IN/ARCH compie 50 anni
di Sandro Lazier
- 29/10/2009
26 ottobre lIN/ARCH ha celebrato i cinquantanni di attivit.
Nella relazione del suo presidente Adolfo Guzzini si leggono le ragioni di un
rinnovato impegno per gli anni a venire.
Limpegno dellIN/ARCH per il futuro atto sincero sicuramente
meritevole e, per questo, allIstituto va il mio consenso incondizionato.
Consenso che per non mi dispensa da alcune osservazioni critiche che mi
permetto di suggerire.
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In sintesi, lIN/ARCH dichiara principalmente per il futuro il proposito
di una rinnovata campagna per rifondare una dimensione etica del costruire.
Principio palesemente condivisibile ma, se mi concesso, non privo di
aspetti ambigui.
La parola etica, in fondo, definisce un luogo della coscienza dove tutti vorrebbero
accomodarsi, malgrado enormi differenze culturali che tendono a contraddirne senso
e significato. Ogni comportamento, infatti, essendo suggerito da un preciso indirizzo
culturale, destina allaspirazione etica un ruolo oggettivamente subalterno.
Mi chiedo quindi: ma di quale etica si vuole parlare se non si specifica e ribadisce
una chiara collocazione culturale? Tema questo che rimane problematico e principale,
e che Bruno Zevi, fondatore dellIstituto, nel suo discorso
inaugurale del 26 ottobre 1959 cos affrontava, definendo liniziativa
nel suo aspetto pi generale e importante: Di che si tratta?
Semplicemente della sorte degli intellettuali in una societ condizionata
dai mass-media e quindi dalla cultura di massa; segnatamente, fra gli intellettuali,
della sorte di coloro che professano l'architettura nel quadro della produzione
edilizia []. Si tratta insomma di riesaminare la struttura della nostra
professione nella societ contemporanea, nell'epoca della seconda rivoluzione
industriale e dell'energia atomica. Oggi, bisognerebbe aggiungere,
e nellet della rivoluzione informatica.
La qualit architettonica, diretta conseguenza di quellapproccio
etico del costruire che nelle intenzioni dellIstituto, non pu
appartenere semplicemente al proposito di volerla ostinatamente perseguire. Occorre
che questa sia impianta su un robusto e preciso telaio culturale. Lidea
di qualit che personalmente perseguo, infatti, non quella che
persegue un qualsiasi cultore della tipologia post o premoderna. Questo dato mi
esclude da ogni appartenenza a organizzazioni sociali che non dichiarino apertamente
la loro distinta posizione culturale, siano essi gli ordini professionali o le
varie associazioni di categoria che dovrebbero concorrere al rinnovamento e progresso
dellarchitettura (Moderna? Antica? Postmoderna? Razionalista? Organica?).
Occorre quindi una scelta coraggiosa, che indichi oltre gli aspetti logistici,
funzionali e contingenti della professione soprattutto le linee formali e linguistiche
da praticare pena lesclusione. Solo con questo principio sar possibile
chiedere efficacemente, per esempio, al sistema bancario del credito di favorire
e promuovere principalmente progetti la cui qualit verrebbe certificata
dallistituto in base a regole chiare, condivise e soprattutto linguisticamente
coerenti.
2
Se il fine la qualit dellarchitettura (secondo i criteri
suddetti) non importante che questa venga realizzata da diverse componenti
professionali. Anzi, nella realt italiana la condizione necessaria affinch
tale proposito possa avverarsi ed questa, credo, lintuizione
fondamentale di Bruno Zevi nel suo discorso inaugurale sta in ci
che viene realizzato e non in chi ne deve avere titolo e competenza. Limportante
che vengano prodotte architetture con caratteri linguistici e formali,
oltre che funzionali ovviamente, di rilevante, chiara e indiscussa qualit
secondo i criteri culturali dellassociazione. Non importa se questi siano
prodotti dalla mente di un architetto formalmente tale. Architetto
chi produce unopera darchitettura non chi formalmente detiene
un titolo che tale lo definisce. Ne discende come corollario: linutilit
del valore legale della laurea in architettura e lillegittimit
teoretica dellordine, quale unico referente obbligatorio di unattivit
professionale.
