Morandi per noi
di Sandro Lazier
- 18/9/2018
Alla met degli anni settanta, come tutti i giovani che avevano compiuto i diciottanni (diciottanni volevano dire patente di guida) feci visita per la prima volta al Salone dellautomobile di Torino.
Nellimportante spazio del palazzo delle esposizioni, un grande edificio razionalista progettato nel 38 da Ettore Sottsass senior in collaborazione con Pier Luigi Nervi, e successivamente ampliato in occasione del centenario dellunit dItalia, entrai nel salone sotterraneo di Riccardo Morandi. Ne fui rapito. Credo al punto che, come me molti altri giovani, se hanno in mente un futuro ancora incerto, in luoghi come questo possono trovare le risposte e le conferme di cui hanno disperata necessit.
Padiglione interrato Torino Esposizioni (1960)
Come ogni ragazzo che immaginava il proprio futuro sullo sgabello dun tecnigrafo, mi chiedevo da chi e da dove venissero tanta perizia e coraggio, insieme a tanta eleganza e capacit di far danzare in questa mirabile maniera la forza di gravit. Riccardo Morandi aveva sicuramente questa capacit.
Qualche anno dopo, dovendo partire per un lungo soggiorno in Africa equatoriale, luogo che richiedeva una serie di vaccinazioni non convenzionali obbligatorie (altri tempi), avrei dovuto raggiungere gli uffici sanitari del vecchio porto di Genova. Arrivando da Sestri Ponente, attraversai il ponte Morandi. Lemozione fu la stessa. E permase nel tempo, ed ogni volta, conoscendo meglio Genova e le sue acrobazie urbanistiche, ammiravo con maggiore convinzione la scelta dun ponte tanto ardito e volutamente presente, invasivo. Un segno qualificante in un contesto mediocre, come tutte le periferie cresciute nellentusiastica confusione del dopoguerra. Un periodo che io ricordo molto bene, perch mio padre, al tempo, lavorava per il gruppo Gavio, Italstrade. Aveva compiti di topografia e tracciamenti. La sua presenza nei cantieri era costante. In casa si respirava laria del futuro, della scoperta, del progresso.
Dice ling. Gabriele Camomilla, ex direttore della Ricerca e Manutenzione di Autostrade: Il Italia nata la prima autostrada al mondo. Siamo stati noi con lImpresa Puricelli di Milano, divenuta poi Italstrade a inventare e poi insegnare negli anni 20 e 30 come si realizzavano le autostrade. Dagli anni sessanta lautostrada Firenze Bologna divenne il riferimento delle scuole di ingegneria dei ponti di tutto il mondo. Nei grandi 80 ponti presenti erano state adottate di fatto tutte le diverse tecnologie che si conoscevano allora. Questo fu fatto al fine che, ogni impresa titolare di lotto, realizzasse quella in cui era pi esperta (un viadotto ad arco gigantesco lo fece proprio Morandi). Ne deriv una variet di tecniche amplissima, realizzata con velocit record e, naturalmente, con una serie di problemi successivi quando larteria divenne laorta dItalia in sviluppo. 1
Viadotto Bisantis di Catanzaro di Riccardo Morandi
Questo era il contesto in cui nato il ponte sul Polcervera, orgoglio e primato dellintelligenza italiana nel mondo. Se c una ragione nella frase prima gli italiani questo il caso di pronunciarla in senso nobile.
Oggi, a pi dun mese dalla tragedia nella quale una parte di questo capolavoro dellingegneria crollato, facendo 43 vittime, credo che ognuno di noi stia cercando di elaborare una qualche considerazione sensata e, soprattutto, ragionata. Molte sono state gi espresse, probabilmente sullonda dellemozione o della speculazione politica o mercantile. Ho sentito addirittura considerazioni sulleventuale errore di progettazione e di calcolo, di cui Morandi sarebbe stato responsabile, ma al di l di queste stupidaggini che hanno pi il sapore della cialtroneria che della competenza specifica, credo che mai come in questo caso occorra ricorrere al buon senso. C una citt divisa e in grande difficolt. Ci sono abitanti allontanati dal proprio quartiere e dalla propria casa, con tutti i disagi e le sofferenze che le relazioni umane comportano. Cosa pu avere senso?
