Ugo Rosa su Kahn.
Un campo di battaglia differente
di Marcello Panzarella
- 11/2/2006
Perch dire che il libro di Ugo Rosa su Kahn pi che una
biografia una autobiografia? A me non sembra affatto che si tratti
di una biografia, e meno che mai di una autobiografia. Certo era inevitabile
nel libro ci sono degli elementi della biografia di Kahn, ma quanto alla
sbrigativa opinione espressa da Prestinenza Puglisi nella presS/Tletter, credo
che essa non regga alla lettura neppure della sola quarta di copertina, come egli
ci suggerisce.
Piuttosto, si potrebbe dire che in questo libro, insieme con tutto il resto che
esso contiene, ci sia anche parte di un discorso che Ugo Rosa coltiva da tempo,
e precisamente ci che riguarda lidea, e assieme la pratica, della
sparizione.
Vorrei anzi aggiungere che pi che una idea, o chi lo sa
una estetica o una ermeneutica, tutto ci mi sembra sottendere soprattutto
unetica, della vita e del mestiere. Gi per commentare il silenzioso
scomparire di Dimitrio Pikionis nella propria opera Ugo Rosa aveva fatto ricorso
a Pavel Evdokmov citandone un passo dalla Teologia della bellezza,
e subito dopo ci aveva proposto Andrej Rublev come modello dellartista
che si ritira nel silenzio e resta nellombra al cospetto della gloria che
egli stesso ha dipinto, data alla luce annullandosi in essa.
Non dissimile mi pare il discorso di Ugo Rosa nella interpretazione di Kahn, per
la quale egli produce una discussione articolata e notevole per autonomia di giudizio.
Basti pensare al modo in cui egli passa il rasoio sulle interpretazioni pi
autorevoli del rapporto di Louis Kahn con la storia, o pure la maniera radicale
con cui toglie di mezzo una serie di luoghi comuni sulla pretesa domesticit
delle sue case, topos certamente valido per altri architetti americani, a cominciare
da Wright, ma anche abitudine interpretativa irriflessiva, nella quale incappa
pure il figliolo Nathaniel Kahn, nel suo sforzo di ricostruire la figura paterna
nel film-documentario My Architect.
In ogni caso, per riassumere il senso della interpretazione originale che Ugo
Rosa ci propone di Kahn, basterebbe linversione che egli suggerisce dei
rapporti tra Forma e Memoria operati in quellarchitettura da ci
che Scully ha chiamato sogno o ispirazione: non pi la
memoria a dare sostanza alla forma ma questultima a farsi memoria
per ispirazione del sogno. Un sogno che potrebbe consistere nella dimensione del
sacro.
Naturalmente Ugo Rosa sceglie con cura i soggetti della propria esegesi, e ci
propone soprattutto quelli che davvero gli consentono di sostenere una causa che
assume sempre pi i connotati di una battaglia culturale, unazione
da lui condotta con gentilezza e talora ma non in questo libro
con un grano di arguta ferocia: la prima gli connaturata, la seconda
gli forse indispensabile per non restare del tutto inascoltato, in questo
strapuntino che ancora non smette dei tragici e ottusi anni Novanta.
Ci che infine mi pare essenziale la novit o diversit
del campo di battaglia scelto e descritto da Ugo Rosa. Ma Prestinenza
Puglisi, per quanto posso saperne, in una battaglia del genere forse crede di
dovere rimanere dalla parte consueta del campo gi praticato, e per,
dato che Rosa comunque un osso duro, con lui ha preferito adottare il
profilo pi basso, e liquidarlo il pi velocemente possibile. O
sbaglio?
Luigi Prestinenza Puglisi risponde a Marcello Panzarella
Caro Marcello,
preciso: come si capiva dalla mia brevissima recensione, apparsa su presS/Tletter, il mio commento al libro e' pi che positivo.
Confermo: credo che la tesi principale di Louis Kahn, iperboreo ipoebreo sia stata benissimo riassunta nel brano della quarta di copertina.
Ho, poi, parlato di autobiografia perch mi sembra che dietro la figura di Kahn tratteggiata da Ugo ci sia la figura di Ugo stesso. Lo svelano, a mio parere, il tipo di scrittura, di costruzione del testo e la nota biografica, poco accademica, molto troppo- personale che Ugo mette in terza di copertina. Ti consiglierei di riguardarla: credo che sia una chiave del libro. Del resto il tema del silenzioso scomparire , a cui tu accenni, mi sembra proprio ci che caratterizza una parte della sua biografia ( di Ugo). Uso naturalmente la parola silenzioso in senso lato, visto che poi, per fortuna, Ugo scrive e fa sentire la sua opinione: ma sempre da personaggio auto-isolato, quindi, in un certo senso, silenzioso rispetto a un certo frastuono.