Questo il solo modo di ricucire il rapporto tra economia e cultura
dove, alla sempre pi pressante necessit di trasparenza e certezza
pretesa dalluna, risponde la pi totale incertezza e confusione
dellaltra.
Bruno Zevi, come sempre profetico, cos diceva:
Il verdetto automatico, la diagnosi chiarissima: infranto il
rapporto fra economia e cultura, l'architettura in stato di paralisi.
Circolo vizioso. Nessuno di noi, da solo, ne esce pi: non il professionista
che, malgrado tutto, deve campare; n lo storico d'architettura, costretto
ad apparire non un alleato degli architetti moderni, ma un loro fustigatore;
n il costruttore, che sente ogni sua iniziativa giudicata negativamente,
quasi l'intento imprenditoriale fosse a priori deplorevole.
Non ne esce l'amatore di architettura, obbligato a ripiegare sui romanticismi
nostalgici della vecchia Roma, della vecchia Milano, della vecchia Napoli, tagliato
fuori da una vera collaborazione con l'attivit moderna. Non ne escono
i geometri considerati schiuma della terra, rifiuto, da ingegneri e architetti
che spesso compiono obbrobri assai pi vistosi dei loro. Non ne escono
i banchieri, i controllori del credito, a cui nessuno dice dove, quando, come
i finanziamenti dovrebbero essere
concessi per risultare pi utili. Non ne esce l'amministratore locale,
cui l'urbanista consegna un piano regolatore che nessuno vuole, che gli operatori
economici e i costruttori per primi, ma non ultimi anche gli ingegneri e gli
architetti, coadiuvano a sabotare. Non ne escono i parlamentari e gli uomini
di governo, sollecitati in direzioni diverse e spesso contrastanti da architetti,
ingegneri, costruttori, operatori economici, giornalisti, critici, amministratori
locali. Insomma, la sclerosi dell'architettura come atto di cultura
integrata. Il divario tra cultura ed economia divenuto un baratro,
e allora la cultura si ritira in astrazioni, cessa di essere engage,
cade nel solipsismo e nel pessimismo, mentre l'economia si trasforma in bruta
speculazione e, l dove incrocia la politica, contribuisce alla corruzione
e al sottogoverno.(Discorso
inaugurale del 26 ottobre 1959)
50 ANNI IN/ARCH ROMA 26 OTTOBRE 2009
intervento del presidente Adolfo Guzzini
Cari amici,
la storia dellin/arch storia dellarchitettura italiana
ed storia dellindustria edilizia italiana.
Nato 50 anni fa come luogo di incontro tra progettisti, costruttori, produttori
di componenti, amministratori pubblici, uomini di cultura, il nostro istituto
ha percorso mezzo secolo di storia italiana mantenendo questo suo carattere
identitario. Unidentit unica nel panorama nazionale. Il libro
che finalmente siano riusciti a scrivere documenta oltre 3000 iniziative fatte
dallIN/ARCH, diffuse su tutto il territorio nazionale. 3000 iniziative
che raccontano, di fatto, un pezzo di storia italiana attraverso unangolazione
particolare: quella delle politiche edilizie e delle politiche di trasformazione
del territorio.
Ma lIN/ARCH non solo la sua storia. anche, e sopratutto,
il suo impegno di oggi e di domani. Diceva Bruno Zevi che i convegni o si fanno
per modificare la situazione politica o non si fanno. quindi giusto
che in questa occasione di festa torniamo a ricordare i problemi che abbiamo
di fronte e le proposte che lIstituto elabora per il loro superamento.
