nel gioco democratico. Porto avanti le mie tesi, con Paolo Ferrara, su un giornale che abbiamo fondato su basi dichiaratamente zeviane. Non si scandalizzi, quindi, se saremo duri nei giudizi verso larchitettura che lei propone. Se riuscir a realizzarla, buon per lei. Noi cercheremo di ostacolarla nelunico modo che ci concesso, cio con la critica e il confronto didee. Saranno i lettori a decidere se continuare a condividere le nostre tesi oppure le vostre. Giudicarle vere o false ci penser il futuro.
Commento 11081 di Nikos Salingaros del 01/01/2012
Gentile Lazier,
Prima di tutto, buon anno! Ho letto il suo saggio Un anno molto difficile dove lei critica lopera e latteggiamento del mio amico Ettore Mazzola. Ebbene, Ettore un grande ragazzo e pu difendersi molto bene da solo, non ha bisogno che intervenga io.
Lei, per, presenta una tesi schizofrenica che certamente confonde i lettori, visto che rappresenta una confusione fondamentale sulle basi dellarchitettura contemporanea e di quella degli decenni recenti. Sono completamente daccordo con la sua affermazione sulla corruzione sia morale che estetica quando dice:
Siamo arrivati al fondo della sopportazione politica, in mano a partiti despoti, senza idee e novit, padroni assoluti dello stato e di istituzioni cresciute fine a se stesse e alle poltrone di chi le governa, sotto ricatto di lobby, categorie, associazioni, comitati e ogni altro genere di forma collettiva senza la quale un cittadino resta solo come un pirla. Ma un pirla da spremere fino alla fine. Viviamo in uno Stato vorace, che succhia cos tante risorse da non conoscere nemmeno la quantit di cui ha bisogno. Non esiste pi bene comune, libero per davvero. Il mondo non pi di tutti, un fatto comunque privato, pubblico o personale che sia: i parcheggi blu hanno pervaso il globo. Il bene comune ormai propriet dei partiti e dei loro capi. Senza il loro consenso si sopravvive, ma non si partecipa a niente e non si fa nulla.
Il mio gruppo di amici italiani, con il nostro Ettore Mazzola in capolinea, sta combattendo ferocemente contro questo muro di potere radicato. Proponiamo soluzioni edilizie democratiche, condivisi, fondati su un libero pensiero di progettazione partecipativa e aperta. Combattiamo contro loscurantismo della casta elitaria, contro lantiarchitettura che distrugge la citt e che riduce luomo a una pedina controllata dallalto.
Dunque, se lei realmente auspica un cambio verso un futuro migliore, non ha nessun significato a criticare Ettore. Chi, invece, continua a proporre gli stessi campioni di unanti-architettura ideologica, praticanti di un approccio tossico allambiente costruito, idoli della casta internazionale del potere finanziario, continua il gioco sporco. Veramente, non riesco a capire come qualcuno possa seguire lideologia manipolatrice del pensiero controllato per poi voltare le spalle agli veri campioni dellarchitettura umana.
Siamo noi a indicare la strada per la liberazione del pensiero architettonico, perch appoggiati della scienza. Proponiamo una pratica di disegno che possa salvare il mondo utilizzando lintelligenza umana per combattere lindottrinazione e il potere oscuro. Certo che ognuno ha la libert a volere essere illuminato, o non, intellettualmente comodo a seguire lossequio del sistema corrotto della falsa modernit. Ma non si possa fare i due allo stesso tempo senza affondare nella schizofrenia.
Con i migliori saluti per 2012.
Nikos
Tutti i commenti di Nikos Salingaros
1/1/2012 - Sandro Lazier risponde a Nikos Salingaros
Gentile Salingaros, buon anno anche a lei.
1 - Condividere la diagnosi non vuol dire esser d’accordo sulla cura. Se riconosciamo e intendiamo combattere gli stessi mali, non necessariamente dobbiamo adottare le stesse terapie. Anzi, più soluzioni, più possibilità.
Il tempo dirà quali sono, tra quelle proposte, le più efficaci.
Aver terapie diverse rispetto alla stessa diagnosi non vuol dire essere per forza schizofrenici.
2 – Un’architettura non è democratica solo perché è quella che vuole la maggioranza della gente.
Democrazia, perlomeno come la intendo io, non è semplicemente fare quello che la gente vuole. Questo si chiama marketing, ricerca del consenso, infine populismo, perché è l’interpretazione che noi diamo al termine “gente” che difetta. Chi è gente? Ha, quest’insieme, una volontà sola da poter essere espressa univocamente? Oppure è solo una maggioranza che, proprio grazie alla scienza, la campana di Gauss, noi riusciamo a identificare con la media, ovvero la mediocrità? E gli esclusi, gli estremi, che facciamo, li zittiamo? Ci perdiamo il peggio, è vero, ma il meglio lo buttiamo?
L’architettura ha un linguaggio proprio, capace di esprimere il suo tempo come tutta l’arte in genere. Un’architettura, sempre secondo me, è democratica se libera dalla dittatura della simmetria, della proporzione, della squadra, del piombo, delle finestrelle allineate ed dei piani tutti uguali, degli stili e stilemi, delle tipologie, e di tutto l’armamentario della tradizione premoderna. Un’architettura democratica è, per la sua natura comunicativa, confusa e rumorosa, come la democrazia.
In democrazia occorre imparare ad ascoltare anche il chiasso, con tolleranza. L’architettura democratica, estetizzando il chiasso, allena la tolleranza e rinforza la democrazia.
3 - So che conosce l’architettura di Mario Galvagni. È talmente lontana da quella che patrocina il suo gruppo da sorprendermi non poco venendo a conoscenza d’un suo interessamento.
Conosce anche la persona Mario Galvagni. Veramente crede che egli sia strumento dell’oscurantismo della casta elitaria, dell’antiarchitettura che distrugge la città e che riduce l’uomo a una pedina controllata dall’alto?
Conosco altri architetti come Mario, che hanno dedicato l’intera vita alla ricerca architettonica e formale (formale nel senso della morfologia) lavorando sempre avendo in mente solo le persone e la loro felicità e non l’ideologia manipolatrice del pensiero controllato.
Quindi le chiedo, per finire, da schizofrenico, come lei mi definisce, non sarà che sto chiacchierando con un paranoico?
Commento 11082 di ettore maria mazzola del 02/01/2012
Caro Lazier,
se lei dice Occorre limpidamente dichiarare la propria parzialit e offrirla al confronto, perch poi sostiene di essere schieratissimo e poco disposto ai compromessi ideali?.
Un confronto sano, anche quello combattuto su toni aspri, serve ad aggiornarsi e a crescere per trovare, insieme, delle soluzioni che soddisfino tutte le parti in causa. Diversamente, il primadonnismo e la convinzione di onnipotenza servono solo a stimolare le rivalit, e finiscono per creare delle barriere insormontabili che portano solo allacutizzarsi dei problemi.
Gli architetti, ma tutti gli artisti in genere, risultano infettati da questo virus.
Nellultimo film di Woody Allen c un bellissimo scambio di battute tra il protagonista, aspirante scrittore di romanzi, ed Hemingway. Il protagonista chiede al grande scrittore di leggere il suo manoscritto per dargli la sua opinione. Hemingway, in tutta onest, gli dice a muso duro un qualcosa che suona cos: non chiedere mai ad uno scrittore di giudicare il tuo romanzo, ti dir sempre che fa schifo perch noi scrittori siamo invidiosi e rivali, e non accettiamo il successo altrui!
tristissimo, ma proprio cos, gli artisti vivono nella rivalit e, di questi tempi, vivendo in unera imbastardita dal consumismo, dalla frenesia e dalla voglia di apparire, essi tendono a non ascoltare nessuno, e a superare s stessi in termini di stravaganza pur di apparire.
Quando questo avviene nelle arti in genere, il problema relativo, perch risulta limitato al loro ristretto campo dazione, un libro, un museo, una sala per concerti, una parete di casa, ed una scelta personale quella che fa s che una persona comune entri in contatto con quellopera darte, leggendo quel libro, visitando quel museo, ascoltando quella musica, o appendendo sulla parete di casa un determinato quadro.
