Portoghesi - Anni '60
di Sandro Lazier
- 18/12/2001
Asgl, commentando il mio articolo Esternazioni
portoghesiane, scrive: "Cosa pensa del Portoghesi anni '60? Era
profondamente diverso e rappresentava una delle intelligenze pi brillanti.
Perch poi si cos rinnegato?"
Per quanto conosco, anche per P. Portoghesi gli anni sessanta hanno
rappresentato il bivio, il limite della crisi oltre al quale gli architetti
hanno subito la costrizione della scelta. Scegliere atto fortemente singolare
che presuppone fede in luogo della conoscenza imparziale, e ogni fede, come si
sa, chiede di rinnegare qualcosa o qualcuno.
Perch crisi? Perch il motore teorico costituito dagli -ismi delle
avanguardie diede vita e successo a parecchie individualit ma non riusc a
calare sulla produzione di massa i suoi precetti linguistici. Anzi, questi
subirono un processo di riduzione stilistica che bene si adattava alla
praticit costruttiva dell'impianto ottocentesco, ripulito di orpelli e
ornamenti, in tal modo mortificando la rivoluzione spaziale ed etica che le
speranze ideologiche nutrivano in forma quasi meccanica. La libert di pianta,
che produce in nuce libert spaziale, sub spesso e volentieri l'autorit
della grande scala, la scala urbanistica, maldisposta a sottomettere l'utilit
della ragione pratica e lineare alla tortuosit del particolare. La grande
scala, e le implicazioni sociologiche, economiche, politiche che questa
determinava, svuotavano progressivamente l'architettura degli ingredienti
sovversivi del nuovo linguaggio al quale, articolato, vasto e complesso, era
preclusa la possibilit di sintesi e contrazione a modello elementare.
Infatti, tutti sappiamo darci un'idea di cos' stato il gotico, o il
rinascimento o il barocco; persino dell'ottocento abbiamo una concezione
sintetica. Ma della modernit, senza facili riassunti, possiamo fare con
onest una descrizione essenziale? Prendiamo il razionalismo, per esempio, le
cui varianti e sfaccettature - da Le Corbusier a Terragni fino ad A. Rossi e ad
Eisenman - hanno subito riflessioni tali da porre questi personaggi su piani
addirittura antitetici. Oppure l'organicismo che, alla luce dei fatti
architettonici attuali, pare aver convinto anche i cartesiani della necessit
di riportare l'individuo al centro dei fenomeni complessi e dell'urgenza della
conoscenza della rigorosa misura particolare per comprendere le manifestazioni
statistiche generali. O l'espressionismo, che della realt assimilata, fatta
propria, ci d segno e sostanza senza pi il limite dello psicologismo e
dell'impulso emotivo, ma capace invece di sfidare il buon senso e la ragione,
mettere in discussione il pregiudizio formale o il nesso storico che ci crede
figli.
Gli anni sessanta hanno sparso un sacco di semi diversi nessuno dei quali pu
vantare a pieno titolo la rappresentanza. Una condizione di estremo disagio per
chi ha l'ambizione di tenere il paradigma architettura all'interno di un disegno
unitario e, soprattutto, dentro una status di privilegio culturale che proviene
dalla sua storia. Quindi occorre scegliere: o compromettere le proprie certezze
e fare i conti con l'inevitabile imbarazzo che ne discende, o ricorrere alla
conservazione di quei valori che sembrano deteriorarsi. Valori, oltretutto,
svuotati della coerenza e utilit epistemologica dalla filosofia del
postmoderno. Quindi valori vuoti, simbolici, legittimamente falsi e falsificati
come conviene all'onesto mascheramento di un attore in scena.
Tutto sommato, comunque, non credo ci sia disonest in nessuna scelta di fede,
anche se questa regge la sua armatura su verit che sono indimostrabili. Come
la verit storica, per esempio.
Personalmente preferisco quei personaggi che vivono alla giornata, che accettano
il confronto di contraddizioni e problemi dandone soluzioni immanenti, che hanno
tensioni pi che modelli cui riferirsi. Baudrillard dice che la modernit ha
trasformato la crisi in valore. E io ci credo.
(Sandro Lazier - 18/12/2001)
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