Esternazioni portoghesiane
 
  Oggi il 11/12/2007
Storia e Critica
Esternazioni portoghesiane
di Sandro Lazier
Paolo Portoghesi, sulle pagine dellAvvenire, non perde occasione per strapazzare quelli che dellarchitettura hanno una considerazione diversa dalla sua. In particolare quegli architetti che, nel rifiuto della dottrina di codici e regole grammaticali, finiscono secondo lui in un inutile quanto dannoso solipsismo creativo, tracotante al punto da implorarne lumiliazione [Architetti, meno mostri pi umilt] Lattacco chiaramente rivolto alle manifestazioni correnti della vincente modernit. Una modernit, secondo il mio trascurabile parere, talmente forte e persuasiva da essere non solamente propositiva di modelli ideali ma certa della propria concretezza etica. Un avversario troppo duro e deciso anche per Paolo Portoghesi al quale, alla fine, terminati gli argomenti di sostanza, non resta che linvocazione e la generalizzazione psicologico-filosofica.
Il ricorso agli aspetti peggiori della filosofia segno di sconfitta dialettica, supplica di una tregua prima della totale disfatta. E pretendere e prendere tempo quando i fatti e gli eventi lo negano.
Ma non una novit. Molta pratica del pensiero postmoderno ricorsa allartificio dellinganno. Ci si costruisce un nemico e gli si d le caratteristiche del perdente o del balordo. Lo si descrive e lo si raffigura con i tratti che meglio dispongono al castigo e alla derisione. Quindi si bastona.
Ma storia vecchia. Ricordo bene come i postmoderni dellarchitettura deformavano la modernit negli anni dello storicismo imperante, figurandola in modo caricaturale nel costume stilizzato della banalit funzionalista, in un paese, lItalia, nel quale la limpidezza del razionalismo internazionale fu messa in discussione ancor prima di muovere i primi passi.
Il razionalismo fascista italiano fu sporco di storia e di tradizione fin dalla nascita. Mai ebbe ambizione sovrastorica e mai amb alla purezza formale. Il razionalismo di Terragni fu concepito in forma critica e assillante e richiam un problema cerebrale prima che sociale e politico. In esso nessuna promessa di liberatorio riscatto ma tracce e germi di una contaminazione storica autenticamente popolare, mirata allindividuo pi che al corpo sociale. Infine le crisi e le riflessioni di un dopoguerra entusiastico nella foriera problematicit delle sue correnti.
Quindi, caro Portoghesi, nessun denominatore comune nella complessa vicenda italiana che possa motivare una qualche pretesa di superamento. Solo una riduzione arbitraria del moderno pu causare la definizione arbitraria di postmoderno, ovviamente nella logica storicista del sorpasso senza principio.
La vicenda italiana non pare essere cos lineare e scontata, cos fatalmente dialettica e positiva. Appare piuttosto problematica e controversa, facile da scansare con il ricorso al tradizionalismo, al folclore e alla retorica del bello; difficile da ridurre senza incorrere nella trappola del disegno e della rappresentazione di modelli astratti; penso impossibile da raccontare allinterno di una narrazione che trascuri la dislocazione temporale di fatti e personaggi, attuali forse oggi pi di ieri, in cui il concetto di superamento stride con quello che abbiamo di tempo e luogo.
Per finire, mi pare che lumilt necessaria coinvolga maggiormente chi ha volutamente falsificato gli avvenimenti ed i nessi che li hanno determinati, onorandoli della dignit del vero al solo scopo di trarne teorie che invece onorano la falsificazione, il relativismo e il disimpegno.
La prepotenza dei fatti artistici, delle passioni e sentimenti che procurano, non imputabile ai loro autori. Essi ne sono solo interpreti impegnati. Lumilt, rivolta alle persone, un tempo si chiedeva ai servi, ai sudditi e ai seguaci. Tutte figure di cui la modernit non ha il minimo bisogno.
Mancano invece prepotenti italiani veri, autentici, che abbiano misura della dote nei fatti e nei progetti pi che nel collante che li tiene fermamente seduti sulle poltrone del prestigio e del privilegio. Privilegio che non tollera larroganza di un idea libera ed emancipata dal sovraccarico di melassa passatista vittima di un concetto ambiguo di cultura. La cultura del fare naturalmente pi arrogante di quella del sapere semplicemente perch propone fatti anzich interpretarli.
Sempre che P. Portoghesi ce lo consenta senza tirare in ballo le virt cardinali.
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  8/12/2001
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