L'Italia del petrolio
di Leandro Janni
- 15/6/2010
DOCUMENTO_10 giugno 2010
La tragedia ambientale del Golfo del Messico un segno, un
evento che non pu essere ignorato. Il disastro della piattaforma
petrolifera Deepwater Horizon avr, nel breve e medio periodo, effetti
sulla popolazione locale in termini di esacerbazione di malattie respiratorie
e patologie della pelle e, nel lungo periodo, gravi effetti in termini di aumento
statistico dell'incidenza di tumori. Gli effetti nel lungo periodo comprendono
anche aumenti statistici degli aborti spontanei, neonati di basso peso alla
nascita o pretermine. Il petrolio e le sostanze chimiche disperdenti rilasciate
sul luogo del disastro contamineranno la popolazione locale, nel breve e medio
termine, per via inalatoria; nel lungo termine, per via orale, come conseguenza
dell'accumulo degli idrocarburi nella catena alimentare. Per quanto riguarda
le conseguenze ambientali su flora e fauna, le prime specie animali vittime
del disastro sono state quelle di dimensioni pi piccole e alla base
della catena alimentare, come ad esempio il plancton. Quindi, le specie di dimensioni
via via maggiori, che sono state contaminate direttamente (dagli idrocarburi
e dalle sostanze chimiche dispersanti) oppure indirettamente (per essersi alimentate
involontariamente di animali contaminati). Fra le specie coinvolte, numerose
specie di pesci, tartarughe marine, squali, delfini e capodogli, tonni, granchi
e gamberi, ostriche, varie specie di uccelli delle rive, molte specie di uccelli
migratori, pellicani. Gli agenti dispersanti, cio le sostanze chimiche
utilizzate per disperdere gli idrocarburi in parti pi piccole e per
farli precipitare sul fondale del mare, hanno consentito di nascondere la marea
nera della superficie. Tuttavia, tali sostanze non hanno ridotto la quantit
di greggio ma l'hanno solo nascosta alla vista, ad oltre 1600 metri di profondit,
dove continua ad esercitare i suoi effetti nefasti sulla catena alimentare a
tutti i livelli. I danni economici del disastro ambientale sono impossibili
da calcolare, tuttavia possibile farne una stima. I danni diretti,
cio quelli immediatamente visibili ed evidenti sono: il valore economico,
non stimabile n riparabile, della perdita di 11 vite umane; il valore
economico, non stimabile n riparabile, del danno ambientale procurato;
il valore economico della piattaforma (equivalente a circa 560 milioni di dollari),
degli investimenti per la trivellazione del pozzo, la perdita azionaria della
British Petroleum, della Transocean e della Cameron International. Inoltre:
il costo dei primi soccorsi, per lo spegnimento dell'incendio ed il salvataggio
del personale della piattaforma e la ricerca dei dispersi, il costo dell'operazione
per la calata della cupola pi il costo della cupola da 100 tonnellate,
il costo delle operazioni per arginare o tappare la fuoriuscita dal pozzo; il
costo per il tentativo di arginare l'area sul mare dove si sparso il
petrolio fuoriuscito; il costo per limitare il danno tentando la bonifica delle
acque e delle coste e la pulizia degli animali. Fra quelli indiretti, cio
quelli correlati ma non strettamente conseguenti al disastro, vi sono: il danno
ingentissimo, prolungato all'industria locale della pesca; il
danno all'industria del turismo; l'aumento del prezzo del petrolio.
ITALIA_Carta dei titoli minerari_al 31 dicembre 2009_stralcio_Sicilia
In Italia, nonostante i gravissimi problemi emersi dopo il disastro
della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, stanno aumentando le richieste
per le esplorazioni e le trivellazioni petrolifere offshore, ma non esiste una
normativa adeguata n per tutelare l'ecosistema nelle aree interessate
dalle trivellazioni n per il risarcimento in caso di disastro ambientale.
Nel nostro Paese oltre alle 66 concessioni di estrazione petrolifera offshore
con pozzi gi attivi, sono in vigore 24 permessi di esplorazione offshore,
soprattutto nel medio e basso Adriatico a largo di Abruzzo, Marche, Puglia e
nel Canale di Sicilia, con unarea delle esplorazioni che supera gli 11.000
chilometri quadrati. Nonostante questa intensa attivit gi in
atto, lo scorso anno il Ministero dello Sviluppo Economico ha reso note delle
mappe che dimostrano un forte incremento delle richieste di trivellazioni esplorative,
la cui superficie complessiva, pur non essendo nota, si pu stimare che
sia almeno il doppio di quella in cui le ricerche sono gi state autorizzate.
