Bruno Zevi e la didattica che non c
di Sandro Lazier
- 1/3/2020
Credo che, oggi, a ventanni dalla morte, Bruno Zevi sarebbe sicuramente stupito della sua attualit, ma soprattutto dellinattualit della condizione dellarchitettura di questo paese che ultimamente vede sparire capolavori dellintelligenza per essere sostituiti con la mediocrit pi comune e banale.
Inizio la riflessione, molto immodestamente, riprendendo un commento scritto di recente sul mio profilo Facebook:
1998. Scrissi una lettera a Bruno Zevi. Allora la posta pi veloce si chiamava Fax. Il prof. Zevi li adorava e io, ogni tanto, ne approfittavo per divagare un po tra le mie crisi esistenziali. Quella volta, preso dalla retorica filantropica della professione, feci una dichiarazione damore allumanit intera. La risposta fu tassativa: stai lontano da questa razza dannata.
Vi dir che accolsi la sua risposta come un eccesso verbale, come quando si vuole dare risalto ad un concetto perch emerga chiaramente in un contesto rilevante.
La mia formazione deve parecchio alleducazione cristiana e allamore e rispetto del prossimo - sono stato in et formativa in un collegio salesiano di Torino - tanto da spingerlo ad amarlo a prescindere, come direbbe il principe De Curtis. Questa la ragione per cui intesi le parole del professore nel modo che ho appena detto.
Devo confessarvi, per, che arrivando ora ad unet matura, parecchio vicina alla sua di allora, capisco benissimo cosa intendesse e quanto realistico fosse il suo giudizio nei confronti di unumanit che in questi ultimi anni non ci ha risparmiato nessuna riprovevole malvagit e sofferenza.
Lumanit, in fondo, credo che non meriti la considerazione che le riconosciamo. Le societ continuano a darci prova duna violenza e cattiveria di fondo che solo una meravigliosa finzione, che noi chiamiamo cultura, riesce a sedare, la quale ci racconta di sentimenti nobili e di mondi ideali, ma che sinfrangono facilmente contro gli scogli della paura, della sopraffazione e dellegoismo. Per cui le cose si fanno per una loro inerzia autoreferenziale, dentro cui ballano i nostri sentimenti tra famiglia, amicizie e poche altre persone. una condizione triste, ma occorre farsene una ragione, perch altre non ne abbiamo.
Zevi stato un maestro? Certamente s. Soprattutto maestro di umanit, o disumanit se volete: lo scritto sopra lo dimostra.
Ma maestri lo sono stati in particolare i suoi scritti e, di questi, sono stati importanti la tensione morale che li accompagnava, le invenzioni critiche a cavallo della storia tra presente e passato, tra conquiste e tragedie. Ma maestro, soprattutto, stato lengagement civile e sociale che ha sempre ispirato il suo impegno umano e professionale.
Ma si continua a ricordarlo per la vicenda delle invarianti, come se queste fossero il pilastro centrale di tutta la sua costruzione teorica, che invece ben pi vasta e complessa di quanto serva ai suoi detrattori per farlo apparire un polveroso soprammobile da dimenticare nellangolo dei ricordi. Le invarianti stesse, comunque, rimangono uno strumento capace di ricreare una dimensione epistemologica complessiva che costituisce un punto indispensabile della formazione professionale e culturale degli individui.
Mi succede frequentemente, infatti, di dover difendere la sua memoria. E mi capita sovente, in seguito a critiche piuttosto aspre che rivolgo al postmoderno e al razionalismo milanese, di venir rimproverato ironicamente perch mi riproporrei, secondo chi mi addita, come la riedizione del professore nelle sue epiche battaglie culturali del dopoguerra. Il problema che, purtroppo, questi critici del moderno riformato si son fermati ben prima della seconda guerra mondiale e, in qualche caso, al prima ci son tornati.
