8/10/2005
Mark Twain diceva che gli esseri umani sono attaccati al passato perch sono di memoria labile. Se penso alla (pseudo)storicismo, all'adorazione dei centri storici (che a volte, troppe, sanno di Controriforma e di Sant'Uffizio) non posso che dargli ragione.
Ma che dire, oltre i gi menzionati Luigi Pellegrin e Leonardo Ricci, di Maurizio Sacripanti, Marcello D'Olivo, Leonardo Savioli, Adalberto Libera, Vittoriano Vigan, Carlo Scarpa, Mario Fiorentino, Mario Ridolfi, Giovanni Michelucci, Claudio Dall'Olio, Luigi Piccinato, tanto per fare alcuni nomi possibili, senza passare per la triade Pagano-Persico-Terragni ? Lo so: accomuno molti nomi in un elenco che sarebbe interminabile: che iIn ciascuno c' almento un insegnamento cui attingere, per grandi o modeste che siano le opere concrete.
Ora alla lunga lista si aggiunge Giancarlo De Carlo: il suo lavoro mi pare contrassegnato da un impegno antidottrinario,umano, pragmatico, attento come pochi ai contenuti umani e sociali delle opere, quasi che ogni volta ricominciasse daccapo (ma a ben guardare non cos: che i principi che ne guidavano il lavoro erano quanto mai antidottrinari ed antidimostrativi).
Ce n' di che alimentare intere generazioni: e ancora si ciancia di identit dell'architettura italiana. C' ben di pi: c' un'eredit 'letteraria' (poesia e prosa poxo importa) vasta e articolata, convergente in una incessante ricerca di costume e civilt del vivere assieme , con cui alimentare generazioni di architetti: che pu e va ripresa e rilanciata verso orizzonti pi pregnanti. E De Carlo ne inscindibilmente parte. Ma le eredit non si 'hanno': o si conquistano con tenacia, fatica, impegno o decadono anch'esse e per prime a lugubri memorie.
Penso che molti umani si attaccano al passato quando sono stanchi di renderlo perennemente vivo e presente. Hanno la memoria corta perch pi comodo consumare e scialacquare allegramente che dare al passato un futuro, che riprendere il filo attuale di un impegno etico, invece di facili scorciatoie formalistiche. Comprendere i contenuti piuttosto che perdersi in meschine diatribe stilistiche: e la riprova che a giudicarlo con questo secondo metro, De Carlo proprio non regge. N fa moda o tendenza.
La nuova accademia da debellare , pi che mai oggi, quella che stilizza senza sforzarsi di comprendere. Dobbiamo ben pi di un grazie, di un omaggio o un tributo a Giancarlo De Carlo, perch da questa accademia fu sistematicamente immune: bisogna inalare almeno parte dell' l'impegno costante e quotidiano che ne qualific sistematicamente il lavoro. Impegno organico, sui contenut:i prima di tutto.
Non credo che passer molta acqua ancora sotto i ponti, perch questo accada: siamo solo, in Italia, in una difficile e confusa fase di transizione. L'effimero, per sua natura, prima o poi svanir.
G.C.
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8/10/2005
Molti anni fa, giovane studente di Architettura e Belle Speranze, la pianificazione urbana e territoriale mi appassionava molto e mi dava l'idea di potermio rendere davvero utile al mio Paese. Un paio d'anni prima della mia immatricolazione era stata varata la 765 o Legg Ponte: ponte versb una riforma urbanistica che non solo non venne mai ma che, nei fatti, fu tenuta sempre pi lontana dai calendari politici della vita civile italiana: il ponte rimase a sbalzo nel vuoto, nel nulla.
Professori di altissimo valore come Gabriele Scimemi, Luigi Coppa, Federico Malusardi alimentavano, e giustamente, entusiasmi e rinnovate speranze che, noto anche ai bambini, sono sempre le ultime a morire. Gli scritti e gli interventi memorabili, brillantissimi di Luigi Piccinato, il fulgido quadro istituzionale e legislativo soprattutto -ma non solo- britannico, esempi di buoni piani redatti anche in Italia, nonostante condizioni al contorno devastanti: la strada era in salita, certo, ma quasi nessuno prevedeva che si sarebbe tramutata in una parete rocciosa del sesto grado.
Il quadro oggi supera ogni pi fosca previsione: la cultura del piano non solo, di fatto, costretta ad abdicare, ma a suicidarsi. Il caso Sicilia ne una conferma: e come al solito chi redige i piani dovr districarsi ed aggirare, quando pu, ostacoli sempre pi impervi.
Lo Stato centrale sceglie posizioni vieppi pilatesche, mentre con l'alibi federale le Regioni spesso sguazzano nella pi totale anarchia. Mi disinteressai piuttosto presto della materia, trovando pi agibile e interessante l'architettura, quindi seguo quanto basta le vicende urbanistiche, ma sembra proprio che citt e territori si trovino, come prima della 1150, avvolte in un marasma, in un fasciame inestricabile di leggi e centri decisionali (o indecisionali) in perenne e crescente conflitto fra loro. Persino la terminologia giuridico-urbanistica permane spesso nel vago, tanto da necessitare continue precisazioni e puntualizzazioni, sovente per vie legali.
Un quadro frammentato e neocorporativo che non riesce a ricucire grandi linee strategiche nazionali (figuriamoci, poi, le loro articolazioni regionali e subregionali) nemmeno di fronte alle nuove istanze ed esigenze che la crisi ecologica ed energetica imporrebbe di coniugare ad istanze di sviluppo e progresso.
Non so come andr avanti questo Paese; certo, il minimo attendersi tempi ... da Lupi !
G.C.
