Estetica dell'abuso
di Sandro Lazier
- 27/7/2011
Eugenio Tibaldi un artista che vive a Napoli. La sua ricerca invade abbondantemente
il campo dellarchitettura con risultati che, oltre a offrirci il gusto
duna realt spesso fraintesa, aprono prospettive in tutto coerenti
con la sostanza della pi recente ricerca architettonica.
Tre sono le opere che voglio segnalare e dalle quali intendo trarre un qualche
senso rispetto alla loro facolt architettonica.
La prima riguarda una serie di trenta fotogrammi, che descrive con immagini progressive
la costruzione di unabitazione abusiva nei dintorni di Napoli. Il tutto
avviene in trentacinque giorni pi o meno un fotogramma al giorno
compresa la recinzione con i cancelli, il giardino con tanto di palme
e glinquilini (due, visto che si tratta di una casa gemella).
Trentacinque giorni sono il tempo minimo necessario affinch lapparato
burocratico di controllo del territorio riesca a produrre una qualche opposizione
giuridicamente efficace.
Tanta abilit ed efficienza messe in atto per una simile performance,
da un lato lasciano stupiti coloro che frequentano abitualmente il pregiudizio
dellindolenza dei popoli mediterranei; dallaltro ci danno la misura
della capacit dellillegalit dessere altamente
produttiva in un contesto apparentemente male organizzato e poco funzionale
alla pianificazione. Pianificazione che, al contrario, dal reportage fotografico,
risulta essere concepita con un dettaglio nei modi e nei tempi desecuzione
riferibile solo a professionalit molto esperte. Qui niente e nessuno
sgarra; tutto viene portato a termine con il massimo rigore e
severit, nel rispetto di tempi strettissimi. Ci sono mezzi meccanici,
tecnologie, maestranze e tecnici che si muovono con la massima celerit
e la pi severa disciplina. In tutto e per tutto illegalmente.
La seconda opera mette in luce la distanza tra il progetto di design e la sua reale fruizione. Mette in luce la distanza tra chi dovrebbe far fronte a necessit estetiche e funzionali collettive e chi dovrebbe realmente usufruirne.
In occasione della presentazione di un tavolo per ufficio, lazienda che
lo produce ha pensato di organizzare levento in un locale in disuso,
probabilmente una vecchia officina, che offre per contrasto unindubbia
suggestione dellarredamento proposto: un tavolo con sedie che, una volta
chiuso, prende laspetto dun parallelepipedo minimale. Nella stessa
occasione stato invitato lartista a dare una sua personale risposta
al tema del tavolo per riunioni. Egli, quindi, ha chiesto a una ventina di persone
di incontrarsi, in un giorno stabilito e in tal posto, con il solo impegno di
portare con s la sedia con cui sedersi in occasione duna generica
riunione. La variet delle risposte e la ricchezza di linguaggi
ben rappresentata nellimmagine riproposta nello stesso luogo.
La descrizione iper-reale del contesto emerge agevolmente nellambientazione
minimalista, tanto che labaco descrittivo degli elementi che la compongono
risulta eccessivo, un vero pleonasmo, perch linsieme
interamente accessibile anche senza una scomposizione in parti. Sarebbe molto
pi utile il catalogo degli elementi di contesto, in assenza dei quali
il tavolo perderebbe la sua cifra emotiva. Ci mette in luce il limite
espressivo del minimalismo modaiolo che, data la sua propensione al silenzio,
sta nellirrinunciabile necessit di confronto con un contesto
molto ricco e rumoroso.
Al contrario, nellambientazione chiassosa e confusa, solo la presenza
dellabaco, liturgia necessaria al fine di ricondurre anche questa soluzione
ad un progetto preciso, ci rimanda con la mente alla venerabilit del
contenitore che, in fondo, in tale confusione sembrava scomparso.
La terza opera unindagine profonda sul senso dellabitare
nellottica di chi, di questo verbo, si fa soggetto.
Lartista ha distribuito un formulario con il quale viene chiesto alle
persone di indicare, spuntando apposite risposte, in quale condizione abitativa
avrebbero desiderio di vivere. Dice lartista nella presentazione del
questionario: Con questo progetto mia intenzione sondare
la possibilit di realizzare un edificio utilizzando un canone di progettazione
che rispetti in maniera quanto pi fedele le esigenze delle persone che
lo abiteranno.