Un campo di battaglia differente? Sicuramente. Ho pi volte detto pubblicamente che la mia e' una posizione antitetica a quella di Ugo. Per esempio non condivido il suo scarso apprezzamento per molta produzione di architettura contemporanea. Ci non toglie che ci sia, da parte mia, grande stima e ascolto nonch, se e' lecito parlare in pubblico di atteggiamenti personali, affetto per un personaggio cos iperboreo, ipoebreo.
Luigi
Marcello Panzarella risponde:
Caro Luigi,
certamente la quarta di copertina del libro di Ugo Rosa su Kahn riassume assai bene le tesi dellautore. Ovvio, per, che il libro bisogna leggerlo tutto. E dalla lettura, compresa quella della quarta di copertina, non mi sembra emergere il genere letterario della biografia, dunque neppure quello della autobiografia.
E anche vero che la nota sulla biografia dellautore firmata dallautore stesso, ed dunque autobiografica. Vogliamo censurare il fatto? Censuriamolo. Bastava riassumere in qualche riga il CV dellautore o non metterlo affatto.
Ma il problema non questo. Il tuo suggerimento a intendere il libro come una autobiografia potrebbe indurre a una lettura di esso quale autobiografia celata. Ci sposterebbe il discorso su Rosa e non su Kahn, e dunque metterebbe lautore in una luce diversa, precisamente quella di chi, proclamando il proprio trasporto per il silenzio, celatamente lo urla attraverso un altro corpo ed altre opere, dissimulando a questo modo se stesso e allo stesso tempo rivelandosi. Saremmo allora di fronte a una contraddizione insanabile, direi la madre di tutte le aporie. In effetti, questa la condizione di chi, sulla faccia della terra, abbia coscienza della propria unicit e dei propri limiti.
Non la semplice questione del trovare un proprio consistere, del fondare la propria unicit. Questa ci data. La questione quella di risolvere il limite, rintracciarlo e forse dargli un senso, non illudersi di poterlo superare ma neppure soccombere. In alcuni casi (tutti?) il compito davvero arduo, talora insostenibile. Per esempio, quando ci si trovi davanti a un maestro. Perch guardi me? dice il maestro ad Andrej Rublev piuttosto guarda la mia opera. Scomparire, in altri termini, lunica soluzione possibile. Scompari, come io sono scomparso, scompari, come io mi sono sforzato di fare. Dunque non copiare me, n copiare, guardandola, la mia opera. Copia di me, nellopera, solo la mia assenza. Anzi, copia lassenza.
Cosa pu succedere, appresso? Da una parte il trionfo senza tempo meglio, fuori del tempo della Trinit, dallaltra il passato come amico. Nella chiusa del libro su Kahn, scrive Ugo Rosa: Non sorprende neppure che sia il professionismo corrente ad accaparrarsi limmaginaria eredit kahniana, ribaltando cos la produzione pi enigmatica del dopoguerra in abbecedario della composizione architettonica. E riuscito Louis Kahn a scomparire? Non lo so. Forse per quanto di lui Ugo Rosa abbia decifrato quanto meno ha tentato la sorte. Probabilmente non ci riuscito, almeno non fino in fondo. Il merito di Ugo Rosa di averci fatto capire almeno un paio di cose: la prima riguarda proprio Kahn, e il fatto che non siamo affatto di fronte a uno storicista (non la macchietta di uno improvvisamente rincitrullito, come credo immaginasse Zevi); possono derivarne alcune conseguenze, come la necessit di [ri]considerare il ruolo della storia non solo nella ricostruzione della vicenda dellarchitettura quella specifica di Kahn, o pi in generale quella successiva al Movimento Moderno ma anche e soprattutto riguardo allincidenza di essa nel lavoro quotidiano dellarchitetto, nel farsi continuo dellarchitettura: discorso di lunga prospettiva, che certo merita altro spazio, tempo e capacit di elaborazione; la seconda cosa che emerge, e che si lega alla prima, costituisce invece una vertigine, la proposizione della tradizione come maniera solenne di estinguere la paternit individuale, e di liberare il nuovo dalle catene della personalit: lunico varco alla produzione di valori davvero universali.
