147 commenti di Giannino Cusano
Commento
8561
di giannino cusano
del 03/06/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
to Torselli:
PS: per passare dalla poesia al linguaggio d'uso, insomma, ho l'impressione che dobbiamo operare (e di fatto operiamo sempre) un clivaggio, un cesoiamento, un taglio nel corpo vivo del poetico, che invece include reale e irreale e tutti i doppi che il linguaggio rompe, scinde, separa e distingue. Incorrendo in mille paradossi logici affini a quelli dello "split" psicoanalitico originario (Es-Io-SuperIo).
Commento
8560
di giannino cusano
del 03/06/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
Vilma Torselli ha scritto:
In particolare mi pare assolutamente condivisibile la chiusa finale: "L'arte non ha, come si possiede un oggetto o un che di estraneo, "senso" perch l'arte essa stessa (il) senso".
sicuramente ha compreso benissimo, per quel poco che sono riuscito a spiegarmi. La domanda fondamentale, nel mio modo di vedere odierno, che non ho esplicitato abbastanza e che vado mettendo a fuoco, : la logica "concettuale" precede quella "poetica" o non , piuttosto, il contrario? E' il "Cogito" (peraltro vuoto di contenuto, cos come lo aveva formulato Cartesio) o non per caso l'intuizione poetica che fonda la realt? Se ammettiamo l'ipotesi cartesiana, dobbiamo concludere che il senso fonda anche il poetico. Dunque, il linguaggio nel suo uno corrente, informa anche la poesia e l'arte. E se, invece, fosse il contrario? Se la conoscenza pre-logica del mondo fosse il presupposto per quella logica, non avrebbe gran senso interrogarsi sul senso nell'arte. Se cos, non dovremmo considerare i capolavori come "intensificazione" di un linguaggio corrente e gi dato, quanto il contrario. La "designazione" (di un contenuto, di un concetto, di un "senso") sarebbe allora successiva: abbiamo di fronte, cio, una "visione" poetica e solo allora mi pare che ci poniamo il problema:- e ora che ne faccio?-
I creatori di linguaggio sono i poeti, per me, perch non si pongono il problema "utilitaristico" di "significare" qualcosa: e quindi (aveva ragione Zevi) il linguaggio va desunto dai capolavori: il contrario non porta da nessuna parte. Non portano da nessuna parte le elaborazioni, per quanto concettualmente sofisticate, della linguistica e non porta, perci, da nessuna parte l'idea di estrarre il linguaggio dalle opere "paradigmatiche". Cio da prodotti correnti e mediocri.
Se riapriamo l'Ulisse di Joyce, per esempio, ci accorgiamo subito di quant' banale, inconsistente, inesistente Molly Bloom-Penelope: tanto pi che (particolare fondamentale, a mio parere, che istituisce un "vuoto" enorme) non ha nulla della dimensione eroica del personaggio omerico. Non esiste, come tutti i personaggi dell'Ulisse joyciano. Sono dei non-Io che agiscono, interagiscono, pensano, parlano. Eppure Molly una creatura intensamente (e altrimenti) poetica. E non si esce dalla rete delle continue intersezioni di significanti di Joyce: non si rimandati ad "altro", come a un significato o un "senso". .Altro che la "polisemia" dell'Opera Aperta su cui tanto insiste Eco: non mi pare affatto che ci sia proprio la "-sema", n mono- n poli-. O meglio: ci sono gli atomi, i "semi" di un nuovo linguaggio ma non il suo "uso" linguistico come lo intenderebbero Saussure o Jakobson. La polisema di Eco, in questa prospettiva, appartiene gi al momento logico-concettuale, al successivo, al linguaggio divenuto lingua, non alla creazione poetica di Joyce: la cui immediatezza, che non pare certo il suo "senso", solo Joyce ci pu dare.
Poi, certo, se ne pu riprendere l'ingegneria, come magistralmente fa Nadine Gordimer gi dalle prime pagine di "Jump" (Il salto), quando una sera in Sud Africa, durante scontri sanguinosi, sale in taxi e per darci l'idea della gran confusione, stanchezza, follia che sento intorno e dentro di s, spezzetta e intreccia parole con la stessa tecnica linguistica: lo scopo letterario. E' significare qualcosa; il senso la sua spossatezza e la spossatezza di un popolo piegato e umiliato dall'apartheid. Ecco, dunque, come l'invenzione poetica di Joyce diviene funzionale, nella Gordimer, a un "senso" (anzi: a un poli-senso aperto, alla Umberto Eco) cui rinvia, ma non lo "costituisce" poeticamente. Possiamo "dire" il senso letterario della scrittura della grande scrittrice come un quid che riunisce 2 serie separate, quella di significati e quella di significanti (la parola monca, i pensieri monchi che s'intrecciano confusamente e si smembrano assistendo allo smembramento del il popolo sudafricano, alla sua dominazione e persino a quello dei singoli corpi uccisi e smembrati ,per le strade ecc.): un rinvio possibile solo previa scissione delle 2 serie. E posso tentare di riscrivere a quel modo avendo in mente altri "sensi", altre situazioni da additare ed evocare.
Non cos, a me pare, in Joyce: il vuoto joyciano nella Gordimer il pieno dei suoi pensieri frammentati, significativi del suo animo fatto a pezzi dalle vicende tragiche cui assiste. Che si potevano significare in mille altri modi.
Questo non vuol dire, dal mio punto di vista, che il poeta sia avulso dal mondo, ma solo che non lo descrive, non lo "significa", non lo racconta e non rimanda ad esso ma fa un'altra operazione, pi complessa e sintetica, differente rispetto a quella del "letterato": che ne ricostituisce e ne rifonda, ne rivoluziona i segni rendendoli disponibili per quanti poi intendono "dire", "significare", "designare" qualcosa. .
Commento
8558
di giannino cusano
del 01/06/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
PS: x Torselli.
Nel commento precedente (8557) ho scritto "muore il mito della morte dell'arte" sottintendendo che muore, soprattutto, quello dell'Idea Assoluta, che ci ha regalato i lager. Mi pareva scontato, ma mi accorgo che va esplicitato :)))
Commento
8557
di giannino cusano
del 01/06/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
Interessante e stimolante, come sempre, il commento della Torselli. Credo di dovere, a questo punto, fare attenzione alle parole, che sono trappole terribili soprattutto quando si parla "di" arte.
Non credo che l'arte sia pi reale che irreale o viceversa: il problema di distinguere realt da irrealt mi pare compito della logica, non dell'arte o dell'estetica. Poi, certo, tutte le attivit umane interagiscono e sono tra loro complementari, dato che noi esseri umani non siamo fatti a cassettini e compartimenti separati ognuno dei quali contiene un mondo a s..
Quando si dice "arte senza senso" occorrerebbe, forse, anzitutto chiarirsi reciprocamente cosa intendiamo per senso e se, per es., identifichiamo o meno "significato" con "senso" ecc. E gi questo porterebbe assai lontano.
"Senza senso" personalmente lo intendo, semplificando molto, in modo anti-idealistico (o non idealistico): l'arte, dal mio punto di vista o di osservazione, NON manifestazione sensibile dell'Idea, come voleva l'hegelismo sulla scia del platonismo. Solo concependo l'arte come "manifestazione sensibile dell'Idea" si pu arrivare alla conclusione del tutto paradossale della "morte dell'arte". Sulla quale, peraltro, va doverosamente detto che in Hegel non si torova n la sottoscrisse mai di suo pugno. Quello che sappiamo della "morte dell'arte", invece, lo sappiamo da appunti presi alle lezioni del grande filosofo da parte di un suo allievo, raccolti poi in una "Estetica" che Hegel non sottoscrisse. Cosa abbia realmente detto nelle sue lezioni e come l'abbia interpretato l'allievo, non lo sappiamo. Il dubbio resta, anche perch questa faccenda della "morte dell'arte", per quanto paradossale, assolutamente compatibile e coerente col pensiero del filosofo tedesco. E tanto di cappello se, ammesso che la teroria sia sua, non ha avuto paura di andare fino in fondo e di tirare tutte le conseguenze del suo pensiero con tanto coraggio.
.
Certo, se l'arte definita come "manifestazione sensibile dell'Idea", conter pi l'idea dell'opera d'arte. E con questa premessa (a mio parere erronea), essendo la filosofia fatta di concetti privi di materia, colore, argilla ecc. , chiaro che pu innalzarsi a vette superiori a quelle dell'arte. Ma se concepiamo arte e filosofia come due momenti diversi e non disposti gerarchicamente una pi in basso, l'altra pi in alto nella scala che porta all'Idea Assoluta, la prospettiva cambia totalmente. E muore anche il mito (o il timore) della morte dell'arte.
Il punto a me pare sia che l'artista, a differenza del logico e del filosofo, non uno che crede o non crede in un'immagine: semplicemente, la produce. E in quel modo assai particolare per cui "contenuto" e "forma" sono talmente fusi e inscindibili nell'opera d'arte, che costituiscono un unico atto. Se fosse altrimenti, la poesia non sarebbe verit (sono convintissimo proprio che la poesia sia opera di verit) ma in veste allegorica, o metaforica piuttosto che metonimica, di verit: cio, per questa via, tutto meno che poesia, nella quale invece la parola, la forma, il colore, lo spazio inseparabile dal contenuto.
La parola la poesia stessa. Tanto che quando ci si affanna a spiegarla, la sua magia gi sparita e per ricostruirla si pu solo tornare a rileggerla (ripeterla) nell'unica sua forma posibile: .quella in cui stata espressa. Quando facciamo opera critica noi non spieghiamo mai la poesia. Facciamo, credo, un'altra operazione: gettiamo luce sulle materie grezze elaborate dal poeta e da lui trasformate in questa "forma-contenuto", in questo "significante-significato". Qualsiasi commento e discorso sar sempre estraneo alla poesia e quell'estraneit ci distoglie dal suo incanto estetico. E a volte ci infastidisce, perch quell'incanto senza parole: ha gi le sue parole, che sono quelle della poesia che ci ha guidato.
Qual il "senso" di quella poesia? Non permutabile con discorsi: tutto intero e gi dato l, in quei versi. cos come sono dati in quella particolare "visione".
Poi, certo, i discorsi "su" questa o quell'opera d'arte sono utilissimi: ma servono, appunto, a un fine pratico, non a fare luce sulla sua poeticit, sulla sua poesia e sulla sua arte, ma sui suoi motivi conduttori: le materie (passioni ecc.) di cui l'artista si servito.
In una poesia ci si immerge e ci si lascia attraversare o non si entra in quel mondo poetico. E l'incanto sempre quello di una sospensione della parola: cio del "senso". Che , del pari, "non-senso": senso e nonsenso sono inscindibili come reale e irreale. E' questo che il linguaggio corrente non vuole riconoscere: nella sua ansia di dare un senso a tutto, dimentica di essere al contempo nonsenso. Come la ragione cartesiana, nell'illusione di definire e tenere la follia fuori dal proprio recinto, dimentica che in questo modo la genera perch la Ragione fondata esattamente sull
Commento
8556
di giannino cusano
del 30/05/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
prima di riflettere, gli specchi farebbero bene ... a riflettere
Jean Cocteau
... e ci stiamo pure a riflettere ?
Commento
8552
di giannino cusano
del 29/05/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
e non sono discorsi astratti o campati per aria. Guardiamoci intorno, notizia di oggi: ragazzo di 22 anni pestato a sangue a Roma al grido di "frocio frocio" rischia di perdere un occhio. Questo l'Altro. E non c' da imbastire discorsi, sull'Altro.
Poi, per, se guardiamo l'arte contemporanea, inorridiamo e ci ritraiamo nell'illusoria immaginazione di un passato, una perduta et del'oro mitica quanto inestistente: preferiamo non vedere che l'arte anzitutto il nostro specchio pi vero e profondo. E che non obbligata ad avere un "senso", al pari della gratuit della violenza. Con la differenza, non da poco, che la prima ci stacca dalla seconda.
G.C.
Commento
8201
di giannino cusano
del 24/05/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
PS: PRECISAZIONI CHE RITENGO UTILI
e spero alimentino altri commenti e approfondimenti.
Spesso l'idea di "assenza del senso", in arte e in architettura, si accompagna a sospetti di "autoreferenzialit". Non mi pare che sia cos: stato lo strutturalismo (S) a portare a una logica autoreferenziale. Per lo S conta anzitutto e solo il modo in cui si organizzano (fanno struttura) i significanti in questo soggetto o in quest'opera d'arte, perch solo cos si riuscirebbe a far luce parziale sul significato profondo ed occulto che li genera anche su pi stratificazioni diverse. Questo portava a una metafisica del significato: solo e tutte le sequenze, relazioni e strutture di segni ripetitive hanno valore in quanto gettano luce su un significato occulto che genera quelle "strutture". Inutile dunque illudersi di poter guidare il discorso, perch guidato da forze inconsce, strutturali, archetipe. Cos Aldo Rossi, per es.: e non a caso la metafisica del significato univoco, centrale e occulto della citt si riflette nella metafisica dei suoi edifici.
Ne "L'architettura della citt" afferma che non si sfugge alle "permanenze" della citt antica. Se ne conclude che la libert e responsabilit creativa un'illusione e che non serve, per es., affannarsi a decentrare i ministeri romani nell'Asse Attrezzato, perch essi per lo pi sorgono in luoghi a fortissima valenza simbolica come monasteri dismessi, a loro volta sorti su luoghi pagani gi a intensa carica simbolica, e quindi aderiscono a una struttura profonda, consolidata nel tempo e indecifrabile di permanenze urbane. Qui sta la metafisica di un senso gi dato a priori dal quale, in quest'ottica, non si pu sfuggire. Ogni intervento innovativo sulla citt verr rigettato come un organo trapiantato. E qui, anche, l'equivoco storicista, contro ogni concreta lettura storica della citt e delle sue trasformazioni. Che, nell'ottica dello S, sono come date a priori e trascendono ogni nostro contributo e sforzo. Cos, per es., Palazzo della Ragione a Padova, la "struttura" pi forte di qualsiasi trasformazione e il suo significato centrale tanto pi potente quanto pi oscuro (inconscio). Allora quello che conta sono le relazioni strutturali tra le parti di citt, immutabili in quanto determinae da un Ur-codice sottostante: ogni sforzo creativo velleitario. Anzi: il soggetto e il soggettivo sono solo sovrastrutture destinate al fallimento, in quanto ciascuno di noi il prodotto di forze trascendenti e obbedisce a leggi oggettive e fatali. Se contano le relazioni tra le parti, il discorso architettonico autoreferenziale ed autonomistico: non ammette posto per il nostro essere umani.
La rivolta post-strutturalista, pur non rifiutando acquisizioni importanti dello S, nel negare il senso in realt nega la "metafisica" del senso. La superficie non il prodotto di una massa profonda di significato (contenuto) che, nella sua relazione col significante, sarebbe gi dato una volta per tutte e inscalfibile, inesprimibile come un Dio nascosto, perch la superficie non solo un risultato, ma ha una propria vita non ulteriormente trascendibile.
All'autoreferenzialit dello S ora succede una via nuova: quella dell'Altro: il suo riconoscimento. (Derrida: ogni filosofia inizia con una domanda, ma ogni domanda presuppone l'affermazione dell'Altro cui essa, implicitamente, si rivolge). Se il gioco dei significanti non predeterminato da relazioni strutturali date, perch oggetto di invenzione, non conta pi nulla l'illusione linguistica del logocentrismo (parlo e non dico nulla perch i giochi sono gi fatti sopra la mia testa) e soprattutto non ci sono concetti universalmente dati e validi per tutti (Foucault), come pretenderebbe lo S; non c' necessti universale (e astratta) che si potrebbero conoscere attraverso analisi, per quanto accurata, della realt: non c' fondamento ultimo alla realt, n del soggetto n del mondo oggettivo (Nietzsche).
Infatti Baudrillard avverte che il discorso poetico non ha nulla da spartire non solo con l'economico, ma anche con la critica dell'economia politica. Il potere carcerario che l'anima detiene sul corpo lo stesso che il linguaggio detiene sulla parola (Foucault) e proprio da questo giogo nasce l'illusorio concetto dell'Io. Rompere il giogo non , come credeva l'Espressionismo, liberare sentimenti repressi del soggetto, ma affermare l'Altro: riuscire alla messa in contatto da interno a interno, da soggetto a soggetto. direttamente (Carmelo Bene e la macchina attoriale) attraverso l'emozione dell'inenarrabile e irripetibile (al contrario della perpetua ripetitivit autoreferenziale dello S) e prima ancora di essere detti dal linguaggio, che bara sempre al gioco. Nemmeno il senso vuoto freudiano (Thanatos), per molti aspetti rivoluzionario, che sta al fondo della psicanalisi, basta: il vuoto di senso (Deleuze) che mi consente di il contatto con l'Altro at
Commento
8198
di giannino cusano
del 21/05/2010
relativo all'articolo
Molinari: Biennale ailati ...ma de che?
di
La redazione
Non ho visto la Biennale, ma se nell'assieme il taglio esemplificato da :
La volumetria si genera come estrusione di un profilo tipo che richiama la forma tradizionale dei tetti a falda.
o da:
un semplice contenitore rettangolare di 78 per 28 metri (...). (...) lo spazio risulta cos illuminato e irradiato senza necessit di consumo di energia
c' da rimanere estasiati d'entusiasmo..
Digerito l'antipasto, arriva la mappazza del primo:
costruzione pensata per consentire la riconversione e il recupero delledificio, progettato per poter essere smontato e rimontato in altro luogo
pure? Dopo aver catapultato l quell'ovviet, stanno per caso dicendo che domani potr essere smontata e fiondata sul cranio di qualche ignaro passante, "somewhere in the city"? Poi dice che uno evade le tasse e col ricavato compera mescalina. Alla pietanza, d'obligo un buon bicchiere, invecchiato in barrique, di Idraulico liquido o di Mr. Muscolo: :
Le pareti esterne sono in struttura metallica, rivestite da pannelli in tessuto siliconico che trasformano la scatola edilizia in una superficie morbida e vibratile
Efficace risposta ecosostenibile alla crisi economica e della chirurgia plasitca.
Ma di cosa si parla, di grazia? Di "reinterpretare" il tetto e "rivisitare" l'estrusione? Di un "semplice contenitore rettangolare" rigorosamente siliconato, per cui la cui superficie miracolosamente rinascerebbe a nuova vita "morbida e vibratile" come una Morosita? E' proprio vero, allora, che il corpo implora il ritorno allinorganico e nel frattempo non si nega nulla (C. Bene)..Invece di cambiare i segni, li imbellettiamo? No, perch l'arte sar pure senza senso (e concordo in pieno con quanti lo sostengono) ma si serve bene di materali che a qualcosa servono, per farli diventare altro.
Ma il tetto, l'estruso, il prisma, a che cavolo servono nell'epoca delle incertezze e della telematica? Ad essere "reinterpretati"? A dare "continuit nell'innovazione"? Ossimori e frasi senza piega e senza una piega.
Bisogna cambiare i segni, non riproporli riciambottando salsine strane: un segno non una ricetta ma una cifra della mente. Mente. Non l'organo sopravvalutato che chiamiamo "cervello", con tutte le sue categorie cerebraloidi ma la mente dello Yogi, il cervello liquido diffuso per il corpo intero, quello tramite cui si de-pensa. Che non ammette schemi o meccaniche prefigurazioni.
Se questa l'Italia architettonica di oggi e di domani ...
G.C.
Commento
8032
di giannino cusano
del 14/05/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
Il cinema si ispira alla vita, solo che la vita si ispira alla tv: folgorante Woody Allen.
Tutti i media a gran voce; tutti: contro la crisi e le speculazioni l'UE stanzia 750 miliardi di euro!!! Un vero trionfo. E le borse a far coro: tanto dura pochi giorni, Che sbornia. Che euforia. E con tanto di applausi a scroscio. Che c' da applaudire? Stiamo finanziando il debito con altro debito. C' da piangere: stiamo celebrando allegramente la craxizzazione dell'UE. Debito pubblico per avere consenso: e l'ultimo chiuda la porta e paghi. Applaudiamo a scroscio come va di moda ai funerali. Un orrore al uale manca solo chi chiede il bis al caro (e)stinto.
Vado alla posta: signora, che fa? Stia in fila. Non ha visto la televisione? C' stata la Rivoluzione. Abbiamo partecipato quasi tutti: i pi dai sof nei salotti, qualcuno in cucina. Ne abbiamo uccisi almeno tre a testa. Lei dov'era, nel frattempo?
750 miliardi: Bush? Obama? Roba da dilettanti, quello che hanno dato a banche e assicurazioni in crisi. Noi siamo la grande Europa! Applausi al funerale. In cui, per, il cadavere quello che ci portiamo addosso ancora vivo. Sottoscriviamo felici altri 20 anni di ulteriore schiavit. Debito su debito: e chi paga? Ora l'UE, di fatto, pu imporre tasse. E' un fatto: un arbitrio deciso in 2 giorni contro gli accordi di Lisbona. E invece, gi applausi! Abbiamo rinviato la Morte. Ci toccher lavorare quasi gratis nei prossimi decenni e applaudiamo felici. Aveva ragione la Merkel, ma l'hanno piegata, alla fine. Ora ha ceduto: brindiamo all'inflazione che verr e alla disoccupazione che si porter inevitabilmente dietro!.
E' cos che s'informano i fatti (Derrida, Bene).
La parola stanca. Stanca di portare acqua al mulino di questo o di quello, di una tesi o di un'altra. Stanca di essere funzionale a qualcosa. Di dimostrare alcunch. Stanca del senso. La parola, la forma, il colore. Portatori d'acqua del senso preconfezionato. Di prendere parte al banchetto del discorso, perch ogni discorso postula un resto. E resto su resto (ri)produce accumulazione: il rinvio della Morte a data da destinarsi.
La poesia no. La poesia la festa della parola o della forma che non d resto: un gioco a somma zero. La parola viola, cos., le fondamentali leggi costitutive della parola e del linguaggio. E se questo insorge contro le sue stesse leggi (di accumulazione), mette in scacco il senso. Gi: ma allora, non proprio questo il suo senso? Nient'affatto, perch nel sottrarsi alla proliferazione del senso non si annichila. L'annichilimento proprio il suo contrario: la proliferazione del senso. Il logocentrismo di Derrida. Il resto economico: il suo utile il senso. La poesia si sottrae all'economico, alla proliferazione vitalistica e fascistica del senso, alla sua accumulazione come (mitologia dell') immortalit: tema baudillardiano. Centrale ne Lo scambio simbolico e la morte: quello che meglio mi risuona, personalmente.
I significanti tornano ad essere liberi perch duplicabili e scambiabili solo tra loro: costituiscono "mondo" senza rinviare a un mondo, come gli Anagrammi di Saussure prima che si desse alla linguistica. Il linguaggio poetico, insister sempre, non quello della linguistica, che quello mette regolarmente in scacco nonostante i tentativi di Restaurazione del senso degli Umberto Eco e Jacobson di turno. Linguaggio senza funzioni dettate dal modello del potere. E ognuno s'inventi le proprie.
Titoli a tutta pagina: E' morto l'Immortale! Smarrimento e crisi generale.
L'arte la morte del mito dell'immortalit. Prima di dimostrare tesi, credo, Baudrillard un linguaggio poetico: reclama poesia. Ha scritto il poeta, amico e concittadino Vito Riviello, recentemente scomparso:
Tutto il tempo che ho perso
me lo ritrovo in versi
Tutti i particolari in Youtube.
E grazie ancora a Lazier.
G.C.
14/5/2010 - sandro lazier risponde a giannino cusano
Grazie Giannino: puntale, preciso, profondo
Commento
8013
di giannino cusano
del 15/04/2010
relativo all'articolo
Kairos e modernit
di
Paolo G.L. Ferrara
Scrive Ferrara:
Bauhaus sostanzialmente volano della modernit di quegli anni e lo per le idee dei singoli, per gli intenti comuni, per le divergenze. Lo perch introietta la rivoluzione industriale quale semplice evoluzione, la centrifuga con l'etica e la rilancia nel futuro. Ecco perch il Dalla Bauhaus alla rivoluzione informatica non un sottotitolo ma lepicentro del terremoto che scuote gli elementi della sfera/storia sino a configurarne nuove sinergie.
Penso anch'io che la "rivoluzione informatica" non possa essere introiettata in un solo edificio perch, starei per dire "per definizione", l'et dei "sistemi a intelligenza distribuita", prefigurata gi negli anni '70 dall'opzione tra energie "dolci", flessibili e diffuse o energie "dure", rigide e centralizzate. Non c' pi l'idea fisico-geometrica di un centro circoscrivibile e controllabile e probabilmente questo incute un certo sgomento rispetto alle abitudini consolidate. Perch, come sempre, vedere non basta, ma occorre ogni volta re-insegnare alla vista e ri-apprendere a vedere. E questo lavoro non meccanico, ma creativo che compete a ciascuno, non solo a chi deputato a questo. Persino le pi burocratiche normative vanno tendenzialmente attenuandosi e vanno aiutate a sparire per far posto a insiemi elastici, capaci di garantire "prestazioni" in luogo di "prescrizioni" e imposizioni.
Modernit coincide con libert? Penso di si. E se cos, la modernit-libert non dovrebbe essere pensata come uno status o come idea pura e perfetta. In quanto tale, sarebbe un fantasma proiettato dal nostro fantasticare, quindi non la incontreremmo mai nei fatti nemmeno se ci spingessimo indietro fino alla preistoria. Ma se per caso la modernit-libert fosse categoria, sarebbe, in quanto tale inesauribile: mai astrattamente perfetta, ma volta per volta com' e riesce ad essere concretamente.
Dunque ( faticoso) bisogna riconoscerla e accettarla nelle condizioni-occasioni date, a maggior ragione nel presente per il futuro: il ncciolo, mi sa proprio, non fisso n dato una volta per tutte. Si sposta, si contrae, si dilata, muta, si sfaccetta, va pi a fondo. Questo sgomenta solo finch, nelle condizioni date, non si conquista nuova forza di creare ancora e rinnovata libert-modernit. Come sempre.
G.C.
Commento
8012
di giannino cusano
del 14/04/2010
relativo all'articolo
Architettura e modernit
di
Brunetto De Batt
To Vilma Torselli
grazie per il chiarimento. Ora il suo pensiero mi pare pi chiaro: non del tutto condivisibile, per parte mia, ma pi chiaro.
G.C:
Commento
8005
di giannino cusano
del 13/04/2010
relativo all'articolo
Architettura e modernit
di
Brunetto De Batt
To Renzo Marrucci
You wrote :"Pensa un p credevo di aver scritto "cartoccetto" ... forse sarebbe piaciuto di pi ?"
Considerato che catorcio vuol dire chiavistello, catenaccio per serare portoni e per estensione si esteso alle auto malandate, in effetti prlare del Guggenheim come di un catorcio da sfasciacarrozze mi pareva pi ovvio, come giudizio negativo: pi avanspettacolo che dadaista. Dopo la rettifica, il cartoccetto fa pendere pi la bilancia verso il dadaismo. Senza escludere l'avanspettacolo, naturalmente.
E' arcinoto, del resto, che anche un giudizio critico (negativo o no) pu legittimamente esprimersi in forma artistica. Dal disse, per es., che la Bardot aveva due labbra che gli parevano due grondaie :)
G.C.
Commento
8004
di giannino cusano
del 13/04/2010
relativo all'articolo
Architettura e modernit
di
Brunetto De Batt
To Vilma Torselli
Scusi, ma questa non l'ho capita: "Da casalinga di Voghera: se non ci fosse il computer e chi lo sa usare con consumata maestria, Gehry sarebbe un architetto (o un 'creatore di sogni', come da spot a firma di Sydney Pollack) o sarebbe destinato a fare il camionista?"
Vero: il medium il messaggio. Ma allora, da casalingo di Viterbo (che pure peggio dell'equivalente del gentil sesso di Voghera) forse c' anche da chiedersi: senza la prospettiva lineare, l'Alberti sarebbe l'Alberti o sarebbe fuggito in Cina a tirare risci ? E senza la possibilit di curvare industrialmente il ferro, Horta sarebbe Horta o avrebbe fatto il maniscalco? E senza la tecnica per incurvare il legno, Thonet sarebbe per caso andato a impagliare civette e barbagianni? E senza le macchine che possono modellare "cerchi, quadrati, triangoli" Wright sarebbe mica stato un invasato predicatore di periferia?
G.C.
Commento
7997
di giannino cusano
del 12/04/2010
relativo all'articolo
Architettura e modernit
di
Brunetto De Batt
To Marrucci
" catorcetto metallico di Bilbao": la trovo divertentissima. Non la condivido, ma un'invenzione linguistica sospesa tra dadaidmo e avanspettacolo. Immagino, peraltro, che tu non ami il dadaismo, ma insomma: poco male :)
G.C.
Commento
7992
di giannino cusano
del 11/04/2010
relativo all'articolo
Architettura e modernit
di
Brunetto De Batt
To Renzo Marrucci
scusa, Renzo, ma parli in linguaggio cifrato? Chi sono J.N., R.P., F.G.?
Non ho letto il libro di Saggio, quindi non ho titolo per parlare. Stimo moltissimo l'autore, quindi non mancher certo di acquistarlo e di leggerlo attentamente, come sempre meritano le cose per nulla banali che l'autore propone. Come condizione al contorno, a me sembra -e l'ho sostenuto anche in questa sede, in tempi non sospetti- che sia quanto mai necessaria una lettura pi di lungo periodo dell'esperienza moderna, dalla fase eroica dei pionieri ai giorni nostri. Poi, si pu essere o meno d'accordo con questa o quela lettura o col percorso complessivo che ci viene proposto: mancherebbe. Ma penso pure che la misura della bont di un libro stia anche nel dissenso che sa suscitare, non solo nei consensi.
Ci detto, a me non sembra affatto che l'et dell'informatica possa, in s, venire considerata come una jattura. Ho sempre sostenuto, anzi, che l'unica obiezione che mi sento di fare a Toffler, specie nel contesto europeo, che dubito che la rivoluzione informatica possa maturare in tempi culturalmente e socialmente utili se non la si aiuta con scelte chiare e precise azioni di "governo" e di consapevolezza delle cose. Il che presuppone una chiara presa di coscienza dei mutamenti che essa induce e delle possibilit che offre. Che poi le si giudichi male, mi pare che non tolga che, proprio per questo, occorre farci i conti. Cosa per la quale i "vade retro!" e gli esorcismi non hanno mai funzionato. Basta rileggewre l'Inno a Satana di Carducci per capire che l'ottimo Giosu c'era arrivato un secolo e mezzo .fa, pi o meno.
Il tema, poi, personalmente mi interessa molto. Anche perch dai tuoi interventi in modo particolare, Renzo, mi pare di essere tornato ai tempi delle polemiche di William Morris contro le macchine e l'et da esse innescata. Polemica sacrosanta, sia chiaro, per i punti fermi e gli interrogativi che ha posto in modo perentorio e che esigevano delle risposte altrettanto nette. Senza quei paletti e quegli interrogativi, non si sarebbe andati oltre Morris, probabilmente.
Ma la lezione avremmo dovuto impararla, da allora. E forse riproporre un dilemma morrisiano nel 2010 non aiuta molto. Non mi pare, cio, che i termini della questione siano quelli della seconda met dell'800; mi pare, anzi, che porli in quei termini sia fare un grosso salto indietro senza alcuna seria ragione. Specie dopo "the Art & Craft of the Machine" del 1910: cento anni or sono. In questa sede torno anche dire, e chiudo, che forse "The Art & Craft of the (Virtual) Machine" attende ancora essere compiutamente scritta. E probabilmente (lo legger anche per questo) il libro di Saggio delle risposte e degli interrogativi li pone anche in questa direzione.
G.C.
Commento
7980
di giannino cusano
del 04/04/2010
relativo all'articolo
Il 'particulare' di La Maddalena
di
Paolo G.L. Ferrara
Zappal, ma lei, col mondo che corre, Celli che dice quel che dice ecc. ecc. ha tutto 'sto tempo da perdere dietro alla banda bassotti di turno, che a stento passata dalla lettera 22 al foglio elettronco? Il mondo sta andando ad una velocit che non sosteniamo? E corra, corra anche lei, Zappal: vedr che trova da lavorare pure lei. E chi la trattiene?
G.C.
Commento
7977
di giannino cusano
del 03/04/2010
relativo all'articolo
Il 'particulare' di La Maddalena
di
Paolo G.L. Ferrara
Ha scritto Zappal:
Mah! Vi siete mai chiesti come un architetto (libero professionista) in Italia possa trovare lavoro? ...
Proprio questo il punto: nessuno se la piglia col professionista, mi pare. Ma se le condizioni al contorno sono queste e sono cos riduttive, forse occorre averlo ben chiaro, denunciarlo senza mezzi termini e porsi il problema anche di come e cosa fare per modificarle. Altrimenti, tutto si spiega, tutto si giustifica e a tutto acriticamente ci si abitua. Poi, ciascuno si regoli e prenda il posto di combattimento che crede: ci mancherebbe.
G.C.
Commento
7970
di giannino cusano
del 02/04/2010
relativo all'articolo
Il 'particulare' di La Maddalena
di
Paolo G.L. Ferrara
Caro Ferrara, ancora una volta un articolo in larghissima misura condivisibile. Mi soffermerei su un passaggio iniziale e assai importante: "il potere si necessario ma non lo il rubare", Mi sembra una chiave importante di tutto lo scritto.
Mi chiedo, anzitutto, perch, specialmente in Italia, avere a che fare con il potere comporta sempre pi il ladrocinio? La risposta appare ovvia: perch .si tratta di poteri non soggetti ad alcun controllo. E in modo particolarmente acuto quelli generatisi attorno alla Protezione Civile, che per by-passare un potere corporativo e incontrollato ha dovuto e voluto configurarsi come un potere ancora peggiore. Un po' come ricorrere a un capo mafia per sistemare il ras del quartiere e tantare, cos, di sottrarsi alle sue angherie. Ma c' un'altra conseguenza, in tutto ci, assai pi grave, frutto del combinato disposto di efficientismo e consumismo..Se si vuole, dell'efficientismo nella sua pi recente versione: quella del marketimg, del paghi 2 e compri 3, dell'usa e getta, del "tutto a portata di mano" come negli scaffali di un supermercato.
Cos stato per le case de "L'Aquila", cos + stato per la Maddalena. "Problem solbving": la formuletta magica della societ manageriale e finanziarizzata, che ha ormai soppiantato quella industriale classica che aveva i suoi tempi di latenza e di attesa, le sue messe a regime, i suoi margini di previsione e prefigurazione e in questo una forte connessione con la tempistica della societ agricola da cui pur discendeva.
Oggi non pi cos. E gli incazzati sono quelli che si sentono tagliati fuori dalla possibilit di allungare un braccio e servirsi da un espositore, qualsiasi cosa acquistino: uno stereo, un pc, una confezione di DVD, una casa in sostituzione di quella terremotata, un centro nautico e congressi alla Maddalena.
Occorre far presto, perch altrimenti la concorrenza ci batte. E occorre anche riconoscere che in questa managerialit Berlusconi bravissimo: sa intercettare la rabbia e lo scontento, da un lato, dall'altro bisogni immediati, non pi differiti o differibili, al di l o al di qua delle conseguenze. Degli "usa e getta".
A questo non si sa dare delle risposte pi efficaci e serie. Allora la cultura non serve pi, al ciclo perverso del "tutto a portata di mano: prendi e passa alla cassa". Non serve farsi domande: l'importante "fare". Fare purch sia. E in questa lofica si finisce trascinati fatalmente anche se si "all'opposizione", se non si vuol restare indietro e scoperti rispetto alla concorrenza. Il prestigio un orpello inutile e progetto e progettista degli optional.
Fare a qualsiasi costo: anche a quello di rubare o di inserire dei ladroni nel circuito. L'importante che "facciano" e faccciano in fretta. E credo che Boeri sia in qualche modo rimasto preso in questo ingranaggio del fare e dei suoi inevitabili costi: al di l del fatto che sono convintissimo che nel gioco di ruberie non c'entri proprio nulla. Ma in quello dell'efficientismo consumistico, ultima versione di quello industriale e ormai obsoleto, si: c'entra eccome. Lui dice "la politica, l'impegno politico" ma non si , forse, mai dato il tempo di riflettere su un dato: che la politica non esiste pi, nelle sue forme codificate. Che non pi un linguaggio, che ormai priva di messaggi, di emittenti e riceventi. Che un'altra cosa: tecnostruttura del "fare" che esonera da qualsiasi giudizio o riflessione responsabile. E' questa la "Banalit del male" in versione odierna, tanto cara ad Hannah Arendt? Mi sorge il sospetto di si: prendi, usa, getta, qualsiasi cosa sia. Non chiederti altro, perch l'automatismo e la rapidit dei gesti esonerano dalla capacit stessa di formulare un giudizio morale e critico. Boeri ha sentito la necessit di interrogarsi sull'intero percorso della vicenda della Maddalena, sul sito di Abitare. Senza centrare, a mio avviso, il tema, ha oscuramente avvertito di essere dentro ingranaggi che vanno quasi in automatico.
Il progetto quasi non esiste pi, se non come garante dello statu quo. Ma il progetto come alternativa allo statu quo non si concepisce nemmeno. Salvo, poi, meravigliarsi se per uniche apparenti alternative, che non lo sono affatto, si scambiano impossibili ritorni al bel tempo che fu, che a ben guardare non fu mai se non nella nostra astratta fantasia. I futuri e quali futuri? Non problema, non esiste: l'essenziale non essere tagliati fuori dal ciclo del consumo. Produrre per consumare: anche edifici. L'importante il presente: un presente senza conseguenze e senza prospettive. Che proprio per questo, nei suoitecnicismi, sembra esonerarci da ogni responsabilit. Ma una tragica illusione: e infatti spesso le responsabilit ci ripiombano addosso senza che ci fossimo accorti di averle assunte. Lasciandoci di stucco e un po' smarriti: com' possibile? Io, proprio io ho contribuito a tutto questo?.
Commento
7816
di giannino cusano
del 01/03/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
X Renzo
Parlare e scrivere, "fare cultura", a me non basta. Dal mio punto di vista riflettere assiame serve ad agire mettendo a fuoco linee d'azione efficaci: non sempre ci si riesce ed occorre esserne umilmente consapevoli. Decenni di pagine, spesso di altissimo livello, per trattare per esempio la "Questione meridionale" sono state utili e importantissime, da Giustino Fortunato ad Antonio Gramsci a Manlio Rossi Doria, Francesco Saverio Nitti e all'ottimo Francesco Compagna, per citarne pochissimi. Ma qual il punto in cui il pensiero diventa azione? Come lo si innesca? Molti, specie liberali eretici, hanno riflettuto sui rapporti fra politica cultura. Ma ora di dire che la politica (nel senso nobile, non quella partitica) E' cultura e viceversa, o finiremo sommersi dalle idee e scollati dal mondo.
Carlo Rosselli, avendo compreso che occorreva combattere Franco per indebolire Hitler e Mussolini, e dopo aver fatto opera di persuasione, part per la Spagna con la Colonna Italiana di Giustizia e Libert. Non attese certo il placet da Mosca, come invece decero i partiti repubblicano, socialista, comunista. Cosa che avvenne molto tempo dopo e secondo le convenienze del Cremlino. Part e basta..
Benedetto Croce ha scritto un bellissimo libro: "La storia come pensiero e come azione". Andrebbe studiato fin dalle scuole medie. Quando pensiero e azione giungono a coincidere pienamente, il che raro, storia e poesia combaciano. E questo particolarmente vero per la cosiddetta "urbatettura".
Ma a mio avviso in Italia siamo ormai a mezza via tra la Repubblica di Weimar e qualcosa d'altro che non (o)so immaginare.
"Tutta la nostra giovinezza abbiamo gettato nella lotta senza badare a rinunce per riconquistare la libert perduta" disse, appena eletto Presidente della Repubblica, Sandro Pertini.
E oggi?
Ciao,
G.C.
Commento
7815
di giannino cusano
del 01/03/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
Pagliardini ha scritto:
"ieri ho dato la mia firma alla Lista Bonino-Pannella, come ho fatto tante altre volte, non perch poi li voter (neanche a parlarne oggi, anche se l'ho fatto in passato) ma perch la chance va comunque garantita, non dico a tutti (per motivi pratici) ma in base a regole uguali per tutti."
ed , volrairianamente, lo spirito giusto: si consente ad altri di concorrere e a ciascuno di avere una possibilit di scelta in pi. Si pu firmare una lista anche solo per votarle contro: pi che legittimo. Ma, appunto, per votarle contro bisogna che si presenti.
Il solito, annoso problema degli autenticatori: attualmente oltre 200000 + 100000 persone autorizzabili dai Sindaci = 300000 (trecentomila). Eppure spesso si sono dichiarati non disponibili, magari perch aderenti ad altri partiti.
Come sia, negli anni '90' in Basilicata offrii pubblicamente e molto volentieri tavolo e autenticatore, di cui disponevo, a tutte le liste che avevano problemi di Cancelliere. Qualcuno se ne avvalse. E non immaginavo che la cosa rimbalzasse fin sui TG nazionali, ma and proprio cos.
A curare il proprio orticello minando nottetempo quello del proprio vicino c' il rischio, una mattina o l'altra, di saltare tutti per aria ... :)
La ringrazio,
G.C.
Commento
7803
di giannino cusano
del 16/02/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
Bene, Giusti: le sono assai grato di questo suo intervento.
A ottobre del 1995 firmai come "direttore responsabile non iscritto all'albo dei giornalisti" un numero ad hoc di "Rivoluzione Liberale", un foglio A3 che, predenunciandomi asssieme a data, ora e luogo, iniziai a distribuire a Trastevere. Dopo un po' si presenta un signore e senza dire una parola tenta di prendermi tutti i giornali. Gli dico "Uno, se lo vuole: non tutti" e quello urlando e cercando di strapparmi tutto di mano:"MI DIA QUEI GIORNALI!". Gli urlo "COSA VUOLE, LEI? NE PRENDA UNO E BASTA!" e allora quello caccia un tesserino della Digos. Sono stato denunciato per diffusione di stampa clandestina e altre amenit del genere. Con me, anche il prof. Romano Scozzafava, docente di Statistica e Calcolo delle Probabilit all'Universit di Roma e uno dei massimi matematici italiani: anche lui aveva firmato il suo numero di Rivoluzione Liberale. Sto ancora aspettando il processo. Vorrei tanto che un Giudice mi levasse una curiosit: come mai la Costituzione garantisce a tutti i cittadini la libera espressione del pensiero attraverso la parola e lo scritto, e poi bisogna sottostare all'Albo dei Giornalisti persino per fare un giornalino di quartiere col ciclostile. Norma fascista, come l'Albo dei Giornalisti e gli Ordini, utile solo a controllare chi e cosa scrive, dato che anche un giornalino deve avere gi l'autorizzazione della Questura e chi scrive personalmente responsabile penalmente e civilmente di ci che scrive, indipendentemente dalla sua isrcizione all'Albo. Ma non ho avuto ancora l'onore e il piacere di un processo e temo che mai lo li avr.
Le dico questo per dirle che fu un buco nell'acqua e che si, va benissimo, sono pronto pure a finire dentro, ma bisogna fare in modo che la cosa colpisca nel segno e non venga sommersa dalla bambagia di regime Soprattutto, che faccia saltare contraddizioni dentro gli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri. Ci penso spesso e faccio il possibile perch la cosa maturi nel migliore dei modi.
La ringrazio ancora :)
G.C.
.
Commento
7801
di giannino cusano
del 16/02/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
PS: tornando all'architettura, intendo solo dire che da noi non fa eccezione dall'andazzo generale. Chi conta si d delle regole ben sapendo che non potr o vorr rispettarle. Esattamente come quella delle firme per le liste elettorali.