Una sorta di palazzo ideale basato esclusivamente sulle risposte che ogni singolo
futuro inquilino dar ad un questionario appositamente formulato. Ogni
questionario dar vita ad una singola unit abitativa. Terminata
la progettazione di tutte le singole unit, le stesse verranno poi raccordate
nel concept building finale che dovr rispondere al maggior
numero di richieste dei singoli. In questo progetto verr affiancato
da uno studio di architettura ed uno studio di ingegneria in modo che il presupposto
teorico sia realisticamente realizzabile.
Quello che concept building intende offrire una alternativa
progettuale evoluta e una proposta estetica complessa che intenda la professionalit
come capacit di offrire alle persone ci che chiedono.
Il risultato sar non prevedibile, sar pi simile al paesaggio
periferico postmoderno che alla progettazione razionalista dall'alto. Risponder
alle esigenze della citt verticale, ma senza annientare la volont
dei singoli.
scarica il questionario: POST PROJECT FOR UTOPIC BUILDING
Queste tre opere, sicuramente discutibili e contestabili dal punto di vista
dun architetto, hanno per lenorme pregio dindagare
con spregiudicatezza quei territori della progettazione professionale che quasi
nessuno intende frequentare con la stessa attenzione con cui si sfogliano, ad
esempio, le pagine illustrate delle riviste. Gli architetti ascoltano poco e, con questa
rinuncia, si perdono una moltitudine dindicazioni e suggerimenti per
soluzioni che, in loro assenza, altri pensano a provvedere.
Al di l di qualsiasi considerazione morale o moralistica, che quando
le verit emergono con tanta evidenza espressiva ed emotiva non trovano
ragione se non allinterno duno snobismo borioso e inaccettabile,
io credo che la necessit di rinnovamento del linguaggio architettonico
contemporaneo abbia trovato, trovi e trover alimento proprio nei territori
indagati anche da Eugenio Tibaldi.
La ragione di ci sta nel fatto che questo genere di questioni, fondamentali
perch larchitettura soccupi effettivamente della realt
sociale, hanno soluzioni principalmente marginali, particolari, private, senza
limperativo dun significato collettivo astratto, senza quellidea
di contesto che assorbe tutte le cose non lasciando pi nulla alle persone
che dovrebbero usarle. Larchitettura, in quanto bene effettivamente collettivo,
dovrebbe scendere dallaltare dellautocelebrazione, del senso comune,
del significato ad ogni costo, e dovrebbe, abbandonando la pretesa dunesclusiva
vocazione semantica, farsi cosa reale, tangibile, profondamente organica con
il mondo delle persone vere. Questa era, in ultima istanza, la pretesa prima
wrightiana, poi zeviana e continua a essere la nostra.
Ma veniamo alle opere in dettaglio.
La prima opera dellartista Tibaldi, quella che concerne la casetta abusiva,
d come risultato una banalissima abitazione come tante se ne incontrano
nel nostro paese. Il fatto dessere concepita e realizzata abusivamente,
con lunico obiettivo dei trentacinque giorni, non ne tradisce laspetto.
Labusivismo, quindi, riguarda un fatto giuridico e morale, non architettonico.
Con le carte in regola non succede nulla di meglio che possa distinguersi da
chi quelle carte non ha. Anzi, mi accaduto recentemente di rincorrere
con lo sguardo ammirato alcuni frammenti edilizi che un tempo si definivano
superfetazioni, piccole costruzioni, o parti di esse, senza alcun
riferimento al contesto, le quali ostentano indifferenza per ledificio
che le accoglie. Sono il risultato di ripetuti abusi perch nessuno
avrebbe dato loro legittimit architettonica e giuridica pur essendo,
questi, lesito duna necessit abitativa onestamente rilevante.
Se visitate i vicoli della Marina di Porto Maurizio a Imperia, potrete verificare
di persona quello che sto scrivendo e notare come gli ultimi restauri abbiano
avuto cura di mantenere lesistenza di anfratti, sporti e frammenti posticci.