In questo, e anche oltre questo, emerge il senso e il ruolo del contributo ipoebreo di Kahn e direi anche del complesso della intellettualit ebraica iperborea al carattere sfaccettato e composito della cultura dellEuropa e dellOccidente. Nella tensione che nasce dal non poter proiettare ombra fissa in alcun luogo, ma dal recare con s il Libro e con esso disporre, alla sua ombra, dellunico riparo possibile, nella contraddizione tra erranza, passaggio, labilit delle tracce sul percorso, e memoria come fardello prezioso e peregrino, ha origine e risiede tuttora la fondamentale discussione tra memoria e oblio, che non un campo di battaglia tra fazioni o eserciti nemici, ma una questione ormai interna e radicata, specialmente dopo la Sho, nella coscienza dellOccidente. Un altro notevole ebreo, George Steiner, intellettuale laico, in The Idea of Europe, sostiene che lEuropa morir se non combatter per difendere la variet delle proprie lingue, tradizioni locali, autonomie, e dunque perir se dimenticher che Dio si trova nei dettagli ; subito appresso per si chiede: Ma come possibile trovare un equilibrio, discriminare un patrimonio di differenze salvifiche dallinterminabile cronaca degli odi reciproci?. Steiner dice di non avere una risposta. Il libro di Rosa mi fa pensare che Kahn avesse intensamente cercato una risposta, certo non a questa specifica domanda che posteriore e riguarda lEuropa di oggi e le sue prospettive nel mondo globalizzato ma alla questione che le sta dietro, quella dello stare continuamente in mezzo, contemporaneamente fermi e in cammino, incatenati al proprio riparo ma anche perennemente in fuga e senza patria, e che avesse cercato una soluzione nel cambiare campo, nel tentare di svincolarsi dai luoghi e dalla storia.
Ci che dunque Rosa ci propone altro e diverso da una scaramuccia locale: un campo in cui non ha senso il parteggiare pi consueto, il disporsi, p. es., per il vecchio o per il nuovo, per la storia o contro la storia, per la linea retta o per la linea spezzata, per la simmetria o per lasimmetria, per luna o per laltra nella serie delle opposizioni possibili allinterno di una discussione limitata dellarchitettura. Visti da questaltro campo, postmoderno e iperattuale si equivalgono, e sono entrambi modi di atteggiarsi, modi di esserci pi che modi di essere, e soprattutto non modi di dissolversi in un essere maggiore, dunque di scomparire e se vogliamo di sublimarsi in esso.
Borges ha scritto che la tradizione assieme opera delloblio e della memoria, ed singolare il fatto che laffermazione si trovi a introdurre la vicenda, ripresa da Benedetto Croce e ancora da Paolo Diacono, dellindividuo Droctulft, che indubbiamente fu unico e insondabile (tutti gli individui lo sono) da lui usato sub specie aeternitatis, come tipo generico che di lui e di molti altri come lui ha fatto la tradizione. Guerriero longobardo venuto dalle selve, Droctulft a Ravenna assediata dai suoi vede per la prima volta la luce del sud, i cipressi e il marmo, la Citt, e cos accecato da quella rivelazione abbandona i suoi e combatte per Roma, in essa scomparendo, annullandosi, noncurante della vita che in seguito vi avrebbe condotto ai margini. E per non essere frainteso, aggiungo che come pndant di questa storia Borges narra anche quella di una donna inglese fattasi india delle Pampas, e conclude, a bilancio delle due vicende, che il dritto e il rovescio di una medaglia sono, per Dio, uguali.
Ugo Rosa ci tratteggia un Kahn come piccolo, singolo individuo, un essere unico e insondabile che egli per cerca di indagare e che scopre sospeso sulle soglie di un oscuro abisso senza fondo, in cerca della luce. In questo senso, e solo in questo senso, ci che egli ha scritto anche una biografia, come pure un caleidoscopio di vite parallele vere o inventate (Robert Walser, Wakefield-Bartleby-Bartlefield), e infine anche una metafora della vita di ognuno di noi, dei molti destini cui occorre inchinarsi.
Per questo dico, del terreno scelto e descritto da Ugo Rosa, che si tratta di un campo differente, e ora aggiungo che ci siamo tutti dentro, te compreso, anche quando crediamo di stare da unaltra parte.
Come te e con te condivido stima e anche affetto per Ugo, e dunque non mi resta che salutare te, e con te anche Ugo, caramente.
Luigi Prestinenza Puglisi replica ancora:
Caro Marcello
Tu mi dici che esiste un campo dove postmoderno e iperattuale si equivalgono. Pu essere. In fondo, e' la posizione di Ibelings che vede il decostruttivismo e lo star system (cio liperattuale) come lultima spiaggia del post-moderno. Ed ha ragione, sempre che se ne considerino gli eccessi formali, imposti da ego sempre pi smisurati e da un pubblico alla ricerca di facili effetti speciali.
