Oltre gli incerti confini. Il territorio urbano di Palermo
di Leandro Janni
- 27/11/2007
Nella Palermo a noi contemporanea i muri opachi e i grigi, anonimi edifici tra i residui spazi aperti pesano molto. La nostra percezione del mondo comunque sta cambiando, nonostante i muri opachi, i grigi, anonimi edifici e la loro insignificante, ottusa pesantezza.
Nella citt antica le mura rappresentavano il principio femminile protettivo, che racchiude, che accoglie. Le mura, simbolo della soglia del limite segnavano il passaggio dallo spazio esterno (profano e imperscrutabile), allo spazio interno (sacro e accogliente, familiare). Le mura il recinto, la soglia costituiscono uno dei simboli, degli archetipi dellarchitettura.
Nella citt attuale lo spazio viene utilizzato in termini economici di efficienza e profitto, secondo una prassi urbanistica decisionale, espressione di un nomos, di un sapere/potere, che opera per conto di interessi sostanzialmente speculativi, omologando il territorio e la sua organizzazione, cancellando le caratteristiche di identit, di complessit, di omeostasi.
Il vasto territorio urbano di Palermo fortemente caratterizzato da unedilizia senza forma e senza qualit, che ha persino cancellato luoghi e confini originari, realizzando metri cubi su metro quadro di anonime, indifferenti costruzioni. Una sorta di scacchiera confusa, dispersa e indefinita. Non pensata, non immaginata. Un inevitabile, pervasivo dappertutto.
Eppure, in questo spazio alienato noi viviamo quotidianamente, come radicati nellassenza di luogo, come stranieri. Questo spazio dellatopia, de-situato, surreale ed astratto, anonimo ed infinito, a differenza della citt antica definita, murata, compatta accoglie dentro di s il limite, che dunque non passa pi al suo esterno come una linea di difesa, di frontiera, ma lattraversa, si situa al suo interno.
La citt moderna, contemporanea uno spazio, una condizione dellatopia che, proprio per questo suo carattere straniante in cui ci si smarrisce e insieme ci si ritrova pu essere percepito come una sorta di labirinto. In alcuni casi, situazioni particolari, speciali, in cui lo schematismo geometrico si indebolisce, si frantuma, in cui il labirinto diventa altro spazio polemico, erotico, ibrido, luogo del possibile la citt pu essere percepita, letta, come una sorta di arabesco (la Palermo della valle dellOreto, il parco della Favorita, gli orti e i giardini storici, monte Pellegrino, capo Gallo, parco dOrleans, Ciaculli, larea di Brancaccio-Maredolce).
Nellarabesco realizzabile una diversa esperienza delle cose: figura in cui prevale larmonia dellinsieme sul particolare, il colore sul segno, sul simbolo; esso pu diventare il luogo dellinclusione, della possibilit, della convivenza; lo spazio che protegge con le sue volute, con le sue geometrie indefinite ed aperte, dalla legge del nomos, autoritario ed esclusivo.
Il limite, dunque, come spazio intermedio, ci permette di cogliere la cosa le cose tangibili, misurabili come una tensione, come una costellazione di eventi; ci conduce verso un pensiero narrativo che apre a nuove, inesplorate possibilit. Laltro, allora, non pi lestraneo fuori dai nostri limiti, dai nostri sempre pi deboli confini, ma costituisce la nostra stessa soggettivit, identit, proponendosi nellarabesco, in cui coesistono tutte le differenze: non omologate o escluse, ma rese pi forti e significative dal loro contatto, dal loro interagire.
Dopo pi di cinquantanni di leggi urbanistiche di ispirazione forte, autoritaria, prescrizioni, negazioni, divieti, conservatorismi che, troppo spesso hanno alimentato soprattutto nel Meridione, in Sicilia rifiuti, esclusioni, emarginazione sociale, diffuse, pervicaci forme di illegalit, larabesco pu rappresentare un modello culturale, spaziale, esistenziale alternativo; debole, ma proprio per questo, autorevole e condiviso.
Negando le forme geometriche forti, chiuse, meccaniche della scacchiera contemporanea, superando il disagio della civilt, la perversione, lossessione dello spazio e del tempo moderno, rinunciando ad essere icona della legge, larabesco, ricerca un ordine altro: pi organico, pi complesso, pi consapevole. Larabesco come possibile, sorprendente, nuovo linguaggio, scrittura, narrazione. Larabesco come rete organica territoriale e non come sistema urbano generalizzato, confuso, omologato. Larabesco come paradigma della nuova urbanistica meridiana, mediterranea.
Lo spazio fisico ed esistenziale della citt contemporanea, della Palermo contemporanea, attraverso larabesco, quindi, pu essere letto, sperimentato, vissuto, come ambiente fluttuante, policentrico, pluralista; multifunzionale e multidirezionale. Tessuto ibrido e significativo, inclusivo ed aperto. Nuova, possibile dimensione etica e politica.
