Dorigati a Pavia. Ingresso al mercato coperto. Lettera aperta.
di Giueppe Zappelloni
- 9/9/2008
Nota della Redazione
L'inserimento di nuovi elementi architettonici all'interno del tessuto antico delle citt ha sempre sollevato polemiche tra gli addetti ai lavori e, soprattutto, tra i neofiti, ovvero tra chi non ha gli strumenti per "leggere" l'architettura ma ne evidenzia esclusivamente i caratteri stilistici. Ovviamente, vista appunto la condizione di "neofiti", tutto ci assolutamente lecito e, proprio per questo, abbiamo ritenuto opportuno pubblicare la lettera aperta che ha scritto un cittadino di Pavia indirizzandola al prof. Remo Dorigati, progettista dell'architettura che sta sorgendo a Pavia, in piazza della Vittoria.
Ma antithesi una rivista di critica e, dunque, non pu esimersi dal cercare di porre l'argomento secondo una visuale pi ampia che non sia quella della critica sulla forma di un architettura.
Lo facciamo coinvolgendo direttamente il progettista affinch l'opera che sta sorgendo possa essere "letta" secondo i parametri dei suoi significati "spaziali" e sui contenuti concettuali che desiderano inserirsi in un determinato luogo sapendo che ne muteranno il contesto. Abbiamo cos conattato il prof. Dorigati che ha dato la disponibilit assoluta ad incontrarci e parlare dell'opera.
la Redazione
Chiarissimo professor dottor architetto Remo Dorigati,
nel passare da piazza della Vittoria sapevo gi, grazie all'assessore ai lavori pubblici Pezza, di non trovarmi d'un tratto di fronte ad una pensilina o ad una tettoia. Finalmente, dopo aver letto la Sua lettera, mi chiaro che si tratta di una loggia, anche se, viste le dimensioni, direi piuttosto un loggione, in dialetto pavese lobin (che per pu anche essere inteso come accrescitivo di lobia, lobbia, cappello, guarda caso, a falda larga). Sper perdoner la battuta, ma proprio qui sta il punto che Lei non sembra aver colto. Personalmente ritengo, e credo concordino con me quanti soggettivamente trovano "brutta" la struttura, che la loggia sia innanzitutto fuori scala e sproporzionata, oltrech poco rispettosa, nonostante i referenti storici citati, del genius loci. Ma del resto, lo dimostrano le coltissime citazioni addotte, Lei fa chiaramente intendere di aderire ad una corrente International Style, anche se non ho ancora capito se sia sua intenzione portare la metropolitana a Pavia cos da farne una piccola Parigi. Ho letto con estrema attenzione la Sua lettera, e le confesso pi di una volta ed anche con qualche difficolt. Parafrasando Leopardi, credo avrebbe potuto benissimo intitolarsi: "Le magnifiche sorti e progressive dell'architettura". Il tono, mi parso, avrebbe voluto essere quello del demiurgo, ma lo stile, purtroppo, restava quello di un'omelia sull'ineluttabilit, in questo caso dell'architettura (contemporanea in generale e Sua in particolare), che col tempo, in nome di una qualche forma di provvidenza, verrebbe ad instaurare un rapporto simbiotico con quanto la circonda, come a dire che solo questione di farci l'abitudine, o rassegnarsi. Quel che pi mi ha colpito stato per il linguaggio da Lei adottato: un perfetto e nebuloso esempio di antilingua, come stigmatizzato da Italo Calvino, per cui la loggia diviene il "captatore (sic) pi importante della vitalit ipogea". Immediatamente mi sono domandato se proprio da questo punto di vista andasse letta la ravvicinatissima e fuorviante prospettiva del progetto, offerta, bont Sua, alla cittadinanza, per cui il disegno sembra non coincidere con l'opera reale. L'espediente linguistico da Lei adottato forse utile a circoscrivere il dibattito agli addetti ai lavori, escludendo chi addetto ai lavori non , peccato per che il Suo discorso non si limiti alla sola architettura ma investa anche temi di carattere economico e politico che richiederebbero maggior chiarezza lessicale e soprattutto trasparenza. Ma il fare architettura, come il fare politica, a tratti quasi una cosa sola, sono evidentemente da Lei considerati un atto monocratico ed insindacabile. un fatto che non si possa non essere contemporanei, e personalmente ritengo imperativo che nuove forme e nuovi materiali vadano sperimentati ed impiegati, ma in altre realt (europee) si sarebbe sottoposto il progetto al vaglio della collettivit e la committenza pubblica avrebbe preventivamente richiesto un modello in scala uno a uno, per il quale, con poco spesa, sarebbero bastati qualche telone e pochi tubi innocenti, cos, giusto per verificarne l'impatto.