La nostra attenzione alla necessit di fare sistema tra forze culturali
e forze imprenditoriali per raggiungere risultati qualitativamente alti
quanto mai attuale. Lo perch ci troviamo al centro di una grave
crisi economica e di grandi processi di globalizzazione che hanno rimesso in
discussione alcune forme di liberismo selvaggio. Lo perch
sempre pi evidente in Italia lenorme costo economico e sociale
derivato da una mancanza di cultura della qualit del territorio.
Il terremoto in Abruzzo, lalluvione a Messina: ogni volta che ci si trova
di fronte a calamit pi o meno naturali, a scenari di crisi,
la pubblica opinione si indigna e protesta, si elargiscono con abbondanza denunce
e buoni propositi, il mondo politico annuncia profondi cambiamenti. Ma in questa
materia la memoria degli italiani quanto mai fragile. Nella gestione
ordinaria delle cose si rinnovano pratiche di governo e di trasformazione del
territorio del tutto ignare dei temi della qualit.
Lo sappiamo tutti: il territorio della penisola italiana un territorio
fragile, un territorio continuamente sottoposto a rischio di terremoti, frane,
alluvioni, eruzioni vulcaniche, incendi ecc.
La fragilit dei nostri contesti sta anche nella straordinaria qualit
di paesaggi e di realt urbane frutto di secoli di sovrapposizioni dellintervento
delluomo.
In questo quadro qualsiasi intervento di trasformazione richiede grande qualit,
a tutte le scale, dalla grande infrastruttura alledificio residenziale,
dai centri commerciali alla riqualificazione di una piccola piazza. Ogni intervento
richiede capacit politica, competenze culturali e tecniche, elevate
capacit industriali e, soprattutto, una diffusa cultura della responsabilit.
Nel nostro Paese troppo spesso si pensato che tutto ci non
fosse necessario, che fosse sacrificabile sullaltare del mito del mattone
fine a se stesso. Per questo lIN/ARCH rilancia da qui, dalla celebrazione
del suo cinquantenario, una rinnovata campagna per rifondare una dimensione
etica del costruire. una questione che riguarda tutti, politici, committenti
pubblici e privati, professionisti, costruttori, immobiliaristi, produttori
d componenti. una questione che riguarda i cittadini.
Gli italiani devono capire che o si costruisce con standard alti di qualit
o si subiscono le conseguenze, sul piano fisico e sociale. E sia ben chiaro
che quando si parla di qualit allinterno dellIN/ARCH si
pensa a tutti i passaggi della filiera che compongono il processo edilizio:
domanda, esigenze, programma, norme, risorse, progetto, realizzazione, controllo,
gestione.
Negli ultimi tempi sembra che la qualit di un edificio e, volendo osare,
la qualit dellarchitettura sia oramai riducibile solo alla sua
efficienza energetica. Non c dubbio che questo sia un fattore
decisivo e imprescindibile. Ma non pu essere la panacea di tutti i mali.
Sono parametri di qualit la sicurezza antisismica, linnovazione
tecnologica, la manutenibilit, la capacit di chi progetta di
leggere e interpretare il contesto in cui opera, leggere e interpretare le esigenze
della gente e, non ultimo, la capacit di operare scelte linguistiche
in grado di esprimere i valori della contemporaneit.
Su queste basi LIN/ARCH vuole spezzare la triste polarizzazione del dibattito
a cui si assiste da troppo tempo nel nostro paese: da un lato il partito del
fare ad ogni costo, anche con qualche sconto sui controlli e sulla qualit.
Dallaltro lato il partito del non fare a priori, dellopposizione
pregiudiziale ad ogni opera di trasformazione degli assetti esistenti del territorio,
anche se tali assetti risultano fatiscenti e privi di qualsiasi valore. Tra
il fare ed il non fare noi poniamo il problema del come fare.
Rilanciamo da qui la nostra azione: vogliamo essere riconosciuti come interlocutori
e animatori culturali della trasformazione, anche in contrapposizione con la
cultura dellimmobilismo e della finta tutela.
Per questo obiettivo mettiamo a disposizione il prestigio della nostra storia.
