68 commenti di Pietro Pagliardini
Commento
11098
di pietro pagliardini
del 08/01/2012
relativo all'articolo
Un anno molto difficile
di
Sandro Lazier
Vilma, non che non conosca la rete wifi e che non ne apprezzi le potenzialit. Ma io sono fermamente convinto, perch lo si osserva ovunque, che non sono le "funzioni", per quanto importanti, a determinare la "funzionalit" di una citt.
Le funzioni passano, la citt fatta del suo hardaware (strade, edifici privati e pubblici, piazze) resta ed la rete urbana a determinare DOVE si concentrer anche la rete wifi, non viceversa.
Per rimanere sulla rete wifi, vorrei proporti due scenari:
1) la sua diffusione facile. In effetti lo , solo questione di investimenti e non credo nemmeno stratosferici. Comunque ipotizziamo che lo sia. Con questa condizione essa potrebbe estendersi a tutta la citt in maniera praticamente indiscriminata. A questo punto l'aggregazione non potr che concentrarsi sempre negli stessi luoghi nodali determinati dalla struttura urbana, perch essa non sar pi una rarit e quindi gli utenti andranno laddove comunque naturalmente convergono le persone e le attivit altre, non solo lo wifi.
2) la sua diffusione costosa o difficile o non conveninete e quindi si dovranno selezionare i luoghi. Mi sembra evidente che si dar prevalenza a quelli dove comunque ci sono spazi pubblici (i privati lasciamo stare che ci sono gi in molti locali pubblici), cio nei luoghi nodali. Ad Arezzo, che non conta molto vero, ma qualcosina conta, cominciata qualche anno fa nelle piazze del centro. Per io non ho visto molta gente con pc all'aperto, ma li ho visti, eccome, nei bar del centro. Del centro, bada bene.
Inoltre, ormai lo wifi mi sembra pure superato dalle connessioni internet dirette che ogni tablet ha, come ce l'hanno i cellulari e che determina una totale delocalizzazione. Non c' luogo, urbano e non dove non ci si possa connettere, salvo qualche anfratto tra i monti. Ma proprio questo continuo superamento della tecnologia ne determina l'obsolescenza rapida ed impedisce comunque che questi fattori possano avere stabilit e determinare la forma della citt e il suo utilizzo costante e duraturo.
Non esiste attivit o funzione che dir si voglia che possa, alla lunga, invertire l'ordine delle cose. Alla fine l'hardware vince sempre e un commerciante che vuole vendere (e durare) dovr posizionarsi in quei luoghi dove passa pi gente. I centri commerciali sembrano l'unica eccezione, ma anch'essi sono soggetti a decadimento rapido e in America stanno chiudendo, ma anche in Italia. E comunque non sono luoghi, sono non-luoghi, per l'appunto. Certo altri ne aprono, ma questo dimostra la sostanziale instabilit di questo sistema.
Quegli amministratori scellerati che pensano di creare dei poli urbani ex-novo, per darsi lustro, sforzandosi di inventare funzioni adeguate, senza tenere conto della rete urbana e di tutte quelle pedanti ma efficaci analisi di cui parlavo nella risposta precedente alle tue obiezioni, finiscono nell'abbandono, anche se si trovano in luoghi geograficamente centrali, addirittura nel centro storico. Non basta l'essere baricentro geometrico, occorrono altre qualit per diventare aree nodali.
C' un proverbio molto toscano (lo so che i proverbi sono proverbi e basta, ma insomma, si fa per sdrammatizzare) che dice:
"col negozio in un cantone ci sa fare anche un coglione".
L'angolo, cio l'incrocio, raccoglie quasi il doppio dei flussi e quindi i negozi nel cantone, con le vetrine e gli accessi in due strade, sono pi favoriti, e tuttavia non tutti gli angoli hanno il medesimo peso. Se fai caso, specie nelle grandi citt, in centro, i tabaccai sono quasi sempre "nel cantone" (osservazione da fumatore) anche perch vendevano, ora assai meno, non solo sigarette ma anche pipe, accendini non a perdere e oggetti regalo di un certo pregio (carte da gioco, roulette, ecc).
Lo sapeva anche Hausmann che nel suo piano di Parigi ne fece una quantit industriale (di incroci, non di tabaccai).
Ciao
Pietro
Commento
11096
di pietro pagliardini
del 08/01/2012
relativo all'articolo
Un anno molto difficile
di
Sandro Lazier
Rispondo su due soli punti a Lenzarini.
Evidentemente se lei ritiene che il relativismo sia un valore diventa difficile comprendersi. Tra l'altro lei oppone al relativismo "l'assolutismo", che connota non solo una forma politica ma anche una forma di pensiero impositivo piuttosto che il riconoscimento dell'esistenza di alcuni principi assoluti, di cui ad esempio, la libert ne uno fondamentale. Quindi lei non solo fa uso di termini impropri e li usa come un'arma di offesa (pacifica), e pu darsi che non fosse sua intenzione, ma soprattutto una volta di pi evidenzia la contraddizione intrinseca dei relativismi, quella cio di dichiarare assoluto ci che invece si vorrebbe presentare come relativo. Questo l'aspetto che trovo divertente nel relativismo.
E le pongo inoltre un quesito in due parti: sicuro che l'arte pre XX secolo, cio tutta la storia dell'arte e del pensiero umano, si riduca a ricerca tecnica e non vi siano invece contenuti espressi attraverso un raffinata tecnica? E quindi altrettanto sicuro che l'arte del XX secolo ponga l'accento sui" contenuti" dell'opera e non piuttosto "sull'autore" dell'opera stessa, sulla sua storia, sul suo "percorso", sulle sue "intenzioni" e basta, con ci mettendo proprio in secondo piano il contenuto dell'opera che diventa, infatti, marginale e talora volutamente inconsistente? Se io infatti taglio una tela, esattamente come Fontana, ma dico che una mia opera, nessuno potr apprezzarla proprio per il fatto che in s non vale niente, non ha contenuto alcuno (non pi di un quadro Ikea) in quanto separata dal suo autore e dalla sua storia.
Cordiali saluti
Commento
11092
di pietro pagliardini
del 07/01/2012
relativo all'articolo
Un anno molto difficile
di
Sandro Lazier
Vilma, cercher di chiarire meglio. Io non conosco, e se qualcuno me lo vuole spiegare non con sensazioni ma con qualcosa di pi approfondito, un metodo che assomigli anche vagamente a quello scientifico per studiare e quindi portare i risultati di quest studi in ambito urbano, che non sia quello di Muratori-Caniggia. Nikos Salngaros ne ha studiato un altro partendo da principi matematici e tutto sommato ha moltissimi punti di contatto con il primo.
Il primo, quello di Muratori, avendo avuto una evoluzione pi lunga e quindi pi soggetti che l'hanno sviluppato e approfondito, e soprattutto essendo nato in Italia, pi radicato in questa realt, ne ha studiato la crescita e l'evoluzione tipologica, i metodi di aggregazione in diverse realt territoriali, partito dall'osservazione puntuale e metodica di varie citt (Firenze, Roma, Venezia, Como, ecc) fino al punto di poterne trarre principi generali. Quello di Salngaros decisamente pi "moderno", legato alla teoria delle reti, di cui quella urbana fa parte, e anche qui se ne deducono principi generali sempre validi.
La cosa sorprendente che Caniggia, pur non conoscendo suppongo i frattali e comunque non li cita mai (anche per motivi temporali), parla di "legge dei successivi raddoppi", sia in ambito edilizio che in ambito urbano: "Tutto dipende dal fatto che in qualsiasi molteplicit, l'uomo e i suoi prodotti tendono unitariamente a riconoscersi per gradi scalari, e non per elemento costituente di quella molteplicit senza tramiti successivi. Ad esempio nella societ l'uomo si riconosce per moduli successivi, dei quali il minore la famiglia.. Ma nessuno di noi si sente parte dell'umanit o del mondo occidentale o della nazione italiana senza ammettere una serie di moduli mediani oltre la famiglia. Che lo vogliamo o no, ciascuno di noi vincolato a gradi intermedi, il vicinato, il rione, il quartiere, la citt, la provincia, la regione, entit sociali che hanno una proiezione nella fisicit del nostro ambiente, nella struttura del nostro spazio. Vi dunque sempre un sistema di moduli e soprammoduli tale che la molteplicit ne viene contenuta da una gradualit di relazioni, in cui ciascun uomo si possa riconoscere non solo come elemento tra elementi di numero indefinito, ma come elemento di un sistema da lui stesso comprensibile per una certa possibilit di apprendere i confini di ogni modulo intermedio" (Caniggia-Maffei).
Ecco, questa una teoria (ovviamente molto pi complessa e completa) che lega l'uomo allo spazio da lui stesso creato in base a leggi molto precise, ricavate dalla lettura dei tessuti, che mai fanno riferimento allo "stile", come non parla mai di stile Salngaros, ma che di fatto lega la tradizione non alla nostalgia del passato ma ad un metodo che probabilmente di carattere antropologico addirittura ad una sorta di partecipazione della specie umana alla natura nella sua interezza (le leggi frattali su cui ha scritto Salngaros).
A questa cosa si contrappone? Si contrappongono interessanti e affascinanti collegamenti a varie discipline (sociologia o psicanalisi o psicologia o statistica o teorie politiche, ecc) ma del tutto prive di sistematicit e quindi parziali. Lo stesso Lynch, che pure con le sue teorie percettive si avvicina spesso agli stessi risultati di Caniggia e di Salngaros, non sviluppa una teoria completa ma analizza aspetti importanti della percezione della citt.
Detto questo vengo alla mia presunta contraddizione che tu individui, mi sembra di capire, nello scarto esistente tra teoria urbana e architettura. L'architettura cui faccio riferimento, semplificata nelle "puntazze e nelle scatolette" non pu essere l'architettura per quella citt cui mi riferisco idealmente e di cui parlano i sopracitati, perch essa interamente ed esclusivamente basata su pura "volont e gusto personale", su creazioni astratte da ogni riferimento antropologico e quindi dalla tradizione, intesa come metodo conforme all'aggregarsi dell'uomo in quelle comunit organizzate che sono le citt, le quali esistono, bene ricordarselo, da diversi millenni.
E adesso, dopo tutti questi millenni, arriva qualcuno che dice: e no, gli altri hanno sbagliato tutto, non ci hanno capito niente, o almeno "l'uomo cambiato" e quindi anche l'abitare deve cambiare. Chi l'ha detto che l'uomo cambiato? A me non risulta tanto: i sentimenti sono gli stessi, per dirne una. Per la societ ad essere cambiata, si dir. Certo che cambiata (ma se si ammette questo non vedo messa bene la teoria di Lazier che non esistono i popoli e quindi dubito possa esistere la societ) ma in cosa cambiata? Nel grande sviluppo della tecnica. Ebbene, questo richiede forse spazi molto diversi? Per quale motivo? Io sono qui a scrivere al PC in rete in una spazio normale, lo potrei fare ovunque, in treno, forse con meno concentrazione, dentro una stanza triangolare o dentro una stanza di 6x6, cio in una cellula elementare. L'onere della pr
Commento
11089
di pietro pagliardini
del 05/01/2012
relativo all'articolo
Un anno molto difficile
di
Sandro Lazier
In fin dei conti alessio lenzarini, lei ha detto solo una grossa sciocchezza. Ma grossa ben oltre ogni limite immaginabile e dimostra di parlare di argomento che evidentemente non conosce troppo bene.
Lei forse crede che progettare un edificio "tradizionalista" sia mettere due archetti, una colonnetta, una loggia, una scala esterna con profferlo, due falde spioventi e il il gioco fatto.
Roba semplice per gente semplice.
E invece crede che costruire una scatoletta in ca, magari a sbalzo, con una vetrata su un lato sia opera altamente complicata, parecchio cerebrale e quindi da dover spiegare per farla capire ai pi e quindi "educarli". Praticamente sarebbe un manifesto di educazione delle persone semplici.
Probabilmente non sa quanto sia difficile progettare un edificio tradizionale, quanto studio richieda, quanti grandi studiosi si siano dedicati a determinare i processi di crescita e di formazione delle varie tipologie, diverse da area ad area. E non sa quanto sia ancor pi difficile lo studio della citt e di come gli edifici si aggregano a formare le strade e quali siano le gerarchie che si instaurano tra l'una e l'altra, e perch e dove una piazza sia proprio in quel punto e non in un altro e come certi edifici si collochino in una strada piuttosto che in un'altra, e che esistono luoghi nodali e luoghi antinodali, e cosa significhi questo e che certe "funzioni" non bastano a qualificare un luogo qualsiasi ma sono intimamente legate alla trama urbana.
E' cos difficile che non si impara da "vecchi", bisogna formarsi da giovani nei banchi dell'universit naturalmente avendo la fortuna di incontrare i docenti giusti. E poi si deve studiare ed esercitarsi a ragionare in un determinato modo, a non farsi fregare dalle "sensazioni", pure importanti, ma vagliarle alla luce della teoria.
A fare tre scatolette incastrate, o quattro puntazze al vento, o doppi volumi fuori scala facile per tutti, c' poco da studiare. E il bello che non potr esserci, alla fine, nessun criterio oggettivo per giudicarne la qualit, solo sensazioni personali e poco pi. Quindi, anche volendo accettare il suo ragionamento, cosa diavolo potrebbe "spiegare" ai semplici da educare se non esiste altro criterio che quello del giudizio personale?
Il difetto pi grave dell'architettura moderna proprio la semplicit, intesa come povert di contenuti, di teoria e, di conseguenza, di prassi.
Applicare la psicanalisi all'architettura, dicendo che la simmetria violenza e l'asimmetria liberazione pu sembrare intrigante, ma non corrisponde al vero e non corrisponde a niente.
Le do' un consiglio: ci provi a progettare un edificio tradizionale, ma non uno a caso, uno in un luogo specifico, e lo sottoponga al giudizio di chi ne sa pi di lei. Sarei proprio curioso di sapere se supererebbe l'esame.
Io ad esempio non lo supererei, nonostante mi sforzi ogni tanto di farlo, non per prova ma per professione. Chiss perch quando faccio quello che so fare, quello che ho imparato, quelo che mi stato ...insegnato dire troppo, inculcato pi adatto, cio le scatolette e affini, pare che nel mio piccolo ambiente ristretto e provinciale me la cavi con una certa sufficienza. E le dir, riscuote anche un certo successo di pubblico: segno che le persone semplici capiscono le cose semplici.
Auguri
Commento
11060
di pietro pagliardini
del 31/12/2011
relativo all'articolo
Sopprimere le Commissioni edilizie
di
Sandro Lazier
Caro Lazier, ma lei sfonda una porta aperta. Pennacchi dice chiaramente che Mussolini non avrebbe voluto citt perch voleva ruralizzare, e nell'agro pontino voleva solo costruire dei presidi di carattere funzionale allo scopo della bonifica e per garantire la distribuzione di merci e materiali per le popolazioni insediate. Ma, una volta visti i primi risultati e i loro successi, si convinse, probabilmente perch ne vide l'aspetto propagandistico. Non c' dubbio che Mussolini sia stato il primo che ha capito l'importanza della propaganda attraverso i vari canali "moderni", quali radio, cinema e la cultura. Insomma, un Veltroni ante-litteram. MA questo, mi perdoni, dimostra intelligenza e basta. Non mi faccia prendere le difese di Mussolini di cui non mi frega niente e che non mi ha mai nemmeno intrigato in nessun senso. Ma negare l'evidenza sarebbe come dire che Stalin fosse un imbecille: tutto, ma non un imbecille.
Ma a noi non interessano mica le intenzioni del duce o del regime, a noi interessano i risultati. E i risultati sono straordinari per la bonifica e buoni e qualche volta ottimi per l'urbanistica e l'architettura.
Quanto a Pagano e agli altri, Pennacchi non menziona l'arrivismo, o almeno non in senso negativo; parla solo, molto realisticamente, e se lei fa il professionista come credo capir, di normale, umano, sano desiderio di affermazione professionale.
Non sar mica un atteggiamento riprovevole voler emergere e se possibile eccellere! Non di questo che si parla in quel brano n nel libro. Si parla di una storia diversa, raccontata in maniera piacevole e molto documentata, che cozza per contro la retorica ufficiale antifascista di cui ormai hanno tutti piene le scatole. Poi potr non piacere l'architettura del periodo, ma il giudizio non pu essere partigiano fino al punto di negare la realt e di dividere il mondo in maniera manichea tra i buoni da una parte e i cattivi dall'altra, quando poi, alla fine, stavano tutti dalla stessa parte. Almeno fino al momento drammatico delle leggi razziali.
Allora che dire di Le Corbusier, lui s arrivista veramente, che blandisce tutte le dittature del periodo, da quella comunista a quella fascista? C' una sua lettera in cui implora un incontro con Mussolini per convincerlo alla nuova architettura (la sua, ovviamente). Questo arrivismo di bassa lega non quello di chi si riunisce in un gruppo, di pi giovani, per cercare di prevalere sul gruppo meglio piazzato, di pi vecchi! Lecito attaccare, lecito difendersi, mi sembra ovvio.
Quanto a Pagano, nel pezzo che lei riporta, scrive una cosa abbastanza "fascista": lui vuole convincere il duce a "un'arte di stato". Razionalista, ma non importa questo. Quindi chi senza peccato scagli la prima pietra. Con queste premesse, se Pagano fosse stato in una commissione edilizia, allora s che sarebbero stati cavoli amari! Altro che libera espressione dell'architetto!
Saluti
31/12/2011 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Vorrei ripetere per chiarezza, altrimenti si rischia di perdere il senso delle cose che stiamo dicendo:
1 ho citato criticamente il primato della propaganda fascista a conforto della tesi che il fascismo utilizzasse temporaneamente i concetti del razionalismo per fini esclusivamente promozionali. Il regime non avrebbe mai condiviso fino in fondo i concetti del razionalismo traducendoli in realt sociale; sapendo, oltretutto, che provenivano dalla democratica e disprezzatissima repubblica di Weimar. Dallideale razionalista (sostanzialmente democratico e socialista) e dallefficacia del suo messaggio, appena ne percep il pericolo, il fascismo prese immediatamente le distanze. Non tacci questarte, come invece fecero nazismo e comunismo, dessere corrotta e degenerata ma, nel nostro paese, questa fu subito messa in soggezione dal modello di romanit che il regime intendeva invece promuovere e vantare orgogliosamente come proprio.
Il risultato quello che definiamo stile littorio, dove la razionalit sta nellassenza di stilemi, decorazioni e ornati e nella banalizzazione geometrica di colonnati, arcate e altri elementi della tradizione architettonica arcaica, mantenendo intatto limpianto spaziale monumentale. Il razionalismo (e le sue varianti; gli -ismi dinizio secolo sono molteplici) svuotato della sua istanza ribelle per eccellenza, ovvero la concezione spaziale antiscatolare, antimonumentale, particolarmente critica verso la fatalit dellidealismo storicista che vorrebbe invece luomo soggiogato ad essa, diventa ornamentale e mansueto, incapace finalmente di comunicare unidea di cambiamento sostanziale delle ragioni dellesistenza e delle classi sociali che la esperiscono.
Fortunatamente, sfumate nel clamore delle pompose fanfare dellarchitettura imperiale, qualche genio, come Terragni, seppure in questo clima reazionario e con non poche difficolt, riusc a concepire opere di grandissima libert spaziale, la cui portata rivoluzionaria probabilmente non fu giudicata dalla censura con la dovuta attenzione.
2- Non stavano tutti dalla stessa parte. Pagano, come Le Corbusier, avevano ben chiara la portata rivoluzionaria e lesito profondamente democratico dellarchitettura che proponeva. Non promuoveva s stesso ma la sua architettura. Non era un farsi largo per vanit od orgoglio personale. Cera qualcosa di pi. Rompere le scatole, anche in senso architettonico, alleggerire i volumi e smembrare i piani, disallineare finestre e pilastri, liberare i vani dalla dittatura della struttura muraria, fino a giungere allequilibrio precario dei fabbricati e alla loro decostruzione, sono metafore della precariet e insieme solidit dei fragili sistemi democratici, ai quali, per sopravvivere, serve un minimo di disordine e confusione. Larchitettura dei monumenti statica, grevemente inerme, rigida e poco disposta alla trasformazione, triste e malinconica, finalmente mortifera; larchitettura degli anti-monumenti flessibile, leggera, dinamica, viva e fondamentalmente felice. Questi pensieri sono anche quelli che presiedono alla mia attivit professionale, prima della vanit, dellorgoglio e del tornaconto. Anchio, come Pagano allora, cerco oggi di convincere le amministrazioni, di destra o di sinistra, a usare larchitettura in cui credo, ma non per questo devo sentirmi minimamente fascista.
Ps: - Sono un organico, particolarmente critico verso il razionalismo, soprattutto quello di bocca buona della speculazione edilizia. Ma, in questo caso, devo difenderne le ragioni e lo faccio con forza. C, credo, un equivoco di fondo. Gregotti, Rossi, Botta e tanti che i tradizionalisti tacciano di modernismo, in effetti moderni non sono. Per chi la pensa come me stanno tra i premoderni proprio per la loro vocazione compositiva fondamentalmente solenne e monumentale.
Auguri per un 2012 felice
Commento
10962
di pietro pagliardini
del 30/12/2011
relativo all'articolo
Sopprimere le Commissioni edilizie
di
Sandro Lazier
E' diventato abbastanza difficile se non impossibile trattare tutti gli argomenti toccati in questa discussione che sta assumendo toni forti. Segno, lo ripeto per l'ennesima volta, della centralit del tema "commissione edilizia".
Vorrei rispondere a Lazier su Fascismo e razionalismo e/o nazionalismo cafone e a Gianni Marcarino.
A me sembra che lei, Lazier, tenda a vedere dell'architettura del periodo fascista i due classici poli raccontati nei libri di storia dell'architettura e dell'arte (ovviamente): Libera-Pagano-Persino da una parte, i buoni, Piacentini dall'altra, il cattivissimo. E' troppo schematica e, lo devo dire, molto accademica e perfino un po' conformista, proprio da lei che conformista non mi sembra affatto.
Non sono uno storico ma l'estate scorsa mi sono letto un libro che le consiglio vivamente di leggere, se gi non lo avesse fatto: Fascio e martello, viaggio tra le citt del Duce, di Pennacchi. Gi il titolo la dice lunga su quanto sia equivoco l'abbinamento tra architettura e politica: un comunista "vivente", innamorato dell'architettura del Duce! Ma, a parte questo, lei trover in quel libro una ricca documentazione fotografica e descrittiva che smonta lo schema che lei invece tende a riconfermare.
Questo un brano significativo:
"I manuali parlano di lui (Petrucci) solo per dire che era uno dei fondatori del RAMI, il Raggruppamento architetti moderni italiani - ossia i razionalisti ligi all'ordine e alal disciplina del partito - che si contrapponevano al MIAR (Movimento italiano architettura razionale), ossia quello dei presunti pi arrabbiati. Non naturalmnete che questi "arrabbiati" non fossero fascisti, anzi, in senso sansepolcrista erano anche pi fascisti di quegli altri. Erano architetti punto e basta. Quella di volerne saggiare il maggiore o minore tasso di fascismo - per giudicarne l'arte- una mania codista in cui si incanalata tutta la storiografia dell'architettura, in Italia, dal dopoguerra ad oggi. Erano tutti fascisti ed erano tutti architetti. E giovani. Che mozzicavano i vecchi solo perch volevano farsi spazio. Giustamente. E volevano lavorare. Punto e basta. Da Pagano a Piccinato, da Terragni a Libera. E i vecchi - Piacentini, Giovannoni, Alberto Calza Bini, Brasini, BAzzani - si defendevano come potevano. Giustamente pure loro. E qualche volte pure a bastonate".
Vede quanto laico nel giudizio il comunista Pennacchi, quanto realistico, niente affatto incline alla retorica e soprattutto "credibile"!
E se lei guarda le foto non trover capitelli e colonne, solo qualche arco (e che sar mai) e molto razionalismo magari un po' annacquato dall'essere progettato per piccoli borghi agricoli. Ma di pomposit ce ne assai poca, salvo forse in qualche torre littoria o in qualche casa del fascio, che a me sembra anche un modo corretto di auto-rappresentarsi di un potere che, indubbiamente, c'era, piaccia o meno.
Si pu affermare che le citt di fondazione siano "nazionalismo cafone e grottesco"? A me pare proprio di no. A me, che tra l'altro ho una formazione modernista, sembrano pure dei bei progetti che difficilmente abbiamo ritrovato nell'architettura del dopoguerra. Certamente non nella rivista L'Architettura Cronache e storia, che davvero pubblicava di tutto e di pi. Sono sincero: a me metteva tristezza anche allora.
Certo che un razionalismo "italiano" (ahi, lo so che lei crede che i popoli non esistano, ma allora perch si lamenta se Piacentini ha devastato qualche nostro centro storico?), che c' un sapore di tradizione e di elementi conosciuti (ma anche Aldo Rossi ne faceva uso), ma io mi posso immaginare, anche leggendo il libro, che ai nuovi abitanti insediati nell'Agro Pontino facesse semmai l'effetto opposto, quello cio di essere del tutto stranianti e "moderni" rispetto alle realt da cui provenivano. Quindi, voglio dire, le cose vanno valutate in tutte le loro implicazioni e non in base ad un'idea precostituita, a principi immutabili e fissi cui la realt dovrebbe adeguarsi, come mi sembra che lei tenda a fare.
