Le Vele di Scampia
di Sandro Lazier
- 25/2/2020
Dove sta la particolarit delle Vele di Scampia, in particolare nel senso della loro demolizione?
Sta in buona parte nei suoi fondamentali di progetto e nella loro genesi e ispirazione ideale e ideologica.
Il modello case popolari proposto per le Vele sulla spianata di Scampia nella sua tecnologia complessiva collocato in un impianto urbanistico che stato notoriamente un omaggio al movimento partigiano d'Italia contro il regime degli anni Venti e Trenta del Novecento. Non un caso infatti, le strade che permettono lo scorrere del traffico automobilistico attorno alle Vele portano con s i nomi e i cognomi di personaggi storici che hanno contribuito alla Resistenza italiana, nonch i nomi con cui si ricordano gli eventi storici per questo movimento. E pi ci si avvicina alle strutture pi eloquente e significativo il ricordo di quegli anni, di cui, la sua massima espressione proprio il lungo, circolare Viale della Resistenza.
(https://www.storiacity.it/guide/330-vele-di-scampia)
Questo aspetto, praticamente sconosciuto o sottovalutato, quello che mi pone molti dubbi sul fatto che oggi si dichiari, a destra come a sinistra, il fallimento del progetto di Franz di Salvo, legittimandone la demolizione perch considerato addirittura criminogeno e strumento contrario ai fini della convivenza civile.
Fortunatamente, a non avere certezze cos solide, non sono il solo:
"Non abbattete le Vele di Scampia": parte la raccolta firme
La petizione, partita da pochi giorni, vede al momento un centinaio di firmatari. Tra loro Luigi de Falco (ex assessore all'Urbanistica di de Magistris) dell'associazione Italia Nostra, il professor Aldo Capasso, Vito Cappiello, l'architetto Massimo Pica Ciamarra.
(Non abbattete le Vele di Scampia: parte la raccolta firme)
Lappello, del marzo 2018, non servito - la Vela Verde dal 20 febbraio in fase di demolizione - ma almeno vorrei che servisse ad evitare entusiasmo fuori luogo per un progetto che, secondo me, poteva essere non solo salvato e rigenerato, ma costituire un punto dorgoglio dellarchitettura internazionale.
Nello screenshot seguente, tratto da Napoli Today, nella sequenza di presentazione degli articoli, credo si sia involontariamente rappresentato non il fallimento del progetto delle Vele, ma quello dellarchitettura italiana degli ultimi quarantanni, caricatura dello storicismo in tutte le salse possibili e immaginabili.
Un processo lungo e lento, involutivo e reazionario, che ha portato le persone dalla possibilit di vivere ai confini pi prestigiosi della storia dellarchitettura (foto in alto) nel pi stupido, banale, scontato e borghese degli scatoloni della speculazione immobiliare (foto in basso) dove sono stati intruppati i reduci del presunto fallimento nellillusione di cambiar loro la vita.
(da Napoli Today)
E badate bene, tutto questo successo grazie alle fanfaronate accademiche provenienti dalle pi prestigiose universit italiane, che negli anni hanno svuotato di risorse, di idee, di progetti le uniche opere capaci di realizzare le grandi ambizioni e i grandi sogni della civilt della convivenza e della giustizia sociale, rivalutando vizi e devianze tipiche delle peggiori societ mercantili pur di rivendicare unautonomia formale apologetica da usare come arredo sociale.
Nel fanfarume post-ideologico del pensiero debole si sono, infatti, infilate tutte le baronie che chiedevano vendetta dopo la rivolta sessantottina, ritirando fuori dal ripostiglio della storia lintera liturgia formale e psicologica che ha permesso a molti accademici, nuovi e vecchi, di riprosperare tra gli stili, le discipline e le teorie pi conservatrici. Dalla strada novissima al razionalismo milanese fino al regionalismo, ridotto ad un localismo becero, questo il grande peso di cui gli intellettuali di una certa sinistra devono farsi carico e dichiararsi responsabili.
