11 commenti di Vito corte
31/10/2016 - Sandro Lazier risponde a Vito corte
Sui costi.
Pare che Fallingwater di F.L. Wright sia costata 5 volte quanto preventivato. Le varianti in opera non si contarono. Wright sperimentava, faceva facendo, che secondo me lunico modo possibile per portare a termine opere di complessit elevata. Giustamente un edificio pubblico deve dar conto dei costi ma, telo dico per esperienza, senza modifiche in corso dopera, limature e affinamenti il risultato non mai di alto livello. Solo opere banali e ripetitive possono essere definite completamente a priori, e spesso sono la gioia dei costruttori.
Altra cosa sono le ruberie e il malaffare. Ma l larchitettura non centra nulla.
Sul linguaggio.
Ci sono due aspetti che non possono pi essere tralasciati nel linguaggio artistico contemporaneo.
Il primo riguarda il rapporto nuovo/vecchio. Noi abbiamo vissuto per secoli nella convinzione che il nuovo dovesse sostituire interamente il vecchio. Un vero processo di sostituzione storica. Da ragazzino immaginavo che negli anni duemila ci fossero solo grattacieli di vetro e strade sospese in aria.
Ma non accaduto cos. Lavvento della rete informatica, il web, ci ha invece fatto capire che il nuovo non sostituisce il vecchio, ma si somma ad esso. Come nel web, le informazioni sono sempre presenti. Basta richiamarle in vita quando servono. La portata di questa novit straordinaria perch, nel caso dellarchitettura (occidentale) recupera tremila anni di storia conosciuta e li riattualizza.
Questo concetto, malamente interpretato dal movimento postmoderno che ha pensato di fare il nuovo pescando nel vecchio, come se tutto non cambiasse mai, ha liberato i progetti da quella che un tempo era definita coerenza: lo stile, l-ismo. Il fatto di utilizzare concetti arcaici come il trilite (peraltro qui realizzato ad una scala inimmaginabile nellantichit) non pu pi porre pregiudizio alla attualit dellopera.
La scelta di una struttura regolare per il contenitore parte del risultato scenico del contenuto.
Il secondo aspetto riguerda luso dei materiali. I materiali sono come le parole e in architettura non esistono parole nuove, vecchie, brutte, cattive. La novit o la vecchiaia, la virt o la volgarit dipendono esclusivamente dalle frasi che si compongono, da come si mettono insieme le parole. Proprio Gehry ce lo ha insegnato.
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13616
di Vito corte
del 10/05/2015
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Il padiglione italiano di Expo 2015
di
Sandro Lazier
Sono sostanzialmente d'accordo anche se mi riservo di andare e verificare sul posto. Le foto spesso ingannano (ma ancor pi spesso ingannano a favore dell'opera...).
Aggiungo che siamo al punto che dire queste cose, che non da male a nessuno e anzi farebbe bene a molti, suona stonato mentre fare 'ooooh' ammirati davanti a opere siffatte (e siffatte storie che stanno dietro queste opere) fa star nella cerchia della tendenza. Nel giro.
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7967
di vito corte
del 26/03/2010
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Il 'particulare' di La Maddalena
di
Paolo G.L. Ferrara
Mi chiedo se partecipare al dibattito alimentato, tra gli altri, da Paolo Ferrara.
Ma si, mi dico: forse quel che ho da dire pu interessare qualcuno, magari pu ulteriormente arricchire la discussione.
Ebbene, lo faccio. Ma so che mi far male. Male ricordare raccontando quel che dir e male verificare certe realt.
Ero laureato da poco: quindi ventitre anni fa. Il parroco di un paese vicino a dove abito convince tutti che mi si poteva affidare lincarico per la ricostruzione della loro chiesetta parrocchiale.
Figurate quanta passione, quanto impegno, quanto studio, quanta attenzione ho riversato in quel mio primo e, per me, importantissimo lavoro! Una chiesa!
Ebbene, approvato il progetto si passa alla esecuzione. E l il biglietto da visita.