Per fare un solo esempio, le regole della deontologia professionale dell'Ordine. Che imporrebbero, a tutela degli iscritti, la sospensione di persone come Casamonti indipendentemente dall'esito delle azioni giudiziarie. Perch? Semplice: perch c' pi di una sua chiara ed esplicita ammissione, conosciuta via intercettazioni telefoniche, di aver contribuito a falsare concorsi: violando cio il principio di libera concorrenza delle idee. E l'esito giudiziario della sua vicenda, come il giustizialismo, non c'entra nulla. C'entra un organo di garanzia che quando necessario non garantisce nulla e nessuno, in barba ai suoi stessi statuti che viola sistematicamente. Specie nei confronti di chi verosimilmente, paga bene perch lavora tanto: con i sistemi che sappiamo!
Ottima occasione, dunque, perch gli iscritti onesti e corretti si autosospendano, in mancanza del rispetto delle regole che l'Ordine (di Stato!) a chiacchiere si dato. Qualcuno, in quasi un anno e mezzo l'ha fatto ? O almeno ci ha pensato? Nessuno! Io non posso, perch con questa Corporazione non ho n voglio aver nulla da spartire. E prima o poi, previa autodenuncia all'autorit giudiziaria, inizier a firmare progetti a chiunque, con la dicitura in bella vista "GIANNINO CUSANO, NON ISCRITTO ALL'ORDINE DEGLI ARCHITETTI" , se pi avere efficacia: non ho la vocazione di Giordano Bruno o di Savonarola.
Ma di cosa ci si lamenta, se non ci si ribella con i fatti, invece che con lamenti e mugugni? Continuiamo ad andare ai sabati fascisti in camicia nera, giudicandoli delle buffonate e mugugnando malumori, solo perch non si campa senza? E con chi ce la pigliamo, poi, se non anzitutto con noi stessi?
Commento
7798
di giannino cusano
del 16/02/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
Non so se i designer italiani di successo sono corrotti, come suggerisce Giusti, o no. So che ogni giorno che passa le leggi in Italia sono sempre pi un optional, anche (non solo) perch troppe e confuse. E parto da cose piccole: queste elezioni regionali prossime venture, all'insegna della pi totale illegalit6 e spregio delle regole. A sinistra come a destra, nel PD come nel PdL. Le firme, per es.: per presentare liste, se non si gi in parlamento regionale, occorre raccogliere firme autenticate e certificate da pubblici ufficiali che siano sul posto. Il PD deve presentarle, perch 5 anni fa non c'era. Vi pare che abbia difficolt? Nessuna: piglia un po' di elenchi vari e "firma" a filo dritto in nome e per conto di ... poi firma anche per eventuali liste civiche e liste civetta. A volte, si fanno le candidature DOPO aver raccolto le firme: cosa illegale, perch i cittadini per legge devono sottoscrivere liste gi formate. Per Forza Italia e AN, quando c'erano, era lo stesso. E sar lo stesso per il PdL. Intanto, chi rispetta le leggi non ha nemmeno il supporto della pubblica (dis)informazione e deve spendere, oltre tutto, un mucchio di tempo per spiegare ai cittadini come mai sta chiedendo loro una firma.
A qualcuno viene in mente di cancellare questa legge inutile e infame? No: perch fa conodo eliminare sulla linea di partenza dei potenziali concorrenti scomodi attraverso l'illegalit e la concorrenza sleale. Ecco un esempio piccolo ma assai significativo: le leggi si fanno per fottere i pi deboli e "i fessi" che le rispettano. Il che significa: caro cittadino onesto, vuoi cavartela anche tu? Impara anche tu a non rispettare le leggi, allora: ecco come la corruzione dilaga. E questo discorso vale per l'abusivismo, i concorsi di idee e di architettura che non si fanno e se si fanno solo per fottere le idee, e cos via.
E non per parlare di politica: che ovunque ti giri trovi situazioni analoghe. Una ricerca condotta in sede UE ha documentato che tra i paesi europei l'Italia , nella percezione dei suoi cittadini, il paese pi corrotto d'Europa dopo la Grecia.
Ma allora: un miracolo che persone come Stefano Boeri, ottimo professionista a mio modo di vedere, riescano ancora a mettere ancora a segno qualche risultato, fino a priva contraria.
La situazione pericolosissima e noi viviamo e discetiamo tranquilli della crisi, di come ne usciremo ecc. , ma siamo ridotti peggio di Weimar. Quando dici cose del genere, ti danno della Cassandra, dell'esagerato. Salvo poi che subire tutto questo non tocchi proprio a quelli che fino al giorno prima ti accisavano di disfattismo e di pessimismo. E ne ho viste mica poche, di situazioni del genere, nella mia vita. Durante l'assedio del ghetto di Varsavia i pi colpevoli, a mio avviso, non furono tanto i nazisti, ma quelli che ai tavoli dei caff nelle piazze poco distanti continuavano indifferenti a ordinare ostriche e a brindare a chanmpagne, come se nulla stesse accadendo. Come se, una volta eliminate certe anomalie (=persone) la vita potesse tornare bella e felpata e da godere come prima. E lasciamo pure che crepino quegli altri, allora. Purch serva a tornare quanto prima alla normalit, a caviale, pellicce e champagne e purch non tocchi a noi. Salvo poi che il destino dei pochi non fa che prefigurare quello di tutti.
Sono anni che dico che l'aria in Italia mefitica. E in cambio, il rompicoglioni sei tu, non chi viola le leggi in modo sistematicxo. E sono anni che dico che prima o poi finir per chiedere ASILO POLITICO a un altro paese UE e che bisognerebbe essere in tanti. Non una boutade o un'esagerazione: in questo paese la democrazia commissariata da oltre mezzo secolo: un fatto non pi solo formale, ma ridotto ad apparenza. E oggi che sente la stessa necessit di asilo politico all'estero anche il mio amico Pannella con altri che se ne stanno convincendo, spero che si sar in molti e che la cosa abbia un qualche effetto su questo paese dormiente. Male che vada, si star in buona compagnia. Il Fascismo non mai morto, in Italia, e non necessariamente si chiama destra o va identificato con Berlusconi.
L'ignoto non deve far paura: deve spaventare il gi noto e l'abitudinario, specie quando le abitudini sono quelle, pessime, che tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi.E non si fa assolutamente nulla!
G.
Commento
7793
di giannino cusano
del 14/02/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
Caro Pagliardini, certo che sono d'accordo. Il problema non "cambiare la natura umana": il punto conoscerla e tenerne conto attraverso poche leggi e chiare. Soprattutto, facendole rispettare: ognuno di noi onesto fino a quando non si comporta disonestamente e il platonismo per cui gli onesti devono governare non ha senso, dal mio punto di vista. Ha senso prevenire il pi possibile le occasioni di poteri non controllabili, dunque corruttibili.
Nemmeno io leggo la storia sotto il profilo della corruzione, ma le Corporazioni (e gli Ordini ne sono parte) sono poteri incontrollabili e incontrollati. Quando si formano le terne tra le quali scegliere poi chi deve andare in commissioni edilizie per pilotare appalti in cambio di incarichi, il diritto che va in crisi: non tutto cos, sia chiaro. Ma i punti caldi sono stati gestiti spesso in modo fraudolento. Lei provi a suggerire il sorteggio, e poi mi dica se viene adottato. Era cos persino per gli scrutatori elettorali. E allora: questi Ordini prenderanno provvedimenti? Si, se conviene loro dissociarsi da chi delinque, isolarlo per proteggere il sistema.
Denunciare la corruzione non moralismo pericoloso: indispensabile per capire le storture del paese. E purtroppo dai tempi di Bonomi e di Federconsorzi, per fare un solo esempio, le cose sono andate cos. Regole sbagliate fatte ad uso e consumo di un sistema corporativo che inevitabilmente si corormpe e corrompe. Queste cose le scrisse e denunci puntualmente uno dei miei maestri, Ernesto Rossi, che dopo il confino a Ventotene con Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni, anche dopo il fascismo continu a fare entra ed esci in galera per averle denunciate. Tanto da scrivere un corposo e interessantissimo "Elogio della galera" edito da Laterza. Non leggere la storia sotto il profilo della corruzione: ma se il sistema tarato su questo uno che fa? Non lo dice?
Poche leggi e chiare: ma intanto, pi si invoca questo slogan sacrosanto, pi nei fatti si va nella direzione contraria. C' da chiedersi "come mai?", no?
Quando gli rimproveravano di essere pessimista, Leonardo Sciascia rispondeva "Non sono io pessimista: la realt, che pessima!" Chi riformer questo paese nei pochi punti caldi in cui ne ha bisogno, se pi quanto pi si parla di riforme tanto pi nei fatti si fanno controriforme?
La saluto
G.C:
Commento
7787
di giannino cusano
del 13/02/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
Gli Ordini? Ma se l ha sede la Cupola , cosa ci si aspetta che facciano? Che sconfessino i propri affiliati tradendo s stessi? Sia chiaro: quando dico "affiliati" non mi rifersico indiscriminatamente a chi iscritto; dico solo che la Cupola ha il suo nocciolo infetto in una polpa viva che ne viene pian piano fagocitata. Gli Ordini vanno abrogati dal basso: con la scure, se necessario. Ma la vedo difficile. Il livello di corruzione e di degrado civile del paese ormai al di l di ogni immaginabile soglia. Il che significa che siamo pronti ad accettare supinamente qualsiasi avventura cieca e illusoriamente salvifica.
G.C:
Commento
7789
di giannino cusano
del 13/02/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
Renzo, sono convinto da tempo che gli Ordini vadano abrogati. La vedo dura, ma ne sono convinto. Il resto di quelllo che hai scritto, bench vi colga come un flash, un barlume di vita, francamente non l'ho compreso nemmeno affidandomi ai lati pi captanti del mio pur pullulante inconscio :)
Ciao
G
Commento
7775
di giannino cusano
del 31/01/2010
relativo all'articolo
Il Piano Casa in Sicilia e il Ponte di Messina
di
Leandro Janni
Caro Pagliardini,
comunicare non cos semplice, nella vita: In genere bisogna replicare e controreplicare pi volte per comprendere i reciproci messaggi, se ce n' la violont, reiterandoli.
Non credo di averle mai attribuito una sporta di difesa d'ufficio dei condoni. Lei scrive :" un edificio condonato per legge un edificio regolarmente autorizzato: pu non piacere ma cos." Ecco: cos ma. piaccia o no, questo un gravissimo buco legislativo: un errore. E in un sistema civile gli errori legislativi vanno corretti. Tutto qui, il mio pensiero. E il suo mi , ora, pi chiaro: il che non che un bene.
Mi permetto un'ultima serie di considerazioni, dato che questa non una conversazione privata ma pubblica, credo che serva ricordare alcune cose.
Se guardiamo i dati, sono davvero sconfortanti: nei 2 anni che precedettero la legge 45/87, per il solo fatto che se ne attendeva il varo annunciato "urbi et orbi", gli abusi (in 2 anni!) in Italia furono 230000 (duecentorentamila!). A Ischia gli edifici abusivi, integralmente o no, sono stati 60000 (sessantamila) negli ultimi 10 anni, per lo pi gestiti da 64 clan camorristici che hanno trovato la California nei condoni. Non che un esempio.
Non per autocitarmi, ma solo per narrare un'esperienza diretta tra tante. Negli anni '80, anche in concomitanza della Mostra-Convegno all'In/Arch "La citt vuota", che contribuii ad organizzar e nella quale esposi con altri 31 giovani, feci una durissima battaglia a Roma al fianco dei giovani imprenditori. Erano figli e nipoti dei palazzinari romani, ma segnarono un cambio generazionale di rilievo perch non si trattava pi di persone che al massimo avevano la terza elementare. erano tuitti ingegneri e architetti con una cultura ben diversa. L'immobilismo ambientalista, in quegli anni, chiedeva il blocco totale delle licenze edilizie. I giovani imprenditori chiedevano, invece, a gran voce l'atttuazione e il rispetto del PRG del 62, quelo di Piccinato, per capirci. Era una posizione assai responsabile, ma il clima di paralisi era tale che la malavita organizzata (e non dei semplici poveracci bisognosi) gestiva l'abusivismo persino nelle borgate. 500000 (cinquecentomila) vani abusivi solo a Roma. E lo dissi senza mezzi termini a un noto esponente di Italia Nostra in un dibattito pubblico: voi siete responsabili del clima che ha portato a 500000 vani abusivi a Roma, nonch alla devastazione dell'Agro e dei Comuni limirtofi, a scopo preventivo da parte di chi non trova casa nella Capitale e si riversa a frotte a Monte Porzio piuttosto che a Morlupo o a Mentana. Le lascio immaginare cosa successe alla mia uscita. A ogni buon conto, quegli imprenditori che chiedevano semplicemente il rispetto e l'attuazione del PRG, si sono visti spesso e volentieri anche incendiare le auto.
Allora: tutto giusto, tutto fila, nel suo discorso, a patto di integrarlo con alcune cose. In questo clima, che pure peggiorato di molto da quegli anni, io non me la sento di sostenere che un abuso sanato riporta chi lo ha commesso e l'edificio nelle stesse condizioni di chi ha costruito con regolare permesso. In USA chi riporta capitali dall'estero esportati clandestinamente, paga non il 5 ma il 40% e viene iscritto in un apposito registro e tenuto d'occhio a fucili spianati. Ma se non fa rientrare i soldi e lo beccano, sono guai molto pi seri. Parliamo di un paese che considero assai libero e democratico, personalmente: non certo di Cuba, della Cina o del Vietnam.
Credo che il danno che l'abusivismo comporta su un bene scarso, e a pubblica tutela come il suolo, vada ben al di l degli oneri concessori e poco altro, di scarsa entit: tanto che l'abuso conviene e paga. Se conviene, non questione di inasprimento della pena ma di inadeguatezza sanzionatoria. Trovo auspicabile, allora, che l'istituzione di pubblici registri, consultabili anche in Internet, degli immobili abusivi, nonch un registro di chi li commette, come misura transitoria per passare a un regime di prevenzione e repressione vera degli abusi. Nonch andrebbe introdotta l'impossibilit ( non retroattiva, ovvio) di accedere ad altri benefici, per quell'edificio, come ampliamenti di cubatura concessi per legge (non per variante di piano)..Credo che la commerciabilit degli edifici abusivi, bench sanati, subirebbe un colpo notevole. Certamente, in via formale, lei ha ragione. Ma l'efficacia e l'effettivit delle leggi tutto, o quasi: quale che sia il colore delle regioni in questione. .
L'affermazione di Janni forse stata un po' troppo succinta, ne convengo, ma il tema era altro e complesso. A ogni modo, la ringrazio per l'attenzione e la pazienza: credo che essersi soffermati su questi temi, bench collaterali ma pertinenti e non trascurabili, sia servito e serva. Mi fermo anch'io, anche perch non avrei molto da aggiungere.
Cordialmente,
G.C.
Commento
7772
di giannino cusano
del 30/01/2010
relativo all'articolo
Il Piano Casa in Sicilia e il Ponte di Messina
di
Leandro Janni
Caro Pagliardini, lei mi attribuisce affermazioni non mie. Mai invocate leggi e pene pi severe in vita mia. Sto solo parlando di certezza del diritto e della sanzione. Non mi interessa se a praticare condoni "integrali" la destra o la sinistra. Mi interessa che dall'85 che andiamo avanti a condoni: sono 25 anni. Con la legge '47/85 si disse che si faceva un grande condono che avrebbe messo fine agli abusi. Infatti si visto.
Lei fa il garantista all'incontrario: parte dalla coda ma non si interroga sui presupposti.
Le ho citato l'esempio della 765/'67 . per chiarire come in Italia sia passato il "principio" della pi totale discrezionalit. Che la negazione del diritto. Non mi dica che non sa come vanno certe cose: si lasci alla totale merc di ras e potentucci locali la gestione degli abusi edilizi. Ed chiaro che a quel punto chi ha i propri clientes-elettori tra i cittadini che lo votano, mai e poi mai reprimer i condoni.
Lei invoca il Fascismo, la pretesa di perfezione e altri discorsi del genere.
Salvo presumere un'umanit perfetta quando si tratta di giudicare gli esiti dei concorsi di architettura: allora non ci sarebbe miglior giudice, a sentire lei. Strana contraddizione, le pare? .
Evidentemente, dunque, per lei in Inghilterra, Francia, Germania, Danimarca, Svezia, Olanda vivono uomini quasi perfetti, dato che l'abusivismo edilizio un fenomento di proporzioni assai modeste rispetta all'Italia. Io non penso che l vivano uomini quasi perfetti: penso,. laicamente, che qui in Italia, specie in campo edilizio e urbanistico, si legiferi male. E quando in un paese si legifera male, invocare le leggi dello Stato quasi fossero il Vangelo senza chiedersi come funzionano, da quale logica perversa scaturiscano e che meccanismi perversi instaurino significa bendarsi gli occhi. Il problema non equiparare il condonante a tutti gli altri (e anche se lo fa una regione rossa, sono contrario lo stesso): il problema applicare le leggi. E se non funzionano, cambiarle.
Oltre 20 anni fa il mio amico Marco Pannella era consigliere circoscrizionale a Ostia. Riusc a far abbattere un edificio abusivo: fu, se non il primo caso in Italia, quasi. Apriti cielo: si scaten il finimondo. I giornali dissero che era povera gente bisognosa, e non era bero; che era un atto autoritario, ecc. ecc. Tutto il solito repertorio al'italiana del garantismo all'amatriciana, alla Alberto Sordi.
Caro Pagliardini: le leggi si rispettano, non si aggirano con escamotage ministeriali pur di non perdere clientele. E se le leggi alimentano le clientele, le si cambia. Questo mi dice il mio essere laico, liberale e garantista. Qui vogliamo garantire i condonati: ma quelli .che si comportano correttamente come li tuteliamo? Dicendo loro che sono dei poveri fessi che rispettano le leggi?
Basta condoni, Pagliardini. Le leggi non valgono per tutti tranne che per noi, all'italiana: valgono anzitutto per noi.
G.C:
Commento
7773
di giannino cusano
del 30/01/2010
relativo all'articolo
Il Piano Casa in Sicilia e il Ponte di Messina
di
Leandro Janni
ERRATA CORRIGE
nel commento n. 7772, l'ultima frase alle righe 10-11 :
ERRATA
"Ed chiaro che a quel punto chi ha i propri clientes-elettori tra i cittadini che lo votano, mai e poi mai reprimer i condoni"
doveva essere:
" Ed chiaro che a quel punto chi ha i propri clientes-elettori tra i cittadini che lo votano, mai e poi mai reprimer gli abusi"
Sorry,
G.C.
Commento
7769
di giannino cusano
del 29/01/2010
relativo all'articolo
Il Piano Casa in Sicilia e il Ponte di Messina
di
Leandro Janni
Caro Pagliardini, pu anche darsi che un condono (che cosa diversa da una sanatoria, peraltro) ponga in condizione di piena legittimit un edificio abusivo, ma questione ancora tutta da assodare e discutere.
In generale nel nostro ordinamento esistono i casellari giudiziari e i precedenti e il fatto che un cittadino abbia scontato la pena non significa che il reato non sia stato commesso: fa precedente e se ne tiene conto in un ulteriore processo per successivi reati. Esiste, inoltre, la possibilit di sospensione temporanea o in perpetuo dai pubblici uffici, o la perdita dell'elettorato passivo, in alcuni casi, e possono evidentemente prolungarsi ben oltre la fine della pena.
E, a propostio di laicit, trovo per nulla laico il principio della normativa autosconfessante, tutto italiano e pesante eredit della Controriforma e delle leggi ecclesiastiche dell'Inquisizione.
Ne vuole un esempio? L'art. 6 della legge 765/1967 prevede la demolizione di edifici abusivi o di loro parti abusive: e fin qui mi pare tutto chiaro. Dov' l'autosconfessione? Nella Circ. Min. Ll.Pp. 3210/67 intitolata "Istruzioni per l'applicazione della L.765/67", se ben ricordo, (la 765 si chiamava anche "legge ponte" perch doveva essere il tramite tra la vecchia 1150 e un'organica riforma urbanistica che non ci fu mai, con le conseguenze che tutti abbiamo sotto gli occhi). Cosa dice la Circolare esplicativa 3210? Che nei casi in cui non si pu provvedere alla demolizione, si procede condonando. Quali sono i casi in cui non si pu procedere alla demolizione, la Circolare si guarda bene dal dirlo, behch escluda esplicitamente ragioni tecniche.
Ma allora:
1. l'abuso, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra. La norma si sconfessa da sola: primo punto tutt'altro che "laico" e "liberale"; piuttosto, da Sant'Uffizio;
2.. una Cricolare finisce, di fatto, per prevalere sulla Legge, secondo punto tutt'altro che "laico" e "liberale";
3. questo spesso possibile perch le leggi, specie in materia edilizia e urbanistica, sono farraginose e poco chiare, e quindi necessitano di "interpretazioni" da parte di sacerdoti addetti ai lavori e di circolari ministeriali che, a posteriori, di fatto fanno esse la "legge", in barba al Parlamento, alla sovranit popolare ecc. : altro modo di procedere fortemente illiberale e anti liberale;
4. passato surrettiziamente il principio di eccezione, ora il passo verso la sua acquisizione di legittimit breve: e infatti la legislazione successiva sar un fiorire di condoni, con le conseguenze che ben sappiamo.
In qualsiasi paese civile e liberale il diritto di propriet soggetta a limitazioni di legge. Non fa eccezione la Costituzione italiana, che agli artt. 41 e 42 stabilisce lo stesso principio, al quale tutta la propriet soggetta: quella pubblica quanto quella privata.
Detto questo, le pare che si possa chiamare laico e liberale un paese che legifera in questo modo? In modo criminogeno? E in modo da sollevare in perpetuo paralizzanti confliti di competenze tra organi dello Stato? A me, francamente, pare proprio di no. Intanto, condoniamo allegramente. E chi ha condonato, cio ha fatto il furbo, dovrebbe godere degli stessi diritti di chi ha rispettato le regole? Mi permetto, da liberale, di dubitare: e con forza.
G.C.
Commento
7759
di giannino cusano
del 14/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Ha scritto Lazier:
" fa riflettere sulla situazione attuale, nella quale la chiarezza dei pensieri (e della scrittura) sembra aver lasciato il posto ad una foschia concettuale dove tutto consentito, digeribile o indigesto che sia, purch abbia rilevanza mediatica e convenga un poco a tutti."
e riprendo alcuni passaggi che cita da Zevi:
- "un riesame degli slogan, delle frasi fatte, dei pregiudizi diffusi, della pedonalizzazione indiscriminata dei centri storici all'esclusione di interventi moderni nei loro tessuti."
- "il valore del disordine e dell'imperfetto stato costantemente censurato nell'edilizia ufficiale, per essere riscoperto solo alla fine degli anni Ottanta, quando decostruttivisti rivendicarono il diritto degli architetti di non aspirare pi al puro, all'immacolato, al perfetto, per cercare la creativit nel disagio, nell'incertezza, nel disturbato. Un valore linguistico rinato, di straordinaria portata. "
- "Se indugiamo su temi estetici, linguistici, espressivi perch l'arte anticipa e prefigura il panorama sociale, e noi dobbiamo essere culturalmente ferratissimi per lottare efficacemente sul terreno politico..Su questo terreno, in Italia siamo davvero non al grado ma all'anno zero..."
Qualche minuto da Youtube: un video (Carmelo Bene e Bruno Zevi) su cui vale la pena soffermarsi
http://www.youtube.com/watch?v=CLiQ6E1-A-Y
Importa poco, qui, se Bene sia stato un genio o no, ma pare inevitabile che il suo Grado Zero, la sua carica distruttrice di qualsiasi "rappresentazione " spacciata per "la cosa" e di qualsivoglia "formula", in ogni ordine e grado, fossero agevolmente captati da Zevi.. Contano il ruolo critico dell'azione creativa e quello creativo del giudizio critico.
Capovolgere il tradizionale rapporto tra urbanistica e architettura: "....finora, per convenzione ..., l'urbanistica ha preceduto l'architettura, adesso dobbiamo invertire la sequenza, affinch gli assetti territoriali scaturiscano dal basso, democraticamente, senza pi distinzioni conflittuali tra esigenze collettive e private, senza fughe evasive nelle nozioni di luogo e contesto."
Cammino impervio, difficile, rischioso. Se la "parole" s'impoverisce in nome di slogan e frasi fatte, s'impoverisce la nostra stessa capacit di pensare e prefigurare scenari. E questa mi pare la base della crisi italiana attuale: trasformarla in valore presuppone fiducia nella non ripetitivit del gi visto. Improbabile? Forse, ma non per questo impossibile. Confondere il "possibile" col "probabile" mi pare il grosso equivoco da combattere e dissolvere. .
G.C.
Commento
7757
di giannino cusano
del 13/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Caro Pagliardini, nient' affatto: non voglio tutto scodellato e pronto. Cerco solo di capire e focalizzare, e se lei stesso dice di avere solo gli ingredienti, penso converr che pensare le ricette si pu solo col contradditorio.
Non vorrei, intanto, dimenticare che l'articolo in questione "Zevi 2 lustri dopo". Il che non toglie che si possa continuare "anche" con i Concorsi. Che, per, non vorrei che monopolizzassero il discorso. Ci rifletto. comunque.
Cordialmente,
G.C.
Commento
7754
di giannino cusano
del 12/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Caro Pagliardini,
anche per me sarebbe un gran bene se gli architetti presentassero i loro progetti ai cittadini, li discutessero con loro e quant'altro. Naturalmente, non in 15 minuti a testa :)
L'idea, per, che possano addirittura ribaltare il verdetto della giuria mi suona un po' strana: sia in sede giudiziaria che in sede architettonica. Nel primo caso, infatti, vero che in Italia sono previste giurie popolari, ma anche vero che ci sono 3 gradi di giudizio e che le giurie popolari limitatato alla Corte d'Assise e alla Corte d'Appello, non in Casasazione, e solo per alcuni reati e non i pi gravi. Quelli pi gravi sono comunque esclusi e affidati ai Tribunali, non alle Corti di Assise. Il lavoro dei giurati ha solo un ruolo consultivo e sempre sotto la guida del Collegio dei Giudici, che controllano che la discussione e le considerazioni della giuria siano attinenti alle leggi in vigore; ma ai Giudici che spetta l'ultima parola e la decisione conclusiva. Tanto che alle giurie vengono forniiti dei riassunti degli elementi di prova e di giudizio, non per intero le prove a carico.
In USA, dove peraltro non ci sono leggi scritte, le giurie popolari sono formate, se ricordo bene, da 16 persone e annoverano comunque degli uomini di legge tra i propri membri. Le giurie, vero, decidono a maggioranza (anche 9/7) per l'innocenza dell'imputato o per la sua colpevolezzza, a patto che di ci vi sia la certezza inequivocabile, il che discende dal fatto che il dibattimento in aula resta alquanto diverso, tra USA e Italia, nonostante la riforma del C.P.P. curata a suo tempo da Giulianio Vassalli. Cmq in USA le giurie non comminano pene: cosa che spetta solo e sempre ai Giudici togati. Si tratta cmq di contesti assai differenti.
Naturalmente, non sono un esperto in materia, quindi ho chiesto lumi sia a un'amica avvocato, peraltro molto in gamba, sia a un altro amico che insegna e pratica diritto internazionale e opera in Italia e in USA.
C', poi, una proposta di legge a prima firma l'On.Pecorella, avvocato, che vorrebbe modificare ed estendere i poteri delle giurie popolari, ma ancora una proposta in quanto divide molto il suo stesso schieramento politico, a partire dall'On. Mantovano, ex magistrato e contrarissimo alla proposta Pecorella.
In sede giudiziaria, inoltre, per le giurie, quando decidono come in USA, non si tratta di decidere tra pi scenari, ma solo di decidere in una logica binaria tra due possibilit: colpevole o innocente → SI / NO.
Affatto diversa mi pare la situazione dei concorsi di architettura 1. perch non obbediscono a una logica di tipo binario 2. perch se il verdetto della giuria popolare pu capovolgere quello della commissione giudicatrice, quest'ultima a che serve, se pu fare solo le scelte poi ratificate, a posteriori, da una giuria popolare? Non si capisce che senso avrebbe uno scenario del genere, che di fatto equivarrebbe a dare a quest'ultima solo un potere di veto. E i poteri di veto sono, a mio modesto aviso, la cosa pi antidemocratica della terra. Oltre allo spreco evidente di tempo, risorse, energie da parte della Commissione.
Torno, allora, a dire: non avrebbe assai pi senso e pregnanza coinvolgere i cittadini nel momento in cui si formano e si prendono le decisioni e si indiconom, eventualmente i bandi? E, perch no, magari anche coinvolgere rappresentanze dei cittadini nelle commissioni giudicatrici, in linea di massima? Cosa, peraltro, che talvolta avviene.
Infine: da noi, in Corte d' Assise e di Appello i membri della giuria, dove previsti (e sono casi di reati non particolarmente gravi: cmq fino a 10 anni, se ben ricordo) devono avere determinati requisiti minimi di istruzione: terza media in Assise, diploma o laurea in Appello.
E per i concorsi di architettura?
Cordialmente
G.C.
Commento
7752
di giannino cusano
del 11/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Caro Pagliardini,
sul resto rispondo dopo per non mettere troppa carne al fuoco.
Per ora , solo una domanda:
concorsi? Certo: tanti. Trasparenti e con pubblica discussione. Con i cittadini, anche, a dare indicazioni e suggerimenti. Ma, mi chiedo, perch non coinvolgerli e ascoltarli anzitutto in sede di scelte, di premesse nonch di formulazione e stesura dei bandi, di espressione di indirizzi ed esigenze, invece che a cose fatte?
Cordialit,
G.C.
Commento
7748
di giannino cusano
del 10/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
PS: dimenticavo (X Pagliardini)
- l'Olanda uno strano paese, capace del meglio e del peggio di s, quasi senza mezzi toni, un po' come USA e India. Pensi che tuttora nei Paesi Bassi per un'interruzione di gravidanza occorre salire su una nave-ospedale e andare in acque internazionali (12 miglia lontano dalla costa; 1 miglio marino = 1.853 km), quindi prenderei con spirito pi critico ancora, rispetto ad altri paesi, ci che l'Olanda propone ;
- a Viterbo, dove vivo attualmente, in pochi anni tutta la parte Nord della Cassia diventata un megacentro commerciale, dai margini della citt per km, in direzione Montefiascone-lago di Bolsena. Il tutto su una stradina a 2 corsie che non regge il traffico generato e che intasa fino alle mura della citt e fino a Porta fiorentina e oltre. Credo proprio che se si fosse prefigurata per tempo questa situazione ai cittadini, l'avrebbero rifiutata. Chi l'ha decisa? Alcuni capannoni artigiani riciclati, forse abusivamente e poi condonati, a vendita all'ingrosso e poi al dettaglio, ai quali, visti i precedenti se ne sono aggiunti altri, inclusi supermercati, outlet ecc. E' chiaro che questo incremento edilizio a un certo punto diventato una scelta che le amministrazioni hanno fatta priorpia, acriticamente e senza un minimo di previsione in prospettiva. Credo che siano queste le prefigurazioni che occorre preventivamente simulare, con le conseguenze che avranno sulla citt intera, o quasi, e sul suo hinterland. Ed approvate o bocciate dai cittadini, se divenissero una buona volta parte chiara ed esplicita dei programmi elettorali delle forze in campo.
Ma se per caso, in quella cornice di decisioni gi prese in deroga a qualsiasi PRG ( la situazione che si va generalizzando ovunque, in Italia) e poi ratificata di fatto, si fossero indetti concorsi di progettazione pubblici su alcuni interventi, forse i cittadini avrebbero potuto decidere (sulla carta) se preferivano un edificio cos o cos, disegnato da Odil Decq o da Mario Botta, non molto di pi. Per carit, anche questo conta, ma lo stravolgimento urbano, intanto, Botta o Decq o chi per lei, conocorso o meno, sarebbe prosequito tale e quale, come la metastasi deflagrante che oggi sta progredendo a dismisura e divorando l'agro senza una valida ragione. Temo, ahim, che siano anzitutto (non esclusivamente) queste le decisioni devastanti che si prendono nei corridoi, senza controllo di sorta da parte dei cittadini. Pensiamo un po' all'Expo futuro di Milano ... "e ho detto tutto" , come diceva Tot :)
Commento
7745
di giannino cusano
del 10/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
X Marrucci
Caro Renzo,
c' un punto sul quale la pensiamo diversamente.
Non mi convince molto l'idea che la democrazia sia partecpazione; piuttosto penso che sia indispensabile alla democrazia il controllo, che una cosa affatto diversa e ben pi efficace e ricca di garanzie.
Dal mio punto di vista il senso della Rivoluzione Francese si pu sintetizzare in una sola frase; fu prononciata da Lafayette agli Stati Generali, in seduta permanente da giorni e notti a discutere su progetti alquanto utopici di organizzazione dello Stato e della societ, quando Lafayette intervenne e disse:-Signori, a me basta controllare i conti del Re!-
il problema era/ proprio tutto l: nulla pi, nulla meno di quello lapidariamente indicato da Lafayette :)
Cao,
G.
Commento
7746
di giannino cusano
del 10/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Caro Pagliardini,
cerco, se possibile, di ridurre un po' all'osso.
Lei cita Adolfo Natalini. E' lo stesso che fu tra i fondatori del Superstudio?
Come sia, vediamo di andare per punti:
1. PD - non mi riferivo alle primarie, ma ai Congressi riservati agli inscritti, cio alla fase precedente rispetto alle primarie. Ed avendo io sostenuto la mozione e la candidatura di Ignazio Marino (lo stimo molto e non avrei mai ripreso un minimo di attivit in prima persona, altrimenti) e fatto parte del Comitato che lo appoggiava nella Tuscia -c' sempre spazio per la follia, nella vita- ho visto le cose molto dall'interno. Tanto che mi sono assai meravigliato, e l'ho sempre detto anche in pubblico, che la sconfitta del PD alle ultime elezioni non avesse raggiunto le proporzioni di una vera e propria disfatta. I Congressi, riservati agli iscritti, sono stati spesso il luogo della disinformazione, della scarsa o nulla discussione, dei tesserati cammellati e quant'altro, dei ricatti di potere di assessorucci e ras locali. Non un mistero, del resto. Questo per dire che la "partecipazione" pu essere sempre tranquillamente pilotata.
2- referendum. La Costituzione italiana stabilisce 2 voti: quello elettorale e quello referendario. I Costituenti furono saggi e lungimiranti: avendo posto il parlamentarismo alla base del nostro sistema, posero anche, come contrappeso dell'eventuale strapotere parlamentare e partitico, il voto referendario. Anche qui, il problema non era la partecipazione ma il controllo. Tanto pi che la fisionomia giuridica dei partiti italiani un po' come il sesso degli angeli: non si sa bene cosa siano, se non la gemmazione del vecchio istituto gentiliano del partito unico statale (PNF) moltiplicato per "n". Gentile recuperato contro Croce per meglio esorcizzarlo anche a sinistra. Dunque: referendum come contrappeso e controllo, non come strumento sostitutivo di sedi decisionali. Siccome il Palazzo (come diceva Pasolini) sempre a rischio di scollamento dal paese reale, il voto referendario serve a ridurre le distanze;
3. neanche io credo nei metodi politicamente perfetti. Churchilll diceva "la democrazia ha mille difetti, ma trovatemi un sistema miigliore";
4. il sistema USA: , come quello inglese, a common-law; diverso da quelli europei continentali. In USA e in UK (quest'ultima ha messo per la prima volta per iscritto, dopo secoli, la sua Costituzione solo nel 2000) non c' distinzione tra legge e giurisprudenza "praticata", come da noi. Una sentenza legge e, una volta emessa, verr applicata da tutti i giudici: non ci sono problemi di interpretazione, perch legge (per lo pi non scritta) e sua applicazione concreta coincidono assai pi che da noi. Un giudice pu non applicare una legge se la trova anticostituzionale (non esiste qualcosa come la Corte Costituzionale: la Corte Suprema ha compiti assai diversi) purch motivi giuridicamente la sua decisione. Quella sentenza sar legge in tutto il paese e la norma sar anticostituzionale. Tutto questo consente e rende indispensabile l'elettivit di molte figure dell'esecutivo USA. . Per inciso: il principio su cui si basa il legislatore anglosassone semplice: ogni legge considerata, quasi per definizione, una restrizione della libert, per cui la discussione parlamentare obbedisce a un criterio guida prioritario: qual il modo migliore per risolvere questo problema col minimo di limitazione della libert dei cittadini? (non altro che il'antico principio dell'habeas corpus)
Veniamo all'architettura. Quello che mi lascia dei dubbi : ci che la gente vuole per s sempre, anche la cosa migliore che possa augurarsi? Se uno dice ai cittadini -aboliamo le tasse- nessuno si tirer indietro (non a caso, la nostra Costituzione esclude la possibilit di tenere referendum su 3 materie e una quella fiscale).
Vale anche per gli architetti, sia chiaro: a volte c' da rabbrividire. Ma il discorso riguarda anzittutto, credo, il modo in cui si prendono decisioni e si compiono scelte che porteranno poi a intervenire sul territorio ben prima che i progetti siano redatti.
Dice bene Lazier: se si fossero fatti referendum su van Gogh (ma la lista sarebbe lunghissima) probabilmente i suoi quadri sarebbero stati gettati in qualche scantinato. Stesso destino avrebbero subito Giorgione e Borromini, Picasso, probabilmente. Salvo che oggi basta fare una mostra su uno qualsiasi di loro per vedere code interminabili di persone affollarsi all'ingresso: la visione non qualcosa di naturale e innato, ma va educata.
Allora: lei soleva un problema che a mio modo di vedere non di poco conto. Ma intanto forse faremmo bene a guardarci un po' in giro per capire come funziona altrove. Mi chiedo, insomma: se Natalini avesse vinto per nomina della giuria e si fosse visto ribaltare il risultato dal voto popolare, sarebbe tanto entusiasta di quel metodo?
Commento
7742
di giannino cusano
del 09/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Pacciani, io non sto ogni giorno e 24 ore su 24 appiccicato a Internet: qualche volta mi distraggo :)
Ha scritto:
La societ autolesionista proposta da Cusano in cui "la democrazia solo il modo meno dannoso che una comunit ha per correggere gli errori commessi, quando sono reversibili" non mi trova invece d'accordo o non l'ho capita.
CITAZIONE:
La seconda che hai detto (Quelo → Corrado Guzzanti)
Commento
7741
di giannino cusano
del 09/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Scrive Pietro Pagliardini:
A Giannino Cusano dico che non deve aspettare la cicogna per "l'urbanistica partecipata" dato che arrivata da tempo, almeno in Toscana, con Legge urbanistica regionale.
Solo che una partecipazione istituzionalizzata e guidata dall'alto (...)
Per fortuna che c' una legge nazionale che ancora prevede le "osservazioni" (...) al piano.
Per i concorsi d' architettura l'unico modo per ridare dignit e autorevolezza alla professione e alla progettazione (...) non c' che il referendum, dopo che una giuria tecnica ha espresso il suo giudizio. Cos si evita lo scandaloso fenomeno dello scambio di figurine perpetrato tra architetti giurati e architetti partecipanti, prassi che tutti conosciamo bene ma che pochi denunciano, e si pu far decidere coloro che hanno titolarit a farlo, cio i cittadini.
Chi ha paura del giudizio popolare?
Quanto mi piacerebbe una risposta a questa domanda!
Cordiali saluti
Caro Pagliardini,
non ho mai creduto in vita mia nel metodo Ogino-Knauss, si figuri se posso iniziare a credere, e proprio ora, nella cicogna.
Capisco il suo ottimismo, ma mi lasci per favore un po' del mio scetticismo (per carit: alla Bertrand Russell, sia chiaro).
Perfettamente d'accordo: la "partecipazione" (che non propugno, in s) il pi delle volte pilotata. Il passo di Yona Friedman non l'ho citato a caso, nel mio commento precedente (n.7739): in Toscana o in Siciia, rossi o azzurri, fa poca differenza, per me. A mio avviso, pochissimi casi hanno funzionato davvero: quello di Lucien Kroll ai Dormitori studenteschi dell'Universit di Louvan-La-Neuve e quello di Ralph Erskine a Byker, per es. Il primo ci ha rimesso la cattedra universitaria, al secondo i compassati e democratici politici inglesi di New Castle hanno fatto una lotta, il caso di dire, senza quartiere. Ci sono altri esempi sparsi, ma si tratta evidentemente di eccezioni.
Osservazioni ai PRG: nel 1995 ne ho presentate ben 21 alla Variante Generale del PRG della mia citt. Approvate tutte. Ero l, con le persone dei vari quartieri , con i cittadini: si discutevano i problemi, si esaminava il piano fino a tarda notte, si tiravano gi le proposte. Nessuno mi pagava n mi sono mai una volta presentato ad elezioni amministrative, prima o dopo: non era "elettoralistico" il mio scopo, ma contribuire a migliorare, per quanto possibile, la mia citt e CON il contributo dei miei concittadini. Dunque sfonda una porta aperta, in questo senso.
Ho delle perplessit, per, sulla proposta sua e di Pacciani e le ho enunciate spero chiaramente. Lo dico in modo assolutamente leale ed interlocutorio: vorrei capire di pi e vederci pi chiaro.
Referenum sui concorsi? Sono un incallito referendario, ho speso quasi 30 anni della mia vita (non esclusivamente, per fortuna) a raccogliere firme per strada e : spesso mettendo mano al mio portagogli, s'immagini se in linea di principio posso essere contrario. Ma perplessit analoghe ne ho avute anche nei confronti di alcuni radicali, finch ho fatto anche politica attiva e sono stato con loro; non questione di partiti presi - o lasciati :)
Le posso solo dire, per esperienza personale e non, 2 cose:
1. i referendum senza informazione capillare, senza adeguata preparazione e possibilit dei cittadini di prendere davvero coscienza dei problemi sul tappeto, possono essere l'ennesimo alibi decisionale per il potere, al pari delle elezioni (gli iraniani ne sanno qualcosa, direi) e quant'altro. E non questione di "consenso": anche Baffetto-Hitler, Mussolini e Baffone-Stalin mietevano consensi. Come sia, e non a caso, le battaglie pi dure, sistematicamente, in occasione di referendum sono state quelle per guadagnare adeguati spazi di informazione: non per i promotori, ma per il diritto stesso dei cittadini di "conoscere per poter decidere"( il virgolettato di Luigi Einaudi). Insomma: sono felicissimo se mi bocciano, ma con piena cognizione di causa. Per inciso, ho colezionato in quasi 30 anni pi denunce (e autodenunce) io, sul tema dell'informazione, di Lucky Luciano o di un brigatista rosso: e questo a riprova di quanto sia difficile innescare momenti di vero e cosciente dibattito, tra "denti bianchi che pi bianchi non si pu" e "accattatevill";
2. esempio recente: i Congressi del PD per l'elezione dei Segretari nazionale, regionali e compagnia cantante. "Momento di grande democrazia". Davvero? E come si sono svolti? 15 minuti ciascuna per presentare le 3 mozioni in gara, un po' di dibattito, voto. Quanto si siano approfonditi i temi, peraltro rilevanti, che erano sul tavolo, forse non lo sa nemmeno Lui. E nel PdL le cose non stanno affatto meglio.
Le forme democratiche svuotate di pregnanza e di contenuto sono, appunto, forme vuote, "Democrazie senza democrazia", come s'intitola l'ultimo libro di Massimo L. Salvadori.