In un post successivo, sempre a proposito di Zevi, scrivevo: Durante il dominio della linguistica, a met del secolo scorso, nel quale ogni sapere e ogni azione intellettuale doveva inchinarsi allautorit della filosofia strutturalista, anche il massimo promotore dellarchitettura liberale, Bruno Zevi, sent la necessit di organizzare il pensiero critico secondo sette invarianti del linguaggio contemporaneo. Non erano regole per costruire larchitettura ma piuttosto antiregole per riuscire a leggerla e dedurne il valore. Mai Zevi avrebbe dato regole pratiche per fare larchitettura, malgrado tanti suoi detrattori tuttora gli assegnino questa volont e su questa fondino le contraddizioni di cui lo accusano. E spesso sono gli stessi detrattori che ancora rivendicano una sorta di ontologia, il cui merito dovrebbe governare la buona architettura e condannare quella cattiva.
A giugno 2018 si sono tenuti a Roma e Milano tre convegni per i cento anni della nascita del professore. Voglio parlare in particolare di quello del 12 giugno 2018, in Triennale di Milano, con interventi di Marco Biraghi, Emanuele Fiano, Fulvio Irace, Carlo Olmo, Luca Zevi.
Credo che Luca mi perdoner se scrivo che mai, per un convegno commemorativo, si costruita una squadra pi scombinata e ostile al personaggio celebrato.
Marco Biraghi: nel 2011 scrisse una recensione dun libro che chiam Ci che manca in cui asseriva: Infine, vi sono molte cose che mancano al di fuori e al di l di questo libro: manca la forza delle idee; manca il coraggio di rompere gli schemi; mancano la forza e il coraggio di prendere posizione; manca la capacit di sottoporre a critica il sistema dominante; manca lonest, lintegrit morale per opporsi agli interessi dei potenti; manca la volont di investigare mettendo in relazione, anzich scavando, come talpe; manca lagilit per divertirsi seriamente e per esser seri divertendosi; manca lintelligenza, la profondit per guardare al passato come a un tempo attivo, vivo; manca la sensibilit per guardare al presente come a un tempo passibile di interpretazione; manca limmaginazione per guardare al futuro come a un tempo possibile, rispetto al quale provare ancora a dire, a progettare qualcosa.
In pratica, Biraghi, in poche righe dichiarava che manca tutto ci che stato Bruno Zevi e tutto quello che rappresenta e che lui, spacciando la sua riflessione come una novit, confessa di aver del tutto ignorato. Giusto, quindi, chiamarlo per commemorarlo?
Emanuele Fiano persona che stimo e mi dispiace trovarlo in questa compagnia sballata.
Fulvio Irace: il suo fastidio per Zevi ben noto. Il politecnico di Milano, dai tempi di Casabella di Ernesto Nathan Rogers, non ha mai gradito la schiettezza e lantiaccademismo del nostro, per di pi romano, avversario del rossismo e delle sue derivazioni neo-littorie.
Nel 2001 Paolo G.L. Ferrara, in un articolo qui su antiTHeSi, citava una sua dichiarazione: Ancora pi curiosit mi ha messo il leggere le Sue considerazioni sulle invarianti zeviane su cui abbiamo avuto un piccolo contraddittorio durante il convegno citato; riferendosi a Zevi, Irace precisa che: "le sue invarianti mi sono sembrate un non-sense scientifico, anche se un'utile dichiarazione di poetica storica.
Quindi, o non le ha capite, o non le ha apprezzate. Vi sembra unottima ragione per invitarlo al convegno commemorativo?
Conosco poco Carlo Olmo ma la sua lunga collaborazione con due reazionari come Roberto Gabetti e Aimaro Isola non pu sicuramente aver favorito lamore e la stima per le scandalose teorie zeviane, piuttosto critiche con le retromarce decorative dei due architetti padroni per quarantanni dellateneo torinese. Escluderlo dal convegno, secondo me, non avrebbe offeso nessuno.