Ma larchitettura che e' rinata negli anni novanta e' molto di pi di queste cose. E lo e' perch ha abbandonato la nostalgia e la ricerca di valori universali. E diventata piuttosto indagine sui rapporti tra il corpo e lo spazio, sulle nuove tecnologie, sul paesaggio metropolitano, su alcune dinamiche della societ contemporanea ecc...ecc...
Francamente sono pi interessato a questi problemi che a una, a mio avviso, interminabile discussione che cerca un punto di sintesi tra memoria e oblio.
E, alla fine, le architetture di Kahn, per quanto affascinanti, mi sembra che bypassino, in nome di problemi altissimi ma irrisolvibili - perch posti in forma di anelito nostalgico- aspetti molto pi prosaici ma a mio avviso pi interessanti e soprattutto affrontabili al di fuori di una, per me, inconcludente metafisica dellarchitettura. Insomma nel campo differente ( ma lo e' proprio, o non e' una riedizione aggiornata della poetica della nostalgia di Tafuri?) a cui tu alludi, proprio non me la sento di entrare. Anche perch pi che un campo quello che tu prospetti ( dico tu, perch non so se e' effettivamente quanto emerge dal libro di Ugo) e' una trenino che pu darci qualche sporadico contributo interessante ma, alla fine, corre il rischio di riportarci se non proprio ai Portoghesi, quanto meno ai Gregotti, ai Dal Co e alle liriche degli Anselmi e dei Purini.
Cordialit. Luigi.
P:S: E interessante notare per sottolineare il fatto che questo trenino della nostalgia si sta gi concretizzando come proposta culturale- come in nome di valori universali Dal Co abbia tirato fuori dal cappello, sullultimo numero di Casabella e proprio a proposito di Kahn, Ananda Coomaraswamy. Ci manca che tiri fuori anche Ren Guenon e Julius Evola e siamo a posto: peggio dellHeidegger che ci ha infestato per diversi anni.
Marcello Panzarella replica ulteriormente:
In questione non la nostalgia, e la nostalgia non mi pare una questione: solo (ed tanto) la via attraverso cui sono passati tanti ritorni, vale a dire viaggi ogni volta inevitabilmente differenti verso loggetto lontano e irraggiungibile. Volessimo farne il conto non finiremmo pi, e ci troveremmo suppongo ad avere di fronte una buona fetta dellarte e della sua storia. Il fatto , per me, che un grado zero non pi praticabile, con una serie enorme di questioni, e senza dubbio di difficolt, che ne derivano.
Mi premerebbe piuttosto che del libro di Ugo Rosa venissero lette anche le ultime pagine, cio il testo della lezione di Kahn, citata in quarta di copertina.
Potremo non amare la sua architettura, e potremmo pure considerare generici la maggior parte dei suoi oracoli, ma non so quali architetti oggi avrebbero il coraggio di porsi come minimo sotto forma di domande quelle che Kahn dichiara come certezze, e che erano forse le piste della sua ricerca scusate spirituale. E se pure oggi se le ponessero, allo stesso modo non saprei quanti avrebbero poi il coraggio di non censurarle anzitutto dentro se stessi, per non compromettersi allocchio del proprio secolo.
La metafisica dellarchitettura non interessa? Prendo atto. Vediamo se dora in poi essa possa fare a meno di qualche fondamento. O vediamo dove altrimenti possa consistere.
C per una vecchia domanda, che credo ancora attuale: che cosa larte?
S, qualcuno se l gi chiesto.
Possiamo fare a meno, ormai, di porci questa domanda?
Corpo e spazio, nuove tecnologie, paesaggi metropolitani, lavrebbero resa inutile definitivamente?
Quanto alla sparizione, dellartista nellopera, e di ciascuno in qualcosa daltro, capisco che a molti possa fare paura, se non ribrezzo.
Eppure, comincio a pensare che la sua accettazione e la sua pratica siano lunica via per risolvere in modo radicale il compito che ci assegnato, a ciascuno per la propria parte.
Questo era, e questo credo il campo.
_________________________________________________________
In chiusura vorrei ringraziare Lazier e Ferrara per avere ospitato la mia opinione in merito al libro di Ugo Rosa su Kahn, e i successivi botta e risposta intrattenuti sullargomento con Luigi Prestinenza Puglisi.
In secondo luogo devo pure precisare che io non sono un critico, n per mestiere n per hobby, solo che ogni tanto mi scappa di scrivere e di invadere con ci territori che non mi appartengono.
Luigi P.Puglisi risponde:
Caro Marcello
Credo che la cultura contemporanea abbia dimostrato che risposte a problemi quali "cosa e' la scienza", "cosa e' la filosofia", "cos'e' l'arte" sianosempre deludenti.
