16 commenti di Sandro Lazier
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14795
di Sandro Lazier
del 20/03/2020
relativo all'articolo
Scuola, riviste e potere
di
Sandro Lazier
Per completezza, inserisco il testo del post a cui fa riferimento l'articolo all'inizio.
"Morto Vittorio Gregotti.
Un metrocubista di discreto talento capace di allevare discepoli nell'ideale della caserma, dove ha recluso le speranze ed i sogni di una generazione politecnica.
Con lui se ne va un altro pezzo di quella crosta accademica che ha negato, con la complicità di molti intellettuali, la possibilità alle giovani menti di riscattare il peggio della storia recente dell'architettura italiana, monumentale, greve e spocchiosa, malgrado le tante energie e idee apparse nel vasto panorama del dopoguerra. Idee alle quali quest'uomo, espressione più influente dell'accademismo, per esclusive ragioni di potere personale, ha sempre negato considerazione. Una condizione, questa, conservatrice e profondamente di destra, come dimostrano le sue architetture, dentro un vestito intellettuale di sinistra. Questa contraddizione è riuscita, nel suo lungo viaggio autoritario, ad aprire le porte al neofascismo moderno."
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14674
di Sandro Lazier
del 08/12/2017
relativo all'articolo
Deformazione culturale
di
Sandro Lazier
Mai cos attuale.
"Inseparabile dalla fede architettonica la fede in alcuni principi generali di ordine politico e sociale. I seguenti principi costituiscono per noi le premesse ideali dell'Architettura Organica:
1) La libert politica e la giustizia sociale sono elementi inscindibili per la costruzione di una societ democratica. Tutti i fascismi, insieme a tutte le istituzioni che li hanno favoriti e che potrebbero farli rinascere, sono perci da condannare.
2) E' necessaria una costituzione che garantisca ai cittadini la libert di parola, stampa, associazione, culto; l'eguaglianza giuridica di razza, religione e sesso; il pieno esercizio della sovranit politica attraverso istituti fondati sul suffragio universale. Per nessuna ragione giustificata l'oppressione delle libert democratiche.
3) Accanto alle libert democratico-individuali, la costituzione deve garantire al complesso dei cittadini le libert sociali. Crediamo perci nella socializzazione di quei complessi industriali, bancari ed agrari, i cui monopoli sono contrari agli interessi della collettivit.
Crediamo nella liberazione delle forze del lavoro e nella fine dello sfruttamento del lavoro per fini egoistici.
Dobbiamo tendere ad una cooperazione internazionale dei popoli opponendoci a tutte quelle forme di miti e di risentimenti nazionalistici e autarchici che sono state cause e caratteristiche del fascismo.
Chiedere libert e giustizia per la propria patria giustificato nella misura in cui questa libert e questa giustizia si identificano con la libert e la giustizia per tutte le patrie...".
(Bruno Zevi - Fondazione dell' APAO 1945)
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12093
di Sandro Lazier
del 12/01/2013
relativo all'articolo
Lo strumento di Caravaggio
di
Sandro Lazier
Ho aggiunto una precisazione alla fine dellarticolo. Spero chiarificatrice del testo.
Inserisco questo commento ora per riguardo verso i commenti che hanno preceduto la mia appendice.
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8565
di Sandro Lazier
del 04/06/2010
relativo all'articolo
Arte senza senso
di
Sandro Lazier
Noto con ammirazione che il tema dellarte sorprendente in s.
Apre riflessioni a tutto campo con la conseguenza che la sete di novit
e conoscenza, invece di placarsi, tende inesorabilmente ad aumentare. E qualche
lettore potrebbe accusarne il malessere.
Per cui cerco di chiarire solo alcuni punti che ritengo principali a sostegno
di quanto ho scritto nellarticolo.
Credo evidente il fatto che larte produca da s il proprio senso.
La musica ne lesempio primo.
Credo ugualmente evidente che la produzione di qualsiasi senso abbia necessit
di una struttura linguistica, segnica e formale adeguata. Se, infatti, per arte
intendiamo il luogo cosciente dove tutto ci che chiamiamo arte
trova espressione (ivi compresa quella la cui provenienza inconscia)
tale luogo non pu stare che allinterno di una lingua.
