Mosco colpisce ancora
di Sandro Lazier
- 30/1/2014
Valerio Paolo Mosco deve avere una particolare affezione per
Bruno Zevi. Non riesce fare a meno di lui nemmeno quando non il caso di
scomodarlo. Lo aveva citato qui
nel mese di luglio 2013. Lo ha fatto ancora, recentemente in un articolo apparso
su ZeroUndici+ dal titolo Not-quite-architecture
dedicato alla recensione di alcuni lavori
di Elasticospa, studio darchitettura torinese particolarmente
attivo e vivace.
Riesce a citarlo in negativo per promuovere alcune
architetture recenti che personalmente sembra apprezzare ma, secondo me, senza capirne
veramente la ragione, facendo una grande confusione tra intenzione ed esito
dellarchitettura, scambiando il vocabolario con il linguaggio.
Ho avuto la fortuna di confrontarmi, come architetto, alcune
volte con Bruno Zevi, quindi credo di poterne parlare con coscienza di causa e,
soprattutto, con la conoscenza delle poche cose che ho afferrato con certezza del
suo insegnamento, tra le tante che la qualit del personaggio era in grado dindagare
e studiare, spesso confondendo interlocutori sicuramente molto pi preparati di
me.
Un giorno inviai a Roma, in via Nomentana
150, alcuni schizzi che, secondo me, accoglievano con linguaggio decisamente
espressivo tutto quel carico emozionale e irriverente che credevo essere un
condensato delle sue tensioni ideali. Mi avevano ispirato gli stessi
ragionamenti e le stesse argomentazioni, tra il sociologismo e lo psicologismo,
tra il vernacolo e il citazionismo, che Mosco usa in questo testo critico per
timbrare alcune opere che recensisce come zeviane. Grazie
al trasporto che avevo fatto mio e che mi proveniva da una lettura appassionata
dei testi zeviani, confidavo ingenuamente in un
consenso quasi scontato.
La risposta di Zevi fu: ma lo
spazio, dov? Risposta che demol ogni mia certezza e rimise in gioco ogni
mia concezione.
Il fondamento della teoria zeviana,
imparai allora e decisi di mai pi scordarlo, lo spazio.
Senza questo presupposto non pu esserci giudizio sulla sua
teoria critica e non si possono bollare come zeviane
architetture che negano la spazialit in favore di concetti anche inusuali o
innovativi, come il non finito o lutilizzo irriverente di qualche materiale considerato
scadente.
Senza valore spaziale, senza poetica spaziale, non c
architettura.
Se faccio esperienza di uno spazio complesso, vibrante, intenso,
non ho necessit di dettagli ricercati o materiali o effetti particolari.
Questi concorrono, a volte danno senso, come la punteggiatura in un testo
scritto, ma non reggono da soli il racconto. Solo se larchitettura muta, banale,
senza spazio, solo allora avr necessit di dettagli e materiali con forte personalit per destare
un qualche interesse.
Detto questo, vorrei dibattere gli argomenti essenziali del
giudizio di Mosco.
Dice Mosco: ELASTICOSPA
sono zeviani in quanto seguono i dettami di Zevi.
Nellordine: la ricerca di un linguaggio basato sulla dissonanza, sulla
tridimensionalit antiprospettica, sul coinvolgimento strutturale nellimmagine
delledificio, sulla temporalizzazione dello
spazio, sulla reintegrazione edificio/citt/territorio e per ultimo (elemento
essenziale della poetica di ELASTICOSPA) sulla integrazione tra il linguaggio
parlato, spontaneo e dal basso e quello alto
Secondo Mosco i progetti recensiti, dei quali non entro nel
merito, sono zeviani in quanto adotterebbero i suoi
dettami: le invarianti.
Lo ribadisco per lennesima volta, Zevi non ha mai dettato
nulla. Le invarianti zeviane sono ricavate da tremila
anni di storia e servono esclusivamente a leggere le architetture secondo una
nuova prospettiva. Solo una concezione banale della teoria porta qualcuno a
confondere e rendere equivalenti atti che non lo sono. Leggere e scrivere non
sono atti simmetrici. Ci che serve per leggere non necessariamente ci di
cui abbiamo bisogno per scrivere. In fondo, si legge con gli occhi e si scrive
con le mani, operazioni neurologicamente ben
distanti.
Io fatico a credere che i costruttori delle le caverne
preistoriche o dei trulli o dei nuraghe seguissero i dettami zeviani. Le invarianti
sono chiavi di lettura, non sono un
manuale di pronto uso. Tanto vero che Zevi promosse il manuale
dellarchitetto nel classico modo ottocentesco: un elenco di soluzioni
funzionali, senza nessun accenno al linguaggio. Zevi sapeva benissimo, in
quanto antiaccademico, anticlassico e antimonumentale, che non esistono regole
per produrre poesia.
