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12503
di davide tommaso ferrando
del 20/07/2013
relativo all'articolo
Mascalzonate di un critico mediocre
di
Sandro Lazier
Trovo spassoso che nel 2013 ci sia ancora chi pensa che essere menzionati in un articolo abbia qualche significato, al di l del piacere personale. Capisco nel secolo scorso, quando o si era recensiti in una delle poche riviste in circolazione, o il proprio lavoro restava sconosciuto. Ma riscontrare queste logiche nell'era del web e dei social networks, soprattutto se a utilizzarle sono scafati blogger, fa tenerezza.
Molinari: gli si tira le pietre quando apre troppo le maglie, come nella selezione per il Padiglione Italiano del 2010, e gli si tira le pietre quando decide di chiuderle, come nell'articolo su ilPost.
Mosco: le bacchettate sulle mani dei maestrini zeviani fanno ridere. Invece di fare dispetti al "primo della classe", perch non scrivere e pubblicare versioni alternative dei fatti, possibilmente altrettanto documentate, per trasformare queste tristi e inutili rappresaglie in una serie di testi capaci di aprire e mantenere un confronto?
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20/7/2013 - Sandro Lazier risponde a davide tommaso ferrando
Senti Davide, i maestrini zeviani hanno una loro posizione netta, chiara, conosciuta, dichiarata, che difendono quando la si vuole archiviare come roba vecchia di un vecchio e scomodo rincoglionito.
Gli zeviani hanno per anche un merito: discutono a viso aperto. Questo perch non fanno marchette, di solito, e quando lo fanno perch ci credono. Quando ci credono documentano, sempre.
Altri, curatori e non, fanno marchette per fare marchette, cercando di deprimere lintorno per far emergere i nanetti della loro corte. Il fatto che, una volta emersi, poi si vede cosa fanno.
Le versioni alternative dei fatti, come le chiami tu, sono rintracciabili da almeno 20 anni. Da 10 anni, da parte nostra, non abbiamo fatto altro che argomentare le cose che ci piacevano o quelle che ci spiacevano.
Per trovare il chiacchiericcio devi andare a scovare altri testi, in qualche altro luogo della rete.
Ti consiglio questo http://www.artribune.com/2013/06/architettura-nuda-1-un-invito-sulla-nudita/, dove Mosco, in un breve scritto di una pagina e mezza, d prova di esperto saltimbanco della citazione da chiacchiericcio. Un name dropper che riesce a mettere insieme in sequenza: Panofsky, Rowe , San Pietro, Karl Marx, Rousseau, ovviamente Nietzsce, Freud, Agamben, Nancy, Giedion, Pevsner, Zevi, Banham, Weber, Foster Wallace. Con tanto di grado zero citato a sproposito.
Mi pare che la confusione regni da unaltra parte, non qui.
Sul fatto delle menzioni s discusso abbastanza al tempo. Ritengo largomento esaurito.
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12502
di lilly greemens
del 20/07/2013
relativo all'articolo
Mascalzonate di un critico mediocre
di
Sandro Lazier
Bravo Lazier...
A costo di passare x nostalgica, credo fermamente che la vera critica architettonica purtroppo sia morta con Zevi... i tristi tempi che stiamo vivendo portano ad un recensionismo "on demand" estremamente capillare che, mistificando, deprime tutto... si parla a vanvera solo x supportare la mediocrit imperante nel nostro settore, pensando solo e soltanto al tornaconto personale di brevissimo periodo, non curandosi minimamente delle conseguenze, ossia del dilagare di un'omologazione nauseante.
Si autocelebrano personaggi indubbi, si esalta il nulla... manca come non mai una voce critica che, senza "padroni", sapeva vedere l'architettura.
L'Universit ha colpe immense... ha sdoganato la mediocrit x far numero... ed ora siamo circondati da supponenti personaggi che ci stanno soffocando in tutti i sensi... il vero architetto sta morendo, isolato dal "dividi et impera" artatamente perseguito da chi vuole annientarci definitivamente con leggi, norme e commi che piano piano, anno dopo anno, ci stanno rubando il nostro bellissimo mestiere.
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12501
di davide tommaso ferrando
del 19/07/2013
relativo all'articolo
Mascalzonate di un critico mediocre
di
Sandro Lazier
Sono contento che questo post stia generando un certo dibattito, era proprio quello l'obiettivo, ma ho difficolt a capire la posizione di chi si infuria quando viene offerta una lettura critica - corretta o sbagliata che sia - del pensiero di un autore che, per quanto importante, morto pi di dieci anni fa.
Soprattutto quando tale lettura non costituisce il nocciolo della questione. Lo stesso era successo con il testo di Molinari, che solo tangenzialmente toccava il problema della critica su web (due paragrafi VS tre pagine di articolo), ma che proprio su quella parte stato messo ampiamente in discussione da, guarda un po', tutti (o quasi tutti) coloro i quali non sono stati menzionati.
