Complimenti e auguri 2004
di Sandro Lazier
- 29/12/2003
I vari e impegnati commenti sul restauro della Fenice ci
portano ad alcune riflessioni di fine anno.
La prima.
La mia opinione che in una ricostruzione lideale sarebbe mettere insieme gli elementi di continuit storica con una innovazione che sia evidente e creativa, che porti il segno della discontinuit, del trauma subito. Occorre, entro certi limiti, accettare la storia con i suoi irreparabili eventi: insensato immaginare di fermare il tempo riportando una cosa che stata cancellata per incuria o per dolo al suo immutato e antico splendore. Le ferite devono lasciare la loro cicatrice: anche le opere darte devono portare i segni della storia, devono inglobare le cesure, le discontinuit, inserirle nella continuit. Perch nella differenza, nellelemento innovativo che sporge rispetto alloriginale distrutto che si mantiene la memoria viva di una comunit.
Cos scrive Remo Bodei in un articolo apparso su Repubblica del 22 ottobre (nella stesse pagine in cui compariva larticolo di A. Baricco citato nel
commento 546 di antiTHeSi), relativo al restauro della
Fenice di Venezia. La nostra posizione culturale non pu che condividere le
parole di Bodei, rare nel mondo degli intellettuali italiani, spesso negligenti
verso le espressioni pi autentiche dellarchitettura contemporanea. Infatti, la maggioranza degli stessi, vive in case vecchie nei centri delle citt; pochi
sono gli esempi di chi ha saputo circondarsi di architetture coeve dove
trascorrere la propria vita. Per comprendere in modo pi opportuno le ragioni di un distacco cos radicale dalle manifestazioni dellarchitettura moderna necessario procurarsi la visione di un film, nato per la televisione, recentemente portato sugli schermi cinematografici perch premiato a Cannes, con la regia di A.T. Giordana e intitolato pasolinianamente la meglio giovent.
E
un bellissimo pessimo film nel quale le ragioni della
nostra storia recente sono superate nel segno esistenziale di una borghesia giacobina mai doma della propria presunzione di superiorit morale. Nelle scene e nella scelta dei luoghi delle stesse, da Stromboli alla Toscana, ai vari centri storici cittadini, la puzza di antico, la retorica dellisola felice e della campagna incontaminata, con tutto il loro relativo folclore di case di tufo e cotto vecchio, svelano oltre le parole e le intenzioni un attaccamento al tradizionalismo e al conservatorismo degno della peggiore aristocrazia ottocentesca. La stessa, ovviamente, che riprodotta in copia non autentica (labito, in questo caso, fa il monaco) ha assistito entusiasta allinaugurazione della copia di una copia del teatro della Fenice di Venezia.
Complimenti alla vanit ma dissento in modo profondo e propongo serenamente di ridare fuoco al teatro. Sostanzialmente per due ragioni.
La prima ragione di dissenso concerne la spesa. Cinquanta
milioni di euro sono una cifra non indifferente e senza dubbio influente sulle scelte della politica di chi amministra i soldi di tutti. Se il teatro fosse
stato di propriet di un privato si sarebbero compiute le stesse scelte? Voi
paghereste una copia di Monnalisa pi di quanto pu valere una pittura comprata al mercato? Vi fareste rifare in copia un mobile rinascimentale spendendo pi di quanto ne vale uno autentico? Non mi sembra un ragionamento cos difficile, ma pare che la testa dei privati funzioni diversamente da quella dei pubblici, con la conseguenza che il valore aggiunto da tale operazione alla citt di Venezia risulti notevolmente pi basso anche ad essere generosi delle risorse
impiegate. Operazione, quindi, politicamente sbagliata e indegna non tanto nel senso dello spreco del pubblico denaro, quanto in quello di una falsa
attribuzione di valori. Se le parole hanno ancora un senso, un valore qualcosa che deve procurare qualche indubbio vantaggio, in questo caso un passo avanti nellambito della cultura. Illudersi di riportare le cose nello stato in cui erano non un passo avanti rispetto a oggi; lo rispetto a ieri.