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7/10/2005
PS per Ugo Rosa:
a margine, ma non per importanza: Lei stesso dice che fra cosa fare e cosa NON fare, Le riesce ben pi semplice la seconda opzione. Ed una cosa la esplicita, infatti: questi signori (i 35 firmatari dell'appello per l'architettura_italiana_torrone_nella_,calza_di_Babbo_Natale) bene non trovareseli nella propria trincea. Sicuramente pu essere una delle cose da NON fare e si potrebbe, a pensarci, condividere, cos come l'atteggiamento in generale.
Mi permette, allora, di riformulare la domanda? Oltre a quanto ha gi indicato, cosa ritiene sia da NON fare nei prossimi 2-3 anni per tentare, almeno, di evitare che i 25-30 a venire siano come i precedenti, se non peggiori?
Confido, almeno questa volta, nel Suo humour come scusante per la mia insistenza.
G.C.
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7/10/2005
Be', caro Rosa, il mio omonimo si chiamava, in realt, Krebs, detto il Cusano perch proveniente da Kues, o Cusa (Germania).
Il cognome, per, ha origini pi lontane nel tempo e a me (lucano) pi vicine spazialmente, visto che Cusano Mutri il nome attuale di una cittadella medievale in provincia di Benevento (alcuni vi ravvisano traccia dell'anteriore Cossa dei Sanniti,rasa al suolo dai romani perch l in precedenza sconfitti e passati per le forche caudine). Da Cusano Mutri trassero il nome Cusano sul Seveso (o Milanino) e la stessa Kues.
Ora, chiamarsi come un luogo non mi pare cosa degna di chiss quale investitura: tanto pi che la radice (ebraico-caldea) di Cossa (poi longobardizzata in Cusa durante il regno di Autaris) sta per 'coppa', 'tazza', 'calice': conviviale, s, ma a mio avviso scarsamente speculativa.
N posso prendere troppo sul serio il pensatore umanista: il nome -che condivido col ben pi noto Stoppani, alias Gianburrasca- decisamente me lo impedisce.
Nomen omen? Forse: come vede, di "guai" in comune ne abbiamo pi di quanti sospettassimo 2 giorni fa :-)
Cordialit,
G.C.
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5/10/2005
Non delude nemmeno questa volta la verve (tutta siciliana, mi pare) di Ugo Rosa. Ed assolutamente ammirevole che ci sia chi ha la forza morale di scherzare, e di farlo sul serio, in situazioni drammatiche come questa.
Mi colpisce, invece, questa volta, l'amarezza: comprensibile e giustificatissima. Il tuo 'dopo 25 anni' , per me, un dopo 30, dato che a fine Ottobre ne compio 56. (sono nato lo stesso giorno di T. Roosevelt, Roberto Benigni e Rino Gaetano: per la cronaca e per i cultori della materia, sotto lo stesso segno zodiacale di -ahim- Paolo Portoghesi e, per fortuna, di Luigi Piccinato: superfluo aggiungere che sono spudoratamente dalla parte del secondo ? ).
Questo a me sembra dividerci: se un edificio in Italia lo progetta la Hadid piuttosto che Gregotti, a me importa molto. Ma questione accessoria.
Vorrei solo, sommessamente, porre una donanda a Ugo: che facciamo, insieme, nei prossimi 2 o 3 anni per tentare, almeno, di scongiurare altri 25-30 anni come i precedenti, se non peggio?
Un caro saluto,
G.C.
5/10/2005 . |
Ugo Rosa risponde
a Giannino Cusano: |
Caro Cusano
la sua domanda interessante e, probabilmente, anche sensata ma, per attenermi allo zodiaco, io sono nato in marzo, sotto il segno dacqua per antonomasia. Muto e senza mani, scivolo sulle cose e, ad afferrarle, non ci riesco. Cos mi esercito, come un tempo i teologi apofatici, a guizzare intorno al contorno di qualcosa che, alla fine potrebbe perfino rivelarsi un assenza. Non so proprio dirle, dunque, cosa fare: al massimo riesco (di tanto in tanto) ad intuire cosa non fare. Per giunta, avr notato, mi chiamo Ugo (proprio come Fantozzi) e Il mio onomastico cade il primo daprile: uno scherzo del calendario. Questo il mio Ming, i cinesi lo sapevano: il nome cifra e destino. Lei per, adesso che ci penso, si chiama Cusanolo vede come il cerchio si chiude? Guardi un po cosa scriveva il suo omonimo Nicola pi di mezzo millennio fa:
Strano, io vedo qui un uomo che si attacca a qualcosa che non conosce
Ma pi ci sarebbe da meravigliarsi se un uomo si attaccasse ad una cosa che egli credesse di conoscere
- Ugo Rosa |
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5/10/2005
Leggo solo ora, attraverso il commento di Mariopaolo Fadda, di Villa Colli.
E' una vicenda ignobile, inqualificabile, vergognosa alla quale occore reagire. Non conosco l'intera vicenda se non per sommi capi, come era logico attendersi da una rivista.
Non faccio commenti n elenco, per ora, motivazioni a favore della villa: a caldo, credo urgente e necessario agire su due leve:
1. dare il massimo spazio per approfondire e divulgare ulteriormente questa vicenda e credo che Antithesi vorr non solo rendersi disponibile ma anche spingere perch altri spazi di informazione si rendano disponibili;
2. occorre dare il massimo sostegno alle voci levatesi a favore di Villa Colli, a partire da quella del Capo dello Stato. Per questo credo che vada SUBITO istituito un Comitato per la difesa e la salvaguardia di villa Colli, che coinvolga figure di prestigio e comuni cittadini, e che sia capace di interloquire con le autorit locali. Io credo che alla fine almeno il buon senso (che cosa diversa dal senso comune) possa prevalere.
Dichiaro sin d'ora tutta la mia disponibilit per qualsiasi iniziativa atta pernseguire lo scopo auspicato: lettere al sindaco, all'Unione Industriali, al Ministro Urbani, al Capo dello Stato, al Sindaco o qualsiasi altra cosa sia auspicabile e sperabilmente efficace.