Sul ricorso a certi aggettivi, invece, preferisco stendere un velo pietoso.
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19/7/2013 - Sandro Lazier risponde a davide tommaso ferrando
Scusa Davide, dovremmo finirla di trattare i dibattiti come se fossimo al circolo del bridge.
Se devono volare schiaffi, pazienza, ma smettiamola con il tono ipocrita e permaloso di chi vive sopra i problemi con la presunzione di esserne indenne.
Ho difeso Bruno Zevi perch lo conosco meglio. Ma il testo di Mosco pieno di cialtronerie che riguardano anche altri. Se vai sul blog di Prestinenza, ne troverai quante ne vuoi.
Quando si vuol parlare di tutto, e Mosco in questo caso la fa, c' il rischio d'esser superficiali e di trovare qualcuno che ti tiri le orecchie. Giustamente. Se Mosco non si desse tante arie, diremmo che le sue sono dimenticanze, approssimazioni. Ma un primo della classe come lui, che scrive quel che scrive, finisce dritto dritto nel girone della cialtroneria.
Sull'articolo del distratto Molinari, per finire, certo che ha reclamato chi non stato citato! Chi doveva reclamare, la badante?
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12500
di andrea pacciani
del 17/07/2013
relativo all'articolo
Daniel Libeskind di Attilio Terragni
di
Sandro Lazier
Oh! Finalmente qualcuno che si ricorda come il decostruttivismo sia stato l'ultimo colpa di coda di Pjilippe Johnson, il pi proflifico e longevo stratega delle stagioni dell'architettura moderna, che ha saputo cavalcarla e traghettarla dal razionailsmo degli albori (fu allievo di Gropius) a quello maturo degli anni 60' dell'international style al postmodernismo negli '80 ed infine intuendone l'ultimo fuoco d'artificio nel decostruttivismo a 95 anni suonati, una e vita e una carriera al soldo dei Rockefeller.
E' proprio nella parabola eclettica del suo fondatore che bisognerebbe leggere le opere di che di volta in volta ha cavalcato le mode di una sperimentazione formale alla ricerca dell' espressionismo in architettura, sulla pelle delle generazioni che con quegli edifici hanno dovuto e dovranno convivere.
In un epoca di sostenibilit ambientale, di salvaguardia dallo spreco di territorio e di risorse rinnovabili il "non senso" di certe architetture sperimentali fanno rimpiangere a quando queste energie si concentravano nei padiglioni e per gli eventi delle Esposizioni Internazionali, nelle architetture scenografiche, e in quelle teporanee di spettacolo, ovvero in tutte quelle costruzioni progettate e costruite per celebrare la contemporaneit non dovessero intralciare la convivenza delle generazioni successive.
Una costruzione architettonica ha una durata media di un centinaio d'anni (il cemento armato dai manuali di tecnica non garantito per di pi di tanto,...meno male..), 4 generazioni di persone che vivono vite completamente diverse e lontane tra di loro su ogni fronte con la distanza generazionale sempre pi ampia.
Mi piacerebbe che gli architetti sapessero progettare nella consapevolezza morale della durata delle proprie costruzioni nel lungo termine, non solo materiale ma anche della loro fruizione.
Non credo che a Liebeskind o Ghery e ai loro committenti interessi che tra 2 o 3 generazioni i loro edifici possano servire a qualcosa o a qualcuno, o siano manutenibili, restaurabili, ampliabili o modificabili, ma poich la conemporaneit con cui sono stati progettati e costruiti passer molto pi velocemente della durata fisica degli edifici questo diventer un problema.
Il danno conclamato quello di una prevaricazione della libert espressiva dell'architetto a danno della libert di chi dovr vivere in futuro in quei luoghi che non gli apparterranno pi o che sar costretto a demolire e ricostruire anzitempo.
E' un gioco che funziona ed ha funzionato per un secolo a tutto vantaggio del continuare a costruire senza interruzione alimentando la speculazione edilizia, rinnovando le poetiche espressive ogni vent'anni ed oggi inseguendo l'impreparazione culturale dei paesi in via di sviluppo
Ma oggi tutto questo sembra privo di senso. Qual' il patto generazionale? Fino adesso stato: ti lascer una citt pi grande, pi bella e pi nuova in cui vivrai meglio grazie alle tecnologie ad oggi disponibili.
Oggi sembra tanto una promessa a cui non crede pi nessuno.
La promessa dovrebbe essere: ti lascio una citt pi a misura d'uomo, con consumi contenuti, che potrai manutenere con poca spesa, adattabile nel tempo a nuovi usi, nuove funzioni e nuovi ospiti che oggi non sappiamo nemmeno immaginare.