Tradurre tutto questo in progetto, se non in legge, norma, regola (democratica e condivisa), la sfida complessa e stimolante che, come cittadini, tecnici, legislatori, forse possiamo raccogliere prima che sia troppo tardi.
(Leandro Janni
- 27/11/2007)
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Commento 5757 di Domenico Cogliandro del 28/11/2007
Io non credo di essere una cima (come si dice dalle mie parti) caro Leandro ma, devi credermi, non ho capito esattamente dove hai voluto andare a parare con questa profilattica esegesi panormita. Gi, esattamente dove?
Cari saluti, Domenico.
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Commento 5760 di Leandro Janni del 29/11/2007
Commenta Domenico Cogliandro:
Io non credo di essere una cima (come si dice dalle mie parti) caro Leandro ma, devi credermi, non ho capito esattamente dove hai voluto andare a parare con questa profilattica esegesi panormita. Gi, esattamente dove?
Cari saluti, Domenico.
Caro Domenico,
potrei rispondere citando lamato Borges (Non sono le soluzioni che contano ma gli enigmi), oppure consigliandoti la lettura dellultimo testo di Umberto Eco (Dallalbero al labirinto. Saggi sulla storia della semiotica, Bompiani). Oppure, da ambientalista, potrei anche suggerirti di leggere e studiare da postazioni dominanti e ben ossigenate come, ad esempio, la cima di un monte o, al limite, va bene anche un colle messinese. Scherzo, ovviamente!
Comunque sia, rispondo ricordando una piccola storia. Diversi anni fa, nel corso di una lezione-conferenza presso laula magna della Facolt di Ingegneria di Palermo, a proposito di un ambiguo e comunque seducente progetto di Aldo Rossi, rivolsi una domanda complicata al prof. arch. Gianni Braghieri, il quale reag con unosservazione analoga alla tua. Replicai che forse era giusto, oltre che opportuno, che egli insegnasse nella Facolt di Ingegneria di Palermo.
Un saluto affettuoso, Leandro
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Commento 5765 di maurizio zappal del 01/12/2007
La risorsa della Natura incontaminata o della Natura predominante sempre da giocare contro lantropizzazione, facendo derivare il collasso ambientale dalleccessiva o brutale presenza delluomo. E chiaro quanto il paesaggio non sia staticamente immobile e quanto, invece, sia animato da una sua Storia, che la Storia della Natura, degli eccessi della Natura (terremoti, effusioni laviche, smottamenti, tsunami, alluvioni, inondazioni, etc). La migliore difesa della Natura quella predisposta dallintelligenza delluomo, dalla antropizzazione.. Per usare unanalogia ritengo che fra la Natura indifferente, muta o autoreferenziale quindi insignificante e la Natura dellintelligenza, dallintelligenza amministrata c la stessa differenza tra un fatto e una notizia. Un fatto diventa notizia solo se informato a criteri di comunicazione qualificati; un fatto naturale diventa risorsa solo se raccolta nelle mani delluomo.
Per uscire dalla metafora, di volta in volta bisogna trovare una risorsa che ci faccia uscire dal limbo della natura primitiva che la fissa degli ambientalisti alla Celentano o!
Per me e pochi altri (scherzo!), il mare una risorsa di piacere dinnanzi alla manipolazione dei waterfrontisti, degli architetti della battigia, dei costruttori sui territori-limite, sui maritori. E credo che Palermo stia lavorando lentamente (Italo Rota docet!) in tal senso! Insomma, se la bellezza di un sito il suo valore, gli necessario che si valorizzi il sito con interventi incisivi ed orientati alla salvaguardia della Bellezza, bisogna maritare la Natura con lartificio, il piacere disinteressato del panorama, del mare con il tintinnio della moneta, con linteresse dellimprenditore turistico. Amministrare la Bellezza potrebbe sembrare impossibile ad occhi ingenui: dietro un bel volto di donna c tutta la scienza del cosmo, tutta la cosmetica. C da chiedersi perch nel Mediterraneo non stata elaborata una cultura talattocratica, non stato costruito e preservato un patrimonio di tecniche nautiche di dominio del mare, non stato pensato lhabitat come spazio marino, non mai esistita una flotta potente come quella planetaria dellInghilterra dellet moderna. E perch, in sostanza, non sono esistiti corsari e pirati nel Mediterraneo ed archiproto, architetti di navi, spazialit illimitata come quella che si esperisce sul mare e talattometria invece della geo metria, talattometri invece di geometri che hanno funestato la forma delle case ed anche delle citt meridionali dItalia? Perch questa risorsa mare stata sempre sottovalutata da intere popolazioni che insistono sul mare, che fanno antropologia marina, costiera ma subissata da contadini e braccianti e proprietari fondiari con le loro categorie edificatorie collaudate nelle campagne tra ovili e masserie? A queste domande si potrebbe azzardare suggestivamente che la crisi delle citt con affaccio al mare la scoperta dellocclusione del water-front, determinata dallaver voltato le spalle al mare. Citt che hanno, quindi, mortificato la propria propensione