Sulla bellezza e l'eco-buonismo
di Sandro Lazier
- 7/1/2016
Il 2015 si chiuso pi o meno come cominciato: rassegnato.
Da cosa viene la rassegnazione? Probabilmente e principalmente
dall'incapacit di uscire dalla crisi economica in cui ci siamo
impantanati da diversi anni. Crisi che ci ha resi nella
condizione di spirito per cui, poco, sempre meglio di niente. Occorre
accontentarsi.
In effetti, anche nel campo dell'architettura, dove ormai da anni non
si semina ma si bada piuttosto a raccogliere, quest'anno passato non ci
ha riservato un granch. Se dovessi
citare un progetto da ricordare in futuro non saprei proprio dove
andare a parare. E questo, malgrado l'opportunit dell'esposizione
milanese e di tanti soldi investiti. Un costoso baraccone che non
lascer nulla se non un goffo edificio forzatamente scomposto e quindi
formalmente convenzionale.
Volutamente non ho usato il termine brutto
edificio per evitare ogni riferimento alla tendenza di questi
ultimi anni nei quali, grazie alla compiacenza di parecchi
intellettuali di bocca pi o meno buona, abbiamo assistito alla
rinascita di aggettivi qualificativi che sembravano destinati
filosoficamente all'estinzione. La parole bello e brutto, se era occorso tutto il
novecento per aggettivarle e confinarle nel bagaglio lessicale
personale e privato, presso i passatisti ringalluzziti dal
neoconservatorismo identitario hanno ritrovato non solo dignit, ma
persino l'articolo per mezzo del quale riassurgono linguisticamente a
valore universale.
Sulla bellezza s' scritto e detto tanto. Sulla sua naturale
convergenza con l'esito di ogni esperienza artistica, meno. Ma
sostenere oggi che arte e bellezza coincidano per principio produce un
paio di riflessioni che meglio ricordare.
La prima riguarda la finalit dell'arte, che indubbiamente non pu che
coincidere con quella dell'artista che la genera. Altre
interpretazioni, o letture critiche successive, sebbene legittime,
importanti e decisive ai fini della valutazione dell'opera, sono
posteriori e come tali non hanno influenza nell'atto creativo. Ora,
ritenere che il fine principale di ogni artista sia il ricorso
all'ideale di bellezza, mi sembra confutato da tante citazioni di
personaggi la cui fama garanzia di valore artistico e culturale. Uno
per tutti, Picasso: "Non mi piace la gente che parla della
bellezza. Cosa la bellezza? Uno ne potrebbe discutere come problema
nella pittura."
Certamente, per molti artisti la bellezza ha rappresentato e
rappresenta lo scopo primo della loro ricerca. Ma il fatto che non lo
sia per tutti ne rende parziale la promozione.
Cosa accomuna dunque i protagonisti della ricerca? Sicuramente la
volont di lasciare il mondo migliore di quando lo hanno trovato. Un
semplice ambizione che, per potersi realizzare, non deve
necessariamente ricorrere al criterio di bellezza. Anzi, come spesso
avvenuto per le avanguardie del novecento, il vero stimolo per la
produzione artistica stato il ricorso al suo contrario, la bruttezza. E non parlo di
disarmonia, asimmetria, mancanza di canoni e proporzioni, ma di
situazioni comunemente ritenute spregevoli riscattate dalla circostanza
artistica.
Bellezza e bruttezza, quindi, non sono solo condizioni provvisorie
riferibili al gusto storicamente determinato ma, sottomesse alla
determinazione dell'artista, sono in grado di determinare per s
autonomamente il cambiamento.
Quando parlo di condizione storica del gusto, ne parlo non in senso
storicista. Intendo dire che la storia, secondo un concetto classico di
sostituzione (il nuovo si sostituisce al vecchio), deve lasciare il
posto a quello attuale dove nessun criterio sostituisce il precedente,
ma ad esso si somma. Chiamatelo criterio postmoderno se volete, ma io
preferisco chiamarlo neomoderno.
Se esiste un movente con requisiti di generalit relativo alla
produzione artistica, questo non dunque il concetto di bellezza, ma
quello sostanzialmente etico di lasciare il mondo meglio di come lo si
trovato. Questo l'ambito dove etica ed estetica si saldano in
un'unica dimensione artistica.
La seconda riflessione riguarda appunto l'aspetto etico
dell'architettura.
O, meglio, degli architetti.