Quando per questo si verifica tra gli architetti, gli effetti collaterali sono ben diversi, perch gli architetti modificano lo spazio vissuto e, con le loro realizzazioni, possono influire positivamente, o molto negativamente, sulla salute psicofisica delle persone.
Arroccarsi dunque in un mondo tutto proprio, dove per poter dare libero sfogo al proprio estro creativo un architetto pu arrogarsi il diritto di non ascoltare il parere degli utenti finali della sua opera, ridotti al ruolo di cavie umane su cui testare le proprie convinzioni, porta alle estreme conseguenze che stiamo vivendo oggi, dove le citt risultano sempre meno vivibili e, a detta della Commissione Europea per lAmbiente, gli edifici che abbiamo realizzato negli ultimi 70 anni risultano responsabili del 51% del consumo energetico e del surriscaldamento del pianeta un bel successo se, come lei sostiene, Per voler bene al mondo, oggi, occorre essere problematici.
Io, sbagliando, penso che la nostra presunzione di onnipotenza, tanto cara al suo Zevi che sosteneva che chiunque poteva ritenersi un poeta dellarchitettura, debba essere messa da parte, per riprendere la retta via che abbiamo smarrito.
Le rammento che in Italia, lultimo (o forse il penultimo) ad aver passato la sua vita dicendo io non sbaglio mai stato Mussolini, e si visto la fine che ha fatto.
Che senso ha dire Noi cercheremo di ostacolarla? Perch uno, senza conoscere il lavoro di una persona, dovrebbe a priori decidere di ostacolarla? Ovviamente la risposta nella frase di Hemingway di cui sopra.
Ma questo non il modo giusto per progredire, un modo un po infantile e litigioso di farsi la guerra lun laltro, modo che non giova n alluno n allaltro. Questo sistema fa s che, a pagarne le conseguenze, sia lignara societ, costretta ed assistere inerme ad una guerra ideologica che, in quanto tale, una guerra stupida.
Lei mi chiede:Chi non ha limiti culturali e parzialit di vedute? Lei, forse? Ha verit tali da ritenersi completo culturalmente e detentore duna verit indiscutibile?
Io le rispondo che non ho, e non presumo di avere, delle verit indiscutibili, per ho avuto il coraggio, fin da studente, di mettere in discussione le cose che mi venivano impartite in maniera dogmatica. Rarissimamente volte dallaltra parte della cattedra ho avuto la possibilit di trovare gente aperta al dialogo, e cos ho sviluppato il mio interesse nella controinformazione che, se non altro, mi d la possibilit di avere una visione pi ampia della realt.
Le faccio un esempio, molto riduttivo del problema: gli edifici della Garbatella di Roma che risultano essere i pi celebrati dalla cultura ufficiale sono gli Alberghi Suburbani realizzati da Innocenzo Sabbatini. Questi edifici dovevano servire a dare ricovero agli sfollati del centro storico, che tali erano, in seguito alla politica degli sventramenti. La guida di Roma Moderna li definisce cos: quattro alberghi denunciano una sperimentazione progettuale che rimanda a suggestioni futuriste, ad un pittoresco tecnologico metropolitano contrapposto al pittoresco idillico rurale dei precedenti interventi. I quattro alberghi occupano tre lotti triangolari, tre di essi in pianta creano una Y, mentre il quarto concepito a forma di bottiglia per ospitare la sala da pranzo comune. Questi alberghi, in buona sostanza, non sono altro che dei dormitori pubblici, o meglio dei ghetti, dove la povera gente a cui stata distrutta la casa dovr vivere ammassata insieme ad altre famiglie. Sostanzialmente lorganizzazione interna era concepita con i servizi ubicati al piano terra: depositi, cucine, refettori, asili per bambini, ambulatori, locali assistenziali ecc. Nell'Albergo Rosso (il pi noto) erano ubicate la chiesa e le scuole elementari, mentre nell'Albergo Bianco era la maternit. Le stanze ai piani superiori potevano ospitare persone singole divise per sesso, o nuclei familiari: un lager ante litteram ma, ovviamente, i Media ne cantarono le lodi. Del resto, in un regime dittatoriale, i media dicono ci che vuole il regime ... lo sappiamo molto bene! Il "Messaggero" del 29 Marzo 1928 riconosce in questa opera una migliore pratica costruttiva ed una migliore utilizzazione degli spazi dovuta alla semplice scelta tipologia del corridoio con stanze a destra e sinistra. Architettonicamente, elementi ricorrenti quali le bucature, il bugnato basamentale, i semicilindri vetrati dei corpi scala, i portici di ingresso con terrazzo soprastante riconnettono in una unit stilistica la frammentariet delle linee; spazialmente l'interesse rivolto soprattutto alla invenzione di larghi ambiti, piazze che ripropongono, all'interno, l'effetto-citt, una citt figurativamente varia e ricca.
Unanalisi sociologica onesta di questi "Alberghi", al contrario, ci consentirebbe di vederli come leffetto di una politica non finalizzata a soddisfare i reali bisogni della popolazione, ma piuttosto di una politica a questa imposta: la misera gente, allontanata dalle proprie attivit e dalle proprie residenze per far posto agli sventramenti, non venne ritenuta degna di riavere una casa dignitosa come quella che possedeva. Lumiliazione dello sfollamento evidentemente non era sufficiente, perch oltre a questo non venne concessa alla gente altra alternativa che quella di vivere o in una "casa rapida" o in un dormitorio pubblico. Il paradosso fu che le venne fatto credere le si stesse facendo un favore non da poco concedendole la modernit. E tutto ci in base ad un nuovo principio di assetto urbano della citt! ... Ma quale era il vero sentimento di questa povera gente rispetto alle ambientazioni che le venivano imposte? Se ci fosse stata una stampa pi libera ed onesta, invece di quella strumentalizzata dalla dittatura, che cosa si sarebbe pubblicato?
Lo scrittore Carlo Levi non per niente poco gradito ai politici del tempo pensando al dramma sociale che gli "Alberghi rappresentavano, cos li descrisse: tristi costruzioni che sorgono assurde in mezzo alla campagna deserta, tra le sterpaglie, i mucchi di detriti e i fossarelli asciutti... mostruose e sudice; anacronistiche e tristi come la camicia da sera dal petto immacolato che un selvaggio ubriaco infili sul nero corpo dipinto.
Queste cose alluniversit non ce le hanno mai raccontate, ed anche certi professori antifascisti come Zevi le hanno ignorate, alimentando con la loro visione ideologica dellurbanistica e dellarchitettura, gli interessi degli speculatori ma non era questo il ruolo che erano stati chiamati a rivestire!
E allora, quando lei dice Oggi sappiamo bene che il disagio il motore del cambiamento. Chi sta bene e ha il culo al caldo non si muove ha ragione da vendere, e infatti non un caso se tanti architetti e professori hanno talmente il culo al caldo, nelle loro residenze e studi professionali in edifici storici siti in pieno centro urbano, da ignorare ci che accade agli esseri umani al di l delle finestre.
Finch questi professori ed architetti non si muoveranno dalla loro posizione privilegiata, che gli consente di poter affermare di essere schieratissimi e poco disposti ai compromessi ideali, difficilmente ci sar la possibilit di operare quel cambiamento che la gente comune invoca ormai da anni, lanciando segnali forti e chiari che, per, risultano invisibili a chi vive con i paraocchi.
Ancora Buon Anno
Tutti i commenti di ettore maria mazzola
2/1/2012 - Sandro Lazier risponde a ettore maria mazzola
Gentile Mazzola, io amo combattere le idee, non le persone. E lo faccio senza compromessi. Per di pi sono poco hegeliano. Tra due teorie contrapposte non miro alla loro sintesi. Difendo la mia con tutte le energie possibili, perch prevalga. La scienza funziona in questo modo, con ottimi risultati. Il dibattito tra chi sosteneva che la terra fosse tonda e chi piatta, non costrinse la stessa a diventare una brioches. Perch non dovrebbe funzionare cos anche il resto del mondo?
