Assioma: il computer un mezzo
di Daniele Antonioli
- 10/3/2000
Assioma: il computer è un mezzo. Lungi da noi la
volontà di investire la sua passività di significati pretestuosi
e sproporzionati alle sue funzioni.
Siamo convinti tuttavia che si possa leggere l'importanza del
computer a due livelli di interazione, e se ci fermassimo alla
definizione assiomatica appena formulata non andremmo oltre
la punta dell'iceberg.
Un primo stadio di interazione è a livello HARDWARE:
ci interessa considerare la fisicità del mezzo elaboratore
e il suo ausilio a potenziare i nostri sensi -ormai ben più
ampliati rispetto ai cinque canonici- per ottenere più
in fretta e meglio un risultato.
In questo senso l'hardware è come l'orecchio bionico
di Jamie Sommers, che permette di potenziare la capacità
adattativa ed elaborativa di un umano spingendola oltre il suo
limite fisico.
Fin qui però niente di sostanzialmente nuovo: la tecnologia
in qualunque epoca storica, in maniera più o meno evocativa,
ha mirato a questo risultato: così il cannocchiale di
Galileo e la clava dell'uomo di Neanderthal, così la
spada e l'aeroplano.
L'architetto ha imparato a progettare grazie all'invenzione
di un sistema atto ad una rappresentazione fedele di un oggetto,
mentre fino al quattrocento un progetto era un gesto artigianale,
intuitivo, che si svolgeva in corso d'opera: tutto questo ha
ripercussioni sociologiche indubbie -anche l'aspirapolvere ha
mutato la cultura di fruizione degli ambienti- ma soffermarsi
su questo punto ci pare fuorviante.
Spiego: un architetto pensa, interiorizza, analizza e si strugge.
Poi traduce in Progetto tutto questo, riveste il suo sistema
di pensiero di concretezza e crea la sua opera architettonica;
ma che differenza c'è tra una matita e un mouse a questo
punto di elaborazione? Nessuno se non una componente nostalgica
di trasporto emotivo che ci riconduce ai buoni vecchi valori
di un tempo.
Un secondo stadio di interazione, molto più rivoluzionario
del primo è a livello SOFTWARE.
Il computer è un mezzo di ampliamento della percezione,
interagisce con l'homo sapiens e amplifica le sue sinapsi mutandolo
in un essere a metà tra reale e virtuale, ponte di collegamento
lui stesso (l'uomo e non più il disegno) tra il mondo
fisico dell'opera finita e concreta e quello virtuale del prototipo
di studio.
La gestione dello spazio secondo una logica immersiva permette
di arrivare a considerare l'opera architettonica come un complesso
unico a variabili potenzialmente infinite, approccio progettuale
totalmente differente da qualunque altro mai attuato in precedenza
che prevedeva, con la finalità di risolvere un problema,
di spezzarlo in una serie di sottoproblemi a variabili quanto
più possibilmente limitate per poi riunire tutte le soluzioni
in un'opera finita.
Lavorare bidimensionalmente su piante prospetti e sezioni non
permette di esperienziare immediatamente la catena di reazioni
che un cambiamento ad uno di questi subsistemi innesca nella
globalità.
La necessità di lavorare sulle tre dimensioni è
sempre stata sentita e risolta attraverso i plastici di studio,
ma anche in questo caso si peccava di stereotipizzazione al
fine di non perdere di vista l'obbiettivo progettuale nella
sua interezza: il plastico di per sé scarta tante variabli
progettuali quante ne scarta un prospetto, diviene difficoltoso
un processo think globaly act topically imprescindibile nella
progettazione attuale.
Il computer, amplificando il potere percettivo dell'architetto,
gli permette di gestire forme ai limiti del caos, irregolarmente
complesse, non attraverso un controllo delle loro variabili
singolarmente considerate, ma attraverso la gestione del suo
attrattore strano; ossia non nella sua singola variabile ma
nella sua equazione generatrice.
Questa nuova realtà rende il lavoro dell'architetto non
più una demiurgica creazione di forme vicine all'archetipo,
ma una condizione di sviluppo biologica e virale in cui l'architetto
è il catalizzatore che permette, attraverso i suoi sensi,
lo sviluppo temporale di una reazione chimica, innescandola
e controllandola in ogni suo momento e in ogni suo luogo in
maniera non cartesiana né causale, ma ugualmente scientificamente
valida.
(Daniele Antonioli
- 10/3/2000)
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