L'unica risposta possibile : l'arte, la scienza, la
filosofia sono ci che una certa comunit di esperti chiama, momento per momento, arte, scienza, filosofia. Infatti, proprio dallo studio della
storia, sappiamo che le definizioni che sono state date nel passato di
queste discipline sono state sempre superate dal corso degli eventi e dal progredire della conoscenza: le discipline si ricreano continuamente, mettendo in discussione anche i loro paradigmi fondamentali.
Nessuno che studia la filosofia si sognerebbe di considerare come attuali il pensiero di Aristotele, di Hegel o anche, per citare un quasi contemporaneo, di Popper.
E nessuna persona di buon senso crede alla validit oggi della triade
vitruviana. Ci ovviamente non vuol dire che non bisogna studiare la storia, ma che bisogna sempre proiettarla al futuro, legarla alle esigenze del domani. E guai a guardarla con nostalgia metafisica. A meno di non voler fare la fine di quei personaggi che piangono sempre e insopportabilmente la morte di Dio, il consumarsi della metafisica, la fine del buon tempo antico e cercano il Vero, il Bene, l'Abitare. Il presente oltretutto e', a mio avviso, sempre molto pi interessante e di molte pi soddisfazioni.
Si guardi per esempio alla vitalit dell'arte contemporanea o della ricerca scientifica contemporanea. Per l'architettura, uno dei temi del presente e': come pu l'architettura risolvere concretamente i nostri problemi legati all'abitare, alle nuove tecnologie, all'ecologia, al rapporto con i nostri corpi? Mentre i problemi metafisici, come hanno dimostrato almeno due secoli di filosofia della scienza, non risolvono niente di concreto. Possono per - come la religione- essere di conforto ad anime in pena. Se a te va bene sono felice. Io , da parte mia, sono agnostico.
Marcello Panzarella:
Caro Luigi,
Ti invito alla lettura di quell' "anima in pena" di Ludwig Mies Van der Rohe.
Sarebbe stata uguale la sua architettura, senza questo pensiero?
Marcello
Il bello la luce del vero
[]
Ogni educazione deve cominciare dal lato pratico della vita.
Una vera educazione deve per sfociare nella formazione della personalit.
Il primo fine dovrebbe essere di procurare allo studente la conoscenza e la capacit necessarie alla vita pratica.
Il secondo fine dovrebbe rivolgersi alla completa formazione della personalit per insegnargli luso corretto delle sue conoscenze e delle sue capacit.
Una vera educazione non si preoccupa quindi solo dello scopo, ma anche del valore. Attraverso le nostre finalit pratiche noi siamo legati alla struttura specifica della nostra epoca. I valori sono invece legati alla natura spirituale delluomo.
Le finalit pratiche che noi ci proponiamo determinano soltanto il nostro sviluppo materiale, i valori invece lelevatezza della nostra cultura. Fine e valore sono altrettanto sostanzialmente differenti quanto intimamente connessi.
A che cosa si dovrebbero altrimenti riferire i valori che ci proponiamo, se non alle finalit della nostra vita?
Solo entrambe queste sfere danno fondamento allesistenza umana. Luna ci garantisce lesistenza vitale; laltra ci consente lessere spirituale.
Larchitettura ha le sue radici, nelle sue pi semplici rappresentazioni, nella sua condizionalit a un fine, ma pu raggiungere attraverso tutti i gradi del valore, le pi elevate zone dellessere spirituale, la sfera dellarte pura.
Se vogliamo che un insegnamento darchitettura abbia successo, dobbiamo riconoscere questa situazione. Dobbiamo adattarci al sistema di questa realt. Ogni insegnamento darchitettura deve spiegare questi rapporti e queste subordinazioni. Noi dobbiamo chiarire passo per passo, quel che possibile, quel che necessario e quel che significativo.
Leducazione deve condurre dalla credenza irresponsabile al giudizio vero e responsabile. Deve condurci dalla casualit e dallarbitrio alla chiarezza della ragione e dellordine spirituale.
Perci noi vogliamo condurre i nostri studenti attraverso lo studio del materiale e delle finalit, alla rappresentazione creativa. Vogliamo condurli al sano mondo dei metodi di costruzione primitivi dove ogni colpo dascia aveva un senso e ogni battuta di scalpello il suo significato.
Dove troviamo maggior chiarezza nella struttura di un edificio che in quella di legno degli antichi? Dove tanta unit di materiale, costruzione e forma?
Qui si conserva la saggezza di intere generazioni.
Che senso del materiale e quale potenza di espressione attestano queste costruzioni? Che calore e che bellezza posseggono? Riecheggiano il suono di antiche canzoni.