Vado scoprendo, giorno dopo giorno, che vi era tutto un sistema che ruotava attorno a quellappalto. Non gliene importava nulla che fosse una chiesa, unopera pubblica: quello che muoveva tutto era il finanziamento statale.
Limpresa si avvale della consulenza di un luminare della scienza delle costruzioni: diamine, era stato anche mio professore, figurarsi se ero intimidito, ero molto intimidito da lui!
Questi mi rassicura con un buffetto sulla guancia prospettando, al primo giorno di cantiere, di modificare il sistema delle strutture in fondazione (tutti i calcoli erano stati regolarmente approvati) per realizzarne, in variante, un altro su pali. Alla mia timidissima replica che cos facendo non saremmo riusciti a completare lopera quello mi d un altro buffetto, ancora pi confidenziale e, rivolgendosi a me come si fa con lultimo dei cretini mi dice e chi ha mai detto che dobbiamo completare la chiesa? Intanto utilizziamo tutto il finanziamento disponibile per fare i cementi armati
Mi cominci a crollare il mondo intorno. Cercavo conforto nei cosiddetti rappresentanti istituzionali mache dire: mi sentivo un po guardato storto. Immagino i loro pensieri: ma che cazzo vuole questo ragazzino, cos tutto preso dalla minchiata dellarchitettura e dellopera darte? Si fatto sempre cos e sempre cos faremofigurati se adesso arriva un pivello e si illude che il meccanismo possa ruotare al contrario.
Comincia quella che piano piano diventa una guerra di posizioni: in cantiere, negli uffici. Perfino al bar del paese mi indicavano come quello che aveva sbagliato tutto il progetto, che dovevo rifare tutto, che sarei stato cancellato dallalbo.Ecco, era finita cos. Io avevo sbagliato tutto, io ero il cattivo e quindi i buoni, per salvare lopera, per assistere la comunit eccetera, adesso facevano in modo di richiedere allo Stato un ulteriore (ed esorbitante finanziamento) per completare la stessa opera di prima.
La ciliegina sulla torta fu una bella perizia di variante che mi si recapit bella ed impacchettata: avrei dovuto solo firmarla e tutto sarebbe stato perfetto, tutto sarebbe tornato a posto.
Come mi stato detto se avesse firmato quella perizia di variante tutti lavrebbero portata in palmo di mano: adesso che non ha voluto firmare, cosa ha ottenuto, architetto? Tutti la odiano e la giudicano responsabile dei ritardi, della incompiuta. E si aspetti pure che un giorno spunti un pentito e racconti che magari si intascato dei soldi di qualcuno!!!
Architetto mi dicevano ha sbagliato!
E me lo dicevano con la stessa aria supponente del mio ex professore di universit che adesso taroccava i calcoli strutturali per limpresa.
Quanti dannati giorni di lavoro per verificare che, invece, le mie contabilit di cantiere erano giuste, che i calcoli andavano bene, che quella stramaledetta chiesa si poteva costruire utilizzando il mio progetto, non facendo perizie di variante e senza chiedere altri finanziamenti
A che cazzo servito tutto questo? A me, forse, ma a che prezzo! Anni di terribile stress, di umiliazioni e di preoccupazioni. Alla gente? Ma per niente! Qualcuno, molto in alto, un giorno mi rimprover dicendomi che per colpa del mio orgoglio ho privato per anni una comunit della sua chiesetta! E che diamine, mica erano miei i soldi della perizia di variante che avrei dovuto sottoscrivere! E se poi erano pure stanziati, che bisogno cera di fare tanto il santarellino?
Chiudo questo racconto perch ancora a distanza di anni mi fa male ricordare e pensare, per altro, che la storia non finita ( e nemmeno so come finir).
Ho pensato che potesse essere pertinente al dibattito, ma lascio a chi legge di decidere.
Non rileggo quel che ho scritto di getto: corro il rischio di un testo scorretto e sgrammaticato piuttosto che cedere alla tentazione di non inviarlo.