Continua Mosco: Nel
rutilante e catturante scrivere di Zevi si attratti dallappello nei
confronti della libert espressiva, nei confronti della fiducia che il singolo,
lautore, sia capace di tenere insieme questi precetti. Leggendo Zevi,
possibilmente emendandolo dalla deriva reazionaria (ha sempre bisogno di un
avversario verso cui reagire)
Trovare nella stessa frase lesaltazione di Zevi in favore della
libert espressiva e laccusa dessere egli stesso preda duna deriva reazionaria
non ha molto senso. A meno che, per Mosco, reazione e libert espressiva stiano
dalla stessa parte.
Zevi non reagiva. Zevi agiva. Non aveva bisogno di avversari
semplicemente perch lui era lavversario di tutto il circo equestre della
cultura universitaria, proprio per le sue aperture liberali anche rispetto alla
creativit formale. Il che metteva in ginocchio lautorevolezza di un sistema accademico
fondato sul castigo del disegno architettonico.
Ma come accade spesso
al liberalismo radicale il pensiero di Zevi ha subito una torsione al negativo
di cui il primo artefice stato il suo stesso autore.
Zevi artefice di una torsione al negativo del proprio
liberalismo radicale? Non si capisce di cosa parli Mosco. Zevi, tranne alcune
rarit di poco peso, non ha mai
costruito, come poteva essere artefice del proprio fallimento? Neppure si mai
contraddetto e non ha mai rinnegato nulla fino alla fine, anzi! Di che torsione
al negativo stiamo parlando?
Se parliamo di postmoderno siamo tutti daccordo, ma Zevi
non centra nulla. Se parliamo dincapaci che scimmiottano, allora bene, la storia ne piena. Il talento
non si insegna. Quindi dovremmo sopprimerlo o castigarlo perch qualcuno,
pensando illusoriamente di possederlo, potrebbe abusarne?
Siamo un paese strano. Gli stranieri vengono da noi per le
opere dei nostri grandi talenti del passato e, nelle scuole, facciamo di tutto
per castigare quelli futuri.
Tradotto in altri
termini: ben pochi possono essere zeviani.
Per Zevi larchitettura, la grande architettura, nelle
condizioni culturalmente ingessate del nostro paese, era e rimane un atto
eroico. E di eroi, si sa, non se ne incontrano molti.
in quanto hanno
introiettato nel loro lavoro gli anticorpi per evitare le derive zeviane. Il primo degli anticorpi la coscienza che non
basta un impianto generale delloggetto architettonico libero, anti-scatolare
ed espressionista per dar vita ad una buona architettura. La libert di
configurazione generale infatti va bilanciata con una attenzione al dettaglio,
alla scala minuta; in definitiva la narrativit del
generale deve trovare un adeguato rispecchiamento in quella del particolare ed
proprio in questo rispecchiamento che si gioca la qualit dellarchitettura
organica.
La qualit dellarchitettura organica sta proprio nel
contrario della scala minuta. Sta nella scala territoriale. Nella scala del
paesaggio. Chi se ne importa del particolare fine a se stesso o, peggio, di quando
si affida solo al dettaglio e alla finitura tutto il racconto dellarchitettura.
Ben venga la deriva zeviana se
ci emancipa dal bricolage, dalla sartoria e dalla cosmesi. Vogliamo parole
grezze ma sature di vita. Vogliamo parole che muovano il mondo soprattutto con
la forza dei sentimenti e della poesia. Vogliamo frasi disturbate e parole volgari,
che dicano che vogliamo vivere senza dover aspettare educatamente di poter
alzare il ditino per dire una stronzata che non d fastidio a nessuno. Abbiamo
nausea di dettagli esasperati, delicate parole ricercate per dire banalit smisurate.
Larchitettura, in quanto arte pubblica, ha il dovere di mostrare meglio delle
altre la realt per come , indagandola in profondit nella sua crudezza, senza
il galateo imposto dal conformismo prezzolato di quella che un tempo veniva
chiamata industria culturale di stato.
Il punto
essenziale. Come sappiamo gran parte di quella che Zevi chiamava con disprezzo
architettura accademica si fonda su due precetti che risalgono a Leon
Battista Alberti: quello della finitio, per cui la forma deve essere conclusa, e quello del nihil addi, secondo il quale nulla sarebbe potuto
essere aggiunto ad unopera di qualit senza turbarne leffetto generale e
conseguentemente la qualit. Ci evidente nella architettura prescrittiva
degli ordini pre-moderni o per il classicismo in
generale, ma lo anche per larchitettura empirica e narrativa o organica che
dir si voglia, anche se questa non ha regole prescrittive scritte ma per cos
dire se le guadagna volta per volta sul campo. Viene in mente allora Frank
Lloyd Wright: nelle migliori opere (personalmente preferisco del suo regesto le Usonian Houses)
rispettata una finitio, come anche
rispettato il nihil addi.