Ci faccia sapere anche la sig.ra Chiono, che ha il polso della situazione, cosa davvero pu essere utile in questo momento: il sostegno morale non basta e non intendo esprimerne. Forse tardi, ma serve sostegno concreto e operativo.
E non solo una questione di coscienza o di sensibilit: se non siamo disposti a scommetterci su nemmeno un capello, se cediamo alla rassegnazione e al pessimismo e gettiamo la spugna prima di aver tentato alcunch, non lamentiamoci poi se, in campo architettonico (solo?) , le cose in Italia vanno male: ce lo siamo (e ce lo saremo sempre di pi) cercato e ampiamente meritato!
Possibile che non abbiamo pi nemmeno la forza per scommettere su noi stessi? E se cos, non ci vergognamo per come ci hanno ridotti?
G.C.
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6/9/2005
Commento
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relativo all'articolo:
Inter-ferenze
di
Giovanni Bartolozzi
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Auguri ad 'Interferenze' + noticina x Saggio.
Formulo i migliori auguri a questa interessante iniziativa: soprattutto perch propone un taglio critico volto a smuovere la acque stagnanti italiane e perch si propone come iniziativa a termine, cosa mai abbastanza degna di lode. Chiedo: dove si pu trovare? Solo in ambito fiorentino? So che la distribuzione gi un grave problema, per la carta stampata italiana, figurarsi per un organo che vuoll essere controcorrente in una realt nella quale ormai non si osa quasi pi neppure rincorrere l'incarico del giorno dopo.
''W la ricerca' lho visto. Dire che il quadro che ne emerge sconcertante essere generosi con la melma italica.: abbiamo talenti .che sprechiamo con una disinvoltura da far rabbrividire. Ne sono convinto: anche in campo architettonico. Galvagni solo un esempio: e personalmente l'ho scoperto grazie alle pagine di Antithesi. Sarei proprio curioso di sapere quanti ce ne sono in giro, se un minimo il nostro Paese investisse (e non in chiave economica) un pezzetto di futuro su di loro.
Giustissimo rilanciare, come ha fatto Saggio, e porsi il problema di essere operativi e di tentare di scardinare l'italico torpore. Penso che un modo potrebbe essere repicare ovunque possibile un'esperienza che (sbaglier) mi pare centrata , per ragioni logistiche pi che per scelta, su una realt 'locale'. Come? Ho varie ipotesi in mente, ma per il momento mi pare importante raccogliere l'iniziativa e cercare di definire un possibile e pi ampio obbiettivo.
Peraltro, e fin dai tempi -vent'anni fa- della mostra-convegno 'La citt vuota' (di idee, era sottinteso) in sede In/Arch, nella quale esposi e che contribuii ad organizzare con 2 anni di intenso lavoro preparatorio, ho sempre condiviso l'idea di tradurre quella iniziativa in un Movimento -privo di denominatori comuni che non fossero il ripudio dell 'Accademia' e dell'ovvio, capace di spingere su idee forti e innovative. Di qui -in questo fui pressocch solo, a parte l'entusiasmo di Zevi, ma era solo una questione di tempi- era mia intenzione costituire un Istituto di Ricerca architettonica.
Quali erano i suoi confini ed ambiti operativi? Si trattava di riunire gli architetti di avanguardia, da un lato, quelli che tuttora spesso lavorano e sognano negli scantinati, e dall'altro di andare alla ricerca di aree o edifici marginali dal punto di vista del mercato, formulando proposte i)o anche consulenze progettuiali) nedite di riassetto e mettendo in contatto proprietari e Comuni, con indubbio vantaggio per tutti. L'idea era di mettere, eventualmente, il tutto sotto legida prestigiosa dell'In/Arch.
Per ragioni che non sto ad esporre, la mostra non si tradusse mai neppure in Movimento: figurarsi l'Istituto.
Neppure il Movimento, si fece: figurarsi l'Istituto.
Credo che al fondo di questa debcle, di cui sono tuttora fierissimo, ci fosse gi allora una sorta di scoramento, di scetticismo, di autocensura in alcuni casi, fra tantii di noi: non tutti, ma bast a ottenere un nulla di fatto. Ritengo che tuttora questo sia un problema centrale: non riuscire a dire con determinazione a noi stessi che, tutto sommato, ci giova credere di pi nelle nostre possibilit. Per quanto neri siano il presente e la 'realt': ammesso che ci sia una realt pensabile fuori dai canali dell'immaginario. La nascita di Inter-ferenze mi pare che nell'approccio dimostri, ancora una volta, che la sola possibilit concreta che abbiamo di non subire la realt ma di cercare di immaginarla , di pro-gettarla oltre i suoi, ahim, sempre pi angusti confini.
G.C.
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1/9/2005
Olocausto significa offerta sacrificale di s: autosacrificio. Non si parla di 'olocausto' ma di genocidio dei curdi, dei tibetani, dei croati, dei bosniaci , dei montagnard: del pari, parlerei di genocidio (shoah) o di sterminio, non, mai, di olocausto del popolo ebraico.
Non solo una precisazione filologica: che le vicende di tutti i popoli che hanno subto stermini e genocidi, nella storia, sono quanto mai simboleggiate dalle plurimillenarie vicende del popolo della memoria: quello ebraico. Che non si arroga certo questa prerogativa.
Se memoria non sta solo per 'non dimenticare', ma soprattutto come monito contro analoghe tentazioni future e contro chicchessia, il 'popolo della memoria' prorpio per questo quasi, se non l'unico, che a tutt'oggi riuscito a non (far) perdere traccia di s, a non morire del tutto. In questo senso, credo, non comprendere a fondo e
Identit etnica? Religiosa? Come efficacemente dimostra Sartre nel suo breve e magistrale saggio iintitolato 'L'antisemitismo' , n l'una n l'altra: l'identit ebraica , per lui, storicamente anzitutto il prodotto primo dell'antisemitismo.