E' qui che faccio fatica a vedere ancora vivo l'ultimo sogno di Philippe Johnson!
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12498
di michele
del 08/07/2013
relativo all'articolo
Daniel Libenskind di Attilio Terragni
di
Sandro Lazier
complimenti per l'articolo cos chiaro ed esaustivo.
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12494
di Albamonte
del 10/06/2013
relativo all'articolo
Disciplina 13
di
Gianni Marcarino
Il genio italico esiste?Certo che esiste.E' maturato ed evoluto in 2000 e passa anni di storia politica,sociale,religiosa,gastronomica...etc.In modo individuale,l'uno contro l'altro e uniti solamente contro l'autorit del momento prepotente ed esattiva.L'Italia, tutta intera,non ha mai fatto un "bagno luterano":quando lo far diventer un popolo,una Nazione.
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12416
di mario la barbera
del 13/04/2013
relativo all'articolo
La carica dei Cinquecento
di
Mario La Ferla
la magistratura dorme sul belice x pressata in tal senso ,e i fascicoli sono in armadi della vergogna...
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12115
di Antonino Saggio
del 28/01/2013
relativo all'articolo
Lo strumento di Caravaggio
di
Sandro Lazier
Quello che fa piacere nella recensione di Vilma Torselli la sua quasi assoluta inintelleggibilit per chi non ha letto il libro e al contrario la sua ficcante chiarezza per chi l'ha letto.
in tempi di facili commenti, istantanee stroncature eccetera, rincuorante leggere un commento aperto in cosi tante direzioni. Grazie Antithesi, grazie Torselli.
Tutti i commenti di Antonino Saggio
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12114
di marco
del 28/01/2013
relativo all'articolo
Fundamentals
di
Sandro Lazier
Sulla parte dedicata alla scelta di Koolhaas condivido. Meno su quanto scrive Lazier a proposito di popoli (e quindi culture) e territorio e anche di conseguenza architettura. L'architettura di un territorio (e quindi di un popolo) ben riconoscibile e radicata in ogni parte del pianeta. E non si ricominci con la storia che nessuno ha radici e siamo semplicemente figli del mondo (cito Lerner) perch ognuno di noi le ha e le deve, a mio modesto parere, tenere ben strette. Il tentativo di codificare un'architettura internazionale priva di radici a mio modestissimo avviso fallito, le opere di Alvaro Siza o dello stesso Piano, per esempio, lo dimostrano
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28/1/2013 - Sandro Lazier risponde a marco
Il problema, secondo me, non quello desser radicati oppure no. Le buone piante si giudicano dai frutti, non dalle radici. Cos come le buone architetture. Ergo, se le piante sono buone daranno buoni frutti. Dipender, ovviamente, da dove le coltivi.
In un terreno idealmente fertile, delle radici quasi si potrebbe fare a meno. in un terreno cattivo che avr bisogno di radici particolarmente robuste e profonde. Ma da un terreno cattivo difficile ricavare buoni frutti.
Deduco: tante radici -> posti peggiori -> frutti peggiori.
Qualche anno fa si parlava di villaggio globale, unidea che oggi pare scomparsa. Unidea che esplicitava al senso comune la rivoluzione del web. Grazie alla possibilit di comunicare in tempo reale con tutto il pianeta, si poteva assimilare il mondo della rete ad un antico villaggio dove , giorno per giorno, potevi conoscere tutto ci che succedeva al suo interno. Non si trattava di contrapporre globale e locale, ma di rendere il locale grande come il globale, di farli, in pratica, coincidere. Ora, solo chi ha paura di crescere e mettere in comune esperienze e cultura pu provare avversione al villaggio globale e al suo linguaggio. Paura soprattutto di perdere unidentit e restare senza nessuna cultura cui riferirsi. Il che non possibile perch se si perde unidentit se ne trova simultaneamente una nuova, probabilmente migliore della precedente perch frutto di una rinnovata condizione.
Non mi pare che R. Piano rinunci alla comunicazione globale.
Altra cosa essere architetti organici dove la specificit del luogo che genera larchitettura che dovr modificarlo. Ma si parla di luogo fisico, non culturale.
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12113
di giuseppe Mongelli
del 28/01/2013
relativo all'articolo
Fundamentals
di
Sandro Lazier
Sarebbe interessante capire quanto dell'architettura contemporanea sia prodotto del progettista oppure dei condizionamenti normativi:
Sopraintendenze, Comuni, Regioni, Assessori ecc...
Personalmente ho visto "sorci verdi" per fare un progetto in Maremma.
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28/1/2013 - Sandro Lazier risponde a giuseppe Mongelli
Questo l'enorme tema politico dell'architettura che nessuno vuole affrontare. Un vero tab.