Di fatto essi sono diventati complici e padri spirituali delle peggiori destre sovraniste attuali.
Non c stupore quando, tra i detrattori delle Vele di Scampia, ci troviamo la politica in modo trasversale. Una politica, soprattutto, incapace di capire le ragioni dellarchitettura vista sempre e solo come serva del potere o dellimmagine di esso.
Anche oggi le responsabilit per aver abbandonato qualsiasi vocazione liberale e sociale capace di ispirare progetti socialmente ambiziosi non risparmia nemmeno gli ambiti di quella cultura che pensa di contare molto.
Cos titola Domus di David Chipperfield:
Le Vele di Scampia, un simbolo del fallimento del modernismo
Le foto di Tobias Zielony raccontano lambiente sociale e fisico dello storico edificio, icona e simbolo del problema del crimine a Napoli.
(Foto di Tobias Zielony)
Si tratta di un ottimo reportage fotografico che, per lintensit delle immagini proposte, contraddice di per s lidea di fallimento e ispira in chi le guarda, almeno a me ha fatto questo effetto, uno stimolo profondo di metterci le mani e tirarne fuori almeno una speranza.
Tra gli entusiasti della demolizione non mancano nemmeno le voci istituzionali, che non evitano neppure linciampo politico:
Erano gli anni del boom demografico. E gi questa premessa ci dice che stiamo parlando di un altro mondo, di unaltra Italia. Erano gli anni Sessanta o gi di l. Lesigenza di offrire una casa alle masse che dalle campagne e dal Sud si affrancavano dalla povert alimentando i processi di urbanizzazione di quegli anni costituiva una micidiale occasione per i cultori del socialismo reale. Il nostro Paese era preda inutile negarlo di una cultura fortemente penetrata dallideologia comunista, un po in tutti i settori. Larchitettura era forse uno degli ambienti di maggior esercizio di progetti e programmi in linea con le visioni di socializzazione derivate da un modello di vita e di aggregazione pensato pi che da Marx, dai suoi epigoni in Russia, per quella che era ancora Unione Sovietica.
(Guido Castelli - Presidente Ifel-Fondazione Anci)
Se Guido Castelli fosse un architetto non riuscirebbe a dire tante cavolate come quelle che ho citato. Egli saprebbe che chi progetta, e quando progetta, ha come modello ideale non la politica, o la sociologia o le idee sulla politica, ma larchitettura, alla quale ogni scelta deve rendere conto, al di l degli stimoli di cui essa si serve e non il contrario. Senza larchitettura nessuna teoria architettonica sta in piedi. Il problema insuperabile che la teoria si pu insegnare e larchitettura no; quindi la teoria pu sbagliare ma larchitettura no.
La storia piena di architetture sopravvissute alle sue teorie sbagliate. Ogni progetto, vero, nasce con una funzione predeterminata e con soluzioni pensate per problemi specifici. Ed vero che quando ebbe origine il progetto delle Vele, intorno agli anni 60, si aveva tendenza a riconoscere allarchitettura facolt terapeutiche che mai si sono effettivamente realizzate. La complessit della societ contemporanea, infatti, non aveva ancora sfiorato quellordine ideale che faceva pensare alle classi sociali come una condizione stabile e perenne, pur nel ciclo della storia, che avrebbe dovuto assegnare a quelle minori lo scettro del governo dopo un processo di equiparazione sociale. Questa condizione ideale aveva suggerito la possibilit di assegnare unabitazione, anche minima, a tutte le famiglie per rendere parimenti dignitosa ogni vita e vedeva nella grandezza anche fisica del progetto la dimensione per non perdere nellinsignificanza ogni piccola cellula abitativa. Sfido qualcuno a dimostrarmi che questa tensione positiva non avrebbe affascinato qualsiasi architetto dellepoca, se non altro perch investito della vanit del proprio ruolo.