A Gianni Marcarino rispondo - anche se non lo ha chiesto a me ma non si arrabbier per questo - alla domanda " A quanti km da casa mia finisce la mia tradizione e comincia quella degli altri!". Bella davvero la domanda ma subdola. Non esiste una tradizione mia diversa dalla sua, se io e lei abitiamo nella stessa citt, nella stessa vallata, nello stesso colle, nello stesso bacino. Esiste la tradizione e basta i cui caratteri sono facilmente riconoscibili e definiti e un architetto la deve saper riconoscere e se non lo sa fare da solo la studia, non c' problema. E' la nostra professione, il nostro mestiere. Nessuno nasce imparato ma applicandoci possibile scoprirla. Se poi si domanda: "Oppure come e' possibile pensare di progettare per la vita di oggi con criteri spaziali e formali maturati nel passato, con necessita' e aspettative molto diverse?" Sono io che le pongo la domanda:
30/12/2011 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Per quanto riguarda i giovani architetti fascisti, non eran proprio tutti arrivisti,
come sostiene il fascio-comunista Pennacchi.
Tratto da: Cattivi maestri: Giuseppe Pagano
(http://www.elapsus.it/home1/index.php/arte/architettura/584-cattivi-maestri-giuseppe-pagano)
Dopo essersi concluso il cantiere per quello che forse
il suo capolavoro, lUniversit Bocconi di Milano, nel 1941, Pagano
accetta la conduzione della rivista Domus, ma dopo pochi mesi
viene richiamato alle armi a seguito della sua richiesta volontaria. Aveva quarantacinque
anni.
Il maggiore Giuseppe Pagano guida un drappello duomini in Albania, ma
continua, per corrispondenza, la sua collaborazione a Casabella,
e continua, soprattutto, la sua battaglia per larchitettura moderna.
A seguito della pubblicazione dellarticolo Potremo salvarci dalle
false tradizioni e dalle ossessioni monumentali? il direttore della stampa
italiana, Gherardo Casini, richiama Pagano. Nel numero seguente della rivista
Pagano, per nulla intimorito, fa pubblicare un altro articolo, ancora pi
acuminato del precedente: la rivista viene sequestrata; Pagano scrive allora
a Casini una lettera privata infuocata, e il direttore della stampa italiana
risponde, compunto: Ho eseguito il sequestro di Casabella che conteneva
il vostro articolo perch ne ho avuto lordine. Larchitetto,
impavido, gli invia una cartolina: Poich siete stato soltanto
un trasmettitore di ordini vi sar grato se vorrete far
leggere la mia lettera a chi vi ha impartito lordine del sequestro.
Nel 42 rientra dal fronte e il rapporto, sottilmente sadico, che lo lega
al fascismo, si spezza definitivamente; come ha scritto Rogers, in un testo
che ricorda lamico: non ci accorgemmo subito che, per amore dellamore,
rischiavamo di avere un figlio da una prostituta; Pagano lascia il partito
ed entra nella Resistenza.
Il 19 luglio del 43 muore Giuseppe Terragni, quando Pagano ne ha notizia,
cinque giorni pi tardi, scrive: che la mia verde maledizione
secca e rabbiosa e demoniaca si scarichi come un colpo di clava sulle teste
di chi sappiamo. E di Ojetti e di Piacentini e di tanti altri mezzi coglioni
in gloriati si faccia un sottofondo da latrina. Non so dire. Vorrei sparare
subito e spaccare teste.
G. Pagano, Legato allarchitetto romano Amedeo Luccichenti nel comune impegno per unarchitettura svincolata dai maneggioni di Stato, vorrebbe convincere il duce dellesigenza di una radicale svolta sul terreno dellurbanistica, delledilizia popolare e pi in generale dellarchitettura razionalista come arte di Stato, ma alla richiesta di udienza gli si risponde di inviare un memoriale: Come vedi scrive a Luccichenti siamo fregati in pieno e non credo che sia il caso di insistere oltre; Pagano evoca una dignit umana che non pu essere superata e indica la via di una battaglia di testimonianza, per cercare ancora di creare una minoranza moralmente pura, vigilissima e piena di fede in modo di salvare, per la storia, il buon nome dellarchitettura italiana, senza speranze di vittoria: moriremo sulla breccia con la bandiera dellarchitettura moderna (lettera del 1 gennaio 1940).
Per quanto riguarda la propaganda: Il Fascismo fu forse il primo
al mondo ad utilizzare la moderna "arma" della propaganda. Mass-media,
manifesti, cinematografia: tutto rivolto a magnificare l'operato del regime.
Non a caso il ministero per la Propaganda fu infatti uno dei pi attivi.
Ancora oggi la propaganda fascista oggetto di studio: negli altri paesi
del mondo fortissimo fu il suo sviluppo durante la seconda guerra mondiale;
il Duce stesso descrisse la cinematografia come l'arma pi efficace."
(http://www.ilduce.net/propaganda.htm)
Per quanto riguarda le nuove citt e fondazioni che citt
non sono mai state ma agglomerati agricoli - questa che segue la ragione
per cui le voleva il duce quando le ha concepite:
Tratto dal discorso dellascensione del 26 maggio 1927 di B. Mussolini:
Questo ancora non basta. C' un tipo di urbanesimo che
distruttivo, che isterilisce il popolo, ed l'urbanesimo industriale.
Prendiamo le cifre delle grandi citt, delle citt che si aggirano
e superano il mezzo milione di abitanti. Non sono brillanti, queste cifre: Torino,
nel 1926, diminuita di 538 abitanti. Vediamo Milano: aumentata
di 22 abitanti. Genova aumentata di 158 abitanti. Queste sono tre citt
a tipo prevalentemente industriale. Se tutte le citt italiane avessero
di queste cifre, tra poco saremmo percossi da quelle angosce che percuotono
altri popoli. Fortunatamente non cos: Palermo ha 4177 abitanti
di pi - parlo di quelli che nascono,
Commento
10939
di pietro pagliardini
del 21/12/2011
relativo all'articolo
Sopprimere le Commissioni edilizie
di
Sandro Lazier
Decisamente la pensiamo in maniera opposta: l'Europa fallita perch non l'Europa dei popoli. Non giusto dire "non fallir" gi fallita. Almeno in questa forma, l'unica, come oggi effettivamente .
L'Europa dei cittadini, che non contraddice affatto quella dei popoli, dato che i popoli sono costituiti dai cittadini e non da zombi, avrebbe potuto esistere, convivere e svilupparsi serenamente e in pace, come stato per 50 anni, attraverso la libera circolazione delle persone e delle merci. Con questi presupposti (che gi c'erano) le persone si spostano da un luogo all'altro, si incontrano, si riconoscono in ci che li rende uguali, la libert e la dignit umana, e in ci che li rende diversi (fortunatamente), la loro cultura individuale e quella del territorio di loro provenienza.
Questo avrebbe dovuto essere il processo naturale, che richiede tempo per, quanto nessuno lo sa, non l'accelerazione folle, scriteriata e forzata di un gruppo di ottimati spinti da ideali illuministici, ottimi per il settecento, e aggiungerei anche di ideali massonici ( una pura constatazione e non un pregiudizio).
I popoli esistono, fortunatamente, se lo metta lei il cuore in pace. E le dir anche che proprio in un vero stato sovrannazionale che le diversit e le specificit dei territori si esaltano, senza mediazioni intermedie quali lo stato nazionale. Ma non un processo da qualche anno, un processo storico, in cui il fattore tempo insondabile, che non pu subire forzature per diventare naturale e condiviso. Non siamo gli USA, nati da un guerra d'indipendenza, di liberazione direi.
Questa bruttissima Europa che con le sue leggi tutto omologa, dai cibi ai culi (l'esempio classico delle misure dei seggiolini del bus cui la perfida Albione giustamente si oppose, constatando che esistono culi diversi), l'Europa delle norme, della burocrazia iperpagata, questa s vera casta fuori di ogni controllo, lEuropa delle regole impositive e astratte, proprio quelle che lei contesta alla commissione edilizia, non pu che fallire. E poi questa unEuropa tedesca.
Ci stato imposto un modello economico che non ci appartiene. Non appartiene al nostro popolo perch non appartiene agli individui che lo compongono. Ci hanno distrutto il tessuto economico connettivo che fatto di piccole aziende, imponendoci un modello da grande industria. Gi, ma secondo lei dobbiamo diventare tedeschi, evidentemente il modello di individuo ideale. Per fortuna che gli stessi tedeschi si stanno rendendo conto che stanno rinascendo vecchi fantasmi del passato contro di loro e si domandano se non stiano sbagliando qualcosa!
Voler imporre queste regole, senza alcuna democrazia, dato che l'Europa governata da scelti, cooptati non da eletti, una forma gentile di fascismo. E' un incubo orwelliano (cui sta dando una mano il nostro governo di migliori, la nostra piccola Repubblica dei filosofi platonica, guarda caso).
Alla sua ultima domanda rispondo cos:
S, uno scatolone con il tetto migliore di quello senza perch non ci piove (la tecnica) e perch si conclude in alto (il linguaggio). Invece gli edifici modernisti, quando hanno i pilotis, non hanno inizio e non hanno neppure fine: sono pura astrazione geometrica che in basso nega la strada e quindi la citt, e quindi la comunit, e in alto appaiono non finiti e pronti ad una sopraelevazione, come nelle case abusive con i ferri pronti.
Molto meglio sarebbe, ne convengo di buon grado, un edificio non banale con il tetto.
Per, almeno su un punto, potrebbe riconoscere che ho avuto ragione: il tema commissione edilizia davvero sconfinato, un vero condensatore di molti temi apparentemente diversi.
Cordiali saluti
21/12/2011 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Non mi ha risposto sul paradosso dell'identit.
Ma non fa nulla. E' sempre interessante dibattere con lei.
Un sincero augurio di buone feste.
Commento
10938
di pietro pagliardini
del 20/12/2011
relativo all'articolo
Sopprimere le Commissioni edilizie
di
Sandro Lazier
Difficile incontrarsi con lei Lazier che nega legittimit addirittura all'esistenza dei popoli. Le confesso che quello che dice Zevi per me vale quanto quello che dice chiunque altro perch in genere mi interessa il contenuto e non il contenitore. Ho abbandonato lidolatria da molto tempo e mi trovo veramente bene. Posso cambiare idea senza rinnegare nessuno.
Io non esalto il nazionalismo, figuriamoci, come so che l'uomo prova gli stessi sentimenti ovunque, che gioie e dolori sono condivisi da culture diverse, pur con reazioni espresse diversamente (ed anche per questo che la gente prova nei confronti dell'abitare un sentimento orientato pi alla "casa della nonna" che non alle pi bislacche architetture moderne), ma negare la ricchezza dell'esistenza di culture diverse mi sembra non solo di un'astrattezza senza limiti, ma anche di un pericolo senza limiti. Il caso europeo ne un esempio lampante: mettere insieme a forza ,con unoperazione elitaria e dallalto, popoli diversi, anche se con moltissima storia e cultura comune, privarli della loro moneta imponendone un'altra e addirittura senza uno stato dietro azione di cui oggi constatiamo drammaticamente il fallimento, oltre che essere atto di una violenza inusitata.
La costituzione europea, quando stata messa a referendum, di massima non passata: ci sar un motivo! Forse sono ignoranti i popoli?
La coabitazione forzata di culture diverse fonte di tensioni pericolose. Questo ideale mondialista e universalista che nega e reprime le diversit non solo non lo condivido affatto ma, nei limiti del possibile, lo combatto politicamente e culturalmente. Sono le grandi dittature che vogliono creare l'uomo nuovo: questi sono davvero i grandi fascismi.
Stalin ha tentato di annientare le diversit, sempre per creare luomo e il mondo nuovo, deportando da una parte all'altra dell'impero i popoli dominati, con il risultato di avere spinto ad esaltare le differenze e fatto rinascere pi feroci di prima i nazionalismi. Le varie pulizie etniche nella ex Jugoslavia sono anche figlie della violenza con cui Tito volle tenere insieme popoli diversi. E lei dice che i popoli non esistono e non dovrebbero esistere! Libero di pensarlo, ma rifletta sul passato (che non una parolaccia) per capirne le conseguenze su quegli individui che dice di esaltare. Si faccia un giro in Lituania e chieda cosa pensano dei russi che lhanno desertificata abbattendone i boschi non solo per appropriarsi del loro legname ma per umiliarne lidentit.
Sul rapporto arte-architettura, lesempio della bellezza dei prospetti , come dire, scontato. Certo che c un aspetto di formalismo nellarchitettura (ma Zevi non sarebbe propriamente daccordo)! Quanti edifici hanno sul Canal Grande facciate bellissime mentre dietro e lateralmente sono non finiti! Ma questo dimostra sia il desiderio di rappresentarsi del committente (in armonia con il carattere della citt, potremmo dire con la bella casa della nonna) ma anche di piacere al popolo. La componente artistica pu essere presente in architettura, ed auspicabile che ve ne sia, ma di qui ad assimilare larchitettura allarte ne corre. E poi se c arte ci deve essere anche lartista, e chi lo dice che gli artisti siano cos numerosi! Se c davvero, stia tranquillo che esce fuori, senza fare tanto chiasso. La migliore architettura in genere nasce laddove maggiori sono i vincoli e i limiti (non i vincoli inventati dalle norme); se non c, esiste la statistica certezza che ci sar solo chiasso.
Concludo con un esempio personale immagino analogo e contrario a quello che deve essere accaduto a lei.
Primi anni 90. Comune di San Giovanni Valdarno, una piccola Siberia. Cooperativa di 12 alloggi in un PEEP ipermodernista che vieta le coperture a tetto. Obbligo di copertura piana. Proviamo a forzare la noma e ci facciamo il tetto. Viene bocciato. Ci adeguiamo, ovviamente. Il piano oggi tutto realizzato: una Siberiasenza tetto.
Oggi anche a San Giovanni Valdarno si costruisce con il tetto, ma non c una norma che costringe a farlo.
Forse cambiato il vento. Era lora. Forse ad un conformismo se ne sostituisce un altro. E possibile.
Mi auguro che lei abbia protestato anche per casi analoghi al mio.
20/12/2011 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Zevi maestro vero. Citarlo non fa mai male e rileggerlo d una bella carica. A lei non servono i ricostituenti? Se no, beato lei.
Si metta il cuore in pace, Pietro, lEuropa non fallir.
Se fallito qualcosa proprio quel concetto incerto e francamente anche un po ipocrita di Europa dei popoli.
Ma lEuropa dei cittadini non fallir. Meno popoli e pi cittadini, questo il nostro destino, malgrado le brusche frenate e le reazioni che inevitabilmente le crisi procurano da sempre. Crisi che costringeranno la boria patriottica a fare i conti con la necessit di un sereno futuro europeo per i nostri figli e nipoti.
Lei si chiede retoricamente se son ignoranti i popoli. Ma i popoli non possono esserlo. Nessun numero pu essere dotto o ignorante. Solo gli individui, che sono soggetti pensanti, possono avere queste propriet. Chi parla in nome del popolo assumendone per intero lidentit scivola inesorabilmente nella demagogia.
Infine, ecco il solito paradosso dellidentit.
Ci sono gruppi che, per affermare la loro diversit rispetto al resto del mondo devono pretendere allinterno del gruppo una severa omologazione, rifiutando in tal modo tutte le diversit individuali di chi il gruppo compone. Per realizzare lidentit del gruppo, al suo interno tutti si devono comportare allo stesso modo, contraddicendone in tal modo il fine: la diversit. La verit che sono solo le persone ad avere unidentit, non i gruppi. Ed la diversit dei soggetti che va tutelata, non quella dei popoli che non esiste se non in mondo esclusivamente retorico.
Per questo motivo trovo inopportuno il riferimento alle dittature che spazzerebbero le diversit a favore di unomologazione diffusa. La quale non avviene certo a favore dei singoli che, nei regimi assoluti, sono i primi ad essere annientati. Lomologazione avviene verso un pensiero unico che, sempre, guarda caso, si veste architettonicamente con abiti classici, spesso tronfi e indigesti, ma confezionati secondo rigorosa tradizione, mai con architetture sinceramente moderne. (Il fascismo si serv della modernit per semplice propaganda; una volta al vertice si affid al monumentalismo celebrativo di Piacentini.)
Unultima domanda: ma secondo lei, uno scialbo scatolone di periferia, col tetto o senza, fa differenza?
Commento
10928
di pietro pagliardini
del 18/12/2011
relativo all'articolo
Sopprimere le Commissioni edilizie
di
Sandro Lazier
Tema di straordinario interesse la commissione edilizia perch condensa quasi tutte le problematiche legate allarchitettura moderna e al suo rapporto con il passato e con il presente, allidea stessa di architettura e a quella di architetto e, come ribadito pi volte dallautore, al tema della libert e dei diritti del cittadino.
La commissione edilizia - trascurando ovviamente le contingenti anche se non infrequenti storture quali lessere spesso luogo di potere, favoritismi o prepotenze professionali, o di incapacit dei suoi componenti o di opacit delle decisioni prese, ma considerandone solo lessenza teorica - rappresenta lanello di congiunzione tra passato e presente, in quanto permanenza di una istituzione antica, erede delle decisioni collettive sulla citt, entro una societ atomizzata il cui protagonista lindividuo. E il caso esemplare delle pratiche pre-moderne dellurbanistica moderna di cui ha scritto Francesco Finotto. Ho diviso questo lungo commento in titoli, pi ad uso mio che degli altri.
La Libert
Lazier affronta largomento sotto il profilo della libert del progettista, estendendone per il campo alla libert dellindividuo. Non c dubbio che il nodo centrale del dibattito tra gli architetti sia questo, ma la soluzione che egli propone, e che sembra dare per scontata, che invece tutta da discutere e secondo me da confutare alla radice perch la progettazione architettonica non attiene al campo della libert despressione artistica. Daltronde cosa c da aspettarsi da un intellettuale della domenica alla cui categoria probabilmente appartengo?
Intanto non vorrei parlare di libert del progetto perch la Libert una condizione di grado ben superiore, e direi una e indivisibile: o c o non c, non pu essercene abbastanza per quella situazione o poca per quellaltra. Se c, ci deve essere piena per tutte quelle che sono le espressioni del pensiero umano, altrimenti non c. Poi c la legge che garantisce al cittadino, elencandole, determinate libert ma sono specificazioni di azioni che siamo liberi di compiere o, al contrario, che ci sono negate, come quelle libert che arrecano danni ad altri. Non certamente ammessa la libert di prendere a schiaffi una persona che ci ha causato un danno. E s che talvolta il desiderio sarebbe forte, ed pure un desiderio umano che per deve essere controllato e riportato nellalveo della legge. Si pu parlare in casi come questi, di violazione della nostra libert? Direi proprio di no.
Dunque limitare alcune azioni, anche se scaturite dal pensiero umano, rientra nelle regole del contratto sociale che sta alla base dellesistenza stessa di una societ. Non si pu gridare alla fine della libert se determinate azioni sono impedite (dopo sappiamo che esistono legittimi ed autorevolissimi filoni di pensiero, soprattutto negli USA, che negano lesistenza stessa dello stato, ma questo un altro discorso), si tratta di determinare il giusto equilibrio tra chi privilegia il diritto naturale e chi invece il diritto positivo soggetto al mutare dei tempi e dei costumi e che si adegua diventando specchio di una determinata fase evolutiva della societ. Si tratta dunque di determinare quali siano le azioni che appartengano esclusivamente alla sfera della libert individuale e quali invece siano soggette a limitazioni affinch la libert di ciascuno non vada a configgere con quella degli altri fino a disgregare le fondamenta del contratto sociale.
Non c dubbio che lespressione artistica non debba essere limitata o censurabile. Prendiamo il caso della scultura. Lartista deve essere libero di fare ci che vuole e se non ha mercato vuol dire che non piace. Per, anche in questo caso, c un problema. Fino a che lopera rimane nel campo del mercato o della pura passione individuale la libert assoluta, ma se lopera dovesse diventare patrimonio pubblico, cio essere collocata in una piazza, chi autorizzato a prendere la decisione? Chi ha titolo per scegliere lo scultore Tizio o lo scultore Caio? In questo caso, infatti, si tratta di denaro e interesse pubblico e qualcuno deve assumersi la responsabilit di scegliere. Non credo possa essere un Responsabile del procedimento, un funzionario. Immagino che debba essere un amministratore eletto oppure un suo esperto di fiducia, che altro non che una emanazione dellamministratore. Dunque dovr essere la politica a decidere. Mi sembrato di capire che anche Lazier sia daccordo su questo punto, con la precisazione che le minoranze debbano essere tuttavia tutelate, qualunque esse siano. Mi sembrato di capire anche, in via deduttiva, che il politico non dovrebbe scegliere in base ad un principio estetico stabilito, perch dice, ed io sono assolutamente daccordo, che lo stato non deve avere una cultura ufficiale, una cultura di stato.
Il principio giusto ma la sua applicazione pratica lo un po meno. Se ad esempio ci fosse d
18/12/2011 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Cercher dessere conciso. Pagliardini mi perdoner la sintesi.
A proposito di libert dice:
Poi c la legge che garantisce al cittadino, elencandole, determinate libert ma sono specificazioni di azioni che siamo liberi di compiere o, al contrario, che ci sono negate, come quelle libert che arrecano danni ad altri. []
Dunque limitare alcune azioni, anche se scaturite dal pensiero umano, rientra nelle regole del contratto sociale che sta alla base dellesistenza stessa di una societ.
Imporre al prossimo cosa deve o non deve fare non centra nulla col contratto sociale ed una grave limitazione della libert personale. Dire cosa non si pu fare una cosa; dire cosa si deve fare tutta unaltra. R. Barthes, una volta, parlando di linguaggio e della sua inclinazione al conformismo, afferm che questo non per sua natura n conservatore n progressista; esso semplicemente fascista, perch fascismo non impedire di dire, ma obbligare a dire.
Obbligare il prossimo a rifare la casetta della nonna facendo leva sulla retorica del consenso (re)azione storicamente nota.
A proposito di architettura e arte lei dice:
Perch apprezzare solo le differenze degli individui e trascurare invece quelle delle Nazioni? Perch omogeneizzarsi come insieme, come nazione, annullarsi nella globalizzazione culturale e volersi invece distinguere come architetti creativi?
Bruno Zevi, maestro sempre attuale, parlava di consorzio umano. Non a caso. Gli individui sono, per loro natura, degli elementi universali finiti, che non puoi sciogliere in aggregazioni maggiori quali nazioni, stati, collettivi o altri termini statistici privi di una volont univoca. Io non credo che i popoli, le nazioni, le societ in genere abbiano una loro volont. Gli individui hanno volont ed esprimono desideri, i popoli no. I popoli, le nazioni, esistono perch esistono glindividui, unici degni di superiore tutela. Esiste la dichiarazione dei diritti delluomo, non quella dei diritti delle nazioni, delle associazioni, delle leghe o altre bislacche aggregazioni. Le nazioni sono solo realt statistiche, matematica ad uso dellamministrazione pubblica per fornire servizi ai cittadini (che sono individui). Litalianit, lo spirito dei luoghi, lidentit sono solo retorica ad uso dei robivecchi incapaci di riformare minimamente un linguaggio, che li opprime al punto da far loro confondere qualsiasi idea polverosa con la storia. La storia cosa seria, tanto che ogni generazione deve scrivere la sua, proprio per non copiare e rifare gli errori di quelle che lhanno preceduta.
Tutte le arti mancano di utilitas, in senso oggettivo ovviamente e non soggettivo. Larchitettura non pu essere ridotta, e aggiungo sminuita, a pura manifestazione artistica.
Io credo che palazzo Carignano del Guarini a Torino sia unopera darte e darchitettura. Non cera nessuna utilitas nellinserire in facciata una semicupola svuotata. Una geniale e totalmente superflua forzatura, puramente linguistica.
Eppure, come dice lei, anche questa architettura fatta di tecnica, di lavoro collettivo di molti soggetti contemporaneamente e in tempi diversi, di manualit e di esperienze di individui diversi, di architetti e manovali, di committenti, di produttori e fornitori di materiali, di statica, di fisica, di impresari, di enti pubblici e di mille altre figure e situazioni. Non vedo quindi nessuna preclusione affinch larchitettura, seppure descritta come lei fa, non possa essere una massima forma darte, capace di riformare il linguaggio. E non vedo proprio la ragione per cui larchitettura, come altra qualsiasi forma espressiva, non possa concorrere alla ricerca del rinnovamento linguistico. Larchitettura di un paese ci d la misura della sua civilt dando forma alle sue speranze di rinnovamento. Dovremmo rinunciare alla civilt per il fastidio di qualche reazionario intollerante? Che si costruisca le sue casupole, noi le tolleriamo, ma non si permetta di proibire agli altri di volare un po pi in alto.
Il resto del commento cita il bene comune, il paesaggio, il patrimonio artistico (ma, se larchitettura per Pagliardini non arte, non vedo cosa centri), la costituzione che dovrebbe tutelare questi beni. Ma la costituzione, non dovrebbe tutelare, in modo simmetrico, innanzitutto i cittadini e la loro libert personale? Se a me non piacciono le caricature della storia e il loro proliferare - che questo s, secondo me, devasta il paesaggio - la Costituzione mi difende?
Commento
9212
di pietro pagliardini
del 19/12/2010
relativo all'articolo
Hopeless Monster (Night at the museum)
di
Ugo Rosa
Leggo oggi, contemporaneamente, i due commenti di Maurizio e Vilma.
Mi avete preso in castagna, inutile negarlo.
In questo momento non so cosa rispondere altrimenti non esiterei un attimo a farlo.
Non ho capito, davvero, se i vostri sono giochi di parole, ma l'etimologia non mai casuale anche se non spiega tutto, oppure se abbiate risolto l'arcano.
Il nesso tra abito e abitare indiscutibile, non solo per l'origine della parole.
Per cui mi fermo qui, accuso il colpo e, fino a che non sar riuscito a cogliere se c' e dove sta la differenza, soprattutto in relazione al consumo, non replicher a vanvera e senza convinzione.
