Novi Ligure e l'architettura
di Sandro Lazier
- 30/4/2001
Sulla vicenda del delitto di Novi Ligure si è detto di tutto. Si
sono cercate responsabilità ovunque e pare che tutti gli aspetti
che determinano il significato che attribuiamo a ciò che comunemente
definiamo "società" abbiano avuto parte nell'impulso
omicida. Meno l'architettura. Eppure, cosa vi è di più tangibile
socialmente del posto dove si vive? Non credo che esistano o esisteranno mai teorie in grado
di dimostrare che l'architettura possa evitare gli omicidi. Ma è
comunque bello e importante crederci.
Per condividere l'articolo:
Per questa ragione mi sono chiesto: se questa ragazza avesse abitato uno
spazio diverso, un luogo diverso; se invece di essere irregimentata in
una rilassante villetta a schiera avesse avuto la possibilità di
abitare con più stimoli, libertà e fantasia, fuori da una
geometria banale che nega l'intelligenza, sciolta dalle restrizioni della
tradizione costruttiva e dalle altre mille balle che purtroppo determinano
l'impianto di città e cittadine di provincia, avrebbe agito diversamente?
Ho ritrovato qualche riflessione in questo scritto:
<
Con un minimo di ragionevolezza è facile dimostrare che senza vita
psicologica si condannano gli esseri ad una condizione vegetativa nella
quale l'esistenza rappresenta esclusivamente un evento fisiologico. Il
riferimento alla pretesa superiorità morale della scienza medica,
per esempio, è rappresentativo di una credenza molto diffusa che
avvalora la tesi che ho appena esposto. Così come la penuria o
l'assenza di elementi necessari determina la malattia fisica, la penuria
o l'assenza di desideri produce la depressione psicologica il cui limite
estremo porta al sacrificio della stessa vita.
E' possibile comprendere l'atto omicida o suicida unicamente in considerazione
della variante psicologica; è grottescamente stupido eludere la
manifesta contraddizione, riguardo la pretesa priorità della vita
fisica su quella psichica, attribuendo alla follia la negazione di una
scelta volontaria.
Omicidio e suicidio sono atti veri nel senso che sono fortemente connessi
con la volontà e, quindi, con il desiderio. Non ha senso celebrare
la vita fisica quando quella psichica ne chiede la condanna: il desiderio
è dunque fondamentale quanto la necessità e, da questo punto
di vista, un artista è importante quanto uno scienziato.
Purtroppo, il dominio del desiderio è vasto ed articolato quanto
quello della necessità. Per necessità si compiono atti scellerati,
ma questo è il prezzo della sopravvivenza e, solitamente, si ha
tendenza a valutarne le attenuanti. Per desiderio si compiono atti molto
meno gravi ma pochi hanno giustificazione per i loro autori. Malgrado
l'ubiquità del bene e del male, la determinazione con cui si mortificano
i desideri non ha paragone nel mondo della compatita necessità.
Sembra, anzi, che la massima espressione della durezza umana risieda nel
disprezzo del desiderio e della volontà altrui, giustificando moralmente
tale atteggiamento con argomenti del tipo che ho appena esposto. Nella
gerarchia dei valori socialmente riconosciuti il desiderio non ha la stessa
importanza che riveste tra i valori dell'individuo e produce nell'opinione
comune un superficiale consenso per ogni formula ideale che ne giustifichi
socialmente e necessariamente la presenza. E' questo un vero pregiudizio
il cui uso demagogico è alibi per coloro che dispongono di un minimo
di potere. Essi abusano della loro condizione tiranneggiando e mortificando
i desideri di chi è incapace di difendersi.
In linea teorica, il tiranno è colui che impone i propri desideri
mediante la negazione di quelli altrui, consapevole della forte connessione
semantica tra desiderio, volontà e libertà, e cosciente
degli effetti totalizzanti che produce l'alterazione di uno solo di questi
valori. Ho detto in linea teorica perch, credo, siano molti i
tiranni ma pochi coloro che sanno di esserlo. Molti altri vorrebbero esserlo
ma non ne hanno la possibilità.
Sono sicuro che nessuno in buona fede trovi ragionevole la tirannia, anche
se a volte la chiede. La storia, infatti, è anche cronaca del travagliato
cammino attraverso il quale gli uomini hanno continuamente combattuto
l'arbitrio di un dittatore che negava loro il desiderio di rappresentare
comunque la propria esistenza.
