L'indegna sorte dun architetto patafisico
di Sandro Lazier
- 10/1/2013
notizia di questi giorni che allarchitetto Rem Koolhaas sia
stata affidata la
direzione della prossima biennale di Venezia 2014.
La mia prima reazione stata la sorpresa, che ha
repentinamente generato la
seguente domanda: com possibile che in tempi di
Savonarola le istituzioni
ingaggino il pi goliardo dei mercatisti
dellarchitettura contemporanea per
dirigerne levento degli eventi?
Una risposta me la sono data.
Secondo il mio modesto parere, linvestitura ne canonizza
definitivamente la
parabola teorica che, a partire dalla sua partecipazione del 1980 alla
biennale
di Portoghesi, madre di tutte le goliardate architettoniche successive,
per poi
passare al Leone dOro attribuitogli nel 2010, finalmente
arriva alla
celebrazione finale nel gran baraccone della cultura istituzionale
italiana,
sempre molto generoso nellelogio di chi ha smesso di
graffiare per non
rovinarsi lo smalto delle unghie.
Elogio, per questa sua particolare natura, evidentemente destinato alle
esequie
del pensiero architettonico ribelle del nostro nuovo direttore.
Detto questo, in virt duna chiamata in quella
che un tempo era ritenuta la
prima linea del contemporaneo e, soprattutto, al di fuori
delle polemiche sul
recente progetto per Prada al Fondaco dei Tedeschi - mi
sorta una curiosit
successiva.
Koolhaas concreta effettivamente nel suo lavoro di architetto le cose
che dice
di pensare? E, se no, quale definizione meglio ne descrive la postura
architettonica, resa oltremodo popolare dallazione dei
media, sponsorizzata
dalle grandi firme, adulata da giovani studenti e professori, riverita
dai
critici, soprattutto in Italia, per le sue ardite risposte progettuali?
La postmodernit
forse, mi chiedo e vi chiedo, Koolhaas un architetto postmoderno?
Sicuramente s! Nelle sue opere, bench rivolte
al superamento della coerenza
compositiva e del finalismo tipici del razionalismo moderno, pur
affrancandosi
dallo storicismo caricaturale che ha connotato la
postmodernit in versione
italica, comunque ricorso alla citazione e
allelenco per ri-assemblare
elementi architettonici noti, provenienti dalle avanguardie storiche
del
novecento, riducendone di fatto il portato ad una sorta di nuova
tradizione cui
attingere con disinvoltura.
Alla teoria postmoderna interessa solo il senso di
un testo, non la sua scrittura,
la quale deve fatalmente attingere ad un vocabolario formale
storicizzato.
E Koolhaas lavora esclusivamente sul senso.
Egli disarticola i volumi e ne corrompe la gerarchia. Ma sono volumi
sempre
conclusi, di cui preserva lintegrit
perch conservino una precisa
connotazione; li contrappone, li buca, li spazia alterandone pause e
funzioni,
ma il fine sempre la ricerca di un senso, magari
differente, ma compiuto,
ottenuto con una scrittura neutra, volutamente senza firma. Un senso
esaltato
proprio dalla sua condizione apocrifa.
Secondo me, sicuramente no! Malgrado il riconoscimento in proposito
ottenuto
dal ben pi solido (teoricamente parlando) Peter Eisenman,
proprio lassenza
deliberata della scrittura che non ha emancipato
larchitettura di Koolhaas
dalla tirannia del senso. Limite, questo, che ha coinvolto lo stesso
Eisenman.
Occorre pertanto decostruire le parole dellarchitettura, che
sono volumi,
piani, spigoli, pareti, pilastri, bucature, trasparenze, tutte fondanti
certezze
della tradizione costruttiva, antica e moderna, e affidarle ad
unimmaginazione
altra, in cui necessario battersi tra forma e significato e scegliere se
portare
allestremo limite un formalismo o un semantismo,
in cui occorrer desemantizzare
larchitettura per cominciare a pensare
larchitettura stessa.
Per inciso, quella che ho appena descritto la condizione
dello scrittore di
letteratura, che pone la qualit letteraria sempre sopra la
trama dei suoi
romanzi. Un mestiere scarno e solitario, che costringe alla fatica del
tavolo
di lavoro, o del tecnigrafo se preferite, luogo incline pi
al mal di schiena
che ai luccicanti salotti dellarchitettura parlante.
Da un punto di vista rigorosamente progettuale, e credo sia questa, per
me, la
definizione pi appropriata, egli riflette a suo modo la
figura di uno
scienziato della patafisica Ipotetica. Definizione
che, come la definisce
Treccani, riguarda quella scienza delle soluzioni
immaginarie... che si
sovrappone alla metafisica che si
esprime in forme di ragionamento
capziose e paradossali e in un linguaggio festosamente dissacratorio.