A presto (spero)
Pietro
Commento
9147
di pietro pagliardini
del 04/12/2010
relativo all'articolo
Hopeless Monster (Night at the museum)
di
Ugo Rosa
No Maurizio, mi spiace ma questa non una risposta. Non a me, che non ha alcuna importanza, ma al perch della cosa, alle motivazioni vere.
la relazione auto-casa, abiti-casa non regge, per molti motivi, uno ad esempio che i beni di consumo seguono solo le legge del consumo, del mercato. Tra le auto di oggi e quelle di un anno fa non c' alcuna differenza sostanziale, solo optional di nessuna utilit reale ma utilissimi a vendere.
Per gli abiti poi, se fai bene attenzione, non cambiato quasi niente, nella sostanza da secoli.
Ma la casa non bene di consumo. A meno che tu non pensi che lo sia, nel qual caso la tua una risposta, da me non condivisa, ma una motivazione.
Ciao
Pietro
Commento
9142
di pietro pagliardini
del 29/11/2010
relativo all'articolo
Hopeless Monster (Night at the museum)
di
Ugo Rosa
Non ho letto l'articolo. Ho letto per il commento di Maurizio Zappal, sempre da superuomo, sempre sotto effetto di stimoli forti, sempre appassionato, sincero e, appunto, stimolante.
Vorrei fare una domanda, semplice semplice a Maurizio, appartenendo io alla categoria dei neolitici, secondo la sua divertente definizione. Ma chiss se vale la pena rispondere ai neolitici?
Tu dici Maurizio: "Quando pensano, i neolitici che accadr il grande passaggio allera futura?".
La mia domanda questa: perch DEVE accadere questo passaggio?
Tutto qui.
Ciao
Pietro
Commento
8758
di Pietro pagliardini
del 21/07/2010
relativo all'articolo
Addio Giannino Cusano
di
La redazione
Con Giannino Cusano ho avuto ripetuti scambi di opinione vivaci e polemici ma, partendo da punti di vista diversi, grazie alle sue appassionate argomentazioni e alla sua propensione al dialogo, pi volte ci siamo incontrati.
Alla sua famiglia e ad Antithesi le mie condoglianze.
Pietro Pagliardini
Commento
8003
di pietro pagliardini
del 13/04/2010
relativo all'articolo
Architettura e modernit
di
Brunetto De Batt
Ottimo commento quello di Vilma, che apre un sacco di scenari diversi.
Vorrei limitarmi ad una considerazione.
Il progetto io credo si formi, e si debba formare, prima nella testa che nelle mani. Vi sono grandi disegnatori che potrebbero realizzare ottimi disegni di architettura senza per questo essere architetti, a maggior ragione non grandi architetti.
Indubbiamente la mano il mezzo con cui si esprime ci che c' in testa ma lo strumento primo dell'architettura il cervello (anche se, chiaro, ci sono processi continui di feed back e interazioni tra schizzo e idea).
Da questo punto di vista, mi spiace ammetterlo, il fatto che Ghery non sappia o non voglia usare il computer, o almeno non sappia usare il software necessario, diventa irrilevante.
Il progetto, specie un progetto di una certa complessit richiede sempre pi mani e pi cervelli.
Brunelleschi non ha disegnato la cupola che porta il suo nome (a parte la lanterna), perch del progetto esisteva gi da qualche decennio il modello, eppure lui l'ha realizzato, ma non da solo, con l'aiuto di molti muratori e capi mastri alle sue dipendenze.
Brunelleschi stato capace di costruirla senza centine e ponteggi, progettando e costruendo da solo le macchine da cantiere necessarie. Brunelleschi era un orologiaio.
Il problema non questo. Il problema consiste nel fatto che il mestiere di architetto non fare un disegno, uno schizzo, ma rendere quel progetto eseguibile, plausibile, essere capaci di passare indenni, o almeno con minori danni possibili, dall'idea alla sua realizzazione, dall'astrazione alla concretezza, sapendo utilizzare al meglio tutte le professionalit necessarie, compresi coloro che fanno uso di software sofisticati.
Non solo strutturisti, impiantisti, esperti della sicurezza, geologi, idrauilici, geometri e quant'altro, ma anche esperti di software.
Di Gehry e di tutti coloro, quali la Hadid, disdegno invece fortemente i progetti tutti giocati su una presunta creativit, che invece , come minimo, condivisa con coloro che usano il software, ed anche il fatto che quel passaggio dall'astratto al concreto spesso fallimentare sotto il profilo tecnologico e architettonico (cause a non finire, almeno per Gehry). In questo senso, e solo in questo senso, sono pittori che non sanno usare il pennello.
Il progetto uno schizzo, la restituzione al computer e poi tutto passa ad altri, senza alcun controllo possibile del processo (non potrebbe essere diversamente, data la mole di progetti che sfornano).
Non solo, questo metodo induce i giovani a credere, appunto, che basti un software e un bel rendering per essere architetti. Non cos, come non vuol dire essere ingegneri comprare un software, farlo "girare", stampare disegni standardizzati e non capire come funziona una struttura.
Saluti
Pietro
Commento
7982
di pietro pagliardini
del 07/04/2010
relativo all'articolo
Il 'particulare' di La Maddalena
di
Paolo G.L. Ferrara
I nonni non fermano il tempo. Ai nonni il tempo scorre velocissimo. Loro stanno fermi, a guardare chi si agita vanamente verso il niente.
Maurizio, datti una calmata: sarai nonno anche te. Te lo auguro almeno.
Saluti
Nonno Pietro
(Pietro un bel nome da nonno, in effetti)
Commento
7976
di pietro pagliardini
del 02/04/2010
relativo all'articolo
Il 'particulare' di La Maddalena
di
Paolo G.L. Ferrara
Maurizio, credo tu abbia interpretato male quello che ho detto. Io non ho parlato di architettura, io ho parlato d'altro, ma proprio di tutt'altro.
Ho parlato di politica.
Sull'architettura mi sono limitato a dire che, nonostante non mi piaccia Boeri come architetto e come maitre a penser (visto che ci critichi, anche lui lo , all'ennesima potenza), apprezzo la sua qualit professionale nel caso della Maddalena (lo dico perch ho letto il suo articolo in cui racconta la storia).
Non c' invidia, dunque, se non quella, inevitabile e necessaria, per cercare di fare meglio.
Ma se proprio non vuoi essere d'accordo pazienza.
Buona Pasqua
Pietro
Commento
7971
di pietro pagliardini
del 02/04/2010
relativo all'articolo
Il 'particulare' di La Maddalena
di
Paolo G.L. Ferrara
Ferrara tocca molti argomenti ed davvero difficile afferrarli tutti in una sintesi credibile o almeno io non ci riesco. Perci mi soffermer su alcuni punti che pi mi interessano e non necessariamente legati all'architettura:
1) dice Ferrara: "Boeri non stato intercettato". Intanto non lo sappiamo se stato intercettato, sappiamo solo che non abbiamo resoconti di intercettazioni. Lo dico non per gettare sospetti su Boeri ma per rimarcare il fatto che anche Ferrara sembra attribuire alle intercettazioni un valore di prova "unica", un valore di condanna mentre, a mio avviso, quella delle intercettazioni divulgate un segno di grande incivilt. Io "sono stato imparato" che la posta sacra e inviolabile. Ho sempre ritenuto cosa mortificante la lettura delle lettere dei carcerati, figuriamoci fuori. Il telefono la posta moderna e dunque dovrebbe essere sacro e inviolabile. Non lo pi da anni e con questo abbiamo toccato, per me, il fondo dell'illegalit. Se lo scopo delle intercettazioni a strascico quello di "trovare qualche reato", allora significa che il fine giustifica ogni mezzo. Sempre. E allora niente lamentele su Guantanamo, per favore, dove tra l'altro, il problema lievemente pi grave che non un appalto truccato.
2) Boeri, che non apprezzo come critico, non apprezzo come architetto, non apprezzo come opinion maker dilagante un giorno s e l'altro pure sul Corriere e ovunque, che ho dichiarato, a commento della sua lettera su Abitare, essermi antipatico, per me ha svolto il suo lavoro alla Maddalena in maniera professionale, ha avuto il suo bell'incarico dai potenti di turno e io credo che sia un diritto dei potenti di turno scegliere persone e architetti in cui hanno fiducia. Non sar io a lapidarlo per questo.
Quello che non mi piace, invece, il fatto che Boeri faccia parte del sistema egemonico-culturale di sinistra, consolidato da decenni che soffocante e strutturato bene al punto che difficilissimo, talvolta, saperlo leggere e interpretare. E' difficile capire, con questo sistema, dove inizia la capacit di una persona e dove invece finisce la forza del sistema stesso.
E' un sistema non premiante le qualit individuali, che pure Boeri ha, perch difficile affermare che si pu avere successo in questo campo solo per altre cause; un sistema subdolo per cui, come si tocca un santuario scatta la solidariet del gruppo. E allora Bertolaso cattivo e Boeri buono.
E' un sistema che si lega a quello familistico non di tipo meridionale ma di tipo nordico, cio legato comunque a gruppi economici aperti alla produttivit; il che non ne attenua, se non in parte, il senso di fastidio, di soffocamento della libera iniziativa, di imposizione di un modello culturale che, comunque vada, deve essere per forza quello giusto e migliore. E' la base fondante della teoria della superiorit antropologica della sinistra.
Mi auguro che questo sistema frani miseramente e lasci il re completamente nudo e qualche segno confortante comincia a vedersi.
Saluti
Pietro
Commento
7804
di pietro pagliardini
del 17/02/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
Architetto Giusti, lei dice: "Deve l'architettura, per essere tale, costare tanto?
deve per forza esser fatta di gestualit, sfoggio di materiali pregiati e costosissimi (solo perch firmati da corrotti designer) oggetti, oppure no?" e mi invita a nozze: no, no , no. Solo che risponderei no anche se i designer fossero onesti.
A Cusano, che sulle elezioni ha perfettamente ragione dico, per quel che vale, che ieri ho dato la mia firma alla Lista Bonino-Pannella, come ho fatto tante altre volte, non perch poi li voter (neanche a parlarne oggi, anche se l'ho fatto in passato) ma perch la chance va comunque garantita, non dico a tutti (per motivi pratici) ma in base a regole uguali per tutti.
Saluti
Pietro
Commento
7790
di pietro pagliardini
del 13/02/2010
relativo all'articolo
Regalo di Natale 2008. A Marco Casamonti
di
Paolo G.L. Ferrara
Caro Cusano, io sono totalmente d'accordo con lei sugli Ordini.
Per, per natura, non riesco a leggere la storia (e neanche tanto la cronaca) sotto il profilo della corruzione, anche perch alla lunga pu portare verso strade pericolose.
Io vedo gli Ordini come espressione di una societ corporativa al cui vertice c' uno Stato invadente e pervasivo che soffoca, o almeno non incoraggia, ogni iniziativa proveniente dalla societ civile (termine abusato ma ci siamo capiti).
Molto Stato, molta corruzione. E gli ordini fanno parte di questo Stato (di cose).
Tacito diceva: Corruptissima respublica plurimae leges, cio uno Stato molto corrotto produce molte leggi.
Attualissima considerazione, ma vale anche al contrario: molte leggi (cio molto Stato,) creano corruzione. Lei, da radicale, sono certo che sar d'accordo con me e non apparterr a coloro che vogliono cambiare la debole natura umana.
Saluti
Pietro
Commento
7774
di pietro pagliardini
del 31/01/2010
relativo all'articolo
Il Piano Casa in Sicilia e il Ponte di Messina
di
Leandro Janni
Caro Cusano, lei mi fa il processo alle intenzioni perch io non sono un sostenitore dei condoni, n io ho mai plaudito ai condoni.
E aggiungo anche che il primo condono si portato dietro una conseguenza gravissima, quella cio di avere impostato tutte le leggi sull'urbanistica successive alla sua logica e alla struttura di quella legge.
Infatti tutte le leggi urbanistiche successive contengono la "concessione in sanatoria" e di fatto, almeno quella Toscana, ma credo anche molte altre, costringono ad utilizzare questo strumento (per pagare) alla fine dei lavori per "sanare" piccole difformit.
Non solo: il condono ha scatenato una stupida guerra burocratica per cui ogni volta che avviene una compravendita c' il solito tecnico che campa sulla "difformit" di centimetri di una finestra o di un tramezzo, una vera assurdit. che per ha creato una vera cultura non della precisione, ma della burocrazia e del contenzioso. Non pu capire quanto io abbia stramaledetto la legge 47 che, oltre il fatto di condonare gli abusi, ha dato lavoro non solo ai tecnici delle scartoffie ma anche agli uffici pubblici, aumentandone lo strapotere e i costi per la collettivit.
Io dico un'altra cosa: un edificio condonato per legge un edificio regolarmente autorizzato: pu non piacere ma cos.
Mi passer almeno che tra un edificio abusivo e basta e un edificio abusivo condonato in base ad una legge c' una qualche differenza? Altrimenti che caspita avrebbero pagato a fare gli abusivisti? per non farsi demolire la casa? Ma quante case interamente abusive crede ci siano dalle mie parti? Quando se ne trova una i giornali ne parlano per un mese! Qui si parla di veranda, di loggia chiusa a vetri, di finestra spostata! Semmai ci sono le capanne in campagna, vero, che per qualche scienziato ha creduto bene di fare anche trasformare in abitazione, con legge successiva!
Comunque, e finisco, credo che anche lei potr riconoscere che, alla luce di quanto sopra, l'affermazione di Janni che la legge siciliana avrebbe impedito l'ampliamento di "edifici abusivi" , nella migliore delle ipotesi, incompleta e fuorviante, cio non fornisce un'informazione corrispondente al vero, visto il testo della proposta.
Cordiali saluti
Commento
7770
di pietro pagliardini
del 29/01/2010
relativo all'articolo
Il Piano Casa in Sicilia e il Ponte di Messina
di
Leandro Janni
Caro Cusano, sono in totale disaccordo con lei.
Il fatto che vi siano altre leggi illiberali, e ve ne sono in quantit industriale, non giustifica affatto la continuazione e l'inasprimento di tale andazzo.
In realt anche lei vuole "punire" i cattivissimi che hanno fatto un abuso e poi l'hanno condonato. Lo si capisce e lo dice piuttosto chiaramente.
Mi sfugge del tutto il virus, lo definisco cos, che ormai induce ogni bravo italiano a gridare a pene sempre pi severe per ogni cosa. Forse l'effetto della TV. Per ogni fatto di cronaca nera che la TV prontamente racconta con le "testimonianze", si alza il'immancabile grido: leggi pi severe e pene pi severe. E' un automatismo ormai.
Ognuno di noi si sente migliore degli altri e dunque gli altri vanno puniti severamente. Sembra quasi vero.
Questa situazione mi suggerisce tre cose:
-le grida manzoniane;
-quello che una volta la sinistra condannava come atteggiamenti piccolo-borghesi;
-le monetine lanciate a Craxi, al cinghialone, da cittadini "onesti" e indignati.
L'indignazione moralistica! Ma tant'.
Come scrive Camillo Langone nel suo ultimo libro, Manifesto della destra divina, che consiglio vivamente di leggere, se si ha la forza di non "indignarsi", secondo alcuni ci vorrebbe un carabiniere per ogni cittadino e un avvocato per ogni carabiniere.
Fino a che continuer questo gioco di guardie e ladri, dove in realt nessuno vince e tutti perdono, questo paese non trover la forza di migliorare e rialzarsi. C' una visione priva di speranza in questo volere che per legge tutti siano buoni. E, in fondo, non lo dico per lei, c' una vena di fascismo nel desiderare l'uomo perfetto e nell'impossibilit di accettarlo invece con i suoi difetti. Cazzo (me lo consenta), la nostra umanit fatta di imperfezione, vivaddio, e non compito della legge farci diventare buoni. E invece ultimamente vanno tutte un questa direzione.
La Controriforma e l'Inquisizione non c'entrano proprio un bel niente nella legislazione autosconfessante, semmai c'entra il bizantinismo che la vera anima di questo popolo. D'altronde quella norma che rende in determinate circostanze non demolibile un edificio, a parte l'uso che pu prestarsi a grandi elasticit, un elemento di buon senso, successivamente chiarito con l'art. 12 di non so pi nemmeno quale legge, forse la 47, o chiss quale altra tra le migliaia, che dice che si pu monetizzare (a caro prezzo) nel caso in cui non si possa procedere a demolizione della parte abusiva senza pregiudizio dell'intero fabbricato.
Pensi al caso di un edificio costruito con altezze di interpiano maggiori di quelle ammesse: che facciamo, per 10 cm per piano demoliamo tutto l'immobile? O forse s, della inflessibile serie chi sbaglia paga?
Molto inquisitoria a me sembra invece una norma che vuole appunto punire coloro che hanno commesso un reato ma lo hanno poi condonato in base ad un'altra legge. Il condono certamente un errore ma le leggi, caro Cusano, si applicano, non si interpretano e chi apprezza la Riforma lo dovrebbe sapere molto meglio degli altri.
Saluti
Commento
7768
di pietro pagliardini
del 28/01/2010
relativo all'articolo
Il Piano Casa in Sicilia e il Ponte di Messina
di
Leandro Janni
Gentile Janni, davvero non ho nessuna intenzione polemica ma vorrei da lei un chiarimento sul Piano Casa in Sicilia.
Per una assolutamente fortuita coincidenza che non sto a spiegarle ho finito di leggere un attimo fa l'articolato della legge in questione, quella della regione Sicilia intendo.
Lei dice che stato inserito il "divieto di ampliamento per gli edifici abusivi". Detta cos, se fosse questo il divieto, avrebbe perfettamente ragione ma la legge non dice esattamente questo, dice un'altra cosa e cio, all'art. 2 comma 5 recita:
"5. Gli interventi possono riguardare esclusivamente edifici legittimamente realizzati. Sono esclusi gli immobili che hanno usufruito di condono edilizio".
Ora il primo periodo quello che dice lei, cio gli edifici abusivi non possono essere oggetto di premio. E ci mancherebbe altro!
Ma il secondo periodo dice che sono esclusi anche gli edifici condonati. Ora lei converr che un edificio condonato con legge dello Stato non ha pi lo status di edificio abusivo ma perfettamente legittimo.
Questa , vivaddio, un principio fondamentale del diritto in uno stato liberale e "laico". Un condannato che abbia scontato la sua pena o che abbia goduto di un'amnistia riacquista tutti i suoi diritti. Se cos non fosse vorrebbe dire che lo Stato non punisce un "reato" ma un "peccato".
Il peccato, infatti, eterno e solo Dio lo pu perdonare.
Ecco, la Regione Sicilia, ha assimilato il reato al peccato e ha condannato i peccatori alla dannazione eterna.
Immagino che lei non abbia letto perfettamente la legge, e avrebbe la mia comprensione perch tutte le leggi sono noiose e anch'io le leggo solo quando strettamente necessario.
Adesso mi consenta una nota polemica, non per lei ma per la classe politica. La stessa norma presente nella analoga legge della Regione Toscana, dove il catto-comunismo di casa.
Mi domandavo, in effetti, come mai questa stessa norma fosse fatta propria dalla regione Sicilia e mi rispondevo che forse era in ossequio all'imperante moralismo. Ma lei me l'ha chiarito: emendamento del PD.
Diventer mai "laico" questo partito e, soprattutto, rispettoso del diritto? Sento sempre un gran parlare di "legalit" e poi se ne fa strame continuamente.
E' proprio una classe politica impazzita, senza principi e senza coerenza!
Saluti
Commento
7758
di pietro pagliardini
del 13/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Vilma, ho riletto il tuo post con piacere e, aldil delle rispettive posizioni, apprezzo il fatto che tu dichiari di essere snob, anti-democratica, classista, ecc.
Ognuno come e, ammesso e non concesso che tu sia come dici, il riconoscerlo sgombra il campo dalle ipocrisie, contro le quali irritante il solo discutere.
Come capirai ho gi detto molto e anche troppo, dunque non mi ripeto.
A Cusano dico che c'era un tono scherzoso in quella mia battuta e comunque ha ragione: se non c' la ricetta bisogna trovarla e solo discutendo possibile.
Adesso per il momento di passare ad altro e vi lascio a Bruno Zevi.
Saluti a tutti
Commento
7755
di pietro pagliardini
del 12/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Caro Cusano, probabilmente non sono stato chiaro. Io non parlo di giuria popolare nel senso di scegliere un tot di persone e farne una giuria popolare, come nel processo penale USA. Per banalizzare, al Festival di San Remo c'erano le giurie popolari, ma poi chi decideva davvero era il mercato: chi pi vendeva aveva pi successo. S'immagina con quali criteri verrebbero scelti? Se lo immagina s, non vero? Se deve essere cos, una parodia di democrazia, meglio lasciar perdere. ll paragone con le giurie dei Tribunali non mi sembra, in realt, pertinente, perch il giudizio sulla vita, in qualche paese sulla morte, di un uomo, richiede un atteggiamento, un impegno, una tensione morale del tutto diversi. Mi auguro di non dovermici trovare mai.
Io parlo di invitare i cittadini TUTTI ad andare ad esprimersi su quale progetto sembri a loro pi adatto tra quelli in gara.
Domanda pertinente la sua: a cosa serve la giuria tecnica se poi alla fine decideranno i cittadini? Io ho gi risposto a questa domanda: rimettendo la decisione nelle mani del sindaco, che ho detto non essere un notaio, ma eletto con regolare voto per guidare la citt. Lei dir, ma chiaro che il sindaco sceglier il giudizio dei suoi futuri elettori. E' altamente probabile ma non scontato, perch possono esservi situazioni di grande equilibrio o di indeterminatezza in cui, tutto sommato, si pu ritenere opportuno affidarsi agli esperti. Possono esserci pochi votanti, ad esempio.
E comunque la giuria tecnica sar tanto pi importante quanto pi sar autorevole, cio quando apparir, oltre ad essere, equilibrata. E credo che, sapendo del passaggio successivo, lo potrebbe davvero diventare.
Ma poi......lei vuole tutto scodellato e pronto? Non ho la presunzione di avere la formula chimica esatta in mano, so solo che i composti sono questi, ma non ne conosco le dosi. E chi le conosce!
So anche che i miei clienti il progetto lo vogliono vedere e discutere e criticare e cambiare. E diamo questa opportunit anche ai cittadini che sono i clienti delle opere pubbliche!
Why not?
Saluti
Commento
7753
di pietro pagliardini
del 11/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Caro Cusano, non escludo affatto di poter coinvolgere i cittadini nella fase preliminare per conoscere le richieste, le necessit, i desideri dei cittadini. Per, dato che non mi piace affatto la demagogia e non mi piace l'ideologia della partecipazione, converr che fare un progetto con 200 persone non sia proprio una passeggiata e pu anche dare esiti catastrofici, per il fatto che c' chi vuole partecipare e chi no, ma la democrazia non obbliga alla partecipazione quanto ad avere la possibilit di decidere.
C' chi se ne sta volentieri a casa a guardare la TV o preferisce andare a cena con gli amici senza apprezzare le riunioni "condominiali", ma al momento di decidere ha gli stessi diritti degli altri.
Io credo che sia necessario acquisire i pareri dei cittadini, che sia sotto forma di focus-group o di sondaggio o di interlocutori privilegiati (vale a dire quelli che, notoriamente, in una certa zona sono rappresentativi) ma, alla fine le loro richieste potrebbero essere parziali, settoriali (commercianti o pensionati ad esempio) e non rappresenterebbero tutte le istanze, certamente non di coloro che sono rimasti a casa (la maggioranza).
In genere i risultati sono i seguenti: pi verde (in una piazza?), meno auto ma pi parcheggi e cos via.
Io credo che sia molto pi facile manipolare la gente nella fase preliminare ed quello che avviene generalmente, ad esempio con i Piani Regolatori. Poi ci sono le osservazioni (il voto) in cui ognuno dice veramente quello che pensa.
Io credo che la maggioranza sia sempre silenziosa ma, messa di fronte ad una scelta, pu essere indotta a mettere una crocetta sul progetto che a loro sembra pi adatto o pi bello.
Ma ci pensa a possibili riunioni in cui, alla fine del concorso, ogni architetto illustri il suo progetto! Ma non la intriga il fatto che ci sia un ritorno con i piedi per terra e, anche con un'opera pubblica, ci si debba confrontare con la gente? Almeno a livello di linguaggio (parlato e scritto) converr che sarebbe una purificazione! Non parliamo poi del linguaggio architettonico! Non le sembra una esaltazione della figura dell'architetto (certo, in qualche caso anche uno sputtanamento, ma il rischio va corso).
Non viviamo in una Repubblica Popolare ma in uno Stato Democratico e ognuno deve essere libero di partecipare o meno e, ripeto, chi partecipa non ha maggiori diritti di chi non lo fa.
Il nostro paese ha una societ civile non troppo forte e ogni iniziativa viene quasi sempre risucchiata dalle istituzioni.
Vuole un esempio?
Guardi le famose ronde. Erano nate spontaneamente, come bisogno dal basso, probabilmente svolgevano un loro ruolo senza creare problemi. Hanno voluto istituzionalizzarle; chi le esaltava a vanvera, chi le demonizzava ancora pi a vanvera...ne ha saputo pi niente? Forse saranno utili a chi tiene i corsi e riscuote per essi.
La mia esperienza nel campo delle cooperative edilizie, fatta quando erano vere coop e non immobiliari con altro nome, mi dice che la gente vuole decidere, eccome, ma fino a che non ha una proposta davanti le idee sono le pi vaghe e generiche del mondo. Dopo ti massacrano. Per c' da imparare.
Adesso mi sembra il momento di prenderci una tregua e tirare un po' il fiato.
Grazie
Commento
7750
di pietro pagliardini
del 10/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Caro Cusano, cercher di essere breve, altrimenti debordiamo.