Detto questo, non posso accettare una discussione fondata sul presupposto della vanagloria degli artisti. Non minteressa la psicologia, perch ci capisco poco. Minteressano, vanagloria o meno, gli esiti del lavoro degli artisti i quali, se non possono creare ma solo copiare dal passato, tali non considero.
Difficile, quindi, per me continuare un confronto sullarchitettura senza larchitettura (perch quella da voi proposta, tale non considero). La creativit il mio paraocchi senza il quale non minteressa vedere nulla, almeno su questo giornale.
Commento 11083 di ettore maria mazzola del 02/01/2012
Gentile Lazier,
lei dice: "Tra due teorie contrapposte non miro alla loro sintesi. Difendo la mia con tutte le energie possibili, perch prevalga".
Io le dico che questa la posizione di tutti i dittatori, perch le teorie come le sue, sono assolutamente personali, e non condivise.
Lei quindi predica bene e razzola male ... sembrava che detestasse le imposizioni, evidentemente lei come il dittatore di Bananas!
Lei accusa noi di "copiare dal passato", ma del tutto fuori strada, chi sostiene larchitettura filologica non copia, ma aggiunge rispettosamente.
Io non copio mai nemmeno me stesso, io e quelli come me, cerchiamo di intavolare un dialogo con ci che ci circonda. Il suo problema che, sapendo fare solo monologhi atti a far s che la sua opinione prevalga non potr mai provare a dialogare con il contesto, ed accuser sempre chi sia in grado di farlo di essere in errore comodo, no?
Quindi dice "Difficile, quindi, per me continuare un confronto sullarchitettura senza larchitettura (perch quella da voi proposta, tale non considero). La creativit il mio paraocchi senza il quale non minteressa vedere nulla, almeno su questo giornale".
Ebbene, le devo tristemente far notare che l'architettura senza architettura l'edilizia, ovvero ci che lei pratica nella sua professione e sostiene con il suo giornale. Tra laltro, un giornale che si chiama "antiThesi", si suppone debba provare a divergere, con argomentazioni sostenibili, dalla tesi corrente, ci che non far mai per non crearsi nemici tra coloro che le fanno comodo.
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2/1/2012 - Sandro Lazier risponde a ettore maria mazzola
Scusi Mazzola, lei continua a insultare me e il giornale che dirigo con Ferrara da 12 anni. Non abbiamo mai chiesto niente a nessuno e ricevuto niente da nessuno. Tutto avviene per puro, autentico e libero spirito critico. Lei non pu accusarci desser servi di qualcuno o peggio dei leccapiedi. La nostra storia di giornale e personale lo dimostrano. Dittatore di bananas, poi! imbarazzante! Per lei che lo afferma, ovviamente
Senta, sono nonno da tre anni di due stupende nipotine. Siccome devo incontrarle ogni sera e le assicuro che una gioia sopraffina- non voglio rovinarmi lumore litigando per causa della filologia. Lei, se riesce a fare i suoi quartieri aggiungendo rispettosamente, lo faccia senza patemi. Noi glieli criticheremo come abbiamo sempre fatto, perch questo il mondo della critica (se no a che servirebbe). E tutto finir li.
Auguri
Commento 11084 di alessio lenzarini del 03/01/2012
In fin dei conti, la differenza tra sedicenti 'tradizionalisti' e veri architetti si riassume con poco. C' chi ritiene, citando il fine umorista Massimo Bucchi, che "Alle persone semplici bisogna dire cose semplici. Cos restano semplici". E c' chi invece ritiene sia importante (culturalmente e socialmente) impegnarsi per fare il contrario.
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Commento 11087 di ettore maria mazzola del 04/01/2012
Scusi Lazier,
ma lunico ad offendere lei con accuse gratuite, quanto patetiche, ed ridicolo che accusi me di farlo. Conosco bene questo sistema, utilizzato in politica internazionale da molti presunti pacifisti, quindi rispedisco al mittente laccusa, e le dico che mi sono limitato a farle notare che si esprime dicendo "Tra due teorie contrapposte non miro alla loro sintesi. Difendo la mia con tutte le energie possibili, perch prevalga"si comporta come un dittatore.
Se il suo giornale parte dal presupposto che ci che non si condivide (per ragioni ideologiche e non logiche) debba criticarsi a priori, addirittura prima ancora che i disegni e le relazioni descrittive siano noti, se permette un giornale che non conosce il significato dellobiettivit. Cos come non vedo nulla di strano nel farle notare che lantitesi dovrebbe divergere (per motivi logici) dalla tesi, mentre lei propone (e progetta) cose trite e ritrite dalla cultura egemone.
La sua frase Lei, se riesce a fare i suoi quartieri aggiungendo rispettosamente, lo faccia senza patemi. Noi glieli criticheremo come abbiamo sempre fatto non pu quindi che essere riassunta nellaforisma di Viollet-Le-Duc: amiamo vendicarci delle conoscenze che ci mancano con il disprezzo ... ma sdegnare non significa provare.
Quanto al dittatore di Bananas, se lo ha dimenticato, si tratta di un personaggio di Woody Allen che, dopo aver combattuto per cacciare il dittatore, prende il potere e si comporta peggio del predecessore, imponendo cose stupide come: da oggi le mutande andranno cambiate due volte al giorno e, per poter controllare che la cosa avvenga, andranno portate sopra, e non sotto gli indumenti!. Se permette, non c nulla di imbarazzante in tutto ci, mi sembra un paragone azzeccatissimo con chi dice di combattere un sistema imponendone uno ancora pi rigido e ideologizzato.
Quanto al commento di Lenzarini, sarebbe interessante sapere come mai si esprima con frasi come la differenza tra sedicenti 'tradizionalisti' e veri architetti, poich nella realt i veri architetti sono quelli che cercano di fare architettura, mentre quelli sedicenti tali sono coloro i quali si limitano a produrre edilizia ma probabilmente questa sfumatura difficile da comprendere.
Il problema degli architetti lobotomizzati in nome del modernismo che, come nel mito della caverna di Platone, sono fermamente convinti che la loro visione distorta della realt corrisponda alla verit assoluta non importa se al di l dellantro possa trovarsi un mondo migliore che li inviti a riflettere. Del resto, per chi si formato (spesso non per propria colpa) in maniera sommaria e facilona, risulterebbe troppo faticoso rimettersi a studiare, cos risulta pi facile accusare chi ne sappia pi di lui di essere in errore! amiamo vendicarci delle conoscenze che ci mancano con il disprezzo ... ma sdegnare non significa provare.
Pensavo, sbagliando ovviamente, che si potesse instaurare un dibattito utile e costruttivo con chi, pur pensandola diversamente in termini di estetica, sembrava davvero intenzionato a combattere un sistema degenerato ma sono bastati due post per chiarirmi le idee. Non c peggior sordo di chi non voglia ascoltare. Esco quindi da questa caverna, lasciandovi godere delle ombre che tanto credete vere e vi affascinano!
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Commento 11089 di pietro pagliardini del 05/01/2012
In fin dei conti alessio lenzarini, lei ha detto solo una grossa sciocchezza. Ma grossa ben oltre ogni limite immaginabile e dimostra di parlare di argomento che evidentemente non conosce troppo bene.
Lei forse crede che progettare un edificio "tradizionalista" sia mettere due archetti, una colonnetta, una loggia, una scala esterna con profferlo, due falde spioventi e il il gioco fatto.
Roba semplice per gente semplice.
E invece crede che costruire una scatoletta in ca, magari a sbalzo, con una vetrata su un lato sia opera altamente complicata, parecchio cerebrale e quindi da dover spiegare per farla capire ai pi e quindi "educarli". Praticamente sarebbe un manifesto di educazione delle persone semplici.
