Lettera ai lettori
di Sandro Lazier
- 10/8/2001
Gentili lettori,
il contenuto di questa lettera merito vostro.
AntiThesi, di cui Paolo G.L. Ferrara ed io siamo responsabili, nasce circa
un anno fa e, come ha detto e scritto A. Saggio nella presentazione avvenuta
a Roma il 5 marzo 2001 presso l'InArch (Istituto Nazionale di Architettura
fondato da Bruno Zevi), "promette sin
dal titolo quello che fino ad oggi ha mantenuto: una chiara e dura posizione
critica sull'attuale cultura architettonica italiana."
Il rilevante contributo critico che ci viene riconosciuto, in particolare
rispetto alle tradizionali pubblicazioni cartacee, non ci meraviglia.
Lo stato di "rigor mortis" (la definizione di D. Libenskind)
nel quale pare giacere l'attuale cultura architettonica italiana, dopo
il dissennato trastullo postmoderno degli ultimi vent'anni, ha tra i maggiori
responsabili proprio l'assenza di posizioni critiche efficaci, libere
ed autonome, estranee all'arruolamento nelle insignite riviste storiche
oggi neutralizzate dal peso della mercificazione da un lato e dal servilismo
accademico dall'altro.
La lotta e vicenda pressoch solitaria di un personaggio come Bruno Zevi prova di quanto sia radicata e forte l'insofferenza verso qualsiasi posizione autenticamente
critica e dimostra quanta determinazione, energia e soprattutto libert
occorrano per riconquistare la posizione culturale che spetta alle tradizioni
del nostro paese, malgrado la cavezza con cui si vorrebbe trattenere questa
irriverente ambizione.
Non devo certo ricordare che il ritardo culturale di un paese alla fine
decade su tutti gli aspetti della vita sociale, in primis su quello economico
poich i mercati, particolarmente quelli che traggono materia dal
patrimonio dell'arte e della conoscenza, non possono che proporre in forma
di mercanzia la sostanza stessa della consapevolezza teorica.
Inoltre, non devo certo ricordare che una volta reso merce, nel momento
in cui la rappresentazione mentale prende corpo nella realt, il
progetto cessa la sua storia e ne domanda un'altra, nuova, diversa, libera
da ogni condizionamento che ne possa impedire la libera crescita.
La responsabilit della critica quindi vasta e apparentemente
paradossale: da un lato deve favorire il progresso e l'efficacia della
cultura affinch questa cali sul paese le risorse intellettuali
idonee a consentirne lo sviluppo; dall'altra deve vigilare affinch
queste risorse non divengano serve dello sviluppo stesso, determinandone
la fine.
Questa responsabilit, in questi ultimi anni, stata largamente
disattesa e non meraviglia quindi il disagio della cultura ufficiale,
accademica e pratica, di fronte al prorompere di personaggi che da Gehry
a Eisenman, da Koolhaas a Libenskind, stanno tracciando con intelligenza
e risoluzione il solco rinvigorito di una modernit per anni tradita.
Una modernit cosciente delle implicazioni e contaminazioni sociali,
economiche e tecnologiche, che rendono vana l'idea di un'architettura
pura, raffigurata, sorda e silenziosa, introversa, fine a se stessa come
vorrebbero il prestigio e il privilegio dei padroni istituzionali di questa
materia. Il vituperato rumore di cui interprete questa modernit
sicuramente inganna un'idea inadeguata di architettura, ma ne manifesta
un'altra, tanto vicina all'uomo ed alla sua condizione da dichiarare con
linguaggio superbo il miracolo della sua stessa esistenza. Questo
l'ambito, questa la strategia, la sola che ha importanza: l'esistenza.
Concorrere a un ideale di tale portata missione che gratifica
e nobilita anche l'ultimo degli appartenenti alla specie. Chi ha il privilegio
di essere tra i primi cosa aspetta?
L'ambizione della critica non pu quindi ridursi a censire desideri
buoni distinguendoli da quelli cattivi. Non pu limitarsi a raccogliere
e catalogare i fatti riordinandoli per categorie gerarchiche. Se da questi
fatti non cava e sporge la tensione esistenziale che li governa disconosce
la sua funzione, falsa il suo ruolo, tradisce la sua missione.
Se l'ideale resta eminente, lo strumento ne diviene servo e quindi nessun
inquinamento tecnologico, sociologico o economico pu intaccarne
la purezza. Cos l'informatica, rivoluzione strumentale che ha
contaminato e che determina e determiner l'architettura di domani,
deve necessariamente appartenere al ruolo e alla figura di chi questa
architettura dovr indagare.
Ho detto indagare, poich lo strumento nuovo ma dietro
al viaggiatore vive un uomo di circa tremila anni.
Ora, cari lettori, se anche voi partecipate all'ideale che ci appartiene,
non potete esimervi dal contribuire alla sua realizzazione. Gli architetti
di questo paese hanno necessit di riappropriarsi di un ruolo che
la societ sembra loro negare. Il fallimento urbanistico, il dilagare
di uno storicismo caricaturale, il malaffare diffuso hanno occupato lo
spazio lasciato vuoto per troppo tempo dall'assenza di un ideale architettonico
e dalla latitanza di una critica seria, severa ed efficace.
Se tempo di rinascita questa non pu calare dalle labbra
di Gregotti o Renzo Piano: sono roba vecchia, riciclata. Il nuovo sta
in tutti noi, nei nostri occhi per vedere, nelle nostre orecchie per ascoltare.
Sta soprattutto nella nostra capacit di immaginarci un futuro,
una nuova condizione nel nostro rapporto con gli altri e con il pianeta
che ci contiene. Parlo di pianeta, non di luoghi o contesti o altre sciocchezze
del genere, perch la condizione umana una sola.
Chiediamo a tutti voi, quindi, di partecipare interagendo con il nostro
giornale, perch tutti, prima che architetti o persone che nutrono
un qualche interesse per l'architettura, siate critici severi, tutori
di un ideale non pi eludibile, autori di una rinascita dalle fondamenta
autenticamente popolari e democratiche.
Chiediamo a voi di promuovere e diffondere l'esperienza e l'ideale critico
che ispirano il nostro giornale, segnalandolo e segnalando fatti e persone,
occasioni di dibattito e promozione che diano spazio ad una effettiva
concretezza ed efficacia.
Grazie.
(Sandro Lazier
- 10/8/2001)
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