Lingua che, per, come ci ha detto R. Barthes: come
performance di ogni linguaggio, non n reazionaria n progressista:
semplicemente fascista, perch il fascismo non impedire
di dire, obbligare a dire.
La condizione dellarte si fa dunque tragica: (libera?) espressione
che non ha condizione altra del proprio compimento che la sottomissione al proprio
strumento espressivo.
Allarte, secondo Barthes, non rimane che il tradimento
Lunico modo di trovare la libert, non potendo uscire dai confini
del linguaggio poich il linguaggio umano senza lato esterno
sta nel barare con la lingua, truffare la lingua.(Romeo Galassi
La lezione di R. Barthes).
Larte quindi regola che viene infranta, lingua che tradisce se
stessa per stare in vita e non soggiacere alla tirannia mortale della consuetudine
e dellordinario.
Ora, tutto funziona se il tradimento avviene in seno alla lingua, alla sua
struttura e al suo senso implicito. Non funziona, perch in tutto ininfluente,
se la truffa avviene in relazione al senso (senso di
cui parla Giannino : "manifestazione sensibile dell'Idea")
che dovrebbe investire il movente, questo s contingente e accidentale,
che ha promosso lopera artistica e dovrebbe consegnarla alla mondo.
Vi , a mio parere, confusione di linguaggi in cui lingue diverse occupano
ambiti impropri.
Ho letto recentemente una recensione critica di Renato Barilli relativa ad unopera
non raffigurata nel testo. Una recensione stupenda, molto meglio dellopera
raccontata. Tanto che il vero artista e il vero capolavoro sono la recensione
e non lopera. Una recensione che, privata del titolo dellopera
di riferimento, potrebbe adattarsi e rinvigorire altre decine di opere anche
particolarmente dissimili e banali.
La verit che le parole di un critico non parlano darte
in senso stretto, ma parlano di parole sullarte, privando lopera
di qualsiasi pertinenza oggettuale. La critica vera, come lartista vero,
devono entrare nella struttura della lingua che stanno adottando, allinterno
della scrittura che altrimenti ci tiene schiavi, promettendo libert
illusorie procurate da significati improbabili e innocue provocazioni.
In fondo non si tradisce con le parole, ma con i fatti. Le intenzioni e i significati,
le idee e i concetti, in arte sono solo parole che non muovono la lingua di
un solo millimetro.
Non conta cosa l'arte esprime, ma cosa succede nel momento dell'espressione.
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7144
di Sandro Lazier
del 22/04/2009
relativo all'articolo
'Ed io che sono Carletto l'ho fatta nel letto...'
di
la Redazione
Modernit:
Nino Saggio in un intervento al Convegno di Zevi sulla paesaggistica (Modena 19/09/1997)
Come abbiamo capito da Zevi, noi siamo antichi: noi architetti italiani siamo antichi. Lui vive con Lanfranco, ha parlato due minuti fa con Terragni, i nuraghi sono dietro l'angolo. Ma abbiamo capito un'altra cosa: siamo antichi, noi italiani in primis, perch abbiamo il problema della modernit, e questo nessuno come Zevi ce lo ha fatto capire. Siamo antichi perch abbiamo il problema della modernit. Sappiamo che modernit non un concetto temporalizzabile. Il problema non se pi moderno Michelangelo o Libeskind, il problema non Libeskind o Lanfranco, chi il pi moderno? Se il problema della modernit non un concetto temporalizzabile, allora che cos' la modernit?
Io, come molti di voi, conosco a vari livelli il Professore da tantissimi anni, e quindi in qualche maniera tutti abbiamo sentito questo problema. Ma io l'ho capito una volta, veramente, quando con le sue domande a trabocchetto, mi disse "Ma insomma, che questa modernit? ...". E io: "Certo non temporalizzabile" e lui: "... la modernit quella che trasforma la crisi in valore".
Zevi interviene. "Ma non mia!".