Forse, Professore, trover il tono di questa mia degno solo delle chiacchiere da bar, piuttosto che di un dibattito civile, ma, come al bar, stiamo commentando un fatto ormai avvenuto, in questo caso architettonico, che da un civico dibattito non stato preceduto. Anzi, ogni futura discussione sulla piazza, di sopra e di sotto, giusto per metterci il cappello sopra, pardon, le mani avanti, non potr prescindere dal Suo nuovo "fuoco. Inevitabilmente sar cos, ma l'esito, la storia insegna, potrebbe anche non essere quello che l'architetto si auspica, perch il finale aperto e non detto che La Gran Loggia di Piazza della Vittoria non venga prima o poi abbattuta.
Giuseppe Zapelloni
Pavia
(Giueppe Zappelloni
- 9/9/2008)
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Commento 6402 di renzo marrucci del 10/09/2008
Il cittadino fa bene a dire la sua opinione se altri cittadini dicessero la loro, se fossero cio invitati ad esprimersi... al di l della loro competenza specifica...sarebbe un bene per tutti.
Al di l degli estetismi da quello che si vede nella foto, ma bisogna andare a vederlo... c' una certa ingerenza nel contesto storico dello spazio della piazza che poi una pizza del centro storico di Pavia...Una citt interessante dal punto di vista architettonico storico...e anche se l'architetto cerca di essere il meno invasivo possibile... tuttavia, se avesse usufruito della sensibilit dei cittadini attenti, forse, avrebbe potuto essere ancora pi libero e leggero...per esempio sperimentando l'impiego di materiali diversi....
In questo senso ,credo, che l'intervento del cittadino qualche cosa lo rilevi...dobbiamo ammetterlo.
Interventi di questo tipo avrebbero bisogno di un rapporto pi vivo con la cittadinanza ed i progetti essere prima esposti ai cittadini, farne attivit di dialogo.
La funzione pubblica dell'architettura dovrebbe essere compresa pi a fondo...proprio per evitare di considerare i cittadini una sorta di ultima sponda che pu solo dare fastidio...Forse anche l'architetto avrebbe avuto uno scambio pi utile che lo avrebbe fatto lavorare con pi piacere...
Tutti i commenti di renzo marrucci
Commento 6403 di Giuseppe Zapelloni del 13/09/2008
Per maggiore completezza d'informazione credo opportuno proporre l'articolo a firma del progettista cui la mia lettera fa riferimento.
La loggia sar luogo dincontro (la Provincia Pavese 29 luglio 2008)
Prosegue il dibattito sulla copertura all'ingresso del mercato sotterraneo in piazza della Vittoria. Dopo le critiche, arrivate da pi parti, interviene uno dei due progettisti (l'altro l'architetto Vittorio Prina, dell'ufficio tecnico comunale di Pavia). Si tratta di Remo Dorigati, professore di Progettazione architettonica e urbana al Politecnico di Milano, che spiega cosa c' dietro l'opera.
