Koolhaas-Zen e Prada-Koolhaas-Herzog & De Meuron, e Fuksas.
di Sandro Lazier
- 11/7/2001
Forse sono troppo giovane e quindi maldestro, o
forse troppo vecchio e quindi sprezzante. Ma sono.
Francesca Pagnoncelli potrebbe avere ragione: "si faccia, perdio!
Purché si faccia.
Vengano i Prada ed i Fuksas mediatici: sarà un bene per l'architettura."
Personalmente, proprio perché sono, ho qualche perplessità.
1 - C'è la possibilità
che senza un progetto strategico generale, chiaro e dichiarato, aumenti
solo la confusione in un paese già molto confuso. E' noto, infatti,
che il Ministero dei Beni Culturali finanzia i restauri con i proventi
del gioco. Paradossalmente, non essendo io giocatore, come cittadino sono
di fatto escluso dalla categoria dei filantropi. Se dipendesse soltanto
da me, i monumenti probabilmente crollerebbero e allora, come cittadino,
mi sentirei in dovere di giocare.
Analogamente e per assurdo, se l'architettura dovesse tirare avanti mediante
l'imposizione di una tassa sulla prostituzione, come cultore e amante
della materia dovrei dedicare tempo ed energie ad uno svago che non ho
in grande considerazione. Tra l'altro ho una figlia e immaginare di darle
un futuro nel campo dell'architettura mi darebbe qualche pensiero.
Sono questi pensieri bigotti? Francamente non lo so. Ma sono sicuramente
meglio di un generalizzato e disinvolto chissenefrega.
Purtroppo non riesco a disgiungere l'architettura dalle sue implicazioni
sociali. Mi piace pensare che serva all'umanità, che non sia fine
a sé stessa, che ci racconti gli uomini e la loro condizione. Per
questo mi piace anche pensare che dietro una grande architettura ci sia
sempre un grande uomo, con un grande racconto, con una grande tensione
morale. Senza questa la società e la vita sono niente. Quindi,
senza questa, l'architettura è niente.
2 -Non bisogna dimenticare
che il pittore Duchamp espose un cesso a New York in una galleria d'arte
moderna. Per l'arte fu una rivoluzione. Significato: l'esperienza estetica
che si fa dell'arte può non essere riconducibile all'oggetto in
sé ma alla situazione che questo viene a determinare. L'identico
cesso in una discarica non ha stesso significato che esibito in un luogo
preposto alla contemplazione.
Koolhaas allo Zen, come propone Paolo Ferrara, non ha pari significato
di Koolhaas da Prada. Koolhaas fine a se stesso non ha, quindi, per noi
molta importanza. Dove, con chi si relaziona, che racconto ne nasce, solo
questo ci interessa culturalmente e socialmente.
3 -T. Adorno scrisse
molto in relazione all'arte e alle sue implicazioni sociali. Stabilì
un nesso tra il potere dominante e l'industria culturale che ne discende.
Questa figlia e serva di quella. La condizione dell'arte, da questo punto
di vista, è condizione tragica e l'artista è tale solo se
diverso, contro, fuori. Stare fuori significa vedere ciò che chi
è all'interno non può e non vuole vedere. L'arte e la cultura
sono quindi coscienza critica di una società. La coscienza sta
in noi ma è fuori di noi, ci critica e ci costringe a scegliere.
Scegliere è vivere perché non si vive se non si sceglie.
Ma scegliere è crisi, sempre, e quindi la crisi, il conflitto,
sono il motore della vita, dell'arte, dell'architettura. Per questa ragione
le società non vivono senza crisi e senza cultura.
L'incisività della cultura, e dell'arte in particolare, non credo
possa contare sugli strumenti mediatici del potere economico. Questo,
nel modo più assoluto, non può tollerare al suo interno
agenti di disagio, malessere, inquietudine e smarrimento. Sarebbe controproducente,
per la cultura e per l'economia.
E' bene che ognuno faccia la sua parte.
(Sandro Lazier
- 11/7/2001)
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