La confusione delle forme nelle scuole di architettura
di Sandro Lazier
- 22/12/2011
Parlare di forme, in architettura,
annuncia sempre qualche sventura dialettica. La forma, infatti, argomento
difficile e scivoloso, che si preferisce spesso lasciare alla dipendenza da qualcosa
daltro che gli architetti giudicano molto pi degno della loro considerazione.
Forma, poi, un termine decisamente ambiguo. Essere formali, per esempio
a tavola, significa sottostare ad un protocollo e a regole precise; esser formali,
in architettura, significa invece non aver regole e lasciare spazio esclusivamente
alla vanagloria dei propri sconsiderati pensieri.
La forma, quindi, argomento che, se si vuole proporre come occasione
di discussione, ha necessit di un atteggiamento prudente e particolarmente
attento.
Conviene allora partire dalla sua natura primitiva, filologica, e dalla sua
relazione con un altro termine che il senso comune usa in competizione col nostro:
sostanza. Forma e sostanza, se apparentemente vivono nellimmaginario
un perenne conflitto ideale, in realt, per la semiotica, sono argomenti
inseparabili di una stessa costruzione espressiva.
E qui occorre essere molto precisi. Qualsiasi segno, che sempre qualcosa
che sta per qualcosaltro, una relazione (o funzione) fra espressione/contenuto,
e sia espressione che contenuto hanno una forma (esiste una forma dellespressione
e una forma del contenuto) e una sostanza (sostanza dellespressione e
sostanza del contenuto).
In ambedue i casi la sostanza ricavata (mediante lintervento
di una forma) da una materia (amorfa, ovvero pre-semiotica).
Costretti a convivere nella stessa casa, forma e sostanza tendono quindi a litigare
continuamente rivendicando la preminenza delluno sullaltra. Ma
luna non pu vivere in assenza dellaltra. Allinterno
della comunicazione, infatti, se la forma ne costituisce il mezzo espressivo,
la sostanza ne il fine. La loro concorrenza necessaria, tanto
che la sparizione delluna o dellaltra, paradossalmente, converte
la seconda nella prima o viceversa.
Un esempio pu chiarire quanto ho appena detto. Se osserviamo il periodo
pittorico che va sotto il nome di informale che letteralmente
vuol dire senza forma possiamo fare la seguente riflessione.
Lassenza di una forma nota non produce la scomparsa della sostanza: tela
e colori su di essa, anche se non raffigurano nulla, ci sono eccome! Inoltre,
lassenza di una forma nota, non produce inevitabilmente la sparizione
della stessa, perch la sostanza medesima che a questo punto
si d forma. Forma e sostanza, in questo caso, diventano la stessa cosa.
Se manca qualcosa nellanalisi di unopera informale, questa
la rappresentazione di qualcosa che ci noto. Manca la messa in scena
di ci che gi conosciamo. Manca la finzione di una realt
apparente. La morale di questo esempio che, quindi, noi contrapponiamo
forma e sostanza solo in presenza di una figurazione semantica, di una falsificazione
della realt apparente; mentre, nella realt ontologica, autentica,
originale, questa distinzione svanisce del tutto.
Solo la mistificazione, quindi, ci fa distinguere tra forma e sostanza. Mistificazione
che diventata dominio di quasi tutta lespressione artistica
degli ultimi decenni, a partire dalla met del secolo scorso.
Questa considerazione, peraltro, ci fa comprendere quale distanza si sia creata
tra le due anime principali che hanno destinato le correnti artistiche contemporanee.
La prima connessa ad una concezione moderna di verit, legata
alla forma del contenuto, che ricerca lautenticit nella scrittura
e nel privilegio di questa desser traccia indelebile della nostra reale
presenza. Ad essa fanno riferimento movimenti che, a partire dallinformale
e dallarte povera, sfociano nel decostruttivismo attuale, il cui merito
pi importante daver rimesso la scrittura al centro della
riflessione contemporanea.
La seconda anima quella concettuale, che da Duchamp in poi ha condotto
lespressione artistica verso la rappresentazione teatrale, annichilendo
qualsiasi impronta personale in omaggio ad un pensiero, quello postmoderno,
che tra le sue ragioni principali accoglie la rinuncia meditata duna
verit oggettiva e quindi oggettivabile e ricercabile mediante la scrittura
personale.
