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Ci sono 4 commenti relativi a questo articolo

Commento 10945 di paolo giordano del 22/12/2011


Gentile Sandro Lazier,
la questione formale , da sempre, il grande tab delle nostre universit. O per lo meno lo era sicuramente ancora quando l'ho seguita io. Erano gli anni 90 quando si avvertivano i primi echi di uno sconosciuto Gehry che sarebbe poi 'esploso' mediaticamente col Guggenheim. Ma le forme 'libere' sono sempre state guardate con sospetto accademico. Perch la confezione poteva sovrastare e celare le carenze del contenuto. Ma anche perch, e non sono il pi titolato per dirlo, salvo poche eccezioni la docenza delle scuole di architettura raramente costituita da buoni professionisti in grado di confrontarsi con un panorama appena oltre Chiasso. Dunque paura, prima che gregario spirito retrivo. Alle volte le forme, essendo l'input principale che affascina nell'ideazione architettonica, non necessitano necessariamente di giustificazioni a posteriori. Son belle per s e in s. Penso a Nemeyer che sconfina nel gesto artistico ma realizza opere suggestive. Che vanno bene in determinati ambienti e non in tutti, d'accordo. Ma anche in questo frangente si rivela, come in tutte le cose dell'umana vita, la tirannia del buon senso. Quindi no a negazioni aprioristiche dell'importanza della forma, ma nemmeno abbandono dissoluto alla forma per elle mme. Non tutti siamo Niemeyer, ma nemmeno Mollino (tanto per ricordare un nostrano irregolare che proprio per la predilezione della sensualit della forma fu osteggiato in vita). Il buon senso e la modestia suggerirebbero quindi di lasciare che certi divertissement siano lasciati ai capaci mentre gli altri si rassegnino a fare della buona edilizia (che visto il desolante panorama, sarebbe gi qualcosa). Ma mi accorgo che gi guardo avanti nella professione, mentre qui il focus sulla funzione della scuola. E allora dico che concordo con lei nella necessit di lasciare briglia sciolta alla fantasia dello studente, purch vi sia il docente che guida la mano (o il mouse, veda lei) lontano da sclerotizzazioni solo estetiche e non funzionali. Vede, sar un po duro di comprendonio, ma non credo che dalla dicotomia forma-funzione si possa sfuggire. Il problema che non sempre chi dovrebbe sorvegliare conosce questa distinzione in modo da poterla insegnare. Ma parlare di forma adesso, quando non c la sostanza perch non c effettivamente lavoro per tutti, mi sembra quasi di dare al popolo affamato di pane delle brioches.

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22/12/2011 - Sandro Lazier risponde a paolo giordano

Io credo che chiunque voglia occuparsi di critica, visto che farlo azione risoluta anche se in tutto gratuita, debba per forza considerare larchitettura come un fatto principalmente artistico. Altrimenti, se cos non fosse, sarebbe del tutto inutile perder tempo in chiacchiere e teorie, lasciando alla funzionalit della prassi il solo metro di giudizio. Azione, questa, che gioverebbe alla razionalit della biologia e della meccanica sociale, ma costringerebbe lo spirito umano ad un letale digiuno emotivo.
Larchitettura, come fatto artistico, astratta quindi dalla contingenza della funzione, ai nostri occhi appare come un fatto del tutto formale, essenzialmente comunicativo, anche se la sua vocazione originaria stata sicuramente quella di servire alcune necessit abitative. Spesso vediamo edifici di cui non conosciamo le funzioni interne; la cosa, per, non ci fa minimamente riflettere sul fatto che, chi lha progettato, avesse o meno in mente alcune precise attivit. Diamo la cosa per scontata, per abitudine mentale, anche se, come in quasi tutti gli edifici storici, la funzione pensata allepoca del progetto stata in seguito totalmente rivoluzionata. Oggi accettiamo queste architetture da un punto di vista formale, senza chiederci altro. Non capisco, quindi, perch ci si debba raffreddare nellinsegnamento, quando laspetto morfologico risulta principale rispetto ad ogni altra questione. La stessa teoria rigorosa, che vorrebbe la forma subordinata ad una funzione precisa, ha come esito evidente, per esempio nelle ristrutturazioni dove il contrasto chiaro, la traduzione di questa funzione in una nuova morfologia, in un rinnovato linguaggio che andr ben oltre la contingente funzionalit che lha concepito. del tutto inutile, a parer mio, tentare di sottrarsi alla forma ignorandola o subordinandola.
Vivendo oltre ogni contingenza, essa tende a condurre una vita propria, costruendo culturalmente le civilt. Preferisco, per finire, lesuberanza formale in forma schietta e disinvolta rispetto a quella, molto pi ipocrita, che trova solo minuscole brecce nella frustrante solidit compositiva del tradizionalismo accademico. Il formalismo rischioso, ma indubbiamente fecondo e innovativo. Ottime qualit per uscire dalla crisi contemporanea.