Questo dovrebbe far riflettere coloro che continuano a pianificare con i principi
dellintolleranza, del proibizionismo e della censura, ispirati dal terrore
che la libert dognuno di poter adeguare la propria abitazione
alla propria esistenza possa in qualche modo disprezzare il decoro imposto da
un generico interesse collettivo.
Se il loro obiettivo stato ed tuttora il miglioramento della
qualit architettonica generale, il loro impegno risulta essere stato
e continua ad essere vano. Anzi, risulta oggi particolarmente gravoso e dannoso
per la necessit dellarchitettura di doversi rinnovare sperimentando
nuove libert espressive, le quali si possono trovare solo allinterno
dun chiaro dissenso verso le condizioni convenzionalmente accettate;
ed gravoso e dannoso per leconomia del paese e delle persone
che devono subirne i soprusi, fatti di attese infinite che rubano tempo e vita,
carte, bolli e documenti spesso inutili.
Perci la pianificazione urbanistica dovrebbe cedere il primato della
progettazione ambientale allarchitettura, divenendone gregario duttile
e fidato. Tanti sono gli esempi di opere recenti che hanno rimodellato urbanisticamente
intere parti di citt grazie alla loro eloquenza espressiva. Di questo
successo sociale chiunque deve dare atto, qualunque tendenza sabbia per
compiacere il proprio gusto architettonico.
La seconda opera, il tavolo per riunioni, mortifica nella sostanza la moda
minimalista del momento. Niente, infatti, pi distante dal sentimento
contemporaneo delluniformit, dellomologazione e del nulla
espressivo.
La ricchezza di risposte formali per una funzione che dovrebbe essere unica,
una chiara replica a quanti continuano a cercare alimento grattando
il fondo dellavito barile ideologico. La funzione fondamentale, oggi,
non quella antropologica o neurologica, ma quella essenzialmente
comunicativa e snobbarne limportanza non fa che dare occasione al conservatorismo
nostalgico, che di questo aspetto ha interesse doccuparsi con fermezza,
di ricondurre tutta larchitettura ad una sorta di narrazione secolarmente
compiuta, riassemblabile a piacere perch, dun racconto, non sono
importanti verit o falsit, ma solo trama e significato. Come
si potrebbe giustificare la scelta del sindaco di Firenze di portare a compimento
la facciata michelangiolesca di San Lorenzo se non mistificandone il dato
comunicativo e infischiandosene dell'autenticit della scrittura?
Io credo che unimmersione nella realt vera e profonda delle persone
sia la sola cura per non perdersi nella retorica vuota dellopportunismo mediatico
e per capire fino in fondo le tensioni estetiche che ispirano i loro desideri.
Infatti, nella terza opera dellartista Tibaldi, tali desideri vengono
raccolti e catalogati analiticamente.
Questi, se adottati letteralmente, offrono sicuramente una suggestione data
dai tanti paradossi che verrebbero generati: qualcuno, per esempio, esprimerebbe
il desiderio di possedere unabitazione ai piani alti, ma dotata dingresso
direttamente dal giardino; qualcun altro vorrebbe i mattoncini mentre il vicino
amerebbe il metallo o il legno o altro. Sicuramente, per, nessuno dei
proponenti, alla fine, deciderebbe di vivere in una tale accozzaglia di forme
e funzioni, bench in tutto fedeli alle loro specifiche richieste.
Ora, non facile stabilire se questaccozzaglia, incoerente,
illogica, insignificantemente suggestiva, bench contenga in modo confuso
ogni genere di luogo comune architettonico, appartenga ad una generica manifestazione
artistica e non riguardi, invece, pi particolarmente larchitettura.
Sappiamo che il compito dellarchitetto sarebbe quello di tradurre le
tensioni estetiche ed emotive riportate nel formulario in un progetto compiuto
e, per quanto possibile, coerente. Ma proprio sulla coerenza che occorre
fare una riflessione. La sua precisa definizione dipende dalla stretta
concordanza tra ci che viene chiesto e le risposte che verranno date:
se qualcuno mi chiede una cosa, per coerenza dovr dare a costui ci
che pi si avvicina a quello che mi ha richiesto. Questo quello
che succede normalmente qundo si coerenti. Ma in architettura non cos. In architettura
lidea di coerenza prende altre strade, non pi riferibili ai soggetti
che ne hanno necessit e che pongono le domande. In architettura la coerenza
fa riferimento solo a se stessa, rispetto al suo linguaggio, al suo nesso storico,
alla sua condizione sociale e, udite udite, al suo contesto culturale.
