Design, Arte? Moda?
di Gianni Marcarino
- 16/12/2001
Nel numero 340 della rivista Arte, Alessandra Redaelli ,
a proposito di industrial design,propone un'intervista all'architetto
Piero Lissoni art director di Boffi, nota azienda produttrice
di mobili per bagno e cucina.
Il tema lo"stile " minimal: "dominanza di linee orizzontali e
verticali, niente sbavature, niente che non sia assolutamente indispensabile".
Tanto che Lissoni contesta il termine minimal a cui preferisce la
parola semplice. Secondo tema che l'articolo sfiora l'avvicinarsi
tra il mondo della produzione industriale,del commercio ed il mondo
dell'arte. Gli spazi commerciali diventano anche, periodicamente,
spazi di cultura in cui si svolgono esposizioni e performance di
artisti vari.
Due argomenti ,che meritano approfondimento e
discussione.
In effetti, credo che Piero Lissoni colga in pieno, negando il riferimento
al proprio lavoro, il rischio di legare la propria produzione al
termine minimal. Esso rappresenta infatti un punto del percorso
dell'arte moderna ed anche un momento di moda e di generale
consenso, ma contiene gi in se stesso le prerogative della propria
crisi. Sposarlo in toto significa anche subire le disgrazie
della tendenza calante. Molto meglio usare la parola "semplicit."
Legittima scelta formale , ma anche costrizione imposta dall'attuale
panorama architettonico.
L'architettura contemporanea, ma non moderna, fatta di scatole
con aperture sistemate secondo il declinare dei vari stili, sembra
fatta apposta per accogliere elementi semplificati nella forma e
facili da inserire negli spazi prestabiliti. Ecco che, essendo difficile
lavorare sulle strutture del progetto, sulle forme, sulle funzioni,
diventa necessario , nell'attuale competizione commerciale, colpire
di fioretto sofisticando oltremodo, i dettagli tecnici, i materiali
di finitura, le maniglie; per "staccare" la concorrenza che incalza.
Ricordiamo poi che, in arte, il minimalismo opera una riduzione
del linguaggio fino alla massima semplificazione delle forme e nasce
e si sviluppa anche come elemento di critica sociale (ritenuta assente
nella pop-art). Obiettivi polemici sono in generale il mondo del
consumo e la ridondanza delle merci, la mercificazione dell'arte
a favore degli strati ricchi della popolazione. Sul piano formale,
viene negata l'espressivit individuale , per cui si procede per
quella china che arriva al silenzio, al puro concetto ed al superamento
della materia stessa. Gi molte forme organiche e gratuite (nel
senso della loro individualit) oggi reclamano, anche nel mondo
del design, un ruolo visibile, dinamico e chiassoso. L'edificio
costringe il design ad un compromesso: contenitori al limite del
silenzio ed oggetti collocati nello spazio in cui, determinata la
porzione di spazio da occupare, la scelta formale solo questione
di gusto. Si pu andare oltre questa soluzione?
Messo in crisi il concetto di forma che deriva dalla sola funzione
e ,quindi rese deboli la necessit, la salubrit (di radice
razionalista) come elementi primari del progetto, diventa protagonista
la ricerca estetica, liberata dal bisogno.
Dove guardare allora, per cercare stimoli, indicazioni per il progetto?
Il mondo dell'arte, che esprime in senso drammatico la vicenda umana,
offre gratuitamente occasioni per altre visioni, oltre il bisogno,
la tecnica ed un futuro gi previsto. Il mondo della moda
ha colto questo aspetto ed ha utilizzato la disperazione dell'artista
come fonte di ispirazione. Non un caso che stia avvenendo un punto
di tangenza tra arte, moda e design. Succede cos che le multinazionali
del glamour inviino osservatori nei ghetti per carpire idee ai poveracci
che si inventano la vita tutti i giorni, mentre gli stessi si tolgono
il pane di bocca per acquistare le merci che, con la propria esistenza
scassata, hanno ispirato.