Probabilmente non sa quanto sia difficile progettare un edificio tradizionale, quanto studio richieda, quanti grandi studiosi si siano dedicati a determinare i processi di crescita e di formazione delle varie tipologie, diverse da area ad area. E non sa quanto sia ancor pi difficile lo studio della citt e di come gli edifici si aggregano a formare le strade e quali siano le gerarchie che si instaurano tra l'una e l'altra, e perch e dove una piazza sia proprio in quel punto e non in un altro e come certi edifici si collochino in una strada piuttosto che in un'altra, e che esistono luoghi nodali e luoghi antinodali, e cosa significhi questo e che certe "funzioni" non bastano a qualificare un luogo qualsiasi ma sono intimamente legate alla trama urbana.
E' cos difficile che non si impara da "vecchi", bisogna formarsi da giovani nei banchi dell'universit naturalmente avendo la fortuna di incontrare i docenti giusti. E poi si deve studiare ed esercitarsi a ragionare in un determinato modo, a non farsi fregare dalle "sensazioni", pure importanti, ma vagliarle alla luce della teoria.
A fare tre scatolette incastrate, o quattro puntazze al vento, o doppi volumi fuori scala facile per tutti, c' poco da studiare. E il bello che non potr esserci, alla fine, nessun criterio oggettivo per giudicarne la qualit, solo sensazioni personali e poco pi. Quindi, anche volendo accettare il suo ragionamento, cosa diavolo potrebbe "spiegare" ai semplici da educare se non esiste altro criterio che quello del giudizio personale?
Il difetto pi grave dell'architettura moderna proprio la semplicit, intesa come povert di contenuti, di teoria e, di conseguenza, di prassi.
Applicare la psicanalisi all'architettura, dicendo che la simmetria violenza e l'asimmetria liberazione pu sembrare intrigante, ma non corrisponde al vero e non corrisponde a niente.
Le do' un consiglio: ci provi a progettare un edificio tradizionale, ma non uno a caso, uno in un luogo specifico, e lo sottoponga al giudizio di chi ne sa pi di lei. Sarei proprio curioso di sapere se supererebbe l'esame.
Io ad esempio non lo supererei, nonostante mi sforzi ogni tanto di farlo, non per prova ma per professione. Chiss perch quando faccio quello che so fare, quello che ho imparato, quelo che mi stato ...insegnato dire troppo, inculcato pi adatto, cio le scatolette e affini, pare che nel mio piccolo ambiente ristretto e provinciale me la cavi con una certa sufficienza. E le dir, riscuote anche un certo successo di pubblico: segno che le persone semplici capiscono le cose semplici.
Auguri
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Commento 11090 di vilma torselli del 06/01/2012
Pietro, nel tuo intervento rilevo alcune vistose contraddizioni che ti sottopongo.
Studiare "i processi di crescita e di formazione delle varie tipologie . come gli edifici si aggregano a formare le strade e quali siano le gerarchie che si instaurano .. perch e dove una piazza sia proprio in quel punto ecc." penso sia ci che possono fare e probabilmente fanno tutti gli architetti che si apprestino a progettare, non questo il punto su cui discutere, il punto, ed proprio ci che tu critichi, l'esito che deriva da questa analisi.
Ci che tu non consideri e non ammetti che qualcuno, da questi preliminari, possa derivare il progetto di "tre scatolette incastrate, o quattro puntazze al vento", secondo te necessariamente frutto di "sensazioni personali e poco pi", senza cultura e senza storia.
Guarda che per andare contro corrente bisogna conoscere i percorsi della corrente, chi inventa qualcosa di nuovo, in tutti i campi, lo fa perch ha sviluppato una conoscenza critica del vecchio ed affronta con nuovi mezzi "il dramma del passaggio dal vecchio al nuovo e quindi in sostanza l'eterno dramma del processo evolutivo."
Le dinamiche sociali sono le pi difficili da ricreare artificialmente, ma anche da conservare immutate o sviluppare a tavolino secondo evoluzioni future difficilmente prevedibili o assolutamente impreviste (la globalizzazione e la multietnicit, per esempio).
Ma per te dallo studio dei processi del passato deve scaturire per forza un progetto "tradizionale", non importa che sia coerente con la societ (moderna) che lo utilizzer, basta che sia coerente con la tradizione della societ che realizzato quei progetti 100? 200? 300? anni prima.
Mi pare un punto di vista assai poco democratico per uno che vuole chiamare il popolo a scegliere e poi decreta a priori che, se vorr dimostrarsi intelligente, non dovr/potr optare per "scatolette incastrate", ma solo per soluzioni "tradizionaliste".
Sar forse la scelta pi votata, ma solo perch difficile per i non addetti ai lavori immaginare qualcosa di diverso o contrario a ci che fa parte del loro immaginario consolidato ed in questo senso, penso al commento di Lenzarini, risulta noto, gi visto, rassicurante e perci pi semplice da capire ed accettare.
Rinunciando ad unoccasione, quella di guardare oltre il proprio naso e captare il respiro del mondo, dove sta andando, dove potr/vorr arrivare.
Perch la tradizione va, appunto, tradta (o trdita, come vorrebbe letimologia), essa una lunga storia di regole e norme consolidate disattese, ribaltate, abbandonate, e "quando la nuova regola o configurazione si afferma, il tradimento si trasforma in tradizione [] Proprio questo il significato etimologico della tradizione: essa la storia dei tradimenti passati". (Ada Cortese)
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Commento 11092 di pietro pagliardini del 07/01/2012
Vilma, cercher di chiarire meglio. Io non conosco, e se qualcuno me lo vuole spiegare non con sensazioni ma con qualcosa di pi approfondito, un metodo che assomigli anche vagamente a quello scientifico per studiare e quindi portare i risultati di quest studi in ambito urbano, che non sia quello di Muratori-Caniggia. Nikos Salngaros ne ha studiato un altro partendo da principi matematici e tutto sommato ha moltissimi punti di contatto con il primo.
Il primo, quello di Muratori, avendo avuto una evoluzione pi lunga e quindi pi soggetti che l'hanno sviluppato e approfondito, e soprattutto essendo nato in Italia, pi radicato in questa realt, ne ha studiato la crescita e l'evoluzione tipologica, i metodi di aggregazione in diverse realt territoriali, partito dall'osservazione puntuale e metodica di varie citt (Firenze, Roma, Venezia, Como, ecc) fino al punto di poterne trarre principi generali. Quello di Salngaros decisamente pi "moderno", legato alla teoria delle reti, di cui quella urbana fa parte, e anche qui se ne deducono principi generali sempre validi.
La cosa sorprendente che Caniggia, pur non conoscendo suppongo i frattali e comunque non li cita mai (anche per motivi temporali), parla di "legge dei successivi raddoppi", sia in ambito edilizio che in ambito urbano: "Tutto dipende dal fatto che in qualsiasi molteplicit, l'uomo e i suoi prodotti tendono unitariamente a riconoscersi per gradi scalari, e non per elemento costituente di quella molteplicit senza tramiti successivi. Ad esempio nella societ l'uomo si riconosce per moduli successivi, dei quali il minore la famiglia.. Ma nessuno di noi si sente parte dell'umanit o del mondo occidentale o della nazione italiana senza ammettere una serie di moduli mediani oltre la famiglia. Che lo vogliamo o no, ciascuno di noi vincolato a gradi intermedi, il vicinato, il rione, il quartiere, la citt, la provincia, la regione, entit sociali che hanno una proiezione nella fisicit del nostro ambiente, nella struttura del nostro spazio. Vi dunque sempre un sistema di moduli e soprammoduli tale che la molteplicit ne viene contenuta da una gradualit di relazioni, in cui ciascun uomo si possa riconoscere non solo come elemento tra elementi di numero indefinito, ma come elemento di un sistema da lui stesso comprensibile per una certa possibilit di apprendere i confini di ogni modulo intermedio" (Caniggia-Maffei).
Ecco, questa una teoria (ovviamente molto pi complessa e completa) che lega l'uomo allo spazio da lui stesso creato in base a leggi molto precise, ricavate dalla lettura dei tessuti, che mai fanno riferimento allo "stile", come non parla mai di stile Salngaros, ma che di fatto lega la tradizione non alla nostalgia del passato ma ad un metodo che probabilmente di carattere antropologico addirittura ad una sorta di partecipazione della specie umana alla natura nella sua interezza (le leggi frattali su cui ha scritto Salngaros).
