Il gioco delle tre carte.
di Paolo G.L. Ferrara
- 19/5/2001
Architettura, critica, storia. Tre carte di seme diverso, spesso utilizzate
senza mischiarle.
Saltiamo i preamboli, senza dunque riproporre gli avvenimenti della loro
storia.
Veniamo all'oggi, quello dell'era informatica, dell'architettura digitale.
Fondamentale chiedersi se il fenomeno "architettura digitale"
interagisce con la critica o se - nel futuro prossimo- lo registreremo
solo come fatto storico.
In quest'ultimo caso, esso non avrebbe valore. La critica fondamentale
vaglio al quale deve sottoporsi l'architettura digitale. Da pi
parti -autorevoli- arriva il messaggio del momento di cambiamento che
si sta vivendo a livello sociale, in cui l'architettura assume un ruolo
fondamentale.
Dibattendo con chi attaccava i significati della "critica operativa",
B.Zevi concludeva:
"In un contesto cos fluido e confuso, notevoli responsabilit
gravano sulla critica architettonica. E' doveroso registrare la cronaca,
anche gli episodi d'involuzione[]Ma attenti a non offrire una spiegazione
strutturale a qualsiasi fenomeno schizofrenico. Altrimenti abdichiamo,
serviamo il consumismo, il processo dello styling ed i revivals classicisti"
- vedi Editoriali di architettura -pagg.165-169 - PBE
I significati dell'importanza del ruolo della critica vanno oltre la semplice
registrazione dei fatti. Punto fondamentale, da perseguire senza sosta.
Zevi lo attua nel tempo, e A.Saggio - parlandoci del libro Zevi su Zevi
( ed. Marsilio)- ne capta il significato: "La critica si avventura
in una fase difficile, incerta, nuova. Forse in quella che proprio Barthes
chiamava ' scrittura all'indicativo' o amodale, lontana tanto dal linguaggio
letterario che da quello parlato. E' una direzione di cui non conosciamo
ancora gli approdi[]ma che invita a riflettere e a cercare"
- vedi Domus 761-
La fase difficile, che la critica s'apprestava a vivere, ne era la sua
stessa linfa vitale. Lo era lo .
Parlando della situazione attuale, indicai anche l'esistenza di architetti
trasformisti che sono passati repentinamente dalla presunta influenza
Kahniana alle pi recenti indicazioni pervenuteci, ad esempio,
da Eisenman o Gehry. Ne parlai, senza approfondire, in " I vitelloni
dell'architettura" - vedi Antithesi, articoli di critica-
e fu proprio A.Saggio a chiedermi di andare pi a fondo, ammonendomi:
"Paolo, la critica senza storia battibecco" - Vedi
Dialoghi, su Antithesi.
Il richiamo amichevole di A.Saggio sottolineava quanto la storia e la
critica siano legate a filo triplo; lo storico ed il critico hanno ruoli
interdipendenti.
E gli architetti? L'uso della "storia" da parte loro non pu
prescindere dalla sua lettura critica poich, in caso contrario,
la "storia" continuerebbe ad essere ridotta ad un insieme di
cognizioni a cui fare riferimento, ma senza alcuna possibilit
di poterla relazionare, in modo attinente, alla contemporaneit.
E' chiaro che quando si parla di "critica attesa da una fase difficile",
il ragionamento strettamente legato all'operativit architettonica.
Senza architettura non ci sarebbe critica. Ma la critica pu essere
a posteriori? Che tipo di ruolo assumerebbe in questo caso? Indubbio:
il critico si ridurrebbe a semplice giudice del risultato finale - quel
che J.M.Richardson sosteneva- senza considerare la genesi "critica"
del progetto, derivante dal progettista.
Indubbiamente un compito duro, arduo, ma la critica non pu
esentarsi dal porsi interrogativi in tempo reale con gli avvenimenti.
Deve fare di pi: legare questi interrogativi anche al passato
(storia) ed alle possibili potenzialit future dello stesso passato
(storia).
Rilettura critica della storia che ci possa dare indicazioni per potere
"riflettere e cercare"?
Le sette invarianti zeviane ne sono dimostrazione, e lo stesso Zevi lo
dice chiaramente :"Non ho inventato questi principi. Come storico
li ho ricavati scientificamente dalle esperienze del Movimento Moderno
[] Con stupore e tripudio, ho scoperto che gli stessi principi si
applicano a tutta l'architettura creativa del passato. Tutti gli artisti
certi ed originali sono moderni".
Le sette invarianti quali trasgressione alle regole. Non regole da applicare
per progettare: in tal caso non avrebbero alcun senso.