Vengo ad Eisenmann: condivido il giudizio di approvazione solo parziale del suo progetto, ma comprendo un po' meno le ragioni: vedere da un punto di vista originale tragedie di sempre non , a mio giudizio, sempre fondamentale. Forse, anzi, sarebbe pi incisivo ed efficace rivederle 'con gli occhi di sempre', quasi fuori del tempo: forse perch siamo troppo propensi a pensare che il tempo e il nuovo della storia abbiano in s gli anticorpi di antiche tragedia. E cos non . in questo, senso, credo, la concettualit (che in genere non amo) di Eisenmann, collimante quasi con la metafisica, addita una condizione di straniamento, un non identificarsi con le cose e col presente che, fra struggente ed (auto) ironico, appare sistematicamente nella temperie ebraica: come se il tempo della storia vera dovesse ancora cominciare, come se quella che conosciamo altro non fosse che un periodo di prove.
Siamo di fronte a parallelepipedi astratti, quasi uguali, cui negata quasi ogni differenziazione e identit, se non, appunto, come parallelepipedi. La dimensione in cui ogni tensione etica sospesa fra astrazione dello spazio (Dio) e trascorrere del tempo, in cui l'assurdo si realizza e l'esistenza, tragicamente o meno, s'inceppa.
Forse personalmente avrei affrontato il tema con altro senso del dramma: ma questione di differenti sensibilit. Il punto che nessuno di noi sa veramente dire chi sia: pu solo cercare di definire la propria identit in divenire, vivendo, agendo, Quanto a vivere questa disidentit sulla propria pelle, per, e come condizione proveniente dall'esterno, tutt'altra questione. Il museo ebraico di Libeskind, a mio avviso, centra molto meglio la questione: uno spazio architettonico negato per simboleggiare coloro ai quali lo spazio stato negato. Eppure pur sempre spazio..
Se lo spazio Dio, Dio stesso nella Shoah negato, interrogato, rimesso in discussione: forse aveva ragione chi ha sostenuto che gli unici veri religiosi, oggi, sono i senza Dio. Non so; certo, questa dimensione di negazione, di sottrazione che proprio e solo per questo, togliendo, 'pone', nel Memoriale di Eisenmann mi riesce difficile da scorgere.
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19/11/2004
Caro Fausto,
il mio amico di vecchia data, Cesare De Sessa, con l'espressione 'cadaveri eccellenti' si riferiva ai progetti non realizzati o monchi.
Che Meier abbia disconosciuto il nascituro, a mio parere, non deve significare che si pu tormentarne e mutilarne a piacere il feto: si abbia, invece, il coraggio di farlo come andava fatto e di richiamare Meier al suo (ingrato) compito.
Possibile che, in Italia, per far male, energie e soldi si trovino sempre?
Ciao
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16/11/2004
Per Mara Dolce:
ho scritto:
"il coro della Parrocchietta ha ottenuto l'ennesima vergogna italiana: la deturpazione del progetto Meier, monco del suo pi forte raccordo allintorno"
Mi pare che, nella sintetica economia dell'articolo, ce ne sia abbastanza, per chi ha occhi per vedere: il muro dell'ala d'accesso era una quinta che filtrava, lasciandoli intravvedere, gli edifici retrostanti, ma al contempo distendeva il Museo LUNGO il Tevere, impedendogli di ridursi a un oggetto posato l. Cos'altro c' da argomentare?
Infine: se, per una volta, la televendita non confronta le brutture del prima con le meraviglie del dopo_la_cura, ma caso mai documenta il contrario. E dunque le mie probabilit di tele-vendere sono davvero esigue, non crede?
G.C.
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22/10/2004
Gent. mo Fausto,
non che io paventassi una ripetitivit indotta dal computer: che se si vuol essere ripetitivi, con computer, Cad e copia/incolla si fa prestissimo: credo che su questo non si possa non dare ragione a Galvagni.
In generale, temo, la questione, se posta nei termini in cui generalmente la si pone (chi progetta? l'architetto o il computer?), non fa che riportarci alla polemica rivolta di Morris e delle Arts & Crafts contro le macchine e/o alla loro prima incorporazione nel processo ideativo avvenuta ad opera delll'Art Nouveau.
Credo che tu abbia ben interpretato il mio pensiero: io ritengo che, al di l o al di qua di questioni di qualit del progetto e dell'autore, il computer possa contribuire enormemente a incentivare nuove esplorazioni e nuovi modi di pensare il processo ideativo: cosa, quest'ultima, non trascurabile. E non solo perch il CAD compendia in s i mezzi tradizionali del tecnigrafo e quelli delle pi imprevedibili modellazioni (poi, certo, dipende dal software, dalle persone ecc.).
Nel mio intervento a caldo mi premeva sottolineare che computer e cad sono, s, strumenti ( la faccia della medaglia su cui do ragione a Galvagni) ma che anche vero che questi non sono indifferenti e neutri rispetto al nostro modo di pensaere e di procedere: e questa l'altra faccia, secondo me.
Nella mia personale esperienza -l'esempio del progetto per una Composizione da me portata avanti circa 30 anni fa- credo di averne la riprova: non volevo una forma che fosse in qualche modo dettata dall'elasticit, duttilit, flessibilit e lavorabilit del materiale che avrei utilizzato per studiarne il modello, n che fosse condizionata dal gioco delle tensioni superficiali nella realt (guscio cementizio ecc.): volevo indagare quella forma (suscettibile di diventare significante, e che doveva ancora conquistarsi il titolo di 'segno') anzitutto sulla base della sua fruizione reale -o preventivata come tale- . Non c'erano i cad, ma avevo molta scelta nei materiali del modello.