Nellimpossibilit
di superare la metafisica, la si pu tranquillamente
cavalcare, campandoci
allegramente sopra molto agiatamente.
Indegna sorte, per uno come lui, finire la sua proficua parabola
eretica nella conversioneVeneziana.
Auguri, comunque, a Koolhaas e alla sua prossima biennale.
(Sandro Lazier - 10/1/2013)
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Commento 12089 di Paolo bettini del 11/01/2013
Caro Lazier, ho letto la sua incredibile, rancorosa, invidiosa tirata contro Koolhaas e la sua recente nomina a direttore della Biennale 2014. Sono in completo disaccordo con lei. Considero Koolhaas uno dei massimi architetti degli ultimi trent'anni, come d'altronde han riconosciuto le giurie che gli han dato il Pritzker nel 2000, il Praemium Imperiale nonch la Royal Gold Medal nel 2003 e il Jencks Award nel 2012, solo per citare qualcuna fra le innumerevoli onorificenze ricevute. Ho visitato molte sue opere, trovandole sempre della massima qualit progettuale, diverse una dall'altra, inventive, caratterizzate, complesse. Per quanto riguarda la Biennale, lo penso adattissimo a dirigerla, considerando i fondamentali contributi teorici che ha dato all'architettura; ma anche perch ricordo con gioia il delizioso film "Koolhaas HouseLife" girato nella casa di Bordeaux e presentato alla Biennale del 2008. Se tanto mi d tanto, alla Biennale del 2014 almeno non si creper dalla noia.
Tutti i commenti di Paolo bettini
11/1/2013 - Sandro Lazier risponde a Paolo bettini
Scusi Bettini, perch rancoroso, ho solo espresso il mio pensiero. E poi cosa centrano i premi?
Pritzker, nel 90, riuscito a premiare Aldo Rossi, lanno successivo Robert Venturi, sicuramente riconosciuti anche loro come appartenenti ai massimi architetti della fine del 900. Ma sicuramente non per me.
Persino per Bruno Zevi, al tempo, la loro architettura era considerata poco pi che una carnevalata. Anche Zevi era rancoroso? (a pensarci bene, lo era, ma solo con Portoghesi).
Credo, in questo articolo, daver messo in causa argomenti per dimostrare il limite teorico di questo architetto ed in particolare ho cercato dindicare i motivi della sua incapacit duscire dalla marmellata postmoderna, composta da un miscuglio dingredienti che vanno dalla psicologia alla sociologia, passando per lantropologia fino ad arrivare al marketing, il tutto dentro quel platonico spirito del tempo e delle cose che tutto giustifica e tutto confonde.
Se lei, Bettini, ritiene i miei argomenti sbagliati o inadeguati me li contesti punto a punto. Non la metta sulla lesa maest.
Commento 12091 di Paolo bettini del 12/01/2013
Mi arrendo: per cercare di convincerla - ovviamente senza riuscirci - che lei nel torto dovrei scrivere pagine su pagine e non ne ho n il tempo n la voglia. Non faccio il missionario. Se le piace, continui pure a credere che la Terra piatta, che i premi internazionali li d la Spectre, che esiste la "marmellata postmoderna" in cui Koolhaas sguazza con Venturi e Aldo Rossi, e magari con il Flying Spaghetti Monster E buon pro le faccia. Auguri!
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12/1/2013 - Sandro Lazier risponde a Paolo bettini
Mi spiace Bettini, ma non riesco a seguirla nel ragionamento.
Commento 12099 di gianni baietto del 13/01/2013
Non posso che essere d'accordo con Lazier. Non comprendo la ragione del commento "incredibile, rancorosa e invidiosa tirata contro Koolhaas". Personalmente condivido molti degli argomenti citati nell'articolo, tuttavia, a prescindere dal mio giudizio, non riconosco rancore e invidia nelle parole di Lazier... ho piuttosto l'impressione che si tratti di una stoccata a un idolo personale.
Un saluto.
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Commento 12101 di vilma torselli del 15/01/2013
Io esorterei Paolo Bettini a non arrendersi e a trovare il tempo e la voglia di "scrivere pagine su pagine" per mettere tutti quelli che seguono questo blog nella condizione di capire le sostenibili ragioni (se ci sono) alla base della sua boutade.
Gettare il sasso e nascondere la mano non solo sleale, ma pu apparire come un facile stratagemma per coprire una vuota voglia di polemica fine a s stessa.
Siamo tutti ansiosi, credo, di leggere e di capire il suo illuminato parere, per condividerlo, per confutarlo, per dibatterlo secondo le modalit pi consone ad un confronto produttivo ricco di argomentazioni e non di insulti.
