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14745
di giuseppe mongelli
del 28/12/2018
relativo all'articolo
Auguri A.D. 2019
di
Sandro Lazier
Condivido, penso anche che, l'ultimo capitalismo aggressivo, (per non morire), abbia costretto la Democrazia rappresentativa ad investire enormi capitali per far eleggere il Candidato, e che solo gli interessi di pochi gruppi potenti, possano essere rappresentati ....va da s che!
Quell'uno per cento che dicesi detenere una percentuale smisurata dei Capitali, mai rinuncerà ai paradisi fiscali, e pertanto mai contribuirà ai bisogni, in modo proporzionale alle propri possibilità.
Il commercio delle armi e la droga sono le attività più remunerative in proporzione alle persone impiegate. Gli utili enormi produrranno grandi Capitali che ... saranno investiti anche per difendersi "Democraticamente" ... va da se che!
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14744
di vito mancuso
del 27/12/2018
relativo all'articolo
Auguri A.D. 2019
di
Sandro Lazier
condivido in pieno. le parole giuste al momento giusto. con all'orizzonte l'Etna.
complimenti e auguri per il nuovo anno.
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14742
di Francesco Parisi
del 22/12/2018
relativo all'articolo
Requiem per Genova,
e forse per tutto il paese
di
Sandro Lazier
Avevo guardato con non troppa attenzione il progetto di Piano.
Adesso, dopo la lettura di questo articolo, riflettendoci, credo che Piano avrebbe dovuto
fare di più...impegnarsi come non aveva mai fatto prima per confrontarsi con Morandi.
Ma se questo era il suo primo istinto, poco condivisibile forse, da Grande Saggio avrebbe dovuto vincere il proprio Ego e finalmente impegnarsi per la ricostruzione di quello che è un capolavoro riconosciuto dell'architettura contemporanea, piuttosto che proporre il suo progetto. Un capolavoro da tutti osannato prima, lasciato all'incuria e demonizzato poi, dopo il crollo, tanto da dover essere assolutamente demolito e non meritare più alcuna difesa.
Troppa vanità...
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14731
di vilma torselli
del 11/09/2018
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Centro/periferia: il grande gelo
di
Vincenzo Ariu
Roland Barthes scrive di un senso cenestetico della città, il quale esige che ogni spazio urbano abbia un centro i cui andare, da cui tornare, un luogo compatto da sognare e in rapporto al quale dirigersi e allontanarsi, in una parola, inventarsi .. il centro delle nostre città è sempre pieno: luogo contrassegnato, è lì che si raccolgono e si condensano i valori della civiltà: la spiritualità (con le chiese), il potere (con gli uffici), il denaro (con le banche), le merci (con i grandi magazzini), la parola (con le agorà: caffè e passeggiate). Andare in centro vuol dire incontrare la verità sociale, partecipare alla pienezza superba della realtà. Il senso della cenesteticità della città è di origine culturale, viene conservato e trasmesso con levoluzione e perpetrato attraverso l'immagine del centro come la parte migliore della città, la più degna di essere tramandata e anche se quanto esterno raccoglie significati che il centro rifiuta o reprime, li riconosce tuttavia come indispensabili allesistenza stessa di un centro che non avrebbe identità senza le relazioni binarie che lo connettono ai margini. Il punto centrale del centro-città [] non è il punto culminante di alcuna attività particolare, ma una specie di "fuoco" vuoto dellimmagine che la collettività si fa del centro. Abbiamo dunque, anche qui, unimmagine in qualche modo vuota che è necessaria per lorganizzazione del resto della città scrive ancora Barthes.
Oggi, in un mondo in cui lo spazio fisico sta perdendo importanza a favore della mobilità virtuale, forse non è necessario che le periferie si emancipino e diventino centro per acquisire pregio, ma è necessario che scoprano la loro vocazione di entità priva di preciso significato e al tempo stesso capace di accoglierli tutti, serbatoio di risorse e di potenzialità impensate che non va necessariamente reintegrato nella logica produttiva e funzionale della città per avere un senso, non un disturbo a cui rimediare o un problema da risolvere, ma una realtà urbana che può fare dei propri difetti un valore.
La periferia come terrain vague, organismo di frontiera e di confine, punto di contatto fra due identità diverse ma non opposte, una sorta di post-metropoli dove si è spontaneamente modificato il rapporto tra urbano e suburbano, non necessariamente a struttura unitaria, omogenea e concentrata ad imitazione di un ipotetico centro, ma un insieme di luoghi autonomi e singolari, senza ordine gerarchico n con il centro n tra loro.
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14719
di vilma torselli
del 04/08/2018
relativo all'articolo
Centro/periferia: il grande gelo
di
Vincenzo Ariu
La nostra cultura occidentale ci impone un senso cenestetico della città, il quale esige che ogni spazio urbano abbia un centro i cui andare, da cui tornare, un luogo compatto da sognare e in rapporto al quale dirigersi e allontanarsi [...] il centro delle nostre città è sempre pieno: luogo contrassegnato, è lì che si raccolgono e si condensano i valori della civiltà: la spiritualità (con le chiese), il potere (con gli uffici), il denaro (con le banche), le merci (con i grandi magazzini), la parola (con le "agorà": caffè e passeggiate). Andare in centro vuol dire incontrare la "verità" sociale, partecipare alla pienezza superba della "realtà". (Limpero dei segni, Roland Barthes, 1970)
Il senso della cenesteticità della città è di origine culturale e viene conservato e trasmesso con levoluzione e perpetrato attraverso l'immagine del centro come la parte migliore della città, la più degna di essere tramandata, tanto che luomo tendenzialmente propende a costruire a somiglianza del costruito rappresentato dal centro, e anche se quanto esterno raccoglie significati che esso rifiuta o reprime, li riconosce tuttavia come indispensabili allesistenza stessa di un centro che non avrebbe identità senza le relazioni binarie che lo connettono ai margini. Il punto centrale del centro-città (ogni città possiede un centro) [] non è il punto culminante di alcuna attività particolare, ma una specie di "fuoco" vuoto dellimmagine che la collettività si fa del centro. Abbiamo dunque, anche qui, unimmagine in qualche modo vuota che è necessaria per lorganizzazione del resto della città, scrive ancora Barthes.