Tali mappe certificano, evidenziano richieste di trivellazioni esplorative soprattutto
al largo di Abruzzo, Marche, Puglia, Calabria (versante ionico) e nel Canale
di Sicilia. Una situazione che desta non poche preoccupazioni, sia dal punto
di vista economico sia dal punto di vista ambientale. Come mai accade tutto
questo nel nostro Paese? In Italia le royalties da pagare allo Stato per le
trivellazioni sono del 4 per cento, e non del 30-50 per cento come per altri
paesi. In Italia, poi, oltre a royalties molto pi basse, non si paga
alcuna imposta per i primi 300.000 barili di petrolio all'anno: oltre 800 barili
(50.000 litri) di petrolio gratis al giorno. Le attivit esplorative
sono effettuate o richieste da imprese ben note, come Eni, Edison e Shell, ma
anche da imprese minuscole, con scarsa esperienza e anche con soli 10.000 euro
di capitale sociale. E evidente che, in caso di malaugurato incidente,
tali imprese non potrebbero noleggiare alcun mezzo idoneo per raccogliere il
petrolio disperso.
Foto aerea del Parco archeologico di Selinunte_2010
In Sicilia, da alcuni giorni, cittadini, comitati civici, associazioni
ambientaliste e persino politici e amministratori locali stanno lottando contro
i permessi di ricerca del petrolio nel mar Mediterraneo, concessi dai diversi
Governi degli ultimi anni. Licenze per oltre mille chilometri quadrati.
Parliamo del magnifico brano di mare tra Marsala, Sciacca e le isole Egadi.
Richieste di perforazioni sono state presentate anche per Pantelleria e Lampedusa.
Insomma: loro nero e la Sicilia, una storia lunga decenni.
Una storia fatta di grandi aspettative, di grandi illusioni. SullIsola
si raffina il 30 per cento del petrolio consumato in Italia. Le aree di Priolo,
Milazzo e Gela, devastate dal punto di vista ecologico e paesaggistico, sono
oggi qualificate ad elevato rischio ambientale. Quanto accaduto, dunque, non
ha insegnato niente, non servito a niente? Certo che
iniziata la corsa alle trivellazioni nel mare siciliano. Gi lEni,
negli anni Ottanta, ci aveva provato, con due pozzi poi abbandonati perch
antieconomici. Ma adesso, sono una trentina i permessi gi concessi in
gran segreto, senza la prescritta pubblicit. I primi cinque arrivano
nel novembre 2006: ad aggiudicarseli sono stati la Shell e la Northern Petroleum.
Poi arrivata la Audax Energy e nel 2009 toccato a tre autorizzazioni
alla San Leon Energy. A questo punto, per, scoppia la rivolta delle
popolazioni agrigentine e trapanesi, perch il loro mare, il loro territorio
valgono oro per il turismo e la pesca. I comitati civici di Sciacca, le associazioni
territoriali e ambientaliste tra cui Italia Nostra iniziano
ad indagare sui permessi e sulle societ petrolifere, scoprendo che lo
Studio ambientale presentato dalla societ San Leon Energy fortemente
inadeguato e caratterizzato da evidenti imprecisioni. Inoltre, la popolazione
stata male informata. La San Leon Energy una srl con un capitale
di diecimila euro. La sede in un paesino della Puglia. La ditta risulta
inattiva ed stata ceduta a una societ madre con sede in Irlanda.
Si scopre anche che il Ministero dello Sviluppo Economico, nel 2009 ha autorizzato
le ricerche nel mare antistante lo straordinario Parco archeologico di Selinunte
e le superbe spiagge di Menfi, per non parlare della citt di Sciacca,
con uno dei pi grandi porti del Mediterraneo per il pesce azzurro. Le
ricerche arriveranno a meno di due chilometri dalla costa e si estenderanno
per 482 chilometri quadrati. Non basta: siamo in prossimit di due vulcani
sottomarini attivi, una zona sismica. Il piano prevede indagini condotte con
lair-gun (pistola ad aria che crea unonda sonora ad alta intensit)
e la trivellazione di due pozzi di esplorazione. Nessuno, ovviamente, si
ricordato della presenza di importanti riserve naturali e dei banchi di corallo.
Inevitabilmente ci chiediamo: che cosa accadrebbe, in caso dincidente,
in un mare chiuso come il Mediterraneo?