naturale allhabitat palafitticolo (il riferimento ovviamente non alla preistoria ma alla postistoria degli azzardi, per esempio, giapponesi di cui c traccia ricognitiva nel magnifico libro su Tokyo-to di Livio Sacchi). Da qui il malessere della pianificazione terranea che ha creato quartieri miasmatici, destinati alla delinquenza e alla criminalit, dove la vivibilit il frusto ricorso ecologico al verde, dimentichi che c unecologia che sostanza antropologica e questa il mare. Quindi il riscatto di quegli ambienti e dei loro abitanti non pu che risiedere nellapertura al mare in una sorta di clessidrica combinazione, dal mare alla citt e viceversa, con strategie di progetti urbani che mirino a sottrarre mare per fare terra e terra da allagare con mare. Fino a quando non colmeremo il disequilibrio talattico non vinceremo la sfida. Il punto che naturalmente lEuropa mediterranea ha cominciato, ormai da tempo, ad attrezzarsi per risolvere il problema, assumendo Barcellona come centro ideale di un cerchio costiero delle citt sul mare, per registrare fantasmagoriche e azzardanti proposte di Ri-struttarazione, di Ri-qualificazione delle citt. La circumnavigazione, purtroppo, sinterrompe in Italia, dove la coscienza e la storia si fermano in una palude di castrazioni (castra+edificazioni) che inibiscono, ritardano, ostacolano lattuabilit di modelli di riferimento. Probabilmente i manipolatori didee o i matres penser dovrebbero tanto lavorare sulla nostra appercezione degli spazi, sul nostro immaginario simbolico per individuare il grimaldello dellinversione di tendenza, onde stabilire strategicamente priorit di sopravvivenza. Di questo parla chi ha da tempo scoperto che linvestimento estetico oggi lunica fonte di crescita economica. Cosa ci resta da fare per non soccombere completamente? Creare un nostro modello culturale, architettonico ed urbanistico e sociologico e storico che rientri luomo mediterraneo sul mare, salpati dalla terra sicura ma noiosa dei luoghi comuni, anche architettonici. Per cui, in ambito politico che si dovrebbe puntare sulla emersione della risorsamare. Questo, oggi per me il fondamentale antidoto al veleno del conservatorismo e dellimmobilismo.
Azzardando sembra lecito poter dire che lintellighenzia architettonica e la politica italiana vedano la contemporaneit come disordine privo di senso. In realt, insensata una filosofia dellabitare che sconosce i luoghi della contemporaneit, che distratta dalla specificit storica e materiale del territorio o, meglio, del mari-torio su cui insiste lagglomerato umano. Vivere nelle ossessioni abitative degli avi una prigione!
Il movimento dona una dimensione inedita alla forma. La fa sembrare una cosa vivente. Invece di immaginare un edificio come qualcosa di minerale, come una roccia, potremmo cominciare a paragonare un edificio al mare mosso dalle onde,
oppure a un fiore i cui petali si aprono ogni mattina.
(SantiagoCalatrava)
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Commento 5776 di Leandro Janni del 04/12/2007
DELLA PERDUTA "FELICITA' " DI PALERMO
Eppure, un tempo Palermo fu felicissima. A proposito del rapporto intimo, profondo, ancestrale che nonostante tutto abbiamo con la verit e la bellezza dei luoghi della nostra esistenza, una mia cara amica francese sapientemente afferma che il mare esteriorizza mentre la terra interiorizza.
Inesorabilmente, molti problemi della Palermo contemporanea derivano dalla ostinata, scriteriata negazione della struttura geografico-simbolica di un territorio: straordinariamente compreso, definito da magnifiche montagne e sapientemente aperto sullazzurro infinito del mare.
Aver perduto nel corso degli ultimi decenni questa privilegiata, distintiva condizione, ha generato una sorta di alienazione collettiva, di doloroso degrado ambientale.
Di insostenibile bruttezza.
Leandro Janni
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Commento 5845 di maurizio zappal del 17/12/2007
Dicono che lacqua sia il mondo degli specchi e delle illusioni, il regno dei riflessi, ma non cos: non ci sono illusioni l sotto, tutto vero, pi vero e pi banale di quanto sia di sopra (in Maurizio Bettini-Ezio Pellizer, Il mito di Narciso, Einaudi 2003, p. 7)
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Commento 6001 di Rosario ferraro del 04/02/2008
Bellissimo! Ottimo! Eserciziozio di stile.
Oramai e una costante, arrivo in ritardo. L'et! Ma mi spieghi per favore il finale? Tra un rimando e l'altro ho perso il filo. Palermo tutto quello che hai detto e anche oltre, come Trapani, Messina e Roccalumera.
Forse non avr beckground culturale cos elevato, ma vorrei capire il messaggio. Per amore della felicissima citt.
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Commento 6011 di Leandro Janni del 06/02/2008
Nel commento n. 6001, Rosario Ferraro definisce esercizio di stile il mio testo sul territorio urbano di Palermo, malamente manifestando l'auspicio di comprenderne il messaggio. Cosa rispondere?
Nulla.
Leandro Janni
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