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Commento 398 di Massimo Pica Ciamarra del 31/08/2003


Caro Direttore,
grazie innanzitutto per aver pubblicato la Relazione allAssemblea generale dellINARCH e per le espressioni di ammirazione sulle finalit e impegno dellIstituto e del suo Presidente nazionale. Segnale opportuno perch evita di dover smentire affermazioni avventate di sole due settimane prima (proprio su Antithesi 22.07.2003 P.Farina [si tratta di Paolo G.L. Ferrara. ndr] che lIn/arch, coinvolta com in lotte intestine sui ruoli dirigenziali (siano essi nazionali che regionali) che fanno potere, stia oggi vivendo un momento di crisi interna oramai risaputo e sfido i suoi gestori a smentirmi.)
Dopo questo segnale di pace, sono utili confronti di merito.
Credo equivocata in buona fede linterpretazione del concetto di qualit che cogli nel testo. La qualit in architettura deriva da una pluralit di fattori: innanzitutto dalla qualit del programma e dalla qualit di concezione del progetto; poi dalle qualit tecnologiche, realizzative e via dicendo. Le Facolt di Architettura dovrebbero riflettere sulle attuali esigenze di mutazione dei processi formativi. Almeno tre: 1. Oggi sempre pi i processi di progettazione si basano su partnership strutturate e motivate (per i molti esperti che vi partecipano, ruolo del committente, tecniche di ascolto): quindi occorre educare ad innescare e tenere in vita processi creativi, con quanto questo comporti in termini di ricerca di condivisione ed abitudine a velocit tramite approfondimenti simultanei. 2. Lintegrazione il punto di fuga di ogni azione progettuale, quindi ricerca di soluzioni capaci di risposte simultanee a pluralit di esigenze; attitudine ad interpretare le aspirazioni che sottendono la domanda; capacit di visioni dinsieme; affrancamento dalle logiche di settore. Altra conseguenza nel modo stesso di concepire gli interventi: occorre debellare la sindrome delloggetto edilizio. 3. Se alla base della ricerca di qualit vi la metodologia del confronto, per cui prima che soluzione il progetto tentativo, occorrono progettisti interessati a sperimentare alternative di soluzione allo stesso problema, cio educati alla valutazione di tentativi fra cui scegliere quello che assumer caratteri di "soluzione".
Altra questione - meriterebbe un denso confronto - riguarda la distinzione fra armatura della forma e linguaggio architettonico. Sulla prima si pu pervenire ad ampie forme di condivisione, la metodologia del confronto fra ipotesi diverse preziosa. Sul secondo la soggettivit delle valutazioni pi spinta. Personalmente non credo che un diverso linguaggio espressivo mi farebbe condividere il Vittoriano o il Palazzaccio a Roma, comunque edifici che galleggiano nello spazio, incapaci di fondarsi sul dialogo con gli elementi finitimi.
Con viva cordialit
Massimo Pica Ciamarra, Vicepresidente INARCH

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31/8/2003 - Paolo GL Ferrara risponde a Massimo Pica Ciamarra

Caro Pica Ciamarra, leggo con piacere il tuo intervento sulla nostra rivista, e per pi motivi.
Indubbiamente il primo che se il Vice Presidente dell'In/arch ha ritenuto opportuno fare sentire la sua voce, bene, significa che le mie provocazioni sull'attivismo dell'Istituto sono state recepite come uno stimolo a partecipare alla discussione. Attenzione: non che -per storia e "nomi"- ne abbiate necessit, ma stimolare anche con qualche intervento duro sempre positivo, sicuro. E non si tratta di "fare la guerra" stile Bush (ovvero senza motivi palesi), bens guardare in casa propria: s, perch per me l'In/arch Zevi, e Zevi la mia imprescindibile base, dunque mai potrei cercare di attaccare pretestuosamente qualcosa che lui ha creato.
Ora, il pi che sia l'attivismo la vera base dell'Istituto, oltre ogni scaramuccia interna (lo ripeto, e me ne assumo la responsabilit), che poco m'interessano se poi il lavoro e i suoi risultati sono positivi, rendendole (le scaramucce) piccole cose, insignificanti sino a ridursi a beghe da portineria.
Ma che l'In/arch sia impegnato ad uscire da una crisi d'identit innegabile, soprattutto se ne consideriamo il poco peso che ha nelle decisioni ad alto livello, ovvero l'influenza che non ha rispetto leggi e leggine che orientano e orienteranno l'architettura in Italia. Non mi risulta, ad esempio, che Urbani abbia pensato di coinvolgere l'Istituto nella redazione della Legge-Quadro sulla qualit architettonica".
Ovviamente, non per vostro demerito, ma sintomatico...
Altro motivo di piacere che tu sei indubbiamente una personalit di alto livello e la tua voce non pu che rendere pi forte un qualsiasi dibattito, il che ovviamente implica che si possa anche non essere d'accordo. E poi, credimi, davvero pochi si sono messi in gioco dibattendo pubblicamente. Qualcosa significher...
Come hai ben capito, e per come hai avuto modo di conoscerci lo scorso anno a Sciacca, Lazier ed io siamo semplicemente "appassionati", oltre e fuori qualsiasi vincolo diplomatico che ci costringerebbe ad atteggiamenti ipocriti. Non facciamo "cartello" ma ci dilettiamo a scrivere e commentare. Agli altri il compito di definirsi "critici", "storici" e quant'altro.
un cordiale saluto

 

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