Commento
7739
di giannino cusano
del 09/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Penso, Pacciani, che, enunciata come lei la enuncia, la "proposta" di giurie popolari per i concorsi di architettura suoni come una demagogica e semplicistica corbelleria Che facciamo? Chiediamo a gente nuda, cruda e digiuna di qualsiasi nozione elementare su cos' uno spazio architettonico o urbano :preferite questo o quell'altro?". Bene, io non ci credo, per la semplice ragione che occorre un minimo di preparazione per affrontare certi temi. Tanto da parte dei cittadini quanto da parte dei progettisti, sia chiaro.
E cmq, almeno si spieghi e ci illumini meglio.
Per quale ragione, poi, "la gente" dovrebbe essere in grado di giudicare progetti, quando il pi delle volte non sa nemmeno leggerli? Ma soprattutto, lei pensa davvero che chiedendo plebiscitariamente l'opinione del popolo si evitino errori? I popoli sbagliano tanto quanto i singoli. Il democratismo che lei sbandiera non ha nulla a che vedere con la democrazia, ma ammettiamo pure che lei stia proponendo un metodo democratico, pensa davvero che la democrazia sia il modo per garantirci da errori? Padronissimo. Io la penso diversamente: per me la democrazia solo il modo meno dannoso che una comunit ha per correggere gli errori commessi, quando sono reversibili. Non sempre, dunque.
Se permette, naturalmente, pi che legittimo il mio dubbio: e cio che le cose siano un tantino pi complesse di quanto non si possa pensare di mettere in gioco semplicemente chiedendo al "popolo": vuoi il progetto A, B o C? Manco si trattasse di comperare una sciarpa o un paio di pantaloni. A Bologna, per esempio, sono in funzione da anni i Laboratori di Urbanistica Partecipata: architetti e cittadini compiono assieme il complesso percorso delle scelte, dei limiti, delle alternative progettuali e i cittadini dell'area interessata scelgono, ma solo dopo aver preso piena consapevolezza e coscienza dei problemi in gioco. L'esperimento fu fatto per la riqualificazione di un'ampia area, pare abbia funzionato e ora viene riproposto in altre occasioni. Si pu pensarne bene o male, si pu buttarla in politica e dire che non va bene perch un comune rosso. A me, francamente, interessa poco il colore della giunta: mi interessa di pi capire se e quanto funziona davvero il sistema adottato. Pu darsi che gli abitanti siano pi soddisfatti: sarebbe gi un buon risultato.
Infine: non "auspico" proprio nulla, con o senza virgolette. Ho citato Yona Friedman e il suo ultimo (per pubblicazione, perch in realt un libro scritto 25 anni fa) "L'architettura di sopravvivenza" per le ragionevoli perplessit che l'autore solleva sui metodi "partecipativi", propugnando invece l'autoprogettazione e l'autopianificazione. Vale la pena leggere direttamente da Friedman:
A chi spetta il diritto di decidere in materia di architettura? Come assicurare questo diritto alle persone cui esso spetta? (...) L'autopianificaszione si fonda ... SULLA CONOSCENZA DI UN LINGUAGGIO ... Una volta acquisita questa conoscenza, spetta all'abitante condurre il dialogo... Un linguaggio di cui si conoscano il vocabolario e la grammatica pu essere insegnato, a condizione che si trovino delle persone pronte a insegnarlo ... un linguaggio "che si parla" (...) Tengo a precisare, prima di tutto, che per me non pu trattarsi della "partecipazione dell'abitante" cos come oggi intesa e decantata dagli avventati. Cerco piuttosto di capire se da qualche parte la "partecipazione dell'architetto" possa essere utile. Al momento la partecipazione dell'abitante solo di facciata.: i pianificatori fanno delle indagini, poi dichiarano che l'abitante, rispondendo in questo o in quel modo alle loro domande, ha dimostrato questa o quella volont. tale o talaltra preferenza. Con questa cosiddetta partecipazione, l'abitante non decide nulla, ma aiuta i pianificatori a decidere per lui.
Detto da Yona Friedman, posso pure provare ad approfondire. Tanto pi che l'ha fatto per decenni: con l'Unesco, con le Nazioni Unite e soprattutto con popolazioni in India, America Latina, Europa.
E', cmq, un volumetto assai interessante, sicuramente da leggere e finora, sempre col suo permesso, assai pi stimolante delle sue "giurie popolari ai concorsi di progettazione", fino a prova del contrario: che, per carit, da lei attendo con ansia :)))
Saluti,
G.C.
.
Commento
7735
di giannino cusano
del 08/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Un bel po' di anni fa, ormai, Kyusaku Ogino ed Hermann Knauss hanno avuto un merito storico straordinario: se qualcuno ancora credeva nella cicogna, ha dovuto definitivamente ricredersi. Diciamo che, rapportando a 100 questo insieme, si sono sicuramente ricreduti i 50 nati grazie a Ogino e i 50 nati grazie a Knauss.
E in architettura? Persino dopo le ricerche psicologiche di James Gibson, e acqua sotto i ponti ne passata, ce n'' ancora tanti disposti a credere, per es.,che la prospettiva sia una rappresentazione "oggettiva" della realt. O che la voce del popolo e quella del Padre Eterno siano la stessa cosa. A me, per, risulta che, mentre e pi il primo schiamazza, il Secondo se ne sta in silenzio quanto meno dai tempi di Auschwitz. In attesa che dica qualcosa, si riesumano i peggiori ideologismi eluoghi comuni che infesta(ro)no l'architettura.
Zevi li stan uno per uno considerando chi vive l'architettura e il "con chi" si progetta. Il che non vuol dire "partecipazione". In merito, caldeggio l'istruttiva lettura di "Achitetture di sopravvivenza" di Yona Friedmann.
Insomma, a volte mi viene un dubbio: non sar pi proficuo tornare a credere nella cicogna? Poi mi dico: ma no, basta attendere. Prima o poi avremo una legge anche su questo :)))
G.C.
Commento
7730
di giannino cusano
del 07/01/2010
relativo all'articolo
Zevi, Craxi, prestigio, potere
di
Paolo G.L. Ferrara
Caro Marrucci,
la VIS polemica che ti contraddistingue inizia a farmi apprezzare l'AVIS ;)))
Con simpatia,
G.C.
Commento
7724
di giannino cusano
del 06/01/2010
relativo all'articolo
La farsa del ponte (sullo Stretto)
di
Leandro Janni
Il concorso di idee (del 1969) per l'atraversamento dello stretto di Messina fu un po' come chiedere a Giulio Verne quale fosse il modo migliore per andare su Marte. Nel caso specifico, se per via alvea, subalvea o aerea. Non a caso, con la solita onest intellettuale che lo contraddistingueva, il vincitore, Sergio Musmeci, alla fine della sua relazione avvertiva che l'attraversamento dello stretto sarebbe stato possibile senza particolari problemi il giorno in cui materiali come le fibre in carbonio fossero entrati a far parte della quotidianit dell'attivit edificatoria. E quel giorno non ancora venuto.
Sulla questione (che non pu banalmnete ridursi a uno scontro tra chi vuole e chi non vuole il ponte) va citato, in particolare, l'assai interessante articolo del prof. Antonio Maria Michetti e dell'ing. Andrea Cinuzzi aparso su "L'architetto Italiano" n. 5 di Gennaio 2005.
Personalmente credo, poi, (sarebbe da verificare in modo puntuale) che un'interpretazione esageratamente elastica delle leggi in vigore sugli appalti approvate tra fine anni '90 e primi anni 2000 (su 2 piedi non ricordo gli estremi) abbia finito per ingarbugliare i fili di una vicenda pluridecennale gi di per s aggrovigliata: e mi riferisco alla Ente Stretto di Messina s.p.a. & s.c. (successivi carrozzoni), nonostante, all'epoca, la presenza dell'ottimo Riccardo Morandi.
Il fatto che la Impregilo s.p.a. sia divenuta ente appaltante senza un esecutivo deriva dal fatto che in Italia sono ormai da anni consentiti appalti pubblici anche senza progetto esecutivo. Valutazioni che ovviamente spettano all'impresa, e (in quest'ottica) cavoli suoi. Leggi che, ovviamente, possono anche andar bene nel caso di un capannone o un qualsiasi scatolone, prefabbricato o meno, del quale si conoscono perfettamente le problematiche tecnologiche ecc.
Ovvio che nel caso del ponte le cose sono a dir poco meno semplici.
Bye,
G.C.
Commento
7718
di giannino cusano
del 05/01/2010
relativo all'articolo
Zevi, Craxi, prestigio, potere
di
Paolo G.L. Ferrara
Ottimo commento, quello di Saggio; come il meritorio pezzo di Ferrara. Sul primo, mi sembra opportuna una piccolissima integrazione. E non per amore di filologia.
Scrive Saggio:
Credo che la relazione interessante che Zevi ebbe con la politica fosse, naturalmente di natura culturale. (se non direttamente "estetica"). Bisogna cercare di esprimersi anche in quel campo, in particolare nei momenti di crisi.Una lezione che lui aveva appreso durante la guerra.
Giustissimo. Non vorrei sbagliare, per, ma mi pare di ricordare che Zevi ascrivesse l'insorgere della formazione antifascista, gi nella primissima ora, segnatamente allo studio dell'Estetica crociana, quando in "Zevi su Zevi" risponde ad Alicata, suo ex compagno di Liceo, contestandogli che la lettura delle due storie (d'Italia e d'Europa) e di altri scritti politici del filosofo italiano incentivassero quella presa di coscienza. Aggiunge, "perch molti ancora non lo capiscono", che rivendicare l'arte per l'arte comportava gi di suo la lotta contro la pseudo-cultura fascista., sempre pronta a strumentalizzare la creativit a fini retorici. E prosegue (ho appena riaperto "Zevi su Zevi") "sganciare l'arte dal contesto della dittatura significava passare a una posizione critica destinata a estendersi anche sul terreno civile. La lettura delle due "storie" fu una conseguenza, non la causa della nostra rivolta, che si manifest inizialmente proprio a livello letterario e figurativo".
Lo sfondo dell'opposizione, intendo dire, era in gran fermento culturale e specialmente est-etico gi da quando era uscito non solo (1925: Zevi aveva 7 anni) il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce e prosperarono anche durante tutto il Regime i suoi scritti polemici su "La Critica", per es., contro la figura dell'artista "puro" e avulso dal mondo, ridotto cos a caricatura, ma anche quelli di Venturi, Argan, Piero Maria Bardi, Edoardo Persico...
Forse Zevi matur la lezione durante la guerra, ma certo rimeditando quella temperie che richiamare mi pareva importante. E attuale, perch anche oggi dovremmo saper riconoscere le forti alternative est-etiche e non dovremmo mai perderle di vista, per non distrarci o dimenticare pi di tanto :)
G.C.
Commento
7714
di giannino cusano
del 05/01/2010
relativo all'articolo
Zevi, Craxi, prestigio, potere
di
Paolo G.L. Ferrara
L' dura, caro Fferrara: l' dura! I nodi lucidamente additati da Zevi sono ancora l, tali e quali. Ingigantiti, spesso incancreniti da far paura e da richiedere, se ancora basta, la scure (altro che politica "riformista" del carciofo di rutelliana memoria!) o le radiazioni al plutonio.
Scuola, universit e universit televisiva decentrata; pianificazione creativa di citt e territori -e spero non mi si venga di nuovo, da parte di qualche zelante commentatore, ad attribuire ascendenti non miei, come Lenin e Stalin, salvo poi lamentarsi se declino la mia vera genealogia :)))- ; responsabilit e coinvolgimento delle cariche pi alte della vita repubblicana, a partire dal Presidente del Consiglio, contro ogni agnosticismo evasivo e contro il perenne emergenzialismo; soprattutto, "critica operativa": Una politica urbanistica ? Una politica per il piano regolatore di Roma ? Una politica universitaria ? Una politica per le televisioni provate ? Nulla. Ottimi discorsi, ottimi ordini del giorno, zero di fatto.
A che punto siamo? I problemi vanno risolvendosi o semplicemente che semplificandoli nelle nostre teste ci pare che si vadano sciogliendo, mentre in realt abbiamo solo abbassato terribilmente la guardia e il tiro, ci accontentiamo e tutto pare andar bene? Ci adattiamo e sopravviviamo. E se uno rilancia, volentieri lo si passa per pazzo visionario.
Credo che siamo talmente condizionati da millenni di forsennato pro-creazionismo, per evidenti ed inerti ragioni di sopravvivenza della specie, che anche oggi che occorrerebbe il contrario l'idea dei grandi numeri continua ad affascinarci come una chimera suicida: non far parte di una "massa" o di una qualsiasi tifoseria ci terrorizza tuttora. Ancor pi forsennato chi osa avere idee proprie: il riflesso che scatta quello dello sganciato dai grandi numeri; del disadatto che non sopravviver. Mentre l'unico adattamento possibile, oggi come oggi.
Ma, appunto, idee, non personali idiosincrasie spacciate per tali. Idee che affrontino nodi reali e additino vie d'uscita rischiose e di persona.
Zevi rischiava ogni giorno. E oggi? Tutti "in massa", in cerca di facili polizze contro le incertezze della vita, meritoriamente sputtanate dalla crisi finanziaria. Cos. all'ammasso, quanta voglia di rischiare per le poche cose che contano resta in giro?
G.C.
Commento
7698
di Giannino Cusano
del 31/12/2009
relativo all'articolo
L'arte facile
di
Sandro Lazier
Non c'entra nulla con l'articolo, ma colgo l'occasione per salutare una mia conoscenza "virtuale": Luigi Nucita.
Ciao, Luigi: piacere di vederti qui :)
Commento
7687
di giannino cusano
del 28/12/2009
relativo all'articolo
L'arte facile
di
Sandro Lazier
Auguri a Lazier, a Ferrara e ad Antithesi tutta, commentatori inclusi.:
BUON 2010 (avevo erroneamente scritto 2910, ma, ripensandoci, l'errore era meglio della data corretta)
Ci stiamo precludendo persino la tragica grandiosit del nichilismo. Cosa seria, il nichilismo: qualcosa da distruggere l'additava. Non solo il trionfo dell'effimero; non solo la drammatica, progressiva sottrazione di valenza fino a sentire il respiro assurdo della vita senza aggettivi; non il consumo, che pur sempre conoscenza. Esserci sembra l'ultima parola d'ordine del non essere eletto a condizione generale: esserci ad ogni costo. A un evento come a un cocktail: c'ero anch'io! E dopo? Dopo il diluvio; venga pure il diluvio, io c'ero comunque, anche se non rester traccia di ci che stato.
Non l'artigianato, la questione, concordo con Lazier .Anche perch di artisti-faber pieno il mondo, checch ne pensino e dicano Beatrice e Sennet. Non pi neanche questione di sopravvivenza al disastro, perch nemmeno questo pi concepito come evento. Siamo al dopo_il_nulla, al dopo lo strizzaggio della parola magistralmente incarnato da Beckett. Arte facile = assenza di futuro. Non pi "dopo di noi il nulla", ma "noi dopo il nulla". Se tutto gi stato, nulla pu pi accadere/accaderci.
Si;: bisogna reagire. Pensarci e reagire mentre un nuovo anno arriva...
Buon 2910 :)))
G.C.
Commento
7669
di Giannino Cusano
del 21/12/2009
relativo all'articolo
Architetti, crisi e architettura
di
Sandro Lazier
Ne va della nostra civilt: bisogna tenerlo ben fermo. L'arte indagine e conoscenza che riguarda i nostri stati d'animo e che non vanno confusi con le pure passioni. E' nella natura stessa dell'arte, che non eticit ma da questa non pu prescindere, di riconquistarci all'espressione. Per eticit dell'arte non dobbiamo intendere un insieme di norme e dottrine, ma un pi profondo senso di unit psicologica della coscienza.
"Filosofia del linguaggio e scienza dell'espressione" aveva sottotitolato Croce la sua prima Estetica. Il linguaggio, qui, non quello di De Saussure, dei semiologi e dei linguisti, ma il linguaggio creativo. E non insieme di norme, Grammatiche e classi grammaticali ma, semplicemente, ci che le ignora e, quando se le trova contro, le distrugge. N pu fare altrimenti, per liberare nuovamente la propria stessa natura e la nostra capacit espressiva dall'afasia e dalla laconicit e povert percettiva e concettuale.
Non c' logico o filologo, per quanto freddo e pedante, che anche nel pi astratto ragionamento possa prescindere dall'espressione, perch non esiste concetto vuoto, ma solo espresso in forme. Chiunque voglia esprimere un qualsiasi concetto, per quanto arido, non pu fare a meno di avvalersi di parole, suoni forme e particolari simbolismi.
Non c' aspetto della vita in quanto espressione che non sia in qualche modo legato all'arte, se la vita stessa non vuole ridursi ad atto muto o peggio a meccanica ripetizione all'infinito di ci che giunto a noi gi confezionato e ripetuto fino alla noia. E' un altro aspetto della funzione liberatrice dell'arte: attraverso l'attivit creativa, di scacciare la passivit e l'inerzia. Guardiamoci intorno: quanti edifici, quartieri, citt si salvano dall'inerte, acritica, fatalistica accettazione dello "statu quo ante"?
G.C.
Commento
7618
di giannino cusano
del 24/11/2009
relativo all'articolo
Conservatori del moderno e moderni conservatori
di
Sandro Lazier
La forma segue la funzione voleva l'adagio razionalista. In realt, come delucida Gadamer, la funzione a consacrare la forma attraverso, sempre, una pubblica cerimonia.
Poi vennero espressionisti ed organici ad ampliare il campo delle funzioni e delle forme che ne sarebbero discese. Se le funzioni investono mille dimensioni imprevedibili, imponderabili e non preventivabili con algoritmi, la forma prismatica non razionale. Ancora il rito della consacrazione, duro a morire, di rimando stabil surrettiziamente che il significato di quello spazio in un uso sociale che quello, per cui mutando quest'ultimo il significato andrebbe perduto. Non si tratta di favorire vuoti formalismi e archetipici quanto inesistenti simbolismi formali e astratti. Si tratta di capire che i significati che possono traslare sul piano sottostante a quello dei significanti, fissandosi in nuovi rimandi, sono tanto pi numerosi quanto meno siano ovvi i significanti: le forme-cavit-significanti, le radici "semantiche".
Pochi anni fa, circa 4, ero ad Ivry: il primo brano abitativo di Jean Renaudie era un manufatto in abbandono e in degrado; intonaci scrostati, copriferro saltati, infissi malconci. Sembra che a un certo punto nessuno abbia pi voluto sentirne parlare e abitarci, nonostante l'entusiasmo dell'utenza iniziale, e sia stato man mano lasciato al suo destino di edificio vuoto. Da vari anni l'amministrazione parigina ha messo a punto per Ivry dei progetti di rinnovo ad ampio respiro e raggio, non a scala del singolo edificio.
Come sia, forse per eccessiva distanza da Parigi e dalle opportunit urbane sempre pi centralizzate che la capitale offre, il primo intervento di Renaudie ad Ivry era, qualche anno fa, in serie difficolt. Proprio per questo, forse, era coabitato da immigrati africani e cinesi. Si: non so oggi, ma allora convivevano mescolandosi nello stesso complesso, nei suoi ambienti collettivi e semipubblici, andavano e venivano per le rampe e i terrazzamenti antistanti i singoli alloggi.
Sul tratto a ponte che scavalca la strada campeggiava un'enorme insegna al neon con vistosi ideogrammi cinesi e traduzione francese: era un ristorante cinese.
Pi nulla pi dello stimolare la creativit repressa della gente attraverso forme che rifiutano il prisma chiuso, l'angolo retto e la ripetitivit? Pi nulla del "dare un giardino pensile a ogni abitante, anche al 12 piano? Certo: la rivoluzione dell'utenza e del suo senso spaziale iniziata a Ivry durata poco. Ma cinesi e africani hanno fatto propri e reinventato quegli spazi mescolandosi tra loro, con tutti i loro background culturali. Forse hanno trovato una valida alternativa, caotica e rimaneggiabile quanto basta, alle bidonville? E' da verificare. Ma una cosa mi pare certa: il segno scritturale, la traccia affiorante, polimorfa e dalle mille valenze aperte funziona lo stesso, in modi del tutto o parzialmente difformi dal previsto, per giunta con persone non provenienti dalla nostra cultura. Lo spazio stimola comportamenti.
Recuperare la scuola di Pellegrin sarebbe un'operazione di pura e povera filologia, noiosissima e pigra: l'ennesima consacrazione rituale per cui un quadro dovrebbe somigliare a Napoleone e varrebbe proprio perch "significa" Napoleone. Ma chiedersi quanto si presti a essere reinventata la scuola in quanto valore spaziale, a me pare una domanda molto seria e di tutt'altra e stimolante natura.
G.C.
Commento
7573
di Giannino Cusano
del 02/11/2009
relativo all'articolo
IN/ARCH compie 50 anni
di
Sandro Lazier
Importantissime e sintetiche, le osservazioni di Lazier. Personalmente non so cos' l'impegno etico, se non perch pi se ne parla, pi se ne dichiara la crescente lontananza. Perfettamente d'accordo: via gli ordini in un quadro di nessun valore legale dei titoli di studio. Che peraltro ne sono gi sprovvisti in via di fatto.
Caro Lazier, condivido in toto l'articolo, quanto meno come impianto su cui innestare qualcosa. Si sono spostate le basi stesse della nostra cultura, credo. Con gli choc petroliferi degli anni '70 entriamo in quella che Angus Maddison defin "et delle incertezze negli obiettivi" e dalla quale non siamo per nuulla usciti, anzi: ci siamo sempre pi infossati.
Anche il mondo dell'economia, con cui occorre fare i conti, necessita di profondi cambiamenti, legato com' alla vecchia modellistica matematica della fisica classica. E i risultati si sono visti con la crisi mondiale recente, apoteosi del matematismo finanziario.
Noi esseri umani trasformiamo energia, territorio ed ecosistema quanto altri mai. Mi pare che abbiamo dato la nostra impronta a qualcosa come il 30 o il 40 % delle terre emerse; accresciuto di circa 1/3 la concentrazione di CO2 dall'inizio della rivoluzione industriale; utilizziamo met delle risorse idriche del pianeta; abbiamo in pochi decenni .raddoppiato la quantit di azoto fissato derivante da fertilizzanti: l'elenco sarebbe assai lungo.
Non esiste scelta tecnica neutra, cio che non sia culturale. Lo sappiamo, come sappiamo che non esiste economia al di fuori di scelte e responsabilit culturali precise Dunque ci tocca fare responsabilmente delle scelte e pretendere che si scelga tra alternative. Che si esca dal limbo suicida di processi dati per automatici e acquisiti ai quali si sommerebbe solo come optional il valore aggiunto della cultura architettonica: questo equivale, in realt, solo a una sua re-stilzzazione, cio riduzione a orpello.
Et informatica: giusto, un'aggiunta ineludibile al discorso di Zevi. Le promesse e possibilit della "terza ondata" sono davvero incredibili. In merito, ho sempre fatto un solo appunto alle illuminanti osservazioni di Alvin Toffler ed questo: se non scegliamo questa opportunit offerta dall'era elettronica e non spingiamo perch le sue promessse si traducano in realt sufficientemente generalizzate, temo che l'avvento della societ dei "prosumer" e delle "ad-hoc-crazie" possa avvenire tra secoli. E non ce lo possiamo permettere.
Dobbiamo scegliere, nonostante le incertezze che sembrano paralizzare anche la vita culturale ogni giorno di pi, e spingere in avanti. E in questo, l'architettura moderna, segnatamente organica, ha moltissimo da dire, incitare, spronare. Anche, specialmente nei suoi rapporti con democrazie sempre pi "senza democrazia", con assetti di vasti territori sempre pi decisi da pochi tecnocrati che solo apparentemente demandano ad eserciti di delegati col voto nazionale e soprattutto europeo.
Quello che in pericolo oggi, in questo clima di demoralizzazione, la produzione e ricchezza di idee che servano a centrare i problemi e gli obiettivi di oggi per andare oltre e non rimanerne succubi o laconicamente invischiati nell'immutabile reale..
E' in pericolo l'idea stessa di progetto, cio di progresso, e l'unica fonte realmente inesauribile di risorse: le idee che contano e servono a prefigurare futuro. Il resto solo architettese e piacevole trastullo da salotto o da tavolo da disegno.
Un cordiale saluto,
G.C.
Commento
7317
di giannino cusano
del 22/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Caro Renzo, scrivi :
... (snip) ... L'arte vita e per questo sincera e profonda, quando seria... non tende trappole logorroiche o pseudo-accademiche o ortodonzie professorali, per liberi di fare quello che si vuole!
dunque, distingui tra arte "seria" e arte poco seria. Ma quand' che l'arte seria? Quali opere concrete fai coincidere con l'arte "seria"? L'arte vita, certo, ma vita anche la giustizia, la logica, la matematica, il lavoro, un panettiere che impasta il pane, un taxista che porta la gente in giro, una squadra di operai in una fabbrica. Cosa distingue tra loro queste varie forme di vita ? Non si capisce, da ci che scrivi.
Prosegui:
Siccome l'arte vita, spiritualit, poesia e anche amore...
anche la religione spiritualit e anche lo sguardo e il canto di una madre per il suo neonato pu essere amore pieno di poesia, ma di qui a farne un'antologia ce ne corre. Qual la differenza? Quando quello sguardo e quel canto diventano espressione artistica?
La gara a chi fa pip + lontano, ovviamente, non l'hai vissuta come fatto artstico, ma quando diventa, nel ricordo, nostalgia dell'infanzia e dell'innocenza e di un mondo di cose "semplici" andate perdute, quell'evocazione confina con una dimensione artistica, dal mio punto di vista. Non lo ancora, ma le somiglia. L'arte non predica valori: valore in s. Ma che genere di valore, distinto da altri come i valori morali o quelli di sana e buona convivenza o quelli di operosit o di equit?
La parte sul futurismo, Mir ecc. confesso di non averla capita molto.
Salvatore Di Giacomo, per me uno dei massimi poeti italiani il cui solo torto fu di aver scritto in napoletanom, per cui non tutti lo comprendono, qui ci mette di fronte a una scena banalisima, che a tutti pu esser capitato di vivere. Ma come ce la fa vivere ed osservare?
*********************************
PIANEFFORTE 'E NOTTE
Nu pianefforte 'e notte
sona luntanamente,
e 'a museca se sente
pe ll'aria suspir.
E' ll'una: dorme 'o vico
ncopp' a sta nonna nonna
'e nu mutivo antico
e tanto tiempo fa.
Dio, quanta stelle 'ncielo!
Che luna! E c' aria doce!
Quanto 'na bella voce
vurria sent cant!
Ma sulitario e lento
more 'o mutivo antico;
se fa cchi cupo 'o vico
dint' a ll'oscurit.
Ll' anema mia surtanto
rummane a 'sta fenesta.
Aspetta ancora. E resta
ncantannose a penz
***************************
per chi non capisce il napoletano, in italiano sarebbe all'incirca (ma gi l'incanto si perde):
PIANOFORTE DI NOTTE
Un pianoforte di notte / suona lontanamente / e la musica si sente / per l'aria sospirar. // E' l'una, dorme il vico / su questa ninna nanna / d'un motivo antico / di tanto tempo fa. // Dio, quante stelle in cielo! / Che luna! E che aria dolce! / Quanto una bella voce / vorrei sentir cantare! // Ma solitario e lento / muore il motivo antico: / si fa pi cupo il vico / dentro l'oscurit. // L'anima mia soltanto / rimane a 'sta finestra. / Aspetta ancora. E resta / incantandosi a pensare.
Commento
7320
di GianNino Cusano
del 22/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Giusti scrive:
"Signor Cusano, io non aborro proprio niente,ho solo osato dire, velatamente, che, essendo lei uomo e come tale avendo lei delle debolezze, la sensazione che, oltre all' innegabile opera di onesta e interessantissima informazione e stimolo alla ricerca e approfondimento, lei inceda ben volentieri nel mettersi in mostra e nel porsi in cattedra.
Ma va questa presa come un offesa? e perch mai?
continui dicuramente nelle citazioni. io personalmente le apprezzo molto. "
e chi le ha detto che io la reputi un'offesa? E' evidentemente una sua presunzione ( nel senso che lei lo presume) a farglielo pensare.
Lei, dal primo momento che intervenuto in questo discorso, non sembra aver avuto nulla di meglio da fare e da dire se non sottolineare la sua "irritazione" e spostare il discorso su un piano personale che marginale rispetto a temi ben pi importanti e interessanti che non le persone che li portano avanti.
E infatti parla di umane debolezze, che ovviamente non risparmiano nessuno. Se sui difetti umani, che intende spostare l'attenzione per distoglierla da argomenti ben pi seri, tenga per presente che le umane debolezze non risparmiano nemmeno lei.
Non ultimo un suo certo attegiamento che trovo "arrogante" (da ad-rogare: chiedere per s ci che non si poi disposti a concedere ad altri), termine che denota proprio l'atteggiamento (e badi bene: parlo dell'atteggiamento, non della persona) di chi ad ogni costo rivendica per s pi meriti di quanti gliene spettino: nel suo caso, appunto, quello di scendere pretenziosamente sul terreno personale senza accettare, per, che gli altri poi facciano lo stesso con lei.
Se il termine le da fastidio mi spiace molto, ma lei che ha scelto questo terreno. Di che si lamenta, ora? Se ha un termine ugualmente significativo che la irrita meno, lo adotter volentieri. Insomma, in nome di cosa lei pu giudicare l'altrui "mettersi in mostra e in cattedra", se non del goffo e preventivo tentativo di mettersi al riparo dall'altrui giudizio sulle sue debolezze umane? Se l' cercata scegliendo un piano ben misero di discussione, mi pare.
E la disinvoltura con cui insiste mi sembra pari solo all'inconsistente contributo sule cose che finora ha portato. Ma di che parliamo? Di che desidera che si parli? Difetta forse di argomenti? Se cos, la capisco: fa parte delle umane debolezze. Se cos non , ragioni e argomenti delle cose, da persona seria, che ama le cose, non delle persone, che nulla interessano e contano.
La saluto,
G.C.
Commento
7318
di giannino cusano
del 22/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
segue (X MARRUCCI)
quell'incanto (aura) sta nel fatto che quei versi non possono essere espressi in altro modo e in altre parole: non si pu fare altro che ripeterli cos come sono. Non c' nessuna finalit e nessun contenuto "esterno": forma e contenuto non sono due entit ma una sola: la forma crea il contenuto e viceversa, allo stesso istante in cui sorge l'espressione.
Ma se voglio dimostrare una tesi o deliberatamente indurre delle reazioni, la cosa cambia. Faccio prosa, letteratura, ("Non pi poesia dopo Auschwitz!") ma sempre di arte si tratta. E l'arte delle avanguardie ha puntato anzitutto a indurre reazioni nel pubblico e studiarle per sollecitare l'azione. "Amo il suono che non parla ma agisce" (Cage). Rifiutando di essere acritica e avalutativa, vuole fondare mezzi espressivi (linguaggio) che siano prima di tutto valutazione critica della realt: nuovi linguaggi, perch i vecchi -aulici, accademici, classicisti, ideologici- sono obsoleti e spesso si sono levati a celebrare orrori.
Se ne pu pensare bene o male, ma di questo si tratta, mi pare: di spostare le basi stesse della nostra cultura per farle calzare il pi possibile alla vita e svincolarle il pi possibile da celebrazioni ideologiche. Non ti piace? Non ti piace: legittimo. Ma decenni di storia dell'espressione (arte) sono l a testimoniare che le cose sono andate a grandi linee cos. . Ci sar un perch, se quasi tutti gli artisti hanno iniziato a "sentire" e cercare di rappresentare diversamente la realt, senza abbellirla "ad arte", o no ?
Eraclito-G.
PS: ora, per, basta: temo che il discorso stia diventando ripetitivo, cio noioso.
Commento
7306
di giannino cusano
del 19/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Marrucci, tu e qualcun altro qui aborrite le citazioni e trovate irritanti certi toni. Se avete la pelle delicata, non strofinatevi sugli alberi, allora. Ma ci si guarda un po' allo specchio? Ci si chiede, per caso, con che toni si esordisce, prima di additare quelli di chi ci replica? Una volta questa si chiamava arroganza, ancorch sotto le mentite spoglie del comune e sano buon senso. Non so se si chiama ancora cos: forse hanno fatto un lodo apposta, un ddl approvato in fretta e furia ricorrendo alla fiducia. Ma allora dtelo: non ne sapevo nulla.
Ora, visto che siamio in tema di aborrimenti, dal canto mio si sappia che aborro invece i facili sarcasmi con i quali esordisce chi non vuole alcun confronto ma finge di cercarlo solo per mettersi preventivamente al riparo, fuori e al di sopra, dalla parte di chi giudica e pretende di non esserlo a sua volta, salvo poi additare negli altri esattamente questo atteggiamento nel goffo tentativo di mascherare il proprio.
Qual il confine tra arte e vita? Tu, Marrucci, lo sai individuare con precisione e certezza? Il dadaismo, il ready-made, Duchampo, Fontaine (l'orinatioio) ci hanno lavorato molto tendendo ad annullarlo o a sondarne gli incertio confini. Non sono solo questo, evidentemente, e non solo il dadasismo. Si sono scritti tomi sull'argomento e francamente non mi va di sprecarci altro fiato n di menzionarli, per ovvie ragioni.
Dettto questo. se l'arte uscita dai musei, se ha investito i paesaggi diventando land-art, se tornata tra la gente con gli happening e le performance, questo lo si deve anche al dadaismo e a un generale rifiuto di ogni visione edonistica, legata a equivoche e vecchie estetiche fondate sul piacere. Anche l'arte concettuale, a mio parere, mira a far riflettere e rifiuta questa dimensione di puro abbandono, salve restando le centratissime -a mio parere- osservazioni di Vilma Torselli. Basta andare a guardare le opere di Joseph Konuth, che coni il termine, per capirlo: non ci vuole certo la zingara. E poi dice che uno cita: ma di che parliamo, altrimenti? Di aria fritta?.
Lazier ha centrato benisimo altri aspetti della questione: lo spiazzamento derivante dal fatto che un oggetto di uso comune, messo tra parentesi da un artista e collocato in un contesto per definizione "artistico" (l'orinatoio in un museo, per es., o la foto di un orinatoio con mini-campo di calcio su una rivista di arte e architettura) scatena le reazioni pi disparate perch induce e frustra il tentativo di leggerlo con la stessa aura sacrale e metafisica dell'opera tradizionale. Non poco, scatenare queste reazioni: concordo con Lazier. E' l'ironia, l'arte come gioco e dimensione che rifiuta il dramma. E l'utilit dell'arte per la vita. Cosa che attiene molto all'architettura: e Duchamp, ne sono convinto, era un architetto. Pu piacere o no, ma questo .
I musei nascono in circostanze storiche precise per denotare la terrificante potenza militare e di saccheggio dei grandi Imperi a cavallo tra '700 e '800. E per esibirne la munificenza, anche. Non un marxista-leninista a sostenerlo e dimostrarlo, ma non dico chi per non urtare suscettibilit alcuna.
Nel fare questo, i musei hanno messo l'arte tra parentesi alienandola dalla vita quotidiana, dov'era sempre stata. Altro che amore per l'arte: amore per il dominio e l'eccidio. Con le conseguenze che tutti possono vedere.
Quanto alle preoccupazioni di chi paventa performance a base di pubblici sfoghi intestinali e svuotamenti di vesciche al cospetto del pubblico, quando si verificheranno ne riparleremo. Ma parlare di cose mai accadute, mi pare francamente ridicolo. I "passaggi al limite", per cui, con gli orinatoi "al limite" si legittimerebbe di tutto, anche pip e feci in pubblico, denotano solo una mentalit autoritaria che non considera e valuta il fatto in s ma suoi paventati sviluppidel tutto immaginari. per cui dovremmo star qui a rassicurare e sedare le paure preventive di chi ipotizza pure irrealt.
Padronissimo chi vuole di credere ancora nell'arte dotata di aura sacrale, messa fuori dalla vita in appositi templi: per carit, ci mancherebbe. Ma c' anche altro.
E allora stiamo ai fatti, invece di agitare i nostri fantasmi di comodo spacciati per verit: i fatti sono fatti, i fantasmi sono fantasmi.
Serena giornata, Marrucci.
Eraclito-GianNino
Commento
7309
di giannino cusano
del 19/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Signor Giusti, la ringrazio per la stima, che ricambier al 100% assai volentieri quando vorr portare un contributo pi sostanzioso alla discussione, pro o contro: cosa di cui sono certo che lei capacissimo. Non siamo in un'arena: credo sia bene precisarlo non per lei o per me, ma per chi legge. Quindi, onoriamo il confronto e le idee, quali che siano, purch idee. Il resto, sono solo piccoli inciampi su strade a volte necessariamente accidentate.
Con cordialit,
GianNino- Eraclito
Commento
7303
di giannino cusano
del 18/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Signor Giusti, visto che del Mr. s' appropriato lei, preciso che non sto al di sopra o al di sotto: in questo mondaccio ci sono calato fino al collo tanto quanto lei. Ognuno ci sta in un modo, evidentemente. Io con le mie letture, che mi aiutano a cercare di capire di che mondo si tratta e in che modo posso, nel mio piccolo, coontribuire a cambiare qualcosa.
Mi rendo conto che tra veline e Grandi Fratelli non si riesce pi a vedere in prima serata, che so, Eduardo De Filippo e non si sa pi cosa farsene, delle letture, ma rappresentano il mio sistema di coordinate. Antiquato, lo so: vintage, demode, ma il solo modo che ho per supplire a una tv largammente inguardabile: un ripiego; faccio di necessit virt: ognuno si diverte come pu.
Citazioni non per sfoggio o amore manieristico della citazione ma come rinvii a concetti e discorsi gi espressi e sviluppati da altri; quindi: 1. chi legge stia tranquillo che non li ho inventati o espressi io, e quindi mi pare giusto dare quei concetti ai loro legittimi proprietari; 2. perch chi vuole pu prendersi la briga di controllare e approfondire di persona; 3. perch tutto questo mi pare onesto.
Del resto, mi passi anche questa, ch una pi una meno non cambia molto, Flaiano diceva che "leggere facile. Il difficile dimenticare ci che si letto". E mi riesce proprio difficile, perch a me -che non sono nato "imparato"- leggere serve. A lei no? Se cos, si reputi fortunato. :)
Cordialmente,
G.C.-Eraclito
Commento
7302
di giannino cusano
del 18/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Caro Renzo,mi hai invitato tu (7287) a parlare un po' del pisciatoio.
Ora che ho risposto alla tua sollecitazione (7299) mi scrivi che non te ne frega nulla. Magnifico. Dico davvero :)
E hai aggiunto:
.. penso sempre pi spesso a quando s'era ragazzi e si faceva a gara a chi la faceva pi lontano...
E dunque, ci voleva Duchamp. Vedi che anche fare pip pu essere arte?
Poi scrivi:
Bisogna riportar le cose alla propria natura per non smarrirsi troppo nella selva contorta dell'inutile... Tirare o spingere l'utile? che cosa meglio? Stare dietro il carro o avanti? Ma non mi dire che preferisci starci sopra al carro per piacere!
Mi piace andare a piedi e senza carri.
L'ho capito perfettamente, che ami e cerchi il semplice e naturale: non parlerei nemmeno con te, se tu non esprimessi una passione.
In nome del comune amore per il "naturale" (il "semplice" te lo lascio) ti invio un articolo sul Pacific Trash Vortex:
http://www.inerba.org/Salute-e-Ambiente/Pacific-Trash-Vortex-|-Cinque-milioni-di-chilometri-quadrati-di-rifiuti-nell-oceano-pacifico.html
Nessuno se ne occupa, ovviamente, essendo in acque internazionali: dunque, non di responsabilit e competenza specifica di uno stato o dell'altro; tutto sommato, del tutto "semplice e naturale" che le cose vadano cos :).
Un saluto cordialissimo
Eraclito-Giannino
Commento
7298
di giannino cusano
del 18/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Infine, To(o) Giusti e Marrucci (&Torselli):
il brano di Croce che ho postato (comm. n.7285) mi è tornato alla mente
proprio dopo aver letto il n. 7279 nel quale Giusti, dopo essersi chiesto se
fare pipì e cacca può considerarsi opera d'arte (e direi proprio
di si) si rivolge a Lazier concludendo: "mi scuserà, ho letto l'articolo,
ma mi sono fatto prendere dall'immagine, che vuole farci, sono un lobotomizzato
figlio di questi tempi di feci". Centratissimo! Anche se al suo posto avrei
scritto, omettendo la foglia di fico, "figlio di questi tempi di merda".
Anche Marrucci coglie un dato importante, quando (n. 7291) risponde alla sempre
pimpante Torselli "direi che oggi è il contesto economico che si
serve dell'arte in un modo che definire vergognoso mi sembra anche un eufemismo."
Se li rileggete e poi tornate al brano da me postato (n.7285) vi accorgerete
che dite esattamente quello che sosteneva Croce già nel 1913, sia pure
con molto maggiore articolazione.
Ma insomma, cosa ci si aspetta da un artista? Che salvi il mondo? Illusione romantica! Che si occupi di temi "edificanti"? Illusione moraleggiante! Ambedue nulla ha a che vedere con l'arte. Sempre Benedetto Croce scriveva, nello stesso saggio, a pag. 69: "L'artista è sempre, moralmente incolpevole e filosoficamente incensurabile, se anche la sua arte abbia per materia una morale e una folosofia inferiori: in quanto artista, egli non opera e non ragiona, ma poeteggia, dipinge, canta, e, insomma, si esprime; se altro criterio si adottasse, si tornerebbe a condannare la poesia omerica, come facevano i critici italiani del '600 e quelli francesi del tempo del XIV Luigi, arricciando il naso innanzi a ciò che essi chiamavano il «costume», agli eroi litiganti, chiacchieroni, violenti, crudeli, mal educati. "
Il tema proposto da Lazier ci rimanda a una polemica interna al romanticismo, per nulla sopita perché attualissima: quella della concezione dell'«arte per l'arte» opposta al'altra dell'«arte per la vita». Dissidio dal quale l'architettura, essendo "della" vita, è in larga misura immune, ma di questo ci sarà occasione di riparlare, spero.
Cosa fa un artista? Esprime "sentimenti": passioni, modi di sentire. La Torselli mi corregga se sbaglio, ma penso che Dino Formaggio avrebbe detto "emozioni", indicando con ciò la stessa cosa dei "sentimenti" crociani. Non sentimenti al naturale, per cui se mi pestano un piede e faccio "ohi" quell'espressione immediata non è, con ciò, opera d'arte. Lo diventa se in qualche modo osservo quei sentimenti e, inizialmente avvolto nel loro turbine, a un certo punto me ne distacco e ne estraggo un'immagine. La materia prima con cui lavora l'artista, quindi, è comune a tutti gli esseri umani. Il modo in cui la trasfigura in opera, però, è un'altra questione.
Ora, sappiamo tutti che "dolore", "nostalgia", "gioia" (pensiamo a certe poesie di Baudelaire) , "rabbia" (penso ad alcuni versi "politici" di Carducci, per es.), "pessimismo" (Leopardi) e così via appartengono a buon diritto alle passioni o emozioni o sentimenti. Ma "crudeltà" (Artaud, Bene), "freddezza", "indifferenza", "prepotenza", avvertire la vita "senza fede in Dio e nel pensiero" (Maupassant, grande esempio di poeta, fu maestro in questo) non sono forse e a buon diritto "sentimenti" ? Dunque, se parliamo dell'indifferenza dello scolabottiglie di Duchamp o della freddezza della musica delle scuole di Vienna e poi di Darmstad, stiamo ancora parlando di modi dell'espressione: di arte, a tutti gli effetti. Arte "indipendente" (per l'arte) e insieme "per la vita", che incita all'azione per mutare e riconsiderare la vita perché altro non trova, a sua disposizione, in una realtà, appunto, "di feci" . E' colpa dell'arte? Evidentemente no.