Scartati cartoncini, perspex, sfoglie di compensato, balsa, gesso ecc. mi rimase la plastilina., almeno in fase di abbozzo: quel materiale malleabile e, per, poco sensibile, nella sua forma complessiva, a deformazioni locali; ha una certa inerzia.
Come risolsi il problema? Disegnando delle sezioni piane in alcuni punti chiave (intersezioni col polo della biblioteca, con quello delle conferenze, col consultorio ecc.) e poi cercando di connetterli fra loro immaginando una forma che procedeva per estrusioni e torsioni.
Lo risolsi? Ai fini di un banale esame si. Ma se avessi dovuto realizzarla?C'era una marea di problemi in sospeso la cui presa di coscienza e controllabilit preventiva dipendeva proprio e anche dagli strumenti di indagine : esisteva davvero QUELLA superficie che i disegni lasciavano solo presagire? E che fosse puramente geometrica e non legata a tensioni e a questioni statiche? Che natura aveva? Quali alternative si potevano indagare? Come controllarla ? Come valutare i riflessi che una modifica locale avrebbe avuto sulla sua configurazione d'assieme? E, viceversa, come modificare eventualmente la forma complessiva controllando esattamente quello che succedeva nei punti chiave? Per me fu davvero ansiogena, quell'esperienza.
L'operazione che ho citato (connessione al continuo di sezioni o polilinee aperte + torsione complessiva della forma) in modellazione CAD si fa molto semplicemente; ci sono pi modi per ottenere varie soluzioni e si pu sempre stirarla, deformarla, modificarla ecc. attraverso dei punti di controllo che dipendono dal processo di modellazione scelto o eventualmente dall'averla convertita, x es., in una mesh e poi 'bloccandone' alcuni punti in modo da dosare l'elasticit delle deformazioni indotte nei punti circcostanti. E prima o poi riprender quello studio (che ho sempre in mente) ma stavolta col mio bel modellatore solido.
Il vantaggio, secondo me, non solo di tempo o solo di controllo globale / locale della forma e delle operazioni e modifiche che vi apportiamo. E' nel fatto che lavoriamo su una superficie deformabile e modellabile la cui geometria indipendente dai materiali di modello ed edificio reale, ma che pu assumere comportamenti simili -volendo- a quelli di alcuni matriali reali.
Ed nel fatto non trascurabile che diverse possibilit 'operazionali' offrono alla nostra mente diverse strade che possiamo intraprendere e che altrimenti non vedremmo, a mio parere.
Per tutti questi motivi credo, insomma (per tornare a Morris e alle Arts & Crafts) che il famoso articolo di Wright del 1909 (o '10) dal titolo 'The Art & Craft OF THE MACHINE' vada, oggi, integrato: ciascunop a suo modo, certo. ma integrato come? In modo da includere, nel concetto di 'machine' non solo le macchine per produrre edifici e la loro logica operativa , ma anche quelle necessarie a pensarli: computer e cad in primis.
Tutto questo non implica necessariamente che si facciano dei capolavori solo o grazie ai Cad: si possono fare eccellenti architetture anche senza. E sicuramente tutto il discorso di Galvagni incarna una poetica forte a prescindere dal fatto che egli usi o meno i cad.
Ma se vero che una persona che lavora il tufo tender a pensare le forme in termini di modellabilit del tufo, e difficilmente riuscir a pensare in modo congruente in termini di 'marmo' o 'bronzo', altrettanto evidente mi pare che il computer sia a buon diritto non solo uno strumento ma strumento capace di allargare le nostre visuali, le opzioni e le possibilit di scelta: che sia parte integrante e non necessariamente surrogabile di un modo di PENSARE forme, materia, spazi , indipendentemente dagli orientamenti e dalle capacit di ciascuno di noi.
L'argomento vasto, ma spero di essermi spiegato meglio.
Un cordiale saluto,
G.C.
PS:solo con cad e computer possiamo concepire e modellare lo spazio come qualcosa di veramente elastico, estensibile, deformabile. Perch solo al computer risulta davvero immune dai condizionamenti molecolari, elastici, strutturali della materia che involucra qualsiasi modello di studio: in modellazione solida usiamo una materia immateriale.
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22/10/2004
Per Fausto Capitano: premetto che non sono prof. em con tutto il rispetto per la categoria, non ci tengo a diventarlo.
Non mi pare che Galvagni dica esattamente che squadre, righe e compassi producono forme classiciste: mi pare sostenga, invece, che quegli strumenti, corredati da modelli e studi al vero di particolari, o addirittura dai modelli funicolari, hanno permesso Wright e Gaud. Che certo non rifiutarono mai il tavolo da disegno.
L'altro aspetto, e che mi pare interessantissimo, del discorso di Galvagni che le stesse matrici formali producono percezioni profondamente diverse, che mutano con le et della storia. Ma quelle matrici formali appartengono a un luogo e a una comunit di viventi, per cui la cosiddetta 'invenzione formale' impedisce l'omologazione se coglie questo aspetto e si lega a un luogo: nasce dal e nel luogo, Senza timori di ricadere nel gi visto, per le ragioni sopra esposte.
Dunque ricercare forme nuove NEL mezzo tecnico (CAAD) un errore.Controprova (sempre mimando, per cos dire, il discorso di Galvagni): non c' strumento che favorisca la ripetitivit pi del CAAD.
L'ho detto molto male, ma mi pare che sia questo il bandolo del suo ragionamento. Cosa che solo lui potr chiarirci.