E poi: alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministro per lo Sviluppo economico e al Ministro dell'Ambiente chiediamo: quali risorse tecniche e quali obblighi legislativi sono stati messi in campo per fronteggiare una possibile emergenza ambientale dovuta ad unaccidentale fuoruscita di petrolio off-shore e quali sono gli obblighi di tempestiva comunicazione alle Autorit civili per affrontare l'emergenza? Inoltre, sollecitiamo il Governo ad intervenire con urgenza per verificare lo stato delle cose, per verificare l'effettiva economicit dell'attivit estrattiva del nostro Paese e a provvedere ad emanare una normativa pi stringente per tutelare il Mediterraneo, un mare chiuso, dal fragile equilibrio e, purtroppo, tra i pi inquinati al mondo da idrocarburi. Sappiamo bene che la qualit del petrolio italiano off-shore assai scarsa in quanto bituminoso, con un alto grado di idrocarburi pesanti e ricco di zolfo. Come prodotto di scarto il petrolio bituminoso ha l'idrogeno solforato, sostanza che, anche a piccole dosi, pu provocare gravi danni alla salute delluomo: nel nostro Paese non esistono limiti di emissione in mare. A questo si aggiunge che le compagnie petrolifere hanno bisogno di speciali fluidi e fanghi perforanti per portare in superficie i detriti perforati. Questi fanghi sono tossici e difficili da smaltire. Lasciano, infatti, tracce di cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame: elementi pesanti, nocivi, che si bioaccumulano nel pesce che mangiamo. Infine, come abbiamo gi evidenziato, in Italia le royalties dovute allo Stato per lattivit estrattiva sono tra le pi basse al mondo. Una contropartita davvero irrisoria, a fronte dei danni noti che questo tipo di attivit produce e di quelli possibili che un incidente potrebbe, inesorabilmente, determinare.
Leandro Janni - Consigliere nazionale di Italia Nostra
(Leandro Janni - 15/6/2010)
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Commento 8642 di Renzo marrucci del 09/07/2010
IL MARE DI OBAMA
Leandro Janni bench compiti di architettura e urbanistica... ma questa una moda oggi molto diffusa in Italia, ha dato il meglio scrivendo un bellisimo articolo SU ANTITHESI sul disastro ambientale recentissimo che io chiamo il "mare di Obama"... (non certo per cattiveria ma per ironia della sorte semmai) e ricordo che gli stato dato il premio Nobel anticipato forse facendogli un dispetto... presupponendo all'orizzonte disgrazie del genere, con una portata enorme sul globo e sulle tendenze di sviluppo odierne, vista la cultura in atto di dare carta bianca alle compagnie senza tutelarsi da questo genere di disgrazie che possono inginocchiare il mondo.
Dice bene Janni sullo strapotere delle compagnie... cio dei gruppi economici che riunendosi hanno in mano la possibilit di distruggerci il pianeta e restituirci i cocci, creando le condizioni per la macelleria di cui a volte si parla con una certa puzzetta sotto il naso. Di questo passo altro che polemiche sull' energia eolica (i nuovi mulini al vento) che offende l'occhio di sofisticati dilettanti o salottieri estetisti o rotocalchisti professionali di provincia, per esempio circa l'impiego rozzo dei pannelli fotovoltaici... ma che con una certa attenzione e volont di ricerca possono benissimo integrarsi al territorio... Si tratta di energia pulita tutto sommato e reversibile quando il peggio viene dal petrolio e dalla sua scelta indiscriminata di sfruttamento.
Si profila oggi e il bravo Janni lo dice... un gara allo sfruttamento arido e pervicace, indifferente e consentito... su questo fronte acritico e da cui necessario guardarsi... da cui necessario difendersi.
Un sincero grazie !