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6661
di vito corte
del 02/01/2009
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Caso Casamonti
di
La Redazione
In appedice a quanto gi scritto prima, una riflessione per la Redazione di AntHesi: siete sicuri che si poteva pubblicare il provvedimeno giudiziario di Custodia Cautelare?
2/1/2009 - Sandro Lazier risponde a vito corte
Noi non abbiamo pubblicato l'ordinanza. Ne abbiamo segnalato la presenza su un altro portale. Detto questo, se vuole fare riferimento al segreto istruttorio al quale il documento dovrebbe essere soggetto, personalmente ritengo che la rilevanza dei fatti - incostestabili - sia tale che non esserne a conoscenza sia colpa ben pi grave e dannosa.
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6660
di vito corte
del 02/01/2009
relativo all'articolo
Caso Casamonti
di
La Redazione
Da giorni rimugino su questo fatto e mi chiedo CHE fare, CHE dire, COME dire.
La triplice questione dubitativa riguarda esclusivamente il mio triplice essere architetto, oggi, in Italia. Ovvero: fare e dire qualcosa da architetto professionista che sopravvive esclusivamente del suo appassionato e ingrato lavoro? Fare e dire qualcosa da presidente di un Ordine che, da anni, cerca di lavorare bene per i colleghi e contro lobbies e potentati, contro tutti i tipi di mafia? Fare e dire qualcosa da stagionato professore a contratto in una Universit che non ti vuole, mentre invece ti reclamano gli studenti (perch fanno il confronto)?
Boh, non so bene cosa uscir da questo discorso: non l'ho preparato prima di farlo uscire dai tasti del PC. Vedremo alla fine se sar utile. In ogni caso sono convinto che sia opportuno.
L'opportunit discende dalla visibilit, dalla credibilit e dalla coerenza con cui si cercato, finora, di compendiare queste tre componenti dell'essere architetto, oggi, in Italia.
Potrei dire "lo sapevo che prima o poi sarebbe finita cos". E in un eccesso di grilloparlantismo ricordare che proprio lo scorso 26 novembre, unico Ordine professionale fino a questo momento, abbiamo promosso a Trapani la presentazione scomodissima del libro di Nino Amadore "la zona grigia: professionisti a servizio della mafia". Scomodissima perch, insieme con medici, notai, avvocati, commercialisti e ingegneri, noi architetti siamo chiamati in causa visto che molteplici atti giudiziari provano il fatto che nell'esercizio professionale molti di noi fiancheggiano la criminalit organizzata. Scomodissima discussione ospitata da un Ordine perch il libro si chiede come mai le risposte istituzionali degli organismi di rappresentanza, ovvero gli Ordini, sono finora state molto blande e protezionistiche.
Da quell'occasione scaturita una delibera del mio Consiglio che prevede un correttivo alle vigenti norme deontologiche: il collega appena raggiunto da avviso di garanzia sar sottoposto a verifica disciplinare. Altro che sentenza definitiva o arresto, cos come finora normato! E' un piccolo segnale, ma un segnale insieme ad altri. Altri segnali sono quelli di costituire e fare funzionare un'Associazione Antiracket, oppure un Tavolo con gli organi inquirenti e di repressione per il controllo del lavoro nero e la sicurezza e anche per vigilare sulla tracciabilit dei finanziamenti pubblici.
In questi anni di attivit rivolta verso tali direzioni abbiamo tuttavia registrato incomprensioni da parte degli stessi professionisti ("ma come, l'Ordine non dovrebbe difenderci, e invece ci persegue?") , atteggiamenti di sufficienza da parte di istituzioni ed organi periferici locali, che fanno resistenze ed ostracismi: i Comuni, gli Uffici, i funzionari pubblici.
L'Universit. Quando mai da questa istituzione venuta, in tempi recenti, una seria ed effettiva collaborazione con le componenti attive e produttive del sapere e del fare architettonico in Italia? Gli arroccamenti su posizioni di incontrovertibile e anacronistico vantaggio di una oligarchia che gestisce con feudale autonomia le prospettive di sviluppo di un intero Paese sono solo scalfite dai piccoli scandali che qua e l punteggiano gli atenei.