Mediterei su alcune piccole lezioni:
ancora Duchamp:
http://www.youtube.com/watch?v=xIbye75demM
John Cage:
http://www.youtube.com/watch?v=2aYT1Pwp30M
http://www.youtube.com/watch?v=q2tNeoMKyq8
Perché l'arte si trova costretta, oggi, e non da ieri mattina, a sottrarsi
alla propria tradizionale "aura&q;
Commento
7292
di giannino cusano
del 17/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Caro Renzo, hai scritto:
"Verrebbe qualche battuta sarcastica di fronte alla difesa dell'arte contem
poranea di Giannino detto Eraclito. Pu essere che sia proprio un pisciatoio a salvare il mondo? Non me la sentirei di poterlo escludere... "
e per forza: con le stronzate ogni giorno pi copiose che si sentono in giro :)
Ciao,
Giannino-Eraclito
Commento
7295
di giannino cusano
del 17/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
PS: x Mr. Giusti
ho voluto citare da un testo di Croce di 96 anni fa per 2 ragioni:
1. Croce aveva gi allora, 96 years ago, perfettamente inquadrato, mi pare, natura e linee di tendenza dell'arte e delle avanguardie contemporanee: la sollecitazione all'azione pi che alla contemplazione ecc. Nel 1913 le piantine (cubismo, futurismo, dadaismo ecc.) erano gi cresciutelle e i giochi di fondo erano tutti sostanzialmente fatti. Il che non significa che dopo non accaduto pi nulla: al contrario. Significa solo che il cambio radicale di prospettiva era avvenuto;
2. a quasi un sec. di distanza c' chi ancora non ha compreso criticamente (il che non implica approvazione piuttosto che riprovazione, ma consapevolezza in ambo i casi) ci che un composto signore, che peraltro di arte si occupava solo di striscio, aveva gi compreso un sec. fa. Qualcosa non mi torna ... :)
Commento
7294
di giannino cusano
del 17/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
PS. X Renzo Marrucci
ORINATOI: fossi in te non mi fossilizzerei ancora sui cataloghi Ideal-Standard, che conosciamo a memoria: tenterei un passettino ulteriore.
Col tuo permesso, vorrei consigliarti, di Rosalind Krauss, "Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land Art" edito da Bruno Mondadori nel 1998 in edizione italiana. Un po' datato, lo so, non proprio il massimo della novit o del "nuovismo", ma almeno, ormai diventato un classico: nulla di terrificante. Del resto, puoi consolarti: negli USA molto + vecchio, dato che uscito nel 1976. Un ritardo non sempre uno svantaggio :)
Per inciso, giova notare alcune affinit tematiche tra il libro della Krauss e quello coevo (1976, ed. italiana del 1979: con la Francia abbiamo fatto pi in fretta) di Jean Baudrillard, "Lo scambio simbolico e la morte": affinit davvero sorprendenti.
Infine, ti regalo questa intervista a Marcel Duchamp:
http://www.youtube.com/watch?v=E0D1Q2NUQGU
che trovo molto istruttiva e interessante.
Ciao,
Eraclito-Giannino
Commento
7293
di giannino cusano
del 17/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Mr. Giusti, ha scritto:
"Signor Cusano,
questo lo scriveva Croce nella XX edizione.
Lei ne riporta il testo per intero, ma ne condivide anche il contenuto o, visto che sono passati cinquanta e pi anni dalla formulazione di tal pensiero crociano, avrebbe da dire di suo, espresso con parole sue? "
Per la verit questo lo scriveva Croce gi dalla prima edizione, del 1913. Dunque sono passati non 50 ma 96 anni, ma quel testo mi pare quanto mai lungimirante e attuale nelle linee di fondo. Non ho riportato il testo per intero, ma solo un piccolo periodo. E' evidente, infine, che ho fatto mie quelle parole. Il che significa ... gi: chiss cosa significa (?) :)
Smile, Mr. Giusti: smile :)
Commento
7285
di giannino cusano
del 16/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
IN DIFESA DELL'ARTE CONTEMPORANEA
L'arte contemporanea, sensuale, insaziabile nella brama dei godimenti, solcata da torbidi conati verso una malintesa aristocrazia che si svela ideale voluttuario o di prepotenza e crudelt; sospirando talora verso un misticismo che altres egoistico e voluttuario; senza fede in Dio e senza fede nel pensiero, incredula e pessimistica, -e spesso potentissima nel rendere tali stati d'animo,- quest'arte, che i moralisti vanamente condannano, quando sia poi intesa nei suoi profondi motivi e nella sua genesi, sollecita l'azione, la quale non volger certo a condannare, reprimere o raddrizzare l'arte, ma a indirizzare pi energicamente la vita verso una pi sana e profonda moralit, che sar madre di un'arte pi nobile di contenuto e, direi anche, di una pi nobile filosofia. Pi nobile di quella dell'et nostra, incapace di rendere conto non solo della religione, della scienza e di s medesima, ma dell'arte stessa, la quale ridiventata profondo mistero, o piuttosto tema di orrendi spropositi pei positivisti, neo-critici, psicologi e prammatisti, che finora hanno rappresentato quasi soli la filosofia contemporanea, e che sono ridiscesi (per riacquistare, certo, nove forze e maturare nuovi problemi!) alle forme pi bambinesche e pi rozze dei concetti sull'arte.
Benedetto Croce: Breviario di Estetica (Laterza, Bari, XX edizione,1982 - Piccola biblioteca filosofica, pag. 76)
Commento
7267
di giannino cusano
del 04/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Scrive Lazier che gli interventi di Pagliardini su Antithesi "sono uno stimolo e una risorsa."
Nel mio dissenso da moltissime delle cose che scrive Pagliardini, la considerazione fatta da Lazier mi trova d'accordo. Guai se ci si appassionasse tutti allo stesso modo e delle stesse cose.
Commento
7263
di giannino cusano
del 03/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
In riferimento all'ultimo commento di Pagliardini, non riuscir a essere breve: i temi in gioco sono molti e complessi. Io la vedo cos:
1. Freud era un neurofisiologo. Inizialmente parl di istinti (istinkt) alla base del comportamento umano, ma presto rivide la questione introducendo il concetto di pulsione (trieb). La differenza che mentre l'istinto deterministico e negli animali induce comportamenti definibili e prevedibili, la pulsione plastica: non d luogo ad alcun meccanicismo perch ogni pulsione pu avere esiti assai differenti, dipendenti da fattori imponderabili come la cultura del soggetto e non, atti di invenzione e di fantasia ecc.. Lacan, freudiano eretico al punto di essere espulso dalla Societ Psicoanalitica Francese per aver tenuto una serie di seminari commissionatigli dalla stessa SPF, chiar molto bene questo punto. Ci che distingue l'essere umano dall'animale, in questa prospettiva, esattamente la differenza tra pulsione (eminentemente umana) e istinto. Sempre Lacan, e non a caso, fece la sua tesi di laurea sulla paranoia, perch a tutt'oggi -che io sappia- si ignora qualsiasi corrispondenza neurofisiologica con la paranoia: in soldoni, non c' psicofarmaco adatto al caso . E' tuttora un fenomeno eminentemente psicologico.
Nemmeno io mi intendo di neuroscienze, ma il fatto che esista una base neurofisiologica al nostro comportamento non mi pare che debba necessariamente riportarci indietro di oltre un secolo al positivismo ottocentesco. Se i ferormoni, insomma, non determinano meccanicamente l'innamoramento, credo che abbiano una parte in questo processo assai complesso e ricco di fattori anche culturali disparatissimi.
2. percezione: mi pare che gi la Torselli abbia avvertito chiaramente, forse in un commento precedente forse nello stesso articolo su Piazza del campo, non ricordo, che la percezione non un fenomeno passivo.
Il punto fondamentale. La percezione un fenomeno attivo ed gi giudizio sulla realt. Sono in una stanza, sto scrivendo, percepisco questo fatto e percepisco me stesso in mezzo a una serie di arredi, libri, oggetti, rumori, odori, coluri ecc. In questa percezione ho gi selezionato una serie di elementi che ai miei occhi la caratterizzano: ho emesso un implicito giudizio sul mio essere seduto qui e sugli oggetti che mi circondano. Non c' nulla di oggettivo, in tutto questo, perch non detto che un altro al mio posto produca la stessa fantasia o, se lo fa, non affatto detto che la fondi sugli stessi elementi su cui si fonda la mia ecc. ecc. Non c' nulla, peraltro, che possa impedirmi di immaginarmi a New York, in un grattacielo di Manhattan, o in un monastero sulle rive del Gange. Queste trasposizioni forse ammettono delle spiegazioni, peraltro non semplici e che quasi certamente variano da persona, ma certo non sono deterministiche o meccanicistiche. Questa indistinzione tra reale e irreale, che mi consente di vedermi dall'esterno, o addirittura di immaginarmi altrove, un atto conoscitivo alogico di fantasia o intuizione, o meglio di intuizione-espressione, perch i due termini sono la stessa cosa: non esiste intuizione vuota o inespressa in parole, colori, forme ecc. che rompe un ordine presente per un'alterit non prevedibile che rilegge in modo inusuale la mia situazione e gli oggetti che ho intorno. Questo non fa ancora arte, ma con essa ha una forte attinenza. E' certamente un'esperienza. Che esistano leggi della percezione cosa assai dubbia, almeno da quando, negli anni '60, un nutrito gruppo di psicologi statunitensi guidato da Franklin Kilpatrick, sulla scia del pensiero di John Dewey, in particolare estetico (v. L'arte come esperienza, ed. La Nuova Italia) si propose di capire meglio come si formi un'esperienza. Invece di partire da oggetti e di studiare la loro percezione in vari soggetti, si part dalle percezioni e si comprese che le stesse percezioni possono essere determinate da oggetti reali molto diversi tra loro e che non hanno nulla a che vedere con ci che veniva percepito. Gli esperimenti andarono da semplici oggetti a studi sulla dinamica del movimento degli oggetti, dei soggetti e di ambedue simultaneamente e sono raccolti in un interessantissimo libro edito da Bompiani, La psicologia transazionale, dove il titolo allude al fatto che in ogni percezione noi compiamo una serie di azioni mentali per nulla passive: mercanteggiamo, anzi, con la nostra esperienza precedente, con il nostro sistema di aspettative, col nostro stato emotivo ecc. per tentare di ricondurre il fatto nuovo di fronte al quale siamo messi a fatti desumibili dal nostro vissuto pregresso: operiamo, insomma, delle transazioni. Ci mise abbondantemente in crisi le psicologie tradizionali e oggettive della percezione, a partire proprio dalla Gestalt Theory. Non mi pare affatto trascurabile che quando Galvagni parla di Gestalt ecologica assuma che la nostra percezione dell'ambiente vari c
Commento
7261
di giannino cusano
del 01/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Mi rendo conto che la storia oggi non pi molto di moda, tra approcci fenomenologici che pure hanno la loro importanza, e recuperi (a mio parere eccessivamente generalizzanti) di temi cari a Georges Bataille piuttosto che a Walter Benjamin o a Friederich Nietzsche, volti a screditare qualsiasi approccio storico in nome dell'eterno ritorno e della preminenza dell'immagine come "traccia" inconscia e sempre riemergente del rimosso, ma non per questo trovo lecito buttare al macero tout-court qualsiasi chiave di lettura di matrice storica.
Se "ogni poesia d'occasione", come ripeteva Sartre, credo quindi che la questione di Siena e di Piazza del Campo vada anzitutto inquadrata nel concreto del suo divenire storico. La piazza parte anzitutto del sistema ternario Duomo-foro Boario (poi piazza Mercato)-Campo. Sono i tre caratteristici poli (religioso, commerciale e civico) che vertebrano tutte le citt medievali. Sappiamo anche che queste seguivano schemi o tipi ben identificabili : lineare, fusiforme, radioconcentrico (vera invenzione tipica dell'epoca), a lisca, a scacchiera ecc. applicati caso per caso in modo assai duttile in rapporto alla conformazione del suolo e a un abbozzo di vita comunitaria che evolveva sulla base di ben definiti canovacci.
Nessuna assiomaticit urbanistica, ma parlare di regole a me sembra che possa risultare ambiguo, per noi che veniamo dopo il Rinascimento. Piuttosto, parlerei di un metodo flessibile assai pi razionale di qualsiasi rigido ordine geometrico; un linguaggio della continuit capace di amalgamare nell'assieme ogni singolo episodio. E che pu e deve essere letto, almeno in via di tentativo, assumendosene tutti i rischi.
Osservava giustamente Ranuccio Bianchi Bandinelli che il peculiare senso spaziale senese nasce dalla particolarit di un sistema di strade il cui impianto base quello delle Siene dei borghi e castellari pi o meno chiusi ciascuno in s dei sec. XII e XIII, che poi verranno reintegrati nella Siena dei mercanti e degli artigiani. Ma non fino a cancellare il carattere di strade a elementi chiusi che, invece, il Rinascimento e l'et barocca tender ovunque a trasformare con aperture verso punti focali prospettici.
Dunque, a Siena si parla un linguaggio che non prevede edifici messi in mostra come fondali o terminali a strade n strade realizzate a bella posta in funzione di singoli edifici. C', piuttosto, un sistema ininterrotto di circuiti e superfici stradali che si sviluppano per fluenze capaci di interrelare cammino umano e curve di livello. E che non va minimamente confuso con quello delle quinte ondulate del Barocco, perch queste configurano, anche in relazione alla difusione delle carrozze, sistemi di direttrici esplodenti in fuochi, secondo la logica della "sorpresa" e spesso della persuasione occulta, del tutto ignoto alle aggregazioni descrittive, rapsodicche e narrative del mondo medievale e senese.
Le tre piazze di Siena, di cui il Campo fa parte, nascono da un preciso programma di decentramento urbano e di apertura del mercato sull'hinterland e di una razionale connessione della citt con la via Francigena. Anche il programma di urban redevelopment da cui nasce il decentramento non segue alcun rigido disegno aprioristico ma una metodologia duttile e, insieme, assai rigorosa. La nuova pianificazione prese l'avvio, che io sappia, nel sec. XIII per interrompersi solo con la peste del 1348.
Il polo civico del Campo intensifica questo discorso di superfici avvolgenti facendole confluire e intersecandole nel pi importante spazio comunitario della citt. Anche la torre del Mangia non sembra configurarsi come fulcro o coagulo visivo, focale, quanto come episodio pragmaticamente assunto per puro gusto della verticalit. A questa logica descrittiva di superfici appartiene anche la pavimentazione cava della piazza, su cui si lascia semplicemente affiorare l'andamento stesso del terreno. Dunque, doppio cavo (invaso + pavimentazione della piazza) pulsante a valenza fortemente temporale e del tutto avulso dalla pi tarda dinamica barocca.
Questo procedere per fasce e superfici continue che gradualmente, inglobando edifici ed episodi di ogni genere, dalle vie compresse sfociano nella bolla dilatata della piazza mi pare un carattere distintivo di Siena e della forte intensificazione della sua vita civica nella piazza del Campo.
Non so e non mi sento di decidere se si tratta della pi bella piazza del mondo, perch le piazze di Spagna o del Quirinale, gli invasi di Pienza, piazza delle Erbe e della frutta a Padova o piazza dei Miracoli a Pisa sono altrettanti episodi poetici (pi che di edilizia/architettura , parlerei di prosa/poesia) e dove c' poesia non c' quantit ma solo diverso e forte carattere. Tentare di captare l'individualit di ciascuno di questi episodi, ci che fa di ciascuno un unicum distinto da ogni altro, non ci gara
Commento
7258
di giannino cusano
del 29/05/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
giusto porsi domande ... quante domande (!?)
... ascoltare sentire ascoltare sentire ascoltare sentire ...
Daniel Variations, My name is Daniel Pearl di Steve Reich
http://www.youtube.com/watch?v=7Z7U-R3kYbk
bye
Eraclito
Commento
7251
di giannino cusano
del 27/05/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Caro Renzo, quando si parla di "inutilit" dell'arte credo che si intenda che l'arte non svolga una funzione eminentemente "utilitaristica".
Ci non toglie che l'arte abbia un ufficio nelle attivit umane, tanto che non si conosce civilt o et della storia priva di espressioni artistiche come non se ne conosce una che non abbia i propri modi di organizzarsi per il sostentamento (ativit utilitarie).
Non a caso l'articolo di Lazier conclude:
"Ma in generale concordo con Vilma Torselli e con lesigenza capitale di unarte inutile.
Pi inutile e sregolata , tanto pi ci necessaria."
il che mi pare perfettamente logico e condivisibile.
Ciao,
Eraclito
Commento
7232
di giannino cusano
del 22/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Caro Renzo, hai scritto
"Elucubrazioni caro Giannino, elucubrazioni... solo elucubrazioni poco chiare e molto ombrose. Ombrose appunto perch poco chiare... "
con questo caldo, un po' d'ombra non guasta :)
A ogni buon conto, d'ora in avanti mi firmer Eraclito (detto "l'oscuro")
Ciao,
Eraclito - Giannino
Commento
7230
di giannino cusano
del 21/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Caro Zappal, mi pare perfettamente legittimo il suo entusiasmo per Fuksas. Mi pare altrettanto legittimo che ci sia chi non lo condivide. Personalmente, penso che Fuksas non abbia senso della "forma" e che la "nuvola " sia un pasticcio, da questo punto di vista. E', del resto, legittimo che un sindaco lo chiami come consulente per la ricostruzione (e non certo del solo centro storico, dal momento che sono state colpite zone periferiche e che il tema de L'Aquila a me pare pi vasto di quello del solo centro storico) ma altrettanto legittimo essere critici per questa scelta, se non la si condivide. E senza dover per questo sentirsi dare degli imbecilli.
Il punto non questo, a mio parere, ma coinvolge quella che qualcuno ha chiamato "l'altra tradizione". (quella organica, nell'accezione pi ampia del termine), ormai quasi totalmente negletta e rinossa nel contesto odierno. E' in nome di questo, mi pare, che alcuni criticano la scelta del sindaco de L'Aquila: in nome di un amore diverso: con una scelta oggettuale differente.
Non c' dubbio, dal mio punto di vista, che nel contesto globale attuale si sia creata una situazione per cui alcuni architetti (detti "archistar", termine che non mi piace e tendenzialmente non uso) vivono ormai di rendita, di una spinta inerziale sulle cose fatte, monopolizzando di fatto (o costituendo in oligopolio) la domanda e l'offerta mondiali di architettura e di fatto il concetto stesso di "modernit". Non c' dubbio, per, sempre dal mio punto di vista, che architetti validissimi e creativi come, ad esempio, Lucien Kroll siano totalmente emarginati. E' un fatto; come un fatto che Kroll non cos fotogenico. Ed un fatto che l'immagine stia surrogando l'architettura: intendo "vissuta" e fruita "in diretta".
Allora, sempre per me: benissimo Hadid e quant'altro, ma se la massima parte degli interventi di una certa importanza sono ormai galvanizzati dalla produzione serializzata di immagini patinate, da architetture "da bere" prima che "da vivere", forse qualcosa non funziona e forse qualcosa si inceppato nella pluralit di possiblit e scelte che siamo in grado di mettere in campo. E questo, a mio modo di vedere, sempre un segnale preoccupante. Ed bene, per me, che ci sia chi preoccupato, si chiede perch e confuta quelle scelte.
Non ho mai ragionato in termini di "buona-" o "malafede": non m'interessa. Da laico, si tratta di categorie che volentieri lascio ai gesuiti e alle loro (immoralissime) "direzioni di intenzione". Dunque non mi interessa discutere in termini di frustrazione o di invidia. Benissimo la faziosit, se sa riconoscere e onorare quelle altrui. Sminuire, per quanto con i pi nobili intenti, con simili argomenti i propri avversari non migliora certo le motivazioni di chi lo fa. Abbassa solo il livello del confronto e deteriora e svaluta anzitutto le ragioni di chi mette in campo simili discorsi.
Il problema non "vincere" con argomenti purch siano: difatti, ci sono sconfitte onorevolissime e vittorie e successi che non lo sono affatto. Il problema, a mio avviso, cercare di capire in che realt viviamo. Perch l'arte (architettura inclusa) insieme percezione della realt e immagine del possibile. E se le opzioni si riducono a una o a un paio, e a formule bell'e pronte, il dubbio che qualcosa di fondo non quadri a me viene. A lei no?
Cordialmente,
G.C.
Commento
7223
di giannino cusano
del 20/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Pagliardini, lei sta certo argomentando in risposta a qualcuno, ma non si capisce a chi. di sicuro, non a me.
Ho spiegato e rispiegato il mio punto di vista, ora basta: penso che chi ci legge abbia compreso benissimo. Poi, si pu essere d'accordo o meno; ci mancherebbe. Mi preoccuperei del contrario :)
Saluti,
G.C.
Commento
7215
di giannino cusano
del 19/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
PS - to Pagliardini
ripeto per l'ennesima volta : NON SONO UN AMMIRATOREN DI FUKSAS. Come devo dirlo? In aramaico ? Il planning c'entra eccome: si pu prefigurare "per induzione" , con progetti (urbatetture) che abbiano un campo di elaborazione sufficientemente ampio e comprensivo. Il che non implica necessariamente megastrutture o cose del genere. E mi pareva di aver fatto un esempio comprensibile, sulla Lucania post-terremoto. Ma Byker (anche se solo di 9000 abitanti) un esempio metodologicamente altrettanto incisivo. Se vuole una lista di esempi, gliela mando volentieri con la bibliografia su New Deal & affini :)
Commento
7213
di giannino cusano
del 19/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Caro Renzo, credo che il sindaco de L'Aquila abbia chiamato Fuksas come consulente, o come coadiutore nel coordinare interventi e azioni, non come progettista unico e totalizzante. Fuksas ha indubbia esperienza di interventi a scale non proprio minute. Poi, certo: se ne pu discutere.
Uno come Piano, a mio parere, avrebbe offerto maggiore duttilit e inventiva di strumentazione, e certo questo di mettere insieme energie plurali (locali e non) per focalizzare obiettivi e metodiche un ruolo nel quale Bruno Zevi sarebbe stato imbattibile, ma le sedute spiritiche raramente danno esiti..
Se, poi, in Italia avessimo istituito o ci decidessimo una buona volta ad istituire delle "Agencies" governative ad hoc per il "planning" (non uso il termine, del tutto equivalente, di "pianificazione", altrimenti i soliti male informati di cui pullula il Paese mi danno dello stalinista) sarebbe l'optimum. E forse a L'Aquila si ancora in tempo.
Ma , tutto sommato, quelllo che il Sindaco tenta di fare, credo. Almeno, con una certa approssimazione: vedremo.
Il planning si pu incardinare anche partendo dall'architettura e dal basso, non necessariamente da grandi disegni onnicomprensivi che quasi mai funzionano. Un po' a spizzico , insomma, o per "trial and error", come sosteneva quel maoista integralista e fanatico di Karl Popper ;)
Un caro saluto,
G.C.
Commento
7214
di giannino cusano
del 19/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Pagliardini scrive:
""Turisti dal palato facile": evidentemente Giannino Cusano preferisce architetti dal palato fine tutti in visita osannanti e plaudenti alla nuova L'Aquila di Fuksas!"
e su questo punto prendo atto di non essermi, forse, spiegato bene: in queste guerriglie ideologiche e sostanzialmente fessoidi, ma proprio abbondantemente fessoidi, scattano riflessi pavloviani terribili e non intendo lasciarmici coinvolgere. . Ma proprio per questo, vediamo di chiarire: quando parlo di "turisti dal palato facile" intendo persone alle quali viene venduto per "storia" un mix ributtante di luoghi comuni e semileggende "fantasy" spacciate per documenti di cultura. E' quello che rischia di accadere, per es., ad Acerenza, dove si tenta di accoppiare innaturalmente alla storia della locale Cattedrale romanica il mito dei Templari (dei quali non c' traccia alcuna n documento storico in tutta la regione) spacciando il tutto per "verit storica" e facendo di tutto ci un polpettone ributtante e avvelenato per mungere finanziamenti pubblici (complice, probabilmente, qualche capetto politico della Regione) o quello di un non meglio identificato "Leonardo" che sarebbe stato rinvenuto in cirostanze non meglio chiare in loco e sul quale non si riesce a sapere nulla di pi, bench sbandierato ai 4 venti come il ritrovamento del secolo. Voyager ci andrebbe sen'altro pi cauto.
Voglio dire, caro Pagliardini, che quando della storia e della cultura si fa un uso tanto disinvolto e buffonesco, fino a svilirle e a svenderne l'aroma artificiale e fino a rasentare operazioni di recupero in centro storico di dubbia correttezza persino filologica, si rende un pessimo servizio alla collettivit (ai contribuenti) e per giunta col loro danaro.
Ora, Pagliardini, per puro caso a me interessano i contenuti, non chi li propone. E infatti la giunta regionale lucana, parzialmente coinvolta nell'operazione mistificatrice, di centro sinistra: eppure, a suo dire, sarei un "comunista" . E non a caso, la mia amica "A." (che non nomino perch non gradisce) una valente (e nota in campo europeo) storica medievalista lucana, con centinaia di pubblicazioni serie e documentate, politicamente di area di centro destra (guarda un po'!) incazzatissima e impegnata a smascherare l'operazione non per ragioni politiche ma perch, nota e stimatissima anche negli ambienti degli Annales francesi, non ne pu pi di andare per Convegni europei e sentirsi ogni volta sfottere con risolini ironici "be'? che avete scoperto di nuovo, 'stavolta, sui Templari in Basilicata?"
Ecco l'uso distorto del passato al quale mi riferivo parlando di "recuperi" per turisti dal palato facile: scadono nel brand anch'essi, se non inquadrati in una solida prospettiva.
Se lei sta ancora all'equazione "pianificazione (o planning ovvero programmazione) = comunismo (o NEP staliniana)", la informo che rimasto indietro di almeno 80 anni. Se tanto digiuno di, si informi. Se vuokle le mando un'ampia bibliografia. Nel frattempo, sulla netta distinzione e disgiunzione "liberismo/liberalismo" e non pregiudizialmente a sfavore dell'intervento pubblico in economia, pu leggere alle pagg. 263-267 il saggio "Etica e politica" (ed. Laterza, Ba). Il saggio di quel noto leninista e mangiatore di bambini noto come Benedetto Croce, mio principale maestro e riferimento dall'et di 16 anni assieme a Carlo Rosselli, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e Piero Gobetti. Tutti pericolosi leninisti. .
E giover certo rammentarle la frase: "il mercato non soddisfa bisogni ma solo domande" di quell'altro Che Guevara di Luigi Einaudi.
Sul resto del suo commento, stendo un velo pietoso: se lei non arriva nemmeno a capire che politiche di planning e riequilibrio territoriale sono politiche produttive e largamente adottate da decenni in paesi a democrazia liberale e parlamentare come USA, UK, Francia, paesi scandinavi, Germania occidentale, Olanda ecc. e che queste servono a creare sviluppo sociale ed economico, se la prenda solo con Pagliardini.
Ma sono fiducioso che prima o poi lo capir, con un po' di applicazione. Nelle more, intanto SI INFORMI ! come diceva Tot :).
Un saluto,
G.C.
Non solo, ma crede ancora alla "pianificazione", proprio quella vera, con le decisioni del piano quinquennale e con tanto di soldi veri! Quella, la informo, rimasta solo in Cina, dove vanno alla grande con l'economia ma con i diritti civili e sindacali non stanno messi troppo bene.
E cos, con la pianificazione, invece del dov'era com'era, la Lucania sarebbe risorta!
Per, per fare la Cina non bastano mica i comunisti al potere, ci vogliono anche i cinesi. Quindi non mi sembra esportabile la pianificazione in Lucania e, per questa volta, il comunismo dovr restare in un solo paese, al massimo due.
Scusi Cusano, ma cosa c'entra il dov'era com'era con l'emigrazione?
Mi sembra ch
Commento
7208
di giannino cusano
del 18/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
PS: x Marrucci
dovrei, ovviamente, dilungarmi di pi sulla questione "ricostruzxione lucana post 1980".. Citt di una certa dimensione, come Potenza (capoluogo regionale) avrebbero dovuto fortemente decentrare i servizi a scala teritoriale verso la superstrada basentana, drenando i flussi dall'esterno e interfacciandosi in tempi rapidi con gli altri nuclei di servizi lungo la stessa fondovalle. Comuni interni come Muro Lucano, Savoia, Brienza, Marsico Tito, Acerenza, Vaglio, Vietri di Potenza ecc. avrebbero formato altrettanti poli reintegrati di riequilibrio.
I problemi a L'Aquila, a grandissime linee, non mi paiono qualitativamente molto diversi. Pi circoscritti dimensionalmente, questo si: ed un vantaggio. Questa pu essere un'occasione: e non per archistar ma per l'Abruzzo. Altro che elucubrazioni :)
Commento
7207
di giannino cusano
del 18/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Caro Renzo Marrucci, temo che ti sia sfuggito un passaggio. Scrivi, infatti:
Si dovrebbero risparmiare elugubrazioni pseudointellettualoidi di fronte alla chiarezza del sindaco dell'Aquila. Ancora una volta un sindaco che ha capito tutto, speriamo che chi ha fatto promesse abbia il coraggio di mantenerne almeno un p. Fate ricostruire ad architetti locali, fate con corsi seri semmai... ma tenete fuori per cortesia pseudo cervelloni spottizzati... fate della vostra terra orgoglio per ricostruire e ridare dignit ai suoi abitanti e non altari pubblicitari di sacrificio per la vostra vanit.
Abbiate fiducia nei vostri concittadini e dategli la voglia di rifare con le loro mani.
Non so se ti chiaro, forse andavi di fretta, ma il sindaco de L'Aquila non si chiama Vito Corte (autore dell'articolo "L'Aquila non roba da Archistar") ma Massimo Cialente e ha appena invitato Fuksas a collaborare per ricostruire la citt. Ora, non mi pare un'idea da cestinare a priori, bench io non sia tra gli estimatori di Fuksas.
In mancanza di un serio inquadramento territoriale, procedere prefigurando urba-tetture a me pare una soluzione interessante perch consente di operare a scala pi ampia "induttivamente", di fare il piccolo pensando al grande. Non illudiamoci che col rinnovo urbano e con la crescita "zero" sia morta la pianificazione: tutt'altro. E' un errore che la cultura architettonica ha commesso a partire dagli anni '70 e che sta pagando carissimo ancora oggi. Modifichiamo pure il metodo, ma non perdiamo di vista gli obiettivi.
So bene cosa vuol dire "ricostruire" senza porsi altri problemi (quelli che chiami con disrezzo "elucubrazioni") e ti assicuro che la resa allo statu quo non una soluzione ma l'autocelebrazione della sconfitta. La mia regione, la Lucania (o Basilicata) nel solo anno passato ha perso 9000 abitanti per emigrazione, passando da 600.000: a 591.000 a fronte di una spesa complessiva per tutto il bacino irpino-lucano di 50.000 miliardi di lire per inutili infrastrutture e zone "industriali" fantasma per ladrocinio manifesto di soldi e contributi.
50.000 mld di lire: quanto l'Europa dette pochissimi anni dopo alla Russia per aiutarla a rilanciare la sua economia. Questi sono i risultati del "dov'era e com'era" invece del coraggio di elaborare un rilancio dei comuni terremotati. E ora si brandizzano i centri storici residui, ridotti a simulacri di una vita che non c' quasi pi, vendendo bufale in luogo di storia e cultura, a turisti dal palato facile. Sono le conseguenze dell'incapacit politica di pensare con un po' di lungimiranza e di inventiva. Non c'era, infatti, alcun bisogno di alterare alcunch: si poteva persino ricostruire "con le proprie mani" paesi di 2-3000 abitanti.
Ma in 15 minuti, dai cocuzzoli su cui stanno tuttora arroccati e agonizzanti quei paesini, si giunge alle fondo valle: e l occorreva lo scatto per immaginare dei nuovi centri comunitari e di servizi che servissero pi comuni e li organizzassero in sistema, li ricomprendessero in una cornice nuova virtualmente accorpandoli in comunit di 10-15.000 abitanti e pi, capaci di nuova vita che poteva rivitalizzare anche colture locali e campagne e senza rinunciare a uno solo di quei centri storici. Questa fu sempre la mia ipotesi (e non solo mia). E invece nulla: niente di niente. Tutto dov'era e com'era, per il consenso del giorno dopo. E il territorio s'impoverisce e si spopola.
Semplifichiamo, caro Renzo, semplifichiamo per non avere noiose "elucubrazioni": stiamo morendo di semplicit e semplicismo e nemmeno ce ne rendiamo pi conto.
Un caro saluto,
G.C.
Commento
7203
di giannino cusano
del 17/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Egregio Sindaco, parto dalla fine. Scrive:
La ricostruzione e la riparazione dai danni del terremoto, la prevenzione e la gestione del patrimonio edilizio italiano (e in questo una grande porzione patrimonio artistico e monumentale) non ha bisogno di alcune star che stupiscano con effetti speciali. e sono perfettamente d'accordo, anche se ritengo la questione ben pi .complessa di come solitamente tendiamo ad affrontarla.
E a met del suo articolo aveva scritto, infatti: Oggi tutti gli architetti sono cinici attuatori di subliminali strategie di potere attuate da altri? Oggi tutti gli architetti sono grevi ed incolti tecnici allo sbaraglio che, brandendo una abilitazione professionale dalle incerte origini, occupano quelle posizioni che il mercato delledilizia e dellurbanistica ancora lascia per le loro attivit?
Voglio pensare che non sia cos, solo cos.
Voglio pensarlo anch'io e voglio includere in questo pensiero, a titolo quanto meno cautelativo, anche le "archistar". Cautelativo in senso, per cos dire, "garantista", anche se non siamo in un,aula di tribunale.
Se, poi, alla parola "architetti" dell'ultimo periodo citato sostituiamo "politici" (e restando al di qua di ogni facile populismo o qualunquismo, come si diceva una volta) mutando pochi titoli accessori, potremmo riscriverlo senza che la domanda perda minimamente senso:
Oggi tutti i politici sono cinici attuatori di subliminali strategie di potere attuate da altri? Oggi tutti i politici sono grevi ed incolti professionisti (della politica) allo sbaraglio che, brandendo una abilitazione elettorale dalle incerte origini, occupano quelle posizioni che il mercato (del voto), delledilizia e dellurbanistica ancora lascia per le loro attivit?
Voglio pensare che non sia cos, solo cos.
Mi sembra, insomma, che le generali responsabilit del malaffare e del cattivo evolversi dei territori italiani siano ben altrimenti diffuse e che centrare tutto il discorso suill'architettura e gli architetti, archistar o meno, possa essere terribilmente riduttivo. E' un discorso lungo, lo so, ma proprio per questo prima si (ri) comincia e meglio . Mi pare che lei sia sindaco ed architetto: ottima premessa, al di l di ogni illusione neo-platonica su chi debba governare la polis.
C' un punto, insomma, che mi preme fissare preliminarmente: un punto per me irrinunciabile. Un terremoto non , in s, una disgrazia o una causa di guasti da riparare. Un terremoto anzitutto l'evidenziatore estremo (spesso, purtroppo, dagli esiti tragici) di mali consolidati e incancreniti ben prima, molto in anticipo sul sisma, e spesso e volentieri da decenni. Mali che affliggono citt e territori, in parte preventivabili. Credo che se dimentichiamo questo e ci poniamo solo nell'ottica di ricostruire, incappiamo davvero in una forbice tremenda: dov'era e com'era o archistar? Isozaki e Hadid o Sgarbi e Toscani? Milano o Salemi? E se, invece di "brand" contro "tradizione", si trattasse di guerra tra opposti brand, in cui anche "storicit" e "identit" altro non fossero che "da bere" anch'esse? E' un dubbio, ovviamente.
Un terremoto come quello de L'Aquila, infatti, ha evidenziato ancora una volta ci che tutti, in Italia, sappiamo perfettamente: non c' una cornice programmatica e territoriale in cui inserire la ricostruzione dopo il sisma perch non c'era nemmeno prima. Il sisma non ha interrotto il processo attuativo di un futuro comunitario: ne ha semplicemente, tragicamente evidenziato il vuoto pregresso. Forse per quello ci turba tanto non solo la notizia dei morti e feriti e senza tetto, com' giusto, ma in modo tanto coinvolgente anche la questione della "ricostruzione". Che rimarr sempre avviluppata tra fautori dell'effetto speciale (quanto inutile, evidentemente) e comprensibili fautori del "no, grazie: mi tengo tutto com'era!".
Tertium non datur, senza una strategia che non abbia finalmente bisogno di sbattere la faccia contro la catastrofe per capire che nodi antichi sono venuti al pettine. Per riecheggiare Vittorini, temo che non ci serva a molto una cultura che curi i mali senza prima averne messa a punto una in grado seriamente di prevenirli. E che sia l'ora, in Italia, di cominciare seriamente a rifletterci sopra.
Grazie per la pazienza,
G.C.
Commento
7174
di giannino cusano
del 28/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
PS: X Renzo
il "tempo che viviamo", qualsiasi tempo, non un fiume con un alveo e una corrente predeterminati. Ogni tempo ricco di rigurgi ti retrogradi ma anche, e ben di pi, gravido di ferrmenti positivi, contrastanti, ricchi di potenziale e spesso trascurati e tacitati. Si pu e si deve andare controcorrente, se si comprende che nella societ ci sono valenze censurate e vitali: dar loro forma e voce doveroso.
Commento
7173
di giannino cusano
del 28/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
X Renzo
Caro renzo, le parole a volte ingannano, sono scivolose. "Continuit", poi, una vera saponetta sciolta in acqua sul pavimento. Se intendi "continuum spaziale", ti seguo bene. E alcuni tuoi disegni pubblicati su "archiportale" lo chiariscono meglio di mille discorsi. "Continuum" non indica un fatto gformale ma di contenuti: di forma-(in quanto)-contenuto.
Pi in generale, ripensando, nel cinquantenario della scomparsa del genio di Taliesin, allo splendido "Frank Lloyd Wright. A study in architectural content" (studio sui contenuti architettonici), di Norris Kelly Smith, non posso fare a meno di considerare una cosa: vero che Wright compie fin dalle "Prairie" una serie di operazioni in apparenza "formali", ma in realt -e lo dice pi volte esplicitamente- si tratta di scelte di contenuto, prima di tutto.
Riprende le case dei pionieri in quanto, s, rappresentative di un "costume". Ma un costume che rappresenta anzitutto il momento pi coraggioso e genuino, lo stato nascente della democrazia statunitense. Scelta dichiaratamente controcorrente rispetto alla societ "affluente", richiamo alla sorgente delle frontiere della nuova libert, allo spirito della Dichiarazione d'Indipendenza e della Costituzione. Richiamo tuttora efficacissimo, quando in USA si dimentica questo carattere innovatrivo dell'Unione, agganciato saldamente a una matrice biblica e liberale.
Naturalmente, Wright modifica profondamente gli shemi tipici delle case pionieristiche: unifica i camini in un unico camino-fulcro, che anche il cuore della vita comunitaria, e di l fa scaturire dinamicamente tutti gli spazi della casa. Reinventa il tetto come "riparo", come richioamo alla terra e, prolungandolo oltre i "confini" della casa, lo imparenta indissolubilmente all'orizzonte: dall'interno verso l'esterno. Come la libert, che deve nascere sempre dall'interno e mai pu essere elargita dall'esterno. Tutte queste operazioni e invenzioni (lo sottolineo con forza) architettoniche hanno, al contempo, intense valenze formali, di vita, di spazi e di contenuti.
Allora mi chiedo (pubblicamente): come mai oggi sembra o divenuto tanto difficile occuparsi di "contenuti" in architettura, se non in termini cos generici da risultare, il pi delle volte, all'atto pratico, astratti, vuoti, e praticamente assenti? .
Bye,
G.C.
Commento
7171
di giannino cusano
del 27/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
X il sig. Pacciani
grazie per la precisazione. Fuksas non nelle mie corde. Personalmente non vedo nella chiesa di Foligno una sorta di eclettismo storicistico, ma poco male. Forse calza molto meglio la chiave della rilettura pop del razionalismo additata dalla Torselli, ma questa mi sembra una cosa affatto diversa da un'opzione eclettica.
Probabilmente intuisco meglio da dove nasce certa diffusa avversione per la cosiddetta modernit: da alcune sue versioni per me non particolarmente significative. Ma la modernit, al pari dell'architettura, non una bella signora. Forse per alcuni una velina, ma anche questo non centra la realt di itinerari plurali, polidirezionati e senza denominatori comuni.
Bye,
G.C.
Commento
7166
di giannino cusano
del 25/04/2009
relativo all'articolo
Un?idea per la Ricostruzione: proposte per l?e
di
La Redazione
Scrive Antonino Saggio, che saluto:
"L'InArch una volta aveva la forza di chiamare il Ministero o la Protezione civile e obbligare loro a fare un concorso ed assumersi delle responsabilit. Oggi mette duemila euro con altri per avere questa medaglietta di latta (.. snip ...). "
questa mi sembra un'osservazione giustissima.
L'In/arch nacque e oper sempre con lo scopo di contribuire a chiudere il (wrightiano) triangolo architetti-imprese-committenti per spingerlo a divenire sempre pi un circolo virtuoso. Oggi opera ancora cos? La domanda non retorica: se dico che non conosco la ripsosta, dico la pura verit.
Buon 25 Aprile
G.C.
Commento
7158
di giannino cusano
del 24/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Caro Renzo, scrivi:
Oggi sentirsi terrone una sorta di non senso... anzi perfino un po snob... Ma uno si sente come desidera in fondo...
ma andiamo, su: era solo una battuta. Tanto sul serio, ormai, i tempi ci hanno abituato a prenderci? Un po di humour, per favore :)
Commento
7160
di giannino cusano
del 24/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Non sar breve!
Mi pare che la discussione, a parte eccezioni, rischi di introvertirsi sullo specifico, per non dire su una sorta di inesistente autonomia, dell'architettura. E semplicficandosi eccessivamente.
Pacciani ha ragione quando parla di tematiche ecologiche ma a mio avviso sbaglia quando confonde la modernit, e segnatamente la "cultura" della modernit, con l'efficientismo del capitalismo industriale e finanziario e con il vortice consumistico che certo mettono in serio pericolo l'ambiente.
Forse c' bisogno che ricordi che Norberto Bobbio ha lavorato una vita sulla felice intuizione che il capitalismo ha, per la prima volta nella storia umana, scisso economia da politica (in senso lato) ponendo cos il termine "societ" in una nuova dialettica interna, ptrima del tutto ignota. Dunque, democrazia e capitalismo, e pi in generale cultura e capitalismo (o, oggi, consumismo) sono due corni di una dialettica complessa e conflittuale, in senso generalmente positivo. Basta rileggere Wright, del resto, per capire che aveva compreso perfettamente la questione. Che non di efficientismo ,acchinistico o economicistico-finanziario ma di prospettive politiche, culturali, spirituali. La stessa dialettica, del resto, non sfuggita agli economisti e uomini di cultura pi attenti, meno "settoriali" e certo pi moderni del XX sec. (alcuni anche del XXI) come, per es., Paolo Sylos Labini o Giorgio Ruffolo.
Dagli anni '80 in qua, a mio parere, e questo mi pare un nodo forte del problema, mentre il mondo dell'industria e della tecnologia andava avanti, il mondo della politica e della cultura non riusciva a tenere il passo con nuove politiche di riequilibrio sociale e ambientale. Con Reagan si disse che il mondo aveva inesorabilmente virato a destra. Non credo sia cos, ma si detto. Il corno politico, culturale, progettuale della societ si indebolito, mentre capitalismo e societ dei consumi e dello spreco hanno continuato imperterriti a "crescere" senza forma e senza delimitazioni di sorta. Il nostro stesso io si indebolito e rintanato in prospettive sempre pi minimaliste e laconiche: dopo i rischi della guerra nucleare, tuttora non sopiti, anche se meno acuti di un tempo nella percezione comune,. dopo le delusioni seguite alla "belle poque" degli anni 1945-1973/76 (prima crisi petrolifera) in effetti pian piano la svolta a destra c' stata. Nel senso di un calo di fiducia generalizzato, in Occidente, verso la possibilit di riformare i nostri sistemi nel senso di una societ pi a misura d'uomo.