Una dimensione etica del costruire si rifonda a partire dalle opere pubbliche.
Oggi, al contrario, sono proprio molte opere pubbliche ad essere i primi esempi
di degrado, inefficienza, lunghezze burocratiche, incapacit gestionali.
C qualcosa che non funzione ed ora di metterci seriamente
le mani.
Le leggi, le regole non garantiscono da sole la qualit, ma aiutano a
diffonderla.
Allora giunto il momento di dire con chiarezza basta:
alle gare dappalto aggiudicate al massimo ribasso;
alla marginalizzazione del progetto di architettura considerato un mero
servizio e non unopera di ingegno;
alla selezione dei progettisti fatta sulla base di fatturati, di ribassi
di parcella e di sconti sui tempi di esecuzione dei progetti;
allo spezzettamento delliter progettuale tra mille soggetti diversi;
agli elenchi prezzi che impediscono di adottare materiali e tecnologie
innovative e di qualit;
ad amministrazioni pubbliche che avviano opere senza definire con chiarezza
quali obiettivi vogliono raggiungere, quanto potr costare quellopera;
senza essere in grado di fornire al progettista un vero programma di progetto.
Si scelto di eliminare la Direzione Generale per il Paesaggio, lArchitettura
e lArte contemporanea dal Ministero dei Beni Culturali: allora lIN/ARCH
propone, qui, oggi, di istituire anche in Italia un organismo che esiste in
Francia dal lontano 1977, dotato di autonomia finanziaria, direttamente collegato
al Primo Ministro: la Missione Interministeriale per la Qualit delle
Opere Pubbliche.
Lo scopo di questo ente facilmente sintetizzabile: favorire il miglioramento
della qualit architettonica delle costruzioni pubbliche.
Come? Prima di tutto lavorando su un fattore fondamentale del processo edilizio
che da noi risulta quasi sempre trascurato: la programmazione. I francesi hanno
pienamente compreso che il primo decisivo compito di una committenza pubblica
di capire fino in fondo cosa vuol fare, come lo vuol fare, con quali
strumenti, con quali procedure, in quali tempi e con quali risorse economiche.
La corretta interpretazione di una domanda sociale di trasformazione, la sua
codificazione e traduzione in documenti di programma chiari e completi
condizio sine qua non per la buona riuscita di unopera.
Se manca questo approfondimento difficilmente si otterr un risultato
positivo; se la domanda mal posta la risposta quasi sempre
inadeguata. Cosa far questo organismo? Aiuter tutte le pubbliche
amministrazioni a elaborare la domanda, organizzare le procedure, gestire i
processi pubblici di trasformazione del Territorio. Aiuter anche a stabilire
in modo univoco quali sono le opere pubbliche per cui rendere obbligatorio il
ricorso al concorso di progettazione, come viene fatto in Francia.
Decidiamo una volta per tutte se concordiamo sul fatto che, per determinate
tipologie di opere, il confronto fra alternative di progetto il miglior
strumento a disposizione per perseguire la qualit. Se la risposta
s allora facciamo diventare il concorso una cosa seria. Aboliamo le
gare di progettazione, aboliamo i concorsi di idee, facciamo in modo che il
concorso serva veramente a scegliere il progetto che sar realizzato.
Su questo togliamo ogni margine di discrezionalit alle amministrazioni,
aboliamo frasi del tipo la stazione appaltante si riserva la facolt
di affidare al vincitore la realizzazione dei successivi livelli di progettazione.
La stazione appaltante sia obbligata a portare fino in fondo il progetto vincitore.
Da tutto quello che ho detto si trae una conclusione molto chiara: il Codice
degli Appalti oggi in vigore in Italia non funziona, non aiuta a produrre opere
di qualit, va radicalmente riformato. LIN/ARCH pronto
sin da oggi a fare le sue proposte di modifica, chiare, concrete, circostanziate.