A questa cosa si contrappone? Si contrappongono interessanti e affascinanti collegamenti a varie discipline (sociologia o psicanalisi o psicologia o statistica o teorie politiche, ecc) ma del tutto prive di sistematicit e quindi parziali. Lo stesso Lynch, che pure con le sue teorie percettive si avvicina spesso agli stessi risultati di Caniggia e di Salngaros, non sviluppa una teoria completa ma analizza aspetti importanti della percezione della citt.
Detto questo vengo alla mia presunta contraddizione che tu individui, mi sembra di capire, nello scarto esistente tra teoria urbana e architettura. L'architettura cui faccio riferimento, semplificata nelle "puntazze e nelle scatolette" non pu essere l'architettura per quella citt cui mi riferisco idealmente e di cui parlano i sopracitati, perch essa interamente ed esclusivamente basata su pura "volont e gusto personale", su creazioni astratte da ogni riferimento antropologico e quindi dalla tradizione, intesa come metodo conforme all'aggregarsi dell'uomo in quelle comunit organizzate che sono le citt, le quali esistono, bene ricordarselo, da diversi millenni.
E adesso, dopo tutti questi millenni, arriva qualcuno che dice: e no, gli altri hanno sbagliato tutto, non ci hanno capito niente, o almeno "l'uomo cambiato" e quindi anche l'abitare deve cambiare. Chi l'ha detto che l'uomo cambiato? A me non risulta tanto: i sentimenti sono gli stessi, per dirne una. Per la societ ad essere cambiata, si dir. Certo che cambiata (ma se si ammette questo non vedo messa bene la teoria di Lazier che non esistono i popoli e quindi dubito possa esistere la societ) ma in cosa cambiata? Nel grande sviluppo della tecnica. Ebbene, questo richiede forse spazi molto diversi? Per quale motivo? Io sono qui a scrivere al PC in rete in una spazio normale, lo potrei fare ovunque, in treno, forse con meno concentrazione, dentro una stanza triangolare o dentro una stanza di 6x6, cio in una cellula elementare. L'onere della prova spetta a chi vuole cambiare, tra l'altro, non certo a chi ritiene che non ve ne sia molto bisogno. Per adesso ho sentito solo sensazioni.
Ma c' un altro motivo ben pi profondo: se vera la teoria del raddoppio, essa vera a maggior ragione per l'architettura. E non solo: Salngaros nei suoi studi ha determinato alcune caratteristiche matematiche essenziali della geometria dello spazio dell'uomo (che coincide con quella frase di Caniggia: "ciascuno di noi vincolato a gradi intermedi, il vicinato, il rione, il quartiere, la citt, la provincia, la regione, entit sociali che hanno una proiezione nella fisicit del nostro ambiente, nella struttura del nostro spazio") in base al quale il passaggio dal piccolo al grande non pu avvenire senza gradi intermedi, con dei salti, senza che l'uomo non provi sensazioni disagio. Le architetture di Libeskind, per prendere l'esempio estremo, sono proprio questo: salti di scala, quantitativa e qualitativa, che provocano disagio o almeno disorientamento, sono del tutto prive di scale intermedie e addirittura sono decostruzioni dello spazio.
L'ho fatta un po' lunga ma era necessario. Quanto all'assunto di Lazier, quello della libert individuale, che io in verit comprendo e in qualche misura ho a cuore quanto lui (ma in modo piuttosto diverso), credo che vi sia spazio per interpretare la tradizione alla luce di nuove occorrenze, sia in campo urbano che architettonico. Questa , secondo me la sfida. Quando mai un architetto ha dato il meglio di s senza vincoli! Se esiste la societ umana esistono vincoli. Questo certo
Saluti
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Commento 11093 di alessio lenzarini del 07/01/2012
Rispondo volentieri a Pagliardini. Ovviamente non intendevo riferirmi al livello di difficolt del percorso progettuale, bens al livello di profondit concettuale delle tematiche sviluppate. Dell'architettura 'tradizionale', progettata oggi, il meglio che si pu dire che esprima contenuti irrimediabilmente insipidi e banalotti, totalmente svuotati di qualunque interesse, poich vecchi di qualche secolo e quindi lontanissimi da qualunque problematica o riflessione che possa stimolare concettualmente o coinvolgere emotivamente l'uomo contemporaneo. Il peggio che si pu dire (ed un po' quello che penso io) che sia una pratica culturalmente repressiva, emanazione di una visione sociale votata all'instaurazione di ordine, regole, omologazione, conformismo: non soltanto vuota riproposizione di modelli linguistici obsoleti (nella chimera di un facile consenso di pubblico) ma anche e soprattutto consapevole tentativo di depotenziare la disciplina architettonica erodendone il contenuto artistico (in quanto tale problematico e socialmente disturbante). E non a caso, la posizione culturale degli architetti 'tradizionalisti' si estende ben oltre i propri confini disciplinari, arrivando solitamente a deprecare e condannare tutta l'arte del ventesimo secolo, la cui principale caratteristica consiste infatti nell'avere incentrato l'attenzione sul contenuto dell'opera piuttosto che sull'abilit tecnica e nell'avere concepito l'idea (per la prima volta nella storia dell'uomo) che l'unico vero fine dell'arte sia stimolare il pubblico al pensiero: mi sembra quindi fin troppo evidente che il reale motivo del contendere, ci che anima l'architettura 'tradizionalista', non sia semplicemente l'adozione di un linguaggio architettonico, bens l'affermazione di una concezione reazionaria della realt, dove le conquiste valoriali della modernit (per intenderci: il trittico relativismo-complessit-contraddizione) vengano addormentate con la riproposizione di vecchi schemi valoriali assolutisti.
Detto questo, rimango sinceramente allibito (e un po' divertito) nel leggere la frase di Pagliardini: "Il difetto pi grave dell'architettura moderna proprio la semplicit, intesa come povert di contenuti, di teoria e, di conseguenza, di prassi." Che dire? Per allinearmi in limpidit di analisi, potrei rispondere cos: "Il difetto pi grave dell'architettura 'tradizionale' nell'essere troppo minimale e antidecorativa"
Per concludere, solo una precisazione terminologica: non mi sognerei mai di invocare una "educazione delle persone semplici", come mi attribuisce Pagliardini: preferisco di gran lunga parlare di "stimolare il pubblico al pensiero". La differenza fondamentale: da una parte si suppone che esista una verit da inculcare, dall'altra si offre un libero pensiero alla libera interpretazione.
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Commento 11096 di pietro pagliardini del 08/01/2012
Rispondo su due soli punti a Lenzarini.
Evidentemente se lei ritiene che il relativismo sia un valore diventa difficile comprendersi. Tra l'altro lei oppone al relativismo "l'assolutismo", che connota non solo una forma politica ma anche una forma di pensiero impositivo piuttosto che il riconoscimento dell'esistenza di alcuni principi assoluti, di cui ad esempio, la libert ne uno fondamentale. Quindi lei non solo fa uso di termini impropri e li usa come un'arma di offesa (pacifica), e pu darsi che non fosse sua intenzione, ma soprattutto una volta di pi evidenzia la contraddizione intrinseca dei relativismi, quella cio di dichiarare assoluto ci che invece si vorrebbe presentare come relativo. Questo l'aspetto che trovo divertente nel relativismo.
E le pongo inoltre un quesito in due parti: sicuro che l'arte pre XX secolo, cio tutta la storia dell'arte e del pensiero umano, si riduca a ricerca tecnica e non vi siano invece contenuti espressi attraverso un raffinata tecnica? E quindi altrettanto sicuro che l'arte del XX secolo ponga l'accento sui" contenuti" dell'opera e non piuttosto "sull'autore" dell'opera stessa, sulla sua storia, sul suo "percorso", sulle sue "intenzioni" e basta, con ci mettendo proprio in secondo piano il contenuto dell'opera che diventa, infatti, marginale e talora volutamente inconsistente? Se io infatti taglio una tela, esattamente come Fontana, ma dico che una mia opera, nessuno potr apprezzarla proprio per il fatto che in s non vale niente, non ha contenuto alcuno (non pi di un quadro Ikea) in quanto separata dal suo autore e dalla sua storia.