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7104
di Sandro Lazier
del 16/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
Per Tino Vittorio
Ribadisco centrano, da centrare, verbo transitivo, che significa colpire nel centro e, in senso figurato, cogliere con precisione. Credo che chi non soffra di una pedanteria rudimentale riesca persino ad apprezzare sfumature e differenze. Ma lei usi cosa crede, poco importante. E direi di posare il fioretto. Non il caso di farsi del male con litaliano.
Per il resto il suo commento dice: Lei, architetto, deve fare la casa che piace a me, secondo le mie convinzioni, le leggi e i materiali costruttivi pi sexy. Lei scherza. Mi ha forse scambiato per il maestro di cerimonie di Luigi IVX? Se ha gusto e convinzioni proprie si compri un po di riviste pornopatinate e la casa sexi se la faccia da solo. A lei serve un domestico eccitato, non un architetto la page come me.
Inoltre, per quel che riguarda la seduzione, sappia che, da buon namedropper, non nutro nessun interesse per i tromboni di terza fila. Detto questo, se vuole continuare ad intervenire perch tirato in ballo inopinatamente da un amico, veda in futuro d'essere informato e propositivo almeno quanto sa essere arrogante.
Per Maurizio Zappal
Se non ce la fa a respirare da solo, la prossima volta ricorra a qualcuno che darchitettura abbia almeno un refolo. Questo che ha portato, finora, di cosa dovremmo fare in Abruzzo, non ci ha detto sostanzialmente nulla.
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7099
di Sandro Lazier
del 15/04/2009
relativo all'articolo
Gibellina: vergogniamoci, tutti.
di
Paolo G.L. Ferrara
Per Tino Vittorio.
Senta Vittorio, lei non pu piovere dal cielo e scombinare le carte a suo piacimento. Stiamo affrontando un tema abbastanza complicato e il suo intervento non aiuta nessuno perch non dice come, secondo lei, si dovrebbe ricostruire. Quello che ha scritto sembra mirato solo a ristabilire titoli e competenze tecniche degli architetti, colpevoli a suo dire di interessarsi di cose che con larchitettura centrano poco. Secondo me lei sbaglia, e dovrebbe felicitarsi quando un architetto riesce a parlare con lei di Joyce, di Baudelaire, dell'Impero Ottomano di filologia romanza o di Hegel o di Spinoza o di Polibio perch sicuramente non sar solo un coglione che sa mettere quattro mattoni uno sullaltro. Ma quello che lei vuole sembra proprio questo. La sua considerazione per la categoria mi sembra peccare dingenuit e generosit.
Non vero che il dove e il perch di una costruzione non dipendono dallarchitetto. I piani regolatori chi li dovrebbe fare, il farmacista forse? Se lei possiede o acquista un terreno sul quale possibile edificare, qualcuno ha gi scelto per lei, di solito lamministrazione comunale con laiuto di un progettista.
Infine, mi preme ricordarle che nel progetto di un bravo architetto c la sua personale concezione del mondo e del tempo che sta vivendo, condizione particolarmente avida di rarit cognitive che si possono trovare solo fuori del proprio pascolo abituale. Pertanto se deve farsi la casa, si rivolga a chi vuole, destra o sinistra non importa, ma se lincaricato conosce anche Camus, meglio.
Per Maurizio Zappal
Mi perdoner se ho modificato il suo commento. Ho tolto riferimenti antipatici e offensivi che non servono niente e irritano soltanto. Per il resto non ho niente da dire oltre quanto gi detto.
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6965
di Sandro Lazier
del 23/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
A questo punto dobbiamo ringraziare Luca Avino per averci dato modo di riaprire una riflessione su un argomento che a nessuno sarebbe venuto in mente in questo momento di rilassamento mentale pressoch generale.
Dico a Giannino Cusano che ho molto apprezzato il suo riferimento a Carmelo Bene, perch mi ha acceso un paio di lampadine sulle quali sto ancora meditando. Il mio intervento non intendeva essere sfavorevolmente critico. Intendeva solamente chiarire a me in primo luogo e poi ai lettori- lambito della riflessione filosofica e la sua possibile influenza sulle questioni dellarchitettura. Al solo scopo di evitare confusione, visto che ce n gi tanta.
