OcchioPinOcchio
di Ugo Rosa
- 8/1/2018
La pubblicit sarebbe un po incongrua in un mondo che non fosse visibile: se si potesse rimanere non visti e lontano dagli sguardi le nostre difficolt sarebbero differenti da quelle che sonoVenite a vedere linvito pubblico pi generalizzato...il mondo visibile, una volta iniziata lesperienza visiva, prende possesso di tutta lesistenza.
F. J.E. Woobridge, Saggio sulla natura
Credo che l'architettura occidentale (ci, di fatto, l'architettura per come la intendiamo oggi) stia pagando un conto accumulatosi in qualche migliaio d'anni.
Non sorprende che quel conto sia salato.
In Occidente si sempre sopravvalutato il ruolo che l'architettura gioca nell'ambito delle arti figurative e, inversamente, il ruolo giocato dalle arti figurative nella genesi dell'architettura.
Questo doppio equivoco ha prodotto conseguenze delle quali perfino il pi miope (laggettivo scelto oculatamente...) tra i propugnatori delle bellezze del Nuovo dovrebbe prendere atto.
Nonostante le chiacchiere sullo spazio (e sulle sue presunte implicazioni esistenziali) quest'ultimo sempre stato posto sotto il dominio della visione ma, in particolare, della visione prospettica.
Spazio stato sempre sinonimo di Spazio Visivo e quando gli architetti ne hanno cantate le lodi lhanno sempre fatto in funzione dell'occhio.
E' l'occhio che esplora il visibile e, tutt'intorno, ne saggia le potenzialit cinestetiche per un corpo che, dal punto di vista dellarchitettura, ne solo lappendice.
Seguono, in carovana, i sottoprodotti intellettuali; le metafore letterarie e le architetture a tema (edifici come boschi scheletri, rose del deserto, nuvole etc.); sempre posti sotto l'egida della visione e definiti, con metafore eminentemente oculari: figure letterarie e retoriche o immagini mentali.
Che un'immagine valga mille parole diventato un luogo comune, tanto ripetuto quanto poco pensato.
L'occhio ha smesso di essere lutile strumento del corpo e ha fatto del corpo il suo, talvolta sgradito, bagaglio.
Locchio vuole la sua parte, e va bene... ma quella parte decisamente la parte del leone e, grazie alla globalizzazione, si avvia a diventare un monopolio.
Possiamo immaginare una umanit futura non udente, priva di motilit, anosmica o anestesica ma immaginarne una non vedente, cos stando le cose, ci praticamente impossibile. E ad occhio che misuriamo lo spazio e perfino il tempo e la lingua, docilmente, ne d testimonianza: in inglese watch orologio ma anche osservare.
Il risultato di tutto questo, mi scuso per il gioco di parole, sotto gli occhi di tutti.
Locchio ci dona meraviglie, ma se le fa pagare.
Tra gli organi sensoriali ha il comportamento pi capriccioso ed il meno disposto ad assoggettarsi al pensiero.
Toccare o annusare sembrano collegati al cervello (pensante) da una cinghia di trasmissione brevissima ed estremamente solida che invece nel caso del guardare e del sentire (nel senso di to hear, non di to feel) diviene pi lasca.
Si dice che guardare non equivalga a vedere e sentire ad ascoltare.
Pu darsi.
Per lascolto ha a che fare con il linguaggio, strumento principe del pensiero, molto pi di quanto vi abbia a che vedere lo sguardo.
Mentre lorecchio, insomma, pascola quotidianamente tra le parole, locchio pratica, per antica tradizione (accentuata adesso dalla caduta a precipizio della comunicazione scritta) il cannibalismo su larga scala.
Il suo territorio di caccia non ha mai avuto confini linguistici ma men che meno ne ha oggi.
Tutto ci che gli capita a tiro per lui una preda, sta al vertice della catena alimentare e divora ogni cosa.
Nello stesso tempo sembra consegnare luniverso alla alterit, confinarlo nella dimensione dellaltro.
Tatto, udito, olfatto, rimettono laltro a te stesso lo riconducono, per cos dire, allintimit. La loro traiettoria centripeta. Locchio invece pratica lapoteosi della estroversione.