Cordiali saluti
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Commento 11097 di vilma torselli del 08/01/2012
Per Pietro.
Sempre pi spesso ci potr capitare in futuro di passeggiare in un centro cittadino e vedere locali, parchi e spazi pubblici dove gente comodamente seduta dialoga con lufficio, la casa, raccoglie informazioni, si scambia opinioni, accede agli uffici pubblici, legge e compie altre svariate attivit grazie alla copertura Wi-Fi di aree pubbliche sempre pi estese, gi accade a Bologna, a Roma, a Verona, Udine, Mestre
Non difficile ipotizzare che, in breve tempo, progetti dedicati al Wi-Fi e alla nuova frontiera di orientamento urbano chiamato Bluetrack interamente basato su tecnologia Bluetooth (quella di Bologna, per esempio) costituiranno il pi importante richiamo aggregativo del tessuto urbano grazie ad una rete interconnessa che giustificher, essa sola e con tutta la sua virtualit, perch e dove una piazza sia proprio in quel punto e non in un altro, perch un settore della citt sia pi frequentato di un altro, ridefinendo un metodo di indagine della crescita e dellevoluzione tipologica del tessuto urbano agganciato a parametri che fino ad ieri non cerano e dei quali, per ragioni cronologiche, Caniggia ignorava lesistenza, come per i frattali (che per la verit gi esistevano ma probabilmente non gli interessavano).
Frattali che sono una specie di ombrello sotto il quale ci sta di tutto, a seconda dellintenzione, e vanno bene se supportano le teorie di Salingaros, sono ininfluenti se applicati allarte moderna e ai quadri di Pollock, dove la sequenza spaziale distributiva dei bianchi e dei colorati , s, frattalica, ma non vuol dire niente, trattandosi dellopera di un originale imbrattatele alcolista che si schiantato con lauto ubriaco fradicio.
Giudico paradossale studiare la realt territoriale del mondo, costruito da e per luomo, in modo limitatamente strutturalista e ritenere inutili sociologia o psicanalisi o psicologia o statistica (?) o teorie politiche, ecc , discipline che studiano luomo artefice di quel mondo, cos come ritengo del tutto discutibile la pretesa scientificit dellurbanistica interpretata da chiunque, una scienza deve, fra laltro, avere supporti statistici e permettere la ripetibilit dellesperimento, cosa che evidentemente in urbanistica non avviene, altrimenti non saremmo qui a discutere.
l'ontogenesi dell'individuo e la filo-genesi della stirpe a cui esso appartiene, stanno fra loro nel pi intimo rapporto causale. La storia del germe un riassunto della storia della stirpe, o, con altre parole, l'ontogenesi una ricapitolazione della filogenesi: parafrasando Haeckel, credo sia questa lunica base antropologica (e culturale e fisiologica) che si possa invocare nellagire umano, qualunque siano gli esiti, nei quali, proseguendo la metafora dellevoluzionismo, variabilit ed ereditariet sono fenomeni correlati e complementari, luna legata al caso e responsabile delle mutazioni, laltra alle necessit riproduttive ed a leggi o meccanismi di trasmissione dei fattori ereditari.
Senza dare per scontato che la trasmissione dei caratteri ereditari avvenga senza travagli, dato che c' sempre qualcuno/qualcosa di recessivo che viene sacrificato sull'altare dell'evoluzione, si potrebbe per dire che oggi stiamo assistendo ad una mutazione dellarchitettura, una mutazione genetica ed estetica che la sta trasformando da oggetto tettonico portatore di regole disciplinari codificate nel tempo e di verit costruttive assolute in oggetto performativo cio un architettura come dispositivo che produce fenomeni, come involucro di un azione, come filtro che renda visibile il fluire delle forze invisibili della societ e che evidenzi le azioni umane (Annalisa Chieppa, 2008, La morte del dettaglio).
E cos che oggi larchitettura, per quanto ti possa apparire lontana e povera di contenuti, di teoria, di prassi, ha loccasione di raccontare da vicino, fedelmente e in tempo reale, le mutazioni (genetiche) delle citt che esistono da millenni e delluomo che a te, che vivi su Marte, non risulta essere cambiato.
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Commento 11098 di pietro pagliardini del 08/01/2012
Vilma, non che non conosca la rete wifi e che non ne apprezzi le potenzialit. Ma io sono fermamente convinto, perch lo si osserva ovunque, che non sono le "funzioni", per quanto importanti, a determinare la "funzionalit" di una citt.
Le funzioni passano, la citt fatta del suo hardaware (strade, edifici privati e pubblici, piazze) resta ed la rete urbana a determinare DOVE si concentrer anche la rete wifi, non viceversa.
Per rimanere sulla rete wifi, vorrei proporti due scenari:
1) la sua diffusione facile. In effetti lo , solo questione di investimenti e non credo nemmeno stratosferici. Comunque ipotizziamo che lo sia. Con questa condizione essa potrebbe estendersi a tutta la citt in maniera praticamente indiscriminata. A questo punto l'aggregazione non potr che concentrarsi sempre negli stessi luoghi nodali determinati dalla struttura urbana, perch essa non sar pi una rarit e quindi gli utenti andranno laddove comunque naturalmente convergono le persone e le attivit altre, non solo lo wifi.
2) la sua diffusione costosa o difficile o non conveninete e quindi si dovranno selezionare i luoghi. Mi sembra evidente che si dar prevalenza a quelli dove comunque ci sono spazi pubblici (i privati lasciamo stare che ci sono gi in molti locali pubblici), cio nei luoghi nodali. Ad Arezzo, che non conta molto vero, ma qualcosina conta, cominciata qualche anno fa nelle piazze del centro. Per io non ho visto molta gente con pc all'aperto, ma li ho visti, eccome, nei bar del centro. Del centro, bada bene.
Inoltre, ormai lo wifi mi sembra pure superato dalle connessioni internet dirette che ogni tablet ha, come ce l'hanno i cellulari e che determina una totale delocalizzazione. Non c' luogo, urbano e non dove non ci si possa connettere, salvo qualche anfratto tra i monti. Ma proprio questo continuo superamento della tecnologia ne determina l'obsolescenza rapida ed impedisce comunque che questi fattori possano avere stabilit e determinare la forma della citt e il suo utilizzo costante e duraturo.
Non esiste attivit o funzione che dir si voglia che possa, alla lunga, invertire l'ordine delle cose. Alla fine l'hardware vince sempre e un commerciante che vuole vendere (e durare) dovr posizionarsi in quei luoghi dove passa pi gente. I centri commerciali sembrano l'unica eccezione, ma anch'essi sono soggetti a decadimento rapido e in America stanno chiudendo, ma anche in Italia. E comunque non sono luoghi, sono non-luoghi, per l'appunto. Certo altri ne aprono, ma questo dimostra la sostanziale instabilit di questo sistema.
Quegli amministratori scellerati che pensano di creare dei poli urbani ex-novo, per darsi lustro, sforzandosi di inventare funzioni adeguate, senza tenere conto della rete urbana e di tutte quelle pedanti ma efficaci analisi di cui parlavo nella risposta precedente alle tue obiezioni, finiscono nell'abbandono, anche se si trovano in luoghi geograficamente centrali, addirittura nel centro storico. Non basta l'essere baricentro geometrico, occorrono altre qualit per diventare aree nodali.
C' un proverbio molto toscano (lo so che i proverbi sono proverbi e basta, ma insomma, si fa per sdrammatizzare) che dice:
"col negozio in un cantone ci sa fare anche un coglione".
L'angolo, cio l'incrocio, raccoglie quasi il doppio dei flussi e quindi i negozi nel cantone, con le vetrine e gli accessi in due strade, sono pi favoriti, e tuttavia non tutti gli angoli hanno il medesimo peso. Se fai caso, specie nelle grandi citt, in centro, i tabaccai sono quasi sempre "nel cantone" (osservazione da fumatore) anche perch vendevano, ora assai meno, non solo sigarette ma anche pipe, accendini non a perdere e oggetti regalo di un certo pregio (carte da gioco, roulette, ecc).