Vilma Torselli ha magistralmente essendo unesperta di arte moderna particolarmente attenta e capace risolto il problema della presenza lasciandoci per senza una soluzione decisiva. Capisco i suoi dubbi e le sue disillusioni (vedi larticolo Remix su www.artonweb.it) che affidano allarte lunica possibilit di redenzione Ri-editando linguaggi estetici e teorici di diversa provenienza, [larte] perviene cos ad una interpretazione anzich ad una produzione di nuove forme, elaborando protocolli alternativi per rappresentazioni e strutture narrative gi esistenti (Stefano Chiodi, Alias n.31 / 08-2005).
A me pare tuttavia che la rinuncia al nuovo, al grado zero, alla scrittura ex novo non possa essere la strada migliore per interpretare e dare risposte attuali. Il postmoderno ha sostanzialmente fallito lasciandoci in eredit un conservatorismo nemmeno nostalgico e decadente, ma addirittura convinto di occupare posizioni davanguardia. Avanguardia dei gamberi, direbbe Zevi.
Ma dove sta la novit della scrittura? Dove cercarla? Ricordo il mio primo viaggio a Siena, a piazza del Campo. Lesperienza dello spazio che se ne fa unica e ci fa capire quanto questo sia essenziale allarchitettura e non ne sia accessorio. Ruotando lo sguardo dal centro della piazza, non c fabbrica di un qualche rilievo architettonico alla faccia di Aldo Rossi e dellarchitettura della citt non ci sono materiali pregiati n tantomeno composizioni armoniche e simmetrie. Possiamo mentalmente sostituire gli edifici, scambiarli, inserirne di nuovi, ma il risultato resta di per s lo stesso. C un catino, una torre ed edifici intorno. Tornando a casa racconteremo di un posto meraviglioso ma non sapremo descriverne larchitettura.
Non questa astrazione? Centra luomo in tutto questo? E quale uomo? Quello solenne e dritto della prospettiva centrale rinascimentale? O quello contrito e genuflesso dei borghi medievali?
Questo intendo quando parlo di novit della scrittura. Essa possibile.
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6940
di Sandro Lazier
del 21/03/2009
relativo all'articolo
Muore il filosofo della decostruzione
di
Sandro Lazier
Rispondo a Giannino Cusano e Luca Avino.
Io credo che quando un filosofo decreta la preminenza di un evento rispetto ad un altro lo faccia dentro gli angusti, freddi e rigorosi confini di un sistema di pensiero neutro. Non c spazio per la retorica dellinterpretazione e dei significati che sono invece lanima del teatro, dove solo il coinvolgimento emotivo dei presenti a stabilire le regole della pratica teatrale.
Se c verit nella finzione di unopera di teatro e certamente c non sta di sicuro nella prassi. Tutti infatti riconoscono in questa la finzione degli accadimenti che mette in scena.
Il problema della presenza quindi strumentale alla speculazione filosofica per dimostrare lindipendenza della scrittura da qualsiasi interpretazione successiva. Infatti, qualsiasi ragionamento conserva la sua neutralit quando non inquinato dal soggetto che interpreta. Lo sa bene chi ha tentato di sollevare i filosofi dellermeneutica da quella provincia filosofica in cui serano cacciati.
Liberare le parole, quindi, non vuole solo dire liberarle dalla contingenza, ma vuol dire soprattutto liberarle dal tranello metafisico in cui lavevano costretta lo strutturalismo filosofico e le sue conseguenze.
Quando parliamo di scrittura occorre allora mettersi prima daccordo sul fatto che parliamo principalmente ed astrattamente di segni, non di testi con un senso compiuto. Purtroppo, ma questa una mia impressione personale, tutta larte contemporanea, compresa larchitettura, sembra oggi pi preoccupata di come porsi e raccontarsi (la prassi) che della maturit e novit dei segni che la esprimono. Metafore, allusioni, allegorie e tanta retorica ma poche novit di una qualche sostanza segnica. Pensare, come accaduto in questi anni, che nessuna novit fosse possibile, che fosse finito il tempo della ricerca e ci si dovesse accontentare di comporre, scomporre e ricomporre i segni del tempo teatralizzando ogni evento, non servito a capire e vivere coscientemente il nostro tempo tradendo quel ruolo, questo s storicizzato, che lumanit ha affidato allarte.