Fortunatamente, chi come me è nato negli ultimi cinquant'anni,
non ha memoria diretta della guerra, delle sue folli atrocità e
difficilmente se ne dà una ragione. Certamente, se il desiderio
di libertà è forte al punto da offrire in sacrificio la
propria esistenza, conviene vigilare affinch nessuno abbia la
possibilità di ricreare una condizione dagli effetti così
rovinosi. Per questo motivo è indispensabile che ognuno vigili,
denunci e combatta ogni forma di arbitrio o sopruso di cui non sempre
è facile individuare la sede pur percependone la presenza.
Personalmente, credo per natura, ho la dote di cogliere il significato
dei segni e il loro rapporto diretto con l'animo umano. E' difficile misurare
la sincerità di un individuo esclusivamente dalle sue parole, ma
è molto facile scoprirla dai suoi gesti e dalle sue ambizioni,
purch si sappiano leggere i segni con cui egli si rappresenta.
Quindi, trovo relativamente semplice, sfogliando il grande libro dei segni
dell'architettura, la lettura di certa disponibilità al monumentalismo,
all'imponenza, al peso, all'omaggio per l'immobilità simmetrica,
alla negazione della relatività del tempo e delle cose, ai valori
assoluti e, soprattutto, all'idealismo storicista e alla verità
imposta dall'alto. Ma il peccato peggiore sta nell'incapacità comune
di rendersi conto del dispotismo latente dipinto sulle facciate di queste
case, del forte desiderio di ordine che questa nuova forma di accademismo
decadente contiene nell'estrema semplificazione dei messaggi architettonici.
Semplicità e ordine sono il contenuto demagogico entro il quale
si cerca il consenso autoritario. Per questo motivo il disordine ed il
caos sono ostinatamente paventati e la necessità di argini e difese
giustifica l'adozione di regole insensate, sempre più severe e
mortificanti, persino assurde quando hanno la pretesa d'imporre un codice
dialettale.
La vita sarebbe migliore se tutti fossero convinti che senza un minimo
di disordine non sarebbe possibile la sopravvivenza e che il troppo ordine
vincolerebbe le strutture fino alla staticità ed alla conseguente
morte. Io credo che saremo condannati alla piacevole convivenza con il
disordine e con il caos e questa nuova dimensione, malgrado strida con
secoli di pregiudizio culturale, è possibile sopportare esclusivamente
con una grande dote di tolleranza. La tolleranza, in fondo, è il
fondamento di ogni democrazia e dovrebbe abitare in primo luogo fra coloro
che hanno dovere di rappresentarla. Da parte mia tollero le stupidaggini
di cui mi sento critico spietato perch non mi permetterei mai
di proibirne l'esistenza, così come non potrei proibire a qualcuno
di indossare abiti per me insignificanti, se lo desidera. D'altronde,
ognuno è responsabile delle proprie scelte. Ciò che mi turba,
in effetti, è la constatazione che la disponibilità alla
tolleranza verso espressioni culturali "diverse" non trova stessa
accoglienza in situazioni indenni da qualunque tipologia idealistica e
che sono, al contrario, il ricco ed organico territorio della spontaneità
creativa, il cui fiorire rappresenta l'unica possibilità capace
di dare soluzioni strategicamente compatibili con la complessità
della vita umana. Per memoria, quando c'è accademismo, c'è
sempre puzza di censura e l'unica ragione che può sorreggere l'ostinazione
di un censore è il fanatismo con cui persegue la sua verità
assoluta. Oppure, peggio, nei rari momenti in cui il dubbio ammorbidisce
l'accanimento, egli mostra disponibilità a mercanteggiare concedendo
una parte di ciò che non condivide senza rendersi conto che, in
tal modo, stravolge originalità e significato e sprofonda ogni
possibilità creativa nel buio della banalità. La stessa
banalità che leggo nello scatolame più o meno infiorettato
che costituisce la nuova periferia delle nostre città, la stessa
che ha permesso scatoloni con vetri, a strisce oppure stravagantemente
interrati che ricordano molto un sacrario in cui seppellire i desideri
e la libertà delle persone.>>
(Sandro Lazier
- 30/4/2001)
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