Laccento performativo di quasi tutte le esperienze artistiche
contemporanee pretende daver neutralizzato il segno personale, nel senso
della forma del contenuto, per giungere direttamente al significato, alla sostanza
del contenuto. Pretende, in pratica, daver espresso un significato in
totale indipendenza di forma. Ma non cos. Come sostiene Jean
Baudrillard, praticamente impossibile sbarazzarsi del cadavere del
mondo. Anche la pi neutra delle messe in scena tradisce la mano del
suo autore e questo contagio formale, questa traccia personale che fatalmente
siamo costretti a lasciare, compromette nelle fondamenta la teoria unicamente
concettuale dellarte.
Le cose darte stanno quindi mutando e, se da un lato occorre assistere
ad una triste bench consistente regressione nel classicismo figurativo,
dallaltro non mancano i segni di un nuovo ed autentico rinnovamento formale.
Un ultimo aspetto della forma riguarda la sua dimensione liturgica. Relativamente
alla rappresentazione, la liturgia ci che discrimina moralmente
un evento. A ben vedere, la pratica pagana di cibarsi dei propri simili per
assimilarne le virt, nella religione cattolica ha raggiunto livelli
di estrema raffinatezza espressiva, segno di sublime moralit, grazie
alla liturgia presente nella rappresentazione della Santa Messa. In questo caso
la forma (del contenuto), quindi la liturgia, riscatta ed esalta eticamente
una sostanza disdicevole. La forma ha quindi questa grande qualit, e
contemporaneamente responsabilit, di affrancare lumanit
da una condanna che, sulla base dei soli contenuti riferibili ai comportamenti,
parrebbe inevitabile. Questa cosa bene la conoscono i potenti di tutti i tempi
che sempre si sono circondati di artisti e di opere darte.
Ora, data questa robusta premessa, possiamo affrontare il problema della confusione
delle forme nelle scuole di architettura.
Dir subito che tale confusione, per me, non ha unaccezione totalmente
negativa. Anzi, la forma, proprio per la sua facolt di svelare la mistificazione
semplicemente rivelandosi, consegna proprio alla sua evidenza la chiave critica
per mettere alla prova le teorie che le scuole sono tenute a formulare per dovere
pedagogico.
Credo che tutti noi, in passato, negli anni degli studi universitari, abbiamo
fatto lesperienza di sottoporre un progetto al professore di turno. Tutti
noi abbiamo cercato di giustificare le cose che proponevamo ricorrendo al senso
e al significato delle nostre formulazioni. Mai, per incoscienza o per semplice
vigliaccheria, abbiamo difeso il nostro lavoro semplicemente appoggiandone i
requisiti solo formali, sebbene questi avessero ispirato principalmente il nostro
progetto e solo questi avessero la possibilit di rappresentarci nel
modo pi autentico e sincero.
So di sollevare parecchie reazioni critiche per quanto ho appena affermato,
ma sarebbe ingiusto tacere. In giovent si affascinati dalle
forme prima che dai contenuti e solo ascoltando con attenzione leloquenza
formale degli studenti si ha la possibilit di coglierne per intero doti,
capacit e determinazione.
Orbene, sapendo quanta rilevanza ha la forma nel qualificare eticamente gli
eventi, gli insegnanti di tutte le scuole dovrebbero riflettere sullimportanza
della sua testimonianza.
Invece, nella maggioranza dei corsi di progettazione delle universit
italiane, si continuano a produrre teorie nelle quali lavversione, a
volte anche violenta, per la libera forma e le novit formali prodotte
dalle esperienze architettoniche pi coraggiose e attuali sostenuta
da un confuso, questo s, corteo ideologico che va dal Darwinismo alla
linguistica generale di De Saussure, fino allo strutturalismo, passando per
tutti gli storicismi possibili e immaginabili. Senza parlare di tipi e tipologie
che ricordano pi le esperienze lombrosiane della fine dellottocento
che un serio trattato darchitettura. Le ragione di un tale accanimento
stanno nel sistema che governa la professione in Italia. Richiedendo, questa,
uniscrizione obbligatoria per poter essere praticata, pretende, da parte
di chi questa iscrizione ottiene, desser formato con un minimo di oggettivit
capace di determinarne lautorevolezza sociale. Richiede una sorta di
verit di Stato che risulti legittimamente essere pi vera delle
tutte le altre concorrenti, a tutela del bene collettivo e anche del proprio
privilegio.
Questa condizione, che impone un protocollo e delle regole, costringe larchitettura
allinterno di un mondo disciplinato, favorendo la disapprovazione di
ogni possibile autonomia e libert creativa. Quando, con Paolo Ferrara,
abbiamo creato questo giornale, che si chiama antiTHeSi non
a caso, ci siamo prefissi uno scopo molto semplice e chiaro: produrre uno strumento
critico per dimostrare che in architettura non esistono verit incontrovertibili
e discipline privilegiate, ma semplicemente delle opinioni che, per dirla popperianamente,
al contrario delle teorie scientifiche, non sono assolutamente falsificabili.