Distinguiamo quindi in modo netto verit e falsificazione. Per farlo occorre tornare dalle frasi alle parole perch, come dice Derrida, una volta scritte queste vivono da sole. Hanno in loro la forza del segno, che viene sempre e comunque prima. Sar ingenuo, caro Avino, ma cos.
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452
di Sandro Lazier
del 01/11/2003
relativo all'articolo
Cin-Cin 'Maestro' Gehry!
di
Mariopaolo Fadda
Credo che Mariopaolo Fadda sia dotato di sufficiente struttura fisica e intellettuale per difendersi da solo dallaccanimento degli ultimi commenti. Per quanto ci riguarda, per antiTHeSi - e quindi credo di interpretare anche il pensiero di Paolo G.L. Ferrara la qualit dei progetti di F.O. Gehry fuori discussione. Se ne pu discutere e parlare, ma definirli modaioli, superficiali o addirittura classici non sono un modo serio di fare critica, quindi si perde tempo che potrebbe essere impiegato in modi pi divertenti e utili.
Da tutta la polemica sembra venir fuori che i cattivi sono lignaro Gehry e il bravo, anzi bravissimo, Fadda. Mentre i buoni sono il tradizionalista Pacciani, il nichilista Botta, la Dolce Mara e il nebbioso Capitano. E questo non sta n nelle intenzioni di un giornale come il nostro, n nellambizione di chi ha messo in piedi questo giornale proprio per promuovere larchitettura come quella che Ghery ci propone. Unarchitettura libera soprattutto dalle incrostazioni filosofico-filologico-linguistiche lontane anni luce da un sentire espressivo sincero, generoso, vivo e gioioso.
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375
di Sandro Lazier
del 19/07/2003
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Critica da allevamento
di
Mara Dolce
Concordo in pieno con Nino Saggio che, nei suoi commenti del gioved, scrive: "A me sembrano posizioni poco informate che tendono a generalizzazioni ad effetto. Vorrei ricordare, almeno, il lavoro compiuto nella sezione "Gli Architetti" dopo la scomparsa del fondatore dell'Universale di Architettura."
Distinguere le opinioni dalle formulazioni teoriche mi sembra una considerazione pedante che non ha ragion d'essere nel pensiero contemporaneo. Infatti, la missione critica mettere alla prova e "falsificare" teorie anzich produrle. Questo mi pare evidente e fondamentale. Se valgono le ragioni di Mara Dolce mi chiedo cosa ci sta a fare un giornale come il nostro.
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373
di Sandro Lazier
del 15/07/2003
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Critica da allevamento
di
Mara Dolce
E' strano e un po' paradossale che i pi critici tra i nostri lettori abbiano una cos pessima opinione della critica che, comunque e sempre, rimane facolt di esprimere giudizi.
Molto spesso gli autori disdegnano chi li critica con argomenti e opinioni. Spesso, inoltre, come ho sentito personalmente pi volte, si accusa la critica di determinare i destini di questa o quella architettura secondo ben determinate convenienze. Non dico che questo pu non accadere, ma purtroppo - senn sarebbe facile, comodo e vantaggioso - la critica non ha questa capacit e importanza. La critica LEGGE la realt come una sorta di coscienza letteraria. Quindi, se non c' architettura - e il pallino rimane sempre e comunque nelle mani degli autori - non si pu leggere e non c' critica che tenga e possa attuarsi.
Secondo il mio personale parere, per concludere, bisognerebbe arrabbiarsi molto per l'assenza di architettura pi che per la presenza di critica.
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210
di Sandro Lazier
del 06/10/2002
relativo all'articolo
Progetto Ranaulo per Sciacca. Opinioni
di
la Redazione
Caro Gianni,
tra i peccati meno noti, seppure pi diffusi, quello che alimenta lintransigenza del conservatore pi incallito.
Sto parlando dellignavia, peccato che Controvoce interpreta in modo impareggiabile.