Insomma, a Milano in Triennale abbiamo assistito a quel processo di canonizzazione del demonio Zevi che dovrebbe intrupparlo tra i santi del calendario, vista lininfluenza e la secolarizzazione delle sue eresie, ormai digerite dallo stomaco ossidato del mondo accademico. Un mondo che ha contribuito a portare questa patria di vecchi nostalgici verso il declino pi triste, di cui la classe politica attuale la pi degna espressione. Il fatto che il livello di ignoranza dellarchitettura in questo paese, responsabile del suo inesistente apprezzamento, abbia toccato linconsistenza, avr pure una qualche responsabilit in chi istituzionalmente ha risorse e mezzi per promuoverne la qualit e la considerazione. E se qualit e considerazione sono cos in basso, perch nessuno si fa carico delle conseguenze perpetrando lasfittica liturgia dei convegni utili solo alla vanagloria degli invitati? Il mondo della cultura istituzionale, barricato dentro le sue cattedre autoreferenziali, dietro il mito della competenza scientifica, comunica e bada solo alla propria sopravvivenza, come un clero investito dunautorit scippata alla storia.
So che allinterno di questo mondo, gerarchico ed esclusivo, esistono preziosissime eccezioni, che fanno un lavoro didattico colossale, sia sul piano fisico che su quello intellettuale, ma purtroppo a loro e ai tanti che giornalmente producono cultura sul campo non sono rese accessibili le poltrone pi alte e conseguentemente le prime pagine della comunicazione, perch ingombre di personaggi realmente ingombranti; perch interdette da ripicche personali o squallide manovre di palazzo. Appare ormai evidente che la mediocrit di tutto luniverso culturale abbia investito ogni canale comunicativo tradizionale, rendendo tutta la rete mediatica relativa prudentemente accomodata sulla propria conservazione.
Un altro mondo invece quello del WEB, parallelo al primo ma escluso dallimpianto culturale istituzionale, un po perch nuovo e un po perch destabilizzante nella sua democraticit, dovuta alla possibilit dinterazione con cui i fruitori dei messaggi didattici possono esprimere giudizi di merito o demerito, strutturati e non filtrati dai destinatari. Un mondo che sarebbe piaciuto molto a Bruno Zevi, il quale, gi negli anni settanta proponeva luniversit dellaria ("Editoriali di architettura" di B. Zevi - ed.PBEinaudi -pagg.388-390).
Per un'universit dell'aria era uno dei cavalli di battaglia di Bruno Zevi. Quando scrisse di ci, pi di venti anni fa, l'Universit veleggiava in acque inquiete, rischiando di andare alla deriva. Erano gli anni '70, forse i peggiori che le facolt d'architettura abbiano vissuto. Peggiori per motivi spesso slegati dalla didattica e troppo frequentemente riferibili a situazioni extra culturali specifiche dell'architettura.[...] Zevi considerava plausibile l'universit di massa solo utilizzando per la didattica strumenti di comunicazione di massa.[...] Zevi sottolineava quanto fosse necessario che l'universit svolgesse appieno i tre compiti di didattica, ricerca e servizi per la comunit. [...] Ancora Zevi sottolineava come fosse illusione pensare che un docente universitario si mettesse in discussione oltre la personale nicchia. [...] Venti anni fa Zevi sottolineava che si sarebbero potuti trasmettere i tanti "pseudo" discorsi fatti dai docenti durante lo svolgimento di un corso di progettazione architettonica.[...] nonostante il corso non avesse assolutamente quale scopo primo di costringere gli studenti ad ascoltare." []chiacchiere pseudo-filosofiche, pseudo-sociologiche, pseudo-linguistiche, pseudo-culturali".
(citazioni tratte da Universit dell'aria venti anni dopo di Paolo G.L. Ferrara - 30/7/2001)
Oggi, questi due mondi paralleli esistono e viaggiano affiancati, come due realt che si vedono ma non si guardano, costringendo gli studenti ad un doppio confronto, che non mai produttivo sul piano didattico. Non lo perch le due realt non sono complementari ma esclusive: se lapertura della prima, il WEB, tende a coinvolgere lintera societ nelle sue componenti pi esterne, costringendo i termini della progettazione ad una visione universale dei valori, la seconda, la realt accademica tradizionale, da anni trincerata su se stessa, concentrata sul confronto con lo storicismo nel suo aspetto pi banale, ovvero quella specie di logocentrismo identitario capace di esaltare solo le differenze rispetto alluniversalit dei valori. E lo fa, paradossalmente, chiedendo omologazione e disciplina allinterno dei propri obiettivi, sempre paradossalmente ricorrendo a tipologie spazialmente mute. Da anni, alle accademie interessa pi ci che distingue di ci che unisce. Il risultato di questa paranoia identitaria sotto gli occhi di tutti nellinvoluzione dellarchitettura di massa, nella regressione di intere parti di citt e di societ e di un ritorno al pi becero dei nazionalismi, localismi, leghismi, ecc...