Concludo quindi con un invito, a professori e studenti in particolare, a separare
il giudizio sui progetti darchitettura. Se da un lato occorre pretendere
una ferrea e rigorosa disciplina tecnica, dallaltro occorre favorire
la massima libert creativa. La qualit, anche in architettura,
si ottiene per libera competizione e non certamente per censura ideologica.
Relazione presentata al Convegno La cultura della citt
organizzato da Valeria Scandellari a Bocca di Magra (La Spezia) il 21 ottobre
2011, di cui mi riservo di pubblicare in seguito un articolato di tutti gli interventi
pervenuti.
(Sandro Lazier
- 22/12/2011)
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Commento 10945 di paolo giordano del 22/12/2011
Gentile Sandro Lazier,
la questione formale , da sempre, il grande tab delle nostre universit. O per lo meno lo era sicuramente ancora quando l'ho seguita io. Erano gli anni 90 quando si avvertivano i primi echi di uno sconosciuto Gehry che sarebbe poi 'esploso' mediaticamente col Guggenheim. Ma le forme 'libere' sono sempre state guardate con sospetto accademico. Perch la confezione poteva sovrastare e celare le carenze del contenuto. Ma anche perch, e non sono il pi titolato per dirlo, salvo poche eccezioni la docenza delle scuole di architettura raramente costituita da buoni professionisti in grado di confrontarsi con un panorama appena oltre Chiasso. Dunque paura, prima che gregario spirito retrivo. Alle volte le forme, essendo l'input principale che affascina nell'ideazione architettonica, non necessitano necessariamente di giustificazioni a posteriori. Son belle per s e in s. Penso a Nemeyer che sconfina nel gesto artistico ma realizza opere suggestive. Che vanno bene in determinati ambienti e non in tutti, d'accordo. Ma anche in questo frangente si rivela, come in tutte le cose dell'umana vita, la tirannia del buon senso. Quindi no a negazioni aprioristiche dell'importanza della forma, ma nemmeno abbandono dissoluto alla forma per elle mme. Non tutti siamo Niemeyer, ma nemmeno Mollino (tanto per ricordare un nostrano irregolare che proprio per la predilezione della sensualit della forma fu osteggiato in vita). Il buon senso e la modestia suggerirebbero quindi di lasciare che certi divertissement siano lasciati ai capaci mentre gli altri si rassegnino a fare della buona edilizia (che visto il desolante panorama, sarebbe gi qualcosa). Ma mi accorgo che gi guardo avanti nella professione, mentre qui il focus sulla funzione della scuola. E allora dico che concordo con lei nella necessit di lasciare briglia sciolta alla fantasia dello studente, purch vi sia il docente che guida la mano (o il mouse, veda lei) lontano da sclerotizzazioni solo estetiche e non funzionali. Vede, sar un po duro di comprendonio, ma non credo che dalla dicotomia forma-funzione si possa sfuggire. Il problema che non sempre chi dovrebbe sorvegliare conosce questa distinzione in modo da poterla insegnare. Ma parlare di forma adesso, quando non c la sostanza perch non c effettivamente lavoro per tutti, mi sembra quasi di dare al popolo affamato di pane delle brioches.
Tutti i commenti di paolo giordano
22/12/2011 - Sandro Lazier risponde a paolo giordano
Io credo che chiunque voglia occuparsi di critica, visto che farlo azione risoluta anche se in tutto gratuita, debba per forza considerare larchitettura come un fatto principalmente artistico. Altrimenti, se cos non fosse, sarebbe del tutto inutile perder tempo in chiacchiere e teorie, lasciando alla funzionalit della prassi il solo metro di giudizio. Azione, questa, che gioverebbe alla razionalit della biologia e della meccanica sociale, ma costringerebbe lo spirito umano ad un letale digiuno emotivo.
Larchitettura, come fatto artistico, astratta quindi dalla contingenza della funzione, ai nostri occhi appare come un fatto del tutto formale, essenzialmente comunicativo, anche se la sua vocazione originaria stata sicuramente quella di servire alcune necessit abitative. Spesso vediamo edifici di cui non conosciamo le funzioni interne; la cosa, per, non ci fa minimamente riflettere sul fatto che, chi lha progettato, avesse o meno in mente alcune precise attivit. Diamo la cosa per scontata, per abitudine mentale, anche se, come in quasi tutti gli edifici storici, la funzione pensata allepoca del progetto stata in seguito totalmente rivoluzionata. Oggi accettiamo queste architetture da un punto di vista formale, senza chiederci altro. Non capisco, quindi, perch ci si debba raffreddare nellinsegnamento, quando laspetto morfologico risulta principale rispetto ad ogni altra questione. La stessa teoria rigorosa, che vorrebbe la forma subordinata ad una funzione precisa, ha come esito evidente, per esempio nelle ristrutturazioni dove il contrasto chiaro, la traduzione di questa funzione in una nuova morfologia, in un rinnovato linguaggio che andr ben oltre la contingente funzionalit che lha concepito. del tutto inutile, a parer mio, tentare di sottrarsi alla forma ignorandola o subordinandola.