Penso sia importante cogliere l'occasione di dibattito nato dalla costruzione della nuova loggia in Piazza della Vittoria per affrontare alcune questioni che riguardano i processi di trasformazione e conservazione della citt storica. I due termini non rappresentano di per s polarizzazioni inconciliabili ma convivono e attraversano i continui processi di adattamento di una cultura urbana. Essa si alimenta della propria storia ma anche del desiderio di adeguarsi alle diverse modalit di usare e interpretare lo spazio pubblico. Comprendere quale sia il significato contemporaneo delle citt non per nulla semplice poich viviamo la presenza di culture plurime che usano e percepiscono la citt secondo modalit spesso conflittuali. Anche le memorie sono molteplici: vi la memoria di chi, abitante, ricorda i luoghi della citt e gli avvenimenti che vi si sono svolti poich l'ha vissuta nel tempo. Ma vi una memoria di chi, visitatore, si muove nello spazio e associa i luoghi che percepisce a tutti gli altri luoghi che ha vissuto: citt di ferro e di mattone, citt di vetro e citt di pietra. Una memoria che la storia di una citt e una memoria che lega quella citt a tutte quelle del mondo e che la fa appartenere ad altro e ad altri, allo stesso tempo. Questo crea anche dei sussulti e delle ferite che il tempo, e ci stupefacente, ha reso accettabili: i differenti linguaggi e le diverse tecniche oggi vengono vissuti come un fatto unitario. Rinascimento, barocco, eclettismo e modernismo si sono assemblati in un coacervo di forme, una cava di linguaggi, che sul retro del Duomo si riversa verso la Piazza: una macchina costruttiva senza l'apparato decorativo. Non un'idea di architettura un insieme di esperienze e di fatiche che hanno cercato un continuo adeguamento alle ragioni del tempo. E' un'architettura fatta da tante idee e da tanti uomini ostinati a trovare un senso nuovo alla loro citt e che hanno utilizzato ogni traccia, in primo luogo perch vi hanno riconosciuto una risorsa. Sono nate nuove qualit urbane che, costantemente, hanno messo in discussione il concetto di contesto come fatto identitario. Ma anche qui le opinioni sono assai diverse ed difficile trovare una unit di interpretazione fra i cittadini. Quando, anni fa, R. Bossaglia aveva proposto una nuova riflessione fra arte e spazi pubblici, molti avevano apprezzato la presenza di alcune sculture pi di altre in nome di un principio contestuale che privilegiava la materia. La pietra di P. Cascella andava bene per il centro storico mentre l'acciaio di C. Mo o la vetroresina di A. Pomodoro venivano considerate estranee. Buone per spazi residuali esterni al centro. Fu cos che Pomodoro rimosse, con il pretesto di un restauro, le colonne collocate a Porta Milano visto che era innegabile che la triade non fosse particolarmente amata dai pavesi.
Vorrei che i cittadini cercassero di comprendere il senso della nuova loggia o almeno le sue ragioni in modo che, come avviene in un dibattito civile, le loro opinioni anche contrarie fossero sostenute da una riflessione sugli spazi della loro citt. Non mi soffermo sulle motivazioni funzionali (coprire l'accesso al mercato, inserire un ascensore per disabili, dare ordine all'edicola e al fioraio, ecc.) che, pur essendo la prima vera ragione dell'intervento, non giustificano del tutto la nuova forma. Essa il risultato di molti fattori che nascono dalla storia del luogo ma anche da valori urbani contemporanei. Se si osservano le incisioni storiche della citt del XVII secolo, si pu notare che la piazza era delimitata sui lati corti da una sorta di filtro fatto da paracarri in pietra che lasciavano libere le due vie al transito ridimensionando il dominio della piazza mercantile. Il nuovo intervento aiuta a ri-proporzionare uno spazio indeciso fra essere un grande slargo o uno spazio pi contenuto, pi consono al suo essere piazza. Non un caso che, nel tempo, i due limiti abbiano definito il luogo cui collocare le diverse installazioni per la politica e per gli spettacoli. E la loggia pu accogliere anche questo.