"Psicanalisi della situazione atomica" di Franco Fornari del 1970. ma gi nei primi anni '80 si scrivono libri di taglio totalmente diverso, come la cultura del narcisismo" (1\981) di Christopher Lasch. Che aveva lucidamente compreso che la partita si iniziava ormai a giocare nel senso della sopravvivenza psichologica, prima ancora che materiale. E sempre lasch, nel 1984, propone una lettura della situazione che mi pare estremamente significativa ne "L'Io minimo: la mentalit della sopravvivenza in un'epoca di turbamenti". C' una diffusa mentalit del "si salvi chi pu" -alimentata anche da molto terrorismo psicologico di certo catastrofismo ecologista- che rende sempre pi scettici nei confronti di progetti sociali comuni.
Tutto sommato la "belle poque" 1950-'73 aveva retto, vero, sull'illusione dell'inesauribilit delle risorse (e gi Peccei e il Club di Roma avvertivano di fare attenzione), cio sul volano del petrolchimico, ma questo non basta. C'era anche una sorta di equilibrio o compromesso tra capitalismo manageriale e umanesimo socialdemocratico, in senso lato, o umanistico-rifornatiore che negli anni '80, per ragioni che sarebbe lungo analizzare, si ruppe a livello mondiale. Quello che da tempo sta prendendo piede in occidente una mentalit da assediati: specie dopo l'11 settembre, ma non solo.
E se il Moloch della crescita illimitata (Moloch contro cui si sempre scagliata tutta la cultura urbatettonica moderna: altro che storie!) negli anni del tramonto delle ideologie rimasto l'unico vero residuo ideologico perfettamente integro e trasversale a destra come a sinistra, proprio continuare a credere pi o meno inconsapevolmente in questo Moloch porta poi alle crisi di sconforto e di pessimismo generalizzato quando le cose non vanno come previsto. Ma da chi? Da quelli che in generale potremmo chiamare "futurologi", in realt gli arspici del tempo presente. Che siano economisti, sociologi, architetti, urbanisti, tecnologi, poco cambia.
Come sempre, anche gli arspici di oggi si dividono nelle due eterne categorie dei catastrofisti e degli iperottimisti. E regolarmente toppano previsioni: perch non c' nulla da prevedere. Perch dietro l'angolo non c' nulla e nel "corso degli eventi" non c' alcun senso inscritto se non quello che sappiamo e osiamo metterci noi oggi oggi.
Commento
7153
di giannino cusano
del 23/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
X Renzo: PS
col termine "passato" intendo qui un patrimonio di soluzioni e forme avulse dai loro contenuti, impunemente prese alla lettera e in prestito per operazioni "friggi e mangia", acrtitcamente catapultate nel contesto attuale, senza minimamente comprendere la situazione odierna. Questo saccheggio formalistico della storia un'operazione consumistica ben peggiore del male che dichiara di voler combattere.
Commento
7152
di giannino cusano
del 23/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Caro Renzo, ti sei spiegato benissimo.
Due soli appunti (o dis-appunti):
1. scrivi: "Pi che terrone sei passionale, ma questo un pregio!"; grazie; solo che per me il pregio maggiore essere "terrone" :)
2. il nuovo: la vita va avanti e pone problemi che il giorno prime non immaginavamo nemmeno. Affrontarli con strumenti obsoleti significa solo non centrare i nuovi problemi e stravolgere anche vecchi equilibri: un discorso del tutto generale, peraltro. Non solo architettonico o urbanistico.
Qual stata la novit dell'architettura e dell'urbanistica organica, tra le altre? L'impegno sociale. E hai ragione quando rivendichi un'architettura e una citt fatte "per l'uomo" (sottintendo "di oggi", perch quello ottocentesco o feudale possiamo solo sforzarci di immaginarlo). Penso che abbia ragione persino Eusebio d'Inghilterra, in alcune motivazioni e moventi (poi, direi proprio che con questa storia delle citt violente, voraci e disumane .secondo me si esagera).
Ma pu, la terapia, saltare a pie' pari la complessit dei problemi come oggi si presentano e, rifugiandosi nel bel tempo che fu, sperare di essere efficace? Io penso decisamente di no. I fenomeni, peraltro, non sono ingovernabili perch sono complessi -assunto che spesso induce nell'illusione che semplificando l'immagine della realt semplifichiamo anche la realt, a tutto vantaggio del demagogo di turno-: sono ingovernabili per anomia e per carenza di vera tensione progettuale. Che come dire tensione morale.
Dunque il "nuovo" significa capire che siamo entrati, da qualche decennio, in una dimensione in grandissima parte sconosciuta ai nostri avi. Se il futuro non pi quello di una volta , nemmeno il passato lo : e non pu, in quanto tale, aiutarci. Pu solo essere (ri)assunto in una cornice inedita. O gireremo a vuoto. E' in parte vero, secondo me, che le archistar si aggirano in una dimensione narcisistica. Ma chi ripropone un banale ritorno alle cose buone e genuine del villaggetto sereno di un tempo non mi pare, francamente, da meno: anzi! Credo che si tratti di due chiavi altrettanto inutili: perch destinate a porte che o non ci sono o non menano da nessuna parte.
Cordialit,
G.C.
Commento
7149
di giannino cusano
del 23/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Caro Lazier, grazie dei chiarimenti. Pienamente d'accordo che "Siamo come gli antichi perch, come loro, si vuole essere moderni. La modernit, quindi, appartiene a tutti i tempi."
"Non temporizzabile perch non la si pu appiccicare ad un perdiodo storico definito."
D'accordo anche su questo. Solo, ho il sospetto che ci sia anche l'altra met: cio che i suoi problemi e contenuti-forme mutino e siano, perci, in s temporalizzati. Per es., nulla di pi borrominiano della Palazzina di Passarelli in via Campania o dell'Habitat di Safdie a Montreal (e pensare che c' ancora chi parla di astoricit del Movimento moderno!) ma quel riportare Borromini all'attualit credo sarebbe stato completamente diverso 50 anni prima o dopo quelle due opere.
Bye,
G.C.
23/4/2009 - Sandro Lazier risponde a giannino cusano
S. Credo anch'io che l'esito dell'architettura non possa appartenere a nessun tempo. Credo altres che, per primo, Zevi abbia compreso come, senza un buon motore, nessuna architettura pu dirsi tale solo per la sua forma. Il motore dell'architettura una costante (quindi senza variabile temporale) tensione morale verso il rinnovamento, che appartiene ai protagonisti di ogni momento della storia. Questo credo sia il succo della frase.
PS: abbiamo inserito la carta del Machu Picchu del '78
Commento
7138
di giannino cusano
del 22/04/2009
relativo all'articolo
Un' idea per la Ricostruzione: proposte per l?em
di
La Redazione
Finalmente si respira un po' d'aria buona: ottima iniziaiva!
Commento
7140
di giannino cusano
del 22/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Caro Renzo, mi sa che tenter di fare il disegnino e,ad Antthesi piacendo -che ancora una volta ringrazio per lo spazio che mette a disposizione di tutti- credo che prender ad esempio Roma dopo il 1870. Devo acquistare un nuovo scanner, perch il mio glorioso hp, nonostante il vetro invece della plasticaccia e nonostante lenti e prismi di tutto rispetto, fa i capricci. Cosa ovvia, visto che lavora indefesso ormai dal lontano 1992, ma insomma: tant'. Un po' di pazienza, per favore :).
Come sia, anticipo, a grandi linee, cosa intendo con "solo creando il nuovo si pu preservare l'antico". Le vicende di Roma sono, come per gran parte delle citt italiane -con pochissime eccezioni- emblematiche e contrassegnate, a grandi linee, da un errore di fondo enorme. Che questo: di fronte ai nuovi problemi posti dal drastico cambiamento di dimensione e di organizzazione della citt nuova, si interviene non inventando un organismo di tipo inedito e consono ai problemi dei tempi, ma "espandendo" il centro storico. Illudendosi, cio, che la citt potesse configurarsi "per parti" (ricorderai certo le inani teorizzazione di Aldo Rossi sulla citt "per parti") appoggiando le esigenze della nuova vita urbana sostanzialmente sulla vecchia struttura. E, sostanzialmente, andando a rimorchio del mercato edilizio con piani per lo pi di ordinaria amministrazione, invece di indirizzarne gli esiti verso un organismo consono alle mutate condizioni di vita.
Il primo risultato stato di soffocare il centro storico entro cinture concentriche di raggio sempre pi ampio, invece di capire che Roma si espandeva "naturalmente" verso Est. Il secondo e conseguente risultato, stata l'impossibilit di ogni decentramento di funzioni incompatibili con la citt storica; il terzo la necessit (del tutto gratuita) di procedere a sventramenti sempre pi massicci del centro storico. Perch? Ovvio: perch espandendo la citt tutt'attorno al centro, nasce il problema di consentire al traffico veicolare di attraversare il centro stesso per connettere tra loro le nuove espansioni.
Iniziamo subito con gli sventramenti ottocenteschi e si prosegue, poi, con quelli sempre pi invasivi del primo '900 e del fascismo. Si dice che quegli sventramenti avessero una logica: verissimo, a partire dalle premesse che ho rapidamente delineato. Il punto che le premesse erano sbagliate. E quali erano? Forzare l'antico a farsi carico dei nuovi aspetti della vita moderna, stravolgendolo, invece di "inventare" il nuovo organismo facendo s che il vecchio centro rimanesse un quartiere dell'intera ciitt, questa s investita delle nuove dinamiche, invece di farsi carico di problemi che non poteva affrontare e risolvere. E' semplice, mi pare. le ripercussioni sono enormi: si guardi l'Oratorio dei Filippini, per es. Lo sventramento di corso Vittorio ha totalmente alterato la lettura della sua facciata e reso incomprensibile il celebre angolo con via dei Filippini. Quella facciata e quell'angolo erano stati pensati per una visione ravvicinata e di scorcio, mentre ora risultano sfocati e appiattiti dall'ampio invaso antistante. E' solo un piccolo esempio. Perch si arriva a questo? Per creare una via a scorrimento veloce che attraversasse il centro connettendo il quartiere Rinascimento ai nuovi nodi di largo Argentina e al sistema viario di piazza Venezia e, di qui, via dei Fori Imperiali-Colosseo-Circo Massimo-EUR, da un lato, via Nazionele-terme di Diocleziano-Termini dall'altro. Non era affatto necessario arrivare a questo. Si pensi, ancora, alle enormi manomissioni del quartiere di Tor di Nona o a corso Rinascimento. Si era giunti persino a pensare di distruggere le testate di piazza Navona -crimine riuscito solo in parte- per farne un'altra arteria a scorrimento veloce. Tentativo, per fortuna, fermato sul nascere.
Gran parte della storia urbana della capitale post-1870 costellata da una selva di progetti per l'ammodernamento e il rifacimento del centro storico, che erano nient'altro che suoi stravolgimenti. Era necessario? Per nulla: bastava pensare seriamente la citt nuova. Si pensi che entro questa cornice il Brasini immagin persino di collocare in centro storico la nuova sede del palazzo Littorio: una piramide tronca gigantesca che avrebbe dovuto superare quasi del doppio l'altezza di San Pietro. E si pensi, ancora, alle zone archeologiche e al parco dell'Appia antica. L'equivoco romantico di restituirle alle letture del Gregorovius o di Stendhal era perdente e impraticabile, perch comunque vi arrivavano i fischi dei treni, i rumori del traffico e vi si vedevano sull'orizzonte i profili della citt post-unitaria. Cosa si fece? galvanizzati dal mito di riportare il parco dell'Appia ai tempi romantici, non si sa perch, e stante l'impossibilit del sogno, non si procedette, per es., a una sistemazione adeguata del verde che il pi possibile prendesse atto delle nuove condizioni e dei nuovi problemi venutisi a profilare. Si
Commento
7147
di giannino cusano
del 22/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Scrive Lazier:
Nino Saggio in un intervento al Convegno di Zevi sulla paesaggistica (Modena 19/09/1997)
(snip) Ma io l'ho capito una volta [cos' la modernit] , veramente, quando con le sue domande a trabocchetto, mi disse "Ma insomma, che questa modernit? ...". E io: "Certo non temporalizzabile" e lui: "... la modernit quella che trasforma la crisi in valore".
Zevi interviene. "Ma non mia!".
Ho bisogno di un supplemento d'informazione: non ho capito a cosa si riferisce quel "ma non mia!": alla frase? alla modernit, in quanto magari trasforma la crisi in valore? Non ho compreso proprio lessicalmente.
Come sia, trovo vero che Siamo antichi perch abbiamo il problema della modernit. (ma questo non vale, penso, solo per l'Italia): cio della flagrante e perenne realt dei problemi che abbiamo davanti, oggi e per il futuro, come ce l'aveva Borromini all'Oratorio dei Filippini o a Sant'Ivo, lo scavatore dei sassi, l'abitatore e affrescatore delle caverne o dei nuraghe o Arthur Dyson. E dunque, nemmeno x me si pone il problema di sapere se + moderno Wright o Arnolfo di Cambio.
Penso, poi, che la cultura non serve a nulla, se non ci aiuta a centrare gli ostacoli che abbiamo davanti e ad abbattere i concetti morti.
La modernit non temporalizzabile perch, a mio parere, non ha bisogno che qualcuno la temporalizzi: intrinsecamente temporalizzata o non . Non le si pu, credo, imprimere la variabile "tempo "dall'esterno come si applica una crema rassodante.
Bye,
G.C.
PS - sommessa domanda: su Antithesi non riesco a trovare la carta del Machu Picchu. O non ben visibile, o non c'. Nella seconda ipotesi, non sarebbe utile pubblicarla anche qui, bench la si trovi anche in altri siti?
22/4/2009 - Sandro Lazier risponde a giannino cusano
"Ma non mia!" riferita alla frase. Infatti di Baudrillard.
Siamo come gli antichi perch, come loro, si vuole essere moderni. La modernit, quindi, appartiene a tutti i tempi. Non temporizzabile perch non la si pu appiccicare ad un perdiodo storico definito.
Per quanto riguarda il concetto di crisi, mi pare oggi accettato generalmente. Nei processi ripetitivi (tautologici) della natura (biologia) o dell'uomo (comportamenti sociali) solo le differenze (anche piccole) producono cambiamenti (anche grandi). Differenze dovute ad errori di riproduzione. Errore, quindi, crisi che si trasforma in valore.
La carta del Machu Picchu, in effetti, non l'abbiamo mai pubblicata. Provvederemo al pi presto. Grazie
Commento
7148
di giannino cusano
del 22/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Renzo, sono un passionale terrone d.o.c. e me ne vanto. Ogni tanto, pur senza incazzarmi, mi accaloro non poco se cose che a me sembrano naturalissime, quasi scontate, mi pare siano recepite un po' distrattamente. Ma una mia impressione. E' che .vorrei pi contraddittorio, argomenti e calore per poter andare oltre. E vorrei che anzitutto le contraddizioni interne ai discorsi di cisacuno venissero evidenziate e minate senza piet: solo cos, credo, si cresce tutti.
Cmq non importa: abbiamo tempo..
Una cosa devo chiedertela: dici che il problema non il "nuovo" ma quello di saper leggere la citt. Mi spieghi la differenza? Io non riesco a vederne.
Grazie,
G.C.
Commento
7143
di giannino cusano
del 22/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Caro Renzo, scrivi:
"Oggi cos la nostra citt cresce "
e per molto tempo cresciuta vorticosamente. Questo, da un secolo e mezzo in Italia, un fatto nuovo. Non lo si affronta con metodi calibrati su una citt che cresceva poco e lentamente.
prosegui:
" Lasciamo perdere luoghi comuni caro Giannino Non una questione di veline"
chiss perch i luoghi comuni sono per lo pi quelli degli interlocutori, quasi mai i nostri. Ho portato fatti e mi aspettavo altrettanti fatti a smentirmi, non astratte e preconfezionate enunciazioni teoretiche.
Quanto agli "slogan", dipende: se sintetizzano un pensiero, servono eccome.
Ma ti ringrazio per il tuo intervento: tutto sommato mi fa venire il dubbio che il famoso "disegnino" sarebbe con ogni probabilit fatica e fiato sprecati, tanto miope, degradato e ridotto ai minimi termini il dibattito .nel nostro Paese. Cio depresso, in tutti i sensi: morale, ideale e dei contenuti.
Non mi sorprende che siamo agli esibizionismi da archistar, se non siamo stati capaci di po' pi alto il livello e il costume generale. Quegli esibizionismi sono una conseguenza, non una causa. E ci accaniamo a combattere il sintomo senza cercare di guardare oltre.
Cmq, caro Renzo : amministriamo l'esistente! Tiriamo a campare! Sull'incarico e il consenso del giorno dopo, magari conditi di facili e incolti populismi, brindando alla sconsolata e desolante celebrazione dell'ideologia della sconfitta e dello sfascio alla tavola imbandita dal marchesino Eufemio. A me pare un banchetto funebere. Lascio volentieri ad altri i Krier e mi tengo altrettanto volentieri il buon, "vecchio" Piccinato, ancorch riattualizzato. Purtroppo, sono inguaribilmente astemio, da questo punto di vista :)
Chi vivr vedr :)
Un caro saluto,
G.C.
Commento
7137
di giannino cusano
del 21/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
X Pacciani.
Ha scritto:
... 1) per modernisti intendo ... gli architetti che dal primo movimento moderno fino agli ultimi eclettismi storicistico-moderni, o agli ultimi sperimentalismi, credono ancora nel potere salvifico del nuovo e nella tabula rasa rispetto al modo di gestire l'antropizzazione del territorio come si fatto per secoli nella storia
Che gran confusione.
1. modernismo" un movimento cattolico, dissidente ed eretico, che alla fine dell'800 tent di aprire la chiesa ai problemi che i nuovi tempi ponevano, invece di rimanere illusoriamente trincerata nei tab della Controriforma. Successivamente, il M. divenne anche un movimento letterario e architettonico formalistico ed eclettico, visto che si occup di stili e non di contenuti. Indubbiamente, il M. interseca l'Art Nouveau e predispone un formidabile congegno pop che influenza, in qualche modo, anche la ricerca di Gaud: quanto meno, gli consente di intrecciare diversi in una fortissima visione unitaria e per nulla eclettica. Ma la statura creativa di Gaud certo debordante rispetto ai miscugli stilistici del M. e di Domenech y Montaner. Ora: io non sono cattolico e nemmeno cristiano, quindi non posso essere modernista; ergo: il discorso non mi riguarda. Moderno si, invece: e questo lo rivendico senza mezzi termini.
Eclettismi storicistico-moderni? E che roba ? Me lo spieghi, per favore: sicuramente un mio limite, ma non ne ho mai sentito parlare. Perdoni l'ignoranza, sa com': lei cos tollerante :)
Potere salvifico del nuovo? Il nuovo non un capriccio, non nuovismo: credo che le sfugga che dalla prima rivoluzione industriale in poi si pi volte spostato il cuore stesso dei nostri problemi sociali e questo, assieme a un'accelerazione mai vista prima, ha imposto la ricerca di risposte efficaci alle quali la riduzione a stile dell'architettura e della citt non poteva fornire risposte adeguate. Sto parlando di contenuti. Quanto alla tabula rasa rispetto al modo di gestire l'antropizzazione del territorio come si fatto per secoli nella storia, anche questa una frase a dir poco criptica, oltre che astorica e fuori tema. Penso che lei sappia che Richard Rogers o renzo Piano sono impegnati in prima fila sul tema della sostenibilit. E penso che lei dovrebbe sapere che questo uno dei cardini centrali della modernit, in particolare del movimento organico.
Detto questo, vengo alle insulse imbecillit di Carlo e di Krier, che cosa affatto diversa dal chiamarli imbecilli. Se dicono sciocchezze, dicono sciocchezze: c' poco da fare. Magari sono le persone pi intelligenti del mondo, ma in quel momento dicono corbelleria. Altro giudicare un concetto, altro giudicare le persone. Se insistono, per, farebbero meglio ad occuparsi d'altro.
Ora, in termini demografici lo sa quante Poundbury ci vogliono per coprire il fabbisogno urbano di Londra? Circa 1500. Per Tokyo, da 1600 a Poundbury a 2000, secondo che il calcolo si faccia sulla popolazione notturna o diurna; pi o meno lo stesso per New York o Citt del Messico e cos via. E pensiamo, con Poundbury, di affrontare i problemi della dimensione e della crescita urbana? Poundburyu pi o meno grande come Vignanello, delizioso paesino della Tuscia. Che bisogno c' di farne altre? Se uno desidera, si trasferisce in paesini come Vignanello: ce n' a iosa, in Italia. Ma davvero i problemi di Roma, Milano, Napoli, Genova pensiamo di affrontarli a colpi di Poundbury o questo solo un modo evasivo e narcotizzante di far finta di aver risolto che quei problemi o che non esistano?
Mi creda: la citt-giardino, con tutti i suoi limiti, una risposta molto pi efficace, nonostante tutto. E se il marchesino Eufemio d'Inghilterra, che evidentemente vive fuori dal mondo della gente comune , di quelli che tutti i giorni vanno in fabbrica o in ufficio a guadagnarsi il pane, avesse lontanamente immaginato che il Movimento moderno annovera Howard tra i suoi maestri, forse avrebbe fatto miglior figura come urbanista e peggiore come comico. Su Krier stendo un velo pietoso: non colpa sua, temo: proprio non ci arriva. Solo che a un architetto -o sedicente tale- non si pu certo perdonare di ignorare cosa sia la polemica anti-urbana di Lewis Mumford, di Frank Lloyd Wright o di Jane Jacobs e di che portata e spessore siano i temi delle risposte da loro elaborate e le battaglie che hanno innescato sulla citt-territorio. Per tacere di Garnier, L.C., Erskine, Safdie, Renaudie.
La verit, caro Pacciani, che qui c' chi, col Movimento moderno, si batte giorno per giorno nel vivo dei problemi, rischiando di persona sconfitte e centri, e chi invece si trastulla con paesini-outlet spacciati per soluzioni al nulla. Perch si tratta, per lo pi, di evasive fughe dalla realt.
Auguri,
G.C.
Commento
7135
di giannino cusano
del 21/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Permetta, Pacciani: lei si rivolge a Lazier, cui certo non voglio fare da difensore (non ne ha bisogno e risponder lui stesso, se lo riterr) ma la faccenda non riguarda solo Lazier, evidentemente.
Lei scrive:
... Carlo mi sembra proprio che proponga e non neghi come fanno i modernisti....
Sue posizioni previlegiate in ambito della cultura architettonica dominante tra le Lobby immobiliariste, accademiche e editoriali non vedo poi dove siano, anzi....
Tolleranza rispetto alle differenze mi sembra che manchi da parte dei modernisti verso chi sostiene l'architettura tradizionale...
Viene spontaneto chiedere:
1. che intende con "modernisti"?
2. tolleranza per lei significa tollerare qualsiasi imbacillit venga in mente a un signore, per definizione "d'alto ingegno " solo perch "d'alto lignaggio" o diritto di critica, di dissenso e persino di satira e di sarcasmo?
Mi passi il parallelo, le assicuro privo di qualsiasi ironia: che le assonanze, a volte, riecheggiano con prepotenza. Anni fa, durante il noto processo e non credendo alla versione ufficiale, indossai a lungo una t-shirt con su scritto in bella mostra "I love Pacciani!". Ricorder la storiaccia toscana dei "compagni di merende", no?.
Ora, non posso certo indossarla di nuovo per lei: primo perch non imputato di alcun delitto, e nessuno per fortuna le imputa alcunch, secondo perch la trita e frusta faccenda di "modernisti" vs. "tradizionalisti" mi suona come una pessima imitazione di una pappina Mellin buona per tutte le occasioni. Che come dire per nessuna; e solo con i poppanti, naturalmente.
Ripeto: solo creando il nuovo si pu tutelare l'antico. Si spiega, si capisce abbastanza da s, o devo fare un disegnino?
Con totale dissenso,
G.C.
Commento
7133
di giannino cusano
del 21/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Carlo: il marchesino Eufemio del XX sec.
Questo non ha nulla di Carletto e manco di Pierino: dice di quelle cretinate da far rabbrividire. Anni fa scrisse un saggio, "Good and Bad Manners in Architecture", che ebbe il merito certo di ridare attualit ai celebri, sferzanti versi di Giuseppe Gioacchino Belli:
A d trenta settembre il marchesino,
d'alto ingegno perch d'alto lignaggio,
di nel castello avito il suo gran saggio
di toscan, di francese e di latino.
Ritto all'ombra feudal d'un baldacchino,
con ferma voce e signoril coraggio,
senza libri prov che paggio e maggio
scrivonsi con due g come cugino.
Quinci passando al gallico idioma
fe' noto che jambon vuol dir prosciutto,
e Rome una citt simile a Roma.
E finalmente il marchesino Eufemio,
latinizzando esercito distrutto,
disse exercitus lardi ed ebbe il premio.
Commento
7132
di giannino cusano
del 21/04/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce l?ha già
di
Teresa Cannarozzo
X Zappal
Non si capisce perch e con chi tu ce l'abbia, ma non mi pare ci sia alcun obolo da pagare.
Chi crede, racconta o ha raccontato la propria esperienza. Io ho osservato per lo pi due tipi prevalenti di reazione: 1. negazione dell'accaduto continuando imperterriti a fare ci che si stava facendo un attimo prima del sisma, come se nulla fosse accaduto; 2. senso di terremoto e sgretolamento interiore, di fallimento totale della propria esistenza.
Quanto ai dati sul sisma di Santa Lucia, o di Carlentini, del 13 Dicembre '90, per averli basta andare sul sito di un qualsiasi osservatorio sismologico straniero, se non ci si fida di quelli italiani. Dubito, per, seriamente che tutti gli osservatori del mondo si mettano d'accordo all'istante per alterare i dati e minimizzare i danni.
Fisheries & Oceanis Canada riporta questi dati (rilevati dall'USGS -U.S. Geological Survey) relativi ala stima degli "Tsunami Hazards" (http://www.pac.dfo-mpo.gc.ca/sci/osap/projects/tsunami/js/decades.pdf):
1990, December 13. A 5.3 Ms (5.5 Mb) (USGS) earthquake at 00:24 UT near Sicily, Italy, caused at least 18 fatalities and 300 injuries. The most damaged cities were Augusta, Carlentini, Lentini, Melilli, Militello, and Priolo Gargallo. At Augusta, sailors observed an anomalous wave offshore. In the Augusta district called Contrada Granatello the road along the coast was flooded by a wave. At Catania small submarine landslides were reported, and, at Agnone Bagni, close to Augusta, bathymetric changes as large as 50 meters were reported. Lo Guidice and Rasa, 1990; De Rubeis et al. 1991; PDE.
Validity 4.
dove Ms=Magnitudo di superficie, Mb= Magnitudo di volume.
So benissimo che il sisma fu minimizzato, dimenticato e sostanzialmente i danni non furono mai finanziati. Qui serve, credo, una precisazione: la scala MCS (Mercalli) fenomenica: misura gli effetti di un sisma (=intensit), non la sua energia effettiva (Magnitudo), per cui la stessa Ml (Magnitudo Richter) pu produrre effetti molto diversi da zona a zona, in funzione della natura e dello stato dei manufatti e della natura del sottosuolo.
Mi risulta pure che Augusta sede di insediamenti petroliferi sui quali occorrerebbe riflettere seriamente (insisto: in un quadro di seria pianificazione territoriale, una buona volta in Italia!). Pochi anni fa feci il giro dell'isola partendo da Palermo e passando per Trapani, tappa alle Egadi, poi di nuovo Trapani-Sciacca, sosta di 10 giorni a Noto, poi -grosso modo- Caltagirone-Siracusa-Catania-Palermo. Di Sciacca, per inciso, sulla splendida spiaggia ricordo un ristorante sul mare dove, dopo un lungo bagno in mare, ho mangiato delle sarde a beccafico davvero indimenticabili. E' di un bergamasco, mi pare, con moglie del posto, ma non ricordo il nome del ristorante. E' abbastanza famoso, cmq.
Come sia, venendo al discorso "architettura": sono dell'avviso che SOLO CREANDO IL NUOVO SI PUO' TUTELARE L'ANTICO. Spero, con l'aiuto delle maiuscole, di aver chiarito una volta per tutte il mio pensiero. Ma questo per me non vuol dire buttar via i "presepi" e restare sordi alla loro lezione storica. Se il nuovo irrinunciabile, dal mio punto di vista il "nuovismo" sempre un grosso rischio.
A presto,
G.C.
Commento
7127
di giannino cusano
del 19/04/2009
relativo all'articolo
Rapporto da una periferia territoriale:
la Val
di
Teresa Cannarozzo
Ho trovato ottimo e assai ben documentato questo rapporto. L'ho riletto atentamente, pi volte. Come pi volte ho visitato la meravigliosa terra di Sicilia, ma selettivamente, come mio solito, per cui quasi niente Belice, niente Gibellina. Poco male: ci sono concetti che si possono comprendere bene anche senza specifiche conmoscenze di merito. A patto, naturalmente, di leggerne i grandi tratti e le strategie che prefigurano, Non c' futuro possibile se si pretende di saltare a pie' pari il passato: occorre anzituto leggerlo con grande attenzione per capire cosa tuttora vivo. Tra by-passare in toto il passato in nome di una malintesa modernit e scimmiottarlo saccheggiandone a piene mani stili e non digerite forme, come fa Portoghesi a Poggioreale, non c' differenza alcuna, perch il passato in ambo i casi trattato da questione definitivamente chiusa, dunque priva di continuit col presente e col futuro e di qualsiasi possibile, vera innovazione.
Credo che uno dei passaggi chiave cui dedicare molta atenzione sia
Forse bisognerebbe riflettere di pi sul fatto che la somma di tanti edifici anche interessanti non produce automaticamente la citt, che il frutto di un processo di stratificazioni culturali, appropriazioni identitarie, relazioni sociali, scambi, economie, appartenenze.
Ecco: non s'impianta "citt" con la bacchetta magica. Questo delirio di onnipotenza ha ben poco a che vedere con l'architettura. E forse ha contribuito assai a posizioni retrograde successivamente risorte nell'Italia intera, per la sfiducia che ha indotto negli animi tanto velleitario "disegno" avulso da qualsiasi riflessione creativa sulla storia viva. Ed di storia che abbiamo bisogno: di cognizione di causa della situazione presente, d come si sia venuta formando, se vogliamo spingerci costruttivamente, cio creativamente, oltre.
Commento
7123
di giannino cusano
del 19/04/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce l?ha già
di
Teresa Cannarozzo
Non sar breve.
Gli argomenti, giustamente, s'incrociano. Non conosco Gibellina, conosco un po' l'Aquila e il suo territorio. So che una citt di fondazione della met del XIII sec. nata come conurbazione di oltre 80 borghi o Castelli per ferma volont della popolazione, stanca delle angherie di feudatari di pochi scrupoli morali e ratificata abbastanza presto dalla monarchia sveva. Per inciso, la fine del regno normanno-svevo ha coinciso, per me, con l'inizio della fine del mezzogiorno d'Italia, da quel momento monco della Sicilia, data per ragioni strategiche agli Aragona, mentre per le stesse ragioni la parte peninsulare andava agli Angi. Questo nuovo doppio regno, nato monco e smembrato, rester per secoli sospeso tra Mediterraneo ed Europa senza poter compiere vere scelte strategiche efficaci e di lungo respiro. Ma chiudo la parentesi: porterebbe troppo lontano.
Le vicende de L'Aquila sono state tutt'altro che pacifiche, nel corso dei secoli. Lotte esterne ed intestine, aggressioni militari ora dei Durazzo ora del papato ne scandiscono frequenti momenti tragici. Il senso di identit di questi borghi, passati nel tempo a 99, rimasto molto forte fino a tempi recenti, ma ignoro se lo sia tuttora.
Ha ragione Lazier, a mio parere, quando afferma che il futuro quello che conta di pi. Sono un terremotato del 23 Novemvre 1980: so bene cosa vuol dire trovarsi in una manciata di secondi improvvisamente privi di qualsiasi prospettiva di vita. Come terremotato, sono un fortunato. Non solo perch nato in una famiglia benestante, ma perch la mia vita si era ormai trapiantata da Potenza a Roma. Come sia, la notte tra il 24 e il 25 viaggiavo con una enorme Peugeot presa in prestito in cambio della mia minuscola A112 per portare gi un carico di plaid e pane fresco raccolto in gran fretta con l'aiuto di amici pittori e scultori con i quali avevo improvvisato un centro di raccolta nella piccola galleria d'arte di fronte a casa mia.Era il loro ritrovo abituale e lo frequentavo spesso e volentieri. L'auto era zeppa e continuava ad arrivare roba che non sapevo pi dove mettere. Viaggiai di notte ma la speranza di trovare poco traffico fu sconfessata gi sulla A1 da interminabili colonne di mezzi militari e civili. Questi ultimi con le targhe pi disparate: Bologna, Firenze, Milano, Torino, Trento. E dimentico tantissime sigle non meno presenti.
Pensavo, guidando, a quanto strana l'Italia: anarcoide e individualista fino al menefreghismo pi esasperante, all'imprevidenza pi incosciente e allo scarso senso delle conseguenze organiche delle proprie individualistiche spavalderie, ma generosa nelle tragedie e grande nei funerali, specie collettivi. Quasi solo in quelli, per la verit. Pensai che tra le due cose ci fosse un nesso diretto e inscindibile di causa ed effetto. Non sono riuscito a cambiare idea. Anzi: me ne convinco ogni giorno di pi. Come sia, non immaginavo che quel viaggio si sarebbe tradotto in 18 anni di esperienza lavorativa maturata in zona sismica di prima categoria.
Dai sopralluoghi ingrati e frettolosi nelle case del centro storico a quelle nuove in cls. armato, a caccia di lesioni sospette, che dovevano concludersi in un "SI" o un "NO" ("agibile" o "bnon agibile") pitturato sul portone d'ingresso con vernici per strisce stradali messe a disposizione dall'ANAS, ingrate perch molti supplicavano, alcuni piangendo :-Scriva agibile. per carit di Dio, altrimenti dove andiamo a dormire stanotte?" fino ai pochi lavori svolti di ristrutturazione e adeguamento sismico. Passando per i 2 Convegni "Dal design all'habitat" organizzati nell'81 e nell'82 dall'In/Arch a Bari, nell'area della Fiera del Levante, regista l'instancabile Bruno Zevi, per focalizzare nuove idee per il rilancio del Mezzogiorno attraverso la ricostruzione. C'erano nomi come Luigi Pellegrin e Leonardo Ricci, per citarne solo due. Ma i politici erano, al solito, alquanto distratti. Mi feci un'idea che, anch'essa, doveva rimanere nella mia testa, per quanto in ogni occasione rivendicata con forza. E gi i sindaci degli oltre 280 comuni coinvolti precisavano a gran voce di volere la ricostruzione "com'era e dov'era".
Ecco: "adeguamento". Perch la L.219/81, poi Testo Unico del '90, imponeva l'adeguamento sismico e funzionale degli edifici, non solo la riparazione o ricostruzione di quelli danneggiati o crollati. E questo un primo punto da fissare bene in mente. Non significa nulla, infatti, dire che le case danneggiate sono il 30 o il 50 %. Bisogna anche prevenire, una buona volta, in una zona come quella aquilana ancora catalogata come sismica di seconda categoria quando, con ogni probabilit, pi realistico che passi alla prima.
Il florilegio immondo della stampa e dell'informazione nostrana ha, in questi giorni, raggiunto livelli sciacalleschi mai visti. Noi abbiamo un giornalismo che nel suo complesso , tecnicamente, fascista nell'anima: e sia detto senz
Commento
7011
di giannino cusano
del 02/04/2009
relativo all'articolo
Galvagni all'universit di Genova
di
Sandro Lazier
Visto che nessuno fiata, vediamo di rompere un po' il ghiaccio.
Non credo e non ho mai creduto negli artisti "incompresi". A ben guardare, i cosiddetti "geni incompresi" sono immediatamente capiti. E pi a fondo. di quanto non si sia disposti a lasciar trapelare. La ragione semplicissima: ammettere di aver compreso vuol dire riconoscere di dover cambiare qualcosa nei nostri comportamenti, nelle abitudini, negli atteggiamenti e orientamenti mentali di ogni giorno. Vogliamo capire di far parte di un tutto di cui la Gestalt Ecology una chiave di lettura/scrittura? Che non siamo noi, il/al centro dell'universo? Che questo ha proprie leggi che non possono essere by-passate o stravolte a nostro piacimento? E vogliamo capire, altres, che la "comprensione" di quelle leggi ci colloca in una posizione non pi centrale, certo, ma di staordinario e nuovo interesse, in cui l'invenzione la nostra vera attitudine "naturale" ?
Non so se sono centrate o meno, quanto a interpretazione. Ma mi paiono domande importanti che il lavoro di Galvagni ripropone (o suggerisce) sistematicamente in ogni sua manifestazione. Domande perfettamente comprese e comprensibili da chiunque: tanto da venir censurate con l'alibi della "incomprensibilit".
Il lavoro di Galvagni, peraltro, dimostra ci che tutti sanno almeno per vaga nozione intuitiva: che tra arte, scienza, filosofia, religione non ci sono n mai ci sono state barriere che non fossero forzose, artificiali.
Non sorprende che i giovani vi prestino tanta attenzione, perch suona davvero un'altra musica rispetto al fatto che la realt di ogni giorno non sembra mai stata disorganica quanto oggi.
C' non poca materia su cui ragionare. E credo che sia ora di scrollarsi di dosso un bel po' di accumuli di pigrizia e di pessimismo.
Grazie ancora, Galvagni!
G.C.
Commento
7009
di giannino cusano
del 01/04/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
Va bene, Maurizio: non avevo afferrato l'humour. Capita, in Rete :)
Grazie per la segnalazione, ma "Adesso l'architettura!" non l'ho letto. Credo che per scrivere, per es., "Theodor Adorno e l'architettura" non serva tanto prendere alcuni scritti in cui lui parla delle Filarnonica berlinese o del razionalismo ma che sia pi interessante e aiuti molto di pi cercare di capire il suo pensiero complessivo, specie in relazione alla musica.
Dire "...l'uomo non la misura di questa struttura architettonica.." mi pare assai differente da "...l'uomo non pi al centro dell'architettura...".
Certo che sono per la libert architettonica. E penso che le invarianti di Zevi siano la "struttura" stessa di questa libert e del mutamento, perch sono un anti-codice. Costrinogno a non cullarsi sul gi acquisito ma a porsi ogni volta i problemi da capo, a ripensare sempre tutto alla radice.
Non mi ben chiaro a chi ti rifersici con liquidazione ad un "fossile" che certa "Nuova critica architettonica " per me, "I Saranno Famosi", fa dell'architettura contemporanea e per esempio di Berlino,dopo la caduta del muro!. Il movimento moderno vivo, vegeto, plurale e addita mille itinerari possibili.
Gira gira, torno sempre in compagnia di autori come Carlo Ludovico Ragghianti, Cesare Brandi, Lionello Venturi, Hans Sedlmayr, Alois Riegl, Luigi Picinato ... E, ovviamente, Zevi. Sono un accanito riletore. Questo non significa che non leggo autori pi vicini a noi (doveroso precisarlo, altrimenti mi tacciano di retrodatato) ma ho sempre l'impressione che si siano persi qualche pezzo per strada. Intendo i vari Frampton, Muchamp, Urussov. Trovo Koolhaas un ottimo crtitco, peraltro: molto intelligente e incisivo.
Berlino mi pare molto interessante. Ha ripreso vita dopo una lunga e terribile stagione. Alla fine degli anni '80 sono stato in molte citt della Germania, in Danimarca e Svezia, ma non ho mai visitato Berlino, quindi la conosco poco, a parte quello che scrivono le riviste. Vorrei andarci quanto prima.
A presto,
G.C.
Commento
7006
di giannino cusano
del 30/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
Caro Zappal, guardi che "cazz(uol)eggio" anch'io. Specie con la filosofia, la decostruzione e Derrida, che certo mastico un po' da selvaggio.
Credo che sia sulla parola "struttura" che occorre intendersi. Se analizzo una (tra infinite) possibile "strutturazione" dell'opera e del modo di pensare gli spazi del Borromini non faccio certo dello strutturalismo; cerco solo di afferrare ed evidenziare cosa individua e differenzia il suo lavoro da quello di chiunque altro. Formulo un'ipotesi di lavoro e dichiaro preventivamente le condizioni alle quali l'ipotesi decade.
Il problema, mi sa, nasce quando si tenta di congelare qualsiasi mutamento col pretesto di aver individuato la "struttura" immutabile, eterna e intangibile di una citt. Lo dico meglio: al di l dei linguaggi che volta a volta la investono, lo strutturalismo metafisico sosterrebbe che esiste sempre un "linguaggio dei linguaggi" che sottende la struttura urbana. Quindi, adeguandoci ad esso saremmo in sintonia col contesto. E' vero? Penso, col post-strutturalismo e contro Aldo Rossi e Krier, che sia profondamente falso.
Allora, forse, la domanda di Derrida : quale struttura individua possibili campi di aperture, rotture e mutazioni anche rispetto al passato, invece delle statiche regole del mimetismo col presunto contesto? Infatti pare anche a me che la citt altro non sia che questa cronica e dinamica trasformazione. Che non pu essere congelata in una visione statica, .perenne e metafisicamente strutturalista (le fissioni semantiche di Levy-Strauss, l'eterno ritorno per es. di piramidi, sfere, prismi ecc.)
N mi pare di aver impostato il discorso su "mi piace" o "non mi piace" la decostruzione, ma di aver cercato di intendere meglio che lezioni, sempre cazz(uol)eggiando, se ne possano ricavare. E ritengo che siano molte. Non ultima, l'insistenza sulla coincidenza di attivit creativa con attivit critica.
Sull'affermazione per cui "l'uomo non pi al centro dell'architettura" non so cosa dire, perch non l'ho incontrata in Derrida: un mio limite, sia chiaro.
Ma se partiamo da un punto di vista un po' pi laterale, a me pare di intuire qualcosa di importante. E, credo, una sua conversazione, sottotitolata in italiano, chiarisca abbastanza bene il tema dell'Altro e dell'Alterit come l'affermazione di fondo che precede qualsiasi domanda (in filosofia e non solo) e che fonda la domanda e con essa la "traccia". Questo credo collimi col tema della "non presenza", dell'uomo non pi al centro dell'architettura ecc., ammesso che lo sia mai stato.
La conversazione all'URL:
http://www.youtube.com/watch?v=zxMHXST56Pw
Cordialmente,
G.C.
PS: il Guggenheim di Bilbao a mio avviso un capolavoro. Ma trovo che Gehry sia una figura esorbitante rispetto al decostruttivismo, pur assorbendone temi e tensioni. Come l'impressionista Cezanne era molto pi articolato, complesso e debordante rispetto al puro e semplice impressionismo.
Commento
6991
di giannino cusano
del 28/03/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce l?ha già
di
Teresa Cannarozzo
X Pagliardini
direi che l'In/Arch possibilista, pi che favorevole in toto. Vede (e sono d'accordo) nello snellimento delle procedure burocratiche un elemento positivo e "guarda con grande interesse ad alcuni aspetti del cosiddetto piano casa che il Governo intende proporre nei prossimi giorni" ma avverte anche che "la citt non una sommatoria di edifici che hanno rispettato le norme. Resta quindi il nodo della qualit dell'ambiente, del paesaggio, dello spazio urbano. Delle dotazioni di spazi urbani di qualit, della congruenza con attrezzature e servizi. Dell'opportunit di introdurre anche squilibri nei processi di trasformazione se accendono processi successivi. In altre parole di come la collettivit riesca ad assicurare un interesse generale in singoli interventi."