Ma la dimensione etica del costruire chiama in causa anche molti altri fattori
e molti altri soggetti. Occorre che costruttori e immobiliaristi comprendano
che i margini industriali a cui si fatto riferimento in questi anni
sono incompatibili con una produzione diffusa di qualit.
Occorre che il mondo dei progettisti si riorganizzi con standard pi
vicini a quelli degli altri paesi europei superando la forte frammentazione
dei nostri studi professionali. Sarebbe anche bene che molti di loro superassero
lidea che ogni progetto loccasione per produrre unopera
darte che rimarr nei libri di storia e si ponessero al servizio
di quella qualit diffusa che lo strumento per migliorare la
qualit dei nostri spazi di vita.
Occorre porre fine a questa prassi tutta italiana in cui tutti possono progettare
tutto: geometri, periti industriali, periti agrari, ingegneri, professionisti
senior e junior e, qualche volta, anche gli architetti.
Occorre anche dire con coraggio che lItalia non ha bisogno di 140.000
architetti, mentre in Germania ce ne sono 50.000, in Spagna 33.000 e in Francia
27.000 e che il mondo universitario non pu continuare a far finta che
questo problema non esista. Allo stesso modo dobbiamo riconoscere che lItalia
ha troppe imprese edili, troppo piccole e troppo polverizzate.
Occorre infine porre mano, per semplificare e razionalizzare, alla montagna
di norme, procedure, autorizzazioni, veti che governano nel nostro Paese le
trasformazioni del territorio, tanto complesse e farraginose da non impedire
certo lo sviluppo di fenomeni di abusivismo diffuso. Non possiamo pi
accettare che per avere un permesso di costruire in una grande citt
italiana si debba attendere mediamente un anno mentre in Germania ci
avviene in tre settimane!
Mi fermo qui.
LIN/ARCH ha cinquantanni e, pur tra tanti mutamenti e difficolt,
mantiene intatta la sua capacit di essere incubatore di proposte e di
idee per migliorare le condizioni del fare architettura in Italia.
una capacit che mettiamo a disposizione delle forze politiche,
economiche, sociali di questo Paese.
Abbiamo questo obiettivo per i prossimi 50 anni. E, per dirla con le parole
di Bruno Zevi, abbiamo coraggio, spregiudicatezza e visione per realizzarlo.
Viva lIstituto Nazionale di Architettura.
(Sandro Lazier - 29/10/2009)
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Commento 7569 di antonino Saggio del 30/10/2009
Un discorso serio, questo di Sandro Lazier. E di questi tempi... La seriet di questo articolo ad esempio nella centralit della cultura e sin'anche di una scelta "linguistica" dimostra come a volte il web superi per profondit di riflessione la carta stampata. Ne riprova il catalogo prodotto dall'InArch medesimo in questa occasione. Un volume che accanto a contributi di indubbio spessore problematico, come quello di Pica Ciamarra o storico allinea anche vacui chiacchericci, ricordi di comprimari, addirittura pettelegozzi.
Tutti i commenti di antonino Saggio
Commento 7573 di Giannino Cusano del 02/11/2009
Importantissime e sintetiche, le osservazioni di Lazier. Personalmente non so cos' l'impegno etico, se non perch pi se ne parla, pi se ne dichiara la crescente lontananza. Perfettamente d'accordo: via gli ordini in un quadro di nessun valore legale dei titoli di studio. Che peraltro ne sono gi sprovvisti in via di fatto.
Caro Lazier, condivido in toto l'articolo, quanto meno come impianto su cui innestare qualcosa. Si sono spostate le basi stesse della nostra cultura, credo. Con gli choc petroliferi degli anni '70 entriamo in quella che Angus Maddison defin "et delle incertezze negli obiettivi" e dalla quale non siamo per nuulla usciti, anzi: ci siamo sempre pi infossati.
Anche il mondo dell'economia, con cui occorre fare i conti, necessita di profondi cambiamenti, legato com' alla vecchia modellistica matematica della fisica classica. E i risultati si sono visti con la crisi mondiale recente, apoteosi del matematismo finanziario.