Questa interazione, in un mondo in cui lo spazio fisico sta perdendo importanza a favore della mobilità virtuale, forse non deve necessariamente essere conflittuale, sta emergendo un modello sociale a vocazione connettiva basato su comunità metaterritoriali slegate da ogni identità collettiva di appartenenza, una 'comunità connessa in cui le informazioni si aggregano per le loro funzioni e non le loro posizioni, acquisendo di volta in volta significato dal loro modo d'uso.
Linformazione è per sua natura equidistante, superando una serie di stereotipi contrapposti quali centro/periferia, prossimità/lontananza, concentrazione/frammentazione, si può provare a considerare le periferie non come luoghi (o non-luoghi) generici e senza identità, ma come luoghi con dinamiche sociali e spaziali specifiche, non necessariamente in rapporto gerarchico o antitetico con il centro città, in grado di veicolare significati autonomi, nuovi, diversi.
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14699
di mario coscia
del 05/04/2018
relativo all'articolo
Merchants National Bank
(1914)
di
Ugo Rosa
inviterei questo saputello
(UGO ROSA)
a leggere quello che frank lloyd wright stesso
scrisse del suo "caro maestro."
p.s. dispiace, oltretutto, leggere delle offese gravissime rivolte a sullivan
da questo perfetto sconosciuto.
" questo perdente "
" la sua tartarughesca esistenza di fallito e di perdente "
MA COME SI PERMETTE !
http://www.organicarch.it/index.php?contenutoID=313
http://www.organicarch.it/index.php?contenutoID=312
http://www.organicarch.it/index.php?contenutoID=311
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14684
di Guidu Antonietti
del 09/02/2018
relativo all'articolo
Piccolo Manifesto per il 2018
di
Sandro Lazier
HOMMAGE AU BERNIN
Tel, jeusse t mauvaise enseigne dauberge.
Puis lorage changea le ciel, jusquau soir.
Ce furent des pays noirs, des lacs, des perches,
Des colonnades sous la nuit bleue, des gares.
Arthur Rimbaud
Alexandre VII pape humaniste commanda au Bernin (Gian Lorenzo Bernini, dit Le Bernin ou Cavaliere Bernini )la colonnade de la place Saint-Pierre(1656 -1667), qui scarte depuis la basilique comme deux bras qui accueilleraient la foule. Un plan elliptique influenc par les dcouvertes contemporaines en astronomie. Lusage de lellipse se gnralisera pour devenir un lieu commun de larchitecture baroque.
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14680
di vilma torselli
del 21/01/2018
relativo all'articolo
OcchioPinOcchio
di
Ugo Rosa
La predominanza dello sguardo, ipocrita, bugiardo, prepotente e ingannatore che sia, ha ragioni soprattutto evolutive ed è iniziata quando un nostro lontano antenato si è faticosamente drizzato sulle zampe posteriori scoprendo, da quella insolita altezza, nuovi, sconfinati orizzonti in cui spaziare (con lo sguardo), ricavando una visione del territorio infinitamente più ampia e più ricca di informazioni 'osservabili' utili per la sua sopravvivenza. Voglio dire che "la parte del leone" l'occhio non se la è presa, gliele abbiamo data, privilegiando una scelta evolutiva che, pare fino ad oggi, è stata la più utile (quand'anche non necessariamente la migliore) per la nostra sopravvivenza.
Certo, il naso si è allontanato dal suolo e l'odore dell'humus si è fatto più debole, la localizzazione data dai suoni è passata in secondo piano a fronte della precisione della visione e forse è da allora che è cominciato l'adattamento selettivo per l'utilizzo dei nostri miseri cinque sensi, orientandosi alcuni verso la coscienza rappresentativa e cognitiva, altri verso quella affettiva.
Così un neonato riconosce la madre dall'odore che emana, dal sapore del cibo che gli fornisce, dal suono della voce, dal contatto fisico di un corpo caldo, finendo solo in seguito per privilegiare il canale visivo che allo stato attuale, ci fornisce circa l'80% delle informazioni sul mondo che ci circonda.
Quanto a Goethe, più fonti gli attribuiscono queste considerazioni: "Usare occhiali non ha un effetto costruttivo per gli uomini. Quando vedo attraverso le lenti, sono un altro uomo. Non mi piaccio più. Vedo più di quanto sia necessario vedere. Il mondo visto eccessivamente nitido non va d'accordo con il mio io nella sua globalità."
Ma non basta più non mettersi gli occhiali, perch oggi ogni riflessione sulla nostra identità passa attraverso il selfie, che innesca un processo cognitivo, emozionale e relazionale attorno ad un racconto autobiografico dove l'io soggetto-spettatore e l'io oggetto-rappresentato coincidono. E non ci sono scappatoie.
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Commento 14746 di giuseppe mongelli
del 28/12/2018
relativo all'articolo Auguri A.D. 2019
di Sandro Lazier
Condivido nuovamente. Molte volte, al ponte in disuso, si affianca quello nuovo lasciando vivo il ricordo della precedente opera: Roma, Ponte Rotto; vecchie opere di Eiffel amorevolmente conservate a fianco delle nuove !! ecc....
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