Di fatto la medesima conduzione del Principio dell'Accomodamento ha albergato (con grandi profitti concentrati su pochi) in quasi tutti gli organismi di gestione di potere: politico, economico, culturale, elettorale. Il Politicante italiano diventa un Replicante delle italiche virt dell'arrangiarsi creativo applicate ai diversi campi: e di solito arrangiarsi in Italia vuol dire farsi furbi, organizzarsi, galleggiare sulle spalle di altri.
Eppure proprio noi architetti avremmo molte pi capacit di altri nel trovare adeguati spazi di gratificazione professionale: la nostra formazione stessa ci rende pi duttili nell'adeguarsi alle domande del mercato, pi intuitivi nel cogliere aspettative degli interlocutori, pi abili nel dare forma compiuta a molteplicit di desideri e speranze.
Ma a quanti, in realt, questa nostra italietta ricucciana offre la possibilit di applicare, sperimentare, esercitare il Mestiere dell'Architetto? Per intenderci, quel mestiere che ci fa battere il cuore quando riempiamo il foglio bianco o vediamo tirare su il primo muro? Mi dispiace per Casamonti e per i suoi amici: auguro loro di poter dimostrare che le cose che li riguardano non stanno cos come le abbiamo lette sui giornali.
Mi dispiace pure che per scoperchiare questo pentolone messo a bollire dall'Alta Cucina dell'Intelleghenzia Politichese Italiana sia stato necessario trarre in arresto delle persone.
Per, e scusatemi per il machiavellismo, potrei anche essere grato a queste persone se da questa triste vicenda potr finalmente partire un profondo, radicale, sostanziale, partecipato e condiviso processo di riforma di tutto quanto ha a che fare con l'universit, i lavori pubblici
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6504
di vito corte
del 04/11/2008
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Erice. Il progetto nuovo per la citt antica
di
Vito Corte
Rispondo brevemente a Renzo Marrucci:
giusto tutto (tranne che io non mi senta propriamente un "articolista").
Giusto e condivisibile.
Se Marrucci avesse potuto verificare i progetti cui facevo cenno forse anche lui avrebbe condiviso che non faccio appello ad alcuna "retorica intemperante asserzione e complicit culturale".
Se la redazione potesse darne la possibilit, si potrebbe ospitare entro qualche spazio alcuni dei progetti per quell'area cui mi riferisco: quindi parlarne con cognizione, piuttosto che per dichiarazioni di principio.
Quelli definiti scempi dell'architettura moderna non mi sembra che alberghino tra le ipotesi di sperimentazione progettuale che sollecito si facciano ad Erice.
Ma sarebbe molto interessante discuterne insieme.
Grazie comunque per l'ospitalit
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5516
di vito corte
del 09/09/2007
relativo all'articolo
Fuochi d'Italia
di
Leandro Janni
Caro Leandro, sono uno degli imbecilli (come tu li hai definiti) ex assistenti di Pasquale Culotta. (Ma questa un'altra storia, e non mi importa entrarci).
Sul tema da te sollevato, con efficace opportunit, circa la refluenza territoriale e paesaggistica delle azioni vandaliche perpetrate dagli incendiari vorrei aggiungere solo una breve riflessione.
Anzi si tratta di qualcosa che prendo in prestito non gi dalla nostra disciplina, quanto piuttosto dalla medicina o - meglio- dalla bioetica. Quindi - per una volta- non parler architettese.
Mi pare di avere capito che questa benedetta bioetica ha lo scopo di "migliorare" la specie umana, senza preoccuparsi di remore che potrebbero venire da dogmatismi religiosi o metafisici. Ebbene, il ragionamento morale della bioetica ruota attorno a quatro principi etici che dovrebbero guidare i medici nell'esercizio della loro professione. Sono i principi della "autonomia", della "non maleficenza", della "beneficenza" e della "giustizia". (cfr. T.Beauchamps e J.Childress 'Principles of biomedical ethics' 1979)
Con l'"autonomia" ci si occupa della salvaguardia della persona e della sua libert di decisione, al di l di condizionamenti di ogni tipo (ideologico, politico, religioso, economico ecc.)