Ma quale? Quello degli architetti, ovviamente.
Larchitettura, in sostanza, stenta a concedere agli individui la responsabilit
di scegliere il proprio modo di vivere, come vorrebbe una democrazia matura ed evoluta.
Responsabilit che fatalmente glindividui si sono assunti comunque,
riferendosi poco agli architetti, ma preferendo altri attori, meno vanitosi
ma anche meno sensibili al rinnovamento del linguaggio, con i meschini risultati di massa che
tutti possono incontrare percorrendo il nostro paese.
Eugenio Tibaldi, in fondo, accusa gli architetti di scarsa attenzione alle prerogative essenziali della democrazia. Insofferenti alle seccature del privato, essi preferiscono lomologazione e linscatolamento di massa, motivando lavvilimento sociale che ne deriva con la presunzione dessere tutori dun astratto fine collettivo che nessuno individualmente riconosce come proprio.
Le democrazie moderne e liberali, che si basano sul senso di responsabilit degli individui - responsabilit determinata in proporzione diretta con le libert di cui possono godere se hanno veramente a cuore il bene collettivo, devono dotarsi di strumenti per dare risposte convincenti ai singoli, i quali decidono da s il proprio ruolo sociale, liberandosi di generiche soluzioni generaliste autocompiacenti e autocompiaciute.
Ma forse, per liberare larchitettura, occorre prima liberare gli architetti.
Eugenio Tibaldi presente in UMBERTO DI MARINO gallery Napoli - www.galleriaumbertodimarino.com
Il suo indirizzo di posta elettronica [email protected]
(Sandro Lazier - 27/7/2011)
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Commento 10644 di Gianni Marcarino del 01/08/2011
II finale del tuo articolo su Tibaldi pare un manifesto politico.
La politica in sintesi lo strumento, pacifico e mediatore, che il consorzio umano utilizza per trasformare ipotesi e teorie in azioni concrete che si riflettono continuamente sulla convivenza civile.
Probabilmente la politica nata in seguito all'agire dell'uomo primordiale. Il suo comportamento non era mediato da nulla e guidato solo dall'istinto e dalla necessit, per cui occorreva un luogo ideale in cui trattare e dirimere gli interessi quasi mai convergenti degli esseri umani.
Dico questo perch non cos usuale leggere articoli a sfondo non prettamente politico, con un finale cos determinato nelle conclusioni. Questo perch la politica, almeno la nostra, si man mano resa campo autonomo dalla vita reale, riparata dentro un proprio recinto, sfibrata da un avvitarsi intorno ad ogni sfumatura ideologica ma sostanzialmente incapace o disinteressata ad incidere nel continuo cambiamento delle cose, nel cercare di imprimere una direzione figlia di un pensiero, di un progetto.
Chiss quando e come usciremo da questa anestesia parolaia, legata ancora agli schemi ed agli schieramenti del dopoguerra, ad uno schema sociale in fondo ottocentesco, nel quale la borghesia dominante oscilla tra conservatorismo e comunismo, indifferentemente, pur di tenere bloccati gli schemi sociali.
Bravo chi lo capisce; intanto opportuno continuare a tenere d'occhio lo scivolamento di tempo e di senso che l'arte suggerisce, perch essa dice ogni giorno alla realt ed al potere: prova a prendermi....
Tutti i commenti di Gianni Marcarino
Commento 10646 di vilma torselli del 07/08/2011
Sandro, mi sono divertita molto a leggere larticolo ed anche a documentarmi in rete su questo artista, strano personaggio di cuneese trapiantato al sud, che, come tutti gli artisti, gode del privilegio di poter essere irrazionale, utopista, sovversivo, visionario, provocatorio, anarchico, superfluo.