Sul PD chiaro, io, non essendo pi addentro, mi limitavo ad un personale giudizio sulla fase finale, che confermo essermi piaciuta. Ho anche l'impressione che il segretario scelto sia, tra quelli in gara, quello che rappresenta meglio il PD attuale, anche se ammetter che non facile determinare l'anima di quel partito, ammesso che ce l'abbia.
Su Natalini, s, quello del Superstudio, ma oggi alquanto cambiato, direi, e credo che lei lo sappia.
Avrei apprezzato un concorso su Natalini a parti rovesciate? Mi viene voglia di rispondere: impossibile, pensando come i partiti sulle leggi elettorali che le calibrano sulle loro convenienze (e ci mancherebbe altro che le facessero su quelle degli altri!). L'avrei apprezzato ugualmente come metodo, se non come scelta, anche se mi avrebbe messo in difficolt.
Non prendo affatto l'Olanda come esempio di quasi niente perch sar vero che fanno gli aborti sulle navi ma praticano l'eutanasia infantile negli ospedali e hanno consegnato parti intere del paese alla sharia, quella vera. Mi sembrano alquanto confusi in verit. Non mi piace neanche prendere esempi dagli altri paesi (ES: tutta Europa lo fa. E allora?) apprezzo singole scelte e non ne apprezzo altre, perch non credo alla perfezione, credo a quanto dice W. Churchill.
Sui referendum: se ho capito bene lei stato radicale. Converr che ne stato fatto abuso. Ma non formalizziamoci troppo sulla forma di referendum previsto in costituzione. Qui si parla di votazione su un problema specifico: la scelta per la citt. Non mi sembra un problema di carattere costituzionale chiedere ai cittadini: tra questi progetti quale ritenete pi idoneo per Piazza Garibaldi?
Van Gogh sarebbe stato bocciato: assolutamente certo (ma non mica una novit che molti artisti siano stati ignorati in vita e scoperti da morti, e senza referendum), ma la citt non una tavolozza e negli ultimi decenni invece lo diventata, e tutti i presunti e presuntuosi artisti a scarabocchiarci sopra. E' il momento di rimettere le cose apposto perch le tavolozze si possono conservare in cantina e se c' un artista vero prima o poi lo si scoprir; invece la citt resta scarabocchiata e la gente vive peggio.
D'altra parte non c' pi il Principe, ma direi non c' pi il committente. Anzi l'unico committente il mercato e dunque si allarghi il mercato e, invece di un monopolio tra finanza e "cultura" mediatizzata e istituzionale, si apra ai consumatori veri, cio i cittadini.
Nessuna soluzione tuttavia definitiva: oggi mi sembra assolutamente il momento di questa soluzione, per evitare il peggio.
Riflettiamo sul metodo. Tanto lo faremo solo io, lei e Pacciani!
Cordiali saluti
PP
Commento
7743
di pietro pagliardini
del 09/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Gentilissimo Cusano, la ringrazio per la sua risposta di cui apprezzo molto il tono di apertura al dialogo.
Lei chiede a me e ad Andrea Pacciani di approfondire la proposta ed io sono il primo a riconoscere, contrariamente a quello che fa spesso la politica, che alle idee devono seguire i fatti, ai principi i metodi per attuarli.
Se il livello generale della discussione fosse a questo punto, se ci fosse cio una certa, non dico larga, condivisione sulla proposta generale, sarebbe davvero il momento di sedersi intorno ad un tavolo, anche virtuale, e mettersi ad approfondirla. Temo non sia cos.
Tuttavia le dir quello che penso e che ho sempre detto.
Intanto non assolutamente una novit perch esperienze ve ne sono, non molte ma esistono. Io stesso ho sentito l'architetto Adolfo Natalini che ha raccontato la sua storia a Groningen in Olanda dove ha potuto vincere, ribaltando il giudizio della commissione, grazie al voto popolare.
In quel caso andata in questo modo: la giuria tecnica aveva stilato una graduatoria e Natalini era abbastanza lontano dalla vetta (certo, immagino che non fossero gli immorali concorsi caravan-serraglio come quelli in Italia, con 50, 100 studi e quindi 150, 300 persone a lavorare gratis per un progetto che non verr attuato). I progetti sono stati sottoposti a giuria popolare e Natalini ha raccolto circa l'80% dei consensi. L'amministrazione stata costretta, disse lui, ad affidargli l'incarico.
Peraltro, se conosce il progetto, regolarmente eseguito, stata una fortuna, per Natalini ma credo anche per la citt.
Ora, lei che una persona precisa, vorrebbe per sapere: come avvenuto il voto? Con quali procedure? Lei cita infatti le primarie PD ritenendole un p confusionarie e manipolate. Personalmente, che non voto PD, le dico invece che ho apprezzato molto quelle primarie, le ultime per i segretario nazionale intendo, perch mi sono sembrate "vere" e guidate da uno spirito giusto. Forse il metodo politicamente non perfetto ma credo che dipenda da problemi di sostanza politica del partito, non tanto dalle procedure. Il consenso stato organizzato attraverso movimenti che lei ritiene non del tutto limpidi? Ma questo fa parte della lotta politica e la democrazia non uno strumento perfetto!
Tornando ai concorsi. E' certo che l'Olanda davvero un altro mondo rispetto all'Italia: l le elezioni politiche si svolgono non nelle scuole, come da noi, con la polizia fuori a vigilare, ma nei luoghi pi disparati, comprese le case private e i pubblici esercizi. Eppure i brogli ci sono anche da noi.
Per dobbiamo tenere conto sempre dell'oggetto del voto: cio un progetto per la citt, un edificio pubblico, una piazza, una strada, un parco, un lungomare, ecc.
Dietro i concorsi d'architettura ci sono interessi in gioco ma molto di casta, limitati, e certamente non capaci di mettere in moto masse di voti teleguidati.
Nei concorsi cui ho partecipato nella mia citt ha quasi sempre fatto seguito una mostra, pubblicizzata in genere dall'ente banditore, cio il comune. Ora se la mostra fosse fatta con un funzionario che raccoglie le firme, esattamente come alla primarie del PD dove non credo ci siano i certificati elettorali o i notai, e i cittadini fossero invitati a lasciare il loro voto io non ci vedrei niente di strano.
Certo, per i progetti pi importanti occorrerebbe un vero e proprio referendum (a Firenze avvenuto per la tramvia, ed servito a qualcosa) ma non per dire SI o NO quanto per scegliere tra una gamma di progetti. Ma quale manipolazione si pu fare in un campo come questo? Un partito che sponsorizza un architetto? Ha altro a cui pensare quel poco che rimasto dei partiti!
Il vero problema tecnico-culturale-politico che io vedo viene prima, cio nel concorso vero e proprio. Non ho dubbi: niente falso anonimato. Credo anche che la giuria tecnica dovrebbe stilare una graduatoria ma tutti i progetti, salvo quelli irregolari, dovrebbero andare in votazione. Sa perch? Perch i nostri giurati non solo tendono a fare vincere gli amici, ma anche a premiare progetti analoghi a quelli degli amici, per dare corpo al loro giudizio, non tenendo minimamente conto di progetti diversi che a loro non piacciono ma che i cittadini potrebbero invece apprezzare. Il voto potrebbe determinare un'altra verit e l'amministrazione, cui io lascerei la scelta finale, perch la democrazia rappresentativa prevede che il Sindaco non faccia il notaio ma prenda decisioni, dovrebbe assumersi la responsabilit della scelta finale.
Niente a che vedere con la Merloni e il Codice Appalti, figlie di tangentopoli e del giustazialismo di ritorno, illusione pericolosa e anti-democratica di una onest imposta per legge, una sharia in chiave italiana, l'applicazione di un codice morale generalizzato in forma legislativa.
Le ho detto quello che penso e che non pretende certo di essere una risposta definitiva.
Perch darebbe digni
Commento
7738
di pietro pagliardini
del 09/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
A Giannino Cusano dico che non deve aspettare la cicogna per "l'urbanistica partecipata" dato che arrivata da tempo, almeno in Toscana, con Legge urbanistica regionale.
Solo che una partecipazione istituzionalizzata e guidata dall'alto, fatta solo per governare e organizzare politicamente il consenso, potersi presentare con le carte formalmente in regola e le mani pulite e dire: i cittadini sono stati informati. Non certo per fare scegliere i cittadini.
Per fortuna che c' una legge nazionale che ancora prevede le "osservazioni", attualmente unico, reale strumento di partecipazione al piano.
Per i concorsi d' architettura l'unico modo per ridare dignit e autorevolezza alla professione e alla progettazione, dunque all'architettura, non c' che il referendum, dopo che una giuria tecnica ha espresso il suo giudizio. Cos si evita lo scandaloso fenomeno dello scambio di figurine perpetrato tra architetti giurati e architetti partecipanti, prassi che tutti conosciamo bene ma che pochi denunciano, e si pu far decidere coloro che hanno titolarit a farlo, cio i cittadini.
Chi ha paura del giudizio popolare?
Quanto mi piacerebbe una risposta a questa domanda!
Cordiali saluti
9/1/2010 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Io, da convinto democratico, temo molto il giudizio popolare.
Perch non mai un giudizio critico ma morale.
Cos come, in tribunale, vorrei farmi giudicare laicamente (i reati da una parte; i peccati dallaltra) anche in questo caso vorrei affidarmi ad un sistema massimamente critico, il pi possibile immune dalla demagogia. Pensi se i quadri di Van Gogh fossero stati, allepoca, sottoposti a referendum: quanti se ne sarebbero salvati?
Ho gi espresso pi volte il mio parere sui concorsi: palesi, dove giudici e giudicati illustrino e dibattano pubblicamente opera e verdetto. Sarebbe gi un gran passo avanti nel senso della partecipazione e della responsabilit delle scelte.
Unulteriore considerazione. Un giudizio che comporta delle conseguenze non pu essere immune da responsabilit. La responsabilit sempre personale. Ne consegue la natura astratta del giudizio popolare", irresponsabile per la sua natura indistinta e quindi impersonale.
Commento
7736
di pietro pagliardini
del 08/01/2010
relativo all'articolo
Bruno Zevi due lustri dopo
di
Sandro Lazier
Non voglio parlare di Bruno Zevi per evitare sterili polemiche.
Mi piace invece l'intervento di Andrea Pacciani. Lei dir, gentile Lazier: ovvio.
S, ovvio, come ovvio che a Carlo Sarno piace il suo. Dunque, al massimo ci mettiamo in pari.
Lei dice, citando Zevi, che l'arte sempre contemporanea e io sono d'accordo. E non potrebbe essere diversamente, dato che anche questa affermazione ovvia.
E' contemporaneo Botta, non so se sia artistico ma un contemporaneo che non mi piace molto, anche se gli riconosco alcuni passati meriti.
E' contemporanea Zaha Hadid, anche se mi non piace affatto, ed un po' troppo artistica per i miei gusti. Infatti progetta sculture futuriste e non edifici.
E' contemporaneo Lon Krier, che a me piace abbastanza, anche se non saprei dire se sia un artista, se non quando fa i disegni, che a me sembrano artistici.
Quando abbiamo detto contemporaneo non abbiamo assegnato all'evento architettonico niente altro che una qualificazione temporale, e a me va bene in questo senso perch cos hanno pari dignit i progetti di Krier e quelli di Hadid, in quanto entrambi espressioni della contemporaneit, cio del nostro tempo.
Ma evidente che c' una grande differenza tra i due progetti. Ora, mi sembra di capire che lei attribuisce a quelli di Krier (l'ho tirati in ballo io sia Krier che Hadid, non lei, ma solo un esempio) il valore della musica orecchiabile, quindi pi facile, quindi pi popolare e perci stesso pi rozza. Mentre quelli della Hadid sono pi alti, raffinati, elitari, solo per orecchi adatti.
Vorrei per fosse chiara una cosa: non essendo io n populista n demagogico n sprovveduto, so benissimo che esistono vari livelli di godimento e fruizione dei fenomeni artistici, in funzione di una sorta di allenamento, altrimenti detto livello culturale e capacit critica, ma c' un problema di non poco conto che viene spesso trascurato: l'architettura non propriamente arte, o almeno non solo arte, lo pu diventare solo in rarissimi casi e come rara eccezione. E lo tanto meno arte quanto pi figlia di una unica figura, cio l'architetto.
Una cattedrale gotica certamente arte, perch frutto di un lavoro collettivo di molti artisti che hanno concepito l'architettura in modo non separato dalla decorazione, dalla scultura. Una cattedrale gotica ha un simbolismo che oggi difficilmente comprensibile in maniera completa da chiunque. esperti compresi. Per di una cattedrale gotica quasi tutti, se non proprio tutti, sono in grado di apprezzarne la bellezza. Perch? Diciamo che orecchiabile, un godimento non riservato a pochi ma a tutti. Ed apprezzata anche dall'elite culturale.
Un progetto della Hadid, invece, potr stupire tutti per le sue forme, diciamo cos, avveniristiche, come pu stupire tutti l'inutile grattacielo alto pi di 800 metri, al pari di tutti i fenomeni strani, inusitati o mostruosi che stupiscono e anche affascinano.
L'architettura della Hadid, e tutta quella di quel genere l, un fenomeno solo elitario (a parte l'evento mediatico, che abbassa per il livello culturale e lo riporta a quello del Grande Fratello).
L'architettura di Krier (non ne ha fatta moltissima in verit) anch'essa orecchiabile, non quanto le cattedrali gotiche forse, ma comunque abbastanza.
Perch?
Perch l''architettura non pittura, non nemmeno scultura, anche se ha a che vedere con lo spazio; l'architettura ha la caratteristica della utilitas, serve, ha una funzione, quella di costituire la struttura di base dell'ambiente di vita sociale dell'uomo. E' per questo che l'architettura appartiene a tutti ed per tutti e non solo per suoi autori e per una ristretta cerchia di esperti o appassionati, che anzi spesso la rifuggono e la snobbano. Nell'architettura di Krier, o di quel genere l, la gente avverte la presenza, senza magari concoscerle, della firmitas, della venustas e, soprattutto, della utilitas, cio del fatto che quella la casa dove vivere.
Oddio, anche gli architetti in genere costruiscono stramberie per gli altri ma vivono in belle case antiche, con ci dimostrando di appartenere a pieno titolo alla razza umana.
Ed per tutto questo che anch'io, come Andrea Pacciani, trovo assolutamente naturale che nei concorsi si debba esprimere la citt. L'architettura non materia da esperti, o meglio non lo nella fase decisionale. Non n illusione n utopia ma una laica, semplice, naturale osservazione della realt delle cose.
Cordiali saluti
Commento
7635
di pietro pagliardini
del 02/12/2009
relativo all'articolo
Conservatori del moderno e moderni conservatori
di
Sandro Lazier
Non voglio importunare pi di tanto, ma questo articolo di Marco Romano sul Corriere mi sembra che chiuda il discorso sui boschi in piazza.
http://www.selpress.com/cesar/immagini/021209R/2009120238826.pdf
Saluti
Pietro
Commento
7631
di pietro pagliardini
del 30/11/2009
relativo all'articolo
Conservatori del moderno e moderni conservatori
di
Sandro Lazier
Sul bosco incantato del mago Zurl vi segnalo questo articolo:
http://www.selpress.com/cesar/immagini/301109R/2009113037519.pdf
A me sembra, quella di Abbado, un vero e proprio ricatto ideologico in chiave conformista: volete la star? L'avrete solo se voi, gente di destra, magliari insensibili all'ambiente e al verde, vi inchinerete al Maestro e all'ideologo. Se abboccano affari loro, io non abito a Milano.
Bizze da primadonna...politicamente corrette!
Saluti
Pietro
Commento
7625
di pietro pagliardini
del 27/11/2009
relativo all'articolo
Conservatori del moderno e moderni conservatori
di
Sandro Lazier
Sul boschetto in Piazza Duomo a Milano, e su tutti i boschetti in genere che molti vorrebbero collocare nei centri storici, sono assolutamente daccordo con Mario Galvagni. La citt contemporanea e luomo hanno s bisogno di natura al proprio interno, che siano parchi urbani, parchi di quartiere, intimi angoli di vicinato, giardini privati e quantaltro ma lo spazio pubblico storico non tollera boschetti.
La citt lo spazio antropizzato per definizione e la citt storica la citt per definizione, mentre il bosco natura alla stato puro, quella che luomo ha combattuto per ricavare spazio per s, per le sue citt, per lagricoltura e poi per la produzione; un bosco non pu dialogare direttamente con una piazza perch le due parti sono, filosoficamente, lesatto contrario: o vince luna o vince laltra. Quando una citt decade e poi muore viene risucchiata dalla natura che se ne riappropria, come si riappropria delle colline non coltivate o abbandonate, quindi collocare un bosco in uno spazio fortemente costruito e strutturato il simbolo di una sorta di minaccia alla sopravvivenza della citt. Del tutto diverso il caso di un bosco allinterno di un parco, perch assolve a molte funzioni essenziali per luomo, che parte della natura.
E stupefacente che Renzo Piano abbia dato credito ad unoperazione conformistica di pura immagine e senza alcun beneficio reale, fatta in ossequio ad unideologia che, esaltando una natura immaginaria, nella sostanza contro luomo e contro la sua storia fatta, come afferma Galvagni, di una lotta secolare non per affrancarsene, che non possibile n auspicabile, ma per dominarla e piegarla ai propri bisogni.
Anche quando io ero piccolo cera la festa dellalbero, con la relativa retorica, ma serviva ad esaltarne l'utilit per luomo e, soprattutto, non veniva piantato in piazza.
Saluti
Pietro
Commento
7599
di pietro pagliardini
del 13/11/2009
relativo all'articolo
Architetti, crisi e architettura
di
Sandro Lazier
Devo dire che i convegni, salvo rari casi, sono una sicurezza, nel senso che non producendo novit di sorta ci concedono un rassicurante senso di tranquillit. Anche questo non sfugge alla regola, salvo su un punto che, devo ammettere, raro ascoltare. Ma procedo con ordine.
Sulla formazione sono daccordo con Sandro Lazier, anche se con motivazioni diverse: non nemmeno da ipotizzare in regime ordinistico. Se la professione fosse organizzata con un sistema associativo nel quale ogni architetto potesse scegliere se e a quale organizzazione aderire, allora la formazione sarebbe una libera scelta e niente da dire. Ma essendo impossibile non essere iscritti allordine se si intende esercitare la professione di architetto, la formazione diverrebbe obbligatoria e, tenuta dagli ordini stessi, diventerebbe ipso facto una mera operazione burocratica, economica e di auto alimentazione del potere dellordine sulliscritto. Si dica allora che non esiste la libera professione, come ad esempio i medici di base cui poco rimasto di libero, e che diventiamo tutti funzionari convenzionati con lo stato, se non dipendenti. Potrebbe essere comodo di questi tempi diventare architetti condotti, con relativo stipendio, ma non ci fa fare un passo avanti.
Non sono invece affatto daccordo sui timori di Lazier che fonda la professione di architetto su basi creative ma questo un altro discorso che sarebbe lungo affrontare, anche se concordo sul fatto che una disciplina (che non esiste in verit e ce ne sarebbe bisogno) non pu essere affidata, al solito, ad un organismo obbligatorio come lordine. Comincio a credere che anche la scuola obbligatoria, anche se fondata su motivazioni nobili, sia una violazione della libert individuale e delle famiglie, figuriamoci se posso essere daccordo con lobbligo delleducazione permanente per gli adulti e gli anziani!
Vorrei poi ricordare a Lazier che la formazone non figlia dellultimo anno del governo conservatore, ma un cavallo di battaglia della sinistra che, con le sue varie organizzazioni, sindacati in prima linea, ha fatto di questa uno dei business del secolo. E anche lEuropa non scherza quanto a contributi economici in tal senso. Dunque mi permetta di dire che la sua analisi in questo punto profondamente sbagliata. Purtroppo il governo non sufficientemente conservatore e ha il difetto di avere assimilato molti dei vizi di quello progressista, dato che il business evidentemente non ha partito.
Il punto veramente nuovo quello del confronto e della competizione. Sentir dire: Essere rivali nella ricerca della qualit, essere rivali nel confronto culturale e delle idee, confrontarsi sui risultati e sui successi significa essere attori di un mondo di valori positivi. In quel mondo a cui a volte guardiamo persino con dolore non sono pi bravi di noi. Lo sono diventati, perch hanno scelto di sfidarsi sul terreno delle idee e non sul terreno dei fatturati o addirittura su quello delle vanit che rappresentano il gradino pi basso della dignit umana perduta. Perfetto ma, non per volere a tutti i costi fare distinguo, anche il fatturato conta, eccome. Non riconoscere un valore economico al nostro lavoro, e quindi non confrontarsi anche su di esso in una logica di leale concorrenza, significa condannarci a guardare agli altri ancora con dolore. Significa non riconoscere le differenza tra uno studio e laltro e quindi ritornare allassurda concezione insita nel sistema ordini stico che tutti siamo uguali. Non cos. C chi pu fare ottimi progetti a costi inferiori di altri; una condizione di assoluta normalit in un sistema economico come il nostro. Continuare nel lamento delle tariffe (tranquilli, le stanno reintroducendo) significa restare nellambito di un sistema corporativo e protetto fuori dalla realt. Diverso il caso di porre limiti ai ribassi, ma la parola ribasso non ci pu fare paura.
Dove invece non seguo affatto Lazier in quella lunga e artificiosa definizione di ci che di destra e ci che di sinistra. E come la metropolitana che sarebbe di destra e la tramvia di sinistra. A Firenze posso dire che la tramvia venuta proprio male e pare che anche lalta velocit interrata non prometta bene: sono di sinistra ma le hanno sbagliate proprio tutte.
Oppure Larchitettura una bestia strana che tiene insieme conservatori di destra e di sinistra, per cui molti progetti di destra vengono promossi da eminenti personalit della sinistra ovviamente reversibile e varrebbe lo stesso. Meglio evitare queste schematizzazioni.
Saluti
Pietro
Commento
7560
di Pietro pagliardini
del 22/10/2009
relativo all'articolo
Opere faraoniche e tragedie annunciate 3
di
Leandro Janni
Vilma, davvero questa volta ci troviamo d'accordo, anche se con qualche distinguo. Il ponte come la ruota, vai a capire chi l'ha inventato per primo. Il gesto di un bambino che butta un sasso in un ruscello per superarlo senza bagnarsi le scarpe contiene gi in s l'idea di ponte. Il ponte, prima che un significato simbolico, che grande, una necessit, oggi come ieri. Il ponte sullo stretto non sfugge a questa regola: tra un'ora e mezza di tempo (se va bene) e 5 minuti (se va male) non c' gara possibile. Quanto costa (tra tariffa traghetto e tempo) fare un trasporto da Milano a Reggio e uno da Milano a Messina, e viceversa?
Quanto incide nella mentalit del turista un viaggio di dieci ore, a rischio di attese pi lunghe allimbarco, rispetto ad un viaggio di 8 ore e mezzo? Non c gara, proprio non c gara.
Qual' il problema dunque? Tralasciando i soldi, le difficolt tecniche, le VIA, la qualit del progetto, il "ma prima necessario che...", il governo che lo ha deciso, e quant'altro, a me sembra che il primo problema stia nel fatto fondamentale se i siciliani lo vogliono oppure no.
Quando dico siciliani non mi riferisco ai politici ma ai cittadini comuni. Un ponte che unisce lisola al continente non un ponte qualsiasi perch credo sia capace di modificare la percezione del continente.
E anche se mi sbagliassi, ed possibile, tuttavia credo che i siciliani dovrebbero esprimersi, a meno che non labbiano gi fatto e io non lho saputo, ed anche questo possibile. Sono loro che ne godrebbero i vantaggi o ne subirebbero gli effetti negativi.
A quel poco che so non c grande entusiasmo, non so se per il ponte in s o per lo scetticismo sulla sua realizzazione.
Vilma, quel manifesto non so se sia uno scherzo, e allora sarebbe divertente, o se sia serio, e allora sarebbe delirante. Non perch vuole salvaguardare il nostro paesaggio, ma perch tale salvaguardia non pu essere cos assoluta, generalizzata e ottusa. Esiste una gerarchia di valori da rispettare.
Inoltre chiaro che le infrastrutture sono una necessit e le grandi opere di ingegneria (ponti, dighe, ferrovie, ecc) non si distinguono per lo stile antichista o modernista ma proprio per la loro qualit e coerenza specifica tecnica e strutturale. Salvo non siano gratuite, un po come i viadotti di Calatrava a Reggio Emilia, in cui le dimensioni degli archi mi sembra appartengano pi al genere architetto che vuole lasciare il segno che ad una necessit. Insomma, mi sembra che vi sia molta sovrastruttura superflua.
Ciao
Pietro
Commento
7520
di Pietro pagliardini
del 15/10/2009
relativo all'articolo
Opere faraoniche e tragedie annunciate 2
di
Leandro Janni
Mi spiace, ma lei non risponde alle mie domande perch non vuole leggere ci che scrivo. Credo,a questo punto, sia sinceramente inutile continuare ad offendere le nostre rispettive intelligenze.
Noi due siamo (stia attento, ho detto SIAMO) lo specchio della catastrofe italiana: da una parte un potere culturale e politico in disfacimento totale che arriva ad appellarsi ad Obama (il quale palesemente non c'entra un piffero con le nostre beghe) come ultima speranza possibile cui riferirsi, nell'impossibilit di trovarne una credibile in casa propria, dall'altra una forza grande che per costretta a muoversi a spintoni e spallate, nell'impossibilit di poter discutere serenamente dei mali che ci affliggono.
Lei non contro il Ponte in s, non una ragione ha addotto, lei contro ogni cosa proposta da Berlusconi, io non sono a favore del Ponte, di cui anzi nutro dubbi, ma sono costretto a difenderlo di fronte al vuoto di motivazioni contrarie che sento.