Spero di poterlo fare presto su questo giornale
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12110
di isabella guarini
del 27/01/2013
relativo all'articolo
Fundamentals
di
Sandro Lazier
Non condivido tutto quanto ha scritto Sandro Lazier sul rapporto storia e architettura, identit culturale e altro, perch penso che l'architettura "moderna", al di l di divisioni sistematiche, non ha mai reciso il rapporto con la storia dei luoghi in cui si manifestata. Condivido, invece, il suo giudizio su Rem Koohlaas e la scelta per la Biennale che finir con l'esser la mostra dell'architettura globale, monotona e uguale a se stessa per cui sarebbe persino inutile invitare tanti esponenti di varia nazionalit. Inoltre mi sembra che sia una operazione di marketing, del progetto per il progetto dei Koohlaas del Fondaco dei Tedeschi in venezia,m dopo tante polmiche. Comunque, il poliedrico Rem non rinuncia a un rapporto, privo di prossimit spaziale, con la storia "moderna" dell'architettura. Infatti con il progetto dell'auditorium di Porto, esibisce tagli alla base della base del parallelepipedo, lanciando l'amo della memoria al Club Rusakov 1927-29 di Konstantin Melnikov. Ma quelle di Mielnikov erano ali!
http://architettura.it/artland/20100413/09C.jpg
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27/1/2013 - Sandro Lazier risponde a isabella guarini
La storia, c' chi la fa e chi pi semplicemente la usa
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12109
di vilma torselli
del 25/01/2013
relativo all'articolo
Lo strumento di Caravaggio
di
Sandro Lazier
Ho letto il libro di Antonino Saggio "Lo strumento di Caravaggio" e l'ho trovato una interessante lettura che aggiunge significative, nuove osservazioni su un artista sul quale pareva che tutto fosse gi stato scritto.
All'interno dell'analisi che l'autore compie, trovo particolarmente suggestivo l'accenno all'iperrealismo in Caravaggio, peraltro padre della successiva pittura iperrealista padana: non pu non stupire il fatto che, in tempi cos distanti anche geograficamente, l'iperrealismo (o fotorealismo) americano degli anni '70 copi la realt nella rappresentazione che ne d la fotografia, surrogato dello specchio caravaggesco, imprigionandola nella bidimensionalit della visione piana. Questa mediazione tecnica frapposta tra il reale e la sua copia, strumentale a due esiti opposti (in Caravaggio mezzo per rompere gli stereotipi di una rappresentazione avulsa dalla vita reale, nell'iperrealismo al contrario in funzione chiaramente revisionista) ci conferma che non solo il mezzo, di per s neutro quando non viene usato, ma il personale uso del mezzo, il significato che l'utilizzatore gli attribuisce, possono fare la differenza.
Potrebbe esserne prova l'angelo di san Matteo, sospeso nel vuoto del solaio di copertura sfondato (con l'autorizzazione della proprietaria in cambiodi una dichiarazione che prometteva ilripristinofinale dell'alloggioa spese dell'inquilino!), appeso al soffitto con un lenzuolo cos realistico nel gioco delle pieghe e cos irrealistico secondo la legge della gravit, un artificio nell'artificio, una licenza poetica.
Curiosa coincidenza che l'autore, nel capitolo "Narciso nel tempo", citi lo stesso brano di Longhi che mi venuto in mente prima ancora di leggere il libro, cos come le osservazioni nel nuovo capitolo "Modernit & Digits" sulle frequenze cromatiche che, a quanto pare, hanno basi reali. E pare che tutto dipenda dal fatto che il sensore digitale cattura la radiazione, la luminanza, mentre la pellicola cattura in analogico ci che il nostro sistema visivo umano vede della radiazione, cio la tonalit. Sintetizzando, parrebbe che il sensore digitale catturi pi dettagli chiari di quanto noi possiamo vedere e meno dettagli scuri di quanti ne possiamo vedere, tecnicamente si parla di luci compresse ed ombre espanse.
Il legame con la tecnica si infittisce, aprendo l'ipotesi di una diversa lettura percettiva che lo stesso Caravaggio non poteva prefigurarsi.
Sempre nel nuovo capitolo, affascinante l'idea del "potere delle dita", l'indice puntato del demiurgo che supera i confini mortali del tempo, un gesto di grande significato simbolico che si presta a qualche deriva esoterica, come del resto molti quadri di Caravaggio.
L'inedita chiave di lettura, inserita nel recente filone della cultura digitale, stimolante ed incoraggiante, perch non si perda mai la capacit di "avere nuovi occhi" nell'affrontare ogni viaggio di scoperta.