Noi esseri umani trasformiamo energia, territorio ed ecosistema quanto altri mai. Mi pare che abbiamo dato la nostra impronta a qualcosa come il 30 o il 40 % delle terre emerse; accresciuto di circa 1/3 la concentrazione di CO2 dall'inizio della rivoluzione industriale; utilizziamo met delle risorse idriche del pianeta; abbiamo in pochi decenni .raddoppiato la quantit di azoto fissato derivante da fertilizzanti: l'elenco sarebbe assai lungo.
Non esiste scelta tecnica neutra, cio che non sia culturale. Lo sappiamo, come sappiamo che non esiste economia al di fuori di scelte e responsabilit culturali precise Dunque ci tocca fare responsabilmente delle scelte e pretendere che si scelga tra alternative. Che si esca dal limbo suicida di processi dati per automatici e acquisiti ai quali si sommerebbe solo come optional il valore aggiunto della cultura architettonica: questo equivale, in realt, solo a una sua re-stilzzazione, cio riduzione a orpello.
Et informatica: giusto, un'aggiunta ineludibile al discorso di Zevi. Le promesse e possibilit della "terza ondata" sono davvero incredibili. In merito, ho sempre fatto un solo appunto alle illuminanti osservazioni di Alvin Toffler ed questo: se non scegliamo questa opportunit offerta dall'era elettronica e non spingiamo perch le sue promessse si traducano in realt sufficientemente generalizzate, temo che l'avvento della societ dei "prosumer" e delle "ad-hoc-crazie" possa avvenire tra secoli. E non ce lo possiamo permettere.
Dobbiamo scegliere, nonostante le incertezze che sembrano paralizzare anche la vita culturale ogni giorno di pi, e spingere in avanti. E in questo, l'architettura moderna, segnatamente organica, ha moltissimo da dire, incitare, spronare. Anche, specialmente nei suoi rapporti con democrazie sempre pi "senza democrazia", con assetti di vasti territori sempre pi decisi da pochi tecnocrati che solo apparentemente demandano ad eserciti di delegati col voto nazionale e soprattutto europeo.
Quello che in pericolo oggi, in questo clima di demoralizzazione, la produzione e ricchezza di idee che servano a centrare i problemi e gli obiettivi di oggi per andare oltre e non rimanerne succubi o laconicamente invischiati nell'immutabile reale..
E' in pericolo l'idea stessa di progetto, cio di progresso, e l'unica fonte realmente inesauribile di risorse: le idee che contano e servono a prefigurare futuro. Il resto solo architettese e piacevole trastullo da salotto o da tavolo da disegno.
Un cordiale saluto,
G.C.
Tutti i commenti di Giannino Cusano
Commento 7607 di Renzo Marrucci del 16/11/2009
Riflessioni sullarticolo di S. Lazier e sulla Biennale
Va benissimo il principio di non ingessare la Biennale con le archistar di cui, peraltro, si incomincia a capire il fenomeno... Sarebbe l'ora per anche di imparare ad utilizzare queste manifestazioni come attendibili nodi di scambio e di intreccio della cultura architettonica e urbanistica, europea ed internazionale, con temi e problemi reali, contingenti, all'ordine del giorno e del tempo che viviamo se possibile. Sarebbe questo un ottimo momento per interrompere il senso astratto della vetrina che questa manifestazione tende ad avere sempre pi platealmente.
La cultura non dovrebbe volare per conto proprio e dissociarsi da quello che il dibattito sulla citt e favorire l'uso strumentale a cui oggi sottoposta da investimenti economici slegati da un interesse seriamente umano. Sarebbe l'ora di slegare politica e cultura partendo da qui e cominciare a integrare le responsabilit sociali e umane del fare cultura con la realt che viviamo tutti i giorni. Pare poco ? Se pare poco significa che siamo indietro o fuori del tempo, che cio privilegiamo corsie differenziate dalla realt, trascinando la politica nel disinteresse della realt della vita che viviamo nelle nostre citt.