Tutto vi appare centrifugo, in fuga (mai termine pi appropriato) prospettica, verso un orizzonte dal quale il corpo escluso.
Anzi, quando lo vediamo (per esempio allo specchio o anche solo ne osserviamo una parte osservabile) perfino il nostro stesso corpo ci diventa estraneo
Goethe ha scritto: La grande e altisonante massima Conosci te stesso! mi sempre parsa sospetta, come unastuzia di preti segretamente in combutta per confondere luomo con pretese irrealizzabili e deviarlo verso una falsa contemplazione interna. Luomo conosce se stesso nella sola misura in cui conosce il mondo. Perci negli anni maturi, ho sempre attentamente osservato fino a che punto gli altri potessero conoscermi, per venire pi in chiaro di me stesso e sulla mia natura, in loro e su di loro, come in altrettanti specchi.
E pi tardi rincar la dose:
Io affermo che luomo non pu mai considerarsi puramente come un oggetto. Gli altri mi conoscono meglio di quanto io non conosca me stesso.
Magnifica riflessione, certo.
Ma il fatto che parli di Augenmenschen (Uomini dellocchio) usi la metafora dello specchio e dello sguardo e non si riferisca mai allodore, al sapore e men che meno allascolto degli altri la dice lunga sulla sua visione del mondo, che nella sostanza quella che ha informato la cultura occidentale.
Perci lo sguardo, rassegniamoci, anche ipocrita.
O perlomeno bugiardo.
Traveste da propensione verso laltro una sovrana indifferenza per tutto ci che non sia lego del suo portatore e la metafora dello specchio usata da Goethe si rivela come lepitome di questo atteggiamento: laltro come puro riflesso di se stesso.
Locchio, che fu il trionfo di Narciso, pu portare Narciso allautodissolvimento, come magnificamente esemplificato dalla celebre biblioteca con i libri fasulli, ultimo prodotto dello star system dellarchitettura planetaria.
(Ugo Rosa
- 8/1/2018)
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Commento 14680 di vilma torselli del 21/01/2018
La predominanza dello sguardo, ipocrita, bugiardo, prepotente e ingannatore che sia, ha ragioni soprattutto evolutive ed è iniziata quando un nostro lontano antenato si è faticosamente drizzato sulle zampe posteriori scoprendo, da quella insolita altezza, nuovi, sconfinati orizzonti in cui spaziare (con lo sguardo), ricavando una visione del territorio infinitamente più ampia e più ricca di informazioni 'osservabili' utili per la sua sopravvivenza. Voglio dire che "la parte del leone" l'occhio non se la è presa, gliele abbiamo data, privilegiando una scelta evolutiva che, pare fino ad oggi, è stata la più utile (quand'anche non necessariamente la migliore) per la nostra sopravvivenza.
Certo, il naso si è allontanato dal suolo e l'odore dell'humus si è fatto più debole, la localizzazione data dai suoni è passata in secondo piano a fronte della precisione della visione e forse è da allora che è cominciato l'adattamento selettivo per l'utilizzo dei nostri miseri cinque sensi, orientandosi alcuni verso la coscienza rappresentativa e cognitiva, altri verso quella affettiva.
Così un neonato riconosce la madre dall'odore che emana, dal sapore del cibo che gli fornisce, dal suono della voce, dal contatto fisico di un corpo caldo, finendo solo in seguito per privilegiare il canale visivo che allo stato attuale, ci fornisce circa l'80% delle informazioni sul mondo che ci circonda.
Quanto a Goethe, più fonti gli attribuiscono queste considerazioni: "Usare occhiali non ha un effetto costruttivo per gli uomini. Quando vedo attraverso le lenti, sono un altro uomo. Non mi piaccio più. Vedo più di quanto sia necessario vedere. Il mondo visto eccessivamente nitido non va d'accordo con il mio io nella sua globalità."
Ma non basta più non mettersi gli occhiali, perch oggi ogni riflessione sulla nostra identità passa attraverso il selfie, che innesca un processo cognitivo, emozionale e relazionale attorno ad un racconto autobiografico dove l'io soggetto-spettatore e l'io oggetto-rappresentato coincidono. E non ci sono scappatoie.
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