Se continuassimo a scriverci finiremmo coll'offenderci inutilmente perch non ci capiremo mai e non c' alcun motivo plausibile per farlo.
Quindi lei continui a credere di essere uno strenuo difensore dell'ambiente e un paladino della "legalit", io continuer, ma non con lei, a fare domande, sperando di ottenere qualche risposta coerente con l'argomento.
Saluti
Pietro
Commento
7513
di Pietro pagliardini
del 13/10/2009
relativo all'articolo
Opere faraoniche e tragedie annunciate 2
di
Leandro Janni
Mi scusi se insisto sig. Janni ma ho da farle un'altra domanda (non mi scambi per con Repubblica che ne ha fatte molte di pi):
Lei dice che scriteriato aumentare del 20% le cubature delle abitazioni, una catastrofe ambientale, un grande "consumo di suolo", come va di moda oggi dire. Pu anche darsi che lei abbia ragione, non posso confutarlo perch non conosco la situazione siciliana ma.... le stesse cubature approvate con legittimi strumenti urbanistici, ancorch regolari (cio contrattate politicamente) diventano per ci stesso buone?
Non le sembra che siamo sempre al solito scambio tra metodo e merito, tra forma e sostanza, tra luogo comune e pensiero?
Caspita, Repubblica fa scuola anche tra i suoi ex lettori
Saluti
Pietro
Commento
7503
di Pietro pagliardini
del 10/10/2009
relativo all'articolo
Opere faraoniche e tragedie annunciate
di
Leandro Janni
Mi scuso per un errore di battitura che potrebbe fare pensare a chiss cosa:
RE non un acronimo di qualche brutta parola n significa Regolamento Edilizio solo uno strano errore non spiegabile al posto del quale avrebbe dovuto esserci: "prefiche", per cui la frase corretta :
"Ebbene se fosse stato realizzato e domani accadesse qualcosa di analogo a quanto accaduto a Messina non dubito ci sarebbero le solite prefiche a gridare alle stelle sull'abusivismo edilizio".
Pietro
Commento
7502
di Pietro pagliardini
del 09/10/2009
relativo all'articolo
Opere faraoniche e tragedie annunciate
di
Leandro Janni
Ottobre 2001. Vado in Sicilia, a Noto, con un amico geometra, entrambe invitati da un suo amico. Ci chiede di fare un progetto di lottizzazione in un'area C adiacente alla sua abitazione. Svolti i preliminari di rito, si conviene che eseguir il progetto ma senza seguire gli aspetti burocratici, date le difficolt dovute alla presenza di altro proprietario in piccola quota, recalcitrante per alzare il prezzo e dato che le dimensioni dell'intervento non erano tali da giustificare i costi di una prestazione a distanza di oltre 1000 chilometri.
Terreno in posizione notevole ma.....con un piccolo problema: pendenza circa 15% e forma allungata ma non lungo le curve di livello quanto in direzione della massima pendenza. Sopra la strada a monte un insediamento storico cresciuto intorno ad un convento.
Torniamo a casa, faccio il progetto, lo invio e, dopo avere avuta qualche notizia sulle difficolt con l'altro proprietario i legami si allentano e, ad oggi, non so se mai andato avanti n se sia mai stato realizzato.
Ovviamente mai visto un euro ma in compenso ho fatto un viaggio e mi sono divertito a fare un progetto e a sognare che qualcosa di mio rimanesse a Noto, anche se non proprio nella splendida citt barocca.
Ebbene se fosse stato realizzato e domani accadesse qualcosa di analogo a quanto accaduto a Messina non dubito ci sarebbero le solite RE a gridare alle stelle sull'abusivismo edilizio.
E INVECE NO, SAREBBE TUTTO LEGITTIMO E AUTORIZZATO E CONFORME AL PRG, regolarmente redatto da pi di un architetto, con relazione geologica allegata, immagino, approvato da un consiglio comunale e suppongo dalla regione. Tutti i crismi della legittimit.
Due domande al nostro ambientalista ideologico:
- perch la sinistra ha perduto il senso di realt e scambia il metodo per il merito, la forma per la sostanza, i luoghi comuni per il pensiero?
- perch invece che argomentare e rispondere alle mie eccezioni preferisce ancora buttarla sui luoghi comuni e, senza alcuna ironia, scivolare nella pura offesa?
Ah gi, dimenticavo, non basta cambiare nome e colore per perdere l'antico illiberale vizio di denigrare il "nemico".
Lei solo un piccolo burocrate e mi ha proprio scocciato.
Pietro Pagliardini
Commento
7494
di Pietro pagliardini
del 08/10/2009
relativo all'articolo
Opere faraoniche e tragedie annunciate
di
Leandro Janni
Non volevo commentare l'articolo che ha la caratteristica di mettere insieme una serie di osservazioni tutte giuste, tutte ripetute migliaia di volte, tutte cos piene di apparente buon senso da poter anche essere in realt una serie di luoghi comuni cos lunghi da non poter essere riuniti neanche con un ponte lungo quanto quello sullo stretto. Non volevo commentare per non fare il solito bastian contrario, ch alla lunga viene pure a noia. Poi ho letto i commenti di Vilma Torselli e quelli di Enzo Marrucci e mi sono fatto coraggio: vuol dire che arriver buon terzo.
Anch'io credo che confondere il ponte con il dissesto idro-geologico appartenga alla serie del "ci sono ben altri problemi" che venuta proprio a noia perch, non fosse altro, denuncia una certa incapacit italica, generalmente comune alla stampa, di restare sul pezzo. A scuola un atteggiamento del genere comportava in italiano un brutto voto per essere andati "fuori tema".
Tornando al tema, pur dichiarando di saperne ben poco di dissesti idrogeologici, direi che nel caso specifico ci sono pi cause ed effetti:
- una cosa l'intubamento del torrente, con annesse costruzioni praticamente sopra lo stesso (e pare anche regolari e facciamola finita con l'abusivismo perch la legittimit giuridica non ha niente a che vedere con la sostanza delle cose), che in caso di eventi straordinari (esistono gli eventi straordinari, anche se sembra duro ammetterlo) bloccano il deflusso dell'acqua con conseguente esplosione del condotto e ovvio allagamento;
- altra cosa la frana su cui sono davvero ignorante ma che, a occhio e croce, causata anche dall'abbandono delle campagne, con conseguenze interruzione della micro-regimazione delle acque, che il contadino faceva con sapienza e fatica, e dal disboscamento, probabilmente causato dagli incendi.
Questa non vuole essere una giustificazione per chi avrebbe dovuto mettere in sicurezza la collina ma ci indica che quello che avvenuto a Messina pu avvenire ovunque in Italia e, come ha gi detto qualcuno, mi pare Vilma, non realistico pensare di "mettere in sicurezza" tutto il territorio nazionale.
Nessun governo, per ricco che fosse, pu permetterselo e, se potesse permetterselo, non dovrebbe fare altro e allora apparirebbero altre emergenze. Negli USA esistono migliaia di ponti tutti appartenenti alla stessa categoria, che sono a rischio crollo, eppure neanche loro sono in grado di "metterli in sicurezza" tutti insieme.
Quindi un minimo di senso della realt, invece della solita indignazione di maniera, non farebbe niente male: c' il terremoto, muoiono persone, la colpa di chi i: del nostro patrimonio edilizio che non stato adeguato sismicamente. Insomma, la priorit alla sismica. Avviene una frana e la priorit si sposta alla sicurezza idrogeologica.
Una priorit variabile come il tempo, la nostra.
Proposte? Non ne ho, sono l'unico in Italia a non avere proposte, come sono uno dei pochi in Italia a non fare l'allenatore della nazionale di calcio al posto di Lippi, perch non mi piace il calcio.
Per le denunce tanto indignate quanto scontate mi sono venute a noia, come la gita fuori porta per pasquetta, l'esodo di ferragosto e "le stagioni non sono pi quelle di una volta".
Saluti
Pietro
Commento
7437
di PIETRO PAGLIARDINI
del 17/08/2009
relativo all'articolo
Difendere la tradizione dai tradizionalisti
di
Sandro Lazier
Commentare questo articolo difficile, almeno per me, perch a discorrere di tradizione in senso generale corro il forte rischio di scadere nel luogo comune. In questi giorni poi di campagne politiche estive sullinno nazionale e sui dialetti da insegnare a scuola il rischio rischia di diventare certezza e d ragione, in fondo, a chi dice la tradizione viene vista pi come un elemento retorico utilizzato da gruppi di individui per rafforzare una propria identit collettiva, in particolare per essere utilizzata in contrasti con altri gruppi sociali."
Di primo acchito, invece, mi viene da pensare che difendere la tradizione dai tradizionalisti sia, questo s, un artificio retorico un po subdolo per appropriarsi delle armi dellavversario e con ci annullare lavversario stesso. Questo non sarebbe un problema, visto che non c nessuna guerra personale in corso, se non fosse che a perdere sarebbe proprio la tradizione stessa e larchitettura rimarrebbe in mano a coloro che la ignorano (la tradizione). Se infatti la tradizione non la difendono, o non ne sono capaci, i tradizionalisti come possono farlo coloro che scientemente lhanno cancellata in quanto ritenuta inutile e sorpassata fino al punto di ricominciare daccapo e fondare in laboratorio una nuova architettura?
Come pu candidarsi ad esserne autentico custode e interprete chi crede che luomo del nostro tempio sia altro dalluomo di appena un secolo fa, quasi avesse subto una mutazione genica e per questo gli ha cancellato e azzerato ogni riferimento (architettonico, spaziale e urbano) non tanto alla tradizione, se banalizzata a livello di pro-loco, ma al patrimonio culturale accumulato dalluomo nel corso di secoli di lavoro e di ingegno per adattare l'ambiente al proprio benessere fisico e psicologico?
Ma detto questo non posso eludere il problema di come la tradizione possa innestarsi nella contemporaneit affinch non inizi la marcia verso la disumanit.
Intanto dico che quanto Benjamin afferma, pu essere tranquillamente rovesciato nel suo contrario In ogni epoca bisogna cercare di strappare il presente al conformismo che in procinto di sopraffarlo e rimanere altrettanto vero, dato che davvero raro trovare maggior conformismo, direi fino alla noia, nella tiritera continua della creativit, dellesaltazione dellinvenzione e del rinnovamento! Dunque occorre non fidarsi troppo delle parole, specie quando sono double-face.
Inoltre vorrei evitare ogni discussione sul nuovo e sul vecchio. Adorno mostra di dare grande importanza a questi due termini che, in realt, non esprimono nessun giudizio di merito ma sono pura qualificazione temporale. E un vizio, a mi avviso grave e questo s conformista, quello di contrapporre il nuovo al vecchio, anche questo speculare a quello di coloro che rimpiangono il tempo che fu. E un po il contraltare di le stagioni non sono pi le stesse; mitizzazione dellieri e mitizzazione delloggi, memoria deformata la prima, negazione della memoria la seconda. Vizio diffuso in ogni campo, in politica soprattutto, dove in realt porta sempre a rapidi e disastrosi fallimenti proprio per la mancanza di merito e valore nel concetto di nuovo in s; diventa addirittura pericoloso in campo bioetico dove la marcia verso la disumanit cominciata da tempo e dove, per mancanza di memoria, si va inesorabilmente verso azioni che fino a non molto tempo fa evocavano esperimenti mostruosi su innocenti e che erano rappresentati tutti in nella figura di un medico diabolico; il tutto giustificato con la necessit del nuovo (allora nuova razza, oggi nuovo uomo).
Dunque il temine tradizione in campo architettonico, di cui anchio faccio largo uso, assolve alla funzione di comunicare una distinzione con il pensiero architettonico dominante (mi riferisco a quello del mondo culturale, degli architetti, dei media, delluniversit, di quello, cio, che appare e che forma e informa i presenti e futuri architetti) e, in questo senso, serve anche ad esercitare una contrapposizione tra gruppi. Io, poi, a questa contrapposizione credo particolarmente, ne sono addirittura un fautore, per due motivi fondamentali:
il primo perch non pu esserci dialogo equilibrato tra una maggioranza bulgara e una piccolissima minoranza carbonara;
il secondo perch appartengo ad una generazione che porta il marchio indelebile della politica e difficilmente riesco a fare astratte disquisizioni non finalizzate ad un risultato, a breve, a medio o lungo termine che sia.
Dunque assumo il termine tradizione come mio, pur sapendo che si porta dietro una serie di scorie negative, per farmi capire meglio, per distinguermi da altri. Ma anche per il fatto che certamente migliore e pi vero del termine antico. La differenza tra architettura antica e architettura tradizionale fondamentale, perch la prima esprime, prima di tutto una datazione consolidata e non pu prescindere da uno stile architettoni
Commento
7266
di pietro pagliardini
del 04/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
A Sandro Lazier.
La ringrazio molto e le dico che quando parlavo di tono ultimativo mi riferivo esclusivamente a questo specifico articolo e non lo avevo inteso come esteso al giornale.
D'altronde mi sarebbe anche dispiaciuto perch io faccio il provocatore, educato ma rompiballe, e, nei limiti del poco tempo disponibile, non ho mai rinunciato a provocare qui, dove di materia del contendere non ne manca affatto.
La saluto
Commento
7264
di pietro pagliardini
del 03/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
A Sandro Lazier.
Poich ormai a me sembra che le relative posizioni siano chiare e la sua risposta improntata ad un tono decisamente ultimativo, le scrivo non per un inutile ping-pong su cose ormai dette quanto per il fatto che lei mi attribuisce una deriva relativista (deriva termine odioso perch sprezzante e di condanna morale totale, fatta da chi si erge a censore e supremo giudice, ma io voglio credere che in questo caso sia solo una semplificazione linguistica).
Ora singolare che lei che riconosce pari valore al sentimento di appartenenza nei confronti dei luoghi di vita sia agli abitanti di una parte di citt fortemente strutturata come il centro storico che agli abitanti di sgangherate e spesso squallide periferie, addirittura a luoghi di emarginazione quali lo Zen, possa attribuire a me lidea del relativismo (contrariamente a quanto fanno i pi che mi attribuiscono lesatto contrario e con fondatissime ragioni). E la prego di non equivocare tra appartenenza e pari dignit delle persone la quale ultima ovviamente non per me in discussione.
Immagino, per dire, che larchitetto Gregotti, che vive e lavora in un bel palazzo antico nel centro di Milano, non stabilirebbe lo stesso sentimento di appartenenza con la sua residenza e il suo studio se si trovassero allo Zen. E se Gregotti fosse costretto dai casi della vita allo Zen, credo farebbe di tutto per andarsene prima possibile e tornare nel suo bel palazzo, come ciascuno di noi daltronde, e, una volta tornato, forse proverebbe anche una certa nostalgia per i bei tempi allo Zen; ma questa non appartenenza bens un'espressione importante della mente umana che in genere tende a selezionare e valorizzare il meglio del passato, ed chiaro che anche allo Zen, essendo vissuto da uomini, si possono trovare lati positivi (specialmente se ci abitano gli altri).
Io stabilisco quasi sempre una scala gerarchica di valori che lei nega e chi stabilisce gerarchie di valori tutto pu essere meno che relativista.
Cordiali saluti
3/6/2009 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Lultima cosa che vorrei offendere i miei interlocutori, lei in particolare. Mi creda. Cerco di dibattere le idee, solo questo.
Il termine deriva, per me che ho scritto di Dbord e dei situazionisti, non ha nessuna accezione negativa. Anzi, termine che indica instabilit, perdita di controllo, provvisoriet; tutte condizioni che mi seducono.
Ho poca simpatia, per, per il relativismo perch fonda ragionamenti rigorosi e intransigenti su fondamenta permissive e indulgenti (con lalibi delluomo e della sua causa). Io credo che la logica pura, telaio portante di tutti i nostri ragionamenti, non abbia in s nessuna morale; e questo la rende immune da qualsiasi gerarchia valutativa. Il concetto di appartenenza fondamenta debole per sostenere tutto il ragionamento che lei ne fa seguire. Questo il significato che do alle parole derive del relativismo che lei contesta. Sono sicuro dellonest, correttezza e universalit dei suoi ragionamenti; non ritrovo stesse qualit nei fondamenti.
A Gregotti fu effettivamente chiesto perch non abitasse lui stesso lo Zen che aveva progettato. Rispose che quello era quartiere per operai, dichiarando in tal modo un senso di appartenenza altro ma con gli stessi difetti di quello che lei propone. Gregotti non creava architettura con il fine della universalit dei valori ma con quello della particolarit. Una assurdit per chi si dice razionalista convinto, relativista di fatto. Ma questi sono i frutti dellinganno postmoderno e storicista.
Zevi al contrario, che relativista non era, invitava spesso gli architetti e gli intellettuali a vivere nelle periferie, cosicch le architetture progettate avrebbero sicuramente beneficiato di stimoli diversi.
Nessun moralismo quindi, Pagliardini. E nessun tono ultimativo. Solo amor di sintesi, forse eccessiva.
I suoi interventi nel giornale sono uno stimolo e una risorsa.
Commento
7262
di pietro pagliardini
del 02/06/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Vilma, non si tratta di non scalfire le mie convinzioni (per inciso, dubito che qualcuno riuscirebbe a scalfire le tue), si tratta di due sensibilit diverse. Ho stampato il tuo commento per capirlo meglio e mi sono reso conto che, in modi molto diversi, non diciamo cose molte diverse.
Capire le basi neurofisiologiche della percezione non certo nelle mie capacit n in quelle di nessun architetto. Forse non neanche nelle capacit dei neurofisiologi verso i quali io mantengo, con tutto il dovuto rispetto e la massima invidia possibile per la loro conoscenza, una bella alea di dubbio sulle loro certezze, quando ve ne sono. Ad esempio: si dice che una delle ragioni dellinnamoramento consista nellodore rilasciato da ormoni e se quellodore, del quale non siamo coscienti, si conf tra due soggetti scatterebbe quella che chiamiamo attrazione tra due persone. Pu darsi sia cos, non ho motivi per dubitarne in assoluto, non ho controprove per dire che non pu essere ma il meccanismo mi sembra un pochino pi complicato di come viene descritto, basti pensare a quanto conta la vista e, recentemente, a come possa scattare lattrazione dalla semplice chat. E pensare che le basi dellinnamoramento potrebbero essere, per molti versi, analoghi a quelli di altre specie animali,mentre la poesia, la creativit, la coscienza di s caratteristica propriamente umana. E vero che adesso si tendono a scoprire negli animali tutte le caratteristiche che li rendono pi simili alluomo, mentre prima si tendeva a trovar ci che ci differenziava dagli animali, la qual cosa la dice anche lunga su quanto la scienza sia abbastanza indirizzabile e tenda ad adattarsi al clima culturale della societ, anche se io credo si possa ammettere qualche differenza esista tra uomo e animale.
Ben diverso il caso della psicologia della percezione, dove esistono prove empiriche, i test, che mostrano uniformit di comportamenti in un certo numero di soggetti divisi per varie classi dappartenenza. Ho letto in un bel libro, Il Tao e Aristotele, di Richard Nisbett, che i cinesi hanno un approccio alla realt priva della classificazione in categorie; i cinesi, cio, non conoscono il concetto di bianchezza, per esempio. Ovviamente conoscono il colore bianco ma per esprimere il concetto di bianchezza fanno una circonlocuzione che li porta al confronto con un fenomeno della natura, ad esempio la neve. Eppure i cinesi hanno un cervello che credo sia esattamente come il nostro. Come sta? Sta che la loro cultura si sviluppata in un modo diverso dal nostro: stesso cervello, diverso modo di porsi rispetto al mondo.Mi pare ovvio che in una cultura come questa il concetto di bellezza sia diverso anche se probabile ci sia una base comune a tutti gli altri esseri umani.
Con questo voglio dire che, non trascurando affatto le diversit genetiche, la componente culturale fondamentale. E per tornare allargomento, quando io parlo di regole non intendo dare una spiegazione a quelle regole, intendo dire che c chi le ha studiate ed in grado di riprodurle e di applicarle. Non un fatto meccanico e matematico, non c garanzia assoluta di risultato, non una scienza esatta, ma chi le sa applicare bene commette meno errori di chi agisce con la sua fantasia e, dato che statisticamente di fenomeni o geni, diceva Zevi, ne nascono uno ogni 500 anni, molto meglio applicare quelle che sperimentare molte baggianate e affidarsi a s stessi. Questo metodo non inibisce la creativit la quale, nei pochi che la possiedono per davvero, riesce ad emergere in ogni modo.
Ho riletto, su tuo consiglio, Kevin Lynch, e ho riletto Rudolf Arnheim (La dinamica della forma architettonica) e in entrambi i casi ho trovato indicazioni e analisi utili, ma direi a frammenti, e comunque, specie in Lynch, una conferma assoluta di certo concetti muratoriani, quali ad esempio le nodalit. Ma niente di paragonabile a quella strutturatissima teoria, verificata leggendo la citt e non intervistando la gente (quindi pi oggettiva), di Caniggia, la quale, a sua volta, trova un'altra conferma nella teoria delle reti urbane di Salngaros.
Quanto a a quellaura inimitabile di Piazza del Campo, nata proprio da quella cultura diffusa e spontanea, organica alla societ stessa, che sapeva contemporaneamente adattarsi ai luoghi e farlo con un altissimo senso estetico, non critico e consapevole ma naturale perch condiviso e omogeneo alla societ. Perch accadeva questo e come farlo riaccadere? Mi fermo qui, non so dire altro, non pretendo di farlo. Ma non lo fai neanche te, in effetti; ti poni domande, ti interroghi e vuoi capire.
Non c differenza tra te e me nel fatto che attribuiamo quel risultato straordinario allinsieme e non alle parti e quando io parlo di edifici specialistici non sono affatto in contraddizione perch la specialit non consiste nellautore e nemmeno in qualche particolare dote dell'edificio se non nelluso diverso per il quale ledifici
2/6/2009 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Un paio di punti, credo, stabiliscano tra noi una differenza di sostanza.
1
Mi spiace ma se c una cosa indubbiamente certa che non v nessuna poesia senza ricerca e sperimentazione. Che come dire che una poesia vale sicuramente il rischio di un milione di baggianate. Non vero che applicando con ordine regole derivate dalla tradizione si corrano meno rischi; al contrario, si ha certezza di non arrivare mai a qualcosa di autenticamente poetico. Non c bravura che tenga. Senza il motore del tradimento, che vera tradizione (e non vero il contrario), non c storia nellarte.
Il gusto evolve per scatti violenti e arroganti, ogni volta azzerando irriverentemente il codice che lo ha preceduto. Non c nessuna continuit formale se non lalternarsi disarmonico e sregolato di tensioni contrapposte. Larte vive pericolosamente nellaritmia e per questa ragione appare sempre insolente e arrabbiata ai contemporanei. La regolarit luccide.
Tanta architettura minore (sono daccordo con Vilma che lopposizione edilizia-architettura sia solo un pretesto accademico) prova di quanta energia vada investita per arrivare a poche opere degne di elogio. Gehry nutre la sua poesia nella desolazione di una moltitudine di periferie tutte uguali. Senza periferie, niente Gehry.
2
Appoggiare le proprie tesi sul senso di appartenenza - concetto dal peso specifico incerto, relativo al soggetto che lo esprime atto che sconfina nella retorica, intesa quale forma di suggestione priva di argomenti razionali e oggettivi.
Di tale senso ogni individuo ha il proprio. Questo indubbio. Credo che anche chi nato e vissuto in periferia, non solo in centro antico, solo in questa trovi il senso della propria appartenenza. Persino chi nato e vissuto nel tanto vituperato Zen di Palermo, sono sicuro che in esso trovi il proprio senso dellabitare. Anche per costoro la citt lopera artistica pi grande che sia stata creata dalluomo, anche se non possiede grandi eccellenze o singolarit architettoniche o opere darte.
Quindi va bene tutto. Larchitettura contemporanea, bella o brutta che sia, come lantica, bella o brutta che sia. Purch ci appartenga individualmente.
Io non credo e non amo le derive del relativismo, antropologico in questo caso.
Commento
7259
di pietro pagliardini
del 30/05/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
A Sandro Lazier
Probabilmente correr il rischio, ma lo affronto volentieri, di incartarmi in inutili sofismi per cercare di spiegarmi meglio e di farmi capire.
Se la domanda : esistono regole per produrre l'arte, in assoluto, io non le conosco e mi tiro indietro. Io azzardo una risposta alla domanda se esistano regole per produrre piazze artistiche come quella di Siena.
Lei scrive: "Nel suo eccessivo pragmatismo le sfugge che il violino non la musica e la casa non larchitettura" e in questa frase c' la differenza (non una parolaccia differenza) fra il nostro modo di pensare. Per me che da giovanissimo sapevo suonare il violino, ma stupidamente l'ho abbandonato molto presto, nel prendere oggi questo strumento tra le mani ne colgo le forme morbide decisamente umane, la pregevole opera del liutaio, l'attenzione e la delicatezza con cui questo deve essere trattato ma non raggiunger mai il fine per cui quello strumento nato, cio la musica. Posso certamente imbracciarlo, mi ricordo ancora la tecnica, posso perfino accennare a far scorrere l'archetto sulle corde ma non ne uscir mai musica, solo suoni, gracchianti e privi perfino della necessaria continuit. In nessun modo riuscir ad utilizzare quello strumento per lo scopo per cui stato prodotto.
La casa, viceversa, non richiede nessuna particolare capacit per essere "utilizzata", contrariamente a quello che scriveva Le Corbusier, il quale voleva insegnare alla gente ad abitare. La musica richiede tecnica, la bella musica richiede arte. Abitare non richiede nessuna tecnica o apprendimento ma un fattore antropologico e prima ancora genetico. Abitare quasi come respirare e nessuno ti insegna a respirare, semmai, se hai problemi, ti insegnano a respirare meglio, come nel caso della balbuzie o a chi per aver molto fumato ha perso capacit polmonare.