La "non maleficenza" impone di evitare danni alle persone: condanna l'incompetenza e la negligenza.
La "beneficenza" obbliga genericamente a fare il bane: generalizzando si tratta di vincere la malattia e la morte.
La "giustizia" infine mira ad assicurare medesime condizioni di trattamento a tutte le persone.: si tratta di un principio che tutela i poveri ed i deboli ed elimina i privilegi dei pochi.
Tutti questi quattro Principi sono coerenti con la generale idea di miglioramento della vita e, sotto questo profilo, andrebbero considerati come strumenti utili e necessari per superare gli steccati culturali, politici, ecc.
Che c'entra tutto questo con gli incendi dolosi che divorano i nostri boschi, le campagne, le colline?
Secondo me c'entra perch ancora non si spiegato fino a che punto la distruzione di un ecosistema locale (la pineta vicino casa) possa determinare effetti sulla qualit della vita ( e non mi riferisco certo solamente ai fattori fisico climatologico ambientali, ma specie ai fattori di economia globale).
E' il momento che anche noi architetti, scordandoci quelle tipiche onanistiche condizioni di godimento nel discettare di minchiate, assumiamo come principi etici del nostro lavoro certi argomenti cos come i medici che si occupano di genetica : insomma che ci rendiamo conto che il trascorso XX secolo avendo gi abbandonato la vecchia tendenza delle grandi e generali etiche ha invece orientato i propri interessi verso singoli campi dell'esistenza. Quindi, la relativizzazione della vita - che in atto- , smettendo la pretesa di gestire la globalit del mondo, ha una ragionevole speranza di mettere ordine in alcuni tra i temi di maggiore importanza: ed alcuni tra questi possono essere sviluppati anche da noi architetti. Che gli architetti, allora, si offrano di studiare per dare risposte agli urgenti problemi delle megalopoli, ad esempio. Ed il loro compito, come quello dei medici, sia quello di eliminare il dolore, la miseria, la morte, la diseguaglianza.
Velleitario?
Certo. Ma meglio che inutile.
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1405
di Vito Corte
del 17/09/2006
relativo all'articolo
Cinque Piazze per Catania. Appello dell'In/Arch Si
di
Franco Porto
Sottoscrivo il documento di Inarch Sicilia e Franco Porto.
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1401
di Vito Corte
del 14/09/2006
relativo all'articolo
S.O.S. Castellana Sicula
di
Marcello Panzarella
Condivido il disagio amaro di Panzarella, ma non mi sorprendo affatto. C' chi vuole demolire , c' chi non vuole portare a compimento e chi non vuole mantenere le opere di architettura del nostro Paese.
Per il poco che servir, ho aderito all'invito ed ho inoltrato la mail (con qualche modifica alla traccia suggerita) agli indirizzi indicati.
Grazie comunqueper l'azione di vigilanza., a nome di tutti gli architetti che scelgono di sporcarsi le mani col cantiere a costo di sacrifici e pubblici ludibri, pur di godere del bello di fare l'architetto.
Mi sento meno solo. (so che c' qualcuno che vigila su quello che vo costruendo...)