Ho risposto a caldo, quasi di getto, sul filo pi di intuizioni e ricordi -provenienti, certo, dalla mia esperienza personale- e dunque in modo che mi riservavo di chiarire. Anche perch, e lo ripeto, ritengo che gli argomenti di Galvagni meritino attenzione e riflessione: e su molte delle cose da lui scritte ho bisogno di riflettere: segno che sono cose intelligenti, almeno x me, indipendentemente dalle conclusioni cui potr arrivare.
Ma mettiamo da parte il mio discorso: non importante, x me, se ne caveremo ragni dal buco o meno; personalmente potrei, invece, essere interessato a cavarne cavatelli, tanto pi che provengo dalla Basilicata (o Lucania che dir si voglia).
Ma gi se invece di ragni tutto questo discorso mi avr aiutato a cavar cavatelli, tanto di guadagnato per me. E se qualcuno, a sua volta , trover utile anche un cavatello, ben venga.
Fuor di metafora, ritengo pi importante e produttivo cavare qualcosa, e magari ciascuno per s, che non tirarne fuori necessariamente qualche risposta o conclusione comune . E perch mai?
La divergenza gi discorso compiuto; e una domenda in sospeso comunque una conclusione.
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20/10/2004
Trovo di estremo interesse e da meditare a fondo le acute riflessioni di Galvagni sulluso dei computer in architettura, parte delle quali mi sento di condividere. Ho, per, anche alcune perplessit di fondo che riguardano:
a. i modi e gli strumenti di indagine della realt che abbiamo a disposizione;
b. la non totale neutralit degli strumenti che utilizziamo in relazione ai fini che ci proponiamo o che abbiamo la possibilit di perseguire.
Proceder a grandi linee e, per ora, omettendo di allegare immagini, ma anche sperando che questo dialogo non si esaurisca in rapidi commenti e che apra un vero e appassionato dibattito; far anzitutto delle considerazioni molto generali, senza entrare nel merito dei Cad, ma ripromettendomi di poterci tornare. A mio parere:
a. esistono forme che non sono neppure pensabili senza lausilio di computer: un esempio era sempre citato e documentato da un modellino da Sergio Musmeci nel suo indimenticabile corso di Ponti e grandi Strutture. Si trattava di un solido condizionato da due vincoli di base; se ben ricordo: 1) avere 7 facce piane; 2) ognuna di queste facce doveva intersecare tutte le altre 6. Imposte queste condizioni, la forma finale veniva ricercata per iterazione da un computer. Il procedimento di ricerca era in s talmente ponderoso e complesso da precludere qualsiasi preventivo atto immaginativo: non si poteva, cio, nemmeno lontanamente anticipare in immagine uno solo dei possibili risultati. Ne scaturiva un solido ad alta connettivit (che, in sostanza, si avvitava su s stesso alla maniera di una nastro di Moebnius, autocompenetrandosi). Il solido riportato su un vecchio numero monografico di Parametro dedicato a Musmeci e ai suoi antipoliedri. Numero che, ovviamente, ora che mi serve non trovo: devessere una costante di sottofondo, questa, che toglie casualit al caos.
Simili .condizioni generative possiamo immaginarne, imporne e verificarne a iosa; la loro peculiare caratteristica che non sono generabili da un preventivo atto di immaginazione, da unoperazione di visualizzazione. Ovvio che forme del genere non fanno, di per s, architettura. Ma forse utile focalizzare lattenzione su un punto non trascurabile: dimostrano che oltre luniverso finora conosciuto sono possibili intere famiglie, e forse infiniti di ordine n, di forme di cui ignoriamo lesistenza. Iniziare a indagarle significa potersi avventurare in configurazioni morfologiche governate da leggi finora sconosciute. E questo comporta imprevedibili modificazioni nella nostra stessa percezione e/o indagine costitutiva della realt che ci circonda, esattamente come le geometrie euclidee hanno finora svolto un ruolo fondamentale nella nostra percezione della realt. Sostengo, insomma, che il patrimonio formale di cui in un dato momento disponiamo ha un ruolo non trascurabile, con le sue leggi interne, ed ipoteca in parte le nostre valutazioni delluniverso percepito. Se cio fin da piccoli ci abituassimo a ragionare non in termini di punti, rette, piani, ma di curvature, di intorni ellittici, parabolici, iperbolici, molto probabilmente ci muterebbe radicalmente anche i nostri moduli di rappresentazione e di pensiero della realt.
b, credo che sia fin troppo ovvio, ma nellarticolo di Galvagni non mi pare abbastanza evidenziato, che se qualsiasi forma si pu ottenere con i metodi tradizionali della costruzione di modelli (plastici) non ogni tipo di materiale e di tecnica di modellazione ci consente gli stessi risultati. Non ci ho mai provato, ma penso che sia impossibile modellare una bottiglia di Klein (equivalente 3D di un nastro di Moebius) ricorrendo a una colata di bronzo fuso in uno stampo. Anche qui, ometto la figura. Nei lontani anni 70 immaginai, per un esame di Composizione, un edificio strutturato in nuclei connessi da un percorso-mostra che imponeva di accorpare le opere esposte per valori figurativi invece che per autori: le vetrate cambiavano continuamente giacitura, avvitandosi intorno al visitatore, per cui la luce penetrava ora da sinistra, poi gradiualmente dal pavimento, da destra, dallalto, rimodulando cos con continuit la luce. Ogni volta che il percorso, che si imboccava da una piazza, incrociava i nuclei funzionali, i vetri si disponevano in alto e si stiravano fino a compenetrarsi con i poli di servizi.