Ma lei parla di Architettura e non di edilizia, cio di case, e, mi par di capire, attribuisce all'Architettura e solo a quella il dono dell'arte. Le cito un brano di Gianfranco Caniggia, non per fare sfoggio di conoscenza, ma solo per non appropriarmi di pensieri altrui:
La divisione un tempo usuale tra oggetti architettonici e oggetti edilizi, tra opere maggiori e minori sussiste, con lavvertenza che col termine edilizia si deve intendere il contesto generale del costruito, che certamente il maggior protagonista dellambiente antropico e della sua storia civile. Il termine architettura pu restare riservato a quelle opere che dalledilizia sono derivate, in seno al costruito, come emergenze specialistiche.
Anchio tendo a non esagerare con questa esaltazione dell'Architettura perch l'edilizia ad aver fatto la storia dell'uomo e lo stupore che si prova in Piazza del Campo, della quale sfido chiunque a citare al volo il nome di qualcuno che ne sia autore, in tutto o in parte, deriva dalla sua forma apparentemente regolare, ma non perfettamente simmetrica, che sembra progettata ma non lo , almeno non nel senso che intendiamo noi, in quanto nasce dalla presa di possesso del territorio da parte della citt, nel senso di "civitas", attraverso i suoi statuti e regolamenti: cio una grande opera collettiva. Lo stesso si pu dire dei suoi palazzi, alcuni dei quali assolutamente unici, altri, invece, a ben guardare, assolutamente consueti e neanche dotati di particolare ricchezza decorativa. Quell'autentico gioiello di piazza, quella conchiglia irregolare i cui disegni a terra corrispondono esattamente a linee di compluvio convergenti in un fuoco, che una caditoia, esprimono un concetto di arte che assolutamente spontaneo e connaturato ad una societ organica (verso la quale, si badi bene, io non nutro nessuna nostalgia o rimpianto, essendo ben felice di essere nato in una societ imperfetta ma aperta che mi consente molti gradi di libert).
Ma lei dice di non credere che quella Piazza abbia seguto regole e piuttosto sia dovuta al caso unito alla determinazione. Io non posso e non voglio escludere che vi sia una componente casuale. Casuale potrebbe essere l'orografia del luogo, per non casuale la scelta del luogo, che il punto di convergenza o di tangenza di una serie di strade importanti; non casuale che abbia la forma a conchiglia, perch gli edifici seguono al meglio le curve di livello, non sono casuali le linee di pendenza della piazza, studiate per fare convergere le acque in un punto preciso senza andare ad allagare il Palazzo Pubblico che fungerebbe da diga, non casuale la forma a spicchi, come dicevo prima. Non certamente casuale che il Palazzo Pubblico con la splendida torre, improntata ad una raffinatezza, snellezza ed eleganza cos consustanziale al paesaggio, laccento dialettale, il carattere stesso dei senesi, si trovi proprio a Siena, solo 60 chilometri da Arezzo, la mia citt, dove per non potrebbe assolutamente essere mai nata, tanto questa citt pragmatica come me, rude ed essenziale, poco raffin
Commento
7255
di pietro pagliardini
del 28/05/2009
relativo all'articolo
Utilit e inutilit dell'arte
di
Sandro Lazier
Vilma Torselli sa bene quanto io, nel mio caratteriale pragmatismo, sia lontano da una visione della realt e del mondo in genere impostata sulla neurofisiologia e, tanto meno, sulla psicanalisi. Certo, mi rendo conto che riferirmi a dati caratteriali e poi affermarne linconsistenza sia una bella contraddizione ma io la risolvo serenamente pensando, con convinzione, che certe contraddizioni rendano pi affascinante e completa la nostra vita. E poi una contraddizione logica non comporta necessariamente laffermazione di una non verit assoluta ma pu significare che i termini di confronto, o almeno uno dei due, siano sbagliati. Ma vengo al punto.
Non ho mai pensato che larte possa avere una funzione utilitaristica in se stessa in quanto arte; larte esprime certamente un bisogno e una necessit umana, se anche gli abitanti delle caverne, che avevano problemi ben pi pressanti e quotidiani dei nostri cui pensare, si sono messi a fare inutili disegni di animali sulle rocce. Laspirazione allarte qualcosa di simile allaspirazione al sacro, un modo per penetrare nel segreto della natura fornendo una risposta irrazionale a ci che rimane oscuro e dunque irrazionale. Pretendere di rispondere alla domanda perch larte come sperare di dare risposta alla domanda perch la religione. La domanda deve essere posta ma sapendo che non esiste la risposta definitiva possibile, e non perch qualunque risposta suscettibile di falsificazione, ma perch non potr mai assurgere a teoria falsificabile, tanto meno confermabile. Non siamo nel campo nella scienza e voglio proprio vedere la neurofisiologia, quando avesse raggiunto livelli di attendibilit e riuscisse a spiegare il come, che la risposta della scienza, cosa ci racconterebbe del perch. Quindi facile prevedere unattesa molto lunga, visto che le scorciatoie illuministiche o marxiane sulla religione hanno mostrato tutto il loro essere atti di fede esattamente simmetrici a quelli della religione, ma molto pi tristi e aridi.
Proprio per essere larte non finalizzata allottenimento di uno scopo preciso, il confronto tra il violino e ledificio, o lo spazio urbano, per quanto intrigante, non mi sembra del tutto pertinente. Si pu vivere senza violino ma non senza casa, come si pu vivere senza grandi domande sul chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo?, ma non si pu vivere senza la domanda come faccio a costruire una casa?. La componente artistica ovviamente presente in ogni forma di architettura, dato che, in fondo, per ripararci dagli agenti atmosferici abbiamo bisogno di ben poco, oltre a quattro mura e ad un tetto ma mi sembra che il passaggio e levoluzione continua dalla caverna aa che cosa non lo dico per non dovermi fermare a qualche decennio prima di oggi dato che oggi siamo al design, esprima pi che altro una componente simbolica e percettiva in cui larte centra ma espressa sotto forma di decorazione, di aggiunta anche utilitaristica tesa a migliorare la qualit del proprio ambiente di vita, che la casa e la citt.
Allora come sta, unaltra contraddizione? Larte utilitaristica oppure no? Continuo a credere (sottolineo credere) che larte non sia utilitaristica mentre larchitettura s. Continuo a credere che larchitettura abbia regole sue proprie, mutuate dalle forme della natura, con precise procedure costruttive molto razionali ma non razionaliste che non richiedono, anzi, gli effetti esaltanti della cocaina, molto utile e diffusa invece nellespressione artistica. Direi anche che larte unespressione prettamente individuale e individualista mentre larchitettura opera collettiva, sia nel senso che deve essere condivisa (o subta) dai suoi fruitori sia, prima di tutto, costruita da una molteplicit di soggetti, dei quali larchitetto solo uno anche se importante. Un buon disegno darchitettura un buon inizio ma non architettura, solo un buon inizio. Senza lopera dei costruttori larchitettura non esiste. Il termine cantiereesprime bene questo concetto.
Per questo Piazza del Campo, espressione collettiva di tanti gesti individuali, ci appare ed poetica. Per questo, sicuramente, le opere oggi esaltate hanno poco dellarchitettura, perch sono lespressione esasperata di un creativo che potrebbe anche lavorare sotto gli effetti di stupefacenti, tanto c qualcun altro, dopo, che ci pensa a fare larchitetto.
Pietro Pagliardini
28/5/2009 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Per Pagliardini.
La domanda non perch larte ma esistono regole per produrre larte? Domanda teorica che ha tutti i requisiti per essere falsificata. E quindi confermata nella sua negazione.
Si pu vivere senza violino ma non senza casa. Nel suo eccessivo pragmatismo le sfugge che il violino non la musica e la casa non larchitettura. Violino e casa sono solo strumenti che si possono usare - bene o male - simultaneamente senza necessarie subordinazioni. Larte viene dopo e la sua realizzazione immune da priorit etiche.
La componente artistica ovviamente presente in ogni forma di architettura (bench) esprima pi che altro una componente simbolica e percettiva in cui larte centra ma espressa sotto forma di decorazione, di aggiunta anche utilitaristica tesa a migliorare la qualit del proprio ambiente di vita, che la casa e la citt. Allora come sta, unaltra contraddizione? Larte utilitaristica oppure no? Continuo a credere (sottolineo credere) che larte non sia utilitaristica mentre larchitettura s.
Mi pare che la contraddizione che anche lei ammette nella sua affermazione sia parecchio grossa per potersene liberare semplicemente riconoscendola. Oltretutto, la decorazione strumentale, come il violino o la casa di cui prima, per cui da sola pu accedere alla poesia senza necessit di appoggiarsi allarchitettura. La decorazione una cosa; larchitettura unaltra. La decorazione figurativa; larchitettura spazio.
Continuo a credere che larchitettura abbia regole sue proprie, mutuate dalle forme della natura, con precise procedure costruttive molto razionali ma non razionaliste che non richiedono, anzi, gli effetti esaltanti della cocaina, molto utile e diffusa invece nellespressione artistica.
Anche qui lei dice come costruire il violino, non la musica del violino.
Per concludere, credo che Piazza del Campo di Siena non abbia assolutamente seguito le regole che lei cita ma che, come spesso avviene anche per le scoperte scientifiche, sia una miscela di caso e determinazione, in cui, senza regole, lo spazio ha meravigliosamente riconciliato gli uomini con le contraddizioni del proprio tempo.
Commento
7218
di pietro pagliardini
del 20/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Gianni Cusano, ora mi tira fuori i templari, Leonardo e quant'altro: ma lei davvero vuole confondere le acque!!!
Non siamo mica in TV con il mago che tira fuori il coniglio dal cappello, dato che nel suo commento non faceva affatto riferimento alle strampalatezze in cui i vari assessorati alla cultura e le pro-loco eccellono ovunque, quanto, semplicemente e genericamente ai palati facili dei turisti generici di fronte alle nostre belle citt (storiche), visto che quello era l'argomento e non l'esoterismo imperante o che altro.
Ma voglio ammettere che lei lo pensasse davvero quando l'ha scritto e le rimasto in mente piuttosto che andare in tastiera.
In questo caso devo desumere che lei apprezzi i normali turisti, che immagino abbiano il livello culturale medio degli italiani. E immaginiamo anche che i vari assessori rinsaviscano, lascino perdere fantasie esoteriche e Leonardesche e si dedichino a ragionevoli attivit culturali legate al territorio o comunque pertinenti con la cultura artistica o tecnica locale.
Crede lei, a queste condizioni, che un bell'edificio di Fuksas nel centro storico de L'Aquila sarebbe la scelta giusta? Non le viene il dubbio che farebbe il paio con i templari dato che entrambi sono almeno fuori contesto? Perch critica i templari, che non c'entrano niente e apprezza l'astronave di Fuksas nel centro storico, che c'entra di meno?
Sono certo che avr colto la palese affinit tra le due scelte.
Quanto al fatto che a lei piaccia o non piaccia Fuksas, mi sembra del tutto irrilevante per l'oggetto del nostro discorso, dato che qui non parliamo dell'opera omnia di un architetto, ma di un Fuksas nel centro storico di L'Aquila, non altro.
La pianificazione. Intanto le dico che non ho la pi pallida idea di quali colori siano le varie giunte Lucane, n comunali n regionali. E' una mia ignoranza ma non sto a seguire la politica delle migliaia di comuni italiani. E anche sulle regioni...non sono ferratissimo, dato che mi basta e avanza la mia. Ora, il termine "pianificazione", usato da un architetto, non un termine qualsiasi ma , per l'esattezza, una scoria.
Lei potr citare tutti i padri nobili che vuole ma il mio giudizio era sul termine e sul tono usato dal figlio.
Quando un architetto (perch io immagino che lei sia architetto) adopera la parola pianificazione, generalmente ha una visione dell'urbanistica che pretende di voler governare tutti i processi territoriali, economici e tutte le dinamiche sociali e comprenderli in un piano del quale l'architetto, chiss perch e con quali competenze, il demiurgo.
Le parole, certe parole, hanno un significato preciso e lei non pu fare finta di non saperlo. Gli architetti-urbanisti che parlano di pianificazione generalmente fanno un mestiere altro da quello che dovrebbero fare e, in genere, hanno un retro-pensiero che vede la presenza dello stato in maniera poderosa nei processi socio-economici. A me sembra che di stato ne abbiamo anche troppo in questo paese e, in genere, non ha mai dato buona prova di s. Siamo abbastanza stufi di architetti che pianificano e, a forza di pianificare, ci hanno lasciato le meraviglie che sappiamo.
E se anche lei fosse "in buona fede" come si dice e pensasse ad una roba seria (non fatta perci da architetti) inutile andare a cercare esempi stranieri perch, se non se ne accorto, siamo in Italia, dove, ad ogni pianificazione si formano svariati Enti i quali servono solo a distribuire denari ovunque fuorch dove servono. Se non si reso ancora conto di questo sar il caso che si aggiorni e si guardi in giro.
Ma, dato che il tema ricostruire L'Aquila e tutto il ragionamento parte da un articolo in cui si parla di Fuksas chiamato dal Sindaco di quella citt per il centro storico, e ripeto centro storico (di questo ha parlato quel geniaccio del Sindaco), mi fa la santa cortesia di spiegarmi cosa c'entra la pianificazione in tutto questo? Mi spiega perch ricostruire un centro storico "com'era e dov'era" dovrebbe portare alla rovina gli aquilani e gli abruzzesi in genere?
I casi sono due: o lei andato oltre le sue intenzioni e si figuri se io ho problemi a non capire che in internet capita a tutti, oppure quella era la sua intenzione, nel qual caso riconfermo in pieno la mia diffidenza e il sapore tutto retr di questo modo di pensare (ha visto, ho usato retr, cos non si arrabbia).
Saluti
Pietro Pagliardini
Commento
7210
di Pietro pagliardini
del 18/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
"Turisti dal palato facile": evidentemente Giannino Cusano preferisce architetti dal palato fine tutti in visita osannanti e plaudenti alla nuova L'Aquila di Fuksas!
Non solo, ma crede ancora alla "pianificazione", proprio quella vera, con le decisioni del piano quinquennale e con tanto di soldi veri! Quella, la informo, rimasta solo in Cina, dove vanno alla grande con l'economia ma con i diritti civili e sindacali non stanno messi troppo bene.
E cos, con la pianificazione, invece del dov'era com'era, la Lucania sarebbe risorta!
Per, per fare la Cina non bastano mica i comunisti al potere, ci vogliono anche i cinesi. Quindi non mi sembra esportabile la pianificazione in Lucania e, per questa volta, il comunismo dovr restare in un solo paese, al massimo due.
Scusi Cusano, ma cosa c'entra il dov'era com'era con l'emigrazione?
Mi sembra che lei confonda un po' le carte. E' lecito che lei apprezzi Fuksas e che non lo veda male come animatore di eventi architettonici nel centro storico di L'Aquila, ma le giustificazioni che porta avrebbero potuto essere pi semplici e dirette, senza tirare in ballo la pianificazione, in cui, tra l'altro, non vedo nemmeno come possa rientrarci Fuksas.
Saluti
Pietro Pagliadini
Commento
7200
di pietro pagliardini
del 16/05/2009
relativo all'articolo
La ricostruzione a L'Aquila non roba da Archista
di
Vito Corte
Signor Sindaco (e anche architetto?) pur non essendo d'accordo con le statistiche di cui lei parla, essendo invece convinto da una ultra-trentennale conoscenza della categoria professionale degli architetti che la stragrande maggioranza sono archistar in potenza, non posso che complimentarmi con lei per non appartenere a quella altrettanto grande categoria di sindaci teste vuote e senza memoria che fanno della propria citt una passerella di scemenze progettate da nomi pi o meno famosi.
Sar il fatto che il cane che morde l'uomo non fa notizia, ma ultimamente mi sembra che siano sempre gli uomini a mordere i cani.
Saluti
Pietro Pagliardini
Commento
7128
di pietro pagliardini
del 20/04/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce lha gi
di
Teresa Cannarozzo
Giannino Cusano, non sar stato breve ma stato sicuramente efficace.
Pensare che lei non ha fatto che dire semplici, elementari dati di verit e trarne logiche deduzioni ma, di fronte al reality -terremoto messo in scena da TV e giornali le sue parole appaiono come una verit rivelata.
E' sempre pi difficile per tutti riuscire a filtrare le notizie per coglierne elementi di verit in mezzo alla massa strabordante di informazioni.
Sono molto pi scettico sulla sua convinzione che in questo paese possa funzionare una pianificazione e una programmazione come lei la immagina e come sarebbe teoricamente auspicabile.
Ma questa differenza, culturale ed istintiva, del tutto irrilevante rispetto all'importanza delle cose da lei scritte.
Pietro Pagliardini
Commento
7130
di pietro pagliardini
del 20/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Ringrazio per l'invito:
" infatti essenziale in una democrazia moderna che giudizi privati e pressioni lobbistiche da parte del principe non vengano usate per deviare il corso di un progetto di pianificazione aperto e democratico che tuttora in corso".
Bene, benone: cosa vuol dire progetto di pianificazione aperto e democratico? Che il progetto verr messo ai voti dalla popolazione nell'ambito di una scelta? Se s, sono pronto a scarificarmi in una strenua e non incruenta battaglia accanto ai firmatari.
Se qualcos'altro una presa in giro. E sembrerebbe cos perch si parla di "ampia consultazione locale" gi fatta, un'espressione che detta in Italia puzzerebbe di bruciato (ma pu anche darsi che in GB non sia cos).
Crede qualcuno che lor signori siano disposti a sottomersi ad un giudizio popolare autenticamente libero e democratico dietro espressione del voto, come giusto che sia in una scelta importante per la citt, che appartiene a tutti, al proprietario dell'area, all'architetto, anche al principe Carlo in quanto britannico e soprattutto ai cittadini?
Lady Enrica Orsini do you know the italian expression "Valore civile dell'architettura" or, if you prefer, "Architettura come arte civica"?
Ma quanta sincera indignazione da parte della scrivente l'articolo, per avere il principe compiuto un reato di....lesa maest ai danni degli "architetti pi bravi del mondo"!!! Scorrer sangue blu in questo scontro, comunque andr a finire.
Ma chi li ha messi sul podio pi alto questi "architetti pi bravi del mondo"? Un sistema di consenso "democratico" e non opaco e per questo si intima anche al principe di comportarsi ad armi pari, oppure un apparato mediatico-culturale e finanziario poderoso, oltre alle loro indiscusse doti, i cui volti noti sono solo gli architetti?
Perch mai il principe, che immagino abbia qualche conoscenza in giro per il mondo, dovrebbe starsene in disparte e non provare a fermare un genere di architettura che a lui, lecitamente, appare sbagliata? Anche il Principe un suddito della Corona, anche se il secondo in grado.
Io, che non sono moralista, non mi scandalizzo del fatto che un architetto usi tutti mezzi leciti per assurgere ai massimi livelli e per restarci, ma che addirittura si arrivi a fare anche del moralismo distinguendo tra le pressioni lobbistiche buone e quelle cattive.......questa poi davvero grossa!!!!!!!
Ma addirittura si arriva a volergli impedire di esprimere anche i giudizi "privati"!!!
Zitto, principe, non commenti con nessuno, neanche con sua moglie!!!
Come se non fosse arcinoto il suo giudizio pubblico sull'architettura!
Qui davvero si raggiungono i vertici della farsa!
La realt che io leggo in quell'appello un errore per i firmatari e un segno di (relativa) debolezza.
E, francamente, non mi strappo i pochi capelli rimasti, semmai me li taglio cos non mi rizzano quando leggo appelli del genere.
Pietro Pagliardini
Commento
7118
di pietro pagliardini
del 18/04/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce l'ha gi
di
Teresa Cannarozzo
Mi sembra che Leandro Janni abbia confuso il "principio di realt", con la realt, e il Piano Casa con la ricostruzione dell'Abruzzo.
Il primo un errore di concetto, il secondo un errore di metodo e di obbiettivi.
Il principio di realt quel principio che consente alle mente di aderire alla realt delle cose e di non scambiare i propri desideri con quello che realmente avviene o potrebbe avvenire, di non scambiare cio i propri sogni, le proprie aspettative con la realt degli accadimenti.
Il terremoto una tragica realt ma, rispetto al Piano Casa almeno, non richiede affatto un ritorno al "principio di realt" da parte del governo, e questo per il motivo che il suddetto Piano nato s per "rianimare l'attivit edilizia", come dice giustamente Janni, ma con la piccola differenza che un'operazione a costo zero per lo stato, dato che mette in gioco solo una quantit consistente di piccoli capitali privati attualmente giacenti "sotto il mattone".
La ricostruzione un'opera colossale il cui attore principale non potr che essere, invece, lo stato, prima di tutto mettendo a disposizione ingenti capitali, non so come reperibili.
Direi che il principio di realt c'entra ma solo nel senso che Janni non lo applica affatto alle diverse situazioni che mette a confronto nel suo commento, applicando cio i suoi desideri, cio il non fare il Piano Casa, alla realt sbagliata, cio le scelte da fare per la ricostruzione in Abruzzo.
Pietro Pagliardini
Commento
7113
di pietro pagliardini
del 16/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
No Vilma, perch dici questo? Non abbiamo perso tempo, tanto ognuno di noi avrebbe detto quello che ha detto sulla ricostruzione a prescindere dal fatto se Gibellina sia abitata o disabitata!
Figuriamoci: se due che conoscono bene Gibellina non si trovano d'accordo sul fatto se ci sia gente o meno (dovrebbe essere un dato piuttosto oggettivo), avremmo mai noi potuto cambiare la nostra idea di ricostruzione che poi vuol dire la nostra idea di citt, di urbanistica, di architettura, di visione del mondo?
Sulle sfumature, forse, ma sulla sostanza neanche a parlarne: nessuno sarebbe arretrato di un passo.
Nessuno di noi credo, e senza offesa se qualcuno convinto di essere cos laico da pensare il contrario, disposto a rinunciare ai propri convincimenti:
-c' chi ritiene, come me, che la ricostruzione del centro storico, debba essere "qui e uguale", perch ritiene l'identit e l'appartenenza al luogo elemento antropologico e biologico dell'uomo, e trova in una caso cos drammatico una situazione emblematica per verificare quei convincimenti;
-c' chi ritiene invece pi significativo, anche come segno di fiducia e di speranza nel presente e nel futuro, di sostituire ci che caduto con progetti nuovi e, come forma estrema, di lasciare tracce dei ruderi come ricordo della tragedia e dei lutti.
Per decidere (non per sapere) se ha ragione Ferrara o Messina temo dovremo andarci di persona e farci anche noi la nostra soggettiva idea, recandoci l con il nostro pre-costituito giudizio.
Da quello che ho visto dalle foto, e confrontandolo con il caso Friuli, propendo fortemente per il giudizio di Ferrara e, d'altronde, come possibile pensare ad una citt progettata da "il meglio degli architetti"?
Quest'idea poteva andare bene in presenza di un Principe, di un Papa dei secoli scorsi, non certo in una democrazia dove, il meglio o il peggio in questo campo non lo pu decidere un gruppo di esperti, un Presidente di Regione, una casta di critici, o chi altro delle istituzioni materiali o immateriali ma i cittadini. Marco Romano scrive che "la democrazia non ha lo scopo di perseguire scelte razionali cio oggettivamente giuste.....ma di prendere decisioni nella sfera collettiva riconoscendo a tutti la dignit dei loro desideri individuali...a prescindere dal loro merito".
Dunque la scelta per la ricostruzione una sola: sottoporre ai cittadini abruzzesi pi scelte argomentate, mettendo sul piatto pro e contro e lasciare a loro la decisione.
Sar quella giusta.
Pietro Pagliardini
Commento
7103
di pietro pagliardini
del 15/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
A Maurizio Zappal non volevo replicare perch lui vuole zinco, carbonio, vetro, corten, ecc.manco fosse un campionario di una mostra di prodotti per l'edilizia. Al SAIE pu trovarne moltissima tutta insieme di questa architettura. E nel suo superomismo vede tante architetture quanti architetti epper le vuole anche belle senza poter dire quali sono belle; e come potrebbero essere belle o brutte se ognuno ha la sua? Ah, gi quelle dello zinco, del corten, del vetro, magari delle ceramiche di Sassuolo o del cotto Impruneta!
Rispondo per, perch volgarit del tipo "restauro del terremotato" se le tenga per s e non le attribuisca a me. Una cosa l'ironia, e Maurizio sa bene quanto so stare al gioco nel farla e subirla, altra la volgarit, quella vera e senza parolacce.
Pietro Pagliardini
Commento
7076
di pietro pagliardini
del 14/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
A Vilma Torselli e a Sandro Lazier
Rispondo a entrambi in un colpo solo, vista una certa omogeneit delle obiezioni.
Sull'amore come autenticit e dono avrei qualcosa da dire, non potendo escludere nell'amore una dose di possesso ed egoismo, sentimenti anche questi profondamente umani. Come dice Terenzio: Homo sum: nihil humani a me alienum puto.
Ma non voglio trasformare un serio sito d'architettura nella posta del cuore.
Le obiezioni che fate sono intriganti e prometto di rifletterci con attenzione. Il tempo e la calma aiutano a capire meglio.
Alcune considerazioni per le voglio fare.
Una di cronaca. La TV dice stasera: circa il 30% degli edifici sono inagibili. E' tanto. Per corretto anche dire: circa il 70% degli edifici sono agibili. E' tanto anche questo.