Lo stesso dicasi per le architetture di pietra: emanano un gran senso naturale! Che chiara intelligenza del materiale! Che sicurezza di combinazione! Che senso avevano questi costruttori della possibilit di usare o no la pietra! Dove troviamo una tale ricchezza di struttura? Dove una pi sana e naturale bellezza?
Con che evidenza gettavano coperture di travi su queste antiche mura di pietra e con che delicatezza aprivano porte in queste pareti! Dove esistono esempi migliori per i nostri giovani architetti? Dove potrebbero imparare un mestiere pi semplice e pi vero che da questi uomini maestri?
Possiamo imparare anche dal mattone. Com intelligente questo formato maneggevole, adatto ad ogni scopo! Che logica denota la sua connessione, il suo modello, la sua adattabilit!
Che ricchezza possiede la parete liscia pi semplice! Ma che disciplina richiede questo materiale!
Ogni materiale ha dunque le sue particolare caratteristiche, che dobbiamo conoscere se vogliamo lavorare con esso.
Ci vale anche per lacciaio e il cemento. Dobbiamo ricordarci che tutto dipende non da quali materiali usiamo, ma da come li usiamo. I materiali nuovi non sono necessariamente superiori. Ogni materiale vale solo per quello che noi ne sappiamo trarre. Dobbiamo avere tanta dimestichezza con le funzioni dei nostri edifici come coi materiali. Dobbiamo analizzarle e spiegarle. Dobbiamo per esempio imparare a conoscere la differenza tra una casa di abitazione e un edificio di altro genere.
Dobbiamo sapere quello che un edificio pu essere, quello che dovrebbe essere e anche quello che non deve essere.
Noi esamineremo una dopo laltra le funzioni di un edificio e le utilizzeremo come base della costruzione.
Come vogliamo renderci conto dei materiali e imparare a comprenderne le funzioni, cos dobbiamo familiarizzarci coi fattori psicologici e spirituali del nostro tempo.
Senza ci impossibile qualsiasi attivit culturale; poich noi siamo soggetti allo spirito del nostro tempo.
Perci noi dobbiamo imparare a conoscere i moventi e le forze del nostro tempo e analizzarne la struttura da tre punti di vista: quello materiale, quello funzionale e quello spirituale. Dobbiamo chiarire a noi stessi per quali rapporti la nostra epoca si differenzia dalle altre e per quali invece coincide.
A questo punto sorger il problema della tecnica.
Noi ci preoccuperemo di problemi reali, problemi inerenti al valore e allo scopo della nostra tecnica.
Dimostreremo che la tecnica non promette solo grandezza e potenza, ma implica anche pericoli; che il bene e il male le sono inerenti come a qualsiasi attivit umana; che nostro compito cogliere la soluzione giusta.
Ogni soluzione porta a un ordine determinato. Perci dobbiamo renderci conto di quali principi dordine siano possibili, e dobbiamo chiarirli.
Noi vogliamo riconoscere che il principio dordine meccanicistico insiste sui fattori vitali, materiali e funzionali, perch restano insoddisfatti il nostro sentimento per la funzione pratica del mezzo e la nostra tendenza alla dignit e al valore.
Il principio dordine idealistico, con la sua accentuazione dellideale e del formale, non soddisfa n il nostro interesse per la realt semplice, n il nostro senso pratico.
Cos noi insisteremo sul principio dordine organico, come un mezzo che tende alla congiunzione delle parti fra loro e al tutto.
Da qui noi trarremo il nostro punto fermo.
Il lungo cammino che conduce dal materiale attraverso la funzione fino alla creazione ha un unico fine: portare ordine nella confusione del nostro tempo. Dobbiamo avere un ordine, che dia a ogni cosa il suo posto, quel posto che secondo la sua natura le compete.
Ci noi vogliamo fare in maniera cos totale, che il mondo delle nostre creazioni sbocci dallinterno.
Non vogliamo n possiamo fare di pi.
Nulla pu esprimere meglio il fine e il senso dei nostro lavoro della profonda parola di SantAgostino: Il bello la luce del vero.
[]
(da: MAX BILL, Mies Van der Rohe, Milano 1955)
Chiudo con questo intervento, e non potr dare altro seguito ai "botta e risposta" perch - capita anche questo - per qualche giorno sar forzatamente impedito nella mia mobilit e nella mia possibilit di lettura.
Luigi Prestinenza Puglisi replica:
Caro Marcello
Concordo con te che l'architettura abbia bisogno di valori. Il problema per
e': quali valori? Per me, come ti dicevo, le verit certe e assolute
producono pseudo valori, perch non reggono mai al vaglio della ragione
critica. Di valori ne preferisco altri pi prosaici e legati all'eteronomia
- all'irrompere della vita nell'architettura - piuttosto che all'autonomia
- al rimestare sempre nello stesso calderone disciplinare, rischiando di
cadere nel feticismo verso le opere del passato-.