Partii direttamente da un modello in cartone dellintorno nel quale inserii un modello in plastilina (oggi andato perduto) dellintervento e portai tutto al Corso di Storia II Zevi per avere spunti, suggerimenti, consigli: la forma complessiva mi pareva ancora poco strutturata, come in cerca di qualcosa di s e delle proprie interne necessit. Si poteva pensare, date le grandi luci dei percorsi, di affidarsi alla logica strutturale delle tensioni superficiali (gusci) ma era una via che in quelloccasione mi interessava poco: mi premeva, si, che si avesse la sensazione di poter correre anche su pareti e pavimenti impedendo che si saldassero per spigoli, ma mi premeva anche molto che si avesse la percezione di stare dentro una sorta di grande nastro di Moebius, che non divide mai lo spazio fra interno ed esterno: e dunque che consente a un tempo di sentirsi dentro e fuori dallinvolucro. La soluzione strutturale era per me secondaria: mi bastava pure che, per reggersi, i percorsi espositivi poggiassero su un groviglio di sostegni, il cui studio avrei senza problemi lasciato a terzi.
Significativa, per inciso, la prima domanda che ricevetti da uno studente :-ma dove sono gli schizzi?- Risposi che lo schizzo era il modello.
Anche in questo caso devo dire, per quanto pu valere la mia soggettivissima esperienza, che i modellatori solidi (CAD) forniscono una serie di leggi costitutive (geometrie strutturanti la forma) che rendono possibili una serie di operazioni e ne precludono altre, imponendoci dei limiti che non sempre coincidono con quelli imposti dal gesso, dalla balsa, dal polistirolo e che, in ogni caso, bisogna pazientemente imparare a capovolgere in punti di forza. Mi pare affatto diverso, insomma, che operare con la duttile e malleabile pasta di plastilina o di argilla.
Con ci, e chiudo per ora, non intendo sostenere una tesi, ma solo accennare a quella che mi pare laltra faccia di una medaglia la cui dialettica interna molto ricca. Da un lato, mi pare, lintervento di Galvagni sottolinea, giustamente, questioni di valore espressivo od estetico. Dallaltro a me premeva non tanto controbattere quanto sottolineare che, a mio modo di vedere, la faccenda ha un risvolto: che c il rovescio della medaglia. Se da una parte le scuole idealistiche (Croce in testa) insistevano sul valore estetico, affermando che esso c o non c indipendentemente dal fatto che ci troviamo di fronte a una poesia o a una sinfonia musicale o a un film, dallaltra quelle fenomenologiche (cito per tutti Galvano della Volpe) obiettavano che i bruti mezzi utilizzati pongono un limite quasi invalicabile alla questione: ponevano, cio, laccento sul fatto che i linguaggi artistici sono reciprocamente intraducibili, per cui tradurre in film un capolavoro letterario non produce necessariamente un capolavoro cinematografico.
La questione fu brillantemente risolta dal giovane Bruno Zevi e la soluzione gener il famosissimo Saper Vedere larchitettura. Al fondo, il dissidio su CAD e computer mi pare rinvii allaltro appena citato; solo che i termini della questione e il punto di applicazione richiesto per le nostre riflessioni odierne probabilmente un po diverso; a caldo non saprei: devo rifletterci. Di spunti per farlo, larticolo di Galvagni ne offre non pochi: non si pu non esprimere la gratitudine almeno di un commento gi solo per questa occasione di incertezza che ci offre. .
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2/10/2004
I computer -che amo e uso fin dall'era protostorica degli Apple II - aprono inedite possibilit nel plasmare forme-significani (= assiemi di spazio-materia) e non solo nuove libert-responsabilit per i progettisti ma, quel che pi conta, pi opzioni per gli utenti finali.
Mi lasciano perlesso alcune affermazioni di Eisenman: credo, invece, che stiamo vivendo un momento straordinario non solo per i capolavori che sta producendo ma anche per un potenziale -e non solo- innalzamento del livello 'medio' della produzione architettonica. E' ovvio: pi si fa, pi rischi ci sono anche in termini di formalismi ed eclettismi: ma vale la pena correrli.
Vorrei aggiungere una riflessione a margine: non mera apologetica sostenere che quasi nessuno conosceva Bilbao finch, dopo il Guggenheim e grazie ad esso, non divenuta meta di turismo internazionale. E' solo un esempio fra mille possibili.
L'Italia spende poco per l'architettura perch, appunto, contunua a considerarla un costo. Forse ora di cominciare a considerarla, invece, un investimento economico. E i fatti lo provano: la Guggenheim Foundation ha risanato i propri bilanci grazie all'operazione Bilbao. E il Museo di Gehry si ripagato in un solo anno di gestione di una fetta enorme del proprio costo di costruzione.
Un'operazione culturale fra le pi geniali paga anche in termini di ritorno economico; penso sia merito del genio di Gehry, ma gli strumenti inediti che la tecnologia gli offre hanno un ruolo notevole. Basti pensare che la produzione industriale, grazie ai computer, non pi necessariamente ripetitiva: e come i ferzi di una vela sono tutti differenti fra loro, ma tutti rigorosamente modellati e pilotati -in fase di taglio- dal computer, cos anche per le tessere di una copertura o di un pavimento.
Bilbao paga perch colpisce l'immaginario arricchendolo al modo proprio dell'architettura: posso viverla e percorrerne gli spazi. Perch la cultura, in fin dei conti, sono i cittadini: prima di essere nelle teste, diceva Benedetto Croce, le idee nuove sono nelle strade e nelle piazze. E non potrebbe essere altrimenti...
Cultura ed economia: Bilbao paga e rende perch incarna spazi inediti. E forse proprio questo aspetto meramente economico-finanziario dell'urbatettura dell'et informatica sarebbe il caso di rimarcarlo puntualmente, cifre alla mano, ai nostri amministratori.
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1/10/2004
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Vati e gag
di
Ugo Rosa
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Ha scritto Isabel Archer:
"Colgo loccasione, a proposito del progetto per lAra Pacis, per sottolineare che la ricostruzione del Porto di Ripetta costituisce la follia delle follie passatiste."