La domanda che mi sono posto , quindi, questa: il viadotto Polcevera lungo circa 1.200 metri; ne crollata una parte lunga 200 metri. Ha senso rimuoverla tutta per ricostruirla? Chiedo a uno di voi, se possedeste una bella dimora e ne crollasse una piccola parte, la demolireste tutta per averne una nuova?
Il buon senso direbbe che riparare costa meno, pi rapido ed meno traumatico. Se una persona perde un arto non la si sopprime, ma la si cura, riportandola alla vita e, se le tecnologie lo permettono, alla corsa.
La prima obiezione, ovviamente, : esiste una cura adeguata e, se possibile, migliorativa?
Sempre Gabriele Camomilla, il cui cognome, tra laltro, allude ad una valutazione sicuramente misurata, autore del restauro della torre 11 nel 1992, cos dice: Mi sembra insensato e colpevole demolire tutto sullonda di una emozione enorme, ma che deve essere controllata da parte di chi ha responsabilit reali sulla vita della citt, della regione ed anche dello Stato. Con le tecnologie che oggi abbiamo a disposizione salvare il ponte possibile, come lo era gi stato nel 1992.
La seconda obiezione : perch tenere un manufatto vecchio e superato?
Vecchio e superato? Tre quarti dItalia, quindi, sarebbe da demolire?
Altra obiezione, pi tecnica. Perch precomprimere i tiranti? Non un errore progettuale che giustificherebbe la demolizione?
Risponde Camomilla: in quegli anni non cerano le tecnologie di oggi, in cui i trefoli sono inseriti in guaine in polietilene pesante ed ingrassati. Da non confondere con le abituali tecniche di protezione dei precompressi normali, basate su trefoli inseriti in guaine dacciaio in cui sono pompati cementi speciali (sia per prestazioni che per reologia) per la protezione dellacciaio. Nello strallo la protezione era costituita da conci in calcestruzzo che, a strallo tesato, venivano precompressi con appositi ulteriori cavi, che impedivano che detto rivestimento protettivo andasse in trazione e si fessurasse al passaggio dei veicoli e/o per motivi di temperatura o altro. Quella era la tecnologia innovativa morandiana, per proteggere lacciaio in un ambiente soggetto a forti aggressioni, anche per come funzionano gli stralli che sono degli appoggi dallalto, mobili sotto traffico.
Il calcestruzzo era precompresso, per garantire lassenza di fessure; solo in seguito si sono sviluppati gli stralli separati ad arpa ricoperti di polietilene pesante come quelli usati nella riparazione. La precompressione per la rendeva difficile come rende difficile qualsiasi demolizione incontrollata. 2
Oggi esiste una scienza delle riparazioni, che si chiama terotecnologia, che si occupa di prevenire, monitorare e ripristinare opere ed infrastrutture messe a dura prova dal tempo e dallusura. Ling. Camomilla ne uno dei massimi esperti. Egli ha dichiarato che lesperienza di questi anni ha verificato, con tecniche e materiali opportuni, la possibilit di ridare vita a strutture datate o parzialmente compromesse, per un numero di anni almeno triplo di quello per cui tali opere erano state pensate.
La riparazione quindi una sfida ingegneristica almeno pari a quella della costruzione di una nuova struttura.
La mia proposta, frutto della mia considerazione, quindi quella di provvedere al rifacimento, con tecniche e disegno nuovo, del pilone mancante e alla ristrutturazione delle altre parti.
Chi volesse condividere tale scelta lo pu fare aderendo alla pubblica petizione lanciata dal prof. Antonino Saggio dellUniversit Sapienza di Roma sostenuta anche dal sottoscritto.
(Sandro Lazier - 18/9/2018)
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