Quando sento parlare di cultura...
di Sandro Lazier
- 14/6/2013
Quando sento qualcuno parlare di cultura, la mano mi corre alla pistola.
(La frase, attribuita sia a Gring, che a Himmler o a Goebbels come garanzia del disprezzo dei nazisti per gli intellettuali, in effetti tratta da un dramma dedicato da Hanns Johst, un intellettuale tedesco molto colto, a Leo Schlageter, un ufficiale fucilato dai francesi nel 1923, durante l'occupazione della Ruhr.)
Cultura, per quelli che scrivono di professione, concetto che riempie la bocca e al quale sovente si ricorre per aggiustare situazioni intellettualmente irrisolte; un po come avviene con lutilizzo della fioriera per gli architetti profani che, quando non sanno come venir fuori da un nodo complicato, ci mettono una bella vasca fiorita; come il tubetto di silicone per gli incidenti degli idraulici. Pare che ogni categoria abbia la sua ciambella di salvataggio per le situazioni difficili.
Per gli intellettuali, o sedicenti tali, la parola cultura ha questa funzione principalmente antalgica.
Gioved 30 maggio, ospite di una trasmissione televisiva condotta dal quel noto radicale di sinistra che Michele Santoro, il vategag di destra Vittorio Sgarbi - cos lo aveva definito Ugo Rosa in un esilarante ritratto su questo giornale - prt--penser a buon prezzo dellitalietta cialtrona, della parola cultura ce ne ha fornito invece una versione flogistica, sfacciatamente infiammatoria, farneticamente reazionaria.
Questo gigante della sottocultura, dritto in punta di piedi sul suo borioso eruditismo, convinto com che il sapere sia un problema essenzialmente patrimoniale - per cui occorre innanzitutto possederlo, tanto che un CD da 16 euro, in fondo, ne pu sicuramente possedere pi di lui - ci ha mostrato come la disonest intellettuale possa tranquillamente salire sul palcoscenico mediatico nel massimo disprezzo proprio della cultura e del suo significato costruttivo.
Per sostenere unassurda tesi tendente a legittimare la falsificazione storica negli interventi di restauro, questo interprete della peggiore caricatura dello storicismo, ci mostra pale eoliche sullo sfondo di un castello medievale. Che si debba tutelare il paesaggio cosa sacrosanta, ma cosa centrano i mulini a vento con la ricostruzione dellAquila lo sa solo lui. Oppure, a proposito dellinsignificante gazebo provvisorio sotto il campanile di Piazza San Marco a Venezia, indicato con feroce enfasi come prova dincivilt, che rapporto esso ha con la ricostruzione?
E poi di quale civilt parla questa macchietta del sapere?
La trivialit degli argomenti che usa tale che la liturgia con cui egli urla bestemmie, sentenze e insulti, per chi ha ancora un minimo di realismo esistenziale, assurge a indegna celebrazione del degrado sociale e culturale che buona parte di questo paese ha raggiunto, ben oltre lincivilt.
Un degrado che ha la sua origine principalmente con lesaltazione del regionalismo, del localismo e delle teorie che ne hanno giustificato per trentanni le peggiori devastazioni estetiche e morali. Teorie poggiate su istinti inferiori, come la paura della diversit e della perdita dunidentit mistificata da una memoria mortificata dallenfasi, hanno preso il posto degli ideali universali che attribuiscono allarte il suo primato culturale e, grazie a questo, ne giustificano il privilegio. Larte, unica tutrice di quella bellezza che tutti reclamano a gran voce, se ridotta a semplice ornamento della vita non pu che espellere dal proprio ambito tutte le manifestazioni contemporanee che, al contrario, invocano e reclamano non regole ma eccezioni e diversit.
In architettura, ormai, di poesia non c pi neanche lombra.
In Italia, negli ultimi trentanni, abbiamo lasciato crescere lidea che la cultura non fosse cosa diversa dalla mistificazione, ed in questidea qualcuno ha nutrito la convinzione che il futuro fosse linvenzione dun passato da ripetere, pi o meno dovera e comera, come sostengono tuttora i molti nostalgici che ancora occupano cattedre importanti e poltrone politiche.