Tutti i commenti di vilma torselli
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12108
di f c
del 21/01/2013
relativo all'articolo
L'indegna sorte dun architetto patafisico
di
Sandro Lazier
sul linguaggio architettonico di koolhaas concordo con lei..quando visitai per la prima volta la kunsthal mi chiesi il senso del far convergere in un angolo cemento, guaina bituminosa a vista, vetro e alluminio! Sicuramente la "musica" che suona non gli interessa che sia intonata..(si pensi all'ultima opera di taipei nata volutamente come un "addenda" di volumi dissonanti)
Tuttavia mi chiedo come questo possa influenzare la riuscita di un esposizione come la biennale. Non trovo dove sia il punto di convergenza: infondo la figura del direttore diventata essa stessa motivo di pubblicit alla biennale. (credo non ci sia stato un non Pritzker negli ultimi 10 anni)
Se (come preferirei) assegnassero il posto a qualche bravo direttore di rivista di settore, o a critici di livello, sicuramente l afflusso di visitatori sarebbe minore, perch farebbe meno audience. Se lei fosse un amministratore della Biennale a parit di spesa chi sceglierebbe?
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21/1/2013 - Sandro Lazier risponde a f c
Dal nostro punto di vista, zeviano, il linguaggio architettonico riguarda lo spazio ben pi dei materiali che lo definiscono. I quattro materiali diversi che definiscono langolo, in verit lo contestano, anche in gradevole dissonanza, ma fondamentalmente non lo sopprimono. Rimane, secondo me, unoperazione di calligrafia che rende interessante la lettura, depistandoci, ma non stravolge il significato spaziale suggerito dalla compiutezza dellangolo.
Sarebbe un po come scrivere una banalit, magari affidando un font diverso ad ogni parola che costituisce la frase. Il che la renderebbe certamente avvincente, ma non la redimerebbe dalla sua banalit. Con gli angoli chiusi, scatola era e scatola continua ad essere.
Cosa farei se dovessi dirigere una biennale per fare numeri di pubblico? Farei una biennale dal titolo eros e architettura, dove accompagnerei ogni istallazione con scene hard dal vivo. Sono sicuro che farei il pieno, minimo 10 volte i visitatori attuali.
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12105
di f c
del 20/01/2013
relativo all'articolo
L'indegna sorte dun architetto patafisico
di
Sandro Lazier
E' anche vero che c'entra poco il linguaggio ed il modus operandi di un architetto con la realizzazione di un esposizione. Anzi, nelle due ultime edizioni della Biennale l'esposizione di AMO ha riscosso grande successo (anche tra i non architetti, che comunque frequentano la Biennale) per affrontare temi come conservazione del patrimonio ("preservation" in kronokaos) e produzione di architettura da parte degli uffici tecnici dei comuni negli anni 60-70. Devo dire che non vedo traccia di ragionamenti paranoico-patafisico-paradossali in queste due esposizioni, ma contributi di gran lunga pi elaborati di chi presenta un progetto all'ultimo minuto perch CI DEVE ESSERE.
Credo che oggi il direttore sia impossibilitato a dare un "taglio" preciso alla mostra, ma al massimo possa aspirare ad avere 3-4 padiglioni interessanti e le restanti pareti zeppe di foto dei progetti pi disparati...ma infondo rispecchia in pieno il panorama architettonico odierno: per ogni 3-4 architetture di qualit ce ne sono almeno 100 super sponsorizzate ma destinate al dimenticatoio.
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20/1/2013 - Sandro Lazier risponde a f c
Da dove ha dedotto che io ritenga Koolhaas un paranoico? ben vero lesatto contrario, ci mancherebbe!
Essere considerato uno scienziato della patafisica, di per s, non argomento offensivo.
Il paradosso, infine, credo sia larma retorica migliore che Koolhaas sappia usare con raffinata intelligenza.
Il punto un altro.
Secondo me, e questo, ripeto, solo il mio personalissimo parere, non in discussione lefficacia comunicativa delle sue teorie e dei suoi lavori. In questo, lui campione.
Io ne faccio un problema pi mirato alla scrittura delle sue architetture, non tanto al loro senso, o dissenso, o assenso, o controsenso.
La qualit della scrittura, per uno scrittore, un musicista, un architetto, non dipende tanto dalla trama o dal significato di ci che vuole comunicare, ma dal modo in cui sceglie e mette insieme le parole.
Koolhaas, e molti altri che si sono piantati in una sorta di moda decostruttivista dopo averne cavalcato la novit teorica, non hanno mai superato il muro del significato delle loro architetture, perci costrette ad usare sempre le stesse frasi che, una volta usate, un senso intrinseco nuovo lhanno gi ottenuto.
Koolhaas a Venezia sar sicuramente efficace. E lo sar sicuramente se continuer a riproporre se stesso, cos come vuole unistituzione che usa larchitettura come merce da proporre al consenso popolare, e valuta il successo in relazione al numero dei visitatori pi che sui contenuti di autentica novit di ci viene presentato.