Ora si dice che il progetto era sbagliato, portando a giustificazione il fatto che lesecuzione non fosse conforme al progetto iniziale, e che tali cambiamenti, peggiorando irrimediabilmente il progetto, lo avrebbero destinato alla fine ingloriosa di questi giorni. Dico subito che, se in passato era stato un errore pensare che larchitettura avrebbe potuto da sola guarire i mali sociali, non vedo perch oggi possa ritenersi giusto pensare che, invece, riesca a procurarli, anche cambiandone alcuni presupposti.
Io non credo che larchitettura abbia doti taumaturgiche evidenti. Sono sicuro, infatti, che essa viva e vegeti al di l del proprio senso e dalla propria funzione e che questa virt appartenga soprattutto a quellarchitettura che ha cercato nella funzione il proprio statuto principale, evitando riferimenti ed ammiccamenti ad ogni tipo di rumore nostalgico.
Per questo ritengo che un processo di riqualificazione e rifunzionalizzazione avrebbe ispirato le menti pi creative, disposte ad azzerare ogni riferimento al vecchio destino per riproporne uno del tutto nuovo.
Viviamo unepoca di ripensamento importante dove il recupero ed il riuso sono il tema dominante anche nelle espressioni pi ardite dellarte contemporanea. Penso a Eugenio Tibaldi, non a caso vissuto e formatosi artisticamente per molto tempo proprio a Napoli, autore di rilievo internazionale particolarmente apprezzato da chi scrive. Marginalit e riuso sono gli aspetti che prescindono da una banale idea di bellezza e dalla relativa calma sociale nella quale la societ mercantile ripone il suo ideale. Gli aspetti del reale oggi pretendono una rappresentazione completa, non esclusiva dei privilegi sociali e la condizione iconica di marginalit espressa dalle Vele di Scampia rappresenta lo scenario ideale per qualsiasi funzione collettiva le si voglia affidare: teatro, sede per uffici, museo, ecc..
Ovviamente, questa operazione di recupero e riuso non pu avere lingombro delle rigide regole del restauro ma deve dare spazio alla contaminazione, compenetrazione, svuotamento e qualsiasi altro gesto architettonico che ridia respiro a un corpo nobile che ha necessit dessere rianimato.
Dopo il ponte Morandi di Genova questa stata unaltra preziosissima opportunit per mostrare al mondo la capacit di recuperare il nostro prezioso passato, mettendo in atto non solo sofisticate tecniche di restauro ma anche doti di lettura e riproposizione di linguaggi contemporanei. Un'abilit che ci avrebbe rimesso in cima al mondo dellarchitettura e dellingegneria.
Concludo con un articolo di Roberto Saviano su Repubblica, che ci dice delle vele nel suo aspetto etico sociologico e che mi limito a riportare qui nella parte in cui esprime concordanza col mio pensiero. Invito, per, a leggere tutto larticolo per capire meglio le relazioni che rendono del tutto indipendenti le responsabilit dellarchitettura dalla sua convivenza con la criminalit organizzata.
Le Vele non sono responsabili del male di Scampia. Ma perch dovrebbero esserlo?
Furono costruite tra il 1962 e il 1975, le progett Franz Di Salvo, un geniale architetto che fu animato, nel disegnarle, dallo spirito architettonico del tempo, lExistenzminimum. Ossia provare a ridurre lappartamento dove si sarebbe svolta la vita al minimo indispensabile; lalloggio, ricavato quindi con una spesa costruttiva contenuta, doveva avere come perno principale dellesistenza abitativa il fuori. La vita doveva svolgersi fuori, collettivamente. Napoli era gi cos, era il simbolo di questa articolazione abitativa. Di Salvo progett le Vele con il preciso intento di ricostruire lo spirito dei vicoli in un condominio. Ballatoi sospesi nel vuoto su cui insistevano le scale che portavano agli appartamenti: erano come vicoli sospesi. Sbagliava, Di Salvo? Beh, se vedete le Vele gemelle di Villeneuve-Loubet, in Costa Azzurra, sono tra gli appartamenti pi ambiti dEuropa. Certo, direte: si trovano in un luogo turistico, dinanzi al mare e con altro tipo di abitanti. Eppure era una zona degradata quando part il progetto abitativo, bisognava portarci molte persone per far rinascere quel frammento di terra abbandonato e poterle far sentire immediatamente comunit. Cos fecero. E funzion.