Anche coloro i quali, pi sensibili, intuivano le ragioni del cambiamento, e che pertanto sarebbero stati disposti al rischio che questo comportava e cambiare nellera dellinformatica non vuol dire superare ma aggiungere infettati dal virus di una storicit a buon mercato, si sono perduti in un inutile concettualismo, il pi delle volte onanisticamente sterile, obbligando la ricerca ad adottare altrove i propri ascendenti operativi.
Cosa rimane, infatti, della grande riflessione sulleredit della storia e della sua interpretazione? Solo una serie scadente di recinti regionali in cui raccogliere, come in un giardino zoologico, esemplari catalogati per affinit tipologiche per utenti di bocca buona, lombrosiane alchimie per ridurre larchitettura ad una sorta di manuale o di catalogo illustrato.
Rimane unarchitettura ormai priva di tensioni poetiche, disciplinata e rinchiusa dentro le formule di un rigido formalismo giuridico e normativo che uccide ogni speranza di metamorfosi creativa.
Commissioni istituzionali asservite ai politici praticanti, che riguardino il paesaggio o larchitettura, sono il completamento di quel disegno paranoico che la politica ha messo in atto negli ultimi decenni, organizzando il mondo reale con il fine di asservirlo alle proprie rendite di potere e privilegio. Senza nessun interesse per lideale principe che dovrebbe guidarla, la politica ha spremuto ogni risorsa per comprare un consenso di massa che ha nella mediocrit il proprio culmine statistico, banalizzando e disprezzando - con la ferocia verbale degli Sgarbi di turno o con il supponente autoritarismo dellaccademismo di stile Gregottiano tutti quei tentativi di autentica libert creativa che sono la coscienza vivente di ogni societ e che richiedono come unico metro di giudizio il loro portato poetico, non certamente la loro assimilabilit a qualche teoria pretestuosamente retorica.
Di questa disfatta artistica che riguarda larchitettura italiana responsabile tutta la politica, senza distinzione. Nella sua infinita saggezza, infatti, il buon Dio ha messo un coglione a destra e uno a sinistra. Basta partecipare alla visione di uno dei tanti talk show televisivi per averne la prova certa.
La domanda ora : come se ne esce?
Nel mondo dei sogni questuscita passerebbe da pochi punti essenziali:
- liberare le universit da chi culturalmente responsabile o complice di questa condizione nefasta, riportando il dibattito sullarchitettura nel mondo della progettazione operativa e non in quello del suo metafisico presupposto teorico;
- congedare definitivamente commissioni e organi giudicanti i quali, privi di responsabilit personale - e quindi penale - vengono investiti dalla politica di un potere di censura che nessuna persona fisica o giuridica avrebbe larroganza intellettuale di praticare individualmente, assumendosene cos la responsabilit intellettuale e morale;
- liberare la professione dal vincolo dellappartenenza ad un ordine disciplinare che non ha nessuna ragione per raccogliere obbligatoriamente al proprio interno le pi diverse anime, spesso contraddittorie, che popolano il mondo dellarchitettura. Un mondo costituito per la maggior parte da tecnici che poco hanno a che fare con laspetto propriamente creativo e artistico della materia.
Questo nel mondo dei sogni, che fatto, appunto, di sogni.
Nel mondo reale non ci rimane che la speranza che le menti pi libere, aperte, poetiche che ancora, io credo, esistano in questo paese, trovino il modo di essere finalmente rappresentate nei posti che contano e che una societ sana dovrebbe riservare loro mettendo a disposizione quelle poche risorse che ancora ci rimangono.
Non basta finanziare la cultura in modo generico. Bisogna scegliere quale finanziare, perch dietro questa parola si sono infilati praticamente tutti, organizzati in fantasiose categorie mentali, escludendo i pi isolati che di solito sono i poeti.
(Sandro Lazier
- 14/6/2013)
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