Storia e Critica
di Luigi Prestinenza Puglisi
- 3/6/2001
Cari Sandro e Paolo,
come avrete capito, io sono un neo-kantiano.
Non credo che sia potere dell'uomo scoprire come le cose siano o, peggio,
siano state. Né tanto meno capire se queste abbiano una finalità.
Non credo alla Storia. Quella con la S maiuscola che permette di dare
risposte a domande quali: Dove andiamo? Chi siamo? Che facciamo?
La mia risposta è: e chi lo sa?
Del passato, io credo, noi non possiamo costruirci che modelli, ipotetici
e intimamente fasulli come tutti i modelli. Impoverenti come tutte le
costruzioni che riassumono in uno schematismo logico le complicazioni
dell'essere o dell'esistenza.
Ma questa povertà è la nostra forza. E' una povertà
che ci fa scoprire che possiamo costruire simulacri. E ci fa essere creatori
di un gioco affascinante. Tanto che, alla fine, corriamo il rischio di
illuderci che questi siano la Realtà. Invece sono solo la nostra
realtà.
Cioè, lo ripeto, modelli. Della cui fragilità ce ne accorgiamo
quando li vediamo cadere uno dopo l'altro, oppure scopriamo che di uno
stesso fatto sono possibili due, tre, dieci spiegazioni tutte egualmente
convincenti, coerenti, esaurienti.
Vista da un punto di vista ontologico, e cioè della ricerca della
verità in sé e per sé ( uso il termine in senso hegeliano),
la storia è illusione. Ma non così dal punto di vista pratico.
Secondo il quale la storia è esperienza, operazione indispensabile
alla sopravvivenza. Ci permette, con buone probabilità, di non
ripetere errori, di ritornare sui successi, di evitare di inventare ogni
volta l'acqua calda.
Non solo: la modellizzazione del passato ci permette di costruirci la
nostra coscienza, il nostro io, i nostri valori. Di ammirare alcuni fatti
e disprezzare altri. E sulla base di queste preferenze di costruirci la
volontà. Cioè un progetto di vita e di superamento. Che
è ciò che ci strappa dalla animalità e ci proietta
verso il futuro.
Cosa c'entra tutto questo con l'informatica?
Poco e molto. Poco perché tutte queste considerazioni sono indipendenti
dal digitale. Molto perché la società elettronica ha dato
un enorme sviluppo al pensare per modelli, facendoci capire quanto dietro
ogni costruzione mentale si celi sempre una struttura artificialmente
costruita dalla mente. Tutto nel digitale è modellizzato perché
ricondotto, nella sua purezza, a un sistema di relazioni. Mai, nel digitale,
ci si può illudere che si abbia a che fare con la realtà
in sé e per sé. Quindi mai si può pensare, davanti
a un CD, di avere a che fare con la Storia con la S maiuscola.
Perché i seguaci di Heidegger - alludo sia a quelli intelligenti
che agli orecchianti del conservatorismo architettonico italiano - ce
l'hanno con la società delle immagini? E con il digitale? Perché
hanno intuito che l'elettronica è il punto finale di una rivoluzione
del pensiero, che parte da Kant, passa per il neopositivismo logico e
arriva allo strutturalismo. Un modo di vedere che ha finalmente messo
in crisi la metafisica dell'Essere. Al suo posto, producendo immagini
(immagine=forma=struttura=significato secondo Bateson) ha introdotto la
riflessione, scientifica, sull'esserci. Quella che crede che la realtà
non sia conoscibile se non attraverso sistemi di relazioni, ipotetiche,
e in linea generale, formalizzabili scientificamente. In proposito è
ancora illuminante lo scritto di Cassirer Sostanza e funzione, la cui
conclusione è perentoria: valori e relazioni non sono interni all'Essere
in sé e per sé ma il frutto della libera creazione umana.
Torniamo alla storia. Se il suo compito non è la ricostruzione
di ciò che è stato in sé e per sé ma è
dare direzione alla nostra vita, allora servono almeno due punti. Il primo
lo prenderemo dal passato, attraverso i modelli,il secondo nel futuro,
attraverso la volontà. Tutto qua: ecco la critica operativa, così
come io la intendo.
(Luigi Prestinenza Puglisi
- 3/6/2001)
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