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12101
di vilma torselli
del 15/01/2013
relativo all'articolo
L'indegna sorte d?un architetto patafisico
di
Sandro Lazier
Io esorterei Paolo Bettini a non arrendersi e a trovare il tempo e la voglia di "scrivere pagine su pagine" per mettere tutti quelli che seguono questo blog nella condizione di capire le sostenibili ragioni (se ci sono) alla base della sua boutade.
Gettare il sasso e nascondere la mano non solo sleale, ma pu apparire come un facile stratagemma per coprire una vuota voglia di polemica fine a s stessa.
Siamo tutti ansiosi, credo, di leggere e di capire il suo illuminato parere, per condividerlo, per confutarlo, per dibatterlo secondo le modalit pi consone ad un confronto produttivo ricco di argomentazioni e non di insulti.
Tutti i commenti di vilma torselli
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12099
di gianni baietto
del 13/01/2013
relativo all'articolo
L'indegna sorte dun architetto patafisico
di
Sandro Lazier
Non posso che essere d'accordo con Lazier. Non comprendo la ragione del commento "incredibile, rancorosa e invidiosa tirata contro Koolhaas". Personalmente condivido molti degli argomenti citati nell'articolo, tuttavia, a prescindere dal mio giudizio, non riconosco rancore e invidia nelle parole di Lazier... ho piuttosto l'impressione che si tratti di una stoccata a un idolo personale.
Un saluto.
Tutti i commenti di gianni baietto
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12093
di Sandro Lazier
del 12/01/2013
relativo all'articolo
Lo strumento di Caravaggio
di
Sandro Lazier
Ho aggiunto una precisazione alla fine dellarticolo. Spero chiarificatrice del testo.
Inserisco questo commento ora per riguardo verso i commenti che hanno preceduto la mia appendice.
Tutti i commenti di Sandro Lazier
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12092
di Antonino saggio
del 12/01/2013
relativo all'articolo
Lo strumento di Caravaggio
di
Sandro Lazier
L'articolo di Sandro Lazier riflette in maniera acuta su una questione di linguaggio, come si diceva negli anni settanta, o meglio sulla centralit - come dice - della scrittura! Oltre il senso e il racconto, vale l'interrogazione sugli strumenti stessi, come direi e dico io. Sin dal titolo.
Va letto pi di una volta l'articolo di Lazier e per capire meglio la questione rilevante che pone va letto insieme a quello apparentemente di cronaca sul nuovo direttore della biennale. Apparentemente incongruo il triangolo in realt il ragionamento, importante, il medesimo.
Ma questo il punto: se si stacca l'interrogazione dello strumento dal senso, si finisce dritti dritti in Derrida. Se si capisce invece che il senso non necessariamente Prada e l'accettazione del mondo quale , ma al contrario lo scavo nelle sue contraddizioni si va dritti in Caravaggio o meglio nella lettura che io ne do. Tutto il mio lavoro cerca di far capire questo nesso. Lo fa in maniera molto poco glamour ormai, Ma ho centinaia di studenti, e qualche migliaio di attenti lettori. tra loro tra alcuni questo fa breccia la capiscono, la sentono.
Per me, nel rilancio del mio libro importante sia il nuovo capitolo sia lo strumento che adopero per passarli al lettore. Il libro non solo il suo testo ampliato anche un ragionamento sul testo elettronico che si legge sull'ipad. Siccome il lancio di Lazier l'inizio di una riflessione comune, chiss ci si potr ragionare ancora.
Sul leghista Caravaggio proposto dal famoso critico Sgarbi, non ho fatto cenno in questo mio libro, ma a suo tempo ne scrissi. Magari a qualcuno interessa questo filo.
http://www.thefrontpage.it/2011/03/28/caravaggio-leghista/
Tutti i commenti di Antonino saggio
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12/1/2013 - Sandro Lazier risponde a Antonino saggio
Grazie Antonino Saggio.
Aspettavo il tuo commento. Tutte due sappiamo che le parole sono miniere da scavare (io molto meno). Per questo ero convinto daver centrato un punto importante. Ma a volte non sempre si scava nel posto giusto, per cui aspettavo con un po dapprensione.
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12091
di Paolo bettini
del 12/01/2013
relativo all'articolo
L'indegna sorte dun architetto patafisico
di
Sandro Lazier
Mi arrendo: per cercare di convincerla - ovviamente senza riuscirci - che lei nel torto dovrei scrivere pagine su pagine e non ne ho n il tempo n la voglia. Non faccio il missionario. Se le piace, continui pure a credere che la Terra piatta, che i premi internazionali li d la Spectre, che esiste la "marmellata postmoderna" in cui Koolhaas sguazza con Venturi e Aldo Rossi, e magari con il Flying Spaghetti Monster E buon pro le faccia. Auguri!