Lo sapeva anche Hausmann che nel suo piano di Parigi ne fece una quantit industriale (di incroci, non di tabaccai).
Ciao
Pietro
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Commento 11099 di alessio lenzarini del 10/01/2012
Proseguendo il dialogo con Pagliardini, ebbene s: non solo considero il relativismo un valore, ma addirittura lo considero IL valore fondativo di tutta la modernit, la svolta filosofica epocale che distingue la modernit da tutte le epoche culturali che l'hanno preceduta (ognuna delle quali ha sempre elaborato la propria verit assoluta). Il relativismo la possibilit dell'autodeterminazione dell'individuo, il dovere-piacere per ogni individuo di autocostruirsi il proprio universo di valori e idee, senza alcuna garanzia di verit oggettivamente condivisibile, con la sola consapevolezza che ci che in cui crediamo deve avere significato per noi, perch scegliamo di crederci e ne sentiamo soggettivamente l'importanza, senza la rassicurazione che possa essere vero in assoluto. Il relativismo, conseguentemente, anche accettazione ed esaltazione della complessit e della contraddizione, che diventano a loro volta valori strutturanti della modernit (come diceva Zevi: la modernit quella che fa della crisi un valore). E la prima consapevole ineliminabile contraddizione (concettualmente raffinatissima) proprio quella di credere nell'unica verit che non esistono verit: darsi il solo dogma dell'assenza di dogmi.
Limitando il discorso all'arte, mi sembra evidente che tutti i macro-eventi che caratterizzano l'arte del ventesimo secolo (rendendola ineluttabilmente diversa da tutti i fenomeni artistici precedenti) trovino la propria ragion d'essere proprio nell'esplorazione del trittico relativismo-complessit-contraddizione. Basti pensare, solo per fare l'esempio pi eclatante e immediato, alla impellente necessit, a inizio novecento, di abbandonare qualunque codice che in qualche misura ponesse un vincolo di oggettivit e di regola: non solo il codice classico o le strategie compositive centralizzate in architettura, ma la metrica in poesia, la linearit temporale-narrativa in prosa, la rappresentazione figurativa nelle arti visive. Abbandoni che testimoniano da un lato l'ansia di totale libert espressiva dell'artista moderno, ma dall'altro anche e soprattutto la necessit di svincolarsi da qualunque forma di sistema linguistico prestabilito che potesse 'puzzare' di oggettivo e di assoluto e in quanto tale risultasse inadeguato ad esprimere il relativismo del proprio tempo. Poi, chiaro, la grande avventura dell'arte e della cultura moderna quantomai variegata e pluralista e riassumerla in quattro parole proprio non si pu. Mi sto semplicemente riferendo a quelli che sono, perlomeno nella mia visione, gli assunti-chiave che ancora oggi differenziano la modernit da tutte le esperienze culturali precedenti.
Spero che possa essere chiaro, quindi, in che senso usavo, nel mio precedente commento, il termine 'assolutista': non certo come offesa, ma come attribuzione di un atteggiamento culturale anti-moderno o, se vogliamo, pre-moderno. Ritengo che a esprimere le proprie idee, tra l'altro, non si possa mai offendere nessuno, anche quando le idee prendono posizione negativa nei confronti di altre idee.
Rispondo anche ai due quesiti che mi poneva Pagliardini:
" sicuro che l'arte pre XX secolo, cio tutta la storia dell'arte e del pensiero umano, si riduca a ricerca tecnica e non vi siano invece contenuti espressi attraverso un raffinata tecnica?"
Non mi sono mai sognato di affermare che nell'arte dei secoli passati ci fosse solo tecnica e non contenuti. Anche perch in tal caso praticamente non ci sarebbe stata arte. Dico soltanto che l'assoluto primato del contenuto sulla ricerca tecnica emerge in tutta la sua dirompenza con la modernit, con l'autoproclamata libert dell'artista, innanzitutto linguistica ma anche tematica (basta fare le madonnine su commissione, dipingo quello che dico io!), e soprattutto con l'affermarsi del concetto che l'arte 'serve' innanzitutto a fare pensare il pubblico (a stimolarne il libero pensiero...). Voglio dire: sono certissimo che anche per Caravaggio l'obiettivo fosse fare pensare il pubblico, solo che il contesto culturale in cui operava non gli consentiva neanche lontanamente di farlo con la stessa incisivit e pregnanza che gli artisti del novecento hanno saputo conquistarsi.
"E quindi altrettanto sicuro che l'arte del XX secolo ponga l'accento sui" contenuti" dell'opera e non piuttosto "sull'autore" dell'opera stessa, sulla sua storia, sul suo "percorso", sulle sue "intenzioni" e basta, con ci mettendo proprio in secondo piano il contenuto dell'opera che diventa, infatti, marginale e talora volutamente inconsistente?"
Autore e contenuto talvolta possono coincidere: una delle grandi idee dell'arte del novecento. Non stiamo parlando ovviamente di vita privata dell'autore (cosa fa l'artista dietro le mura di casa non mi interessa minimamente), ma di importanza culturale che viene a rivestire l'autore stesso in rapporto alla sua opera. Infatti, se ci che conta nell'opera innanzitutto il contenuto e il contenuto altro non che il pensiero che l'artista comunica, l'opera d'arte in fondo sempre l'artista stesso, che crea l'opera come medium espressivo e non come fine. Ovviamente, poi, l'opera di fatto esiste ed a disposizione del pubblico per essere reinterpretata e in quella reinterpretazione il pensiero dell'artista viene frainteso, ridimensionato, amplificato, tradito, ripensato. E nel farlo il pubblico pensa (e l'opera raggiunge cos il suo obiettivo). Credo si possa parlare davvero di arte solo quando sussiste un'opera che, in quanto tale, venga ad innescare una distanza-ambiguit di significato tra espressione e comprensione: per l'opera in teoria non pu che coincidere con l'artista stesso. Il momento in cui Duchamp ha proclamato che quell'orinatoio era un'opera d'arte "perch lo decideva lui" stato, a mio personale parere, uno dei pi grandi momenti dell'intera storia dell'umanit. Quando ci penso ho sempre i brividi.
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Commento 11100 di vilma torselli del 11/01/2012
Pietro, evidentemente non sono riuscita a farmi capire, volevo indicare un piccolo spicchio di luna e invece sono riuscita a mostrare solo il mio esile, fragile e insignificante dito.
Ci riprovo.
Ho citato, banalmente, lo riconosco, il sistema wifi, la pi vistosa e palese delle innovazioni che stanno cambiando il mondo, volendo significare che, in pochi decenni, si sono concretizzati e si concretizzeranno significativi parametri mediante i quali misurare lefficienza di un sistema urbano, dei quali gli studiosi, storici, teorici dellurbanistica di solo pochi anni fa necessariamente ignoravano n potevano prevedere lesistenza, il che rende oggi almeno datato, certo non voglio dire inutile, il loro lavoro.
Curiosa la tua inversione tra causa ed effetto, tra funzioni che passano e citt che restano, prima lo schema e poi le funzioni che lo utilizzano .. accidenti, il 900 passato invano dalle tue parti!
Il continuo superamento della tecnologia, che ne determina lobsolescenza, il motore che spinge a inventare sempre qualcosa di nuovo e di migliore, a superare il limite, a mandare avanti il mondo che tu vorresti mummificato in uno stato di stabilit per un utilizzo costante e duraturo, uno scenario allucinante che si ripeta allinfinito in una sorta di Truman show per cervelli anestetizzati.
Per fortuna ci sono i folli che pensano lesatto contrario, e per fortuna solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.
Specie oggi, quando persino tutte le cosiddette scienze esatte, la matematica, la biologia, la fisica, la chimica, nonch la storia e persino la geografia si mettono in gioco, si dibattono in una profonda crisi di identit, si interrogano su s stesse.