(Roberto Saviano su Repubblica)
P.s: - Non perdetevi il commento di Eugenio Tibaldi qui di seguito!
(Sandro Lazier
- 25/2/2020)
Per condividere l'articolo:
Altri articoli di Sandro Lazier | Invia un commento all'articolo |
Stampa: "Le Vele di Scampia.pdf" |
Commento 14792 di Eugenio Tibaldi del 26/02/2020
Caro Sandro,
Il tuo messaggio mi raggiunge contornato e seguito da link dementi, messaggi di allarmismo e telefonate a cui non rispondo, in un penoso clima societario che mi pare avere il sapore della farsa grottesca. Gi, mi raggiunge mentre con i bambini e Mariasole siamo di rientro verso Torino per cui non lo apro subito.
Lo pregusto, so che un dono, un bel dono. Uno di quei doni che ti fanno sentire che qualche cervello funziona ancora, che le mascherine non hanno ostruito l'ossigeno a tutte le menti.
Amo i miei figli... ma l'idea di averli a casa tutto il giorno anche tutta la prossima settimana a causa di un'influenza mi fa impazzire, a scanso di falsi buonismi, mi piace fare il padre perch una parte della mia vita e non tutta la mia vita.
Ho letto il tuo articolo ieri sera, ed il dono si rivelato un viaggio, un meraviglioso salto in un ricordo che tenevo riposto in qualche zona del cervello.
Sono stato nelle Vele la prima volta nel 2003; ero a Napoli da due anni, sapevo che per entrare avevo bisogno di uno sherpa locale che solo il tempo mi avrebbe portato. Chiaramente ero affascinato da quei colli sporchi e meravigliosi per cui avevo letto molto, conoscevo le istanze progettuali, le opinioni del bar, i progetti artistici che le avevano coinvolte, ma solo nel 2003 Jenny (Gennaro), dipendente in nero della stamperia di pubblicit abusive in cui andavo a fare i miei banner, mi disse: qual' u problema Eug ti port io.
Detto fatto.
Il giorno dopo ero sulla sua smart nuovissima (auto molto ambita dai pesciolini piccoli). Ci fermiamo in un bar di Piscinola prima di arrivare, Jenny saluta, ci fanno i caff e prendiamo un vassoio di paste; pago senza chiedere. Jenny non cattivo, delle palazzine della 167 e sa fare un sacco di cose, ha fatto molti lavori nessuno legale ma ci prova, lui mi dice sempre che ci prova, ha un anno pi di me ed ha gi 3 figli, mi fa vedere le foto sull'Iphone (nuovissimo) mi chiede se ne voglio uno, specifica che non rubato, ma che fanno i contratti sulla testa dei tossici, pagano la prima rata e poi si tengono il telefono, per questo pu darmi anche confezione e caricatore e tutto. Lo ringrazio ma declino.
Arriviamo in una delle corti, c'era la fila di auto che paziente procedeva lenta e aspettava per comperare qualche tipo di droga, la forma lunga degli edifici sembrava perfetta per organizzare lo spaccio, oppure la genialit del popolo partenopeo che aveva interpretato quell'architettura rendendola azienda, a farla sembrare tale. Superiamo le auto, giriamo un po a passo lento, ogni tanto un motorino si avvicina, Jenny chiede qualcosa finch ci fermiamo e mi dice caccia i pastarelle .
Cos mi ritrovo a mangiare sfogliatelle e babb con un gruppo di 7/8 persone che parlano un dialetto strettissimo, che ridono e fumano forte, ricordo che avevo paura e non fingevo di essere disinvolto, non sapevo che per loro ero esotico, Jenny spiega che faccio l'artista, una specie di pittore che per pitt in copp fotografie e che desidererei fare un giro dentro.
