Il coraggio a quattro mani
di Domenico Cogliandro
- 14/5/2002
Io ripartirei dal silenzio. L'affastellamento delle parole, il mea culpa generalizzato, le colpe ataviche della disciplina, le avventurose gimkane tra i compiti dell'architetto e le altisonanti affermazioni di certi pedofili culturali, portano solo confusione e rendono impossibile al comune avventore, che va via pi confuso che dissuaso, la comprensione di un
problema. Il caso del Teatro popolare di Sciacca di Giuseppe Samon, rimasto incompleto, una nota a pie' di pagina rispetto all'enorme caos generato dal ruolo delle istituzioni rispetto al medesimo oggetto, e alla sua incompletezza.
Io credo al progetto come elemento vitale, proiezione verso un futuro di cui non si colgono le fattezze. Se per vent'anni s' interrotta la conclusione dell'opera di Samon significa che mancata la tensione progettuale. Vediamo di non fare confusione, allora. Il progetto non incompleto, il progetto interrotto.
Il caso di questo teatro emblematico perch opera conclusiva di un professionista noto e riverito, scomparso prima della definizione dell'opera. Vorrei allora che qualcuno andasse a vedere cosa accaduto al Teatro di Olbia di Giovanni Michelucci, oggi. L'opera stata completata, dopo la morte di Michelucci. Non c' da verificare nulla, circa la correttezza del linguaggio utilizzato, se sia estremamente fedele al progetto originario o meno. Sta l. Questo importa. Credo che stia l, anche, perch ci s' messa di mezzo la sagacia di alcuni collaboratori di Michelucci, e perch non s' perduto lo spirito primitivo che ha consentito di concepire quell'opera: il progetto sta nella formulazione di un'idea, non nella correttezza di un disegno o nell'organizzazione di un cantiere. Se l'idea forte, e ha seguaci, intraprende anche progetti apparentemente impossibili. Il programma di realizzazione passa attraverso i finanziamenti, i disegni esecutivi e l'economia di scala di un cantiere, quello s.
Quindi non resta da fare che una cosa, prendere il coraggio a quattro mani e ricucire il filo smagliato tra l'idea di quel luogo e la densit di attenzione verso l'opera di Samon. Visto che ne ho sentite molte, in tal senso: demoliamolo, seguiamo pedissequamente gli esecutivi di Samon, facciamo un concorso d'idee per il riuso, facciamolo diventare una grande scultura urbana, restituiamolo alla gente, facciamo che cambi funzione, pu essere occupato, pu diventare un centro sociale, una chiesa, un centro commerciale. Per questi motivi io ripartirei dal silenzio. E inviterei, da questo momento fino al maggio del 2003, tutte le persone di buon senso che ho conosciuto, e che ho ritrovato, in questi giorni a Sciacca, a produrre idee per il Teatro popolare di Samon. Mi piacerebbe che Paolo e Sandro lasciassero aperta questa finestra in Antithesi, per raccogliere una petizione di emails per la conclusione dei lavori
dell'opera; che InArch Sicilia, e InArch nazionale con tutte le sedi regionali, e i suoi soci, facessero da garante culturale per la corretta prosecuzione dei lavori; che tutte le persone coinvolte a qualsiasi titolo all'interno di redazioni di riviste d'architettura, politiche, culturali, cartacee e virtuali, che siano state presenti o meno a Sciacca nei giorni scorsi, facessero da vettori di informazioni e da stimolo critico alla ridefinizione di un dibattito su quel progetto. Questo per iniziare.
E che tutto questo materiale, nei modi e nei termini che si converranno, venga inviato alla municipalit di Sciacca, alla Presidenza della Provincia Regionale di Trapani e alla Presidenza della Regione Sicilia, per dire che, certamente, sono utili i miliardi per ridefinire il progetto, ma sono inutili i proclami tout court a cui bene non credere. Anzi, viste le professionalit presenti a Sciacca nei giorni scorsi, sar certamente possibile fare il computo delle opere mancanti, di l dalle stime gonfiate ad hoc, e controllare la giustezza degli importi e la correttezza realizzativa, per la quale certamente si potrebbe bandire un concorso di progettazione, smentendo cos l'infausta interpretazione che il progetto valga soltanto per l'immediato presente.
In tal modo non avremo solo finto di essere presenti, non avremo speso inutilmente tempo e denaro, e non avremo fatto passerella per dimostrare la lungimiranza e l'originalit delle nostre personali intuizioni. Rifondare una disciplina non significa certo accorgersi, adesso e con molta sorpresa, che qualcosa non andato per il giusto verso o che i nipoti putativi de
maestri, o considerati tali, in realt hanno fatto ben altro che imporre carattere ad un certo modo di lavorare. Se le citt sono quel che sono dipende da tutti, non soltanto dagli architetti assenti; ma uno dei possibili modi per riscattare il senso perduto delle cose non fatte pu essere questo, abbracciando un caso eclatante (almeno quanto la chiesa di Quaroni a Gibellina, rudere della nostra contemporaneit prima di poter avere una storia sua propria) al quale manca pochissimo per uscire dalla anormalit.
(Domenico Cogliandro
- 14/5/2002)
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