E conclude la nota che "L'INARCH promuover con immediatezza dei confronti aperti per affrontare questi nodi irrisolti."
E' una posizione, quella dell'In/arch, che mi pare in linea di massima condivisibile.
G.C..
Commento
6989
di giannino cusano
del 28/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
x Renzo Marrucci
Caro Renzo, quali che siano le ragioni, ho l'impressione che si sia tentato di fondare il quotidiano su un'avanguardia. Col risultato di corrompere l'avanguardia e di straniarsi dal quotidiano al solo scopo di esorcizzarlo.
Colpa dell'avanguardia? O, piutosto, di una sorta di incoscienza epidemica e collettiva per cui (hai perfettamente ragione) si pu impunemente sciupare perch tanto, poi, ci pensa il mondo dei consumi, dello spreco e delle risorse illusoriamente illimitate, a riallineare le cose? Ognuno per s, Peppe per tutti.
Morire a 74 anni? Che muori a fare, se poi 'sto mondaccio non cambia un po'?
A presto,
G.C.
PS: chi Peppe non lo so, ma ho il sospetto che possa far comodo immaginare che ci sia e provveda a dare un senso alle nostre cose. Ah, povero Spinoza ...
Commento
6988
di giannino cusano
del 28/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
X Matteo Seraceni
Sono d'accordo su tutta la linea. Credo che, ovunque e comunque si operi, da qualunque punto di osservazione e operativo, occorra attrezzarsi per un nuovo rilancio del movimento moderno. Pochi e chiari punti.
Ce la farem(m)o? Non lo so: lo sapremmo solo tentando
Cordiali saluti,
G.C.
Commento
6981
di giannino cusano
del 26/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
X Matteo Seraceni
Buon per lei che ha capito benissimo il commento della Torselli (6961). Io - e con mia buona pace ugualmente- non ho compreso i richiami al corpo fatti dalla Torselli, o almeno la loro necessit nell'economia del discorso, per la semplice ragione che ho sempre sostenuto l'ineliminabilit dell'esperienza "fisica" dello spazio.
Per mia didascalica comodit, peraltro, ho sempre distinto gli architetti in "corporei" e "concettuali", pur senza confini nettissimi, all'atto pratico. Ma non importante e non mi dilungher su questo.
Sulla presenza ho sempre detto, e lo ripeto ora, che in quanto esperienza dello spazio ineliminabile anch'essa, ma quando la decostruzione ci parla di elisione della presenza siamo certi che questo che intende? O, almeno, che pur intendendo questo, in realt non prenda un abbaglio e non additi invece, volutamente o no, un problema meno superficiale? Io non sono affatto sicuro che intenda questo. E, anzi, direi che sono ormai certo del contrario: per mie deduzioni, sia chiaro. Fallaci, ovviamente, fino a prova contraria. Le cose sono anche quel che ci leggiamo dentro.
E' che bisogna intendersi: se ci si riferisce all'architettura come metafora del corpo, il suo articolo (http://arching.wordpress.com/2009/03/13/il-sonno-della-ragione-genera-mostri/) pu anche trovarmi a grandi linee d'accordo, salvo alcuni passaggi peraltro non central.
Ma converr che l'esperienza spaziale non metafora del corpo n ad essa pu ridursi. E' un ineludibile "essere l": entrare, attraversare, percorrere, uscire, guardare, udire, annusare, piegarsi, salire, a volte comodamente a volte no, ora con passo regolare e cadenzato, ora senza ritmo o metro predefinito, come in tante irregolari rampe gradonate o scalinate medievali. Nulla che possa esaurirsi nei termini metaforici dell'Einfuhlung. Alla quale teoria, peraltro, non utile rinunciare, purch se ne colgano confini e limiti. Pu, anzi, essere un utile strumento di lettura a patto che il sostantivo resti lo spazio vissuto di persona, non in fotografia o in immagine. E il rischio, in questa apoteosi dell'immagine patinata, che anche la critica finisca per esercitarsi allo stesso modo, sia pure per stroncare. E su questo punto dell'esperienza spaziale lei, nell'articolo sul suo blog, avverte molto chiaramente i suoi lettori.
In immagine, infatti, non possiamo far altro che leggere un edificio come un quadro o la traccia di un'intenzione programmatica realizzata. Nulla di male, ma finch non lo visitiamo l'essenza di un edificio ci sfuggir sempre. Nulla di male, ma la spazialit pittorica altra cosa dallo spazio architettonico. E nulla di male se poi la pura visibilit gi stata ampiamente e magistralmente collaudata, in architettura, da un maestro come Giulio Carlo Argan. Letture non del tutto convincenti, a mio parere, le sue, ma spesso illuminanti, se colte nei loro limiti puro-visibilisti.
Metafore di lamiere attorte, di corpi senza pelle, di separazioni esterno-interno violentate e squassate? Certo: una chiave di lettura possibile. E condivisibile, in parte, perch alcuni sentono di vivere in un'epoca di questo genere. Forse un tentativo di liberarsi da un Super-Io troppo esigente, ma di questa lettura in chiave francofortese-adorniana non sarei tanto sicuro. Il punto su cui vorrei attirare l0'attenzione : quelle lamiere attorte, quei pavimenti che si fanno pareti e di qui soffitti, che aprono visuali insospettate, hanno o possono avere valenze spaziali? E quando? O sono solo e sempre metafore della condizione di alienazione contemporanea, cui si tenta di sfuggire bevendo la bottiglia d'un fiato e fino in fondo?
Insomma: cercherei di non cadere nella trappola della lettura dell' operazione progettuale prima di sperimentare di presenza gli spazi di un edificio. Ho visitato attentamente Gaud, vari anni fa; il Guggenheim di Bilbao, pi di recente e, ancor pi recentemente ville Savoye e i brani urbani di Renaudie a Ivry: le esperienze di quegli spazi-segni possono solo essere inalate di persona. E il pi delle volte sono sorprendentemente spiazzanti rispetto a qualsiasi discorso su di essi e sulle loro recensioni e immagini stampate. Com' giusto che sia.
Allora: forse quella del crollo un'immagine ricorrente, al giorno d'oggi. Crollo e dis-facimento del corpo, o crollo imminente dell'edificio in bilico perch siamo in un'epoca decadente o percepita come tale da alcuni di noi. Ci non toglie che, al pari della cosiddetta sala dei paradossi statici di villa Adriana a Tivoli o di San Carlino, della cripta di Santa Coloma de cervell o di Ronchamp, anche tuffarsi nella crisi senza farsi illusioni pu produrre autentici capolavori o schifezze, secondo i casi.
Forse alcuni approcci sono nichilistici, e ben venga una loro critica ideologica o in nome di valori che personalmente riteniamo
Commento
6972
di giannino cusano
del 25/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
X Vilma Torselli
Sono tranquillissimo, grazie. Anche per carattere. E anche, dicono, persona di spirito e spiccato sense of humour: cosa che, naturalmente, a volte passando da parlato a scritto pu anche non trapelare.
Non ho idiosincrasie per la parola "forse". Su particolari argomenti e figure che tuttora mi appassionano particolarmente, forse con i dubbi ho iniziato tanti anni fa. Lei che ne dice? Su questo mi conceder il beneficio del dubbio?
dicevo: dubbi ritestati e reiterati fino al punto da portarmi a pochissime e pure conclusioni. Personali, ovvio. Capita anche questo, per via. Per cambiare le quali, occorre convincermi: a volte succede, altre no.
E comunque una cosa certa: non mi ben chiaro il suo punto di vista sulla decostruzione. Forse non ho ben compreso il suo commento (6961), forse per una volta lei non si spiegata nel modo migliore. Che ne dice? Un fifty / fifty potrebbe andar bene?
A ogni buon conto, se vortr essere cos cortese, un supplemento d'informazione da parte sua mi sembra auspicabile.
Cordialmente,
G.C.
PS: ha visto quanti "forse"?
Commento
6966
di giannino cusano
del 24/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
PER AVINO, LAZIER, TORSELLI
Mi unisco a Lazier nel ringraziare Avino per aver scatenato questo meraviglioso putiferio :)
Lazier scrive (n. 6965) Dico a Giannino Cusano che ho molto apprezzato il suo riferimento a Carmelo Bene ... Il mio intervento non intendeva essere sfavorevolmente critico... ecc. ecc. Grazie: non importante, credo, se il tuo intervento volesse o meno essere critico. E' importante che induca, come ha fatto, approfondimento e riflessione.
Occorre, invece, tornare pi puntualmente sul commento 6961 di Vilma Torselli.
Non metto in dubbio la correttezza filologica dei riferimenti di cui si serve per commentare il lavoro di Carmelo Bene. Solo, per, che se ci si limita a smontare una personalit creativa nelle sue componenti base, ci resta il vuoto e non si distingue pi Bene dalle sue eventuali componenti, peraltro tutte da provare.
Posso ben leggere Borromini come uno che smonta e riassembla ordini giganti, riseghe da cupole del Pantheon, cornici ondulate, ecc., ma con questo non avr chiarito n la peculiarit delle sue invenzioni n la differenza, se c', per grado e qualit di Borromini dai suoi meri ingredienti costitutivi.
L'eventicit di Bene affatto diversa dall'happening, dalla performance, dalla body art e dallo stesso Cage, che peraltro amo molto. E sopra ogni altra cosa tutto fuorch non programmabile, perch Carmelo Bene progettava meticolosamente e nei minimi dettagli i suoi spettacoli. E fu accusato persino di essere ripetitivo, da serata a serata: come se la ripetizione fosse un delitto e non, invece, la vera trasgressione.
Perch solo una cosa che non pu essere detta altrimenti, deve solo essere ripetuta.
Spettacoli, cmq, che erano la sistematica e pi radicale sottrazione alla tirannia della struttura che io abbia avuto modo di conoscere. E il punto non mi pare nemmeno di 'interdisciplinariet: semplicemente, la convergenza di tutti i fattori nel farsi della scena una brillante reinvenzione del teatro della crudelt di Artaud, che mi pare altra faccenda.
Ho gi detto mesi fa, qui in Antithesi, che la presenza in architettura a rigore ineliminabile e l'ho ripetuto di recente, aggiungendovi tutte le arti figurative e teatrali. Dunque, quando la Torselli scrive Luomo, sempre luomo, artefice e fruitore, onnipresente ed ineliminabile.Impossibile quindi ogni esclusione dellutente mi pare si rivolga a terzi, non a me.
E' un'ovviet, dire che ogni esclusione dell'utente impossibile. E chi ha mai detto il contrario? Ed un'altra ovviet dire che, per quanto si faccia, il corpo, in quanto presenza fisica umana, non pu essere escluso dal pensare, fare e fruire larchitettura, attivit eminentemente umana, fatta dalluomo per luomo, quindi doppiamente ed inevitabilmente autoreferenziale. Impossibile quindi ogni elisione della presenza
Certo: anche qui, ho mai sostenuto il contrario? E dove? Se si pensa di confutare la decostruzione cos, credo che non si va molto lontano.
Pu darsi che forse Derrida non fosse troppo convinto della validit della decostruzione in architettura, pu ben darsi che i tanti sospetti che la Torselli dissemina (non derridianamente) nel suo commento siano fondati, ma fino a prova contraria restano dei forse e dei sospetti che , per ora, a mio parere non assurgono a rango non di prove, ma nemmeno di indizi. Impressioni rispettabilissime, per carit, ma impressioni. E poi, chissenefrega di Derrida, se non era convinto! Mica sono un suo esegeta: di Derrida faccio quello che mi pare creativamente giusto fare, non ci che la filologia mi comanda di fare.
Allora riepiloghiamo: ho sempre detto, e lo ripeto, che a mio parere la decostruzione non una semplice operazione di smontaggio e rimontaggio di testi. Se cos fosse, non ci sarebbe stato bisogno di incomodare tanto lavorio quanto ne ha smosso lo stesso Derrida. Qualsiasi autore di parodie smonta a rimonta testi senza bisogno di essere pensatore o filosofo.
La questione del logocentrismo riguarda, dal mio punto di vista, il fatto che la scrittura si stacca dal parlante e vive di vita propria, sottraendosi al dominio e al controllo del parlante, anzitutto. Si costituisce cos in segno. E questo, mutatis mutandis, vale in letteratura, in architettura e nelle arti tutte. Ne La disseminazione (Derrida) c' una lunghissima sezione -la farmacia di Platone- dedicata al Fedro che chiarisce molto bene la questione. Anche un messaggio scritto presuppone che qualcuno lo legga e, mentre viene letto, che qualcuno lo abbia scritto. La differenza rispetto al logos detto e parlato sta nel fatto che destinatario e parlante non sono presenti: chi ha scritto il messaggio poteva voler dire tutt'altro, pu essere un mentitore o essere morto nel momento in cui io leggo e magari il messaggio una richiesta di soccorso di un naufrago da un'isola desert
Commento
6963
di giannino cusano
del 23/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
Ottimo e sostanzioso intervento di Vilma Torselli, che ringrazio.
Si, penso che l'assenza del "parlante" abbia attinenza anche col "farsi" dell'esperienza sotto i nostri occhi e in modo non predeterminato. Trovo interessanti, per esempio, certi spazi di Koolhaas, in cui non distingue tra percorsi e luoghi di arrivo e nei quali le strutture non seguono alcuna maglia regolare, in modo che ciascuno, muovendosi, possa farne un'esperienza personalissima tracciando volta a volta i suoi personali percorsi "nomadi" -anche interiori - dipendenti solo da ci che sul momento attrae ciascuno di noi. Magari la prossima volta sar tutto molto differente.
Pi in generale, credo che l'esperienza piena di libere "derive" nello spazio, del lasciarsi andare ala sua magia, sia possibile a partire da una frattura fondamentale col senso univoco dell'opera, da cui nasce un tipo di abbandono attivo all'esperienza.
Sono ovviamente incentivi, suggerimenti a immaginare che ho ricavato. Anche leggendo Derrida, o guardando certo teatro e non altro. Non sono, ovviamente, un filosofo o un critico, quindi ho un vantaggio notevole sui pensatori di professione, perch tutto quello che aiuta la mia immaginazione a me va bene.
Penso anch'io che la decostruzione non sia un supporto sufficiente per "costruire" di per s, dalle fondamenta e di sana pianta un'architettura.
Come la rottura della scatola neoplasticista pu essere un incentivo enorme a immaginare in modo "altro" dal solito, anche la decostruziione secondo me pu esserlo. In modo forse meno diretto, architettonicamente, pi complesso e anche molto mentale, ma stimolante.
Gli esempi pi validi, a mio giudizio, sono quelli di chi, a suo modo, ha assorbito tensioni decostruttiviste in ambiti operativi del tutto differenti, come arricchimento espressivo. Ho citato il generosissimo Behnisch e il suo approccio fondamentalmente "funzionalista", potrei citare Biagio Marcello Guido: un organico, senza ombra di dubbio, che per con la decostruzione ha aggiunto attrezzi assai interessanti alla sua gi nutrita cassetta dei ferri.
Almeno, io cos vedo la questione. Apertissima, ovviamente, a mille altre soluzioni :)
G.C.
Commento
6962
di giannino cusano
del 23/03/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce l?ha già
di
Teresa Cannarozzo
L'articolo mi trova d'accordo. Merita riflessioni supplementari.
Una costante della vita pubblica italiana da pi di 50 anni -a essere buoni- la dannazione dell'emergenza: alibi permanente per eludere i problemi strutturali del Paese. Urbanistica, territori, edilizia non fanno eccezione.
Pochi esempi: emergenzialista fu, di fatto, la Legge per i Piani di Ricostruzione postbellica, alias Legge Ruini (1 marzo 1945, n. 154) che, di portata limitata ai primi interventi, escluse ogni possibilit di guardare i problemi in termini generali e sistemici, risolvendosi in un danno diffuso. Gli strumenti ordinari per la pianificazione (all'epoca, la legge per la tutela delle bellezze naturali del 1939 e la 1150 del 1942, in s buone leggi se prodromiche ad altro, e varate in notevole ritardo ) erano gi largamente insufficienti. La Ruini, infatti, fu l'esplicita ammissione di questa carenza. Mai colmata nei decenni successivi, sempre in nome della cronica emergenza che tale rester anche per i posteri dei posteri se mai si metter mano a una riforma degna di questo nome. Non cos accadeva nella grandissima maggioranza degli altri paesi europei, che si posero il problema della ricostruzione e globalmente della congruit e revisione degli strumenti disponibili gi dal '42-'43, a conflitto in corso. Oggi in Italia siamo a formule stravaganti, come il pianificar facendo dell'ultimo P.R.G. di Roma: a testimonianza non dell'insipienza dei suoi progettisti, persone di valore e che certo sprovvedute non sono, ma delle condizioni sempre pi vischiose in cui si opera qui.
Non sono urbanista, ma per il pochissimo che mi tocca occuparmene resto dell'avviso che Luigi Piccinato costituisca tuttora un validissimo e sicuro (e, ahim, trascurato) ancoraggio. Una delle sue lezioni fondamentali che in urbanistica, a differenza che in aritmetica, cambiando l'ordine dei fattori (= delle priorit) il prodotto cambia. E di brutto.
C' chi, per esempio, con la solita logica a spizzichi e bocconi, afferma che i centri storici non saranno minimamente danneggiati dal decreto in via di approvazione. Non vero. E non perch costoro mentano, ma perch non si rendono conto -ed assai peggio di una menzogna- delle interazioni sistemiche che faranno s che aumenti indiscriminati di cubatura nelle aree non centrali abbiano pesantissime ripercussioni proprio sui centri storici, indipendentemente dal fatto che siano o no direttamente coinvolti nei nuovi aumenti volumetrici.
Credo non ci sia bisogno di dilungarsi, salvo sottolineare un altro problema che non mi pare sia stato evidenziato abbastanza. Sentivo qualche sera fa il Ministro Matteoli dire che le soprelevazioni sarebbero comunque soggette a calcoli statici. Ovvio, in teoria. In pratica, per nulla: perch, solo per fare un esempio, rapportare a quelle odierne le resistenze caratteristiche dei calcestruzzi confezionati qualche decennio fa, segnatamente prima del 1970-'71, operazione quanto mai dubbia e problematica, tanto sono mutati i criteri di campionatura dei provini in cls.a. E' solo un esempio: ce ne sarebbero un'infinit, a testimonianza del pressappochismo cronico della nostra classe politica. Anni fa, dopo il terremoto umbro, il notissimo Antonio Di Pietro disse in TV che la soluzione era semplicissima: bastava fare una legge per la quale gli edifici dovessero resistere al nono grado della scala Mercalli. Roba da sganasciarsi dal ridere, se non ci fosse stato da piangere a un litro a lacrima.
Allora: oltre ad opporsi giustamente -ma, temo, senza esiti significativi- a questo ddl, che che in piena continuit col cronico emergenzialismo nazionale e che l'unica speranza che lascia che le persone con soldi bastanti per produrre gli incrementi di cubatura previsti siano davvero pochissime, non si pu pensare di integrarne gli esiti con provvedimenti che pongano, in prospettiva, un argine all'emergenzialismo?
Credo che se con questa operazione si gettassero le basi per una seria e pubblica informatizzazione del patrimonio edilizio esistente, un grosso passo avanti si farebbe. Una sorta di Pubblica Anagrafe dell'edilizia e dell'urbanistica italiane dovrebbe prevedere una reale cartolarizzazione informatica, consultabile on line da chiunque, delle infrastrutture, delle urbanizzazioni, degli edifici, della loro cubatura, delle destinazioni d'uso, delle condizioni energetiche, statiche e manutentive degli immobili. In modo puntuale. E si potrebbe cogliere l'occasione per partire esattamente dalle asseverazioni previste per gli interventi cosiddetti anti-crisi. Avremmo, cos, il vantaggio di poter proiettare negli anni venturi il quadro che ne verr fuori. Preventivamente, perch l'iscrizione in questa anagrafe informatizzata sarebbe contestuale alla presentazione delle prossime D.I.A. nonch delle future richieste di nuovi permessi di costruire.
Si potrebbe poi gradualmente, ma con prec
Commento
6949
di giannino cusano
del 22/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
CHIARISCO (x Sandro Lazier)
Caro Lazier, siamo sostanzialmente d'accordo, sia pure con alcuni miei dubbi del tutto generali. La mia sulla presenza voleva essere una provocazione, spero utile, non contro la decostruzione ma contro alcuni suoi facili epigoni.
Decostruzione che in architettura non , a mio avviso, lontanamente paragonabile a un movimento come quello organico o razionalista, inclusivi di densi progetti sociali ampi, globali. Piuttosto, va commisurato ad avanguardie come De Stijl o il Costruttivismo russo in quanto pone l'accento su problematiche assai puntuali e specifiche, ma non per questo trasxcurabili.
E la riprova, secondo me, la fornisce Behnisch, l'unico architetto che credo potrebbe restare decostruttivista per i prossimi 100 anni senza fare una grinza, come Mendelsohn rimase espressionista tutta la vita di contro alla precaria durata del movimento. Behnisch pu permetterselo, a mio avviso, in quanto la sua matrice fortemente funzionale, nell'accezione pi ampia e rigorosa del termine, glielo consente senza mai venir meno, senza cedimenti di sorta. Semplificando molto, direi che Benisch sta alla decostruzione = Mendelsohn sta all'espressionismo.
Non c' dubbio che la prassi di arti come il teatro, le arti figurative e l'architettura presuppone un pubblico e delle presenze. Quello che intendevo sottolineare con un paradosso (felice o meno, ciascuno lo valuti come crede) , appunto, la differenza tra testo e scrittura.
E un esempio semplice mi pare che renda bene: se, scrivendo, recito mentalmente un testo come se lo stessi dicendo ad altri, evidente che quasi sempre ne scaturir una scrittura concepita come trascrizione di un discorso detto. Scrittura che, dunque, dissimuler il proprio carattere di scrittura dietro l'apparenza di testo raccontato. Con tutto ci che ne segue in termini di ermeneutica, perch per quanto si voglia, quel carattere di scrittura come costitutiva del segno non sar mai del tutto eludibile. Dov' la novit, allora? Tutto sommato non c', perch si tratta di una questione ben nota da tempo. Solo che -secondo me- prima appariva frammischiata ad altre, mentre con la decostruzione a me pare che venga evidenziata direi quasi chirurgicamente. Gi con Flaubert, alla met del XIX sec., si fa evidente la rottura della falsa unit del linguaggio letterario, per esempio, ideologicamente assunto come uguale per tutti, mentre solo quello dell'aristocrazia e della Corona francese che tenta di imporsi come unica e indiscussa verit. E con l'Ulisse di Joyce arriviamo, a mio avviso, al clou di un processo di rottura della falsa monoliticit della lingua, non immune dal passaggio attraverso le parolibere futuriste. Non mi soffermo sulla scrittura joyciana, che tutto meno che testo.
Torno all'architettura: ho sempre detto che la decostruzione un sintomo per me positivo, ma un sintomo. E qualche dubbio sull'operare architettonico cos come ci stato tramandato dai pionieri e dai maestri me lo insinua. Ed chiaro, concordo: non si pu cavarsela con meccaniche operazioni di smontaggio e rimontaggio degli edifici, per quanto interessanti, perch restano esteriori, applicate. Cos' il nuovo mi riesce difficile definire, perch l'architettura pu egregiamente parlare sulle proprie forme senza rifare il verso a s stessa e senza manierismi. Borromini e Gaud sono l a dimostrarlo: e certo furono nuovi, ma tutti calati uno nel linguaggio genericamente detto rinascimentale, l'altro in quel capitolo dell'Art Nouveau detto Modernismo catalano, con le sue combinatorie e contaminazioni. Delle quali gaud non si accontenta minimamente, sia chiaro.
Posto che la questione del parlante e della presenza in architettura non pu, a mio avviso, porsi in termini di esclusione dell'utente e di edifici fini a s stessi, anche vero che a mio parere c' e non solo di mera prassi operativa. Riguarda, piuttosto, 3 assenze proprie della scrittura: del parlante, del destinatario e del referente, che non sono propriamente empiriche ma riguardano, per esempio, una certa pretesa di sentenziosit del messaggio dell'architetto, che pu essere frainteso e stravolto. Scrivo un edificio che affido a destinatari che non conosco: posso continuamente preoccuparmi della sua corretta interpretazione o fermer il procedimento prima che un simile problema si ponga? E', mi pare, un'accezione in parte inedita del non-finito e tutta da sondare e inventare. E certo non pu essere fatta di segni "deboli" o manieristici, perch la scrittura costituisce il segno o scade in "testo": perfettamente d'accordo.
Ora, e non a caso, nel 1989 dopo una conferenza di Libeskind all'In/Arch , Zevi afferm che la decostruzione individua l'ottava invariante dell'architettura moderna: quella della vulnerabilit. Certo, tutti possono sbagliare e Zevi non fa eccezione. Certo, la decostruzione a mio avviso finita o degenera in moda, senza suppo
Commento
6938
di giannino cusano
del 20/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
Commento di Avino (n.6922) confuso e, per fortuna, succinto: sfida a trovare in Derrida un solo testo in difesa del logocentrismo come riprova del fatto che il filosofo non avrebbe mai sostenuto la superiorit della parola scritta su quella parlata. Ma non avrebbe dovuto, Avino, ricavarne esattamente il contrario?
E poi, superiorit in cosa ? A me parso sempre chiaro, anche negli articoli apparsi su Antithesi, che per Derrida la superiorit della scrittura consiste nella possibilit che essa d di conoscere ed esperire il linguaggio in quanto tale assai meglio della parola detta, con i suoi continui inciampi nella metafisica della presenza. Tema eminentemente heideggeriano. E vasto, perch questa della presenza questione da meditare attentamente.
Va comunque colta l'occasione per confondere un po' le acque. E mi pare il caso di rammentare l'immenso e geniale lavoro di Carmelo Bene, che proprio derridiano non era ma certo col post-strutturalismo andava a braccetto 25 ore su 24. Strana circostanza, scaturisce dal paradosso di Carmelo Bene. Perch lui, con la sua macchina attoriale, fa un teatro dell'indicibile e inenarrabile, del non raccontabile, dell'accadimento, dell'attimo presente nel quale il testo conta nulla. Contano, piuttosto, le crepe, le derive, le pieghe del linguaggio nelle quali si annida la lingua non ancora occupata dal potere. Precluso ogni approdo diretto e univoco all'evento teatrale, ad esso ci si pu accostare solo zigzagando su rapidissime, brevi e labirintiche spezzate.
Gi: no al teatro di testo, si al teatro di scena. Ma questo non implica proprio la svalutazione dello scritto? Non reclama la presenza incessante dell'attore-autore-tramite di eventi? Conoscendo il suo lavoro, la risposta pu essere solo un secco: no!. E Bene non perdeva occasione per parlare di de-pensamento teatrale, per dire ho passato la vita a prendere a calci in culo me stesso, teatro togliere di scena. E infatti aveva ideato un Amleto di meno, ma tutto sommato ogni suo lavoro era un di meno, un che di "tolto a " , un sottrarre e sottrarsi alla tirannia della struttura.
Approccio deleuziano pi che derridiano, ma, a me pare, inclusivo di una forte carica decostruzionista: e non solo perch Bene citava spesso, e mai a sproposito, Derrida.
Dunque, no al testo in quanto il teatro (e fortemente artaudiano) scrittura (della crudelt: musica, parola, scene, rumore, suono concorrono senza distinzione) che si fa - mentre si fa - sotto gli occhi degli astanti: in-scrizione nel non ordine di una lingua autre, scrittura di intoppo, scrivere come inceppamento. E in una dimensione differente dall'autofarsi espressionistico, animato da immanente energia e quindi sospettabile di essere ancora tutto preso in una forma di presenza. La morte di Dio, infatti, pensabile ancora nella dimensione creazionista, mentre di un Dio immanente nessuno che lo volesse potrebbe mai liberarsi.
Bene era il teatro come eventicit, sempre presente sulla scena in quanto producibile solo per auto-elisione del testo, della trama. Questa mi pare la dimensione centrale della decostruzione anti-logocentrica. Niente Logos o demiurgica mediazione col senso vero dell'opera.
E allora, ri-de-pensando Carmelo Bene: in architettura basta o centra il problema dire che la fine della "metafisica della presenza" significa che l'essere umano non pi la prima istanza di cui preoccuparsi pensando lo spazio? La fine del logocentrismo davvero la fine di un'architettura centrata sulla presenza umana in nome di una scaturita da dati oggettivi, scritturali, legati all'ecosistema anche nl deserto e in assenza di persone? (Come) si dice in spazi questa elisione della presenza?
G.C.
Commento
6814
di giannino cusano
del 03/02/2009
relativo all'articolo
Galvagni, Gaud e la ricerca
di
Sandro Lazier
Toscanacci d'un Marrucci: se nun dici l'ultima miha se hontento, eh? :)
Commento
6806
di giannino cusano
del 02/02/2009
relativo all'articolo
Galvagni, Gaud e la ricerca
di
Sandro Lazier
Renzo Marrucci, sai giocare a tresette? Se ci sai giocare, spiegami tu come mai se io busso a coppe tu rispondi a denari. Forse perch a cope sei "fagliante", come si dice dalle mie parti per dire "sfornito"?
Ho semplicemente detto, a chi lamentava che le chiacchiere non servono, che anche queste discussioni -e anche qui, su antithesi- servono e sono utili: meglio farne che non farne per nulla. Punto. Il resto delle tue obiezioni francamente mi pare che c'entri come il cavolo a merenda :)
G.C.
Commento
6785
di giannino cusano
del 28/01/2009
relativo all'articolo
Galvagni, Gaud e la ricerca
di
Sandro Lazier
@ Zappal:
scrivi: ".. sono un p pi "talebano" di te ed innamorato fradicio dell'architettura. Ed per questo motivo che non sopporto star male nella casa degli avi! Che, come dici tu, non erano e non sono belle belle!
Allora, ho da lungo tempo abbandonato la speranza di trovare "piani" (...) d'intesa con i passatisti! E' semplicemente anacronistica la difesa storicistica dell'habitat! Cosa da Italia Nostra con la "puzzetta"sotto il naso! Insomma, Cusano, con gli sconclusionati (per dirla buona, sic!)non ci si pu discutere! Non ci si deve perdere tempo !"
Perfettamente d'accordo: nemmeno io cerco intese, smussi ecc. E non ho alcuna velleit di convincere i miei contraddittori-passatisti o di trovare punti comuni con loro.
Siamo in uno spazio pubblico, discuto e rispondo in pubblico. Dove, credo, ci sono pi persone con idee differenti, a leggere. E se a qualcuno che ha avuto la lodevole pazienza di leggere ho non dico chiarito ma almeno insinuato qualche dubbio, penso che non sar stato tempo sprecato.
Forse non abbastanza per l'architettura moderna, ma a me pare comunque meglio del nulla o del silenzio :)
Cordialmente,
G.C.
Commento
6777
di giannino cusano
del 26/01/2009
relativo all'articolo
Auguri 2009
di
Sandro Lazier
Scrive Pagliardini:
" ... mi sembra che vi sia da parte sua una sorta di pregiudizio ideologico che fa perdere il buon senso: paragonare uno stile architettonico alla schiavit! Non le sembra un p grossa?"
No
"Lei mi conferma con le sue iperboli che ho colpito alcuni nervi scoperti."
if You like :)
Commento
6775
di giannino cusano
del 26/01/2009
relativo all'articolo
Auguri 2009
di
Sandro Lazier
Scrive Pagliardini"... luomo di oggi non biologicamente diverso da quello di ieri e anche dal punto di vista antropologico non credo si possa parlare di una mutazione improvvisa; per questo il costringere lo stesso uomo di sempre in ambienti e spazi che creano disagio psicologico sar anche in linea con la moda e la cultura dellimmagine del tempo (occidentale)ma non con la sua immutata condizione di uomo."
Dunque saremmo fatti di impulsi biologici ... Peccato che, per esempio, negli animali l'istinto materno dura il tempo dello svezzamento del cucciolo, negli esseri umani no. Strano, vero? Ovvio: gli "istinti" e la biologia (o, come usa oggi, la "psicobiologia") non bastano a spiegare il comportamento umano e la vita sociale, a diferenza degli animali. Certo, ci sono predisposizioni e condizionamenti biologici: ma da qui al comportamento reale il passo non breve n scontato.
Tanto che lo stesso Freud abbandon presto l'ambiguo termine "Istinkt" per introdurre quello pi articolato e complesso di "pulsione" ("Trieb"). La differenza fondamentale: la pulsione una forza propulsiva che non implica risposte predeterminate alle sollecitazioni dell'ambiente ma risposte flessibili, relativamente poco scontate, elaborate con l'inventiva e la cultura. Perch nella risposta pulsionale entrano in gioco proprio fattori culturali e storici.
Non mitizziamo, per favore: tutto da dimostrare che i centri storici fossero pensati per gli esseri umani. Sono pensati per ammassare gente (plebe, non popolo) in poco spazio e spostarla quasi di peso quando faceva comodo ai nobili detentori del potere, che talvolta avevano su di loro quasi diritto di vita o di morte. Basta andare in un qualsiasi Archivio di Stato per rendersi conto, da documenti dell'epoca, delle condizioni vessatorie in cui vi erano tenuti quelli che erano non cittadini ma sudditi. E talvolta la morosit delle esose pigioni, che tenevano la gente in stato di pura sopravvivenza, veniva punita con la morte: cos nella Roma papalina del 1500, per es. E nei casi peggiori, accompagnate dall'accusa di eresia, le teste dei morosi mozzate venivano appese e messe in bella mostra su picche disposte in fila sui parapetti di Ponte Sant'Angelo. Forse le abitazioni di oggi sono bruttine, ma abbiamo degli standard ignoti nei tanto lodati centri storici. Basta andare nell'archivio storico del notariato di una citt (per la mia, Potenza, l'ho fatto, a suo tempo) per capire cos'erano i "bassi" e come viveva davvero la gente. Ne ho, del resto, ancora ricordi indiretti -per mia fortuna- che risalgono alla mia infanzia: c'erano, a un passo da casa mia, persone che vivevano non nella povert ma nella miseria. Ammassate padre, madre e 8 figli in una stanza seminterrata, umida e buia adiacente, per esempio, a quella del carbone che vendevano per vivere. Del resto, l'affollamento a Testaccio -dove la tubercolosi era endemica- poteva raggiungere non di rado 8 persone a stanza in condizioni di promiscuit davvero bestiali. Siamo ai primi del '900. E le case del Testaccio sono internamente davvero bruttine, a essere buoni.
Se si considera storicamente la questione, si vede che i tanto vituperati standard razionalisti -luce, aria, ventilazione, igiene, dimensioni minime tollerabili degli spazi ecc.- sono stati un enorme e serio avanzamento di civilt. Mille volte meglio le case popolari dell'IACP di quelle dei centri storici, spesso buie e malsane e fatte per tutto tranne che per "l'uomo". Altro che la speculazione edilizia di oggi!.
Si domanda, poi, Pagliardini come mai " in questo mondo dichiaratamente tollerante e relativista dove sono accolte tutte le espressioni umane e tutte le diversit possibili, guarda caso non hanno diritto di asilo idee e progetti come quelli di Lon Krier (sempre per esempio) che deve trovare un Principe (ironia della sorte) per poter vedere realizzati, con discreto successo, gli esiti di quelle idee e di quei progetti."
Eh gi: in questo mondo tollerante e "relativista" (cio anti-assolutista) tutte le costituzioni dei paesi democratici vietano espressamente di darsi in schiavit. Che scandalo! Quale grave limitazione alla libert!
Ricordo un giornalaio fascistissimo. Brava persona. Ogni volta che mi incontrava, mi obiettava:- Tu sei democratico e devi difendere il mio sacrosanto diritto di avversare la libert. Io, invece, che democratico non sono, ho tutto il diritto di combattere la democrazia con ogni mezzo per poter instaurare una dittatura e vietare a quelli come te di parlare- Regolarmente gli rispondevo sorridendo: - Vitto', cca' nisciun' fess': democratico si, masochista no! :) -
Il punto che le democrazie non devono e non possono sottoscrivere, in nome di una male intesa libert, il proprio suicidio. La tolleranza non una mole e vile virt: la tolleranza combattiva. E le democrazie aborrono e combattono per principio costitutivo le dittature e gli assoluti. Si
Commento
6773
di giannino cusano
del 25/01/2009
relativo all'articolo
Auguri 2009
di
Sandro Lazier
WARNING: intervento LUNGO
Scusi, Pagliardini, ma il suo ragionamento non mi torna.
Se il passato, anche di 50 anni fa, si studia per coazione a ripetere, lei ha perfettamente ragione. Ma se lo si studia criticamente per discernere ci che vivo da ci che morto oggi, le sue valenze attuali -spesso trascurate e represse- da quelle divenute abitudini e frasi fatte, le cose sono differenti e siamo in totale disaccordo.
Lei scrive:
Direi che il tarlo sta proprio in quegli anni da cui lei vuol ripartire, l'idea di dover cancellare e rifare, l'assurda pretesa di cancellare la storia, l'automatica trasposizione della modernit della macchina nell'architettura, scelta pi da avanguardia artistica che non da metodo adatto all'architettura, all'edilizia, all'ambiente di vita dell'uomo.
Detto cos, sembra che la storia sia un fiume con un suo corso naturale prestabilito che la modernit ha improvvisamente deviato. Non si spiega, allora, come mai si sia tanto diffusa la modernit. Il movimento moderno, invece, ha una sua chiara storicit e necessit: ha radici antiche, come dimostra assai bene il saggio di Zevi Architettura e storiografia gi nel 1950, anno della sua prima edizione.
N si pu ridurre la questione della macchina a questione ideologica o di gusto da avanguardie senza comprendere la necessit storica del problema.
Affrontarlo signific e significa esattamente poter ricominciare a costruire per l'uomo. Espressione, per inciso, che detesto per almeno 2 ragioni: 1. la donna, i gay non sono forse persone?; 2. il concetto di persona non sovrastorico.
Detto questo, l'architettura moderna nasce perch centrale e drammatico il confronto col problema e l'et della macchina, anche: della produzione di massa, delle condizioni di lavoro -creativo e non- che poneva, delle modalit di produzione e della conseguente alienazione del lavoro meccanizzato nell'era della rivoluzione industriale e dell'esplosione urbana e demografica. Non si comprendono l'urlo d'angoscia dell'espressionismo, altrimenti, o il gioco dadaista o il macchinismo futurista volto a rompere il feticismo del passato, vero ostacolo a una comprensione del passato pi profonda perch attuale.
Si trattava e si tratta anzitutto di capire a quali condizioni possibile la qualit nella societ di massa, con citt che raggiungono in poco tempo dimensioni spaventose, mai viste prima e che non accennano a fermarsi sfuggendoci, il pi delle volte, di mano. E non si tratta di qualche palazzotto o grattacielo malriuscito.
Ma la modernit nasce ben prima del '900, con un signore che coglie la straordinaria modernit di alcuni assunti del medio evo: William Morris, Non era un neomedievalista, ma uno che cerca nella storia problemi analoghi ai nostri per estrarne indicazioni di pregnante attualit e di contenuto.
Non fu un caso se il socialismo inglese delle origini - ma non solo- si pose in quest'ottica. Dal lato la cooperazione al consumo del socialismo fabiano dei coniugi Webb, dall'altro quello della cooperazione di produzione del gildismo di D.H.Cole cui, tardi, approder anche Morris. Le gilde sono la rilettura in chiave (allora) contemporanea delle arti e mestieri medievali. Incarnano un programma sociale e produttivo prima che artistico e trovano formidabili correlativi nelle Arts & Crafts e nella Morris, Marshall, Faulkner & co, l'impresa ideata da Morris per produrre parati e oggetti di design e dimostrare che la sua alternativa era possibile. Non fu un caso isolato in Inghilterra e non a caso quelle idee si diffusero immediatamente in tutto l'occidente.
Morris pone anzitutto questioni di sostanza, di contenuto: dell'architettura come oggetto non gliene frega nulla, se non come prodotto-strumento per vivere. E se i modi di produzione sono la serializzazione meccanizzata dell'ovvio, avremo ambienti e citt invivibili. Dall'impulso di Morris non nasce solo la Red House: nasce la citt giardino di Howard, per es., progenitrice delle New Towns.
Lui contrappone alla produzione industriale l'artigianato, e in questo soccombente, ma la gamma di problemi che Morris mette sul tappeto , tutta intera, il background programmatico e di contenuti con cui l'architettura moderna dovr fare i conti se non vorr ridursi ad astratta questione di preferenze estetiche e di gusti.
E cos sar: l'Art Nouveau ricorrer alla linea come strumento per piegare i trafilati tipici del modo di produrre "odierno" a un volere artistico, o (Jugendstil e Hoffnmann) per forgiare un'arte "per tutti" sinceramente borghese, scevra da nostalgie, travestimenti e complessi verso il mondo artistico aristocratico.
E cos sar per The Art & Craft of the Machine di Wright del 1909, documento che di fatto impronter tutta la sua attivit; cos sar per la Maison Dom-Ino o la Citrohan di L.C., risposta di
Commento
6761
di giannino cusano
del 23/01/2009
relativo all'articolo
Caso Casamonti
di
La Redazione
Per Marrucci e Zappal
Non sia mai, Zappal: nemmeno io sono filosofo e non ci penso proprio. Ci manca solo la filosofia, per potersi occupare di architettura, poi stiamo davvero freschi :)
Capisco meglio, ora, il senso del precedente intervento di Zappal sulla decostruzione: la fine del logocentrismo equivale alla fine dell'idea che il mondo stia l solo per noi. L'essere umano non al centro dell'ecosistema, di cui l'architettura parte (e quindi non al centro nemmeno dell'architettura). Ecosistema che ha propri vincoli evolutivi che vanno rispettati. A partire di qui, si pu realizzare un habitat nel quale gli esseri umani hanno certo una parte importante se riconoscono di avere enormi responsabilit. Almeno, se non ho frainteso il discorso.
Io intendevo diversamente la questione del logocentrismo, avendo vissuto -anche se a posteriori, a cose avvenute anni prima- in modo alquanto traumatico la desertificazione dei Sassi di Matera, nella mia regione, in virt di una legge demagogica e sbagliata. Una comunit che da millenni viveva la sua storia parallela a quella ufficiale nel momento in cui la incrocia viene letteralmente spazzata via e assimilata, omologata nella logica delle case popolari.
I Sassi li ho sempre interpretati come un logos comprensibile solo attraverso la presenza viva degli abitanti, dell'uso reale e creativo, delle trasformazioni che vi apportavano, di una societ altra da quella ufficiale strutturata in vicinati e cos via. Un insieme organico di persone e spazi il cui svuotamento stato come congelarne l'evoluzione in un'istantanea da consegnare alla storia mimmificata: un logos trasformato di colpo in scrittura. Un messaggio in bottiglia. E non ci sar recupero e riuso che riesca a riprendere le fila di quella evoluzione parallela alla storia ufficiale, perch un costume stato cancellato d'ufficio, non lasciato libero di elaborare il suo peculiare impatto con la civilt. Comunque, ci penser.
E' questo, Marrucci, che intendo per stato laico o liberale: non l'ennesima etichetta ma una concezione non ideologica e non confessionale. Una concezione metapolitica. E' solo grazie ad essa che tutte le singole visioni ideologiche, confessionali ecc. possono coesistere ed affermare ciascuna le proprie istanze. Questo intendo con amore per le cose e per i cittadini. Se, poi, non vogliamo chiamarlo laico o liberale chiamiamolo pure Carolina, non un problema. E' la sostanza che conta.