Riguarda le anime dannate che si lamentano continuamente ovvero i pusillanimi che per paura non sanno seguire il bene e che per vilt non perseguirono il male. Senza essere propriamente dannati, come contrappasso per la scelta fra bene e male che rifiutarono di fare in vita, sono ora costretti a inseguire freneticamente uninsegna, mentre degli insetti pungono i loro corpi nudi e dei vermi bevono il loro sangue misto alle lacrime. Sono cos spregevoli che Virgilio invita Dante a non occuparsene, e questi, bench ne riconosca alcuni, evita persino di nominarli.
Parola di Dante:
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per laere sanza stelle,
24 per chio al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti dira,
27 voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual saggira
sempre in quellaura sanza tempo tinta,
30 come la rena quando turbo spira.
E io chavea derror la testa cinta,
dissi: "Maestro, che quel chi odo?
33 e che gent che par nel duol s vinta?".
Ed elli a me: "Questo misero modo
tegnon lanime triste di coloro
36 che visser sanza nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
39 n fur fedeli a Dio, ma per s fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
n lo profondo inferno li riceve,
42 chalcuna gloria i rei avrebber delli".
E io: "Maestro, che tanto greve
a lor che lamentar li fa s forte?".
45 Rispuose: "Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita tanto bassa,
48 che nvidosi son dogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
51 non ragioniam di lor, ma guarda e passa".
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174
di Sandro Lazier
del 27/07/2002
relativo all'articolo
Le regole linguistiche tratte dalle eccezioni
di
Renato De Fusco - Zevi
La posizione di De Fusco specifica di chi vuole sottomettere alle osservazioni e tautologie tipiche di ogni sistema formale la necessit di capire e comunicare i fatti, con il rischio, ovviamente, di escluderli quando non appaiono comunicabili. Come se gli uomini, senza nozioni di ottica, non potessero vedere.
La posizione di Zevi opposta e filosoficamente attualissima. Il corredo scientifico tendente a dimostrare la validit della sua teoria strumentale e non fondante rispetto al fatto che l’architettura, bene o male, comunque parla e occorre capirla e comunicarla.
Ma vediamo in dettaglio.
De Fusco dice essere una lingua l’insieme di norme condivise che permettono la comunicazione e analizza il rapporto norma-invariante tenendo presente che “… ogni forma di linguaggio si basa su un rapporto incessante di regole e innovazioni” e che, citando Mukarovski, le regole hanno senso se, da un lato non ammettono eccezioni e, dall’altro, se si pu pensare alla loro violazione (es: non ha senso una regola a Torino che disciplini il traffico marittimo perch non violabile: a Torino non c’ il mare). Una condizione, questa, che esclude dalla logica del linguaggio le invarianti zeviane in quanto fondate sulle eccezioni, quindi non pi violabili senza ricadere nel sistema di regole che, appunto, si vorrebbero violare. Altro problema che pone De Fusco riguarda il codice-lingua ovvero l’elemento che “… mette in forma un sistema di relazioni possibili dalle quali si possono generare infiniti messaggi” (U. Eco) che, detto pi semplicemente e relativamente all’architettura, dovrebbe contemplare quei segni elementari con i quali avverrebbe la costruzione di messaggi. Gli stessi, De Fusco, ritiene essere proprio le invarianti zeviane. In sostanza, le invarianti, essendo tratte da opere definite e complete, non sono in grado di produrre messaggi perch gi lo sono compiutamente. Manca, secondo De Fusco, quella caratteristica di astrazione che ha propriet di codice necessaria a produrre comunicazione. Un codice non un messaggio ma un segno che serve per formulare messaggi.
Inoltre, secondo De Fusco, l’empirismo storiografico da cui sono tratte le invarianti non basta a legittimare linguisticamente le antiregole zeviane perch, ammette egli stesso “… appena si entra in questo sistematico ordine di idee, si dissolve ogni sorta di empirismo, anche quello fondato sull’esperienza storica”.