Rileviamo il pessimo servizio che la cultura presta alla citt, alla politica
in favore di una progressiva dicotomia tra senso dell uomo e interesse economico che oggi travolge ogni cosa e soprattutto gli uomini di cultura incapaci.
Non dovrebbe la cultura non essere una semplice appendice del potere?
Non dovrebbe invece mediare, arginare e suggerire criticamente il potere e lasciarlo alle sue responsabilitinvece che esserne il servo ubbidiente e accomodante ?
Recuperare il passo con il tempo considerato troppo difficile? Preferiamo allora separare la realt dalla vita e vivere la contraddizione come snobistico atteggiamento poetico da una parte, favorendo ogni calcolo deteriore da compiersi sul filo freddo di una condizione puramente affaristica? Lo stiamo gi facendo con i sindaci in prima linea sia che siano di DX che di SX. Oggi vi un comune disegno
nelle ideologie, rimaste solo come appendice e in realt sopraffatte dallegoismo e dalla nuda e cruda vanit.
Per quanto concerne gli architetti non credo alle dichiarazioni dell' Inarch anche se proclamate con certa apparente sincerit. Dal periodo di Zevi ad oggi nulla di consistente stato fatto in favore dellarchitettura italiana e credo che oggi sia troppo fuori della compromessa condizione culturale che il sistema archistar, privilegiato dai gruppi economici e dai poteri forti, ha coltivato mettendo in soggezione parte importante della scena sociale italiana, sia mediante i sindaci che li chiamano nelle loro citt evitando il confronto delle culture, sia dai ministeri per apparire svecchiati di una certa ruggine che deriva da una profonda incapacit di rinnovarsi. Quando la cultura viene imposta dallalto si uccide ogni possibilit di semina e tutto ci che nasce localmente sul territorio che sempre stata la nostra salvezza. Nessuna possibilit o opportunit al confronto locale, nessun confronto che linfa vitale e che viene invece affranto e distrutto e non tutelato nella consapevolezza civile della ricerca del valore dei nostri giovani e degli architetti, estromessi da una cultura del concorso malata e corrotta, mossa solo da interessi che prevaricano il territorio.
Dal tempo di Zevi a questa ultima dichiarazione Inarch il tempo volato e appare facile fare relazioni sulla carta e affermare buone intenzioni, ma in assenza di un tessuto culturale che sia in grado di sostenere il dettato dei propositi enunciati.
Sandro Lazier dice alcune cose giuste che vanno seriamente considerate, ma i conti con la realt e con le citt chi li deve portare avanti? Chi deve rendersi conto della realt? Non basta una dichiarazione di buone intenzioni ma serve la coscienza di individuare il tessuto politico e culturale in cui queste parole cadono che del tutto impreparato a sostenerle. Formare i giovani in un contesto in cui sono pi che altro Materia difficilmente impiegabile a che serve? Che cosa che non va? La formazione? Se non ci sono intenzioni di applicare i comportamenti che rimangono nella teoria della formazione Le Universit sono i sistemi pi controllati della societ dalla politica quella politica che non vuole aprire la formazione e che inventa per avere un primato verbale, teorico, costruito dalla forma
Cos la Biennale diventata una sorta di salotto fuori della realt, dove sognare possibile per pochi elettima mentre la realt riempie la citt dei cittadini di
edifici irresponsabili, cancella inesorabilmente i luoghi e le identit senza trasformarle, arricchirle e facendo emarginare i suoi cittadini.
Vedremo anche come la gentile esponente del mondo giapponese interpreta la vetrina di questa Biennale e se ci accorgeremo che non potr fare altro che dare il suo punto di vista, bisogner sopportare o digerire una via del tutto lontana dalle problematiche che viviamo, irrisolte nelle nostre citt.
Renzo Marrucci
Tutti i commenti di Renzo Marrucci
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