Ebbene, qui Mosco la spara grossa. Sostenere che le
architetture di Wright sono finite, chiuse, compiute, alle quali non
possibile aggiungere o togliere nulla senza alterare linsieme spararla
talmente grossa che sa di battuta.
La teorizzazione pi evoluta dellarchitettura organica,
tema notoriamente caro al nostro autore americano, la geometria frattale. Un processo
creativo espresso mediante un algoritmo che non ha inizio e non ha fine. Esso
pu crescere allinfinito e ridursi allinfinito. Pare che Wright, preso dalla foga
creativa, aggiungesse fogli quando, giunto al limite di quello su cui stava
lavorando, avesse necessit di continuare il disegno. Non conosceva limiti a
priori e, quindi, non governava il progetto aprioristicamente ma durante la sua
realizzazione. Questa si chiama progettazione aperta, che d origine a progetti
aperti, senza confini compositivi; progetti che possono crescere o ridursi a
piacere, secondo la sensibilit e la mano dellautore. Lunico aspetto geometrico
sempre controllato la scala, perch ogni spazio progettato risponde solo alla
scala umana e larticolazione degli elementi compositivi non alterano mai il
rapporto di scala complessivo delledificio, nella percezione dinsieme dei
suoi abitanti. Larchitettura organica non ha niente a che fare con il
controllo della composizione del disegno, tipico invece della progettazione
classica, ma adatta le sue geometrie al momento, alluomo, alla sua vita e al
contesto naturale in cui questa avviene. Il disegno un utile strumento di
comunicazione ma non mai larchitettura. Nellarchitettura organica lo spazio
non mai prigioniero del disegno.
Tralascerei di commentare un frammento sullarchitettura
spontanea che mi pare irrilevante e verrei alla parte finale del testo di
Mosco.
Dopo un elogio dellirrequietezza e dellinquietudine
formale che ha accompagnato, secondo Mosco, le migliori architetture degli
ultimi ventanni (vedo in questa descrizione un architetto in preda a disagio,
un po incazzato con la vita, che riesce anche ad imprecare, ma niente bestemmie,
parolacce e dita nel naso che non vanno bene) sentenzia:
Bruno Zevi aspirava a
quella che in un suo editoriale chiamava not quite architecture, ma aim specialmente nel suo ultimo
periodo, quello dellinfausto Manifesto di Modena in cui sposava il
decostruttivismo, la sua irrequietezza era diventa scompostezza gratuita, compulsione formale, esibizionismo plastico.
Io cero. Vi giuro che al congresso di Modena io cero.
Mosco non lo ricordo.
Per farla breve, Zevi a Modena ci disse che, come architetti,
potevamo dire parolacce liberamente e metterci le dita nel naso; purch lo
facessimo con poesia e con stile, perch
larchitettura la nostra vita e la vita soprattutto una battaglia per la
libert e per la felicit che la realizzazione di questa comporta. Se questa la
meta, essere scomposto, compulsivo ed esibizionista per me diventano virt.
(Sandro Lazier
- 30/1/2014)
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Commento 12767 di renzo marrucci del 31/01/2014
Al lungo scritto di Lazier faccio due battute soltanto: gli eroi ci sono, ci sono... ma possono essere benissimo sopraffatti cos che non paiono degli eroi ma poveri uomini. Finiscono nel tritacarne della politica e della stupidit. Oggi non si muore con la bandiera in pugno, si muore e basta... e qualcuno pu anche non saperlo.
Il disegno pi che mai un fondamentale strumento per un architetto ma questo deve essere inteso non alla maniera della forma, cio di uno strumento per finire e per rappresentare la forma, ossia alla vecchia maniera. Il disegno il vero modo per capire lo spazio e la spazialit se usato con il cuore e con il cervello. Ci fa vedere le cose nello spazio e impariamo a vederlo, a pensarlo, ad amarlo ... sicch l'architettura nasce davvero con il cuore dell'uomo e porta amore... nella citt.
La mancanza dell'insegnamento alto del disegno nelle scuole italiane ha interrotto, cio non ha favorito lo sviluppo di una maniera di pensare l'architettura con il cuore e con il cervello. Viene purtroppo capito ed insegnato al modo vecchio e accademico... e non va bene neanche per la pittura... si usa sempre alla stessa maniera ottocentesca... in modo acritico e piatto, e allora non serve a nulla e va bene anche il solo computer che di fatto sostituisce ma non sostituisce proprio nulla e aumenta il baratro....
Dispiace fermarmi ma credo che questi due punti siano eccezionalmente importanti. grazie Lazier...
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