(Gianni Marcarino
- 16/12/2001)
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Commento 34 di Sandro Lazier del 25/12/2001
Caro Gianni,
pi volte, come sai, abbiamo cercato di dare senso contingente alla parola “design”. E non lo abbiamo trovato. Ci siamo chiesti quanto questo sia rampollo dell’architettura, quanto ne sia erede o quanto spesso, addirittura, la neghi. Se trascuriamo la ricreazione del pomeriggio postmoderno mi pare che, con il “minimal”, siamo arrivati a sera, stanchi del balbettio senza significato, senza un racconto che nobiliti la giornata, senza un proposito che suggerisca il giorno successivo. Lissoni parla di semplicit in un mondo sempre pi complesso. I fabbricanti gliene saranno grati; non credo l’umanit.
Mi torna il mente il testo del bando di concorso per la nuova biblioteca di Torino. A un certo punto esplicitamente chiedeva un progetto che desse vita ad un fabbricato “semplice ma di prestigio”, probabilmente come la cultura di colui che ha scritto il bando.
Ci sono due modi per affrontare la complessit del mondo. Uno quello di semplificarlo e ridurlo in poche linee azzerando diversit e linguaggi, fidando nelle virt terapeutiche del silenzio. L’altro, pi difficile, e secondo me unico possibile, consiste nel proporre racconti atonali, dissonanti, contagiati che si alimentano di rumore e contrasto e si concludono in evidente ricchezza creativa. Ma probabilmente i fabbricanti preferiscono le meno impegnative antine squadrate e manigliette invisibili. Quindi, forse, un problema di ruoli. Forse, inutile chiedersi che cosa design se a definirne la sostanza rimasto solo il sistema produttivo.
Sandro Lazier
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Commento 572 di Giampiero Freschi del 08/01/2004
Caro Sandro,
chi ti scrive un giova studente in design presso l'Isia di Roma, specifico il mio istituto per meglio introdurre il mio commento visto che quest'ultimo si pone come spazio totalmente rivolto al design senza un apparente collegamento all'architettura, o pi esattamente (per evitare fraintendimenti) lontano da altre esperienze didattiche dove design solo una parola che intende un esame o un indirizzo all'interno di un contenitore dove valori "altri" sono gi stati posti.
Dico questo perch al commento a cui rispondo l'ultimo concetto da cui voglio inominciare per dare una risposta (o pi maliziosamente porre interogativi). Tu sostieni che forse inutile chiedersi che cos' la sostanza del design se solo il sistema produttivo rimane ad assolvere questo compito.
Ora credo che dovremmo porre molta attenzione a questa affermazione. Senza cercare definizioni assiomatiche che dispiegano la tavola dei valori del design, possiamo affermare con buona pace di molti (la mia compresa) che senza sistema produttivo, senza l'industria non si d design. Questo non significa negare esperienze distanti dalla macchina, la mia affermazione circoscrive piuttosto l'elemento storico in cui si d design. Il design nasce dall'incontro di diverse esperienze con la macchina produttiva. Quindi spero che la tua affermazione non intenda riferirsi ad un presunto conflitto tra il profitto/razionalit industriale vs. ricerca individuale/creazione di linguaggio, poich piuttosto che un conflitto questo un confronto dialettico il cui prodotto il design stesso.
Detto ci, sebbene non ami il minimal dobbiamo fare attenzione nel parlarne; riprendendo quanto detto sopra ne segue che il progetto/prodotto la definizione stessa del design (quindi sar sempre relativa ma anche democratica), insomma il design non si definisce semplicemente si afferma. Dico questo poich sarebbe pi interessante parlare di quel tavolo minimal o di quella sedia minimal piuttosto che del minimal. In tal modo potremmo speculare sull'esperienza minimale e scoprire che se una libreria minimale produce una sintesi perfetta tra la sua forma e la sua funzione tale situazione non si riscontra in quella sedia minimale e via dicendo...
Traendo le mie conclusioni voglio intendere che dobbiamo distinguere tra prodotto e immagine del prodotto poich corriamo il rischio di addentrarci in una sterile speculazione stilistica con l'unico risultato di allontanarci dal design.
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