Credo a questo punto che serva una seria riflessione, e che questa riflessione parta dal mondo pi vicino a chi promuove e apprezza il dialogo aperto: i giovani. Il loro futuro, da progettare con presupposti che noi mai ci saremmo immaginati, chiede che le risorse che ora vengono affidate al circo equestre ormai desueto e inutilmente ingombrante del sistema universitario, di cui la convegnistica da riporto (quella per cui non importante lesito di ci che succede, ma lesserci di heideggeriana memoria) espressione evidente, venga impiegato nella realizzazione di nuovi circuiti formativi, meno gerarchici e pi agili, magari paralleli alle stesse universit le quali, per, devono accettare lidea di perdere la loro indiscussa autorit ed esclusiva competenza a favore di nuovi soggetti la cui autorevolezza non dipender da scalate accademiche ma da una effettiva competenza sul campo.
Ho tirato in ballo i convegni da riporto.
Quindi voglio chiudere con un esempio, sempre relativo al personaggio Bruno Zevi.
Lopportunit si realizza a Roma, il 6 febbraio, in occasione della presentazione del libro Bruno Zevi e la didattica dell'architettura curato da Luca Porqueddu, Piero Ostilio Rossi e Francesca Romana Castelli e Gianpaola Spirito. Sono presenti i relatori Pippo Ciorra, Fulvio Irace e Mario Lupano.
Di Fulvio Irace ho gi parlato. Pippo Ciorra, invece, lo possiamo definire come un ingranaggio molto efficace della macchina accademica tradizionale, quella che Zevi aveva lasciato in polemica nel 1979; in polemica con Manfredo Tafuri che, legato ad una lettura politica e ideologica della critica su base storica e storicistica, non poteva accettare la rivoluzionaria teoria zeviana della critica operativa fondata su una lettura della storia organicamente compresa in tutta la sua estensione, che di fatto negava un senso della storia nella sua evoluzione classista in versione marxista. Ciorra, che nei suoi programmi non ha mai disdegnato il favore dei vincenti, tra laltro sostenuto dallaltro ramo della polemica costituito dal filone del neorazionalismo milanese, non credo abbia mai approfondito, col dovuto impegno, amore ed interesse nessuna teoria zeviana al di l di una conoscenza superficiale e allineata alle ragioni polemiche dei suoi detrattori.
Di Mario Lupano non parlo perch lo conosco poco.
Conosco, invece, qualche allievo zeviano attualmente docente nelle universit italiane. Ma non stato invitato, pur avendo una conoscenza profonda dellargomento trattato.
Se si ha la pazienza di seguire tutta la presentazione del libro, possibile farlo da qu: segui su Radio Radicale
Tutto lintervento stato abbastanza noioso, autoreferenziale, sicuramente poco coinvolgente, sufficientemente vanaglorioso e scontato, che non ha aggiunto e tolto nulla alla figura zeviana ma che sicuramente non lha n esaltata n attualizzata: lennesimo processo di canonizzazione attuato da persone che non lhanno mai apprezzato e, quindi, particolarmente studiato.
Una fanfaronata inutile al punto che nel finale, Antonino Saggio della Sapienza, allievo e grande conoscitore del personaggio Zevi (forse per questo escluso dal gruppo imbarazzantemente male assortito) dovuto intervenire per riportare la serata nei binari della decenza culturale, ricordando laspetto fondamentale della personalit zeviana, che quello che consegna ogni suo gesto al cospetto dellimpegno civile e sociale, proprio di ogni azione umana. E sufficiente leggere un qualsiasi testo zeviano per trarne questa impressione. Grazie ad Antonino Saggio (di cui di seguito riporto lintervento di pochi minuti) per essere intervenuto.
(Sandro Lazier
- 1/3/2020)
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