Devo anche confessarti che proprio per questo motivo non sono un
appassionato di Mies. Tanto pi che:
1)lo trovo retorico e, quando scrive, un cattivo teorico;
2) non mi e' mai piaciuto dal punto di vista umano: insopportabile. Mai
simpatico e incapace di slanci emotivi e di fantasia. Auto disciplinato sino
alla paranoia. Come Philip Johnson aveva intuito, era lui che doveva essere
l' architetto del nazismo ( Mies, come e' noto,ci prov ma, visto che i
nazisti non afferrarono quanto a loro vicina fosse la sua arte, prefer gli
USA);
3) penso che sia stato un cattivo maestro, tanto convinto di essere nella
verit da produrre una scuola di cloni: in proposito e' molto interessante
il resoconto della sua attivit di insegnante che ne d la Droste nella sua
storia del Bauhaus;
4)credo, infine, che dopo due o tre capolavori giovanili, dove c'erano
molteplici influenze che li rendevano interessanti ( il padiglione di
Barcellona e' per esempio un ibrido felicemente irrisolto di
neoplasticismo, classicismo e poetica loosiana del materiale) , si sia
inaridito sino al mutismo pi sconcertante del Seagram e del campus ITT,
per perseguire una purezza tutta interna alla disciplina dovuta proprio a un
eccessivo interesse per le questioni "metafisiche" e poco per quelle umane.
Gli preferisco di gran lunga, se proprio vogliamo stare nella tecnica del
ferro e vetro nel primo dopoguerra, Eames, Soriano e la scuola californiana
degli anni cinquanta, quella , per capirci, della Case Study Houses a anche,
per passare a architetti operanti nella East Coast, il Saarinen dell'IBM e
il Bunshaft che lavora per SOM. Molto pi concreti, pi pragmatici.
Cordialit. Luigi
P.S. Ritornando al trenino che corre verso il passato, casualmente nello
stesso numero dell'ultimo Casabella dove c'e' un pezzo sull'ultra
tradizionalista Ananda Coomaraswamy, Dal Co mette in apertura una intervista
di Mies van der Rohe. Coincidenze?
(Marcello Panzarella
- 11/2/2006)
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Commento 1096 di marcello panzarella del 24/02/2006
Certo, cos come quelle di Mies, anche le parole di Kahn rischiano di apparire assai spesso come oracoli. Quando gli architetti di una certa levatura scrivono, facilmente risultano inferiori alle capacit che mostrano da progettisti, e nellaffrontare i temi e i valori pi impegnativi rischiano il dilettantismo, e abbondano talora in retorica. Io per credo che le domande che un artista si pone in pubblico vadano ascoltate con molta attenzione, e che vada salvato il nucleo o centro significativo delle sue parole, dei suoi tentativi di rendere anche cos il senso della propria ricerca, e per rimanere agli autori di cui ci stiamo occupando mi pare che per entrambi Mies e Kahn questo significato sia molto chiaro, bench ovviamente tra i due non esattamente coincidente. Se poi, come nel caso di Ugo Rosa su Kahn, le parole dellartista aiutano linterpretazione non di se stesse, ma dellopera, ancora meglio. E dalla interpretazione di Ugo Rosa, per via pi intuitiva che teoretica, e con chiss quante gimkane tra le procedure sistematiche (che n io n lui sapremmo individuare) esce chiaramente il fatto che non solo Louis Kahn non era uno storicista, ma anche il motivo per cui non lo era, e sopra ogni altra cosa emerge il rilievo del fatto in s, con una serie di conseguenze. Non ha senso io credo che qualcuno possa rallegrarsi di una dimostrazione della sostanziale indipendenza di Louis Kahn dalla storia, se poi nasconde a se stesso o non riesce a scorgere il fatto pi rilevante, e cio che lo sguardo di Louis Kahn era orientato, proiettato costantemente, verso una destinazione o un fine a venire, un fine che certamente va attuandosi nella storia ma dalla storia indipendente, per come esattamente Louis Kahn vede e intende.
Mi fa sorridere invece che dalla normale parabola di un artista, in questo caso Mies, si possa desumere che il seme della sua decadenza si annidi proprio nelle sue convinzioni: a me di lui basta guardare la grandezza dellopera, e a quella guardo, cercando di capirne la bellezza (senza dimenticare tutto il resto che lopera deve possedere e a cui essa deve rispondere). Come no, anche a me piacciono le opere degli architetti delle Case Study Houses. Ci mancherebbe! Ma quali che possano essere state le miserie delluomo non mi spinger mai a negare, riversandolo tutto su questi ultimi, il valore dellopera del maestro da cui essi dipendono. Il fatto che io guardo con gli occhi dellarchitetto. E questi occhi sono attratti dalla bellezza, la cercano e si sforzano di raggiungerla, bench raramente riescano a trovarla nella propria opera. Dunque, naturale per larchitetto volere penetrare questo mistero, guardare lopera e cercare le parole o linsegnamento di chi riuscito prima di lui.