Tutti i commenti di Paolo bettini
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12/1/2013 - Sandro Lazier risponde a Paolo bettini
Mi spiace Bettini, ma non riesco a seguirla nel ragionamento.
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12089
di Paolo bettini
del 11/01/2013
relativo all'articolo
L'indegna sorte dun architetto patafisico
di
Sandro Lazier
Caro Lazier, ho letto la sua incredibile, rancorosa, invidiosa tirata contro Koolhaas e la sua recente nomina a direttore della Biennale 2014. Sono in completo disaccordo con lei. Considero Koolhaas uno dei massimi architetti degli ultimi trent'anni, come d'altronde han riconosciuto le giurie che gli han dato il Pritzker nel 2000, il Praemium Imperiale nonch la Royal Gold Medal nel 2003 e il Jencks Award nel 2012, solo per citare qualcuna fra le innumerevoli onorificenze ricevute. Ho visitato molte sue opere, trovandole sempre della massima qualit progettuale, diverse una dall'altra, inventive, caratterizzate, complesse. Per quanto riguarda la Biennale, lo penso adattissimo a dirigerla, considerando i fondamentali contributi teorici che ha dato all'architettura; ma anche perch ricordo con gioia il delizioso film "Koolhaas HouseLife" girato nella casa di Bordeaux e presentato alla Biennale del 2008. Se tanto mi d tanto, alla Biennale del 2014 almeno non si creper dalla noia.
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11/1/2013 - Sandro Lazier risponde a Paolo bettini
Scusi Bettini, perch rancoroso, ho solo espresso il mio pensiero. E poi cosa centrano i premi?
Pritzker, nel 90, riuscito a premiare Aldo Rossi, lanno successivo Robert Venturi, sicuramente riconosciuti anche loro come appartenenti ai massimi architetti della fine del 900. Ma sicuramente non per me.
Persino per Bruno Zevi, al tempo, la loro architettura era considerata poco pi che una carnevalata. Anche Zevi era rancoroso? (a pensarci bene, lo era, ma solo con Portoghesi).
Credo, in questo articolo, daver messo in causa argomenti per dimostrare il limite teorico di questo architetto ed in particolare ho cercato dindicare i motivi della sua incapacit duscire dalla marmellata postmoderna, composta da un miscuglio dingredienti che vanno dalla psicologia alla sociologia, passando per lantropologia fino ad arrivare al marketing, il tutto dentro quel platonico spirito del tempo e delle cose che tutto giustifica e tutto confonde.
Se lei, Bettini, ritiene i miei argomenti sbagliati o inadeguati me li contesti punto a punto. Non la metta sulla lesa maest.
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12088
di vilma torselli
del 11/01/2013
relativo all'articolo
Lo strumento di Caravaggio
di
Sandro Lazier
Non so la critica, ma certamente l'arte moderna ha da tempo cassato l'aspetto narrativo dell'opera a beneficio del (solo) aspetto descrittivo, esasperatamente nel concettualismo, nel nome di un possibilismo interpretativo per il quale stato coniato l'aggettivo 'antigestaltico'.
E molta dell'arte contemporanea, con scelta estrema e radicale, si affida addirittura alle propriet tautologiche dei materiali, una sorta di 'matrice tecnica' di grado zero, per un esito "nel quale la tecnica, e non le emozioni, controllano il risultato".
Per dire che la lettura di Caravaggio data da AS ha forse un sapore innovativo meno pregante di quanto tu le attribuisci, premettendo per doverosa onest che non ho ancora letto il libro e quindi non commento quello, ma il tuo commento a quello.
Per dire che questo aspetto di Caravaggio, il fatto che le sue invenzioni tecniche si inseriscano in una necessit sia estetica che concettuale fino a sostituirla in fondo gi largamente indagato da Roberto Longhi: "da grande spirito qual era, egli non poteva che scoprire il senso poetico, la portata sentimentale di una realt allora tutta sconosciuta, anche non avendone piena coscienza. La sua ostinata deferenza al vero pot anzi dapprima confermarlo nella ingenua credenza che fosse "locchio della camera" a guardare per lui e a suggerirgli tutto. Molte volte egli dovette incantarsi di fronte a quella "magia naturale"; e ci che pi lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non punto indispensabile la figura umana .." (Roberto Longhi, Da Cimabue a Morandi",1973), la tecnica oltre il racconto, in vece del racconto, la "macchina essenziale" che diviene occhio interiore.
A titolo aneddotico, ricordo, e non so se AS lo fa nel suo libro, l'utilizzo di cromie della gamma tipiche della pittura caravaggesca atte a produrre frequenze infrarosse al limite estremo dello spettro visibile, in grado di configurare ed influenzare risposte bio-psicologiche, il che potrebbe far pensare ad un utilizzo della scelta (nonch della tecnica) del colore in chiave neurofisiologica, un modo per orientare la percezione, attraverso l'esperienza visiva, su prescelti schemi di valori.