Cos inizia, cininfiliamo in 4 dai portici per poi entrare nel corpo vero, viste da dentro mi sono sembrate un grande corpo squarciato nel centro, ferito con una sutura lenta fatta di scale in ferro da cui entrava la luce impietosa del mezzogiorno. Avremmo potuto essere a Caracas, o San Paolo o a NewYork (per questo amo di Napoli il suo essere internazionale sempre e comunque) ma eravamo a Napoli e l'audio c' lo ricordava in modo indubitabile: le voci si mescolavano alle radio tutte partenopee. Le case non erano tutte abitate; mi chiedono se voglio entrare in un appartamento; dico di no; spiego che voglio arrivare in alto sulla terrazza pi alta possibile; uno che molto chiatto dice che lui non viene e senza che nessuno dica nulla se ne entra in una casa. Noi saliamo con brevi interruzioni, chiacchiere, risate. So che parlano di me.
Arriviamo in punta e uscendo in piena luce tra rifiuti e guaina logora la vedo, l'altra vela, la gemella sfalsata e maestosa, e poi vedo quello che non sapevo di trovare: vedo la forma cancerogena della citt che discende la collina opposta al mare, che si insinua nella pianura, mangia i comuni di Melito, Arzano, Giuliano e molti altri in una linea continua di case e strade che arriva fino a Caserta.
Li fagocita con le loro identit trite e distrugge tradizioni ed usanze in cambio dell'appartenenza alla megalopoli, Tutte le stime sulla popolazione di Napoli sono ridicole quando guardi quel mare multicolore di ruggine e cemento, di disordine e luce, di puzza e paura di vivere.
Dopo un po che eravamo l, un ragazzo dice che dobbiamo scendere e mi chiede quando faccio le fotografie. Ringrazio e dico che le avrei fatte la prossima volta. La macchina che avevo nello zaino non uscita da l. Nella versione pi egocentrica del mio ricordo rimasta inutilizzata perch non serviva fare alcuna foto, nella realt temevo che me la fregassero e la paura stata utile a capire che comunque non avrei utilizzato quelle immagini (non sapevo ancora che non avrebbero mai toccato la mia machina, non si litiga per cos poco in un piazza di spaccio: sono luoghi sicuri). Mentre andiamo via Jenny sembra turbato, mi dice Eug non te so piaciute? Io lo tranquillizzo e lo ringrazio mentre mi riporta alla mia moto e prendiamo un ultimo caff.
Quasi tutti in questi anni mi hanno chiesto perch non avessi lavorato sulle vele. Molto stato scritto e detto prima e dopo il mio arrivo ed io, onestamente, non ero in grado di aggiungere nulla di significativo. Mi piace per pensare che non ho lavorato sulle vele ma con le vele, come un colle leopardiano mi hanno mostrato il mio infinito.
Caro Sandro, non lo so se aver risvegliato in me questo ricordo ed il relativo racconto sia stato per te bello o una punizione, la mia scrittura davvero pessima per cui non rileggo neppure. Scriverti l'unico modo che ho immaginato per ringraziarti per condividere con te, perch prezioso avere qualcuno con cui si pensa di poter condividere.
La tua riflessione sulle vele lucidissima e perfetta, ho seguito e seguir l'abbattimento come una perdita, credo che sia la sorte destinata a chi diventa simbolo, quando non si riesce a definire il male come parte integrante di ognuno di noi allora bisogna contenerlo altrove e nelle vele di spazio ce ne sta un sacco. Cos pronti via! Abbattiamo le vele e staremo tutti meglio ed a pensarci bene questo atto sacrificale arriva in contemporanea con la piaga mandata da chisschi allora su le mascherine Sandro, che servono per la tosse degli altri, per la polvere delle vele che vengono gi ma pi che tutto per coprire quel sorrisino ebete di chi pensa di aver fatto un passo in avanti.
Tutti i commenti di Eugenio Tibaldi
[Torna su]
[Torna alla PrimaPagina]