Porre l'accento sulle invarianti zeviane significa, prima di tutto, evitare
l'equivoco di considerarle un elenco da seguire punto per punto al fine
della progettazione. I lettori sanno quanto importante sia stata la pubblicazione
de "Il linguaggio moderno dell'architettura-guida al codice anticlassico",
ma in relazione alle questioni linguistiche degli anni '70, ed al rifiuto
dell'accettazione della crisi della modernit quale fatto irrecuperabile.
Messaggio chiaro: applicare letteralmente le sette invarianti per progettare,
lavoro pretestuoso. Un'eventuale applicazione va fatta conoscendo
criticamente la storia dello spazio architettonico, una storia continuamente
riscritta.
Storia e critica ribadiscono il loro dover essere interdipendenti, a servizio
dell'architettura significativa.
Tra i suoi molti impegni, il Prof.Fulvio Irace - nella sua veste di storico
e critico- si ripromesso di chiarirmi i termini del -secondo
me- importante parere da lui espresso durante un convegno a Milano: in
sintesi -secondo Irace- non tutto quello che oggi si produce di nuovo
(il riferimento all'architettura digitale) pu considerarsi
assoluta novit. E' affermazione di sicuro interesse, soprattutto
se vista nei termini in cui stiamo scrivendo del rapporto tra storia e
critica.
Ancora pi curiosit mi ha messo il leggere le Sue considerazioni
sulle invarianti zeviane - su cui abbiamo avuto un piccolo contraddittorio
durante il convegno citato- ; riferendosi a Zevi, Irace precisa che :
" le sue invarianti mi sono sembrate un non-sense scientifico,
anche se un'utile dichiarazione di poetica storica".
Vero che, con esse, Zevi voleva -deliberatamente- suscitare dissenso,
ma sicuramente- considerandole inutili- non lo avrebbe fatto con dichiarazioni
di poetica storica.
Le invarianti zeviane incitavano all'azzeramento del linguaggio, finanche
dei metodi di lettura della storia dell'architettura e della critica a
posteriori.
A distanza di trenta anni, l'architettura della rivoluzione informatica
ci obbliga a confrontarci con i nuovi temi che propone ed io non credo
si possa escludere il lavoro possa prendere vita proprio da una delle
invarianti: l'urbatettura. L'ultima invariante che Zevi metteva a conclusione
del codice anticlassico, ma che non pu essere intesa quale chiusura
di un processo definito a priori.
Se analizziamo quanto Saggio ci dice sulle Nuove sostanze, facile
individuare in che misura l'architettura dell'era digitale venga, sempre
e comunque, relazionata alla sua realt, ai suoi campi applicativi:
citt e paesaggio. Le tre nuove sostanze di cui Saggio ci parla
non sono elencate a caso: l'informatica -ultima ad essere citata- serve
solo in sinergia e applicazione delle prime due -brown areas e spazio
come sistema-
" Le aree si liberano, si cerca un rapporto pi stretto con
l'ambiente, si pensa all'architettura come ibridazione tra natura, paesaggio
e tecnologia, si cercano spazi come sistemi interagenti perch
siamo nella rivoluzione informatica[] ".
Architettura digitale che trova assonanze con l' Urbatettura, cos
come Zevi la presentava: "Non pi blocchi occupati da fabbriche
e blocchi vuoti delle strade e degli slarghi; disintegratane la trama,
il paesaggio viene reintegrato. Superando la vecchia dicotomia citt-campagna,
l'urbatettura si dilata nel territorio, mentre squarci naturali penetrano
nel tessuto metropolitano".
Ripartiamo, dunque, dall'urbatettura contemporanea, non pi legata
solo a questioni di linguaggio.
Chiaro: l'essenza dell'urbatettura zeviana sono le interconnessioni, e
d' interconnessioni dobbiamo parlare oggi, durante la rivoluzione informatica,
che ci consente di disintegrare le trame e superare la vecchia dicotomia
citt-campagna.
Quello che Saggio chiama urbanscape parte dell'urbatettura zeviana,
parte fondamentale che egli rintraccia nel Guggenheim di Gehry, leggendone
criticamente i significati, oltre qualsiasi esclusivo senso estetico.
L'urbanscape ci porta a sviluppare l'urbatettura, cos da ricontestualizzarla
ai nuovi elementi del nostro tempo.
Mi fermo qui, consapevole del senso provocatorio di questo mio scritto
e rilancio il problema sollevato da Sandro Lazier :"riscriviamo il
significato della parola storia, altrimenti rischiamo di non cogliere
i frutti dell'ennesimo miracolo che l'intelletto ci sta suggerendo"
- vedi Antithesi, Architetture digitali.
Significato della parola storia che non pu essere riscritto senza
la consapevolezza che la critica ne debba fare parte attivamente.
Il gioco delle tre carte non ci soddisfa. Mischiamole.
(Paolo G.L. Ferrara
- 19/5/2001)
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