Specie oggi, quando le tracce della particella di dio fortunosamente comparse nel fantomatico tunnel Gelmini scuotono dalle fondamenta niente di meno che luniverso einsteiniano dimostrandoci che nulla di tutto ci che conosciamo pu essere dato per scontato e che siamo condannati alla ricerca perpetua.
Poich prevedo mi dirai che non centra niente il bosone di Higgs con larchitettura, preciso che utilizzo il paradigma a scopo puramente evocativo di un clima di dubbio generalizzato, di incertezza, insicurezza ed anche, per ci che mi riguarda, di curiosit nei riguardi di un futuro sempre meno prevedibile, tranne che in architettura e urbanistica, dove consigliabile un fermo immagine, anzi una bella marcia indietro, soluzione tolemaica ma certamente rassicurante.
Il paragone evoluzionista, mutuando parole dalla genetica, mi sembrava, evidentemente a torto, di comprensione facile ed intuitiva.
Nessun individuo nasce nuovo, nasciamo senza nulla di nostro, nasciamo solo con un vecchissimo patrimonio altrui che parte dai nostri genitori ed arriva ad uno sconosciuto Australopitecus afarensis, ma la vita che vivremo, quella s, nostra, irripetibile ed unica, il nostro contributo alla continuit, il nostro modo di portare lantico nel presente, vivendo oggi, non in un passato che non c pi, non in un futuro che non c ancora.
Vivendo il presente testimoniamo il passato senza il quale non esisteremmo, non dobbiamo frugare nei bauli del nonno per provare che abbiamo un passato, ne siamo dimostrazione concreta in ogni momento della nostra esistenza, qui e ora. Perci luomo ha in dovere di agire nel presente, per permettere ad altri che verranno di avere un passato.
In architettura succede un po la stessa cosa, larchitettura di oggi non nasce dal nulla, ha anche lei le sue radici nella caverna dellAustralopitecus afarensis, nellarchitettura di oggi c dentro tutta una storia, bisogna decifrarla e non rifiutarla, ci consegnar una delle chiavi di lettura del tempo in cui viviamo.
Forse non sono riuscita a spiegarmi neanche ora, ma ho cercato di fare del mio meglio, uno sforzo che merita che tu non mi risponda parlandomi di incroci, di negozi nel cantone, di tabaccherie strategiche.
Oltretutto, io sono contraria al fumo.
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Commento 11103 di pietro pagliardini del 14/01/2012
Vilma
ho apprezzato il tuo modo elegante e garbato di darmi amichevolmente e bonariamente dello stupido con la storia del dito e della luna. Per io non ho voluto calcare la mano su quella piccola ingenuit dell'wifi, non ho voluto cio sfruttare una modesta debolezza per rivoltare la frittata a mio vantaggio (vantaggio di cosa poi).
Io credo di avere capito il senso di quello che tu avevi scritto e che riconfermi adesso con: "Curiosa la tua inversione tra causa ed effetto, tra funzioni che passano e citt che restano, prima lo schema e poi le funzioni che lo utilizzano .. accidenti, il 900 passato invano dalle tue parti!".
Il '900 passato dalle mie parti e non del tutto invano.
Cerchiamo di distinguere le "funzioni" dai grandi processi sociali ed economici, che forse meglio.
Lo so anch'io, sembrer strano, che la trasformazione della citt avvenuta nel '900 la conseguenza di grandi trasformazioni economiche avvenute nella nostra civilt occidentale, pi o meno simili a quelle che stanno avvenendo nei paesi emergenti o gi emersi. Non a questo che mi riferivo, ovvio.
Ho detto e riconfermo, e in questo non c'entra davvero niente l'antichismo o il passatismo o il krierismo architettonico o lo stile o il linguaggio architettonico o il desiderio di vivere in una citt "a misura d'uomo", medievale o cinquecentesca o disneyana o vernacolare e quant'altro di analogo, ma c'entra l'adesione ad un pensiero, ad una vera disciplina di lettura ed interpretazione della citt che ha individuato regole che non sono eludibili pena ...... e qui viene il punto. Pena che cosa?
Secondo me pena l'anti-citt e allo stesso tempo l'anti-campagna o forse la non-citt e la non-campagna. Perch dico questo? Perch esistono principi di formazione e crescita della citt in base ai quali, soprattutto in base alla conformazione della rete stradale, certi luoghi sono destinati dalla forma e strutturazione della rete, non dal destino, ad essere centrali ed altri no.
Inutile che parta dall'origine, chiaro che luoghi nodali erano luoghi geografici privilegiati, e nel tempo anche determinate "funzioni" sono diventate nodali (ma la cattedrale e il comune non erano collocati in luoghi marginali, stanne certa). E' sicuro che esiste una interazione tra funzioni e centralit, ma se un luogo urbano anti-nodale, diciamo marginale, la funzione in esso insediata sar soggetta a deperimento e abbandono. Se va bene a trasformazione.
Quando i nostri sindaci o i nostri architetti individuano un luogo che per cause varie diventa oggetto di interesse, il primo pensiero : cosa ci facciamo? Ecco, questa una grande stupidaggine perch la domanda dovrebbe essere: come la facciamo? Non come dal punto di vista del linguaggio ma dal punto di vista urbanistico. Le domande da porsi sono: quell'area connessa alla citt? Come facciamo per connetterla? e la rete web non c'entra niente perch non richiede un sindaco, ma solo i gestori delle reti telefoniche e dati.
E infine: pu diventare area centrale? Pu essere utile, cio, per una funzione urbana importante? Se s necessiter di determinate funzioni, se no di altre.
Questa la trasformazione della citt che non pu seguire gli sfizi di nessuno, esattamente come alle origini, quando ci si insediava lontano dalle paludi, o in prossimit degli sbocchi tra valli diverse per ovvi motivi di scambio e possibilmente vicino all'acqua. O in alto per difesa, lungo percorsi di crinale.
Invece si fa esattamente l'opposto. Si fanno piazze che non potranno mai assurgere al ruolo di piazze, se non per la targa, e quindi degraderanno in breve, come la citt nel suo complesso. I centri commerciali, anch'essi soggetti a degrado, hanno tuttavia una loro perversa logica, come tutti i non-luoghi o super-luoghi che dir si voglia (areoporti, grill autostradali, ecc), perch sono completamente autosufficienti e indifferenti rispetto alla citt ma finalizzati ad altro. Ma quando si parla di citt si parla, appunto, d'altro.
Ciao
Pietro
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Commento 11104 di nazzareno romano pierandrei del 15/01/2012
Ho suggerito, con una lettera alla Presidenza del Consiglio, di proporre agli stati membri di far suonare poche battute dellinno europeo prima degli inni nazionali. Occorre sentirsi europei, prima che italiani, padani, piemontesi e, per quanto mi riguarda, albesi e di sinistra Tanaro, per non marcire tutti nel nostro bel paese soffocati dalla retorica.
con questa speranza europea che auguro il buon anno in generale ed in particolare al Presidente Monti e al suo governo e al Presidente Napolitano che lo ha voluto alla guida del Paese.
A Monti ed all' uomo del Colle facciamoli santi subito. Sar l' Eterno a giudicarli.
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Commento 11105 di Emmanuele pilia del 17/01/2012
Mi sto perdendo nella lettura dei diversi commenti. Debbo dire che il detto che vuole i due litiganti visti da fuori come entrambi in torto anche questa volta conferma la sua veridicit. Mi permetto di fiancheggiare per Sandro Lazier, che nel suo articolo fa una considerazione che mai in Italia dovremmo smettere di fare: stiamo vivendo un ritardo pauroso, e stiamo pagando lo scotto di decenni di ricordi dei bei tempi che furono.
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Commento 11107 di vilma torselli del 18/01/2012
nazzareno romano pierandrei, sai che non l'ho capita?
Sei pro o contro? E nel caso, pro chi e contro chi? Stai parlando di politica o di architettura? Intrigante il rimando Monti-Colle, vuol richiamare una scala dimensionale simbolica? o l'hai scritto a caso?
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