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997
di vito Corte
del 01/12/2005
relativo all'articolo
Noi, pesciolini rossi, meglio delle cernie
di
Paolo G.L. Ferrara
Da qualche tempo leggo le problematiche sollevate da questo Giornale in occasione del rinnovo degi consigli degli ordini: sono un presidente di ordine dal '94 (!); recentemente riconfermato con un inquietante consenso da parte dei colleghi. (Perch inquietante: ancora mi chiedo se non gliene frega niente oppure i miei colleghi-elettori sono davvero soddisfatti di come li ho finora rappresentati). Tuttavia non voglio subito prendere le difese d'ufficio e di conseguenza arroccarmi su una controffensiva che dichiari a priori la giustezza delle ragioni di chi sta negli ordini (a servizio dei colleghi, dovrebbe essere...). Vorrei riflettere e far sedimentare questa sollecitazione di critica e di polemica contro certi modi di prestare servizio nell'ordine perch ho impressione che molte rivendicazioni siano fondate e meritevoli di essere prese in seria considerazione, a prescindere dagli esiti elettorali (chi fuori dagli ordini, infatti, non pu immaginare quale capacit aggregativa possa tradurre in termini di consensi elettorali l'attuale meccanismo elettorale, pur se recentemente rinnovato). Se questo giornale lo riterr opportuno, allora, vorrei dare un contributo organico al dibattito, sforzandomi di essere equlibrato, concreto e, al contempo, sufficientemente idealista per immaginare come si potrebbe cambiare un sistema che, obiettivamente, deve essere revisionato.
E' bella/brutta l'immagine che Paolo restituisce degli architetti/pesci rossi. Anch'io, nonostante le apparenti circostanze, mi sento pesce rosso cos per come lo immagina Paolo, per dico che questo suo ragionamento applicato ad una parte di noi architetti vale anche per una parte di noi cittadini (penso che anche lui volesse dire questo, citando Danilo Dolci). Credo che dobbiamo sforzarci di capire quali strumenti utilizzare per una migliore e diversa partecipazione, agli ordini come ai consigli comunali.
per , ripeto, non ho ancora le idee chiare: vorrei prendermi un p di tempo, perch l'argomento merita.
V.C.
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959
di Vito Corte
del 22/09/2005
relativo all'articolo
Il professore protesta
di
Ugo Rosa
Al solito Ugo ricama con raffinato e leggiadro pizzo letterario una veste gi di suo importante e preziosa.
Andando al sodo del problema, l'argomento dell'"appello dei 35" senza dubbio meritevole di dibattito: ma purtroppo la circostanza a me risulta perfettamente in linea con tutto quanto sta succedendo nel nostro Paese.
La presa di distanza del documento settembrino da quel modo di concepire il rapporto tra architettura e citt, tra didattica e ricerca, tra tradizione e innovazione, e che stato proprio degli ultimi propagandistici anni in questa nostra Italia senza che nessuno di fatto abbia sollevato concrete obiezioni fino a quel momento (mentre si continuava liberamente a becchettare il mangime ancora residuo nelle aie milanesi cos come in quelle siciliane) mi pare che assomigli molto a quel camaleontismo che sta caratterizzando questi utlimi mesi di "fuga dalla nave".
Tutto questo piuttosto triste, ma spero vogliate riconoscere che fa parte del patrimonio genetico nazionale: una sorta di istinto di sopravvivenza, utile per chi ce l'ha particolarmente sviluppato anche se non certo improntato ai principi della correttezza e del rigore.
Con questo difetto, in ogni caso, non potremo assicurare un progresso diffuso e condiviso n alla popolazione degli architetti n a nessun altro italiano.
Giusta la critica di Ugo e tutte quelle che le si accomunano, ma una considerazione dura va fatta: ormai il timer partito e i pi pronti, i pi furbi, i pi adattabili, sono gi partiti. Sicuramente sono quelli che torneranno ad avere ruoli primari nel teatrino nazionale.
Molti di quelli che oggi si dicono incavolati e scandalizzati dell'attuale cambiocasacchismo non hanno fatto molto prima e, se l'hanno fatto, lo hanno fatto troppo sommessamente. Alcuni di quelli che si scandalizzano per il comportamento degli altri lo fanno perch non riescono o non sono riusciti ad avere (anche alle stesse condizioni) quanto altri hanno ottenuto (la fiaba della volpe e dell'uva di Esopo ...) Proprio a quelli che, autoincensati di un'aura di sacrale integrit, si crogiolano nel dispregio delle cose della vita di tutti i giorni (che una vita di mediazionie di equilibri, non di posizioni assolute), vorrei dire che continuando cos non si sposta niente.