Tutti i commenti di vilma torselli
Commento 12105 di f c del 20/01/2013
E' anche vero che c'entra poco il linguaggio ed il modus operandi di un architetto con la realizzazione di un esposizione. Anzi, nelle due ultime edizioni della Biennale l'esposizione di AMO ha riscosso grande successo (anche tra i non architetti, che comunque frequentano la Biennale) per affrontare temi come conservazione del patrimonio ("preservation" in kronokaos) e produzione di architettura da parte degli uffici tecnici dei comuni negli anni 60-70. Devo dire che non vedo traccia di ragionamenti paranoico-patafisico-paradossali in queste due esposizioni, ma contributi di gran lunga pi elaborati di chi presenta un progetto all'ultimo minuto perch CI DEVE ESSERE.
Credo che oggi il direttore sia impossibilitato a dare un "taglio" preciso alla mostra, ma al massimo possa aspirare ad avere 3-4 padiglioni interessanti e le restanti pareti zeppe di foto dei progetti pi disparati...ma infondo rispecchia in pieno il panorama architettonico odierno: per ogni 3-4 architetture di qualit ce ne sono almeno 100 super sponsorizzate ma destinate al dimenticatoio.
Tutti i commenti di f c
20/1/2013 - Sandro Lazier risponde a f c
Da dove ha dedotto che io ritenga Koolhaas un paranoico? ben vero lesatto contrario, ci mancherebbe!
Essere considerato uno scienziato della patafisica, di per s, non argomento offensivo.
Il paradosso, infine, credo sia larma retorica migliore che Koolhaas sappia usare con raffinata intelligenza.
Il punto un altro.
Secondo me, e questo, ripeto, solo il mio personalissimo parere, non in discussione lefficacia comunicativa delle sue teorie e dei suoi lavori. In questo, lui campione.
Io ne faccio un problema pi mirato alla scrittura delle sue architetture, non tanto al loro senso, o dissenso, o assenso, o controsenso.
La qualit della scrittura, per uno scrittore, un musicista, un architetto, non dipende tanto dalla trama o dal significato di ci che vuole comunicare, ma dal modo in cui sceglie e mette insieme le parole.
Koolhaas, e molti altri che si sono piantati in una sorta di moda decostruttivista dopo averne cavalcato la novit teorica, non hanno mai superato il muro del significato delle loro architetture, perci costrette ad usare sempre le stesse frasi che, una volta usate, un senso intrinseco nuovo lhanno gi ottenuto.
Koolhaas a Venezia sar sicuramente efficace. E lo sar sicuramente se continuer a riproporre se stesso, cos come vuole unistituzione che usa larchitettura come merce da proporre al consenso popolare, e valuta il successo in relazione al numero dei visitatori pi che sui contenuti di autentica novit di ci viene presentato.
Commento 12108 di f c del 21/01/2013
sul linguaggio architettonico di koolhaas concordo con lei..quando visitai per la prima volta la kunsthal mi chiesi il senso del far convergere in un angolo cemento, guaina bituminosa a vista, vetro e alluminio! Sicuramente la "musica" che suona non gli interessa che sia intonata..(si pensi all'ultima opera di taipei nata volutamente come un "addenda" di volumi dissonanti)
Tuttavia mi chiedo come questo possa influenzare la riuscita di un esposizione come la biennale. Non trovo dove sia il punto di convergenza: infondo la figura del direttore diventata essa stessa motivo di pubblicit alla biennale. (credo non ci sia stato un non Pritzker negli ultimi 10 anni)
Se (come preferirei) assegnassero il posto a qualche bravo direttore di rivista di settore, o a critici di livello, sicuramente l afflusso di visitatori sarebbe minore, perch farebbe meno audience. Se lei fosse un amministratore della Biennale a parit di spesa chi sceglierebbe?
Tutti i commenti di f c
21/1/2013 - Sandro Lazier risponde a f c
Dal nostro punto di vista, zeviano, il linguaggio architettonico riguarda lo spazio ben pi dei materiali che lo definiscono. I quattro materiali diversi che definiscono langolo, in verit lo contestano, anche in gradevole dissonanza, ma fondamentalmente non lo sopprimono. Rimane, secondo me, unoperazione di calligrafia che rende interessante la lettura, depistandoci, ma non stravolge il significato spaziale suggerito dalla compiutezza dellangolo.
Sarebbe un po come scrivere una banalit, magari affidando un font diverso ad ogni parola che costituisce la frase. Il che la renderebbe certamente avvincente, ma non la redimerebbe dalla sua banalit. Con gli angoli chiusi, scatola era e scatola continua ad essere.
Cosa farei se dovessi dirigere una biennale per fare numeri di pubblico? Farei una biennale dal titolo eros e architettura, dove accompagnerei ogni istallazione con scene hard dal vivo. Sono sicuro che farei il pieno, minimo 10 volte i visitatori attuali.
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