La piazza uno dei pochi luoghi della citt dotata di portici (che al contrario sono ricorrenti nelle corti interne). Lo spazio coperto pubblico, che in modo discontinuo avvolge la piazza trova nelle loggia un nuovo "fuoco" che pu avere il ruolo di spazio di aggregazione. Non solo il flusso del mercato coperto ma l'attrazione di uno spazio, soprattutto per i giovani, che nasce dal semplice atto di un piano sospeso sotto cui trovarsi: uno spazio di socializzazione. Piazza delle Vittoria non solo piazza ma anche un suolo sotto cui c' un'attivit commerciale. Oggi tale attivit messa in crisi dalla moltitudine di centri commerciali sorti nel territorio esterno. E' opportuno ripensare al destino delle piccole attivit commerciali entro il tessuto storico. Oggi esse sono in sofferenza. L'intervento non solo la riqualificazione dell'accesso al mercato il segnale di una strategia urbana di sostegno e rafforzamento della vita di scambio (merci e idee) entro la citt. Pu essere un primo segnale della riorganizzazione degli spazi urbani entro un sistema che collega piazza Cavagneria col mercato e con la piazza. Sarebbe bello vederli rivitalizzati con attivit espositive, culturali e commerciali che svelano la segreta topografia della citt. Di questo sistema, la loggia il captatore pi importante di quella vitalit ipogea che, in ogni caso, una presenza ormai consolidata nella citt.
Remo Dorigati, professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana al Politecnico di Milano
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Commento 6404 di Giovanni Giovannetti del 14/09/2008
Che senso ha opporsi allinutile tettoia costruita a Pavia in piazza Grande a lavori ormai ultimati? Non sarebbe stato meglio pensarci per tempo? Che idea di citt si comunica rivendicandone labbattimento, dopo che la sua costruzione andata avanti per quasi un anno sotto gli occhi di tutti? Dovera lopposizione politica e Zapelloni quando sono cominciati i lavori?
Un anno fa la pi lungimirante Giunta che la citt ricordi ha preteso il trasferimento dei Rom fuori dal suo cortile. Ora il turno degli squattrinati, che lamministrazione locale vede come rappresentazione del brutto. Cos non per limperdibile tettoia, che la banda Zapelloni biasima e ne sollecita la rimozione o quantomeno il trasferimento in luogo diverso. Sono due punti di vista speculari, chiamati a riflettersi luno nellaltro.
Cari benpensanti dei miei stivali, siate allora pi risoluti e implacabili: dilatate lorizzonte, assumete un analogo trattamento per lorribile e vetusta copertura consorella in piazza Leonardo da Vinci, e lancora peggiore palazzo di vetro presso il ponte dellImpero.
La raccolta delle firme dovrebbe sollecitare anche la demolizione delle case sul Lungoticino, rifatte in malomodo dopo i bombardamenti alleati del 1943-44, che hanno straziato la citt molto meno delledilizia pervasiva dei vari Febbroni e Fasani (i costruttori) negli anni Cinquanta e Sessanta, con la complicit solo politica? dei nani del loro tempo. Si dia corso senza indugi allabbattimento del palazzo al Demetrio e dellorribile edificio posto dietro linutile ipogeo. Non fermatevi: raccogliete altre firme per riedificare il ponte Vecchio cos comera, a condizione che ci venga restituito pedonale. Una volta ultimato il lavoro nel centro storico si passi alle periferie, a partire dalla madre di tutte le porcate: il Carrefour sulla Vigentina, lannesso parcheggio e il giro di tangenti e altro ancora che vi sta dietro (il magistrato Luisa Rossi si legga il dossier della Guardia di Finanza in suo possesso).
Si pu fare? No, non si pu. Se si vuole frenare il brutto dilagante allora va denunciato il brutto che ci ha gi allagato, dal centro alle periferie; se invece in gioco il destino gi scritto del mercato coperto (luogo che sollecita enormi appetiti), e se la tettoia far presto da ingresso, a spese dei contribuenti, ad una futura zona commerciale modello Gs-Carrefour, lo si denunci ai cittadini e alla Procura, senza indulgere in fuorvianti sparate goliardiche.
