Commento
14792
di Eugenio Tibaldi del 26/02/2020
relativo all'articolo
Le Vele di Scampia di
Sandro Lazier
Caro Sandro,
Il tuo messaggio mi raggiunge contornato e seguito da link dementi, messaggi di allarmismo e telefonate a cui non rispondo, in un penoso clima societario che mi pare avere il sapore della farsa grottesca. Gi, mi raggiunge mentre con i bambini e Mariasole siamo di rientro verso Torino per cui non lo apro subito.
Lo pregusto, so che un dono, un bel dono. Uno di quei doni che ti fanno sentire che qualche cervello funziona ancora, che le mascherine non hanno ostruito l'ossigeno a tutte le menti.
Amo i miei figli... ma l'idea di averli a casa tutto il giorno anche tutta la prossima settimana a causa di un'influenza mi fa impazzire, a scanso di falsi buonismi, mi piace fare il padre perch una parte della mia vita e non tutta la mia vita.
Ho letto il tuo articolo ieri sera, ed il dono si rivelato un viaggio, un meraviglioso salto in un ricordo che tenevo riposto in qualche zona del cervello.
Sono stato nelle Vele la prima volta nel 2003; ero a Napoli da due anni, sapevo che per entrare avevo bisogno di uno sherpa locale che solo il tempo mi avrebbe portato. Chiaramente ero affascinato da quei colli sporchi e meravigliosi per cui avevo letto molto, conoscevo le istanze progettuali, le opinioni del bar, i progetti artistici che le avevano coinvolte, ma solo nel 2003 Jenny (Gennaro), dipendente in nero della stamperia di pubblicit abusive in cui andavo a fare i miei banner, mi disse: qual' u problema Eug ti port io.
Detto fatto.
Il giorno dopo ero sulla sua smart nuovissima (auto molto ambita dai pesciolini piccoli). Ci fermiamo in un bar di Piscinola prima di arrivare, Jenny saluta, ci fanno i caff e prendiamo un vassoio di paste; pago senza chiedere. Jenny non cattivo, delle palazzine della 167 e sa fare un sacco di cose, ha fatto molti lavori nessuno legale ma ci prova, lui mi dice sempre che ci prova, ha un anno pi di me ed ha gi 3 figli, mi fa vedere le foto sull'Iphone (nuovissimo) mi chiede se ne voglio uno, specifica che non rubato, ma che fanno i contratti sulla testa dei tossici, pagano la prima rata e poi si tengono il telefono, per questo pu darmi anche confezione e caricatore e tutto. Lo ringrazio ma declino.
Arriviamo in una delle corti, c'era la fila di auto che paziente procedeva lenta e aspettava per comperare qualche tipo di droga, la forma lunga degli edifici sembrava perfetta per organizzare lo spaccio, oppure la genialit del popolo partenopeo che aveva interpretato quell'architettura rendendola azienda, a farla sembrare tale. Superiamo le auto, giriamo un po a passo lento, ogni tanto un motorino si avvicina, Jenny chiede qualcosa finch ci fermiamo e mi dice caccia i pastarelle .
Cos mi ritrovo a mangiare sfogliatelle e babb con un gruppo di 7/8 persone che parlano un dialetto strettissimo, che ridono e fumano forte, ricordo che avevo paura e non fingevo di essere disinvolto, non sapevo che per loro ero esotico, Jenny spiega che faccio l'artista, una specie di pittore che per pitt in copp fotografie e che desidererei fare un giro dentro.
Cos inizia, cininfiliamo in 4 dai portici per poi entrare nel corpo vero, viste da dentro mi sono sembrate un grande corpo squarciato nel centro, ferito con una sutura lenta fatta di scale in ferro da cui entrava la luce impietosa del mezzogiorno. Avremmo potuto essere a Caracas, o San Paolo o a NewYork (per questo amo di Napoli il suo essere internazionale sempre e comunque) ma eravamo a Napoli e l'audio c' lo ricordava in modo indubitabile: le voci si mescolavano alle radio tutte partenopee. Le case non erano tutte abitate; mi chiedono se voglio entrare in un appartamento; dico di no; spiego che voglio arrivare in alto sulla terrazza pi alta possibile; uno che molto chiatto dice che lui non viene e senza che nessuno dica nulla se ne entra in una casa. Noi saliamo con brevi interruzioni, chiacchiere, risate. So che parlano di me.
Arriviamo in punta e uscendo in piena luce tra rifiuti e guaina logora la vedo, l'altra vela, la gemella sfalsata e maestosa, e poi vedo quello che non sapevo di trovare: vedo la forma cancerogena della citt che discende la collina opposta al mare, che si insinua nella pianura, mangia i comuni di Melito, Arzano, Giuliano e molti altri in una linea continua di case e strade che arriva fino a Caserta.
Li fagocita con le loro identit trite e distrugge tradizioni ed usanze in cambio dell'appartenenza alla megalopoli, Tutte le stime sulla popolazione di Napoli sono ridicole quando guardi quel mare multicolore di ruggine e cemento, di disordine e luce, di puzza e paura di vivere.