Correva l'anno duemila quando Massimiliano
Fuksas veniva incaricato di curare il padiglione italiano della 7.ma Mostra Internazionale di Architettura
di Venezia, dal titolo "Less
Aestethics, More Ethics". Tradotto: meno estetica, pi etica.
di queste ore la notizia che i fedeli convenuti nella chiesa che lo
stesso architetto ha costruito a Foligno (2001/2009), la sera di Natale
hanno abbandonato l'edificio in preda a congelamento. Problema tecnico,
conosciuto da tempo, ma mai risolto per il fatto che, pare,
l'architetto non abbia approvato opportune soluzioni tecniche che
comprometterebbero l'estetica dell'edificio.
Appunto, verrebbe da dire.
Quest'anno la biennale sar curata da Alejandro
Aravena, un pluripremiato architetto cileno che insegna ad
Hardward, ed avr per titolo "Reporting
from The Front" - che sta pi o meno per "notizie dal fronte". Non si capisce
perch non lo si possa scrivere in italiano.
Il tema dovrebbe vertere, a detta degli organizzatori, sulla rinascita
del ruolo sociale e civile degli architetti nella gestione d'un
ambiente in rapida trasformazione. Ecologia pi etica, insomma. Basta
con l'architettura spettacolo.
Un tema di moda da cavalcare con la classica postura dei salotti buoni,
ma rivisto in et post-ideologica. Un ideologismo prt porter, "che serva a riconciliare l'architettura
con la societ civile ( cit.)", da consumarsi preferibilmente
prima della fine della crisi, finch l'ondata populista su cui veleggia
non svanisca nel dimenticatoio.
Nel frattempo avremo premi e premiati, con il merito d'aver abbigliato
l'architetto con la tonaca del brav'uomo, che ascolta il prossimo e a
lui dedica i suoi necessari servigi.
Conosco questo mestiere e lo pratico da molto e so bene quanta fatica
occorra per ottenere dei risultati. Anni e tanto lavoro; non
retorica, credetemi. Ma mai ho avuto la presunzione di determinare i
destini di qualcuno, figuriamoci quelli del pianeta. Chi ha chiesto il
mio lavoro e impegno, ha richiesto essenzialmente la mia personale
esperienza e sensibilit. L'unica mia etica risiede, quindi, nel dare
risposte disegnate a semplici richieste esistenziali, dove infine
contano gli uomini, ma conta principalmente la ricerca e l'architettura
che produco. Perch gli uomini, dagli architetti, vogliono
principalmente architettura, non scienze sociali o storiografia da banco.
In confidenza, tutto quest'impegno etico del sistema mediatico e
culturale che governa gli eventi a tema, esaurito il filone
dell'architettura spettacolo, in fondo unico strumento di sostanziale
rinnovamento del linguaggio, dovuto soccombere alla necessit di
riciclarsi per conservare potere accademico e privilegi professionali.
Ma tranquilli. Come dicono i francesi, si occuperanno solo della merda
che non puzza. L'altra la lasceranno come sempre a noi.
Ora, in tutta quest'etica esibita, se ci pensate bene, di arte ce n'
ben poca. E non vuole essercene se non quel tanto necessario a decorare
l'elemosina. Il sostanziale conflitto tra l'urgenza programmatica,
tanto cara alla spocchia degli accademici, e la necessit dell'arte
contemporanea di rompere equilibri e schemi preordinati, rende evidente
la contraddizione. Mi direte: ma in fondo, anche loro vogliono lasciare
il mondo meglio di come l'hanno trovato. Certamente, ma un proposito
che si pu praticare senza dover per forza rompere le palle agli
sfigati del pianeta. Che, forse, data la loro peculiare precariet e
incertezza, qualche invenzione semantica ce la possono ancora passare
prima che l'ecobuonista di turno ne faccia sparire le tracce.
(Sandro Lazier
- 7/1/2016)
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Commento 13997 di Carlo sarno del 08/01/2016
Si, proprio vero Sandro, ora di porre fine a questo periodo di profonda ipocrisia disciplinare architettonica, le "oscillazioni del gusto" non possono condizionare la vera Tradizione dell'Architettura... a questo tuo richiamo della coscienza mi viene in mente un significativo e pregnante messaggio di Gio Ponti, che nella sua semplicit chiarisce il mio pensiero a riguardo della tua riflessione : " AMATE L'ARCHITETTURA " !!!!!!!!!!
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Commento 13999 di Carlo Sarno del 08/01/2016
Si, proprio vero Sandro, ora di porre fine a questo periodo di profonda ipocrisia disciplinare architettonica, le "oscillazioni del gusto" non possono condizionare la vera Tradizione dell'Architettura... a questo tuo richiamo della coscienza mi viene in mente un significativo e pregnante messaggio di Gio Ponti, che nella sua semplicit chiarisce il mio pensiero a riguardo della tua riflessione : " AMATE L'ARCHITETTURA " !!!!!!!!!!
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