Quanto a me, non firmer per labbattimento n per lo spostamento dellorribile tettoia. troppo tardi. Resti pure dov. Cos come gli altri numerosissimi piccoli e grandi inganni del recente passato, procurati dalle betoniere degli immobiliaristi, in accordo con i politicanti di oggi e di allora, con la complice omert o copertura di altri settori cittadini.
I perditempo, con il sindaco Capitelli e la pseudosinistra, vorrebbero che non ci occupassimo dei problemi veri; vorrebbero farci combattere inutili battaglie e istigarci a contemplare il dito mentre il dito sta indicando la luna. Nel nostro orizzonte ci sono altre emergenze cittadine e planetarie: le speculazioni immobiliari favorite dalle tangenti; le mafie che edificano e bonificano banconote e come a Genova si candidano a bonificare anche le tossine delle aree dimesse; lecomostro autostradale Broni-Mortara che sottrarr 8,6 milioni di metriquadri di verde al territorio e calamiter in provincia da 30 a 40.000 autoarticolati al giorno, con conseguenze sulla nostra salute; linutile e devastante collegamento autostradale tra la tangenziale ovest e larea Neca; le povert vecchie e nuove; i disagi dei giovani e degli anziani ghettizzati in quartieri dormitorio privi di servizi, e di chi ogni giorno rischia la vita nel lavoro nero; gli effetti della crisi della globalizzazione come il calo occupazionale e la difficolt per le famiglie ad arrivare a fine mese, ecc. Su tutto questo sarebbe opportuno concentrare ogni energia residua e proporre un modello alternativo di citt e di vita, invece di balbettare indignazione fine a se stessa al riparo dellorrenda e fuorviante tettoia.
Giovanni Giovannetti, Pavia
[email protected]
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Commento 6406 di Renzo marrucci del 15/09/2008
Caro Giovannetti io non conosco le persone relative al contesto della famosa tettoia pavese e non sono a conoscenza di una eventuale raccolta di firme in merito alla rimozione della stessa...Sono intervenuto perch il caso dimostra una chiara mancanza di quel senso della citt che poi cos fortemente porta alla mancanza di rispetto del cittadino e sulla poca volont a coinvolgerlo nelle scelte e sulle decisioni che lo riguardano. Quindi, mi perdoni, ma continuando a pensare con molta intensit alle cose molti importanti...nulla la distoglie dal poter prendere atto e capire... Un caro saluto
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Commento 6407 di Giovanni Giovannetti del 16/09/2008
Caro Marrucci, da anni mi batto contro quello che lei chiama mancanza di rispetto nei confronti del cittadino, vale a dire il mancato accesso alla partecipazione. In generale sono d'accordo con lei - ci mancherebbe! -; nella fattispecie, la mia posizione resta quella che vi ho sottoposto in lettura. La ringrazio. Suo Giovannetti
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Commento 6408 di renzo marrucci del 16/09/2008
Gentile Giovannetti
tanti oggi dicono di amare la propria citt ma di fatto non si capisce di che cosa sia fatto questo "amore" ma di sicuro quando troppo esclu
sivo va controllato perch si traduce sempre in qualche cosa di diverso...
Nulla meglio della partecipazione... Un caro saluto
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Commento 9250 di DAVIDE DONATI del 29/01/2011
Siamo ormai abituati alla brutalit delle architetture di Dorigati. La chiesa di Petosino doveva essere un ambiente ipogeo, risultato uno scatolone di ferro e vetro artificiosamente incassato nella montagna. Gli edifici residenziali di Abitare Milano dovevano configurare una rivisitazione del "borgo", ne risultato invece un impattante patchwork di pannelli ipercolorati mal rifiniti.
Quello che sembra contare per Dorigati l'architettura come gesto brutale, come "voler esser-ci".
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