Dopo un po che eravamo l, un ragazzo dice che dobbiamo scendere e mi chiede quando faccio le fotografie. Ringrazio e dico che le avrei fatte la prossima volta. La macchina che avevo nello zaino non uscita da l. Nella versione pi egocentrica del mio ricordo rimasta inutilizzata perch non serviva fare alcuna foto, nella realt tem
Commento 14792 di Eugenio Tibaldi
del 26/02/2020
relativo all'articolo Le Vele di Scampia
di Sandro Lazier
Caro Sandro,
Il tuo messaggio mi raggiunge contornato e seguito da link dementi, messaggi di allarmismo e telefonate a cui non rispondo, in un penoso clima societario che mi pare avere il sapore della farsa grottesca. Gi, mi raggiunge mentre con i bambini e Mariasole siamo di rientro verso Torino per cui non lo apro subito.
Lo pregusto, so che un dono, un bel dono. Uno di quei doni che ti fanno sentire che qualche cervello funziona ancora, che le mascherine non hanno ostruito l'ossigeno a tutte le menti.
Amo i miei figli... ma l'idea di averli a casa tutto il giorno anche tutta la prossima settimana a causa di un'influenza mi fa impazzire, a scanso di falsi buonismi, mi piace fare il padre perch una parte della mia vita e non tutta la mia vita.
Ho letto il tuo articolo ieri sera, ed il dono si rivelato un viaggio, un meraviglioso salto in un ricordo che tenevo riposto in qualche zona del cervello.
Sono stato nelle Vele la prima volta nel 2003; ero a Napoli da due anni, sapevo che per entrare avevo bisogno di uno sherpa locale che solo il tempo mi avrebbe portato. Chiaramente ero affascinato da quei colli sporchi e meravigliosi per cui avevo letto molto, conoscevo le istanze progettuali, le opinioni del bar, i progetti artistici che le avevano coinvolte, ma solo nel 2003 Jenny (Gennaro), dipendente in nero della stamperia di pubblicit abusive in cui andavo a fare i miei banner, mi disse: qual' u problema Eug ti port io.
Detto fatto.
Il giorno dopo ero sulla sua smart nuovissima (auto molto ambita dai pesciolini piccoli). Ci fermiamo in un bar di Piscinola prima di arrivare, Jenny saluta, ci fanno i caff e prendiamo un vassoio di paste; pago senza chiedere. Jenny non cattivo, delle palazzine della 167 e sa fare un sacco di cose, ha fatto molti lavori nessuno legale ma ci prova, lui mi dice sempre che ci prova, ha un anno pi di me ed ha gi 3 figli, mi fa vedere le foto sull'Iphone (nuovissimo) mi chiede se ne voglio uno, specifica che non rubato, ma che fanno i contratti sulla testa dei tossici, pagano la prima rata e poi si tengono il telefono, per questo pu darmi anche confezione e caricatore e tutto. Lo ringrazio ma declino.
Arriviamo in una delle corti, c'era la fila di auto che paziente procedeva lenta e aspettava per comperare qualche tipo di droga, la forma lunga degli edifici sembrava perfetta per organizzare lo spaccio, oppure la genialit del popolo partenopeo che aveva interpretato quell'architettura rendendola azienda, a farla sembrare tale. Superiamo le auto, giriamo un po a passo lento, ogni tanto un motorino si avvicina, Jenny chiede qualcosa finch ci fermiamo e mi dice caccia i pastarelle .
Cos mi ritrovo a mangiare sfogliatelle e babb con un gruppo di 7/8 persone che parlano un dialetto strettissimo, che ridono e fumano forte, ricordo che avevo paura e non fingevo di essere disinvolto, non sapevo che per loro ero esotico, Jenny spiega che faccio l'artista, una specie di pittore che per pitt in copp fotografie e che desidererei fare un giro dentro.
Cos inizia, cininfiliamo in 4 dai portici per poi entrare nel corpo vero, viste da dentro mi sono sembrate un grande corpo squarciato nel centro, ferito con una sutura lenta fatta di scale in ferro da cui entrava la luce impietosa del mezzogiorno. Avremmo potuto essere a Caracas, o San Paolo o a NewYork (per questo amo di Napoli il suo essere internazionale sempre e comunque) ma eravamo a Napoli e l'audio c' lo ricordava in modo indubitabile: le voci si mescolavano alle radio tutte partenopee. Le case non erano tutte abitate; mi chiedono se voglio entrare in un appartamento; dico di no; spiego che voglio arrivare in alto sulla terrazza pi alta possibile; uno che molto chiatto dice che lui non viene e senza che nessuno dica nulla se ne entra in una casa. Noi saliamo con brevi interruzioni, chiacchiere, risate. So che parlano di me.
Arriviamo in punta e uscendo in piena luce tra rifiuti e guaina logora la vedo, l'altra vela, la gemella sfalsata e maestosa, e poi vedo quello che non sapevo di trovare: vedo la forma cancerogena della citt che discende la collina opposta al mare, che si insinua nella pianura, mangia i comuni di Melito, Arzano, Giuliano e molti altri in una linea continua di case e strade che arriva fino a Caserta.
Li fagocita con le loro identit trite e distrugge tradizioni ed usanze in cambio dell'appartenenza alla megalopoli, Tutte le stime sulla popolazione di Napoli sono ridicole quando guardi quel mare multicolore di ruggine e cemento, di disordine e luce, di puzza e paura di vivere.
Dopo un po che eravamo l, un ragazzo dice che dobbiamo scendere e mi chiede quando faccio le fotografie. Ringrazio e dico che le avrei fatte la prossima volta. La macchina che avevo nello zaino non uscita da l. Nella versione pi egocentrica del mio ricordo rimasta inutilizzata perch non serviva fare alcuna foto, nella realt tem