Credo che ci siano studi specifici su questo filone anche per ci che riguarda la luce nell'architettura.
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11/1/2013 - Sandro Lazier risponde a vilma torselli
Non sono sicuro che larte moderna abbia cassato laspetto narrativo. Non credi che labbia solo spostato? Spostato, intendo, dal figurativo al materico, se non addirittura al tecnico, al performativo? Ma sempre di narrazione si tratta, perch questo, comunicare, in fondo il senso ultimo di unopera darte.
Il discorso che volevo affrontare nellarticolo non riguarda tanto il punto di vista dellautore quanto, piuttosto, quella del critico e della sua strategia di valutazione.
Se egli, infatti, rimuove lattenzione dallinterpretazione dellintenzione dellautore, dallinterpretazione del significato dellopera, compresi tutti i riferimenti alla galassia dei possibili contesti, rischia di ridurre la sua critica a pura cronaca dun fatto artistico, figurativo o materico che sia.
Lintuizione di Saggio, secondo il mio parere, che la cronaca, ovvero la descrizione emotivamente neutra di come viene costruito il dipinto, in grado da sola di aprire nuovi scenari interpretativi capaci di cambiare il nostro codice di lettura. Il realismo veemente di Caravaggio, al cospetto di strumenti e tecniche di rappresentazione fertili, scopre nellosservatore che ne avr coscienza una dimensione emozionale sicuramente nuova.
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12086
di Marco
del 08/01/2013
relativo all'articolo
2012 da dimenticare
di
Sandro Lazier
Si vero un anno da dimenticare.. girando sul web ho trovato un video divertente di una società che si occupa di produzione di porte per design interni.. si chiama Ermetika..http://www.youtube.com/user/ErmetikaSrl
hahahahaha ;)
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12084
di studio labzona
del 07/01/2013
relativo all'articolo
La confusione delle forme nelle scuole di architet
di
Sandro Lazier
non ci sono parole.
pensavo non si potesse scendere ulteriormente dalla situazione in cui era l'universit quando frequentavo io.
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12083
di Antonino saggio
del 07/01/2013
relativo all'articolo
Rivendichiamo l'AntiPiacentinismo
di
Antonino Saggio
Io rivendico l'anticipiacentinismo degli architetti che ho citato, e dico che non la stessa cosa fare una mostra o un convegno su Cattaneo o su Piacentini. Non la stessa cosa. Non si pu amare insieme Poussin e Caravaggio, se si architetti e uomini di cultura ci si schiera perch la cultura (e il progetto) si fa con le scelte, non con il tutto si tiene, con il tutto va bene, tutto interessante perch accaduto.
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12082
di dAVID BENEDETTI
del 06/01/2013
relativo all'articolo
Disciplina 13
di
Gianni Marcarino
Ringraziando Lei Gianni Marcarino e tutti gli altri che con antiTHesi hanno uno sguardo laico sul mondo non solo dell'architettura, auguro a tutti un buon lavoro per questo 2013.
A proposito ma Steve Jobs non chiam Mario Bellini (il quale dovette declinare l'invito per un contratto che lo legava alla Olivetti) che aveva disegnato quello che ormai riconosciuto il primo Personal Computer della storia Programma 101 dell'Olivetti nel 1965?
Volevo con questo ricordare quel primato di idee che avevamo anche nell'elettronica agli albori della storia dei PC e che dovevamo ad Adriano Olivetti... Quando mor e l'azienda si trov in difficolt finanziarie intervennero Valletta e Cuccia e fiorirono l'Hp la IBM Bill Gates e Steve Jobs, non l'Olivetti.
Auguri
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Commento 12506 di Valeria Scandellari
del 22/07/2013
relativo all'articolo Parco Architettonico
di Torre del Mare
di Sandro Lazier
Il Parco Architettonico di Torre del Mare un luogo magico dove, poesia
dell' architettura e morfologia del luogo si fondono magnificamente suscitando divine emozioni.
L'architettura un fatto di architetti e committenti e la collaborazione tra l'impresario Piero Tizzoni e l'architetto-artista Mario Galvagni ha dato vita a un progetto urbanistico dalla valenza culturale raffinatissima e unica. Il rispetto per la sacralit del luogo, concepito come "Tmenos", dove Galvagni si esprime in un linguaggio sublime, articolato secondo le morfologie estetiche del luogo, pregnante di significati e rituali, ampiamente illustrati dal Galvagni stesso. Si tratta di un'opera tra le pi importanti mai realizzate tra il 1954 e il 1960 che dovrebbe essere oggetto di studio da parte di tutte le Universit di Architettura italiane e straniere, al fine di comprendere il profondo significato sociale dell'architettura.
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