Penso anch'io, con Zappal, che la qualit della vita o l'infelicit non dipendano dall'architettura. Poi, per, scopro che nel 2007 si celebrata la festa dei 40 anni dell'habitat di Montreal: l'hanno voluta gli abitanti. Ci vivono bene e sono contenti di stare l, alla faccia dei La Cecla di turno.Allora penso pure che l'architettura pu contribuire, come tante altre cose, a migliorare la vita e forse la nostra stessa comprensione del mondo. Poi, certo: tutto pu essere tradito, strumentalizzato, svilito.
Infine, certo: meglio fare architettura che parlarne, se questo compensatorio. Ma pu essere utile : - a capirci qualcosa di pi, pubblico compreso - a combattere pregiudizi e luoghi comuni - a mettere a fuoco problemi, urgenze, obiettivi, - a incentivare ad andare avanti.
Zevi parlava tantissimo, alle sue lezioni: credo che mi abbia insegnato a pensare architettura. E con la mia testa. E' cultura anche parlarne, se aiuta a comprendere meglio :)
G.C.
Commento
6757
di giannino cusano
del 22/01/2009
relativo all'articolo
Caso Casamonti
di
La Redazione
Sono sostanzialmente d'accordo con Janni.
Ho solo un dubbio, una perplessit di fondo: i principi (i valori, come Janni preferisce dire) ci sono. Il punto , a mio avviso, che in Italia principiano poco o nulla. E non da ieri: almeno dal 1948!
E i cosiddetti "valori condivisi", espressione spesso di comodo per far passare invece l'annacquamento dei principi, ci sono anche quelli. Sono forti e altissimi: stanno l, scritti ben chiari, una volta tanto, nella nostra Costituzione. Che da troppo tempo non si studia pi nemmeno nelle scuole.
E sui principi non si mercanteggia, non si contratta, non si patteggia: ci si scontra, se il caso. Senza timori di "dividere l'Italia": perch gli scontri di idee non hanno mai diviso nessuino: sono l'essenza della democrazia. Sono sempre nobili scontri, quelli ideali: tutt'altro dalle risse squallide da mercato boario per le questioni meschine e di piccolo cabotaggio cui quotidianamente ci tocca assistere da 50 anni.
Ma allora come si fa? Nei paesi civili si legifera in modo che ciascuno possa liberamente e responsabilmente seguire i propri convincimenti: quelli dettati dalla propria coscienza, non quelli imposti per decreto.
E' semplice; ma in questo cavolo di Paese sembra la cosa pi difficile da far entrare nella quotidianit.
Commento
6751
di giannino cusano
del 21/01/2009
relativo all'articolo
Galvagni, Gaud e la ricerca
di
Sandro Lazier
Devo dire che Marrucci e Pacciani hanno il dono della sintesi: capita raramente, infatti, di leggere tanti luoghi comuni concentrati in cos poche righe :)
Si preoccupano, per esempio, dell'approvazione del "pubblico" trascurando il fatto elementare che i concetti di "pubblico" e di "pubblica opinione" sono di formazione moderna. Risalgono all'ascesa della borghesia e trovano origine nei Circoli dei privati Letterati e negli omonimi "Giornali". Salingaros ha un solo e grande merito: una cartina di tornasole. Voglio che ci sia, per una semplicissima ragione: tutto quello che non va bene a Salingaros va benissimo per definizione. Chiuso il capitolo.
Mi spiega l'amico Marrucci cosa intende quando parla di "continuit"? Continuit con cosa? Con un mitico quanto inesistente passato "unitario" e privo di conflitti dell'umanit?
Hanno mai riflettuto seriamente sulla storicit del movimento moderno, tutto e senza eccezioni? La continuit sempre continuit con gli atti di rottura del passato: gli atti autenticamente creativi.
Sperimentare non cosa fine a s stessa: la vita va avanti. Sono i nostri strumenti ed istituti che restano indietro e occorre sistematicamente rivederli, falsificarli, ricontrollarli per abbattere la morta gora dei rami secchi, ideologici e stantii ed estrarne parole vere.
I rischi delle mode ci sono sempre: e se la decostruzione scade in moda, il suo maldigerito consumo che occorre combattere, non la decostruzione in quanto tale. Senza esame critico volta per volta, opera per opera, edificio per edificio, si butta via l'acqua sporca dimenticando di togliere il beb.
Infine, il pubblico, come certa critica assetata pi dell'approvazione plebiscitaria di un fantomatico "pubblico", sempre boccia le innovazioni salvo, poi, accettarle con decenni di ritardo.
E' accaduto a Borromini e al Gotico, alle Certose, a Gaud e all'Impressionismo, alla Tempesta del Giorgione, a Beethoven, a Bach, a Gesualdio da Venosa, ad Arnolfo di Cambio, a Caravaggio, agli affreschi della Sistina ... : la storia intrisa di simili "scandali" e va avanti proprio grazien ad essi. Non si vede per quale motivo non dovrebbe essere cos anche ora.
Chi depresso e, anteponendo a tutto la propria personale salute perch non regge l'impatto con una certa momentanea impopolarit, non obbligato: si astenga da ogni attivit creativa (anche in sede critica): pensi pure alla salute e si dedichi alla macrobiotica, ai fiori di Bach, alle tisane e all'Ayurvedica. Nessuno gliene far un torto: siamo liberi e ottimisti. O no?)
Cordialmente (?)
G.C.
Commento
6749
di giannino cusano
del 20/01/2009
relativo all'articolo
Galvagni, Gaud e la ricerca
di
Sandro Lazier
***WARNING: testo ALQUANTO LUNGO***
Il commento di Zappal esige approfondimenti.
Anzitutto la questione della "presenza": tutta l'architettura, in particolare quella delle avanguardie contemporanee, ha per lo meno un aspetto, per nulla secondario, che riguarda l'oggetto architettonico e il suo trattamento "in s".
Prendiamo De Stijl: la rottura della scatola ha una propria operativit tipicamente scritturale, oggettuale: effettuabile, cio, in modo del tutto indipendente dalla considerazione della presenza o meno di utenti. Prendo un prisma, lo disassemblo in modo da scardinare le giunture della scatola e lo riassemblo in modo da evitare il riformarsi di angoli pieni. Mies insegnava cos ai suoi studenti. Dava loro una lastra di copertura su una serie di elegantissimi pilastri in acciaio, poi diceva: Tranquilli: questo si regge. Ora ricavatene un'abitazione composta di soggiorno, cucina, x camere, y bagni ecc. facendo attenzione a un'unica cosa: i piani delle pareti non devono mai incrociarsi a formare degli angoli chiusi e devono sempre prolungarsi all'esterno, andando oltre i confini degli spazi e degli ambienti interni. Era un modo di studiare la specificit e le caratteristiche di una scrittura, le modulazioni della luce, la mutevole compenetrazione all'intorno, il dosaggio le fluenze spaziali ecc.
La questione non riguarda esclusivamente le avanguardie. Gli -ismi hanno evidenziato in sommo grado questa ricerca scritturale non logocentrica. Ma non solo: Frank Lloyd Wright insiste sempre sul suo modo tecnico-creativo di trattare l'organismo costruito per estrarne valenze inedite. Nelle Prairie houses elimina il trave interposto tra tetto e muri perimetrali in modo da poter prolungare i vetri fino all'intradosso stesso del tetto senza l'interruzione visiva del trave; ribassa progressivamente gli spioventi in modo da poter assimilare sempre pi il tetto a una lastra piana e nel ciclo delle Usonian passa alle lastre piane di copertura. Sotto le vetrate, quando non giungono fino a terra, dispone muri-davanzali che man mano si libereranno dai loro piani di giacitura prolungandosi nella natura circostante a organizzare i giardini che circondano la casa e protendendosi lungo le linee-forza del paesaggio per inglobarlo negli spazi interni dell'abitazione. Oppure svetra nodi tradizionalmente destinati ai cornicioni (Johnson Waw Building) o angoli solitamente pieni della casa (Bear Run).
Se vero che una citt si comprende a partire dal suo hinterland, una casa prende vita a partire dal suo orizzonte urbano o naturale che sia.
Come esempi possono bastare, ma il discorso potrebbe proseguire a lungo passando per l'espressionismo, il costruttivismo, il futurismo, specie nella versione boccioniana. Il caso di Wright dimostra che l'architettura sganciata dall'operativit tipica delle avanguardie cosa povera e regressiva. Non a caso il nutrimento degli -ismi un fattore genetico dell'architettura moderna, senza eccezioni.
A questo punto mi pare legittimo chiedersi: pensabile un'architettura che esclude la presenza umana? A rigore, no. E non perch la conquista dello spazio vissuto operata da Wright, anzitutto, e dall'architettura organica un fenomeno radicalmente nuovo, nel panorama storico complessivo dell'evoluzione dello spazio. Se, infatti, la rinuncia allo spazio vissuto ci facesse davvero compiere un passo in avanti, sarei il primo a dire chi se ne frega dello spazio vissuto!.
La ragione un'altra: se l'architettura scrittura e non logos che presuppone una presenza viva e costante, bisogna pure che qualcuno decifri questa scrittura. Possiamo persino assimilarla al messaggio in bottiglia del naufrago, ma resta sempre la speranza affidata a quel messaggio scritto: che qualcuno, somewhere nello spazio e/o nel tempo, lo raccolga e tenti di decifrarlo.
Si pu benissimo assimilare l'architettura all'ambiente come a qualcosa che la assorbe totalmente e dal quale essa, semplicemente, derivi come una qualsiasi formazione rocciosa o una parte dell'Universo del tutto indipendente da noi. A parte la facile obiezione che nell'eliminare una metafisica incorreremmo in un'altra metafisica, resta il fatto che il monito a non distruggere l'ambiente in nome di malintese esigenze umane occorre pur sempre che siano degli umani a recepirlo.
Dunque, se questo straniamento dalla condizione umana ha un senso, ce l'ha proprio sullo sfondo di una condizione umana: la presuppone e non pu prescinderne. E' questo, allora, che ci dice la decostruzione? Forse, ma incidentalmente.
Ci dice anzitutto, secondo me, che qualsiasi fenomeno linguistico, o espressivo o formale che dir si voglia, presuppone e sconta uno scarto interno al codice, un disturbo senza il quale non sarebbe possibile. Qualsiasi fenomeno: anche quelli della classicit, del classicismo e della forma apparentemente pura. E bisogner bene che
Commento
6746
di giannino cusano
del 19/01/2009
relativo all'articolo
Galvagni, Gaud e la ricerca
di
Sandro Lazier
Ha scritto Andrea Pacciani:
"Non vedo francamente cosa ci sia da essere fedeli al secolo appena passato considerando il bilancio generale dell'architettura prodotta (...snap...) mi sembra del tutto legittimo il rifiuto locale a cedere ala tentazione ad un possibilismo modernista.
Credo che bisogna prendere atto che la modernit stia vivendo un periodo eclettico e storicistico di s stessa e la frattura con l'utente finale ormai uno iato incolmabile..... un po' come a fine ottocento primi novecento..."
Infatti non si tratta di essere fedeli ad alcun passato: n al secolo scorso, meno che mai a due, tre, quattro, cinque (e chi pi ne ha ... ) secoli fa. Non si tratta di essere fedeli ad alcun passato: si tratta di andare avanti. Frattura con l'utente finale? E perch, l'architettura romana, bizantina o barocca (o era) in sintonia con "l'utente finale"? Ma quando mai ...?
Commento
6741
di giannino cusano
del 14/01/2009
relativo all'articolo
Galvagni, Gaud e la ricerca
di
Sandro Lazier
L'architettura dice cose che non possono essere dette in altra sede (poesia, teatro, cinema letteratura, scienze, retorica ecc.). Certo, infinite intersezioni sono pensabili. Mi pare chiaro, altres, che se Salingaros o chi per lui cerca nell'architettura ci che invece pu trovare solo nella matematica, ovvio che i presupposti per cui ne rester deluso ci sono proprio tutti. Perch l'architettura bisogna anzitutto saperla leggere.
Non c' dubbio: l'unica cosa certa che Gaud e Galvagni hanno in comune l'iniziale del cognome. Il resto quanto meno da valutare.
Non c' dubbio, d'altro canto, che forse nessun architetto quanto Gaud si pu dimostrare con altrettanto rigore, chiarezza e conseguenzialit di un teorema. Don Antoni, del resto, tutto fu tranne che l'architetto del "las curvas de sentimiento", come lui stesso diceva sarcasticamente dei vacui formalismi che anche ai suoi tempi si sprecavano. Gaud si dimostra come pochissimi altri e senza mutuare alcunch dal mondo scientifico. E si dimostra partendo proprio dai fondamenti stessi dell'architetturai: dalla comprensione degli spazi. Il resto corollario.
Osservo, per inciso, che il genio catalano fotogenico quanto pochi. Di pubblicazioni in carta patinata sulla sua architettura ce n' a iosa, per sua e nostra disgrazia. Perch questa fotogenicit spesso la fetta di prosciutto sugli occhi che mette in ombra un'appassionata e sostanziosa lettura dei suoi edifici.
Con ci, sia chiaro, non intendo screditare ricerche che affondano radici nella biologia, nella fisica, nella scienza come quelle di Galvagni: tutt'altro. Dico solo che la prima condizione saper leggere gli spazi. E se Salingaros cerca in Eisenman un emulo di Goedel, ovvio che pu solo restare deluso. La colpa solo di Salingaros, per.
Il punto che Salingaros pontifica "urbi et orbi". Questo un po' come prendersela con Levi-Civita o Riemann solo perch gli spazi a "n" dimensioni (n>3) non si possono rappresentare graficamente o involucrare con calce e mattoni. In realt Salingaros in architettura ripropone uno strutturalismo all'acqua di rose, di terza mano. E anche stantio, ammuffito. E' in ottima compagnia, naturalmente: Aldo Rossi in testa. Uno strutturalismo d'accatto che, ben al di sotto delle "fissioni" semantiche care a Levi-Strauss (grandissimo studioso persino quando si occupa discutibilmente di architettura): qui siamo alle "persistenze", ai "valori eterni" perch mai digeriti, ai rigurgiti del Partenone. E non c' Maalox che tenga!
E' qui, a mio parere, l'importanza della decostruzione derridiana e di tutto il post-strutturalismo: nell'aver deautomatizzato l'universo significante dell'architettura. Che, non a caso, era regredito nel postmoderno. E nell'averlo svincolato dalle "leggi assolute" quanto inesistenti della storia, nell'aver compreso che anche dove c' crisi, cio una scrittura architettonica che va oltre la capacit d'uso dello spazio "qui ed ora", l'unica cosa tentazione da evitare quella di rifugiarsi nel passato.
La decostruzione, e per altre vie il pensiero non decostruzionista di Foucault e Deleuze, hanno contribuito enormemente a liberare i segni architettonici dai loro tab archetipici.
E' certamente riduttivo, ma mi pare didascalicamente efficace dire che la decostruzione e il post-strutturalismo hanno posto senza mezzi termini il problema di nuove catene significanti dalle inedite modalit.
In un certo senso, paradossalmente sembrano mancare o essere deficitari i comportamenti umani che diano pienezza di senso a quelle forme. Il senso: uno dei paradossi pi acutamente indagati da Gilles Deleuze (Logica del senso, U.E. Feltrinelli, 1975). Su questi temi necessario discutere e indagare pi a fondo, specie nella prospettiva di una revisione della storia dell'architettura italiana dal 2 dopoguerra a oggi che sappia inquadrarsi in quella europea e mondiale. La decostruzione ha rappresentato anche un fenomeno linguistico di dimensione sovranazionale: salutare per il provincialismo cronico del nostro paese.
Un sintomo, ho detto altrove: lo confermo. La "cattiva socializzazione" in atto coincide esattamente con la mancanza di senso sociale degli spazi. Possiamo attendere che nuovi comportamenti sociali fioriscano? Evidentemente no: occorre mettere in moto stimoli-significanti problematici, se si vuol contribuire a incentivarli. E' questa, a mio parere, una delle ragioni, e forse la meno trascurabile, per cui le ricerche e l'impegno sulla socialit dell'habitat (da Safdie a Erskine, passando per Renaudie, Blom, Kroll) si sono improvvisamente interrotte: non c' quasi pi materia grezza su cui lavorare.
Ci detto, sono convinto anch'io che il futuro inizi da subito, nell'impegno organico di architetti come Galvagni. Ma la strada davvero molto difficile. E se la prima via (decostruzione e post-strutturalismo), bench venata di un po' di pessimi
Commento
6721
di giannino cusano
del 09/01/2009
relativo all'articolo
La qualit architettonica non solo cultura. mo
di
Renzo Marrucci
Francamente, Carta, ho qualche difficolt a seguire il suo ragionamento: probabilmente un mio limite.
Lei scrive: "...C'e' una norma da seguire, ma talvolta tale norma puo' essere interpretata, gli avvocati stanno li per questo (... ) La gente in termini generali non dovrebbe intimare punizioni corporali ad altra gente prima di tale giudizi." Non c' dubbio: infatti non credo che discutere certi argomenti equivalga a volersi sostituire ai tribunali n che qui si tenti di intimare qualcosa a qualcuno. E con quali poteri, poi? Credo, appunto, che i giudizi della "gente" siano cosa ben diversa da quelli dei giudici e investano problemi di altra natura.
Per stare al suo esempio, se si scopre che c' un giro di frodi ed errori sugli esami non pi che logica una diffusa indignazione in chi quegli esami ha sostenuto senza barare? Mi preoccuperei moltissimo del contrario: ovvero dell'indifferenza "civile". E badi che nell'esempio non sto parlando di una sentenza del tribunale che abbia accertato i reati: lo sdegno potrebbe scattare anche solo di fronte al fatto che qualcuno attesti pubblicamente che cos o, per es., venga a proporci di comperare degli esami. Voglio dire che per valutare la realt in cui viviamo non serve disporre preventivamente di sentenze definitive emesse da tribunali. Per fortuna.
In termini evangelici, lo confesso, non sono molto ferrato, ma considero i "Dialoghi" di Sant'Agostino responsabili di avermi procurato la sensazione che il famoso episodio del "chi senza peccato..." abbia una lettura un po' pi complessa e sofisticata di quella che lei propone e che, francamente, scomodarlo in un contesto del genere mi pare sproporzionato.
Ad ogni buon conto, l'episodio si conclude con un "...va, e dora in poi non peccare pi" : epilogo che, in genere, si preferisce trascurare o dimenticare.
Non c' dubbio che sul piano puramente utilitario "condanna" e "perdono" sono termini antitetici. Ma in campo morale i termini non sono due ma uno solo. Infatti (e lasciando fuori dal discorso i tribunali) ogni condanna un perdono, cio un invito alla "redenzione". E ogni perdono una condanna: sono due momenti indivisibili come l'affermazione e la negazione. Tanto che non ci piacciono gli implacabili, che condannano moralmente e non sanno perdonare nemmeno dopo la morte, e nemmeno i tolleranti al punto da non condannare mai: a ben guardare, non per bont d'animo ma per personale comodit e quieto vivere. Insomma, sdegna trovarsi accanto a persone che non sentono ferito il senso del bene: non possibile perdonare senza prima "sentire le offese"
Allora, se su 27200 (per stare al suo esempio) uno solo ha superato gli esami onestamente, credo che sia umano e giusto che quello s'indigni pubblicamente. Analogo e legittimo senso di indignazione suscita l'ammissione esplicita che una gara stata truccata. A maggior ragione se chi ammette il fatto dovrebbe/vorrebbe rappresentare cultura e arte: libero confronto di idee, dunque. Che, per definizione, aborre carte truccate.
G.C.
Commento
6714
di giannino cusano
del 08/01/2009
relativo all'articolo
Caso Casamonti
di
La Redazione
Gentile Bernini, se qualcosa non funziona nel sistema di regole e leggi che ci si dato, si contestano apertamente quelle regole e leggi in modo da poterle cambiare.
Si chiama "disobbedienza civile" e consiste, essenzialmente, nel violare quelle regole ingiuste previa autodenuncia all'autorit giudiziaria e finendo volontariamente sotto processo per poter spiegare ai giudici che si fatto ci che si fatto per sottoporre all'attenzione della pubblica opinione e delle istituzioni qualcosa che non va proprio e che dev'essere modificato. Questo impone "l'amore per le cose" di crociana memoria; questo impone la coscienza civile a chi complice di un sistema iniquo si rifiuta di essere.
Si fa, cio, rischiando e pagando di persona, non violando le regole di soppiatto e sperando che nessuno se ne accorga, salvo invocare nobili ragioni se si viene colti in fallo. Non adattandosi, cio, a un sistema ingiusto e sbagliato, salvo venire beccati e invocare motivazioni per nobili o meno che possano essere.
Perch chiaro che se uno sconvolge le regole di un'asta pubblica al solo scopo di tutelare l'integrit del proprio progetto, qualche grave disfunzione c', nel sistema. ma - all'italiana- nessuno fa nulla in quanto ciascuno spera di trarne vantaggio: e intanto la legalit degrada ogni giorno di pi.
Lei chiede "voi cosa avreste fatto al suo posto" ? Come dire "mettetevi nei suoi panni". Bene: mi ci metto e mi sono messo spesso, nella vita, nei panni di persone che si adattano a regole criminogene. Anche in questo caso, avrei fatto ci che ho sempre fatto, in questo paese che se ne fotte di ogni legalit.
Vista la difficolt o l'impossibilit a far rispettare il progetto in sede realizzativa, mi sarei denunciato prima di commettere la violazione, non -furbescamente- ricorrendo al solito "se va, va". Dopo, cio, essere stato trovato con le mani nella marmellata e avendo sperato che non accadesse. Questa la differenza.
E siccome, con ampia facolt di prova, mi sono sempre comportato esattamente cos, per es. -ma non solo- per l'abolizione dell'Ordine dei Giornalisti o contro le norme da monarchia assoluta di oltraggio al Capo dello Stato, le dico che avrei fatto cos anche in questo caso. Siccome non ho altra strada per tutelare i valori figurativi del mio lavoro, vado dai carabinieri e denunciio me stesso per iscritto dichiarando che sto per violare norme che regolano il regolare svolgimento di aste e concorsi in quanto producono evidenti storture e quindi sono profondamente criminogene: cos, forse, c' qualche speranza di poter cambiare qualcosa. L'altra via, invece, quella cio del'adattamento opportunista e un po' furbesco allo statu quo, il modo migliore per lasciare tutto come sta, ad uso e consumo di quanti se ne avvantaggiano. Pochi, ovviamente, e tutti appartententi al Circolo del "sar mica fesso, vero?"
Con tutte le nobili motivazioni che lei vuole, combattere una giusta causa con metodi quanto meno discutibili non lodevole. Sono, invece, i mezzi che usiamo, a prefigurare i fini: mai il contrario. Chiedere un minimo di coraggio e di dignit civile a dei professionisti , forse, troppo? Se lo , allora di che si lamenta? Tiri le somme da solo, no? :)
G.C.
Commento
6688
di giannino cusano
del 06/01/2009
relativo all'articolo
Caso Casamonti
di
La Redazione
BUON 2009 A TUTTI !
Torno da una lunga assenza e trovo una comprensibile pirotecnia di opinioni sull'affaire Casamonti.
Mi pare inevitabile rammentare che un tempo le archistar si chiamavano Portoghesi, Purini, Aldo Rossi, Gregotti - con i dovuti e distanti distinguo a favore di quest'ultimo.
Molto meglio sarebbe stato, neglli ultimi 20 anni, riuscire a superare il sistema delle "archistar", ma se esse oggi si chiamano Gehry, Hadid, Koolhaas, Piano, Eisenman mi pare che ci sia comunque solo da rallegrarsi.
Credo, anzi, che questa possa essere un'ottima occasione per riflettere seriamente sulle vicende architettoniche degli ultimi due decenni. A partire, cio, da quando si manifest quel sintomo molto positivo, a mio parere, noto come "decostruzione". Un sintomo, non di pi.
Ma non questa dei commenti, mi pare, la sede pi adatta per una riflessione di pi ampio respiro. Anche perch Franco La Cecla e Vittorio Gregotti hanno sentito l'esigenza di scrivere due libelli di oltre 100 pagine ciascuno sul tema (rispettivamente: "Contro l'architettura" e "Contro la fine dell'archiettura") e francamente un commento sarebbe di fatto inadeguato in termini di spazio.
Credo anch'io che Marco Casamonti vada processato, se va processato, nelle sedi adeguate. E che non gli si possa augurare altro che di riuscire a dimostrare la propria innocenza: un processo non un'infamia ma serve esattamente a questo. E indipendentemente dalle sue capacit professionali. Personalmente penso che non siamo di fronte a un esempio di eccelsa architettura o di impostazione critica e culturale di chiss quale piglio smagliante, ma che comunque c' qualit nelle cose che fa.
Credo, per, che le intercettazioni -che, giova rammentarlo, ai sensi del nostro C.P.P. sono (a mio parere pi che giustamente) pubblicabili anche a indagini in corso, purch non secretate dal GIP e purch la persona indagata sia in grado di esserne messa ufficialmente a conoscenza- evidenzino un quadro allarmante. Si, certo: lo sapevamo. Si sapeva -per sentito dire- che in molti Concorsi il mazzo di carte truccato grazie a giochi non proprio limpidissimi consumati anche in ambienti "deviati" di sedi istituzionali. Ma era "vox populi". Ora, invece, si ha , e per ammissione della persona coinvolta, la conferma che quelle voci non sono del tutto campate in aria.
Le vicende in cui coinvolto Casamonti forse nascono solo da amore per l'architettura misto, magari, a imprudenza: nessuno pu inquisire i sentimenti e la buona o malafede di chicchessia.
Ma i sentimenti come puro stato emozionale, i sentimenti che non siano anche azione, si traducono in puro consumo di s: e un amore impotente, per quanto amore, resta impotente ad amare. Sul che , nessun problema: ognuno, di s e della sua libert , fa ci che meglio crede. L'aspetto devastante , invece, l'effetto di combustione anche sugli altrui amori e passioni e per assunti non loro. E' che la libert/responsabilit di consumare s stessi , in questo caso, inevitabilmente responsabilit verso terzi. Perch coinvolge questioni culturali. E solo un cinico pu pensare che la cultura sia una dotazione personale, atta magari a far meglio carriera, e non anzitutto una questione di patrimonio sociale, collettivo..
Allora, e a maggior ragione se le vicende in questione nascono da une brutta piega del sistema dei cui ingranaggi Casamonti caduto vittima, l'amore per l'architettura che non voglia ridursi a mero consumo di un sentimento introvertito dovrebbe esattamente esigere questo: che Casamonti non aiuti solo s stesso a venir fuori al pi presto dalle sue vicende giudiziarie. Che, invece, aiuti soprattutto il sistema a far luce sule proprie ombre e, per quanto possibile, a prendere coscienza di s, a riformarsi seriamente. Il problema non giudiziario: culturale. Sono perfettamente d'accordo con Ferrara e Lazier che solo su questo terreno l'amore pu, da rappresentazione mentale e impotente di sentimenti, tradursi in cosa operativa e concreta, in "continuit dell'attenzione", come lo defin Simone Weil.
Commento
6489
di Giannino Cusano
del 22/10/2008
relativo all'articolo
Saudade
di
Sandro Lazier
A Renzo, cordialmente:
mi rendo conto delle sue perplessit. Per fortuna, siamo qui per non essere tutti d'accordo. Il solo pensiero, anzi, mi farebbe venire la pelle d'oca..
Fino al terzo liceo classico volevo fare il medico. A met anno cambiai idea leggendo quasi per caso "Testamento" di F.L. Wright e "Saper vedere l'architettura" di Bruno Zevi. E c' ancora chi sostiene che leggere non cambia la vita! Non sapr mai se in meglio o in peggio, naturalmente, ma tant'. Sta di fatto che mi considero tuttora un medico, se penso alle nostre citt malate :)
Come sia, quei libri mi fecero immediatamente toccare con mano cosa significa ragionare in termini di spazi. "Saper vedere", poi, tratteggiava la storia dell'avventura, della scoperta e dell'esplorazione dello spazio come creazione umana: una faccenda entusiasmante. Il luogo del vivere assieme, del sociale, dell'intimit personale. L'umanit si esprime e si rappresenta cos. Si pu anche pensare legittimamente che questo rispecchiarsi negli edifici, pi in generale nella storia, sia una cosa da Narcisi. E' che anche il mito di Narciso va riletto a fondo e per intero. E' una faccenda drammatica; il mito della ricerca della nostra identit: col narcisismo non ha nulla da spartire.
Trovai, l'anno dopo, un testo altrettanto limpido, di quelli che non si dimenticano: "Architettura e Societ'", di Erwin Anton Gutkind.
Se non si presi dal feticismo delle "cose", degli "oggetti", della "buona composizione", ma anzitutto dalla vita che consente loro di esistere, ci vuole davvero passione, per mettersi davanti a un tavolo e studiare un modello o un disegno, modificarlo, ripensarlo da cima a fondo o reimpostare tutto da capo, perch nel frattempo la vita passa e non sappiamo mai se stiamo spendendo bene il nostro tempo.
La societ, la vita, sono quello che sono. Non ci si pu limitare a rispecchiarle fotografandole, come farebbe un reporter di guerra, ma nemmeno si pu rifarle da capo a nostro piacimento. Non si pu, insoma, progettare senza qualche forma di simpatia per i nostri simili. Anche se ci sembrano totalmente calati nella follia, nell'incoscienza, nello sperpero pi totale, c' sempre una buona possibilit, un raggio di umanit che splende dietro a tutto questo: e non viene da noi, ma dal mondo. Non sarebbe nemmeno possibile tentare di lavorare, se cos non fosse.
Ho visto, in dei filmati, Gehry al lavoro e ne ho tratto la netta conferma che animato da uno spirito simile. Che non il mio, sia chiaro, ma secondo me quello di qualsiasi vero architetto.
Sono certo che, come ha anticipato, sapr spiegare meglio alcune sue convinzioni. Abbiamo tutto il tempo: chi ci corre dietro?
Ho letto con attenzione il suo articolo su Ronchamp. Viviamo forse in tempi difficili, ma come umanit ne abbiamo passate di peggiori: non c' da disperare. Lo stesso Le Corbusier fu incalzato pi di noi da eventi drammatici e persino tragici. Ma i principi (o, come lei preferisce chiamarli, i valori) non muoiono per per questo :)
Un cordiale saluto,
Commento
6482
di giannino cusano
del 21/10/2008
relativo all'articolo
Saudade
di
Sandro Lazier
Ha scritto Renzo Marruccci:
"Il futuro non nel potere della tecnologia ma nella qualit delluomo"
Non mi pare che in questa sede, e in particolare nell'articolo di Lazier intitolato "Saudade" e nei commenti che ne sono seguiti, ci sia stato una sola persona che ha voluto identificare "futuro" con "potere della tecnologia".
La qualit umana -gi cara ad Aurelio Peccei- certo il punto focale, ma a patto di precisare cosa sia oggi la qualit umana, e pi in generale la "qualit". Che, altrimenti, rischia di scadere a formula vuota buona per ogni salsa.
Vorrei, peraltro, ricordare che nel 1957, 6 righe dopo essersi dichiarato "Romantico", a definire il suo lungo iter creativo "Un'architettura che spesso definita tecnologica. Di fronte all'aspra accusa, mi dichiaro colpevole" fu Frank Lloyd Wright (Testamento, ed. Einaudi, TO 1963). Qualcosa non torna? Temo che sia cos.
Prosegue Marrucci :" Non del pensabile che abbiamo bisogno ma di qualit! Abbiamo bisogno di chi voglia misurarsi con i problemi reali senza evaderli schierandosi piattamente con la tecnologia e i mass media dellinformazione. Abbiamo bisogno di chi non sostituisce la ricerca della misura umana con settanta ferracci e tiranti che ti segano la voglia di pensare e di vivere nella citt..." ecc.ecc. Mi permetto di insistere: proprio del pensabile, dell'immaginabile che abbiamo un gran bisogno. Di un'immaginazione che vada oltre la miopia e le conseguenze contingenti e immediate.
Torniamo al dunque: Borromini e i borrominiani di oggi. Con Borromini non possibile compromesso di sorta: pone degli aut-aut che non ammettono mezze misure. Traccia senza mezzi termini le alternative possibili ("pensabili") al torpore del suo tempo senza mai tirarsi indietro. E, bench gli incarichi che gli vengono affidati siano oltremodo modesti, non rinuncia ad additare strade "altre" da quelle.
Scrive ancora Marrucci:"Borromini agiva con gli strumenti consolidati del tempo marcando il tempo con la sua ardente genialit e non inseguiva tecnologie e false sperimentazioni" vero, ma solo a met. Manca l'altra met: Borromini denuncia con decisione l'usura di quegli strumenti, li scardina, li corrode dall'interno. E quali erano gli strumenti del suo tempo? La suadente deformazione barocca dei canoni classici, il manierismo nevrotico, elitario e teatralmente dubbioso anche quando non c' nulla di cui essere dubbiosi, infine il codice rinascimentale: l'unico dal quale Borromini parte convinta, nella efferata versione michelangiolesca, estraendone valenze inedite per procedere oltre. E riesce in pieno a bruciare qualsiasi connotato classicistico proprio in un'epoca in cui intervenire sui contenuti sociali dell'architettura precluso dalla Controriforma.
Ma -questo il punto, a mio avviso- si pu sempre agire sulle forme-significanti per svincolarle dalla strumentalizzazione tridentina e rendere quegli stimoli-significanti aderenti a nuovi contenuti tutti da concepire e inventare. Anche cos si addita e si incentiva il nuovo in quanto "pensabile" e fattibile.
Non solo, in un edificio minuscolo come San Carlino, brucia qualsiasi connotato cruciforme latino o greco, qualsiasi distinzione e scomposizione in successione di navata, transetto, tamburo, cupola e ogni possibile lettura "analitica" delle dimensioni spaziali; in Sant'Ivo fa molto di pi. Rende esplosivo e centrifugo un organismo a pianta centrale, teoricamente univoco nelle sue possibili letture in quanto subordinato.a un solo punto focale. Ma lui ne fa saltare l'impianto bloccato e semplicistico in una visione quanto mai complessa e ricca di dissonanti indicazioni dinamiche. Persino le "camere di luce", i sistemi ad illuminazione indiretta che prediligeva e inventava in continuazione, non consentono alla luce di fendere e ferire la continuit spaziale, ma contribuiscono a rifondere in un unicum continuo tutte le articolazioni del discorso. E' qui, tra l'altro, il cuore della critica di Zevi alla mostra sul Borromini nell'articolo riportato meritoriamente da Lazier: un'occasione sprecata, quella mostra, perch non se ne fece un incentivo a ripensare borrominianamente spazi espositivi dinamici ed esplosivi. Pigrizia eletta a rango di rigore!
Riassumo ci che penso: dopo la nutrita sperimentazione sociale incarnata dall'habitat '67 di Safdie fino a Byker di Erskine (primi anni '80), passando per Renaudie, Geilhoustet, Blom, pi nulla. La via dell'impegno comunitario sembra preclusa, interrotta dalla cattiva socializzazione in atto, di cui tardiva prova la crisi dei mutui e dei derivati di questi giorni. Eppure l'architettura pu ancora agire in profondit, malgrado le multinazionali della finanza internazionale siano tra i suoi principali committenti. Del resto, Borromini -al pari di Gaud- lavor per ordini della Chiesa Cattolica controriformata, non certo per dei luterani o dei calvinisti ribelli.
Ma, an
Commento
6473
di Giannino Cusano
del 18/10/2008
relativo all'articolo
Saudade
di
Sandro Lazier
SAUDADE DE FUTURO !
... uno storico che cercava il dopo e un critico che comprendeva il prima ha scritto Lazier: mi pare centrale. E come non essere d'accordo?
Il futuro forse non lo mai stato, e mai come oggi non pi quello di una volta. La sensazione di aver perso la dimensione del domani mi pare la sola, vera "saudade" con cui fare i conti.
Non pi possibile, se mai lo stato, estrapolare alcun futuro dal presente o dal passato prossimo o remoto. Non concesso alcun "ritorno" o "predire" alcunch partendo dai presupposti di ieri e di oggi, perch le premesse del nostro agire sono, in brevissimo tempo, mutate alla radice.
Ecco perch il passato bell'e fatto, cos com' e magari "phylologically correct", non serve se non reinventato e rivissuto in un'avventura interiore. Noi siamo, e forse per la prima volta seriamente nella storia, "condannati" a inventare il nostro futuro a un grado poco tempo fa impensabile . Con una visione globale inedita e tutta da costruire, consapevoli dei rischi e delle responsabilit che questo comporta. Non c' pi un rassicurante domani che possa somigliare anche lontanamente a ieri o ad oggi perch gi l'oggi impone dei salti di inventiva e di qualit umana impensabili solo 30 anni fa. Dovremmo esserne felici: e invece ...
Solo, dunque, le "eresie" del passato e i punti di discordanza contro cui i conti s'infrangono e continuano a non tornare, possono esserci di un qualche aiuto. Perch di questa rottura con le inerti e fallimentari abitudini di ieri e di oggi , che c' davvero bisogno per ricominciare a sperare fattivamente.
Dopo la sbornia degli anni '50 -ricostruzione postbellica-, quella della crescita illimitata (anni '60) e il suo frenetico sperimentalismo, dopo la disillusione (anni '70) e l'ingiustificato senso di frustrazione, negli anni '80 si giunge timidamente ma decisamente a disancorarsi dalla "struttura" e dai miti strutturalisti, bench "La Struttura Assente" di Umberto Eco risalga gi al 1968. Dopo 40 anni ne abbiamo davvero tradotto l'apporto in architettura? E in quanti?
Gli eretici di oggi si chiamano Gehry, Eisenman, Hadid, Moss, Behnisch ... Archistar? Certo. Ma solo perch la distanza tra il reale quotidiano e il pensabile infinitamente pi ampia di 10 anni fa. Ma proprio del pensabile che abbiamo un tremendo bisogno: di tradurlo in quotidianit senza arrenderci all'illusoria prosecuzione del reale cos come il passato ce lo tramanda: questa , infatti, la sola vera fonte possibile di sconforto. E non ne abbiamo alcun bisogno.
Non abbiamo pi le antiche certezze, per fortuna. Non possiamo far altro che spogliarci di ogni bisogno di sicurezza, smantellare i facili ed illusori appigli e tuffarci nell'insicuro e senza timore di distruggere quanto ideologicamente ci trattiene e ci impedisce di guardare la realt per ci che e chiede di essere oggi perch ancora si possa dire di avere un domani. Non un gioco ma la nostra parte di responsabilit, ciascuno per le proprie capacit.
Zevi ci manca? Certo ... ma allora, ciascuno pu reinventare il suo Zevi interiore e cercare di andare avanti con faticoso ottimismo. Altre possibilit non abbiamo:
SAUDADE DE FUTURO !
Commento
6316
di Giannino Cusano
del 21/07/2008
relativo all'articolo
Rileggendo 'Frank Owen Gehry - Luna meccanica', d
di
Renzo Marrucci
Credo che Zevi condividesse la carica profetica di architetture come il Guggenheim di Bilbao. Che comunque a mio giudizio incarna un valore molto forte della contemporaneit. Se si ripensa alla lunga stagnazione -segnatamente, ma non solo italiana- degli anni ''70 e '80, pur con eccezioni, non si pu che salutare con un sospiro di sollievo edifici come quelli di Gehry. Segnano finalmente un nuovo affrancanento e una riscossa dell'architettura attesa troppo a lungo.
Mi sembra, per, di poter dare ragione a Marrucci su una cosa , se bene interpreto il suo pensiero: oggi nelle nostre citt resta come un vuoto enorme marcato da una crescente proliferazione di temi "eccezionali" e spesso di mera rappresentanza di grandi entit transnazionali come banche, cartellli petroliferi, superfinanziarie o grandi gruppi iinformatici che si traducono spesso in azioni che paiono calate dal cielo. e a volte rischiano di collimare con meri fattti di immagine.
Sia chiaro: trovo giusto che questi edifici abbiano una collocazione adeguata nelle nostre citt e che siano interpretati con chiara coscienza contemporanea. Tuttavia sembrano. a mio parere, funzionare sempre meno due cose:
1. credo che sappiamo sempre meno cosa designare col termine "citt", se non il prodotto di un pragmatismo che appare sempre pi anarcoide e riluttante a inscriversi in strategie di medio e lungo respiro ;
2. abbiamo completamente perso di vista incentivi e valenze fortemente sociali dell'architettura.
Sul primo punto mi pare sempre pi radicata in background l'illusione che l'universo consumistico e dello spreco di risorse possa di per s fornire un coerente quadro d'assieme che, invece, lungi dal poter e voler perseguire. Le nostre citt sono ancora fortemente ipotecate dall'approccio razional-riduzionista, per il quale basterebbe scomporre i problemi in sotto-unit semplici e controllabili per accedere anche al controllo dell'assieme. Il risultato tuttora il vecchio miraggio della crescita illimitata.
Sul secondo, invece, vorrei sottolineare - a supporto della tesi di Marrucci- l'avvenuto abbandono (e da tempo) di straordinarie indagini architettoniche e spaziali sul complesso rapporto tra individuo e socialit. Colloco tra l'Habitat '67 di Safdie a Montreal e Byker di Erskine (primi anni '80) Il periodo pi felice e promettente , ancorch interrotto, di questa sperimentazione per tanti versi innovativa. Passando, naturalmente, per i brani di Jean Renaudie, Renee Gailhoustet e gli interesanti villaggi urbani di Piet Blom in Olanda. Ricerca operativa fortemente centrata sui contenuti, sulle architetture "senza edifici" di cui parlava Nathan Silver, abbondantemente ripreso e citato dallo stesso Zevi ne "Il linguaggio moderno dell'architettura".
Soprattutto centrate, mi pare, sulla volont e capacit di cercare nuove valenze del vivere associato: non astratte e omologanti ma capaci di registrare ed esaltare gli apporti della singola persona; e per contro non disgreganti o antisociali come certe sterminate collezioni di "villlette con giardino" suburbane,
Mi pare che su temi del genere non si registri alcun sostanziale avanzamento e impegno anche delle amministrazioni da almeno un paio di decenni. Segnale, credo, non solo sintomatico ma preoccupante di una montante cattiva socializzazione che fa pericolosamente il paio con un crescente scetticismo nei confronti della citt come organismo. E organismo da pianificare, se vero che ad ogni satlo di scala si manifestano inevitabilmente problemi ignoti alle scale inferiori.
Giannino Cusano
Commento
978
di Giannino Cusano
del 08/10/2005
relativo all'articolo
Sicilia delenda est
di
Leandro Janni
Molti anni fa, giovane studente di Architettura e Belle Speranze, la pianificazione urbana e territoriale mi appassionava molto e mi dava l'idea di potermio rendere davvero utile al mio Paese. Un paio d'anni prima della mia immatricolazione era stata varata la 765 o Legg Ponte: ponte versb una riforma urbanistica che non solo non venne mai ma che, nei fatti, fu tenuta sempre pi lontana dai calendari politici della vita civile italiana: il ponte rimase a sbalzo nel vuoto, nel nulla.
Professori di altissimo valore come Gabriele Scimemi, Luigi Coppa, Federico Malusardi alimentavano, e giustamente, entusiasmi e rinnovate speranze che, noto anche ai bambini, sono sempre le ultime a morire. Gli scritti e gli interventi memorabili, brillantissimi di Luigi Piccinato, il fulgido quadro istituzionale e legislativo soprattutto -ma non solo- britannico, esempi di buoni piani redatti anche in Italia, nonostante condizioni al contorno devastanti: la strada era in salita, certo, ma quasi nessuno prevedeva che si sarebbe tramutata in una parete rocciosa del sesto grado.