Sembra abbastanza chiaro come, per De Fusco, le invarianti non siano che regole che hanno pretesa di agire al contrario e come, per tautologica simmetria, inclusione ed esclusione, regola e antiregola, abbiano lo stesso peso. Il formalismo, in questa logica, non produce che altro formalismo, distante dalla pratica empirica perch distante dalla realt.
L’approccio zeviano fondamentalmente opposto perch la metodica e la codifica, per Zevi, non sono fondanti ma strumentali. Egli dice: l’architettura mi manda dei messaggi; come posso tradurre e decifrare gli elementi che accomunano i testi pi significativi? Ne traggo storiograficamente e con il maggiore grado di astrazione i segni propriamente architettonici (e non linguistici) capaci di produrre nuovi messaggi. Non mi pongo a priori limiti formali; ricorrerei alla teoria del cavolfiore, se fosse necessario, quindi verifico formalmente che la tesi abbia un qualche significato.
Per Zevi esistono realt diverse e parallele. Una riguarda l’architettura e i suoi messaggi, l’altra il sistema formale che traduce questi i messaggi. L’una non cala nell’altra e viceversa. Questa doppia realt non un’idea bislacca. Basta, per esempio, pensare al rapporto tra realt fisica e realt statistica. La prima riguarda la concretezza degli individui, e dei fenomeni naturali. La seconda una realt formale (che si pu esprimere solo con numeri che sono un sistema formale) ma che riguarda concretamente la prima. La statistica dice che tutti gli anni, sulle strade italiane, muoiono per incidente X persone (dato tragicamente concreto) ma non dice chi, dove e quando, rendendo inapplicabile ogni possibilit di calare sugli individui questa realt numerica. Oppure, le statistiche sulla vita media, dicono che si pu vivere oltre gli ottant’anni. Ci non toglie che, come individui, possiamo morire a trenta.
Per questa ragione le invarianti, che sono un sistema di regole formali (empiriche e impure quanto si vuole)non vanno calate direttamente nella realt della progettazione – non sono altre regole – ma servono a verificare su un piano diverso la “modernit” di un testo liberamente scritto e libero da ogni subordinazione.
Commento
34
di Sandro Lazier
del 25/12/2001
relativo all'articolo
Design, Arte? Moda?
di
Gianni Marcarino
Caro Gianni,
pi volte, come sai, abbiamo cercato di dare senso contingente alla parola “design”. E non lo abbiamo trovato. Ci siamo chiesti quanto questo sia rampollo dell’architettura, quanto ne sia erede o quanto spesso, addirittura, la neghi. Se trascuriamo la ricreazione del pomeriggio postmoderno mi pare che, con il “minimal”, siamo arrivati a sera, stanchi del balbettio senza significato, senza un racconto che nobiliti la giornata, senza un proposito che suggerisca il giorno successivo. Lissoni parla di semplicit in un mondo sempre pi complesso. I fabbricanti gliene saranno grati; non credo l’umanit.
Mi torna il mente il testo del bando di concorso per la nuova biblioteca di Torino. A un certo punto esplicitamente chiedeva un progetto che desse vita ad un fabbricato “semplice ma di prestigio”, probabilmente come la cultura di colui che ha scritto il bando.
Ci sono due modi per affrontare la complessit del mondo. Uno quello di semplificarlo e ridurlo in poche linee azzerando diversit e linguaggi, fidando nelle virt terapeutiche del silenzio. L’altro, pi difficile, e secondo me unico possibile, consiste nel proporre racconti atonali, dissonanti, contagiati che si alimentano di rumore e contrasto e si concludono in evidente ricchezza creativa. Ma probabilmente i fabbricanti preferiscono le meno impegnative antine squadrate e manigliette invisibili. Quindi, forse, un problema di ruoli. Forse, inutile chiedersi che cosa design se a definirne la sostanza rimasto solo il sistema produttivo.
Sandro Lazier
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Commento 14825 di Sandro Lazier
del 05/08/2020
relativo all'articolo Senza vergogna
di Sandro Lazier
Riceviamo commenti anche duri, ai limiti dell'offesa personale.
Tendenzialmente pubblichiamo tutto, come nostra abitudine, ma il minimo che chiediamo ai commentatori è che siano dotati di sufficienti palle per mostrare chi sono.