Certo, se un progettista, architetto o ingegnere o geometra, avesse distribuito agli utenti un questionario come quello di Tibaldi come base per un reale progetto architettonico, sarebbe stato gentilmente invitato a recarsi presso il pi vicino centro di igiene mentale, ma Tibaldi non si inserisce in alcuna categoria, quindi segue le procedure che crede. E lui sa che non dovr progettare veramente quellimprobabile condominio, quindi provoca, perch lui pu farlo, perch lui un artista, mica un architetto, il suo mestiere provocare, non fare case. Leterogenea schiera di condmini del suo utopic building probabilmente la stessa che si siede attorno alla sua tabula rasa portandosi da casa la sedia ed inscenando attorno al tavolo una sorta di happening dellarredamento, o la stessa armata brancaleone che costruisce in tempo record una casa bifamiliare abusiva neanche peggio di quelle erette con tutti i sigilli dellufficialit.
C una parola che accomuna tutto ci, ed libert. E quella che si legge nellinusuale questionario che non dar luogo ad alcun condominio ma che avr fatto sognare qualcuno, nellaccozzaglia di sedie scompagnate dove nessuno rinuncia alla propria comodit, nel perverso efficientismo dellillegalit, libert dalle regole, dalle convenzioni, dalle imposizioni, dallapparato burocratico, dal minimalismo modaiolo, dal significato ad ogni costo.
Da tempo larchitettura guarda allarte con interesse, con emulazione e con dichiarata invidia, cerca di indagarne i codici linguistici aprendosi alla contaminazione ed allinterdisciplinarit, di evadere dalle imposizioni della ragione e della funzionalit per poter finalmente volare.
Gerhy o Hadid sono grandi evasori, la loro architettura artisticizzata un tentativo continuo di sottrarsi ai condizionamenti culturali, stilistici, persino statici, opera aperta che, come larte, rifiuta dichiarazioni formali o funzionali definitive.
E larte non fa prigionieri, larte si lascia dietro solo cadaveri nel continuo superamento di s, una fuga in avanti che lascia il vuoto, che ce la fa perdere di vista e quando la raggiungiamo spesso non riusciamo a riconoscerla.
Invece larchitettura, per sua stessa natura, comunque destinata a divenire testimonianza permanente ben oltre le sue ragioni progettuali, perch
nessunaltra attivit umana influisce sullambiente e sulla qualit della vita in modo cos determinante e soprattutto duraturo, perch la materia dellarchitettura sopravvive alla sua stessa idea.
Quanto larchitettura necessaria, altrettanto larte inutile e proprio linutilit sembra essere il decisivo discrimine tra queste due discipline. Certamente anche unarchitettura pu essere inutile, tutte le volte che non d risposte convincenti ai singoli senza avere il coraggio di liberarsi da generiche soluzioni generaliste autocompiacenti e auto compiaciute, ma questo non la rende unopera darte, solo una brutta architettura.
Quando tu invochi, la liberazione dellarchitettura sullesempio di unarte che, a differenza di essa, capace di affrancarsi dallomologazione e dallinscatolamento di massa affermando la priorit del singolo sulla presunta tutela dun astratto fine collettivo che nessuno individualmente riconosce come proprio, quando auspichi la libert degli architetti (e presumo anche unadeguata capacit professionale), mi vengono in mente parole del lontano 1954, di Walter Gropius (Il compito dell'architetto: servire o guidare?, Architectural Forum, New York) che sintetizzano ci che lui definiva comporre in funzione del vivere: l'architetto dovrebbe concepire gli edifici non come monumenti ma come asili del flusso di vita che essi debbono servire , il flusso di vita, sedie scompagnate, condominii utopici, maestranze improvvisate, le tensioni estetiche ed emotive degli uomini che abitano larchitettura.
Per citare un ricorrente tormentone, non servono nuove leggi, basta applicare quelle che gi ci sono, parafrasando si potrebbe dire: non servono architetti liberi, solo architetti capaci.
Per legge.
Tutti i commenti di vilma torselli
Commento 10651 di Leandro Janni del 17/08/2011
1) A Gela sono capaci di costruire una casa abusiva in 36-48 ore.
2) A proposito di sedie, poi, capita spesso che i dirigenti scolastici siciliani chiedano, a genitori e alunni, di portarsele da casa. E di certo, non per amore di sperimentalismo linguistico-espressivo.
3) Provate voi a somministrare un questionario - sul senso dell'abitare - in certi quartieri di Palermo, di Favara o di Palma di Montechiaro. Provateci!!!
Saluti molto cordiali. Dalla Sicilia
Tutti i commenti di Leandro Janni
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