Il quadro oggi supera ogni pi fosca previsione: la cultura del piano non solo, di fatto, costretta ad abdicare, ma a suicidarsi. Il caso Sicilia ne una conferma: e come al solito chi redige i piani dovr districarsi ed aggirare, quando pu, ostacoli sempre pi impervi.
Lo Stato centrale sceglie posizioni vieppi pilatesche, mentre con l'alibi federale le Regioni spesso sguazzano nella pi totale anarchia. Mi disinteressai piuttosto presto della materia, trovando pi agibile e interessante l'architettura, quindi seguo quanto basta le vicende urbanistiche, ma sembra proprio che citt e territori si trovino, come prima della 1150, avvolte in un marasma, in un fasciame inestricabile di leggi e centri decisionali (o indecisionali) in perenne e crescente conflitto fra loro. Persino la terminologia giuridico-urbanistica permane spesso nel vago, tanto da necessitare continue precisazioni e puntualizzazioni, sovente per vie legali.
Un quadro frammentato e neocorporativo che non riesce a ricucire grandi linee strategiche nazionali (figuriamoci, poi, le loro articolazioni regionali e subregionali) nemmeno di fronte alle nuove istanze ed esigenze che la crisi ecologica ed energetica imporrebbe di coniugare ad istanze di sviluppo e progresso.
Non so come andr avanti questo Paese; certo, il minimo attendersi tempi ... da Lupi !
G.C.
Commento
977
di Giannino Cusano
del 08/10/2005
relativo all'articolo
Giancarlo De Carlo morto
di
la Redazione
Mark Twain diceva che gli esseri umani sono attaccati al passato perch sono di memoria labile. Se penso alla (pseudo)storicismo, all'adorazione dei centri storici (che a volte, troppe, sanno di Controriforma e di Sant'Uffizio) non posso che dargli ragione.
Ma che dire, oltre i gi menzionati Luigi Pellegrin e Leonardo Ricci, di Maurizio Sacripanti, Marcello D'Olivo, Leonardo Savioli, Adalberto Libera, Vittoriano Vigan, Carlo Scarpa, Mario Fiorentino, Mario Ridolfi, Giovanni Michelucci, Claudio Dall'Olio, Luigi Piccinato, tanto per fare alcuni nomi possibili, senza passare per la triade Pagano-Persico-Terragni ? Lo so: accomuno molti nomi in un elenco che sarebbe interminabile: che iIn ciascuno c' almento un insegnamento cui attingere, per grandi o modeste che siano le opere concrete.
Ora alla lunga lista si aggiunge Giancarlo De Carlo: il suo lavoro mi pare contrassegnato da un impegno antidottrinario,umano, pragmatico, attento come pochi ai contenuti umani e sociali delle opere, quasi che ogni volta ricominciasse daccapo (ma a ben guardare non cos: che i principi che ne guidavano il lavoro erano quanto mai antidottrinari ed antidimostrativi).
Ce n' di che alimentare intere generazioni: e ancora si ciancia di identit dell'architettura italiana. C' ben di pi: c' un'eredit 'letteraria' (poesia e prosa poxo importa) vasta e articolata, convergente in una incessante ricerca di costume e civilt del vivere assieme , con cui alimentare generazioni di architetti: che pu e va ripresa e rilanciata verso orizzonti pi pregnanti. E De Carlo ne inscindibilmente parte. Ma le eredit non si 'hanno': o si conquistano con tenacia, fatica, impegno o decadono anch'esse e per prime a lugubri memorie.
Penso che molti umani si attaccano al passato quando sono stanchi di renderlo perennemente vivo e presente. Hanno la memoria corta perch pi comodo consumare e scialacquare allegramente che dare al passato un futuro, che riprendere il filo attuale di un impegno etico, invece di facili scorciatoie formalistiche. Comprendere i contenuti piuttosto che perdersi in meschine diatribe stilistiche: e la riprova che a giudicarlo con questo secondo metro, De Carlo proprio non regge. N fa moda o tendenza.
La nuova accademia da debellare , pi che mai oggi, quella che stilizza senza sforzarsi di comprendere. Dobbiamo ben pi di un grazie, di un omaggio o un tributo a Giancarlo De Carlo, perch da questa accademia fu sistematicamente immune: bisogna inalare almeno parte dell' l'impegno costante e quotidiano che ne qualific sistematicamente il lavoro. Impegno organico, sui contenut:i prima di tutto.
Non credo che passer molta acqua ancora sotto i ponti, perch questo accada: siamo solo, in Italia, in una difficile e confusa fase di transizione. L'effimero, per sua natura, prima o poi svanir.
G.C.
Commento
974
di Giannino Cusano
del 07/10/2005
relativo all'articolo
Il professore protesta
di
Ugo Rosa
PS per Ugo Rosa:
a margine, ma non per importanza: Lei stesso dice che fra cosa fare e cosa NON fare, Le riesce ben pi semplice la seconda opzione. Ed una cosa la esplicita, infatti: questi signori (i 35 firmatari dell'appello per l'architettura_italiana_torrone_nella_,calza_di_Babbo_Natale) bene non trovareseli nella propria trincea. Sicuramente pu essere una delle cose da NON fare e si potrebbe, a pensarci, condividere, cos come l'atteggiamento in generale.
Mi permette, allora, di riformulare la domanda? Oltre a quanto ha gi indicato, cosa ritiene sia da NON fare nei prossimi 2-3 anni per tentare, almeno, di evitare che i 25-30 a venire siano come i precedenti, se non peggiori?
Confido, almeno questa volta, nel Suo humour come scusante per la mia insistenza.
G.C.
Commento
973
di Giannino Cusano
del 07/10/2005
relativo all'articolo
Il professore protesta
di
Ugo Rosa
Be', caro Rosa, il mio omonimo si chiamava, in realt, Krebs, detto il Cusano perch proveniente da Kues, o Cusa (Germania).
Il cognome, per, ha origini pi lontane nel tempo e a me (lucano) pi vicine spazialmente, visto che Cusano Mutri il nome attuale di una cittadella medievale in provincia di Benevento (alcuni vi ravvisano traccia dell'anteriore Cossa dei Sanniti,rasa al suolo dai romani perch l in precedenza sconfitti e passati per le forche caudine). Da Cusano Mutri trassero il nome Cusano sul Seveso (o Milanino) e la stessa Kues.
Ora, chiamarsi come un luogo non mi pare cosa degna di chiss quale investitura: tanto pi che la radice (ebraico-caldea) di Cossa (poi longobardizzata in Cusa durante il regno di Autaris) sta per 'coppa', 'tazza', 'calice': conviviale, s, ma a mio avviso scarsamente speculativa.
N posso prendere troppo sul serio il pensatore umanista: il nome -che condivido col ben pi noto Stoppani, alias Gianburrasca- decisamente me lo impedisce.
Nomen omen? Forse: come vede, di "guai" in comune ne abbiamo pi di quanti sospettassimo 2 giorni fa :-)
Cordialit,
G.C.
Commento
972
di Giannino Cusano
del 05/10/2005
relativo all'articolo
Il professore protesta
di
Ugo Rosa
Non delude nemmeno questa volta la verve (tutta siciliana, mi pare) di Ugo Rosa. Ed assolutamente ammirevole che ci sia chi ha la forza morale di scherzare, e di farlo sul serio, in situazioni drammatiche come questa.
Mi colpisce, invece, questa volta, l'amarezza: comprensibile e giustificatissima. Il tuo 'dopo 25 anni' , per me, un dopo 30, dato che a fine Ottobre ne compio 56. (sono nato lo stesso giorno di T. Roosevelt, Roberto Benigni e Rino Gaetano: per la cronaca e per i cultori della materia, sotto lo stesso segno zodiacale di -ahim- Paolo Portoghesi e, per fortuna, di Luigi Piccinato: superfluo aggiungere che sono spudoratamente dalla parte del secondo ? ).
Questo a me sembra dividerci: se un edificio in Italia lo progetta la Hadid piuttosto che Gregotti, a me importa molto. Ma questione accessoria.
Vorrei solo, sommessamente, porre una donanda a Ugo: che facciamo, insieme, nei prossimi 2 o 3 anni per tentare, almeno, di scongiurare altri 25-30 anni come i precedenti, se non peggio?
Un caro saluto,
G.C.
5/10/2005 - Ugo Rosa risponde a Giannino Cusano
Caro Cusano
la sua domanda interessante e, probabilmente, anche sensata ma, per attenermi allo zodiaco, io sono nato in marzo, sotto il segno dacqua per antonomasia. Muto e senza mani, scivolo sulle cose e, ad afferrarle, non ci riesco. Cos mi esercito, come un tempo i teologi apofatici, a guizzare intorno al contorno di qualcosa che, alla fine potrebbe perfino rivelarsi un assenza. Non so proprio dirle, dunque, cosa fare: al massimo riesco (di tanto in tanto) ad intuire cosa non fare. Per giunta, avr notato, mi chiamo Ugo (proprio come Fantozzi) e Il mio onomastico cade il primo daprile: uno scherzo del calendario. Questo il mio Ming, i cinesi lo sapevano: il nome cifra e destino. Lei per, adesso che ci penso, si chiama Cusanolo vede come il cerchio si chiude? Guardi un po cosa scriveva il suo omonimo Nicola pi di mezzo millennio fa:
Strano, io vedo qui un uomo che si attacca a qualcosa che non conosce
Ma pi ci sarebbe da meravigliarsi se un uomo si attaccasse ad una cosa che egli credesse di conoscere
Commento
970
di Giannino Cusano
del 05/10/2005
relativo all'articolo
Sogno e precisione - Villa Colli
di
Sandro Lazier e Renata Chiono
Leggo solo ora, attraverso il commento di Mariopaolo Fadda, di Villa Colli.
E' una vicenda ignobile, inqualificabile, vergognosa alla quale occore reagire. Non conosco l'intera vicenda se non per sommi capi, come era logico attendersi da una rivista.
Non faccio commenti n elenco, per ora, motivazioni a favore della villa: a caldo, credo urgente e necessario agire su due leve:
1. dare il massimo spazio per approfondire e divulgare ulteriormente questa vicenda e credo che Antithesi vorr non solo rendersi disponibile ma anche spingere perch altri spazi di informazione si rendano disponibili;
2. occorre dare il massimo sostegno alle voci levatesi a favore di Villa Colli, a partire da quella del Capo dello Stato. Per questo credo che vada SUBITO istituito un Comitato per la difesa e la salvaguardia di villa Colli, che coinvolga figure di prestigio e comuni cittadini, e che sia capace di interloquire con le autorit locali. Io credo che alla fine almeno il buon senso (che cosa diversa dal senso comune) possa prevalere.
Dichiaro sin d'ora tutta la mia disponibilit per qualsiasi iniziativa atta pernseguire lo scopo auspicato: lettere al sindaco, all'Unione Industriali, al Ministro Urbani, al Capo dello Stato, al Sindaco o qualsiasi altra cosa sia auspicabile e sperabilmente efficace.
Ci faccia sapere anche la sig.ra Chiono, che ha il polso della situazione, cosa davvero pu essere utile in questo momento: il sostegno morale non basta e non intendo esprimerne. Forse tardi, ma serve sostegno concreto e operativo.
E non solo una questione di coscienza o di sensibilit: se non siamo disposti a scommetterci su nemmeno un capello, se cediamo alla rassegnazione e al pessimismo e gettiamo la spugna prima di aver tentato alcunch, non lamentiamoci poi se, in campo architettonico (solo?) , le cose in Italia vanno male: ce lo siamo (e ce lo saremo sempre di pi) cercato e ampiamente meritato!
Possibile che non abbiamo pi nemmeno la forza per scommettere su noi stessi? E se cos, non ci vergognamo per come ci hanno ridotti?
G.C.
Commento
949
di Giannino Cusano
del 06/09/2005
relativo all'articolo
Inter-ferenze
di
Giovanni Bartolozzi
Auguri ad 'Interferenze' + noticina x Saggio.
Formulo i migliori auguri a questa interessante iniziativa: soprattutto perch propone un taglio critico volto a smuovere la acque stagnanti italiane e perch si propone come iniziativa a termine, cosa mai abbastanza degna di lode. Chiedo: dove si pu trovare? Solo in ambito fiorentino? So che la distribuzione gi un grave problema, per la carta stampata italiana, figurarsi per un organo che vuoll essere controcorrente in una realt nella quale ormai non si osa quasi pi neppure rincorrere l'incarico del giorno dopo.
''W la ricerca' lho visto. Dire che il quadro che ne emerge sconcertante essere generosi con la melma italica.: abbiamo talenti .che sprechiamo con una disinvoltura da far rabbrividire. Ne sono convinto: anche in campo architettonico. Galvagni solo un esempio: e personalmente l'ho scoperto grazie alle pagine di Antithesi. Sarei proprio curioso di sapere quanti ce ne sono in giro, se un minimo il nostro Paese investisse (e non in chiave economica) un pezzetto di futuro su di loro.
Giustissimo rilanciare, come ha fatto Saggio, e porsi il problema di essere operativi e di tentare di scardinare l'italico torpore. Penso che un modo potrebbe essere repicare ovunque possibile un'esperienza che (sbaglier) mi pare centrata , per ragioni logistiche pi che per scelta, su una realt 'locale'. Come? Ho varie ipotesi in mente, ma per il momento mi pare importante raccogliere l'iniziativa e cercare di definire un possibile e pi ampio obbiettivo.
Peraltro, e fin dai tempi -vent'anni fa- della mostra-convegno 'La citt vuota' (di idee, era sottinteso) in sede In/Arch, nella quale esposi e che contribuii ad organizzare con 2 anni di intenso lavoro preparatorio, ho sempre condiviso l'idea di tradurre quella iniziativa in un Movimento -privo di denominatori comuni che non fossero il ripudio dell 'Accademia' e dell'ovvio, capace di spingere su idee forti e innovative. Di qui -in questo fui pressocch solo, a parte l'entusiasmo di Zevi, ma era solo una questione di tempi- era mia intenzione costituire un Istituto di Ricerca architettonica.
Quali erano i suoi confini ed ambiti operativi? Si trattava di riunire gli architetti di avanguardia, da un lato, quelli che tuttora spesso lavorano e sognano negli scantinati, e dall'altro di andare alla ricerca di aree o edifici marginali dal punto di vista del mercato, formulando proposte i)o anche consulenze progettuiali) nedite di riassetto e mettendo in contatto proprietari e Comuni, con indubbio vantaggio per tutti. L'idea era di mettere, eventualmente, il tutto sotto legida prestigiosa dell'In/Arch.
Per ragioni che non sto ad esporre, la mostra non si tradusse mai neppure in Movimento: figurarsi l'Istituto.
Neppure il Movimento, si fece: figurarsi l'Istituto.
Credo che al fondo di questa debcle, di cui sono tuttora fierissimo, ci fosse gi allora una sorta di scoramento, di scetticismo, di autocensura in alcuni casi, fra tantii di noi: non tutti, ma bast a ottenere un nulla di fatto. Ritengo che tuttora questo sia un problema centrale: non riuscire a dire con determinazione a noi stessi che, tutto sommato, ci giova credere di pi nelle nostre possibilit. Per quanto neri siano il presente e la 'realt': ammesso che ci sia una realt pensabile fuori dai canali dell'immaginario. La nascita di Inter-ferenze mi pare che nell'approccio dimostri, ancora una volta, che la sola possibilit concreta che abbiamo di non subire la realt ma di cercare di immaginarla , di pro-gettarla oltre i suoi, ahim, sempre pi angusti confini.
G.C.
Commento
946
di Giannino Cusano
del 01/09/2005
relativo all'articolo
Bravo Eisenman. Anzi, no
di
Vilma Torselli
Olocausto significa offerta sacrificale di s: autosacrificio. Non si parla di 'olocausto' ma di genocidio dei curdi, dei tibetani, dei croati, dei bosniaci , dei montagnard: del pari, parlerei di genocidio (shoah) o di sterminio, non, mai, di olocausto del popolo ebraico.
Non solo una precisazione filologica: che le vicende di tutti i popoli che hanno subto stermini e genocidi, nella storia, sono quanto mai simboleggiate dalle plurimillenarie vicende del popolo della memoria: quello ebraico. Che non si arroga certo questa prerogativa.
Se memoria non sta solo per 'non dimenticare', ma soprattutto come monito contro analoghe tentazioni future e contro chicchessia, il 'popolo della memoria' prorpio per questo quasi, se non l'unico, che a tutt'oggi riuscito a non (far) perdere traccia di s, a non morire del tutto. In questo senso, credo, non comprendere a fondo e
Identit etnica? Religiosa? Come efficacemente dimostra Sartre nel suo breve e magistrale saggio iintitolato 'L'antisemitismo' , n l'una n l'altra: l'identit ebraica , per lui, storicamente anzitutto il prodotto primo dell'antisemitismo.
Vengo ad Eisenmann: condivido il giudizio di approvazione solo parziale del suo progetto, ma comprendo un po' meno le ragioni: vedere da un punto di vista originale tragedie di sempre non , a mio giudizio, sempre fondamentale. Forse, anzi, sarebbe pi incisivo ed efficace rivederle 'con gli occhi di sempre', quasi fuori del tempo: forse perch siamo troppo propensi a pensare che il tempo e il nuovo della storia abbiano in s gli anticorpi di antiche tragedia. E cos non . in questo, senso, credo, la concettualit (che in genere non amo) di Eisenmann, collimante quasi con la metafisica, addita una condizione di straniamento, un non identificarsi con le cose e col presente che, fra struggente ed (auto) ironico, appare sistematicamente nella temperie ebraica: come se il tempo della storia vera dovesse ancora cominciare, come se quella che conosciamo altro non fosse che un periodo di prove.
Siamo di fronte a parallelepipedi astratti, quasi uguali, cui negata quasi ogni differenziazione e identit, se non, appunto, come parallelepipedi. La dimensione in cui ogni tensione etica sospesa fra astrazione dello spazio (Dio) e trascorrere del tempo, in cui l'assurdo si realizza e l'esistenza, tragicamente o meno, s'inceppa.
Forse personalmente avrei affrontato il tema con altro senso del dramma: ma questione di differenti sensibilit. Il punto che nessuno di noi sa veramente dire chi sia: pu solo cercare di definire la propria identit in divenire, vivendo, agendo, Quanto a vivere questa disidentit sulla propria pelle, per, e come condizione proveniente dall'esterno, tutt'altra questione. Il museo ebraico di Libeskind, a mio avviso, centra molto meglio la questione: uno spazio architettonico negato per simboleggiare coloro ai quali lo spazio stato negato. Eppure pur sempre spazio..
Se lo spazio Dio, Dio stesso nella Shoah negato, interrogato, rimesso in discussione: forse aveva ragione chi ha sostenuto che gli unici veri religiosi, oggi, sono i senza Dio. Non so; certo, questa dimensione di negazione, di sottrazione che proprio e solo per questo, togliendo, 'pone', nel Memoriale di Eisenmann mi riesce difficile da scorgere.
Commento
838
di Giannino Cusano
del 19/11/2004
relativo all'articolo
Chiudere l'appello a favore del museo ARA PACIS di
di
Giannino Cusano
Caro Fausto,
il mio amico di vecchia data, Cesare De Sessa, con l'espressione 'cadaveri eccellenti' si riferiva ai progetti non realizzati o monchi.
Che Meier abbia disconosciuto il nascituro, a mio parere, non deve significare che si pu tormentarne e mutilarne a piacere il feto: si abbia, invece, il coraggio di farlo come andava fatto e di richiamare Meier al suo (ingrato) compito.
Possibile che, in Italia, per far male, energie e soldi si trovino sempre?
Ciao
Commento
832
di Giannino Cusano
del 16/11/2004
relativo all'articolo
Chiudere l'appello a favore del museo ARA PACIS di
di
Giannino Cusano
Per Mara Dolce:
ho scritto:
"il coro della Parrocchietta ha ottenuto l'ennesima vergogna italiana: la deturpazione del progetto Meier, monco del suo pi forte raccordo allintorno"
Mi pare che, nella sintetica economia dell'articolo, ce ne sia abbastanza, per chi ha occhi per vedere: il muro dell'ala d'accesso era una quinta che filtrava, lasciandoli intravvedere, gli edifici retrostanti, ma al contempo distendeva il Museo LUNGO il Tevere, impedendogli di ridursi a un oggetto posato l. Cos'altro c' da argomentare?
Infine: se, per una volta, la televendita non confronta le brutture del prima con le meraviglie del dopo_la_cura, ma caso mai documenta il contrario. E dunque le mie probabilit di tele-vendere sono davvero esigue, non crede?
G.C.
Commento
814
di Giannino Cusano
del 22/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Gent. mo Fausto,
non che io paventassi una ripetitivit indotta dal computer: che se si vuol essere ripetitivi, con computer, Cad e copia/incolla si fa prestissimo: credo che su questo non si possa non dare ragione a Galvagni.
In generale, temo, la questione, se posta nei termini in cui generalmente la si pone (chi progetta? l'architetto o il computer?), non fa che riportarci alla polemica rivolta di Morris e delle Arts & Crafts contro le macchine e/o alla loro prima incorporazione nel processo ideativo avvenuta ad opera delll'Art Nouveau.
Credo che tu abbia ben interpretato il mio pensiero: io ritengo che, al di l o al di qua di questioni di qualit del progetto e dell'autore, il computer possa contribuire enormemente a incentivare nuove esplorazioni e nuovi modi di pensare il processo ideativo: cosa, quest'ultima, non trascurabile. E non solo perch il CAD compendia in s i mezzi tradizionali del tecnigrafo e quelli delle pi imprevedibili modellazioni (poi, certo, dipende dal software, dalle persone ecc.).
Nel mio intervento a caldo mi premeva sottolineare che computer e cad sono, s, strumenti ( la faccia della medaglia su cui do ragione a Galvagni) ma che anche vero che questi non sono indifferenti e neutri rispetto al nostro modo di pensaere e di procedere: e questa l'altra faccia, secondo me.
Nella mia personale esperienza -l'esempio del progetto per una Composizione da me portata avanti circa 30 anni fa- credo di averne la riprova: non volevo una forma che fosse in qualche modo dettata dall'elasticit, duttilit, flessibilit e lavorabilit del materiale che avrei utilizzato per studiarne il modello, n che fosse condizionata dal gioco delle tensioni superficiali nella realt (guscio cementizio ecc.): volevo indagare quella forma (suscettibile di diventare significante, e che doveva ancora conquistarsi il titolo di 'segno') anzitutto sulla base della sua fruizione reale -o preventivata come tale- . Non c'erano i cad, ma avevo molta scelta nei materiali del modello.
Scartati cartoncini, perspex, sfoglie di compensato, balsa, gesso ecc. mi rimase la plastilina., almeno in fase di abbozzo: quel materiale malleabile e, per, poco sensibile, nella sua forma complessiva, a deformazioni locali; ha una certa inerzia.
Come risolsi il problema? Disegnando delle sezioni piane in alcuni punti chiave (intersezioni col polo della biblioteca, con quello delle conferenze, col consultorio ecc.) e poi cercando di connetterli fra loro immaginando una forma che procedeva per estrusioni e torsioni.
Lo risolsi? Ai fini di un banale esame si. Ma se avessi dovuto realizzarla?C'era una marea di problemi in sospeso la cui presa di coscienza e controllabilit preventiva dipendeva proprio e anche dagli strumenti di indagine : esisteva davvero QUELLA superficie che i disegni lasciavano solo presagire? E che fosse puramente geometrica e non legata a tensioni e a questioni statiche? Che natura aveva? Quali alternative si potevano indagare? Come controllarla ? Come valutare i riflessi che una modifica locale avrebbe avuto sulla sua configurazione d'assieme? E, viceversa, come modificare eventualmente la forma complessiva controllando esattamente quello che succedeva nei punti chiave? Per me fu davvero ansiogena, quell'esperienza.
L'operazione che ho citato (connessione al continuo di sezioni o polilinee aperte + torsione complessiva della forma) in modellazione CAD si fa molto semplicemente; ci sono pi modi per ottenere varie soluzioni e si pu sempre stirarla, deformarla, modificarla ecc. attraverso dei punti di controllo che dipendono dal processo di modellazione scelto o eventualmente dall'averla convertita, x es., in una mesh e poi 'bloccandone' alcuni punti in modo da dosare l'elasticit delle deformazioni indotte nei punti circcostanti. E prima o poi riprender quello studio (che ho sempre in mente) ma stavolta col mio bel modellatore solido.
Il vantaggio, secondo me, non solo di tempo o solo di controllo globale / locale della forma e delle operazioni e modifiche che vi apportiamo. E' nel fatto che lavoriamo su una superficie deformabile e modellabile la cui geometria indipendente dai materiali di modello ed edificio reale, ma che pu assumere comportamenti simili -volendo- a quelli di alcuni matriali reali.
Ed nel fatto non trascurabile che diverse possibilit 'operazionali' offrono alla nostra mente diverse strade che possiamo intraprendere e che altrimenti non vedremmo, a mio parere.
Per tutti questi motivi credo, insomma (per tornare a Morris e alle Arts & Crafts) che il famoso articolo di Wright del 1909 (o '10) dal titolo 'The Art & Craft OF THE MACHINE' vada, oggi, integrato: ciascunop a suo modo, certo. ma integrato come? In modo da includere, nel concetto di 'machine' non solo le macchine per produrre edifici e la loro logica operativa , ma anche quelle necessarie a pensarli: computer e cad in pr
Commento
812
di Giannino Cusano
del 22/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Per Fausto Capitano: premetto che non sono prof. em con tutto il rispetto per la categoria, non ci tengo a diventarlo.
Non mi pare che Galvagni dica esattamente che squadre, righe e compassi producono forme classiciste: mi pare sostenga, invece, che quegli strumenti, corredati da modelli e studi al vero di particolari, o addirittura dai modelli funicolari, hanno permesso Wright e Gaud. Che certo non rifiutarono mai il tavolo da disegno.
L'altro aspetto, e che mi pare interessantissimo, del discorso di Galvagni che le stesse matrici formali producono percezioni profondamente diverse, che mutano con le et della storia. Ma quelle matrici formali appartengono a un luogo e a una comunit di viventi, per cui la cosiddetta 'invenzione formale' impedisce l'omologazione se coglie questo aspetto e si lega a un luogo: nasce dal e nel luogo, Senza timori di ricadere nel gi visto, per le ragioni sopra esposte.
Dunque ricercare forme nuove NEL mezzo tecnico (CAAD) un errore.Controprova (sempre mimando, per cos dire, il discorso di Galvagni): non c' strumento che favorisca la ripetitivit pi del CAAD.
L'ho detto molto male, ma mi pare che sia questo il bandolo del suo ragionamento. Cosa che solo lui potr chiarirci.
Ho risposto a caldo, quasi di getto, sul filo pi di intuizioni e ricordi -provenienti, certo, dalla mia esperienza personale- e dunque in modo che mi riservavo di chiarire. Anche perch, e lo ripeto, ritengo che gli argomenti di Galvagni meritino attenzione e riflessione: e su molte delle cose da lui scritte ho bisogno di riflettere: segno che sono cose intelligenti, almeno x me, indipendentemente dalle conclusioni cui potr arrivare.
Ma mettiamo da parte il mio discorso: non importante, x me, se ne caveremo ragni dal buco o meno; personalmente potrei, invece, essere interessato a cavarne cavatelli, tanto pi che provengo dalla Basilicata (o Lucania che dir si voglia).
Ma gi se invece di ragni tutto questo discorso mi avr aiutato a cavar cavatelli, tanto di guadagnato per me. E se qualcuno, a sua volta , trover utile anche un cavatello, ben venga.
Fuor di metafora, ritengo pi importante e produttivo cavare qualcosa, e magari ciascuno per s, che non tirarne fuori necessariamente qualche risposta o conclusione comune . E perch mai?
La divergenza gi discorso compiuto; e una domenda in sospeso comunque una conclusione.
Commento
809
di Giannino Cusano
del 20/10/2004
relativo all'articolo
L'equivoco del computer
di
Mario Galvagni
Trovo di estremo interesse e da meditare a fondo le acute riflessioni di Galvagni sulluso dei computer in architettura, parte delle quali mi sento di condividere. Ho, per, anche alcune perplessit di fondo che riguardano:
a. i modi e gli strumenti di indagine della realt che abbiamo a disposizione;
b. la non totale neutralit degli strumenti che utilizziamo in relazione ai fini che ci proponiamo o che abbiamo la possibilit di perseguire.
Proceder a grandi linee e, per ora, omettendo di allegare immagini, ma anche sperando che questo dialogo non si esaurisca in rapidi commenti e che apra un vero e appassionato dibattito; far anzitutto delle considerazioni molto generali, senza entrare nel merito dei Cad, ma ripromettendomi di poterci tornare. A mio parere:
a. esistono forme che non sono neppure pensabili senza lausilio di computer: un esempio era sempre citato e documentato da un modellino da Sergio Musmeci nel suo indimenticabile corso di Ponti e grandi Strutture. Si trattava di un solido condizionato da due vincoli di base; se ben ricordo: 1) avere 7 facce piane; 2) ognuna di queste facce doveva intersecare tutte le altre 6. Imposte queste condizioni, la forma finale veniva ricercata per iterazione da un computer. Il procedimento di ricerca era in s talmente ponderoso e complesso da precludere qualsiasi preventivo atto immaginativo: non si poteva, cio, nemmeno lontanamente anticipare in immagine uno solo dei possibili risultati. Ne scaturiva un solido ad alta connettivit (che, in sostanza, si avvitava su s stesso alla maniera di una nastro di Moebnius, autocompenetrandosi). Il solido riportato su un vecchio numero monografico di Parametro dedicato a Musmeci e ai suoi antipoliedri. Numero che, ovviamente, ora che mi serve non trovo: devessere una costante di sottofondo, questa, che toglie casualit al caos.
Simili .condizioni generative possiamo immaginarne, imporne e verificarne a iosa; la loro peculiare caratteristica che non sono generabili da un preventivo atto di immaginazione, da unoperazione di visualizzazione. Ovvio che forme del genere non fanno, di per s, architettura. Ma forse utile focalizzare lattenzione su un punto non trascurabile: dimostrano che oltre luniverso finora conosciuto sono possibili intere famiglie, e forse infiniti di ordine n, di forme di cui ignoriamo lesistenza. Iniziare a indagarle significa potersi avventurare in configurazioni morfologiche governate da leggi finora sconosciute. E questo comporta imprevedibili modificazioni nella nostra stessa percezione e/o indagine costitutiva della realt che ci circonda, esattamente come le geometrie euclidee hanno finora svolto un ruolo fondamentale nella nostra percezione della realt. Sostengo, insomma, che il patrimonio formale di cui in un dato momento disponiamo ha un ruolo non trascurabile, con le sue leggi interne, ed ipoteca in parte le nostre valutazioni delluniverso percepito. Se cio fin da piccoli ci abituassimo a ragionare non in termini di punti, rette, piani, ma di curvature, di intorni ellittici, parabolici, iperbolici, molto probabilmente ci muterebbe radicalmente anche i nostri moduli di rappresentazione e di pensiero della realt.
b, credo che sia fin troppo ovvio, ma nellarticolo di Galvagni non mi pare abbastanza evidenziato, che se qualsiasi forma si pu ottenere con i metodi tradizionali della costruzione di modelli (plastici) non ogni tipo di materiale e di tecnica di modellazione ci consente gli stessi risultati. Non ci ho mai provato, ma penso che sia impossibile modellare una bottiglia di Klein (equivalente 3D di un nastro di Moebius) ricorrendo a una colata di bronzo fuso in uno stampo. Anche qui, ometto la figura. Nei lontani anni 70 immaginai, per un esame di Composizione, un edificio strutturato in nuclei connessi da un percorso-mostra che imponeva di accorpare le opere esposte per valori figurativi invece che per autori: le vetrate cambiavano continuamente giacitura, avvitandosi intorno al visitatore, per cui la luce penetrava ora da sinistra, poi gradiualmente dal pavimento, da destra, dallalto, rimodulando cos con continuit la luce. Ogni volta che il percorso, che si imboccava da una piazza, incrociava i nuclei funzionali, i vetri si disponevano in alto e si stiravano fino a compenetrarsi con i poli di servizi.
Partii direttamente da un modello in cartone dellintorno nel quale inserii un modello in plastilina (oggi andato perduto) dellintervento e portai tutto al Corso di Storia II Zevi per avere spunti, suggerimenti, consigli: la forma complessiva mi pareva ancora poco strutturata, come in cerca di qualcosa di s e delle proprie interne necessit. Si poteva pensare, date le grandi luci dei percorsi, di affidarsi alla logica strutturale delle tensioni superficiali (gusci) ma era una via che in quelloccasione mi interessava poco: mi premeva, si, che si avesse la sensazione di poter correre anche su pareti e
Commento
797
di Giannino Cusano
del 02/10/2004
relativo all'articolo
Sette, mille, diecimila invarianti: alla IX Bienna
di
Paolo G.L. Ferrara
I computer -che amo e uso fin dall'era protostorica degli Apple II - aprono inedite possibilit nel plasmare forme-significani (= assiemi di spazio-materia) e non solo nuove libert-responsabilit per i progettisti ma, quel che pi conta, pi opzioni per gli utenti finali.
Mi lasciano perlesso alcune affermazioni di Eisenman: credo, invece, che stiamo vivendo un momento straordinario non solo per i capolavori che sta producendo ma anche per un potenziale -e non solo- innalzamento del livello 'medio' della produzione architettonica. E' ovvio: pi si fa, pi rischi ci sono anche in termini di formalismi ed eclettismi: ma vale la pena correrli.
Vorrei aggiungere una riflessione a margine: non mera apologetica sostenere che quasi nessuno conosceva Bilbao finch, dopo il Guggenheim e grazie ad esso, non divenuta meta di turismo internazionale. E' solo un esempio fra mille possibili.
L'Italia spende poco per l'architettura perch, appunto, contunua a considerarla un costo. Forse ora di cominciare a considerarla, invece, un investimento economico. E i fatti lo provano: la Guggenheim Foundation ha risanato i propri bilanci grazie all'operazione Bilbao. E il Museo di Gehry si ripagato in un solo anno di gestione di una fetta enorme del proprio costo di costruzione.
Un'operazione culturale fra le pi geniali paga anche in termini di ritorno economico; penso sia merito del genio di Gehry, ma gli strumenti inediti che la tecnologia gli offre hanno un ruolo notevole. Basti pensare che la produzione industriale, grazie ai computer, non pi necessariamente ripetitiva: e come i ferzi di una vela sono tutti differenti fra loro, ma tutti rigorosamente modellati e pilotati -in fase di taglio- dal computer, cos anche per le tessere di una copertura o di un pavimento.
Bilbao paga perch colpisce l'immaginario arricchendolo al modo proprio dell'architettura: posso viverla e percorrerne gli spazi. Perch la cultura, in fin dei conti, sono i cittadini: prima di essere nelle teste, diceva Benedetto Croce, le idee nuove sono nelle strade e nelle piazze. E non potrebbe essere altrimenti...
Cultura ed economia: Bilbao paga e rende perch incarna spazi inediti. E forse proprio questo aspetto meramente economico-finanziario dell'urbatettura dell'et informatica sarebbe il caso di rimarcarlo puntualmente, cifre alla mano, ai nostri amministratori.
Commento
793
di Giannino Cusano
del 01/10/2004
relativo all'articolo
Vati e gag
di
Ugo Rosa
Ha scritto Isabel Archer:
"Colgo loccasione, a proposito del progetto per lAra Pacis, per sottolineare che la ricostruzione del Porto di Ripetta costituisce la follia delle follie passatiste."
Giustissimo! Viene per spontaneo chiedere: perch, allora, non firmare -e soprattutto far conoscere e sottoscrivere anche ad altri, specie se non ancora lettori di Antithesi- l'appello a Veltroni in favore del progetto Meier?
Commento
791
di Giannino Cusano
del 29/09/2004
relativo all'articolo
Vati e gag
di
Ugo Rosa
In virt della permanenza del peggio avevo sempre pensato all'ineffabile S.V. come a 'il cicisbeo'. Vate-gag, devo dire, mi pare centratissimo: designa un pessimo e persistente costume nostrano, sempre in bilico fra vitellonismo culturale e frivolo presenzialismo salottiero, fra sagra paesana e ipertecnologia mediatica, in perenne attesa delle Verit rivelate dell'Ovvio.
Lo spaccio al pubblico-massa di gratificazioni a buon mercato, elette a rango di anticonformistico rigore, funziona ancora benissimo, in Italia. Purch abbia l'aria di voler cambiare tutto per salvare la sola cosa che, agli occhi di taluni, conta davvero: l'interminabile narco-vacanza del pensiero.
E l'autoparagone dell'ineffabile S.V. con Carmelo Bene la dice lunga: se il genio teatrale di Bene , oramai, silenzio, non pi problema, le spoglie del grande ben s'adattano all'ultimo grido in fatto di sniffate populiste. Del resto, 'memento: pulvis eris...'
Commento
773
di Giannino Cusano
del 11/09/2004
relativo all'articolo
Con De Masi per Niemeyer
di
Paolo G.L. Ferrara
Condivido quasi del tutto l'articolo di De Masi e i conseguenti commenti a favore dell'intervento di Niemeier a Ravello.
Sottolineerei con pi forza un fatto: lo sfondo scandaloso non solo l'abusivismo quanto la scarsissima qualit dell'architettura 'legale' che si produce quotidianamente in Italia. Certo, il TAR ha dato ragione ai ricorrenti, e il rispetto delle leggi l'unit di misura di un Paese civile: ma se le leggi sono pessime -e in Italia per lo pi, specie in materia urbanistica, lo sono- non occorre forse cambiarle ?
La 1150 vecchia e fu attuata, x la prima volta grazie alla 765 del '67, in un contesto disorganico e fortemente neo-corporativo: ben pi di quanto l'eredit del Ventennio non lasciasse sperare ai corporativisti + sfrenati di ogni risma e matrice: basti ricordare che dal Fascismo l'Italia eredit almeno 4 centi decisionali a livello di pianificazione urbana e territoriale e tutti scollegati fra loro: Min. Ll.Pp., Min. per la Pubblica Istruzione x la salvaguardia dei beni culturali e paesaggistici (L.1089, 1.6.1939), mentre il Ministero dell'Industria e quello dei Trasporti potevano a loro volta prendere decisioni fondamentali, quanto scoordinate e disorganiche, sulla grande infrastrutturazione nazionale.
L'Italia post-fascista non esordisce scardinando alla radice quel sistema, ma moltiplicandolo in modo indiscriminato e con una proliferazione spaventosa dei centri di decisione: Consorzi di sviluppo industriale che pianificano intere aree industriali, Enti provinciali del Turismo che pianificano interi insediamenti turistici ecc. Il boom edilizio ed economico succeduto allla ricostuzione post-bellica (che, giova ricordarlo, fu fatta non con gli strumenti urbanistici vigenti e inadeguat ma con una Legge speciale, la Ruini) vertebr il territorio italiano con una stragrande quantit di interventi fuori piano e di scala spesso considerevole.
Nonostante i molti meriti della Legge Ponte, va pur sempre ricordato -a suo demerito- che us una terminologia vaga ed imprecisa: ci rese necessarie precisazioni, definizioni, chiarificazioni che posero le basi per la tolleranza dell'abusivismo: esattamente con la Circolare esplicativa del Min. Ll.Pp. n. 3210 del 28.10.1967, che a mio parere apre le porte a tutti i possibili ed immaginabili condoni successivi quando (.art. 16, primo capoverso) testualmente afferma:
'E' prevista l'applicazione, in via amministrativa - nei casi in cui non si proceda alla restituzione in pristino od alla demolizione delle opere abusive - di una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o delle parti di opere eseguite abusivamente ovvero in base ad una licenza edilizia annullata per i motivi suindicati.
Tale sanzione considerata dalla legge come alternativa rispetto alla demolizione e quindi va applicata quando l'autorit non ritenga di esercitare il potere di demolizione...'
Il gioco fatto: in certe condizioni l'abuso edilizio pu essere un eccellente investimento!
Dissi oltre 20 anni fa, in un pubblico dibattito e a un Italia-Vostrista di spicco (se ben ricordo era tal Fulco Pratesi) che ritenevo Italia Loro e l'ambientalismo italico di maniera responsabili di oltre 500.000 vani abusivi a Roma, gestiti poi dalla mafia, in quanto le suddette associazioni chiedevano a gran voce non l'attuazione del Piano di Piccinato del '62 ma il blocco edilizio integrale per Roma: col risultato che mentre la nuova imprenditoria, ormai fattta in prevalenza da professionisti, si vedeva osteggiata e demoralizzata proprio quando chiedeva l'attuazione di quel Piano, l'abusivismo si fregava le mani!
Ah, beata ignoranza ed irresponsabile incoscienza di questo Paese! Non mi sorprende la posizione di Italia Nostra, ma forse matura l'ora per domandarsi come si sia venuta formando, storicamente, questa strana, strettissima e perversa complicit di fatto fra cattiva legalit (ovvero rispetto rigorosissimo di pessime leggi, tanto pi rigoroso quanto pi cattivi ne sono gli effetti) e atteggiamenti culturalmente retrivi ed oscurantisti.
Confesso di non saper rispondere tanto facilmente: ma ho il sospetto che la risposta a questo interrogativo potrebbe davvero aprire una breccia forte, sul piano delle leggi e della cultura, per un'auspicabile e improcrastinabile rivoluzione urbatettonica nel nostro Paese.
G.C.
[Torna indietro]
Commento 8563 di giannino cusano
del 04/06/2010
relativo all'articolo Arte senza senso
di Sandro Lazier
E gi: Bateson. Dai suoi seminari newyorkesi degli anni '50 del '900, ai quali parteciparono la moglie Margaret Mead e scienziati come Norbert Wiener, emerse una visione completamente nuova della psiche umana, destinata a rivoluzionare e rovesciare quella psicanalitica. La psiche partecipe delle vicende sociali e, che lo voglia o no, vi totalmente coinvolta. Senza il "double bind" di Bateson non avremmo avuto Ronald Laing, Gilles Deleuze e Felix Guattari col loro anti-Edipo, n Jacques Derrida.
"Ti ordino di disobbedirmi" la forma tipica del "double bind". A quel punto il povero "Io" che deve fare, se non dividersi schizofrenicamente? Gi Jung aveva intuito che la schizofrenia si pu affrontare solo da un punto di vista ambientale e non isolando il soggetto dal suo contesto. E se tutta la cultura occidentale fosse affetta da questo dato di fondo del double bind? E' la domanda dell'anti-psichiatria e dei post-strutturalisti francesi.
Laing esemplifica cos: una madre, per il compleanno del figlio, lo invita a cena e gli regala 2 cravatte, una rossa e una verde. Lo invita ad andare di sopra a cambiarsi e a indossare una delle cravatte che gli ha regalato. Il figlio si cambia e torna di sotto per cenare indossando la cravatta rossa. La madre gli dice :- Ecco: lo sapevo, io, che la cravatta verde non ti sarebbe piaciuta!- A quel punto il figlio cosa deve fare? Questo, dice Laing, un tipico esempio di double bind, di comportamento schizogeno: che genera dissociazione.
E' proprio del nostro linguaggio e di tutta la nostra cultura occidentale, di essere cos: linguaggio ipotecato dalla schizofrenia del potere, dall'illusione di sfuggire al paradosso (che essa stessa genera, in effetti) attraverso l'idealistica univocit del "senso", che sistematicamente mette e tiene in ombra i "doppi" illudendosi di controllarli e domarli. Ed proprio del "logocentrismo" (Derrida). I "nodi" di Laing sono poesie scritte con la logica non concettuale degli schizofrenici: con i quali, peraltro, Laing riusciva perfettamente a comunicare. Tutto ci che sfugge alla "classificabilit" del senso e della ragione va eliminato: non esiste.
E se l'inconscio, invece, non fosse nient'altro che un "effetto di superficie" (G.Deleuze)?
G.C.
. .