La seconda ragione di dissenso ha luogo nel fraintendimento
che tecnicamente accompagna il restauro e lidea che si ha di esso. Lequivoco conosciuto dai tecnici, meno dallopinione comune. Il restauro, ovvero la tecnica di conservare i beni artistici, ha per oggetto primariamente la materia non laspetto delle cose, poich la materia a deperire e non la forma. La storia stessa documenta, scrive e lascia i suoi segni nella materia e non nella forma. Se vero che il deterioramento della materia coinvolge anche la forma, non vero il contrario per cui il rifacimento della forma non riproduce la materia. La storia non reversibile a piacimento e cercare di riproporla riesponendone la forma priva di autenticit (che propriet solo della materia) procura linganno della mente (che qualit del teatro e della rappresentazione). Restaurare un mobile, un quadro, un edificio o un quartiere non vuole dire riportarlo alla foggia originaria (quale, poi, non si mai capito con rigore) mediante la fedele riproduzione di una immagine scenografica, ma significa il tentativo di fermare il deterioramento della materia che ne costituisce prima loggetto e soltanto dopo la forma. Tutta la materia va quindi restaurata e non sostituita penso allintonaco di tanti edifici sui quali la storia ha scritto tutti i giorni per anni pena la perdita dellautenticit. Perch di autenticit che si parla, non di verit, per cui Vattimo non centra.
Dopo il restauro c il riuso, che altra cosa, perch
richiede integrazione di parti nuove con le forme ...di continuit storica
con una innovazione che sia evidente e creativa come dice Bodei.
Se qualcuno, nei commenti, voleva una posizione chiara e
netta credo che qui e ora sia stata espressa.
Seconda riflessione.
Tra i pochi intellettuali che hanno dedicato attenzione alle espressioni dellarchitettura moderna c stata certamente la famiglia di Giuseppe Colli (fondatore assieme a Frassati del quotidiano La Stampa e poi
direttore del Corriere della Sera) che nel 1928 commission agli architetti Gino Levi Montalcini e Giuseppe Pagano Pogatschnig la casa estiva di Rivara Canavese. I signori Chiono del Veliero, attuali proprietari, a loro spese hanno restaurato la villa e antiTHeSi lha segnalata al pubblico con larticolo Villa Colli, sogno e precisione e al DARC come bene da tutelare e conservare. Cos come stata segnalata, su invito di Guidu Antonietti, la vendita della Farnsworth House di Mies van der Rohe - poi risolta con lacquisizione dellimmobile da parte della National Trust for Historic Preservation e la Landmarks Preservation Council of Illinois avremmo sperato che anche Villa Colli, visto che non si chiedono soldi ma solo tutela, avrebbe ottenuto la stessa attenzione e riconoscenza di chi dice di tanto amare la cultura. Dal Darc, fino ad oggi, nessuna risposta mentre Renata Chiono ci ha scritto una appassionata lettera nella quale dice di essere stanca di lottare contro la miopia di unamministrazione comunale che se ne frega dellarchitettura e vorrebbe sacrificare la villa alla contingenza e agli affanni di un sistema industriale col fiato corto e gli operai allo sbaraglio. Pur di lavorare si pu calpestare ovunque e chiunque nella logica arcinota dellurgenza sociale. Bene, questo non ci piace e chiede che si faccia qualcosa con la stessa devozione dei commenti che hanno accompagnato larticolo su casa Farnsworth. Credo di dover escludere da subito una sottoscrizione che, ovviamente, sar ignorata. Potremmo, invece e concretamente, invitare i nostri lettori affinch attivino conoscenze e amicizie in favore della causa, per esempio invitando il DARC a fare il proprio dovere e scrivendo ai vari ordini perch finalmente si rendano utili e attivino una qualche forma di protesta, oppure agire in modo da far capire ai signori della politica che qualche scelta di competenza regionale potrebbe manifestarsi buona oggi localmente ma pessima in generale per domani. Lascio ai lettori e alla loro fantasia la possibilit di salvare in qualche modo un bene di tutti ma confido e scommetto sulla loro buona volont, fede e sui loro suggerimenti.
Terza e ultima riflessione.
Questanno per noi stato un anno difficile. I miei amici lo sanno perch hanno in parte vissuto il motivo della difficolt. Malgrado tutto il giornale andato bene, ha acquisito molti nuovi lettori, commentatori, redattori e amici. E andato bene soprattutto per limpegno e la passione di
Paolo G.L. Ferrara che, nei momenti di preoccupazione, riuscito a reggere
tutto con serenit, maturit e consapevolezza, curando rapporti e relazioni e, di fatto, reggendo la direzione del giornale. Infatti, grazie al suo impegno, il prossimo anno vedr il giornale impegnato per la commemorazione di G. Terragni di cui curer la pubblicazione sul web oltre che per altre iniziative culturali tutte nello spirito che fin ora ha caratterizzato e distinto la pubblicazione.
Termino ringraziando quelli che con noi continuano a condividere
la passione per larchitettura e auguro buon 2004 a tutti.
(Sandro Lazier
- 29/12/2003)
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