I want to remain in the shadow. Instead of writing about me, write about my books. Assess my books. That is enough. I am a worshipper of Indian culture and accordingly I believe that writing a man's biography is not conductive to his salvation. I believe so. This is not a show of modesty, it is the principle of my life.
Voglio rimanere nellombra. Invece di scrivere di me, scrivete dei miei libri. Giudicate questi. Tutto qui. Io sono fedele alla cultura dellIndia, e di conseguenza credo che scrivere la biografia di un uomo non porti alla sua salvezza. il mio credo. Non mi interessa apparire modesto, si tratta del fondamento della mia vita.
Non conoscevo fin adesso Ananda Kentish Coomaraswamy, ma queste sue parole mi suscitano un interesse vivo, e anche il desiderio di approfondirne il pensiero e lopera per cercare di comprendere, alla loro luce, i come e i perch di una spiritualit che ancora ignoro.
Ma leggo in Casabella il suo scritto sui musei, dove egli afferma:
Il significato univoco di ispirazione linflusso esercitato da una forza spirituale interiore; il dizionario Webster la definisce influenza divina soprannaturale. Pu darsi che lesperto, se un razionalista, preferisca negarne lesistenza, ma non potr esimersi dal notare che da Omero in poi il termine stato sempre impiegato in un senso preciso, lo stesso di Dante quando dice che Amore, ossia lo Spirito Santo, lo spira. E a quel modo / chei ditta dentro vo significando.
Ma forse anche Dante unanima in pena. E per, scontata lineleganza del ricorso a una espressione che, apparentemente leggera, tanto pi avvelenata dal retrogusto dellingiuria che cela e le ingiurie non sono notoriamente argomenti vediamo se a questa espressione possiamo invece dare un senso direttamente opposto a quello di un lamentevole o insopportabile pianto, e rileggiamo per questo Michelangelo:
Deh fammiti vedere in ogni loco!
Se da mortal bellezza arder mi sento,
appresso al tuo mi sar foco ispento,
e io nel tuo sar, comero, in foco.
Signor mie caro, i te sol chiamo e nvoco
contra linutil mie cieco tormento:
tu sol puo rinnovarmi fuora e drento
le voglie e l senno e l valor lento e poco.
Tu desti al tempo, Amor, questalma diva
e n questa spoglia ancor fragil e stanca
lincarcerasti, e con fiero destino.
Che possio altro che cos non viva?
Io credo che tutto questo pesi, e negarne levidenza si pu certo fare, ma non cambia i fatti, n sposta di un solo millimetro le testimonianze. Piuttosto, per quanto mi riguarda, sento il dovere, anzitutto nei confronti di me stesso, di approfondire quelli e queste.
In ogni caso, da uomo e se ancora permesso da educatore, non mi sento di separare il corpo dallo spirito. Tanto pi nel rendermi conto che il rilievo del corpo sar dora in avanti sempre maggiore, quale oggetto principale dei cambiamenti prossimi e venturi prodotti dalla irruzione della scienza come fattore fin adesso estraneo al processo della evoluzione delle specie, ma ormai teso in modo evidente a produrvi interferenze sempre maggiori. Non solo questo lorizzonte, ma c in proposito tutta una letteratura che lha largamente anticipato, e che nel Brave New World di Huxley trova ancora lesplorazione cardinale.
Certo, non mi nascondo le difficolt che nascono dalla mia posizione, la necessit di metodo, e lassedio di una folla di delusioni: quelle di fronte alle quali molto comodo ritirarsi nei limiti del recinto corporale, riducendo la ragione a una semplice funzione cerebrale.
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Commento 1241 di Irene Guida del 18/06/2006
E se invece di essere un problema di corpo e spirito, fosse un problema di cose ed economia delle cose?
Se non fosse il continuo sfuggire della realt all'economia umana che cerca di inscriversi in essa attraverso i segni, dalla scrittura all'architettura, senza soluzione di continuit?
Se si provasse a uscire dai problemi del linguaggio, dalla gabbia dei segni?
Non era forse questo il problema comune tanto a mies, quanto a koolhaas? (tanto per ricordare gradi di parentela evidenti che sembrano rimossi?).
Tutti i commenti di Irene Guida
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