Lo so che le citt sono nate in funzione dell'opportunit offerta dal luogo rispetto alle necessit prevalente del momento: difesa, scambi, agricoltura, ecc. Ho letto anche che L'Aquila una citt di fondazione nata nel '200, come scelta di riunire pi castelli per motivi difensivi. In questo senso certamente venuta meno la necessit iniziale quindi, voi dite, oggi c' la necessit di garantirsi dal terremoto e dunque spostiamo 70.000 abitanti o forse molti meno in una nuova citt di fondazione in un luogo pi sicuro, visto che oggi possibile fare micro-indagini sismiche e trovare in zona luoghi pi sicuri.
Domando: perch spostarli solo di un po'? Spostiamoli perbene dove ancora pi conveniente e sicuro, magari in una zona a rischio sismico molto inferiore. Io lo so perch non lo pensate, perch sapete che sarebbe una sciocchezza sradicare un tessuto produttivo, ma non pensate che sia anche un errore sradicare un tessuto sociale ed umano? Non sarebbe questa soluzione una migrazione forzata come quelle imposte nell'ex Unione Sovietica? S lo sarebbe e credo lo pensiate anche voi.
Cosa c' di qualitativamente diverso nello sradicare gli abitanti dal centro storico lasciandolo rudere?
Comunque noi esprimiamo il nostro parere, diamo il nostro contributo al dibattito, ma sapendo che saranno i cittadini de L'Aquila a prendere la decisione. Qualunque sar, sar quella giusta, perch la citt appartiene a loro, singolarmente e collettivamente. Questo vero sempre, ma in questo caso ancora pi vero.
Ora io non posso fare a meno di leggere nella vostra obiezione una visione molto romantica di una citt di rovine nelle quali la memoria viene sicuramente sublimata, esaltata e tramandata per generazioni. Del rudere ognuno pu immaginare ci che vuole e l'immagine che ne ricaver potr anche essere migliore della realt. In questo senso nel rudere non ci sarebbe "pi verit" che nella ricostruzione bens "molte verit".
Anche in questo caso sar la collettivit a decidere, che sia cittadinanza o comunit religiosa, nel caso della cattedrale e delle chiese. Pi facilmente il Ministero dei Beni Culturali.
Alla visione romantica si affianca una visione realista, quella che si esprime bene nell'espressione che gli uomini si giudicano dai frutti e non dalle radici. E' vero e anch'io sono d'accordo, ma quando i frutti si vedono, non quando si ipotizzano.
E' vero che i frutti, che ancora non ci sono e non potrebbero esserci, potrebbero essere migliori di quelle radici distrutte. Lo saranno certamente dal punto di vista della sicurezza, sia che si cambi luogo sia che il luogo resti lo stesso. Le conoscenze per farlo non mancano in entrambe i casi.
Le case non crolleranno pi, al massimo si lesioneranno, come ammesso dalle norme.
Ma che sapore avranno questi frutti? Saranno simili a quelli di cui ci siamo nutriti fino ad oggi nelle nostre citt oppure saranno migliori?
Chi pu dirlo!
Non sar che i cittadini de L'Aquila, oltre ad idealizzare i monumenti che non ci saranno pi dovranno idealizzare anche i borghi, le strade, le piazze, le cortine delle case, le chiese, la prefettura? Certo non idealizzeranno l'ospedale (peggio non sar possibile) ma dovranno andare la domenica in una chiesa tutta bianca simile ad una palestra o avranno un bel comune in acciaio e vetro e una bella piazza pavimentata come uno show-room senza edifici intorno, cio una non-piazza scaturita dal Photo Shop del vincitore di un bel concorso?
Non mica per polemica, ma i frutti potrebbero essere anche questi. E allora il rimpianto sarebbe davvero grande. Altro che Gibellina!!!!
Io non sono affatto contrario, tutt'altro, all'idea di new-town in s, a prescindere dal caso specifico di Abruzzo. Ma questa idea mi piace per due motivi:
-il primo che parte da un giudizio chiaramente negativo della citt contemporanea, dalla presa d'atto di un fallimento evidente cui il Cav., nella sua esuberanza, risponde dicendo: "adesso si cambia registro, si fanno 100 citt nuove";
- il secondo, conseguente al primo che le 100 o 50 o 10 ci
Commento
7070
di Pietro Pagliardini
del 13/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
Vilma, tu poni la domanda a Renato Rossi, ma anch'io desidero risponderti.
C' un dato sicuro nelle citt: la loro permanenza nel tempo, qualunque evento accada, terremoto, eruzione, inondazione, e quant'altro. Se cos non fosse non ci sarebbero molte citt perch pochi sono il luoghi al mondo che non tradiscono l'uomo almeno una volta. Eppure dpo ogni evento l'uomo ricostruisce e riparte.
Pensa a Pompei. Pensa a Catania. Pensa ad Assisi. Pensa all'area del Pacifico o dell'Oceano Indiano.
O alle condizioni, che a noi appaiono impossibili, di aree geografiche come l'Afganistan, o le vaste aree desertiche asiatiche e africane. La fame e la guerra costringono a scappare ma non le calamit o le condizioni naturali per quanto impervie siano.
Noto stata ricostruita qualche chilometro pi a valle, rispetto al luogo d'origine, dopo il terremoto che l'ha distrutta nel '600, e ci ha dato quella splendida citt che conosciamo, ma in quella occasione credo abbia inciso una scelta d'autorit.
Ma oggi la sua Cattedrale e i suoi palazzi sono stati ricostruiti identici dopo l'ultimo terremoto. E chi avrebbe voluto perdere Noto?
L'attaccamento degli uomini ai propri luoghi di origine io credo sia una sorta di meccanismo biologico e/o psicologico che permette di andare avanti, di tenere duro e di progredire. Di vincere e dominare la natura, in quel rapporto di odio-amore che c' tra l'uomo e l'ambiente in cui vive.
Come spiegare diversamente l'attaccamento di quella gente che non vuole lasciare casa? Solo interesse economico?
La casa la storia di ogni famiglia e di ogni persona e, quanto pi violentemente si cerca di cancellare quella storia tanto pi forte il desiderio di riappropriarsene.
Quindi ricostruire uguale a se stessa l'Aquila o Onna o qualunque altro paese non fare un falso (ammesso che la parola falso sia giusta, e per me non lo ) tanto pi su una faglia, ma rispettare i sentimenti di "appartenenza" e "identit" di una comunit e dei singoli alle proprie radici, ai propri affetti.
Ho gi scritto in un altro commento che "appartenere" ad un luogo non molto diverso che appartenere alla/alle persona/persone che si amano.
Non si cambia chi si ama davvero, anche se il nuovo si presenta migliore.
A rigore di logica buona parte della California dovrebbe essere preventivamente abbandonata, invece che attendere il Big One, eppure la California un motore di cultura e di economia mondiale.
La new-town pu essere una opzione in pi ma che il centro storico con le sue chiese, i suoi palazzi e le sue case debba essere ricostruito credo sia un imperativo morale prima che una scelta di architettura.
L'aspetto architettonico a mio avviso assolutamente secondario rispetto a quello simbolico di ricostruzione di una memoria collettiva e individuale.
Fosse stato per me, a New York avrei ricostruito le torri gemelle come erano, io che non sono un entusiasta dei grattacieli. Tanto se devono essere sostituiti da altri grattacieli.....!
Saluti
Pietro Pagliardini
13/4/2009 - Sandro Lazier risponde a Pietro Pagliardini
Caro Pagliardini,
ovviamente lascio a Vilma Torselli la diretta risposta al suo commento. Ma anchio avrei qualcosa da obiettare.
Mi sembra che quello che lei chiama attaccamento delle persone, smerciandone il significato come fosse quello di un sentimento nobile come lamore, in verit sia solo consuetudine, abitudine al quotidiano. Cambiare radicalmente la propria vita sicuramente molto difficile e doloroso. Per questo nessuno lo vuole fare. Per farlo tuttavia, al contrario di cosa lei sostiene, occorre proprio quellamore che lei mette troppo vicino al possesso (di cose e persone, come dice nel commento). Lamore desidera innanzitutto il cambiamento, non la conservazione. Solo per amore si d un calcio al passato e alle sue convenienze materiali e sentimentali.
Quando un sentimento, come quello che lei descrive e scambia per amore, impianta la sua virt sulla preoccupazione di perdere le proprie radici, di fatto si fonda su timore e paura, emozioni che con lamore hanno poco a che vedere. Perch lamore ha bisogno di fiducia, di autenticit, e pretende di distinguere il vero dal falso. E poi, suvvia, gli uomini si giudicano dai frutti, non dalle radici. Chissenefrega delle radici se i frutti sono squisiti.
Agli abitanti dellAquila e dintorni adesso servono rapidamente i frutti, non le radici. Serve loro lidea di un futuro immediatamente utile alla speranza, alla sicurezza e alla serenit dei loro figli. La memoria del passato pu aspettare, purch la si conservi nella sua autenticit, con tutte le sue ferite. Infatti, c pi verit nel rudere e nel frammento di un edificio che nella sua ricostruzione. Ci pensi bene.
Commento
6994
di pietro pagliardini
del 29/03/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce l'ha gi
di
Teresa Cannarozzo
Mi riferisco al commento di Leandro Janni.
Questa sua frase: "E allora gli obiettivi debbono essere indicati in progetti di Regioni ed Enti locali, impegnati nel compito di responsabile pianificazione" sotto l'apparente buon senso e condivisione del progetto nasconde in realt l'affossamento di ogni slancio che, guarda caso e contrariamente a quanto logica vorrebbe, viene dal centro e non dalla periferia.
E' una semplice questione di linguaggio, intendiamoci, e pu darsi che mi sbagli, ma quando ci sono frasi cos sento odore di funzionari regionali, sommi esperti nell'esercizio del niente apparente, in realt espertissimi nel "governare" il territorio mediante leggi e norme di cui si apprezzano le conseguenze nel Bel Paese.
E' quella "pianificazione responsabile" che frega tutto il discorso: pianificazione un pessimo e screditato termine;
responsabile, nel suo essere palesemente ovvio, un omaggio rituale al politicamente corretto, l'esatto contrario cio di quanto vuole essere il Piano Casa; esattamente il linguaggio delle leggi urbanistiche regionali, zeppe di aggettivi che mascherano il vuoto. Gli obbiettivi sono gi nel piano casa e senza tanti aggettivi; regioni e comuni dovrebbero orientarli in senso virtuoso, ci di cui dubito fortemente sulla base dei risultati ad oggi.
Ci che disarma constatare l'incapacit di vedere la realt se non attraverso la lente delle leggi delle quali i cittadini sono considerati sudditi privi di ogni capacit di azione autonoma. Vorrei solo segnalare che sono i cittadini a dare corpo e sostanza alla legge e non viceversa e, non a caso, l'Art. 1 della Costituzione recita:
"La sovranit appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Diciamo che di questo articolo in campo urbanistico si considera solo la seconda parte e mai la prima. Fortuna che la legge del '42 prevede almeno le osservazioni ai piani, unico strumento legale di difesa, di proposta e di protesta.
Per ampliare del 20% la propria casa unifamiliare, non occorre una mobilitazione nazionale di architetti e funzionari regionali, basta individuare i luoghi intoccabili e poco pi, pena lo scadere nel ridicolo.
Vale sempre e sempre di pi, purtroppo, il motto summum ius summa iniuria e, per restare nelle frasi celebri, aggiungerei la pi profonda e calzante, quanto la pi disattesa: "il sabato stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato".
Pietro Pagliardini
Commento
6990
di Pietro Pagliardini
del 28/03/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce l'ha gi
di
Teresa Cannarozzo
Sommessamente e per quel che pu valere segnalo che INARCH si dichiarato favorevole al Piano casa.
http://www.professionearchitetto.it/news/notizie/9229.aspx
Di opinione simile Luigi Prestinenza Puglisi.
La Regione Veneto ha anticipato tutti facendo suo il Piano Casa.
Lo dico cos, per informazione, e i tre casi non sono da prendere come esempi necessariamente da seguire. Sono per segnali di attenzione.
saluti
Pietro Pagliardini
28/3/2009 - Massimo Pica Ciamarra risponde a Pietro Pagliardini
Caro Pagliardini,
non mi sembra che INARCH si sia dichiarato favorevole al Piano Casa. Né che io personalmente abbia assunto una posizione schematicamente contraria così come appare dal commento 6909. Questa volta non abbiamo ritenuto doverci apoditticamente schierare (nell’ottobre 2003, sul “condono” lo feci a nome INARCH – cfr.Antithesi). Oggi viene definito “Piano Casa” qualcosa che sembra non esserlo: è un provvedimento di cui si parla, di cui si legge, che viene smentito. E’ un provvedimento misterioso che a volte sembra promettere anche cose infami. A volte invece sembra aprire opportunità, sembra rendere possibili iniezioni di qualità in alcuni nostri disastrati contesti.
Il recente documento INARCH ha nel titolo un punto interrogativo: fornisce suggerimenti, auspica un provvedimento che possa produrre effetti positivi. Annuncia confronti aperti per tentare di sciogliere nodi irrisolti.
Un saluto cordiale
Massimo Pica Ciamarra
Commento
6974
di pietro pagliardini
del 25/03/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce l'ha gi
di
Teresa Cannarozzo
Gentile Marrucci, le sue domande e i suoi dubbi sono pi che legittimi perch, come lei dice "Il denaro fagocita la speranza della felicit".
Io per distinguerei tra il 20% delle mono-bi-tri familiari e il resto. Questo sar terreno di conquista per geometri, non ho dubbi. Ma cosa possiamo farci? Per evitare che i geometri lavorino dobbiamo forse impedire l'aumento di una stanza? E se invece fosse appannaggio degli architetti siamo proprio sicuri che avremmo miglior risultato? Non si tratta qui di fare architettura (si fatta sempre poco in Italia, diciamocelo, il grosso a dir poco scadente), si tratta di rispondere a bisogni e desideri elementari e legittimi e di fare anche, ahim, girare soldi subito.
Quanto alle demolizioni e ricostruzioni distinguerei tra le trasformazioni in loco e quelle con spostamento della volumetria altrove, ammesso che sia consentita dal decreto, come lo in alcuni piani vigenti e in corso di approvazione.
Per quelle in loco ipotizzabile che, a parte grandi aree dismesse, dove immagino e spero che le Regioni e/o i Comuni potranno prevedere piani urbanistici (da approvare in tempi non storici), si tratter probabilmente di demolire e ricostruire fabbricati scadenti e fatiscenti e, anche se non nascessero capolavori da rivista la situazione non potr che migliorare. E' comunque auspicabile che non ne possano essere interessate le aree agricole.
Pi complesso invece se vi fosse la possibilit di trasferire le volumetrie altrove. In questo caso, immagino, e sottolineo immagino perch ancora non dato sapere, che non potr essere compiuta e se lo fosse dovrebbe avvenire allinterno delle aree gi edificabili e/o edificate, con un aumento dellindice e non dovr certo essere ammesso il trasferimento "a scelta" del privato, tipo in aree agricole.
Comunque per questi trasferimenti, oltre una certa cubatura, riterrei necessario lobbligo di piani attuativi.
Ma, aldil delle ipotesi, delle congetture, delle speranze e delle paure insisto nella mia idea che la cultura urbanistica di questo paese, ammesso esista e non sia ridotta solo allurbanistica legale, quella cio delle norme fini a s stesse, figlia neanche pi della politica ma delle burocrazie regionali, prima e comunali, poi, ha bisogno di una scossa, di una rivoluzione culturale. E' direi la situazione del paese in genere che necessita, in ogni campo, di strappi, di stop and go bruschi, di forzature per uscire da decenni di contrattazione e di tavoli su tutto, che hanno sfiancato le energie e ci sta avviando verso la decadenza.
I "tavoli" sono sempre stati il modo migliore per insabbiare prima e spartire poi. La verit nuda e cruda questa e il paese lo ha compreso.
Non pi tollerabile sopportare il divario tra i lamenti ipocriti e, a mio avviso anche molto poco documentati per non dire ignoranti, di una parte della cultura ufficiale che fa finta si tratti di una cosa seria e la realt delle cose che invece semplicemente degradante. E chiaro che queste considerazioni estreme ed estremistiche non tengono conto di episodi virtuosi che pure ci saranno, ma le semplificazioni servono meglio a comprendere la realt.
Marrucci, dove si vede questa bellezza di cui parla qualche politico che andrebbe distrutta, se non nei centri storici, nelle campagne e in pochi altri luoghi? Quando giriamo in auto o a piedi per le citt ne vediamo davvero molta di bellezza diffusa?
Ma se da tutte le parti un lamento sulla bruttezza, gli scempi, la pessima architettura, gli abusi, i condoni ecc. come fa, improvvisamente, ad uscire dincanto la bellezza, buttata l, di traverso, tanto per dire no e, sostanzialmente, per difendere un pacchetto di voti di riferimento di coloro che sono deputati al controllo e che ovviamente rischiano di vedere ridotta la loro ragione di esistere!
La conservazione dello status quo giova solo ad una casta numerosa, protetta e proterva che ha ormai preso in mano le redini dellurbanistica e delledilizia, spesso con lavvallo della cultura accademica, e che si muove indipendentemente dalla politica, se non come forza di condizionamento.
Sento in questo momento in TV un Governatore che dice "ci pu essere accordo ma non devono essere ammessi cambi di destinazioni d'uso": tipico cavallo di battaglia di coloro che vogliono il controllo sull'economia, cio sugli imprenditori. Questa l'urbanistica.
Pietro Pagliardini
Commento
6970
di pietro pagliardini
del 25/03/2009
relativo all'articolo
Berlusconi e il Piano Casa per chi ce l'ha gi
di
Teresa Cannarozzo
A me sembra che Andrea Pacciani abbia sintetizzato al meglio il senso e il significato profondo di questa proposta (per ora): presa d'atto del fallimento dei "principi e delle regole dellurbanistica che hanno sempre avuto il fine di mediare linteresse privato e linteresse pubblico", come dice l'articolo, evidentemente non trascurando la mediazione al ribasso, per non dire peggio. E Pacciani accenna anche al recupero di dignit da parte dei cittadini oppressi da politici e architetti con leggi tanto assurde quanto inefficaci, atte solo ed esclusivamente, attraverso la "mediazione", al controllo sui cittadini stessi piuttosto che sul territorio e sulla citt, che infatti versa nelle condizioni che ognuno pu ammirare.
Di quale urbanistica c' il rimpianto? Non sarebbe mica male spiegarlo. L'urbanistica degli standard, quella che ha prodotto, grazie al travisamento che ne stato fatto dagli architetti, gli splendidi quartieri PEEP delle nostre citt? Quali sono i vantaggi che andrebbero perduti per la citt? Quale sarebbe questo patrimonio che oggi andrebbe dilapidato? Magari riuscire a demolire e riconfigurare interi piani di zona di stampo nettamente e consapevolmente sovietico!
Forse la chiusura delle logge con alluminio e vetro? ma se sono gi tutte chiuse e riccamente incamerate all'uso interno! Forse la contrattazione decennale per la redazione di un PRG, diluita nel tempo per accontentare (mediare pubblico e privato, si dice nell'articolo) quelli che ci sono da accontentare ma confondendo le acque con inutili, faticosi, ipocriti dibattiti pubblici?
Qual' il danno che provoca all'ambiente un ampliamento del 20% di una casa di civile abitazione di propriet di una famiglia che desidera una stanza in pi, nel rispetto delle varie leggi vigenti?
Quanto alla demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico norma ormai gi presente in diversi PRG italiani e l'unico difetto riscontrabile ne la difficile applicazione dato il frazionamento della propriet. Per quale motivo se lo fa il Comune va bene e se lo fa il Governo (o forse questo governo? il dolore per la scelta di Nomisma farebbe pensare di s) no? C' logica in un ragionamento simile? Questa una forma particolare di perequazione ma, detta cos sembra assumere una sua nobilt, detta che "ti faccio demolire fabbricati scadenti per ricostruirli con un incentivo volumetrico" (altrimenti che interesse ho) diventa sordida speculazione.
Certo, ha ragione M.P. Ciamarra a rivendicare un controllo qualitativo del progetto, cio a rivendicare il ruolo delle commissioni edilizie, perch l'architettura, in quanto arte civica, richiede, come ha sempre storicamente richiesto, un giudizio collettivo e condiviso, del quale la CE un surrogato, ma se regioni come la Toscana, dichiarandone nella propria Legge Urbanistica la non obbligatoriet, per "semplificare", ne ha di fatto consentito la scomparsa, cosa c' da scandalizzarsi con la proposta in corso? Invece che lamentarsi, se ne chieda l'obbligatoriet del giudizio in tempi certi, pur lasciando la certificazione o DIA che dir si voglia.
Io penso che, se invece che lanciare grida di dolore, in verit non numerose n forti, la cultura urbanistica italiana avesse colto questa legge come un'opportunit per rimettere al centro questa disastrata e screditata disciplina e per riaprire finalmente un dibattito a livello nazionale (grazie ad una legge nazionale e non a 21 leggi diverse scarsamente comunicanti tra loro), avrebbe dato prova di reale interesse per le sorti della citt, del territorio e del grande patrimonio culturale di cui disponiamo. Ma che cultura quella capace solo di gridare allo scandalo, imporre vincoli e controlli senza riuscire a fare proposte!
C' sempre tempo mi auguro, ma per ora queste grida di dolore mi sembrano solo perpetrare logiche alquanto estranee alla disciplina e piuttosto inclini al pregiudizio, snobbando, al solito, i bisogni e i desideri dei cittadini, ritenuti evidentemente gli ultimi soggetti titolati a decidere sulla citt.
Pietro Pagliardini
Commento
6909
di pietro pagliardini
del 10/03/2009
relativo all'articolo
Agilit e velocit
di
Massimo Pica Ciamarra
Contrariamente a M.P.Ciamarra io vedo un'opportunit nella, per ora, bozza di legge.
Intanto va detto che, se e quando la legge nascer, non avr effetti operativi immediati perch la materia di competenza regionale, quindi star alle regioni farne un uso corretto.
Qui la cosa si complica perch ad esempio la Toscana, la mia regione, ha demandato ai comuni la possibilit delle commissioni edilizie, cosa che a molti comuni non parso il vero eliminare, sia per le DIA che per i Permessi di costruire.
Praticamente ci significa che le Commissioni edilizie possono purtroppo essere date per perse. Non che queste abbiano sempre dato buona prova di s, ma qualche piccolo o grande scempio lo hanno evitato. Poi hanno fatto anche clientelismo a vantaggio dei membri stessi, e questo le ha rese invise agli architetti e hanno allungato i tempi, e questo le ha rese invise alla gente.
in realt una Commissione che dovrebbe esaminare solo l'aspetto squisitamente progettuale, senza nemmeno entrare nelle normative varie, di tempo ne farebbe perdere ben poco ma il fatto che gli architetti non amano essere giudicati, perch vogliono mano libera, per cui niente da fare un'altra volta.
A questo punto il mio parere che solo regole urbanistiche, tipologiche e morfologiche (non solo numeri e calcoli e verifiche, ecc) diverse per zone possano costituire un freno. Ma anche qui ostacoli non mancano perch occorre condividere una visione della citt e, inoltre, al solito gli architetti vogliono essere liberi di essere "creativi".
Ma la nuova proposta di legge a mio avviso una grande opportunit per:
- ripensare la citt entro se stessa, la densificazione, senza espandersi ulteriormente nel territorio;
- iniziare a fare operazioni di rinnovamento urbano con strumenti efficaci, e Dio sa se ce ne bisogno;
- ridefinire i limiti fra citt e campagna, oggi indistinti in mezzo a zone ibride che hanno i difetti della citt e i difetti della campagna;
- non ultimo, perch l'urbanistica deve dare risposte ai cittadini,consentire a chi ha bisogno, e sono tanti, di un ampliamento a casa propria, di non dover soffrire le pene dell'inferno e alla fine non farne di niente o cambiare casa (cio costruirne un'altra).
Non cogliere questa opportunit, almeno di discussione, reagendo come se fossimo in presenza di un condono edilizio vorrebbe dire reagire in maniera ideologica e abbandonare questa legge proprio in mano a quella speculazione che si condanna. Io credo che il grande merito di questa proposta sia quello di rimettere al centro del dibattito la citt e di ridare la parola al mondo della cultura.
A me sembra il caso di non reagire con il riflesso condizionato contro la speculazione ma di fare proposte generali (e non potrebbe essere diversamente, visto che ogni regione poi dovr adattarla alla sua realt ma anche al suo "colore") e vedere come riuscire a cogliere quanto di buono potrebbe, e dico potrebbe, esserci in questa proposta.
Saluti
Pietro Pagliardini
Commento
6897
di pietro pagliardini
del 08/03/2009
relativo all'articolo
All'architettura italiana serve una legge?
di
Massimo Pica Ciamarra
Caro Marrucci, mi perdoni ma le devo confessare che non ho capito proprio quello che ha detto.
Sull'umanit io non ho detto di avere una visione diversa dalla sua, che non conosco in verit, ma ho solo detto, e lo ribadisco, che sono certo che ci sono punti di vista e sensibilit diverse, in generale intendo e non tra me e lei che, ripeto, non conosco o tra me o qualche altro in particolare.
La pace, la guerra! Boh? Non capisco proprio cosa intenda dire. Ma pu darsi che abbia letto con un occhio solo.
Per il suo buon senso, se le fa piacere, ritiro il mio avventato giudizio. Non cambier certo la mia vita ma vedo che lei ci tiene molto a tenere le distanze e io lo assecondo di buon grado.
Cordiali saluti
(anche cordiali sar troppo?)
Pietro Pagliardini
Commento
6888
di Pietro pagliardini
del 05/03/2009
relativo all'articolo
All'architettura italiana serve una legge?
di
Massimo Pica Ciamarra
No, no, Massimo Pica Ciamarra ha s un tono professorale ma non scrive pensieri sparsi, scrive pensieri strutturati in una visione complessiva.