Vivendo oltre ogni contingenza, essa tende a condurre una vita propria, costruendo culturalmente le civilt. Preferisco, per finire, lesuberanza formale in forma schietta e disinvolta rispetto a quella, molto pi ipocrita, che trova solo minuscole brecce nella frustrante solidit compositiva del tradizionalismo accademico. Il formalismo rischioso, ma indubbiamente fecondo e innovativo. Ottime qualit per uscire dalla crisi contemporanea.
Commento 10947 di amedeo giordano del 23/12/2011
Ho letto con piacere questo breve stimolo a ragionare sulla "forma" in architettura, credo per che il vero tema sia quello dell'insegnamento all'uso della forma in architettura. Tema che tocca corde delicatissime e soprattutto rimanda al vero nucleo sostanziale: esiste un insegnamento universitario capace di adeguarsi al rapido evolversi del linguaggio? visto che il corpo docente nella migliore delle ipotesi si formato ormai diversi decenni orsono? e soprattutto come possibile che l'insegnamento sia a quasi totale appannaggio di chi nella vita non svolge attivit professionale? (alludo ovviamente alle materie compositive). So bene che basterebbero queste due domande a scatenare un dibattito complicatissimo. Cercher quindi, come si fa quando si ha esigenza di sintesi, di fare un esempio pratico, che tra l'altro mi ha visto coinvolto in prima persona. Dopo la laurea alla facolt di architettura di Napoli ho conseguito un dottorato di ricerca in Architettura degli Interni al Politecnico di Milano e, parallelemante alla libera professione ho coltivato "la passione" per l'insegnamento (naturalmente a contratto)...ottenendo anche ottime soddisfazioni visto che sono risultato fra i docenti pi graditi dagli studenti nei questionari anonimi che sono regolarmente chiamati a compilare durante l'anno accademico per giudicare i corsi, i docenti e quindi l'universit in generale. Risultato di tutto questo: da quest'anno, pur risultando vincitore del contratto, per il quale ho concorso, sono stato "costretto" a rinunciare per inadeguatezza economica, non superando i 40.000 di reddito annuo che una legge della Gelmini ha imposto come criterio di selezione del corpo docente a contratto, ribadendo peraltro che "possono insegnare a contratto: pensionati, gi dipendenti pubblici, liberi professionisti con reddito superiore a 40.000 di reddito". ...Non vedo come non si possa dedurre dell'impossibilit di parlare dell'universit se non per raccontare di una triste agonia. Cordiali saluti a tutti e Auguri di un anno migliore. Amedeo Giordano
Tutti i commenti di amedeo giordano
23/12/2011 - Sandro Lazier risponde a amedeo giordano
Il 5 marzo di questanno Luca Guido ha affrontato la questione di cui lei ci d testimonianza nellarticolo Universit per ricchi. Si trova nella sezione universit.
Commento 11276 di Massimiliano ercolani del 25/08/2012
Apprezzo di molto il pezzo, e credo fermamente che oltre i problemi disquisiti ci sia un altro, ulteriore, punto che v toccato:
vi una immane difficolt nel giudicare (intendo come insegnanti, soprattutto i nostri baroni) un lavoro che non appartenga ad una qualche scuola per poterlo paragonare, anche solo inconsciamente, a qualcosa di gi realizzato, ed per questo che, a mio avviso, la creativit subisce tradimenti continui.
Non reputo cos delicato ragionare esclusivamente sulla forma, dato che la funzione obbligatoria, per una porta o ci si passa o troppo stretta, una sedia o comoda o dopo un poco ci alza perch fa male la schiena, chi non in grado di capire ci non dovrebbe progettare, e che la forma corrisponda o no alla funzione mi sembra una argomentazione obsoleta, da vecchia accademia.
Ma del resto questo sono le nostre universit.
Massimiliano Ercolani
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Commento 12084 di studio labzona del 07/01/2013
non ci sono parole.
pensavo non si potesse scendere ulteriormente dalla situazione in cui era l'universit quando frequentavo io.
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