Giustissimo! Viene per spontaneo chiedere: perch, allora, non firmare -e soprattutto far conoscere e sottoscrivere anche ad altri, specie se non ancora lettori di Antithesi- l'appello a Veltroni in favore del progetto Meier?
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29/9/2004
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Vati e gag
di
Ugo Rosa
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In virt della permanenza del peggio avevo sempre pensato all'ineffabile S.V. come a 'il cicisbeo'. Vate-gag, devo dire, mi pare centratissimo: designa un pessimo e persistente costume nostrano, sempre in bilico fra vitellonismo culturale e frivolo presenzialismo salottiero, fra sagra paesana e ipertecnologia mediatica, in perenne attesa delle Verit rivelate dell'Ovvio.
Lo spaccio al pubblico-massa di gratificazioni a buon mercato, elette a rango di anticonformistico rigore, funziona ancora benissimo, in Italia. Purch abbia l'aria di voler cambiare tutto per salvare la sola cosa che, agli occhi di taluni, conta davvero: l'interminabile narco-vacanza del pensiero.
E l'autoparagone dell'ineffabile S.V. con Carmelo Bene la dice lunga: se il genio teatrale di Bene , oramai, silenzio, non pi problema, le spoglie del grande ben s'adattano all'ultimo grido in fatto di sniffate populiste. Del resto, 'memento: pulvis eris...'
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11/9/2004
Condivido quasi del tutto l'articolo di De Masi e i conseguenti commenti a favore dell'intervento di Niemeier a Ravello.
Sottolineerei con pi forza un fatto: lo sfondo scandaloso non solo l'abusivismo quanto la scarsissima qualit dell'architettura 'legale' che si produce quotidianamente in Italia. Certo, il TAR ha dato ragione ai ricorrenti, e il rispetto delle leggi l'unit di misura di un Paese civile: ma se le leggi sono pessime -e in Italia per lo pi, specie in materia urbanistica, lo sono- non occorre forse cambiarle ?
La 1150 vecchia e fu attuata, x la prima volta grazie alla 765 del '67, in un contesto disorganico e fortemente neo-corporativo: ben pi di quanto l'eredit del Ventennio non lasciasse sperare ai corporativisti + sfrenati di ogni risma e matrice: basti ricordare che dal Fascismo l'Italia eredit almeno 4 centi decisionali a livello di pianificazione urbana e territoriale e tutti scollegati fra loro: Min. Ll.Pp., Min. per la Pubblica Istruzione x la salvaguardia dei beni culturali e paesaggistici (L.1089, 1.6.1939), mentre il Ministero dell'Industria e quello dei Trasporti potevano a loro volta prendere decisioni fondamentali, quanto scoordinate e disorganiche, sulla grande infrastrutturazione nazionale.
L'Italia post-fascista non esordisce scardinando alla radice quel sistema, ma moltiplicandolo in modo indiscriminato e con una proliferazione spaventosa dei centri di decisione: Consorzi di sviluppo industriale che pianificano intere aree industriali, Enti provinciali del Turismo che pianificano interi insediamenti turistici ecc. Il boom edilizio ed economico succeduto allla ricostuzione post-bellica (che, giova ricordarlo, fu fatta non con gli strumenti urbanistici vigenti e inadeguat ma con una Legge speciale, la Ruini) vertebr il territorio italiano con una stragrande quantit di interventi fuori piano e di scala spesso considerevole.
Nonostante i molti meriti della Legge Ponte, va pur sempre ricordato -a suo demerito- che us una terminologia vaga ed imprecisa: ci rese necessarie precisazioni, definizioni, chiarificazioni che posero le basi per la tolleranza dell'abusivismo: esattamente con la Circolare esplicativa del Min. Ll.Pp. n. 3210 del 28.10.1967, che a mio parere apre le porte a tutti i possibili ed immaginabili condoni successivi quando (.art. 16, primo capoverso) testualmente afferma:
'E' prevista l'applicazione, in via amministrativa - nei casi in cui non si proceda alla restituzione in pristino od alla demolizione delle opere abusive - di una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o delle parti di opere eseguite abusivamente ovvero in base ad una licenza edilizia annullata per i motivi suindicati.
Tale sanzione considerata dalla legge come alternativa rispetto alla demolizione e quindi va applicata quando l'autorit non ritenga di esercitare il potere di demolizione...'
Il gioco fatto: in certe condizioni l'abuso edilizio pu essere un eccellente investimento!
Dissi oltre 20 anni fa, in un pubblico dibattito e a un Italia-Vostrista di spicco (se ben ricordo era tal Fulco Pratesi) che ritenevo Italia Loro e l'ambientalismo italico di maniera responsabili di oltre 500.000 vani abusivi a Roma, gestiti poi dalla mafia, in quanto le suddette associazioni chiedevano a gran voce non l'attuazione del Piano di Piccinato del '62 ma il blocco edilizio integrale per Roma: col risultato che mentre la nuova imprenditoria, ormai fattta in prevalenza da professionisti, si vedeva osteggiata e demoralizzata proprio quando chiedeva l'attuazione di quel Piano, l'abusivismo si fregava le mani!
Ah, beata ignoranza ed irresponsabile incoscienza di questo Paese! Non mi sorprende la posizione di Italia Nostra, ma forse matura l'ora per domandarsi come si sia venuta formando, storicamente, questa strana, strettissima e perversa complicit di fatto fra cattiva legalit (ovvero rispetto rigorosissimo di pessime leggi, tanto pi rigoroso quanto pi cattivi ne sono gli effetti) e atteggiamenti culturalmente retrivi ed oscurantisti.
Confesso di non saper rispondere tanto facilmente: ma ho il sospetto che la risposta a questo interrogativo potrebbe davvero aprire una breccia forte, sul piano delle leggi e della cultura, per un'auspicabile e improcrastinabile rivoluzione urbatettonica nel nostro Paese.
G.C.
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