 

Commento 10947 di amedeo giordano del 23/12/2011


Ho letto con piacere questo breve stimolo a ragionare sulla "forma" in architettura, credo per che il vero tema sia quello dell'insegnamento all'uso della forma in architettura. Tema che tocca corde delicatissime e soprattutto rimanda al vero nucleo sostanziale: esiste un insegnamento universitario capace di adeguarsi al rapido evolversi del linguaggio? visto che il corpo docente nella migliore delle ipotesi si formato ormai diversi decenni orsono? e soprattutto come possibile che l'insegnamento sia a quasi totale appannaggio di chi nella vita non svolge attivit professionale? (alludo ovviamente alle materie compositive). So bene che basterebbero queste due domande a scatenare un dibattito complicatissimo. Cercher quindi, come si fa quando si ha esigenza di sintesi, di fare un esempio pratico, che tra l'altro mi ha visto coinvolto in prima persona. Dopo la laurea alla facolt di architettura di Napoli ho conseguito un dottorato di ricerca in Architettura degli Interni al Politecnico di Milano e, parallelemante alla libera professione ho coltivato "la passione" per l'insegnamento (naturalmente a contratto)...ottenendo anche ottime soddisfazioni visto che sono risultato fra i docenti pi graditi dagli studenti nei questionari anonimi che sono regolarmente chiamati a compilare durante l'anno accademico per giudicare i corsi, i docenti e quindi l'universit in generale. Risultato di tutto questo: da quest'anno, pur risultando vincitore del contratto, per il quale ho concorso, sono stato "costretto" a rinunciare per inadeguatezza economica, non superando i 40.000 di reddito annuo che una legge della Gelmini ha imposto come criterio di selezione del corpo docente a contratto, ribadendo peraltro che "possono insegnare a contratto: pensionati, gi dipendenti pubblici, liberi professionisti con reddito superiore a 40.000 di reddito". ...Non vedo come non si possa dedurre dell'impossibilit di parlare dell'universit se non per raccontare di una triste agonia. Cordiali saluti a tutti e Auguri di un anno migliore. Amedeo Giordano

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23/12/2011 - Sandro Lazier risponde a amedeo giordano

Il 5 marzo di questanno Luca Guido ha affrontato la questione di cui lei ci d testimonianza nellarticolo Universit per ricchi. Si trova nella sezione universit.

 

Commento 11276 di Massimiliano ercolani del 25/08/2012


Apprezzo di molto il pezzo, e credo fermamente che oltre i problemi disquisiti ci sia un altro, ulteriore, punto che v toccato:
vi una immane difficolt nel giudicare (intendo come insegnanti, soprattutto i nostri baroni) un lavoro che non appartenga ad una qualche scuola per poterlo paragonare, anche solo inconsciamente, a qualcosa di gi realizzato, ed per questo che, a mio avviso, la creativit subisce tradimenti continui.
Non reputo cos delicato ragionare esclusivamente sulla forma, dato che la funzione obbligatoria, per una porta o ci si passa o troppo stretta, una sedia o comoda o dopo un poco ci alza perch fa male la schiena, chi non in grado di capire ci non dovrebbe progettare, e che la forma corrisponda o no alla funzione mi sembra una argomentazione obsoleta, da vecchia accademia.
Ma del resto questo sono le nostre universit.

Massimiliano Ercolani

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Commento 12084 di studio labzona del 07/01/2013


non ci sono parole.
pensavo non si potesse scendere ulteriormente dalla situazione in cui era l'universit quando frequentavo io.


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