Avremo sempre da un lato i pi veloci e i pi furbi che sperimenteranno e realizzeranno architettura e dall'altro quelli che diranno che, in fondo, non gliene importava nulla.
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Commento 14414 di Vito corte
del 31/10/2016
relativo all'articolo Il progetto di Fuksas per il Centro Congressi Ital
di Sandro Lazier
Rispetto le considerazioni di Sandro Lazier e ne condivido la critica specialmente per il modo in cui essa formulata: offrendo cio gli argomenti di verifica, grazie ad una sufficientemente completa rassegna di documenti tecnici (il progetto architettonico allegato, purch in scala 1:200, consente di supportare oggettivamente molte riflessioni).
Vorrei tuttavia, se possibile, formulare le mie riflessioni. Esse sostanzialmente si concentrano su due aspetti.
Il primo quello dei costi.
D'accordo sulla necessit/inevitabilit che una grande opera significativa per la Nazione necessariamente deve essere una opera impegnativa sotto il profilo dei costi necessari per realizzarla.
Ma i costi devono essere ben preventivati, specie quando non si tratti di una bazzecola.
Immagino, anche perch io stesso vittima incolpevole di un sistema burocratico amministrativo e politico italiano che definire inaffidabile solo eufemismo, che le condizioni al contorno abbiano determinato un progressivo incremento dei costi ma vi sono alcuni elementi che nella forma e nella sostanza a me non "suonano" a favore dell'opera. Leggere infatti che nel corso dei lavori sono state effettuate ben dieci perizie di variante e suppletive, leggere che esiste tuttora un rilevantissimo contenzioso con l'impresa esecutrice e che ancora le corposissime riserve da essa formalizzate (ammontanti a milioni di euro) non sono state ancora risolte, mi porta ad esprimermi non pi solo da architetto amante ed appassionato dell'architettura e del mestiere. Sono consapevole che questa posizione si presta ad essere sbrigativamente collocata nella categoria del professionismo puro, ma non il professionismo a farmi esprimere cos: invece un'esperienza ormai lunga di un mestiere che amo pi di ogni altro ma che vede sempre pi svuotato di contenuti. C' un impegno civile ed etico, insieme a quello creativo e tecnico, che muoverebbe l'architetto di un'opera - specie se pubblica- informando i suoi atteggiamenti verso la misura ed il rigore. E qua, sono i documenti a dirlo, non c' stata misura n rigore.
Altro aspetto critico quello del linguaggio.
Esso pi pertinente alla disciplina del progetto: quando il passaggio di scala dal concept disegnato a mano al disegno esecutivo rimarca evidenti soluzioni di continuit allora credo che ci sia qualche problema.
Spiegandomi meglio: fintantoch l'opera architettonica, nel suo tentativo "artistico" di staccarsi dal figurativo per avvicinarsi al concettuale sar costretta a prendere forma con materiali e soluzioni costruttive tradizionali, allora vorr dire che il tentativo non sar del tutto riuscito.
Quando cio - e il caso in esame accomuna questa opera con molte altre di altri grandi architetti, tra cui F.O. Gehry - il "sistema intelaiato" costituito da membrature metalliche continua ad essere sempre uguale al trilite arcaico, pur nelle modulazioni e deformazioni del caso, non potr dirsi, a mio parere, che si sia fatto un significativo passo avanti.
Se l'opera concepita in tutto o in parte come risultato espressionista (e qua mi riferisco proprio alla nostra storia dell'architettura moderna che ha prodotto veri avanzamenti in tale direzione) allora che sia coerente in tutti i suoi passaggi e che non affidi, invece, al cartongesso la risoluzione della finitura superficiale ad occultare buona parte dei processi costruttivi.
Spero che queste mie considerazioni possano essere accettate e che si possa ulteriormente discutere sull'argomento.