Semmai , per assurdo, proprio questo il difetto, visto che nel caos italiano, ed anche oggettivamente nella difficolt e complessit del sistema e dell'argomento, il pensiero, e soprattutto l'azione, sparso sarebbe quasi preferibile.
Marrucci, lei scrive cose di grande buonsenso: "Che gli architetti fossero messi in condizioni di vendere pi progetti e meno l'anima!"
In effetti oggi capita di dover vendere entrambi.
Ma con una legge che si risolve questo problema?
Ma lei dice anche, giustamente, che il vero fine generare una citt pi umana: ma con una legge che si ottiene questo risultato? Prima occorerrebbe mettersi d'accordo sull'umanit di una citt e io non credo che vi siano due architetti che abbiano la stesso punto di vista in proposito.
Dunque cominciamo da questo, che mi sembra il punto dirimente, cominciamo a parlare della citt nel suo complesso e molto meno dei vari oggetti di "design" architettonico, peraltro sempre pi anti-umani.
In fondo la Legge sull'Architettura del Ministero (che solo in senso molto lato sulla citt) con il suo fissare principi generali e astratti, il modo migliore per affrontare il tema. Per ha un problema: non una legge, qualcosa che viene prima ma che non ha alcuna forza operativa.
E' (a prescindere dal fatto che la si condivida o meno) una sorta di statuto per l'architettura.
Forse, contemporaneamente varrebbe la pena discutere anche di quella per accorgersi che non saremmo troppo d'accordo.
Pietro Pagliardini
Commento
6880
di Pietro pagliardini
del 03/03/2009
relativo all'articolo
Allarchitettura italiana serve una legge?
di
Massimo Pica Ciamarra
Ho letto con interesse la sua proposta per una Legge sull'architettura.
Ne condivido gran parte dei principi ma non posso non osservare il fatto che, contrariamente a quello che lei auspica, di utopia ne vedo molta.
Il suo mi sembra molto pi di un "programma di legislatura" quanto una specie di rivoluzione che coinvolge talmente tanti soggetti diversi da diventare di impossibile realizzazione. Credo sia pi facile cambiare il titolo I della Costituzione, quello intoccabile e sacrale.
Si immagina lei che ognuno dei numerosi punti che cita comporterebbe mesi, anni di dibattiti, convegni, mediazioni (al ribasso), interpretazioni, rivendicazioni, appetiti, ecc.
Non dico questo per difendere la Legge Quadro di recente prodotta dal Ministero ma proprio perch mi sembra troppo ambiziosa per le procedure e i riti con cui avviene il processo decisionale in questo paese.
E qui non siamo in un campo in cui due pi due fa quattro, qui non si tratta di dire: da oggi si riparte con l'energia atomica (come a dire una cosa facile), che bene o male sappiamo cosa ; qui si lavora su princpi, convinzioni, idee, culture diverse, interessi, denari, procedure. Insomma, si rischia di cadere nell'aria fritta come niente.
Per dirla in soldoni e, mi creda, senza alcuna intenzione di sminuire o di polemizzare, mi sembra una bella esercitazione intellettuale non finalizzata ad uno scopo preciso.
Le faccio un esempio tra i pi semplici: lei individua la necessit di "Legge urbanistica, proposte di legge sul governo del territorio, legge sulla qualit architettonica, legge sul paesaggio, legge sullambiente, legge su tutela e valorizzazione del patrimonio del passato".
Richiesta giustissima se non fosse che....di leggi urbanistiche ce ne sono 21 quante le Regioni italiane. E se lei lavora nel Lazio e disgraziatamente deve fare un lavoro in Umbria, hai voglia studiare!!!!! Le conviene andare da un geometra o da un collega e chiedere a loro come fare (per questo gli stranieri non ci possono invadere, perch per ogni studio straniero ce ne vogliono almeno due italiani, anche se subalterni).
E come crede di armonizzare 21 leggi urbanistiche!!!! 21 Consigli regionali, 21 Governatori, 21 assessori, 21 uffici pianificazioni ognuno costituito da decine di funzionari abituati a parlare, parlare,. scrivere, scrivere, interpretare, interpretare, impuntarsi contro le leggi nazionali in base la colore politico?
Una provocazione per finire: ma proprio necessaria una legge sull'architettura? Crede che la soluzione dei problemi dell'architettura stia nelle leggi?
Io non ho una soluzione ma alle leggi, abbia pazienza, non ci credo pi, a meno che non lavorino per sottrazione e non per aggiunte.
Saluti
Pietro Pagliardini
3/3/2009 - Massimo Pica Ciamarra risponde a Pietro pagliardini
Grazie per l’interesse, ma evitiamo equivoci. Il Disegno di Legge approvato dal Consiglio dei Ministri non incide sulla realtà del progettare e del costruire, ma io non lancio una diversa proposta di legge l’Architettura: mi limito ad uno secco elenco di azioni necessarie per ridare dignità e senso alle trasformazioni degli ambienti dove viviamo.
Vorrei si concordasse su pochi principi. Propongo di abolire visioni settoriali, legge urbanistica, legge per l’architettura, legge per il paesaggio e via dicendo: poiché hanno unico scopo, ne vorrei una sintesi unificante. Delineo poi la sensata riorganizzazione strutturale dei luoghi di decisione, un diverso rapporto fra Architettura e Potere.
Qualcosa si è tentato altrove: a me sembrano solo presupposti per civili modalità di convivenza. Auspico uno scatto: qui ancora un po’ utopico.
Grazie di aver stimolato un chiarimento ed un saluto cordiale
Commento
6776
di pietro pagliardini
del 26/01/2009
relativo all'articolo
Auguri 2009
di
Sandro Lazier
Giannino Cusano, non intendo contestare punto per punto le sue affermazioni. Per direi che, a pura logica, il fatto che l'uomo continui ad allevare il suo cucciolo anche dopo lo svezzamento sarebbe proprio la prova di quello dico io. Se l'uomo smettesse prima allora la cultura avrebbe prevalso.
Ma qui mi fermo perch mi sembra che vi sia da parte sua una sorta di pregiudizio ideologico che fa perdere il buon senso: paragonare uno stile architettonico alla schiavit! Non le sembra un p grossa?
Lei mi conferma con le sue iperboli che ho colpito alcuni nervi scoperti.
Saluti
Pietro Pagliardini
Commento
6774
di Pietro pagliardini
del 25/01/2009
relativo all'articolo
Auguri 2009
di
Sandro Lazier
Gent. mo Sandro Lazier,
la ringrazio per la sua risposta che ha il grande pregio di costringere a riflettere. E io, nonostante la mia faziosit sono sempre affascinato dal pensiero altrui, specie se diverso ma frutto di convinzione e ragionamento. Se poi, anche rispetto a questo, io mi esprimo spesso in maniera sbrigativa e liquidatoria, ci dipende sia da aspetti caratteriali sia dal mio convincimento che sempre opportuno rimarcare le differenze, nel rispetto degli altri, perch dal conflitto chiaro e leale che possono emergere le rispettive qualit. Gli equivoci producono confusione e zone grigie e, pur sapendo che la vita fatta di zone grigie, che in fondo costituiscono il punto di contatto tra posizioni diverse e spesso consentono la soluzione e la sintesi dei problemi, credo anche che laddove possibile bene mantenere non le distanze ma la propria individualit. E un po come in politica: se le rispettive posizioni sono limpide si possono fare scelte bipartisan, in caso contrario si fanno solo imbrogli.
A questo punto direi che ci che ci divide o meglio ci che ci distingue non tanto lespressione architettonica diversa che ognuno di noi sponsorizza ma qualcosa che viene un po prima. La sua sintesi della condizione delluomo contemporaneo ideologicamente debole ma alla ricerca di un pensiero forte ha elementi di verit ma sulle risposte a questo stato che divergono le nostre opinioni.
1) Intanto luomo di oggi non biologicamente diverso da quello di ieri e anche dal punto di vista antropologico non credo si possa parlare di una mutazione improvvisa; per questo il costringere lo stesso uomo di sempre in ambienti e spazi che creano disagio psicologico sar anche in linea con la moda e la cultura dellimmagine del tempo (occidentale)ma non con la sua immutata condizione di uomo. Ora io credo che non possano esserci dubbi sul fatto che il vivere allinterno di una casa del centro storico piuttosto che nellunit di abitazione (prendo questa come esempio classico) sia condizione molto pi appagante e gratificante per chiunque: operaio, intellettuale e, soprattutto, architetto.
2) C poi un altro aspetto da considerare: poich in questo mondo dichiaratamente tollerante e relativista dove sono accolte tutte le espressioni umane e tutte le diversit possibili, guarda caso non hanno diritto di asilo idee e progetti come quelli di Lon Krier (sempre per esempio) che deve trovare un Principe (ironia della sorte) per poter vedere realizzati, con discreto successo, gli esiti di quelle idee e di quei progetti.E impossibile che progetti di quel tipo possano vincere un concorso aperto, a meno che tutto non parta da unorganizzazione che ab origine imposti tutto in quella direzione; a meno che, cio, non si riesca ad opporre una conventicola ad unaltra conventicola. Il che per altrettanto impossibile. In fondo non si chiede che diritto dasilo e, nella logica contemporanea, pari opportunit, che invece vengono negate persino laddove si interviene sul tessuto storico.
3) C inoltre chi crede che si possa rispondere a quella condizione ideologicamente debole con un pensiero che non ne assecondi la debolezza, che non aumenti langoscia, che proponga un modello forte, o ritenuto tale, che ha retto migliaia di anni. Vi sono inoltre gruppi di cittadini e interi popoli che, nonostante tutto, conservano un pensiero e unideologia forte, che hanno forti legami di appartenenza e di identit, etnica, religiosa, politica, territoriale e che, magari, gradirebbero conservarla. E invece viene loro negato da un relativismo che, contraddizione di termini, diventa arrogante perch vuole relativizzare tutti. Io credo che al fondo vi sia questo: non luomo, cio tutta lumanit contemporanea, ad essere debole ideologicamente ma una parte, quella potente, quella ricca, che vuole imporre il proprio modello di vita relativista agli altri popoli e alle minoranze, e che accetta le diversit solo allinterno di quel modello.
Vengo adesso alla questione Ordini. Intanto dico che quellidea che le ho espresso del tutto estemporanea e, mi creda, mi venuta in mente mentre scrivevo il commento. Poi invece ci ho ripensato e mi sembra abbia una sua validit, pur conoscendo le difficolt di mettere daccordo gli architetti.
Intanto le dico subito che non vorrei stare in nessuna chiesa, n con lei n con altri. Per quanto mi riguarda per me esiste una Chiesa, cui porto molto rispetto, n ho frequentata, in anni remoti unaltra di chiese e mi bastato.
Diciamo che occorre trovare un minimo denominatore che, in questo caso, mi sembra relativamente facile, cio il fatto che gli Ordini hanno perduto ormai la loro funzione storica, che in passato hanno avuto quale espressione di professioni liberali in un mondo non caratterizzato dai grandi numeri. Allo stato attuale lordine solo un organo burocratico che, qualunque riforma venga fatta, diventerebbe
Commento
6762
di pietro pagliardini
del 24/01/2009
relativo all'articolo
Auguri 2009
di
Sandro Lazier
E' ben strana questa nostra professione, perch sono totalmente in disaccordo con lei su ci che riguarda l'architettura ma potrei sottoscrivere il suo augurio di buon anno per tutto il resto.
In particolare sono assolutamente favorevole all'abolizione degli Ordini professionali che, coscientemente o no, in buona o cattiva fede, sono strumento di collusione nel sistema bacato dei concorsi, costituiscono un freno alla crescita degli studi con le loro litanie parruccone sui minimi inderogabili (non finir mai di benedire Bersani, pur non essendo a lui vicino politicamente), non servono pi, o forse non sono mai serviti, se non in tempi remoti, a garantire un minimo di rispetto delle norme di deontologia, perch intervengono solo "dopo" la magistratura, cio quando non serve pi e diventa un inutile accanimento, invece che prima, quando tutti sanno e si chiudono gli occhi e potrebbero prevenire. insomma, sono una palla al piede e un danno per i professionisti, o almeno per gli architetti. Gli ordini interpretano il loro ruolo di garanti di corretti comportamenti in maniera burocratica, vagamente forcaiola e giustizialista, invece che comportarsi come il buon padre di famiglia con i propri figli. Certo la colpa anche nei numeri parossistici dei nostri iscritti che rendono difficile, se non impossibile, un simile atteggiamento ma questo un motivo in pi per eliminarli, non per potenziarli, visto che attualmente sono solo un piccolo, o meno piccolo, centro di potere contrattuale.
Mi domando quanti siano gli architetti che la pensano allo stesso modo. Davvero non saprei quantificare. Immagino siano tanti, silenziosi anche se, credo, non maggioranza. Come poter fare emergere questo dato? Come poter trovare un modo di fare sentire la nostra voce? Io proprio non ho risposta. L'unica sciocchezza che mi viene in mente fare un logo e metterlo in testa ad ogni sito o blog che favorevole all'abolizione degli ordini, con una brevissima spiegazione. Non granch, mi rendo conto, ma meglio di niente. Ci pensi sopra un p.
E, tanto per evitare sospetti di opportunismi, qualunquismi, grillismi ed altro, come dice lei, le dico subito che io sono stato consigliere dell'Ordine di Arezzo per molti anni, per pi anni di tutti i miei colleghi, fino al momento in cui, nel 2002, ho sbattuto la porta e ho dato le dimissioni da consigliere in carica.
Quanto all'architettura, beh, non voglio farla lunga ma io credo che ripartire dalla met del secolo scorso, come lei auspica, significa ripercorrere gli stessi sbagli, riprendere gli stessi difetti che hanno portato alla degenerazione di cui adesso sempre pi si stanno accorgendo, piantare l'albero sullo stesso terreno sbagliato.
Direi che il tarlo sta proprio in quegli anni da cui lei vuol ripartire, l'idea di dover cancellare e rifare, l'assurda pretesa di cancellare la storia, l'automatica trasposizione della modernit della macchina nell'architettura, scelta pi da avanguardia artistica che non da metodo adatto all'architettura, all'edilizia, all'ambiente di vita dell'uomo.
Non mi interessano "gli stili", parlo di un'ideologia perversa, spesso coltivata in assoluta buona fede, che mette al centro dell'interesse un architettura auto-referenziale (proprio come gli Ordini) che non tiene in alcun conto l'oggetto del prodotto per cui esiste la stessa architettura, cio il suo abitante, l'uomo, l'individuo, la persona, il committente, il cittadino, lo chiami come vuole.
La storia dell'architettura moderna una storia tutta interna ad una casta, esattamente come la scuola interna a interessi sindacali e politici dei vari soggetti, ad eccezione degli studenti che ne pagano le conseguenze, come la sanit al servizio di medici e infermieri e personale vario, invece che del malato, ecc.
La casa per l'uomo e non per l'architetto. Lo so, le potr sembrare banale, semplicistico, ingenuo, scontato.
Per spesso la verit la pi semplice, la pi banale, la pi scontata che si possa dare. Tanto per fare una verifica basta domandarlo a persone non addette ai lavori: perch esiste l'architettura?
Vedr cosa le risponderanno.
Con stima
Pietro Pagliardini
24/1/2009 - Sandro Lazier risponde a pietro pagliardini
Gentile Pietro Pagliardini, le devo una risposta in due parti.
La prima riguarda larchitettura delle archistars che lei dice autoreferenziale.
Io non credo che appoggiare le proprie tesi critiche su un ideale uomo, abitante, individuo, persona, committente, cittadino, buono per tutti i tempi e per tutte le cifre, possa portare da qualche parte restando immuni dal contagio retorico e, mi consenta, demagogico.
Tutta larchitettura fatta per luomo, compresa quella che lei contesta. Ma per noi lo devessere per luomo doggi, non per un uomo generico fuori del tempo e della storia; perch la condizione di questuomo attuale, e la coscienza che ha di s, non sono pi centrali rispetto alluniverso come avveniva in passato, tanto da giustificare larchitettura del passato. Lumanit vive oggi con coscienza una condizione periferica e cosmologicamente insignificante rispetto alla vastit e complessit delluniverso. Se compito della cultura essere interpreti e critici del proprio tempo, non si pu certamente essere attori di questa nuova tragica condizione richiamandosi allumanesimo del rinascimento e del neoclassico, questi s autenticamente disposti alla centralit, universalit e anastoricit degli ideali e dei fatti che li realizzano. Luomo forte con pensiero forte, cos padrone di s e del mondo da potersi permettere e auspicare una concezione condiscendente e conciliante della vita e dei viventi, roba daltri tempi. Quella che lei definisce degenerazione, quindi, non si pu pi attribuire alla stanchezza ideale di un uomo forte ma, al contrario, la ricerca di un pensiero forte da parte di un uomo ideologicamente molto debole. Se c difetto ed errore in qualche architettura recente, questo imputabile alla maniera, al ripetersi e abituarsi alluso formale, stilistico che, come per il passato, riconcilia con una blasfema convinzione di superiorit. Il male maggiore non sta nellautoreferenzialit (che attiene la scrittura architettonica con la quale occorre convivere) ma nel suo svilirsi in calligrafia pura e semplice.
La seconda riguarda labolizione dellordine degli architetti.
La profonda differenza ideale che divide il nostro modo di intendere e fare architettura la ragione prima per cui io e lei non dovremmo stare sotto la stessa chiesa. Per quanto riguarda un sondaggio tra i lettori non credo che molti gradirebbero prestare il proprio nome per la sottoscrizione di una richiesta cos radicale. Ma si pu provare.
Commento
6297
di Pietro pagliardini
del 09/07/2008
relativo all'articolo
Bravo Eisenman. Anzi, no
di
Vilma Torselli
Come al solito ho fatto confusione: avevo cominciato a scrivere il commento poi ho pigiato per errore un tasto ed partito prima di finirlo. Non so nemmeno se partito o annullato. Mi scuso nell'uncaso o nell'altro.
Riprendo daccapo, ringrazoandoti per il link e per avermi dato l'opportunit di leggere un articolo che parla di arte e di architettura.
Ho anche letto il commento di Marco Mauro, mi pare, e la tua risposta che, nella parte in cui maltratti gli architetti che non si interessano di arte io mi sono riconosciuto, quindi il risciacquone vale anche per me.
Probabilmente hai ragione te, sotto il profilo strettamente culturale, io per sono viziato un p dalla mia testardaggine e "grettezza" antropologica, come ti dicevo riferendomi alla mia citt, un p dalla mia professione che mi porta a diffidare degli architetti-artisti e in questo magari confondo l'arte con gli artisti e l'architettura con gli architetti, sapendo che non sempre, anzi quasi mai, l'una coincide con gli altri, in entrambe i casi.
Per questo tendo a separare e a trascurare la parte artistica (oltre che per prigrizia mentale).
Vorrai comunque riconoscere che un'opera delle dimensioni del mausoleo di Eisenman paragonabile, per le conseguenze sulla citt, pi ad un'architettura che ad una scultura, che ha cio una grandissima valenza urbana, ben superiore quantitativamente, e come forza espressiva, ad esempio, ad una stele al centro di una piazza o, che so, alla colonna al centro di Place Vendome, che pure fondamentale come perno intorno a cui tutto ruota e come punto focale dalla strada che si immette nella piazza stessa.
Quella che te giudichi come arte concettuale non produce gli stessi effetti della libreria con gli elenchi dei telefoni di tutto il mondo. Questa , perdona il paragone, un mobile, lungo quanto vuoi, all'interno di una stanza, grande quanto vuoi ma sempre un mobile, un oggetto. Quella di Eisenman occupa qualche ettaro, qualcosa di paragonabile ad un parco, in termini dimensionali, e, se ben ricordo, in citt, anche se sullo sfondo vedo alberi.
Io non voglio dire che non avrebbe dovuto essere eseguita perch troppo grande poich lo spazio urbano fatto anche di garndi spazi non necessari dal punto di vista utilitaristico, dico per che quell'opera ha conseguenza sulla citt non piccole e, laddove l'artista e il critico d'arte vede, con i limiti di cui tu parli, la perpetuazione del ricordo di una violenza immane ai danni di un popolo, l'architetto, ma direi pi propriamente, gli abitanti della citt possono vedere un problema: di sicurezza, di pulizia, di ordine pubblico, di inserimento nel contesto (che non conosco in verit). Vogliamo dire che il ricordo dell'olocausto degli ebrei, proprio nella patria di coloro che pi di altri, o insieme ad altri, hanno perpetrato quell'infamia, merita un sacrificio per la citt? Va benissimo se i cittadini l'hanno accettato. Ma, se potessimo togliere (e non lo possiamo ma vale come esempio) la tragica valenza simbolica a quel mausoleo e si trattasse di uno dei tanti monumenti ai caduti delle varie guerre di cui sono piene le nostre citt, lo potremmo accettare? (senza voler stabilire gerarchie tra i caduti per una guerra o per l'altra).
Ricordo, se la memoria non mi inganna, le polemiche per il cubo di Aldo Rossi a Milano mi pare per i martiri della Resistenza, un affare di qualche metro di lato!
Penso anche all'effetto imitativo e di trascinamento che opere come queste, tanto pi se di una archistar, portano con s nella mente degli architetti (non tutti) e dei parallelepipedi in sedicesimo che viene voglia di mettere al primo concorso per una piazza del centro storico, sputtanandola definitivamente, o di periferia, aumentandone il degrado.
Questa banale riflessione ti volevo sottoporre a parziale giustificazione della mia, e non solo mia, difficolt a mescolare arte e architettura .
Saluti
Piero
[Torna indietro]
Commento 11103 di pietro pagliardini
del 14/01/2012
relativo all'articolo Un anno molto difficile
di Sandro Lazier
Vilma
ho apprezzato il tuo modo elegante e garbato di darmi amichevolmente e bonariamente dello stupido con la storia del dito e della luna. Per io non ho voluto calcare la mano su quella piccola ingenuit dell'wifi, non ho voluto cio sfruttare una modesta debolezza per rivoltare la frittata a mio vantaggio (vantaggio di cosa poi).
Io credo di avere capito il senso di quello che tu avevi scritto e che riconfermi adesso con: "Curiosa la tua inversione tra causa ed effetto, tra funzioni che passano e citt che restano, prima lo schema e poi le funzioni che lo utilizzano .. accidenti, il 900 passato invano dalle tue parti!".
Il '900 passato dalle mie parti e non del tutto invano.
Cerchiamo di distinguere le "funzioni" dai grandi processi sociali ed economici, che forse meglio.
Lo so anch'io, sembrer strano, che la trasformazione della citt avvenuta nel '900 la conseguenza di grandi trasformazioni economiche avvenute nella nostra civilt occidentale, pi o meno simili a quelle che stanno avvenendo nei paesi emergenti o gi emersi. Non a questo che mi riferivo, ovvio.
Ho detto e riconfermo, e in questo non c'entra davvero niente l'antichismo o il passatismo o il krierismo architettonico o lo stile o il linguaggio architettonico o il desiderio di vivere in una citt "a misura d'uomo", medievale o cinquecentesca o disneyana o vernacolare e quant'altro di analogo, ma c'entra l'adesione ad un pensiero, ad una vera disciplina di lettura ed interpretazione della citt che ha individuato regole che non sono eludibili pena ...... e qui viene il punto. Pena che cosa?
Secondo me pena l'anti-citt e allo stesso tempo l'anti-campagna o forse la non-citt e la non-campagna. Perch dico questo? Perch esistono principi di formazione e crescita della citt in base ai quali, soprattutto in base alla conformazione della rete stradale, certi luoghi sono destinati dalla forma e strutturazione della rete, non dal destino, ad essere centrali ed altri no.
Inutile che parta dall'origine, chiaro che luoghi nodali erano luoghi geografici privilegiati, e nel tempo anche determinate "funzioni" sono diventate nodali (ma la cattedrale e il comune non erano collocati in luoghi marginali, stanne certa). E' sicuro che esiste una interazione tra funzioni e centralit, ma se un luogo urbano anti-nodale, diciamo marginale, la funzione in esso insediata sar soggetta a deperimento e abbandono. Se va bene a trasformazione.
Quando i nostri sindaci o i nostri architetti individuano un luogo che per cause varie diventa oggetto di interesse, il primo pensiero : cosa ci facciamo? Ecco, questa una grande stupidaggine perch la domanda dovrebbe essere: come la facciamo? Non come dal punto di vista del linguaggio ma dal punto di vista urbanistico. Le domande da porsi sono: quell'area connessa alla citt? Come facciamo per connetterla? e la rete web non c'entra niente perch non richiede un sindaco, ma solo i gestori delle reti telefoniche e dati.
E infine: pu diventare area centrale? Pu essere utile, cio, per una funzione urbana importante? Se s necessiter di determinate funzioni, se no di altre.
Questa la trasformazione della citt che non pu seguire gli sfizi di nessuno, esattamente come alle origini, quando ci si insediava lontano dalle paludi, o in prossimit degli sbocchi tra valli diverse per ovvi motivi di scambio e possibilmente vicino all'acqua. O in alto per difesa, lungo percorsi di crinale.
Invece si fa esattamente l'opposto. Si fanno piazze che non potranno mai assurgere al ruolo di piazze, se non per la targa, e quindi degraderanno in breve, come la citt nel suo complesso. I centri commerciali, anch'essi soggetti a degrado, hanno tuttavia una loro perversa logica, come tutti i non-luoghi o super-luoghi che dir si voglia (areoporti, grill autostradali, ecc), perch sono completamente autosufficienti e indifferenti rispetto alla citt ma finalizzati ad altro. Ma quando si parla di citt si parla, appunto, d'altro.
Ciao
Pietro