2012 da dimenticare
di Sandro Lazier
- 4/1/2013
Si chiude un 2012 da dimenticare.
Se le premesse dun anno fa erano cupe, gli esiti son
risultati tragici. Parlo dellarchitettura e degli eventi che
lhanno
coinvolta, che ha vissuto un anno di coma profondo: un nulla di fatto
che ci ha
convinti, per dodici mesi, al silenzio, tranne la riflessione
dun carcerato
che ci ricordava, e
ricorda tuttora ai
governanti di questo paese, che civilt e disciplina non
sono sinonimi. Anzi,
spesso, quando vengo redarguito per lindisciplina e la
tolleranza che
accompagnano la mia vita e il mio lavoro, che sia una multa per divieto
di
sosta o linosservanza di qualche paranoica prescrizione
urbanistica, a fronte
dun laconico riferimento alla superiore civilt
dei popoli obbedienti, uso menzionare
il generale Cadorna il quale, nella prima guerra mondiale, otteneva
disciplina
fucilando sul posto semplicemente chi osava disobbedire.
Nel luglio 1917 i
soldati della Brigata Catanzaro si rivoltarono al grido di
morte a
DAnnunzio. In ventotto, quasi tutti contadini
meridionali, vennero
messi al muro. DAnnunzio in persona si affrett
ad assistere
allesecuzione. Annot del caldo e delle
allodole che cantavano.
Descrisse la scena. I ventotto pregarono. Poi, il plotone
spar.
DAnnunzio continu a prendere appunti:
Sotto le foglie vidi i berretti,
gli elmetti, i brani delle cervella coperti dalle mosche a nuvoli, le
righe del
sangue gi risecco fra gleba e gleba.
(http://laramanni.wordpress.com/2010/10/)
Il liberalismo non attributo esclusivo
delleconomia. Non
sono un materialista, n nuovo n vecchio,
e malgrado i fatti recenti stiano a dimostrare che il
denaro viene sopra
tutto e tutti, voglio continuare a sperare che non siano i ragionieri e
le loro
dottrine finanziarie a dovermi destinare il futuro. A loro si chiede di
metter i
conti a posto, con rigore e prudenza. Ma per immaginare il futuro e
costruirlo non
serve prudenza ma
coraggio, non serve il conformismo ma
loriginalit. Occorre quella tensione
che gli antichi chiamavano utopia, che sintesi
dincoscienza, dimprudenza e,
soprattutto, dun grandissimo coraggio intellettuale.
Ma il coraggio, come mi ricorda sempre Paolo Ferrara citando Sciascia, dote intera e,
aggiungo io, individuale. Lo si chiede a se stessi e non agli altri.
Di questa dote, in un anno moralmente disastrato come
questo, in architettura non s vista traccia
salvo, per inciso, il lavoro di
Emanuele Piccardo con la mostra Radical
City - mostra sullarchitettura radicale italiana che voglio
ricordare.
Per il resto, grande
codardia nel proporre, anche istituzionalmente come
nellultima biennale di Venezia, architetture
mediocri mascherate dun ecologismo grossolano
e mercantile.
Io vi propongo non un manifesto ma un elenco, rigorosamente
gerarchico per chi si avvicina allarchitettura con coraggio
e voglia di rischiare.
In ordine dimportanza, nella redazione dun
progetto: al
primo posto viene unarchitettura originale, al secondo le
persone che devono
abitarla, al terzo le regole urbanistiche che pretendono di governarla.
Chi vi paga per un progetto vuole unarchitettura fatta da
un architetto capace, non da un filantropo n tantomeno da
un sociologo o uno
storico. Chi abiter la vostra architettura vi
apprezzer per quello che avrete
realizzato e non per le attenzioni che avrete loro dedicato. Un bravo
architetto, inoltre, pagato per stravolgere le regole, non
per osservarle. Letica
dun bravo architetto,infine, la sua ragion
dessere socialmente sta tutta e
soltanto nellestetica dei suoi progetti. Se una
societ ha bisogno di buoni
consigli non andr da un architetto ma molto pi
saggiamente da un filosofo.
Tutto il resto commento.
(Sandro Lazier
- 4/1/2013)
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