Tutti i commenti di Renzo marrucci
Commento 8859 di Leandro Janni del 30/07/2010
Nell'Italia del petrolio qualcosa si sta muovendo. Lo scorso 23 giugno 2010, accogliendo il ricorso della Regione Puglia, il Tar della Puglia ha annullato il decreto 1349/2009 del Ministero dellAmbiente che, di concerto con il Ministero ai Beni Culturali, aveva dato il via libera allavvio delle ricerche di idrocarburi sui fondali pugliesi da parte della societ inglese Northern Petroleum ltd. Insomma: emersa una insufficiente valutazione degli impatti ambientali. Il primo luglio 2010, l'annuncio del ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo: Un giro di vite all'insegna dell'ambiente, che vale per tutto il territorio e il mare nazionale. Su proposta della Prestigiacomo, il Consiglio dei Ministri ha approvato, nello schema di decreto di riforma del Codice Ambientale, un articolo che vieta ogni esplorazione, non solo le trivellazioni, in tutte le zone all'interno delle aree marine e costiere protette, e per una fascia di mare di 12 miglia attorno al loro perimetro. Un divieto solo un po' meno duro riguarder l'intera costa nazionale: nessuna attivit sar consentita entro le 5 miglia. E guai ad illudersi per le zone teoricamente "libere": al di fuori delle aree assolutamente proibite le attivit di ricerca ed estrazione di idrocarburi saranno tutte sottoposte a Valutazione di Impatto Ambientale. Si tratta chiarisce il ministro Prestigiacomo di una normativa che fissa paletti prima lacunosi. Tant' che la nuova disciplina si applica anche ai procedimenti autorizzativi in corso. Abbiamo inserito norme chiare a difesa del nostro mare e dei nostri gioielli naturalistici incalza in una nota la Prestigiacomo colmando una opacit legislativa che nel recente passato ha suscitato timori nelle comunit locali.
Cosa dire? Le nuove norme che regolamentano le trivellazioni, annunciate dal ministro dell'Ambiente Prestigiacomo, rappresentano restrizioni importanti, ma di certo questi provvedimenti non sono sufficienti a garantire adeguate condizioni di sicurezza per i nostri mari e le nostre coste.
Intanto, un altro grave disastro ambientale determinato dal petrolio accaduto nei mari che bagnano la Cina e la Bp, responsabile del disastro del Golfo del Messico, sta progettando la trivellazione di pozzi petroliferi profondi 1700 metri a 500 chilometri dalle coste siciliane. Il Mare nostrum non un luogo qualsiasi: pur occupando solo l' 1% dei mari del mondo, concentra nella sua limitata superficie autentici tesori. Oltre ad essere la culla di arti, religioni, civilt diverse, presenta una ricchezza di biodiversit non paragonabile con altri mari non tropicali. Un' eventuale fuoriuscita di greggio danneggerebbe specie uniche. Come la posidonia, un' erba marina che vive solo nel Mediterraneo, il corallo rosso, materia prima per un importante artigianato, il gabbiano corso che vi nidifica in 300 coppie, la foca monaca, meno di 500 individui tra Turchia, Grecia, Croazia e Italia. E ancora il tonno rosso mediterraneo e una sottospecie endemica di balenottera minore. Mentre le piattaforme gi in funzione nell' Adriatico incutono minor timore perch operano su fondali poco profondi, gestire le sonde a 1700 metri presenta incognite gravi anche in regime di gestione normale. Gli oltre 400 milioni di persone che gravitano sul bacino (abitanti, pescatori, turisti) risentirebbero a lungo di un incidente perch un mare praticamente chiuso e non vivificato da forti correnti. Questo fa s che il ricambio totale delle sue acque (gi inquinate dal secondo traffico di petroliere al mondo) richieda pi di 150 anni. Le leggi in vigore in Italia, che impongono per le trivellazioni una distanza di 5 miglia (9 km) dai litorali e di 12 dalle Riserve Marine, non sono sufficienti a sventare disastri di portata incalcolabile. Il governo Obama ha imposto norme restrittive sui pozzi off shore in Atlantico e la Norvegia sta predisponendo severi limiti alle perforazioni nel Mare del Nord. E si tratta di oceani aperti, con impetuose correnti e immensit non paragonabili con quelle del piccolo mare interno in cui nata la civilt occidentale e sopravvive una biodiversit di altissimo valore.
In tale contesto, la Regione Siciliana, preoccupata, dice "NO alle trivellazioni petrolifere nei mari siciliani". Vedremo.
Tutti i commenti di Leandro Janni
Commento 8914 di Renzo marrucci del 01/08/2010
Che vuoi che ti dica caro Janni... dopo che il barattolo della marmellata schiantato gi a terra sporcando tutto... anche i bimbi hanno un moto di vergogna e attenzione, di pentimento sincero, almeno loro...
Ora si cercheranno vie diverse per consentire... attraverso pubblicit e silenzi... e gi chiacchere per irretire una sorta di ripresa e magari un p pi in la nel tempo... E speriamo ci diano tempo ...
Tutti i commenti di Renzo marrucci
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