Architettura digitale
di Sandro Lazier
- 30/5/2001
Al Politecnico di Milano, venerd
11 maggio, si tenuto l'incontro dal titolo "avanguardie
digitali".
Davide Crippa, organizzatore, ha presentato i relatori: Luigi Prestinenza
Puglisi, Gianluca Milesi, Marco Brizzi, Fulvio Irace moderatore.
Puglisi presenta le opere che possibile ricondurre alla produzione
digitale dell'architettura.
Lo fa elencando sei possibili categorie di lettura, che vanno dalla metafora
al bloboidale, dal supporto mediatico all'architettura generata al calcolatore.
Milesi illustra la sua esperienza e ricerca come progettista con immagini
che lui definisce imperfette, frutto di una tecnologia relativamente semplice,
ma fortemente suggestive, capaci di suggerire pi che rappresentare
spazio.
Brizzi ricorda la vicenda della generalizzazione semiologica e linguistica
della seconda met del novecento che non risparmi l'architettura
dalla sua sintesi epistemologica, creando i presupposti e anticipando
quella che oggi definiamo societ dell'informazione. La collocazione
della stessa nella rete informatica offre nuovi e imprevedibili sviluppi
che tendono a escludere una categorizzazione ortodossa e apre nuove possibilit
di dialogo e confronto culturale (antiThesi, per esempio).
Irace, che impudentemente inserisce nell'ambito del categorico le sette
invarianti zeviane - Paolo G.L. Ferrara giustamente glielo far
notare - pone l'accento sulla difficolt di considerare del tutto
nuova e originale un'architettura le cui forme e suggestioni estetiche
possibile rintracciare, per esempio, nelle opere dei pittori
surrealisti. Difficolt che, secondo Irace, giustifica in parte
le perplessit e lo scetticismo di architetti come Gregotti, convinti
dell'uso esclusivamente strumentale della macchina informatica.
Questo, in sintesi, quanto si espresso.
Purtroppo, abbiamo una definizione (architettura digitale) ma non sappiamo
bene che cosa definisce. Abbiamo un contenitore, ma non sappiamo cosa
metterci dentro. Nell'era della comunicazione viviamo il paradosso di
dover rincorrere le parole per affidargli un significato.
Siamo in piena rivoluzione - la rivoluzione informatica non uno
scherzo, una moda effimera - ma corriamo il pericolo di non essere con
sufficienza concettualmente attrezzati per parare i colpi dei reazionari
che ogni rivoluzione esige per essere tale. Gregotti e soci hanno buon
gioco se ci colgono sguarniti proprio dove dovremmo essere forti e convinti.
Per questa ragione ritengo si debba insistere, con il dialogo ed il confronto,
riazzerando non solo il linguaggio proprio della materia che trattiamo,
ma lo stesso che utilizziamo per parlarne.
Occorre, secondo il mio parere, riscrivere il vocabolario critico che,
come sistema di satelliti, ruota intorno a stelle fisse che non lo sono
pi. La rivoluzione informatica cambia il sistema di stelle fisse
che fino ad oggi ha tenuto insieme con coerenza la narrazione storica
e le sue deduzioni critiche. Se cambia l'idea di storia, muta la misura
che governa le scelte di valore.
L'idea di una storia lineare, coerentemente costruita su un prima e un
dopo, dove il dopo legittimato verso il nuovo solo se esclude
del tutto il prima, ormai insufficiente e inadeguata a cogliere
stimoli e cambiamenti che, non solo si autogenerano per relazione, ma
convivono con tutta la conoscenza storica di cui la rete informatica
il contenitore.
La storia non il racconto di tutti gli eventi passati. Essa
storia solo dei fatti conosciuti, resi noti, dei quali abbiamo informazione.
Degli altri, di quelli che non ci sono stati trasmessi, non sappiamo nulla
e, quindi, non esistono e non sono mai esistiti. La rete, dando voce a
tutti gli eventi, li realizza, li fa convivere e li miscela. Non c'
pi un prima e un dopo, non c' un archivio e la polvere
che agli storici piace trovare prima di scriverne il nesso. L'idea stessa
di contesto, storico od architettonico non ha importanza, non ha pi
senso quando tutto convive, continua a vivere e non muore niente e nessuno.
Propongo di ripartire da qui: riscriviamo il significato della parola
storia, altrimenti rischiamo di non cogliere i frutti dell'ennesimo miracolo
che l'intelletto ci sta suggerendo.
(Sandro Lazier
- 30/5/2001)
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